a cura di MILENA DE MATTEIS, ALESSANDRA MARIN
NUOVE QUALITÀ DEL VIVERE IN PERIFERIA PERCORSI DI RIGENERAZIONE NEI QUARTIERI RESIDENZIALI PUBBLICI prefazione di Bruno Dolcetta / ambiente e territorio / quaderni di R.U.S.P.A. / R.U.S.P.A.
NUOVE QUALITÀ DEL VIVERE IN PERIFERIA
PERCORSI DI RIGENERAZIONE NEI QUARTIERI RESIDENZIALI PUBBLICI
EdicomEdizioni
/ ambiente e territorio / quaderni di R.U.S.P.A. /
Collana / ambiente e territorio / quaderni di R.U.S.P.A. /
R.U.S.P.A.
Questo volume è realizzato nell’ambito della ricerca FIRB 2008 finanziata dal MIUR Living Urban Scape – Abitare lo spazio urbano (Università Iuav di Venezia e Università Roma Tre) www.livingurbanscape.org
EdicomEdizioni Monfalcone (Gorizia) tel. 0481/484488 fax 0481/485721 e-mail: info@edicomedizioni.com www.edicomedizioni.com In copertina: quartiere di Valmaura, Trieste, foto di Gianna Omenetto. I testi e le foto sono stati forniti dagli autori. © Copyright EdicomEdizioni Vietata la riproduzione anche parziale di testi, disegni e foto se non espressamente autorizzata. Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e delle convenzioni internazionali. ISBN 978-88-96386-30-9 Questo libro è stampato interamente su carta riciclata Stampa Laser CC Milano Prima edizione novembre 2013
a cura di MILENA DE MATTEIS, ALESSANDRA MARIN
NUOVE QUALITÀ DEL VIVERE IN PERIFERIA PERCORSI DI RIGENERAZIONE NEI QUARTIERI RESIDENZIALI PUBBLICI
PREFAZIONE DI BRUNO DOLCETTA CONTRIBUTI DI Daniele Carfagna, Roberto D’Agostino, Elisa Dainese, Barbara Del Brocco, Milena De Matteis, Giorgia De Pasquale, Paola Di Biagi, Claudia Faraone, Laura Fregolent, Anna Lambertini, Valeria Leoni, Giuseppe Longhi, Carlo Magnani, Marcello Mamoli, Claudia Marcon, Alessandra Marin, Sara Marini, Gianluca Mazzon, Annalisa Metta, Ezio Micelli, Stefano Munarin, Maria Livia Olivetti, Anna Laura Palazzo, Paolo Rosato, Andrea Sardena , Stefano Stanghellini, Ianira Vassallo
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La valutazione dei lavori da pubblicare nella collana R.U.S.P.A. – Rigenerazione Urbana, dello Spazio Pubblico e dell’Abitare è affidata ad un comitato scientifico, che si propone di promuovere un confronto tra approcci disciplinari complementari. Ne fanno parte Alessandra Casu, ricercatrice in Urbanistica, Università degli Studi di Sassari Marina Dragotto, ricercatrice, segretaria nazionale di AUDIS – Associazione Aree Urbane Dismesse Gianfranco Franz, professore di Politiche Urbane e Territoriali, Università degli Studi di Ferrara Alessandra Marin, ricercatrice in Urbanistica, Università degli Studi di Trieste Sara Marini, ricercatrice in Composizione Architettonica e Urbana, Università IUAV di Venezia Oriol Nel-lo i Colom, professore di Geografia Urbana, Universitat Autònoma de Barcelona Rosalia Vittorini, professore di Architettura Tecnica, Università di Roma Tor Vergata
Prefazione
PREFAZIONE Bruno Dolcetta
Questo volume tratta di politiche per la città e richiede una attenta lettura in ragione di un interrogativo che ci riguarda : possiamo dire che vi sia una politica “per” e “delle” città in Italia? Nei primi anni del ‘900, dopo un lungo viaggio alla scoperta delle città tedesche impegnate in una fase tumultuosa di riorganizzazione e sviluppo, sulla spinta della rivoluzione industriale che dispiegava allora in Germania le sue potenzialità, Patrick Geddes, colpito dalla vitalità e dai programmi, ebbe ad affermare con enfasi che, da allora in poi, la competizione fra le nazioni si sarebbe giocata non già con la forza delle armi e la potenza degli eserciti, ma nel confronto aperto fra la capacità organizzativa e produttiva delle loro città. Fu rapidamente e tragicamente smentito dalla “grande guerra” che travolse nazioni ed economie e prolungò ben oltre nel tempo i suoi effetti, ma aveva certamente centrato il punto. Quella sua convinzione attraversa e nutre, ora, l’Europa che riconosce come uno dei suoi tratti identitari più forti e stabili la rete delle sue città, su di esse confida per sviluppare la maggior parte delle chances competitive sulla scena globale e vi concentra progetti e risorse di grande impegno e di lungo respiro. Fin dalla introduzione (De Matteis, Marin), e in più saggi confluiti in questo libro (Vassallo) sono richiamate le “raccomandazioni” e i documenti programmatici fondamentali in materia di città e di paesaggio che l’Europa ha prodotto negli ultimi due decenni, continuamente arricchiti di temi e di nuove sensibilità verso l’innovazione, lo sviluppo e la sostenibilità ambientale e sociale. Ma l’Italia, come sistema-paese, da lungo tempo non si inscrive in questo scenario. Le politiche che riconoscano nelle città il nodo in cui si intrecciano le competenze necessarie alla organizzazione dello sviluppo contemporaneo (dalla conoscenza, alla cultura, alla produzione materiale e immateriale, allo scambio, alla sostenibilità, alle molteplici vie della innovazione…) non sembrano rientrare nelle linee strategiche del governo e negli impegni di breve e, tanto meno, di medio-lungo periodo. La cura della città si vuole esclusivamente delegarla ai municipi; i temi urbani, pertanto, se pur animano e accendono tutte le competizioni elettorali locali, non sono visti come una leva strategica e diretta responsabilità “anche” del livello di governo nazionale. E così, quando si delineano
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le cose da fare e le politiche da impostare per il futuro dell’Italia, si parla sempre d’altro; non c’è spazio per le politiche urbane e per la cura del territorio. Molte città, è giusto ricordarlo, fanno del loro meglio, ma l’orizzonte entro il quale si muovono, gli obiettivi, la complessità e continuità dei progetti, le risorse, i tempi risentono della dimensione individuale (non si sa se più subita o voluta, quando si pensi, ad esempio, agli invincibili attriti nel raccogliere la proposta di “città metropolitana”) e dei confini rigidi entro cui debbono operare. Non soccorre a rimuovere ostacoli e a modificare l’atteggiamento collettivo l’evidenza della forte correlazione che intercorre fra tutti gli indicatori che misurano in modo comparativo la qualità delle singole città e il profilo sociale ed economico delle società che vi risiedono. Senza una città con contenuti qualitativi alti non c’è speranza di sviluppo competitivo per i territori di riferimento. Possiamo concludere sul punto affermando che senza una rete di città e di reti di città che perseguano il miglioramento e puntino all’eccellenza, la nazione non è in grado di affrontare le sfide sempre più dure che il mondo globalizzato pone a tutti. Ciò dovrebbe bastare per avvertire la urgente necessità di mettere in atto strategie fortemente intrecciate, fra obiettivi e risorse nazionali e governo locale, regionale e comunale, per politiche urbane forti e perseveranti. I contributi raccolti nel volume testimoniano un articolato approccio a entrambe le esigenze: • quella di esplorare, nelle nostre città, le politiche urbane possibili e di suggerirne il più creativo e razionale disegno; • quella di non desistere mai dal confrontarsi con le realtà internazionali che mostrano di saper perseguire obiettivi ambiziosi, necessari, e di saper elaborare concetti, forme organizzative, definire temi progettuali e mettere in campo tecniche sempre più raffinate e complesse per realizzarli e continuamente superarli. Quanto al contesto italiano il lavoro posa su solide basi, poiché articola e sviluppa uno dei temi sui quali da più tempo, con maggiore continuità e con i migliori risultati la ricerca accademica italiana ha lavorato e lavora: la cosiddetta “città pubblica” (Di Biagi) costituita dall’universo dei quartieri di edilizia economica e popolare costruiti nel secondo dopoguerra. Il gruppo che conduce il lavoro di ricerca Living Urban Scape (LUS), nel porsi l’obiettivo di sviluppare il tema della rigenerazione urbana ha, dunque, delimitato il campo, come è necessario all’economia della ricerca, ai quartieri italiani costruiti sulla base dei diversi programmi nazionali succedutisi dagli anni cinquanta agli anni ottanta del secolo scorso. È costituito da un corpus di esempi compatto, suggestivo e che, pur entro le regole stabilite dalle leggi e dagli organismi di coordinamento nazionale, appare ricchissimo di variazioni: per età, dimensioni, modelli insediativi,
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Prefazione
densità, dotazione di standard, tipi edilizi, linguaggi architettonici, profili sociali delle comunità insediate, dinamiche pregresse e in atto, rapporto con il contesto urbano e il paesaggio… Un campo aperto, dunque, nel quale l’esercitazione critica e progettuale può e dev’essere condotta con metodi rigorosi di falsificazione e conferma per sciogliere, o almeno esplorare consapevolmente, i nodi della cultura del progetto (Magnani) sempre presenti, mobili e particolarmente impegnativi nel contesto italiano. Molte delle “questioni” messe in campo nella contemporaneità, molti dei termini che cercano di scansionare la complessità dei programmi di rigenerazione, le nuove tendenze e le parole d’ordine che si affollano al suo interno richiedono di essere descritte e interpretate nel confronto diretto con il campo di indagine e, si spera, di progettazione e intervento. E ciò in rapporto sia alla città densa che alle varianti introdotte negli ultimi decenni con la dispersione territoriale (Fregolent) di tanti investimenti immobiliari (non già di sub-urbanizzazioni a bassa densità, che è questione affatto diversa). Roma è soggetto e sfondo ideale per chi affronta con passione ed etica il tema della rigenerazione urbana, ma è anche, per molti aspetti, un contesto disperante. I numerosi saggi che ne trattano ricostruiscono, anzitutto, le diverse stagioni della costruzione dei quartieri romani e le ipotesi progettuali che hanno portato alla loro configurazione (Carfagna). Sono portatori, poi, di preziose descrizioni-interpretazioni di fatti essenziali della vita e della sostanza civile dei quartieri periferici e danno conto, infine, dell’impegno progettuale e, talvolta, dell’azione diretta, di cui il gruppo di ricerca si è fatto carico per avviare processi locali di riqualificazionerigenerazione dei contesti. Nel concentrare lo sguardo sui singoli quartieri e facendosi carico delle situazioni che si presentano, diverse a seconda dei luoghi, della loro storia, della collocazione spaziale, dei gruppi sociali protagonisti… si mettono in campo varietà di obiettivi, competenze e tecniche ben radicate nei più aggiornati riferimenti disciplinari e sperimentali. Oggetto delle riflessioni sono, soprattutto, lo spazio pubblico e gli spazi aperti, ma con approcci che contengono molti elementi di novità ed esplorano criticamente ogni risorsa suscettibile di rivalutazione (Lambertini), privilegiando l’intelligenza del progetto, la sobrietà degli investimenti, il coinvolgimento dei soggetti-abitanti interessati. Aggiungere qualità, non estrarre ma produrre valore, non solo perché siamo in tempo di crisi (D’Agostino), ma perché così chiedono i nuovi orizzonti dell’etica urbana e della sostenibilità. Le suggestioni e i risultati annunciati sono stimolanti; un inizio, certo, fra molte e consapevoli difficoltà, ma molti sentieri sono tracciati. Vi è, tuttavia, un aspetto che va meglio chiarito fin dalle premesse, per aiutare il futuro della ricerca; riguarda il valore relativo dei quartieri pubblici (tutti:
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dall’EUR, alla Garbatella, a Tor Bella Monaca…) nel contesto della capitale. In una mia recente esperienza, nel peregrinare nelle espansioni romane, sia lungo alcuni itinerari programmati che seguendone altri più erratici e di scoperta, pur scontando il fatto che la complessità delle espansioni urbane – nella loro stratificazione temporale e tipologica, nella composizione sociale e nelle storie specifiche delle comunità che le abitano e le animano – è difficile da catturare nella sua essenza profonda, mi sono formato la convinzione che i problemi della città si manifestino assai più nella “città privata” che in quella “pubblica”. Molti dei quartieri costruiti dalla mano pubblica sono assediati da contesti gravemente degradati, dalle lottizzazioni senza progetto che costituiscono una parte rilevante del paesaggio urbano romano (dentro e fuori il GRA). Ma un degrado, se possibile ancora più profondo riguarda il “paesaggio” più stratificato e pesantemente strutturato costituito dalle vie consolari che dalla cerchia delle mura aureliane ci conducono verso le periferie. Inevitabile per tutti immergersi in quelle realtà e percepire continuamente la loro visione. Qui il degrado è consolidato e riguarda ogni componente del paesaggio urbano. Nessuno, d’altra parte, sembra interessato a combatterlo e, forse, l’assuefazione è così radicata in tutti da non consentire nemmeno di percepirlo. Il queste condizioni appare semplicemente invincibile. I contesti pubblici progettati, non finiti, trascurati quando non abbandonati ammettono, invece, ipotesi di rilettura e promettono margini di qualità latente, da disvelare o costruire, come testimoniano i lavori del LUS. I quartieri popolari attualmente sono, dunque, il solo campo in cui appare possibile esercitarsi nell’etica urbana, investendo in processi di riqualificazione, nel rispetto per le persone, nella sperimentazione finalizzata alla sostenibilità sociale e ambientale. Ma questa è una amara constatazione perché è del tutto evidente che la questione centrale della rigenerazione urbana riguarda Roma come città, metropoli e, sia detto senza alcuna retorica, capitale. La straordinaria bellezza della sua parte storica fa da schermo alla sconfitta della sua storia recente. Se questa è la vera delimitazione del tema, possiamo ricondurre il pensiero ai nostri ragionamenti iniziali e chiederci se ci saranno, in un futuro prossimo, le condizioni per concepire una ”idea di città” su cui mettere in campo risorse, strumenti amministrativi e tecnici, intelligenza ed etica all’altezza dei compiti. Per ora non vi sono referenti cui porre questioni, non c’è più cultura tecnica e organizzativa strutturata per durare e rispondere alla cittadinanza, oltre la contingenza degli eventi politici locali. La città è “eterna”, ma la sua organizzazione è programmaticamente volatile e precaria. Per cominciare a orientarci deve essere fatto tesoro, allora, delle valuta-
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zioni comparative rispetto ai paesi in cui la cultura della città è un bene condiviso e durevole e, per i cittadini, spartiacque della propria idea di civiltà e della propria dignità e immagine. Il gruppo di ricerca mostra di avere ben chiaro il problema. Nel proporci esempi francesi e tedeschi con cui confrontarci chiede, implicitamente, di riflettere non solo sulla distanza che separa la politica della città in quei contesti rispetto alla nostra, ma anche sulle diverse priorità, suggestioni, tecniche e stili di approccio di quelle culture. Nel parlare di Lyon (Palazzo), della sua agglomération (57 comuni, fin dal 1969) a pianificazione unitaria (SCOT) e del continuo ragionare ed agire sulla politique de la Ville, nel densissimo intreccio fra risorse e programmi nazionali e governo locale fin dal 1977, riconosciamo appieno la tradizione dell’approccio francese; razionale e fortemente strutturato con leggi, agenzie, strumenti, risorse finalizzate, progetti e, soprattutto, continuità. Ne ammiriamo, una volta di più, la capacità di rivedere gli obiettivi e rinnovare modelli organizzativi, in ragione dell’apparire di nuove questioni e della valutazione dei risultati di azioni precedenti. Si impara dall’esperienza e non si desiste mai dalla assunzione di responsabilità da parte della amministrazione pubblica nei confronti della intera città e della comunità urbana, per quanto siano acuti i conflitti e parziali i successi. Il contesto tedesco è altrettanto denso di suggestioni, ancor più venate di modernità, soprattutto quando lo Stato e le comunità urbane affrontano la revisione profonda del lascito pesante della ex Germania est sul territorio. Il caso di Halle (Olivetti), scelto fra molti altri in attuazione, testimonia della forza della “idea di città” quando è presa in pugno dalla popolazione, fin dal 1989, e dalla visione pervasiva che, partendo da programmi dedicati alla rigenerazione dei quartieri pubblici, coinvolge tutto l’organismo urbano entro idee-guida forti e condivise. Fa qui irruzione il rapporto del costruito con gli spazi aperti urbani, il territorio e la natura, riferimento dominante nei programmi tedeschi; la natura è qui intesa come protagonista del riscatto da un passato autoritario e, in ogni senso, inquinante; è salvifica nella rigenerazione profonda dei luoghi e delle stesse persone. Anche qui i Governi Federali (tutti quelli che si sono succeduti dalla caduta del muro di Berlino ad oggi) condividono decisioni drastiche sul regime dei suoli, allocano risorse ingenti e operano con autorevolezza a sostegno dei progetti e delle politiche locali. Il consuntivo di circa 20 anni di azione less is future, sulle 19 città del land della Bassa Sassonia, cui appartiene anche Halle, registra “immensi effetti”, come affermano gli osservatori. Nella cultura tedesca, peraltro, vi è già una città di riferimento in cui questi temi e questi approcci trovano la espressione più alta e strutturata, Berlino, città capitale e città-stato del Bund.
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È difficile non emozionarsi al racconto (Mamoli) delle vicende di cui questa città è stata testimone e al modo in cui, pur attraversando temperie tragiche e catastrofiche, non ha interrotto un dialogo con la propria consistenza, carattere e immagine, presenti fin da quando la città ha assunto i caratteri della modernità. Anche in questo caso tra i caratteri fondamentali della “idea di città” che la cultura berlinese ha elaborato, vi è il rapporto fra costruito e spazi aperti, a tutte le scale e, soprattutto, la liquefazione dei confini fra urbano e rurale, nelle due direzioni internoesterno rispetto a questi due spazi. La genesi e le tappe della costruzione del paesaggio berlinese si snodano lungo tutto l’ultimo secolo, in modo esplicito e vivacemente discusso con concorsi (1910), piani (1929) e tante realizzazioni che non conoscono contraddizioni, ma solo dialettica tra interpretazioni di quella idea, per arricchirla e renderla più aderente ai desideri, ai bisogni e ai sogni dei berlinesi. Le vicende politiche, i cicli amministrativi rallentano o mettono in pausa il disegno generale, ma qui la cultura della città ha saputo inglobare come risorsa, coerente con quel lontano progetto, anche le vicende più umilianti della sua storia recente, con la divisione in settori e il sanguinoso confine fra i blocchi est e ovest. Dai terreni vacui e minati interposti, ha tratto ancora occasioni per completare, su grande scala, il paesaggio urbano aperto agli spazi rurali, ai parchi, alle risorse naturalistiche, alle acque, alle peculiarità geomorfologiche. Accanto, e a integrazione di questa impostazione, vi è tutta una visione “ecologica” della macchina urbana, esemplare e studiata per la sua organizzazione ed efficienza; anche qui, come in tutte le città tedesche, tutto si svolge in un quadro di forte regolamentazione del regime dei suoli destinati allo sviluppo, regime ispirato alla lex Adikes, il borgomastro di Francoforte che nel 1888 sperimentò un diverso modo di concepire il bene comune nella costruzione della città. Renaturierung, dunque, di cui parla come obiettivo e innesto per progetti virtuosi anche la ricerca LUS. Forse si può rinnovare il viaggio di Geddes, esattamente cent’anni dopo, per riapprendere lezioni importanti per il futuro. Né dimenticheremmo, in tal caso, la grande tradizione olandese e quella scandinava, che continuamente rinnovano l’impegno per la centralità della città e delle politiche urbane, così importanti nella storia dell’urbanistica europea. L’Italia è lontanissima da questi scenari. Non abbiamo ancora deciso se partecipare al grande movimento europeo che ha definito le principali forze che guidano, nelle ipotesi più avanzate oggi in discussione, la progettazione urbana: il cambiamento climatico; la cittadinanza attiva che disegna il futuro della città; la biodiversità; la città carbon-free; la responsabilità urbana (Longhi). Tutte componenti integrate, che vanno viste
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nelle loro implicazioni per quanto riguarda il coinvolgimento di nuovi saperi, le nuove pratiche e il radicale cambiamento di ruoli e di stile nella progettazione e amministrazione dello spazio. Ma, per non infierire oltre nei confronti, de hoc satis come direbbero i romani. La città pubblica, dunque, riemerge per necessità e per scelta, nel contesto italiano, come campo elettivo su cui investire energie e competenze, anche per provocare quanto più intensamente possibile un nuovo interesse per la città. Per questo, oltre al contesto romano, la ricerca LUS esplora altre reti urbane e territoriali e segnatamente quelle del nord-est in cui più città, comparabili per dimensione, consolidano un sistema metropolitano pluripolare, che poggia su intensi rapporti e produce, nei territori intermedi, processi accentuati di decentramento di strutture e funzioni. Un gruppo di ricerca dedicato ha elaborato interpretazioni dei processi e ipotesi di lavoro, ancorate a una solida tradizione di ricerca (Marin). L’obiettivo è quello di definire un ruolo significativo per i quartieri pubblici del dopoguerra, in rapporto e riferimento, ciascuno, al contesto urbano di appartenenza. Sono qui riconosciuti approcci diversi relativi all’inserimento nelle città medie: alcuni quartieri hanno grande dimensione e forte autonomia formale, altri, invece, dimensione più contenuta e linguaggi più sommessi (De Matteis). Alla prova del tempo, gli esiti sono diversi e i progetti di riqualificazione debbono tenerne conto, fermo restando che la città ha tempi propri per interpretare, adattare, trasformare parti del suo tessuto, ritessere relazioni e scrivere le proprie storie (Munarin). Questo tempo, nella maggior parte dei casi, a Roma come nel nord-est, non è del tutto trascorso e mettere in campo idee e progetti per catalizzare processi virtuosi di riqualificazione dei singoli contesti e di rigenerazione a scala urbana più ampia, appare tempestiva e promettente. Naturalmente non sono affatto chiare, per quanto attiene il contesto italiano, quali siano le condizioni al contorno per il successo di un proposito come questo; quali gli interlocutori seri e perseveranti nelle istituzioni, quali le risorse, quali i modi per sciogliere nodi e conflitti paralizzanti nel rapporto fra mercato immobiliare e ricerca del bene comune (Stanghellini), o come prendere posizione convinta in rapporto ai modelli di urbanizzazione e ai processi di densificazione o dispersione (Micelli). Eppure il quadro generale che il primo, importante step della ricerca LUS ci propone, ci lascia intravvedere tutti i vantaggi di un intervento deciso sul patrimonio pubblico, da troppo tempo trascurato e lasciato ai margini di un serio ragionamento sullo sviluppo. Ora il lessico relativo alla rigenerazione urbana è ben strutturato, gli obiettivi generali, molti dei temi di progetto e molte delle tecniche sono definiti, i processi sociali e i prota-
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gonisti, che debbono prendersi cura delle strategie di intervento, sono individuati (De Matteis, Faraone). Riprendendo il filo del discorso antico, quello del respiro nazionale dei grandi programmi pubblici del dopoguerra, si può nuovamente diffondere su tutto lo spazio italiano la discussione sulla città e sul suo ruolo nello sviluppo competitivo. Non è un fine in sé, è una strategia per rifondare e dare forza ai nuovi miti della sostenibilità sociale e ambientale e promuoverne la concreta realizzazione, per dare una decisa spinta alla innovazione in tutti i campi, per riportarci autorevolmente dentro il dibattito internazionale e valorizzare anche per questa via le risorse, per molti versi ineguagliabili, del territorio italiano. Nella seconda fase della ricerca alcune di queste provocazioni virtuose dovranno, a mio avviso, trovare spazio.
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Introduzione
INTRODUZIONE Milena De Matteis, Alessandra Marin
Questo libro presenta in modo organico una prima parte degli esiti della ricerca nazionale Living Urban Scape – Abitare lo spazio urbano (LUS)1, svolta nell’ambito di un progetto FIRB da un gruppo di “giovani ricercatori”, collocandoli all’interno di un più vasto dialogo sui temi della rigenerazione delle periferie e della sostenibilità in ambito urbanistico. L’attenzione viene rivolta a uno degli argomenti che secondo molti saranno in grado di condizionare in modo rilevante il futuro delle città in Italia e in Europa, ovvero a quegli spazi della città del secondo Novecento – le periferie residenziali pubbliche – che una ormai consistente letteratura ha individuato come luoghi dove è possibile, e ancorpiù necessario, sperimentare percorsi di progetto ispirati sia alla riqualificazione, sia alla rigenerazione urbana. La rigenerazione urbana sostenibile è da tempo al centro di varie politiche europee e nazionali, rinnovando continuamente, attraverso indirizzi e orientamenti sempre più precisi ed efficaci, una consapevolezza ecologica, ambientale e sociale che già dagli anni Ottanta è ampiamente condivisa, ma risulta spesso al contempo (e specie in Italia) disattesa, alla prova dei fatti. Per favorire lo sviluppo di percorsi di rigenerazione urbana la ricerca LUS si concentra, con un approccio di tipo sperimentale, su uno specifico “oggetto” d’indagine, quella parte della “città pubblica” (Di Biagi, 1986) italiana costruita nelle periferie urbane tra gli anni ’60 ed ’80 del secolo scorso, al termine della straordinaria spinta propulsiva data alla ricostruzione e alla riconversione industriale del Paese da azioni mirate a costruire quartieri pubblici come il Piano INA-Casa, e lungo la rilevante e contraddittoria stagione contrassegnata dalla Gescal e dalla legge 167/1962. Sono proprio queste le parti di “città pubblica” nelle quali appare oggi più forte la necessità di intervento, e dove meglio può prendere corpo l’idea che migliorare la vivibilità delle periferie residenziali (pubbliche e non) costituisce una delle grandi sfide della società contemporanea, un nodo chiave nella definizione delle politiche sulla sostenibilità urbana delineate a livello internazionale. Gli indirizzi recenti, i temi e gli approcci da seguire in materia di sostenibilità e rigenerazione urbana sono oggi sintetizzati a livello europeo in diverse dichiarazioni sottoscritte dagli Stati Membri. Si fa riferimento ad esempio alla Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili del 2007,
1. Il titolo originario del progetto di ricerca Firb 2008, finanziato dal Miur ai dottori di ricerca Milena De Matteis con l’Università Iuav di Venezia, e Maria Livia Olivetti con l’università di Roma Tre, è: “La riconfigurazione degli spazi aperti, la densificazione e i sistemi naturali come strumenti per la riqualificazione delle periferie residenziali. Valutazioni, strategie e best practices per migliorare la qualità dell’abitare negli insediamenti”. Per maggiori informazioni sui gruppi di ricerca, si veda l’introduzione alla seconda parte del libro.
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seguita dalla Dichiarazione di Toledo del 2010, le cui indicazioni perseguono principalmente gli obiettivi della coesione sociale e della sostenibilità ambientale. Si tiene inoltre in considerazione anche la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, dove il concetto di paesaggio supera ogni limitazione ad aspetti estetici o testimoniali, per divenire un termine articolato, che in primo luogo è il risultato dell’agire di una cultura (Nogué, 2010), ed è riconosciuto quale «componente essenziale dell’ambiente di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro patrimonio comune culturale e naturale, e fondamento della loro identità» (art. 5). A partire dal testo della Convenzione anche le periferie urbane debbono essere riconosciute come «paesaggi della vita quotidiana» (anche se spesso “degradati”) e quindi possibile campo di applicazione di politiche e azioni di salvaguardia, ma soprattutto di gestione e pianificazione del paesaggio urbano, finalizzate a un suo reale percorso di miglioramento. La scelta della “città pubblica” del trentennio ’60-’80 come oggetto principale d’indagine della ricerca LUS è dovuta alle peculiarità presentate da queste parti urbane, spesso molto estese e significative nello sviluppo dei diversi contesti urbani. Tra i fattori che hanno condizionato tale scelta vi sono le configurazioni insediative ampie e dilatate frutto della normativa urbanistica e dell’interpretazione (spesso poco adeguata) delle idee del Movimento Moderno; il posizionamento originario ai margini delle città, e il loro “ritorno al centro” causato dalle successive espansioni urbane; le numerose problematiche e situazioni di degrado fisico e sociale, riscontrabili sia nelle grandi città, sia negli interventi residenziali pubblici realizzati in provincia. La ricerca è caratterizzata dall’obiettivo di apportare un ulteriore contributo alla conoscenza dei fenomeni complessi oggi riscontrabili in tali contesti, nonché di individuare possibili scenari d’azione e strategie di progetto per consentire la rigenerazione urbana, migliorare la qualità dello spazio fisico e favorire lo sviluppo di un più adeguato assetto sociale, economico e ambientale dei contesti studiati e delle città di cui sono parte integrante e, crediamo, qualificante. La ricerca LUS ha voluto considerare principalmente due elementi, come possibili punti di partenza e strumenti di intervento sui disagi presenti nei quartieri. Il primo “atout” della rigenerazione è stato individuato nell’attuale disponibilità nelle periferie pubbliche di spazi aperti liberi e trasformabili. Spazi risultanti a volte dal sovradimensionamento dei piani di zona, o dall’incompleta realizzazione dei servizi di quartiere, o infine dall’abbandono e conseguente degrado di aree, anche molto ampie, destinate a servizi pubblici anche di scala urbana, lasciti spesso ascrivibili a una interpretazione meramente quantitativa degli standard urbanistici. Aree che sono spesso ancora spazi seminaturali, residuali e incolti, a volte
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Introduzione
rifugio di biodiversità, ma più di sovente semplici “spazi indecisi” (Clément, 2005), che assumono un ruolo importante all’interno di una città in continua espansione e trasformazione, dove la messa a sistema di questi ambiti in più vaste reti e corridoi di naturalità può consentire il ripristino di un “nuovo” equilibrio tra spazi aperti e costruiti. I quartieri pubblici, con i loro spazi aperti residuali e le loro densità, quasi sempre diverse da quelle della città privata, possono porsi infatti come risorse per la definizione di nuovi modelli di qualità urbana e dell’abitare: fungendo di volta in volta da tramite tra città e campagne urbane (Donadieu, 2006), da luogo dove sperimentare forme e modi di abitare innovativi (Garofalo, 2008), da centri di riferimento per un territorio urbanizzato privo di occasioni, servizi di prossimità, opportunità di scambi e stimoli alla creatività (Carta, 2008). La seconda risorsa per la rigenerazione urbana che la ricerca ha inteso indagare è quella sociale, o più precisamente la capacità di produrre innovazione delle comunità insediate o di coloro che una nuova azione di progetto sulla città pubblica può richiamare a dare un contributo alle trasformazioni urbane. Investire sulla messa in gioco delle energie sociali (Cecchini, 2007) appare una scelta particolarmente adeguata quando il principale campo d’azione (e in alcuni casi anche la più rilevante “posta in gioco”) è lo spazio pubblico, il sistema di luoghi d’aggregazione che, come già detto, nei quartieri residenziali pubblici è spesso incompleto o addirittura irrealizzato, e comunque per lo più inadeguato sia ai bisogni reali degli abitanti, sia a fungere da spazio di integrazione e vitalità del quartiere. La ricerca ha proposto una reinterpretazione di questo “spazio pubblico” come “spazio sociale”, sul quale intervenire valorizzando – soprattutto attraverso le opportune pratiche partecipative – sia le esistenti pratiche d’uso spontanee ed abitudini quotidiane, sviluppate e sedimentate negli anni, sia percorsi di inserimento di nuovi attori ed esperienze più varie di attivazione “dal basso” dello spazio pubblico, che diviene così bene comune e risorsa da condividere tra abitanti e nuovi attori sociali. L’articolazione di questo volume rispecchia l’idea di proporre utili confronti tra risposte già individuate e risposte in via di formazione. Da un lato, si è ricomposto lo stato dell’arte relativo ad alcune ricerche su periferie pubbliche, paesaggi urbani e strumenti per la rigenerazione della città, mentre, dall’altro, si è posta una prima sintesi degli esiti finora raggiunti dalla ricerca LUS. La prima parte affida quindi alla voce di esperti e docenti universitari la composizione di un quadro volto a raffigurare un complesso scenario di riferimento, suggerendo e descrivendo plurimi approcci, strategie, strumenti di intervento. È organizzata in tre blocchi, articolati per campi d’indagine e questioni fondative, che sono stati così definiti:
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• Indirizzi e strategie di progetto. Quali opportunità di riqualificazione presentano oggi le periferie pubbliche? Quali sono le problematiche da affrontare negli insediamenti residenziali oggetto di studio, quali le strategie condivise oggi riconoscibili? Come si può rigenerare il concetto stesso di “spazio pubblico” e perseguire la sostenibilità degli interventi? • Paesaggi urbani e progetti in equilibrio. Quale rilevanza attribuire agli spazi di naturalità nel rapporto tra l’abitazione ed il paesaggio urbano? Che rilievo hanno questi spazi per il benessere psicofisico dell’uomo? Quali interpretazioni possono essere date delle, spesso diverse, condizioni e culture abitative nelle periferie? • Strumenti e scenari di fattibilità. Quali strategie, processi ed economie possono guidare progetti di rinnovo fattibili ed efficaci? Quali sono i principali soggetti interessati ad intervenire nei processi di rigenerazione urbana, e con quali possibili motivazioni? Come arrivare ad una durevole sostenibilità socio-economica? La seconda parte mette in luce alcuni caratteri e i primi risultati del lavoro di ricerca, concentrandosi in particolare su due aspetti: le peculiarità dei diversi territori d’indagine e le differenze d’approccio alle varie tipologie di “città pubbliche” locali; di seguito, un quadro di riferimento critico che individua dei possibili “materiali” di lavoro (e percorsi di senso) nell’ottica della rigenerazione di quartieri e spazi aperti. Innanzitutto quindi, una specifica bilocazione dello sguardo sui due diversi contesti territoriali indagati nelle unità di ricerca, che offrono distinti scenari paradigmatici della città pubblica: • Roma, una grande area metropolitana con estesi insediamenti pubblici caratterizzati da realtà abitative spesso assai problematiche; • il territorio del Nord-Est, dove l’intervento residenziale pubblico si sviluppa in città medio-piccole e ambiti della città diffusa, con episodi di dimensioni più contenute e minori criticità. In questo blocco di testi, il progetto di ricerca LUS presenta il suo carattere applicativo: per concretizzare l’indagine sullo spazio trasformabile nella città pubblica, è infatti necessario riferirsi a contesti territoriali definiti, con un metodo di lavoro induttivo basato sulla sperimentazione diretta dei processi in alcuni casi studio (esperienze ancora in corso, che verranno testimoniate dalle future pubblicazioni prodotte dalla ricerca). Nell’ultima parte del libro, il gruppo di lavoro definisce quindi un possibile quadro di riferimento critico, teorico ed applicativo e ne trae dei primi esiti attraverso l’individuazione di specifici “materiali per la rigenerazione”, individuati dalla ricerca LUS e da ricerche a essa parallele. Un’esplorazione a livello europeo ed italiano, di politiche, progetti e pratiche di rigenerazione di insediamenti e spazi aperti, di loro nuovi usi, significati e metodi di lettura. Infine, ponendo a confronto la survey sulle esperienze italiane ed euro-
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Introduzione
pee e le prime riflessioni sulle due città pubbliche oggetto di esame, si è inteso organizzare, come step intermedio di ricerca, alcuni esiti del lavoro in un iniziale paradigma di possibili “buone pratiche” e strategie ricorrenti nella rigenerazione degli insediamenti, secondo l’ottica adottata dall’ipotesi di ricerca. Riferimenti bibliografici Carta M. (2008), Creative City. Dynamics, Innovations, Actions, List, Barcelona. Cecchini A. (a cura di) (2007), Al centro le periferie. Il ruolo degli spazi pubblici e dell’attivazione delle energie sociali in un’esperienza didattica per la riqualificazione urbana, Franco Angeli, Milano. Clément G. (2005), Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata. Di Biagi P. (1986), “La costruzione della città pubblica”, Urbanistica, n. 85, pp. 6-25. Donadieu P. (2006), Campagne urbane. Una nuova proposta di paesaggio della città, Donzelli, Roma. Garofalo F. (a cura di) (2008), L’Italia cerca casa. Housing Italy, Electa, Milano. Nogué J. (2010), Altri paesaggi, Franco Angeli, Milano.
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Nuove qualitĂ del vivere in periferia a cura di Milena De Matteis e Alessandra Marin pp. 256 - Euro 25,00 ISBN 978-88-96386-30-9 formato 17x24 cm
PARTE PRIMA INDIRIZZI E STRATEGIE PER LA RIQUALIFICAZIONE URBANA IL PROGETTO IN EQUILIBRIO: SOSTENIBILITÀ NEL PAESAGGIO URBANO STRUMENTI, ECONOMIE E SCENARI DI FATTIBILITÀ
Parte Prima – Un terreno fertile
UN TERRENO FERTILE Alessandra Marin
Tutti gli spazi, costruiti e aperti, intimi e comuni, dell’edilizia residenziale pubblica si sono dimostrati per più di un secolo (e non solo nel nostro paese) un terreno fertile per molti aspetti: per affinare il progetto urbano come percorso di miglioramento della qualità dello spazio abitabile e per promuovere il progresso sociale, per sperimentare la costruzione di strumenti urbanistici efficaci e per tentare di definire migliori modelli abitativi, per favorire l’innovazione nella produzione edilizia e dare impulso a percorsi di rigenerazione urbana. Questo testo, prima di dare la parola a coloro che abbiamo invitato a raccontarci le proprie esperienze di studio, di ricerca e di azione sul tema dell’edilizia residenziale pubblica, intende seguire – in modo forzatamente episodico e fortemente interpretativo – alcune tracce lasciate nel tempo in Italia su questo terreno da differenti protagonisti, tracce che siano utili a delineare le ragioni di un percorso, intrapreso e da proseguire, di lavoro sugli spazi della “città pubblica” (Di Biagi, 1986). «Un organismo nuovo, proprio della nostra civiltà contemporanea, è andato formandosi da un secolo a questa parte, per acquistare fisionomia ben definita con caratteri preminenti: l’abitazione collettiva di tipo popolare», un nuovo modo di soddisfare i bisogni abitativi che «non ha valore come unità, ma come cellula facente parte di un organismo collettivo più complesso» (Samonà, 1935, p. 5). Giuseppe Samonà parte proprio da queste parole, nella sua lettura delle esperienze europee di progettazione e realizzazione di edilizia popolare, puntando l’attenzione sulla dicotomia individuale/collettivo, sulla stretta relazione tra un’idea organica di abitazione e una coerente idea organica di città, sulla modernità del concetto di abitazione collettiva come risposta adeguata ai bisogni della popolazione e a quelli di risanamento delle città travolte dall’urbanesimo. «Decongestionare la città, migliorandone l’abitabilità, per diminuire il malessere delle classi meno abbienti» (ivi, p. 7) sono i compiti affidati a questo organismo, e «aria, luce, spazio, sono i tre fattori che oggi ogni cittadino cerca come principi igienici» (ivi, p. 9) che segnano la strada per giungere a una condizione abitativa migliore. Quello che Samonà, illustrando brevemente il percorso fatto dalla legislazione e dalle realizzazioni in Italia dal 19031, definisce come il «problema
1. La data è quella della cosiddetta legge Luzzatti, n. 254 del 31 maggio 1903, sulle case popolari, che individua facilitazioni creditizie e fiscali e norme per la loro costruzione, istituendo una nuova figura di ente pubblico deputato, insieme ai Comuni e ad altri enti riconosciuti dallo Stato (la cui azione non sarà però, se non localmente, di forte impatto), ad occuparsi della realizzazione di alloggi per il popolo, l’Istituto autonomo per le case popolari.
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Nuove qualità del vivere in periferia
2. Si fa qui riferimento soprattutto ai due Congressi Internazionali di Architettura Moderna svoltisi a Francoforte nel 1929 e a Bruxelles nel 1930, dedicati rispettivamente all’abitazione e al quartiere razionale. 3. Ogni Congresso era infatti affiancato da mostre che riportavano i materiali prodotti dai gruppi di lavoro nazionali. 4. Le legende elaborate per la redazione delle tavole del IV CIAM, dedicato alla “città funzionale”, parlano ancora di quartieri per la classe lavoratrice, quella media, quella di lusso; e dalla denominazione prescelta (ad esempio, in inglese, district anziché il pur recente neighborhood, che sarebbe stato termine più evocativo di una comunità e di uno spazio ad essa adeguato, anziché di una porzione fisica di territorio) si evince la ancora incompleta capacità di immaginare il quartiere come parte di città complessa. Sul IV CIAM e la sua traduzione nella Charte d’Athénes (Di Biagi, 1998).
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degli alloggi popolari» è in realtà una delle più efficaci risposte al problema del “male città” che amministratori e progettisti abbiano saputo elaborare. Le condizioni economiche, climatiche, i bisogni prevalenti manifestati dalle popolazioni sono in questo momento storico i fattori con i quali il progetto dell’alloggio popolare intende confrontarsi. Ma il potenziale contributo di questi insediamenti nel modificare la forma e la struttura della città viene da subito ben compreso, specialmente dall’architettura razionale e funzionale. Ed è proprio nelle esperienze e proposte presentate ai CIAM2 che avviene il passaggio dall’attenzione per la casa economica (o popolare) come organismo a quello per l’organismo urbano, attraverso la definizione dei tipi insediativi e della loro aggregazione all’interno di una “lottizzazione razionale”, che nei casi concreti illustrati3 è in gran parte composta di alloggi economici di iniziativa pubblica (Aymonino, 1971). Il passo dall’aggregazione di edifici abitativi, le case operaie o per il popolo derivanti dalle concezioni filantropiche del secolo precedente, al quartiere popolare negli anni trenta è compiuto, anche se il concetto di quartiere appare, anche nelle forme della rappresentazione utilizzate dai CIAM stessi4, spesso ancora legato alle differenze di ceto degli abitanti più che all’organicità dei rapporti interni e con la città cui appartiene. Riconoscere l’articolazione del quartiere come elemento di qualità nella sua progettazione è carattere peculiare e preponderante delle esperienze della ricostruzione post-bellica, che partono da un’idea di autonomia (e di adeguata dotazione di servizi alla residenza) per arrivare a quella di autosufficienza. In questa accezione, l’idea di quartiere viene declinata, in Italia, attraverso due modelli: uno razionalista, che rielabora i principi insediativi della “città funzionale” e i “modelli” tedeschi, olandesi, ecc., adattandoli a situazioni nostrane e uno più improntato all’utilizzo di modelli organici, inglesi, americani o scandinavi; quartieri nei quali applicare i concetti di unità di vicinato, «un vicinato coerente, dotato di tutti i servizi a livello locale, a una distanza camminabile dalle abitazioni» (Mumford, 1954), o le idee promosse dalla neonata Associazione per l’architettura organica. Lo strumento per la realizzazione dei quartieri è quello messo a disposizione da leggi e fondi destinati alla «grande ricostruzione»5, e in specialmodo dalla cosiddetta legge Fanfani, che istituisce l’INA-Casa. Tra il 1949 e il 1963, i più di 350.000 alloggi realizzati dal piano (Acocella, 1980) si concretizzano in interventi a diverse scale, e costituiscono il più grande intervento pubblico nel settore dell’edilizia residenziale dal secondo dopoguerra ad oggi. Vista da subito, pur con qualche riserva, come una potenziale occasione di riscatto dalle deludenti esperienze della ricostruzione italiana (Di Biagi, 2001), l’esperienza dell’INA Casa fonda il suo successo proprio sulla
Parte Prima – Un terreno fertile
sperimentazione dell’idea di quartiere organico e autosufficiente, la cui qualità progettuale ed edilizia è garantita dalla mobilitazione dei migliori progettisti attraverso i concorsi nazionali e locali per l’affidamento degli incarichi, e dalle indicazioni progettuali studiate e pubblicate nei fascicoli “guida” alla progettazione pubblicati dal Piano incremento occupazione operaia. Case per lavoratori (Gabellini, 2001). «E un nucleo, un quartiere, un’unità residenziale autonoma sono qualcosa di più, o meglio molto di più, della semplice somma dei singoli addendi: essi sono unità sociali, nelle quali la vita individuale, di famiglia e associata si può svolgere con minori costrizioni, minor peso, più libertà e più ricchezza che non nell’indistinto agglomerato urbano» (Astengo, 1951, p. 9). In questi quartieri, pensati non «per una sola classe di persone, ma per una comunità completa» (ivi, p. 12) si immagina che vengano applicati i concetti fondanti di una buona urbanistica per i quartieri residenziali pubblici, che venga mantenuta la loro autonomia dal tessuto urbano “anonimo” e che siano realizzati i servizi di prossimità e l’assistenza sociale necessaria alla nuova comunità. La mancata realizzazione di parte di queste raccomandazioni6 e la cattiva interpretazione di altre – ad esempio l’idea di isolamento tramite green belts trasformata in un isolamento dovuto alla necessità di costruire su terreni a basso costo, e non infrastrutturati – non impediscono che, osservati con sguardo contemporaneo, questi quartieri, raggiunti e superati dall’espansione urbana e spesso oggi nuove (o potenziali) centralità, costituiscano un esempio rilevante dell’applicazione di buone pratiche nella costruzione dell’offerta abitativa pubblica e un terreno fertile (e perciò più volte praticato) per i processi di riqualificazione e/o rigenerazione urbana. L’esperienza condotta dal Comitato per il coordinamento dell’edilizia popolare attraverso la progettazione di 27 quartieri di grandi dimensioni, i cosiddetti CEP, che vedessero coordinarsi le attività dei maggiori enti costruttori di case popolari (INA-Casa, INCIS, IACP, UNRRA CASAS) inizia a dare forma a nuove speranze, e alla concreta applicazione dell’idea che un quartiere di grande dimensione possa in modo più efficace realizzare un “effetto città”: i CEP avrebbero dovuto essere «quartieri suscettibili di vita autonoma, cioè formazioni urbanistiche atte a soddisfare ogni esigenza materiale e spirituale dei propri abitanti e a cercare i presupporti per lo sviluppo di convivenze socialmente equilibrate e ricche di possibilità di rapporti umani» (Quaroni, 1960). Una sperimentazione che produce esiti interessanti, anche se spesso contraddittori, e che denuncia in modo particolare la difficoltà di coordinamento non solo e non tanto tra enti deputati a rispondere ai fabbisogni abitativi, quanto tra essi e le amministrazioni, tra essi e la politica, tra i percorsi dei quartieri pubblici e la restante attività di pianificazione urbanistica.
5. Questa definizione è mutuata da Giovanni Astengo, che nel 1945 descrive la ricostruzione come un’opera in due fasi, la piccola e la grande ricostruzione: «La grande ricostruzione è certo il fine ultimo verso cui tutti tendiamo ed è essa che ci permetterà, se risolta e attuata con un piano organico e graduale, di creare nuove e più serene condizioni di vita» (Astengo et al., 1945). 6. Si veda ad esempio l’amara (auto)critica di Quaroni all’attività del primo settennio INACasa: «così come nacquero i quartieri INA erano solo un ammasso di case, più o meno ordinate plasticamente, il sistema dei servizi non essendo stato ancora metodicamente preso in considerazione, e mancando allora qualsiasi spinta verso un più giustificato dimensionamento delle varie parti» (Quaroni, 1957, p. 7).
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Nuove qualità del vivere in periferia
A simili difficoltà vanno incontro anche i PEEP, avviati al termine dei due settenni INA-Casa insieme alla legge 167/1962 e alla nascita di un nuovo ente gestore delle risorse da investire in edilizia pubblica, la GESCAL. La disparità tra le strategie adottate dai vari Comuni nel dotarsi di Piani di zona per l’edilizia popolare è rilevante, in alcuni casi si seguono logiche frammentarie, in altri si individuano aree di ampie dimensioni; a volte si utilizza il piano in senso antispeculativo, altre si evita il confronto con gli interessi “forti” dei privati; si individua talvolta una corona di aree periferiche, talaltra si entra a realizzare la “città pubblica” nelle aree semicentrali e nei centri, andando ad intervenire – anche se solo a partire dagli anni settanta, con la legge 865/1971 – anche sul patrimonio edilizio esistente, oltre a realizzare nuove abitazioni. I quartieri pubblici continuano quindi a proporsi come figure della sperimentazione, inserendosi in comprensori storici da recuperare, disseminando la montante crescita della “città diffusa” con episodi non molto consistenti (ma in quel contesto significativi) di organizzazione dell’insediamento residenziale o sperimentando la realizzazione di parti unitarie di città formalmente compiute (Aymonino, 1977). Gli anni settanta e ottanta vedono il progressivo decentrarsi delle competenze e responsabilità, il moltiplicarsi delle opzioni di intervento, il crescente affievolirsi delle fonti di finanziamento, di contro al perdurare di un fabbisogno abitativo, che pure sta cambiando caratteri distintivi; cambiamento che spesso né il progetto urbanistico-localizzativo, né quello spaziale – che definisce lo spazio abitabile sia interno, sia esterno all’alloggio – sanno interpretare. Ma soprattutto in questi anni cambia l’idea di quartiere, e l’idea di città ad esso collegata, che da immagini chiare e unitarie come quelle prodotte negli anni cinquanta e in parte nei sessanta passa ad essere molteplice e spesso contraddittoria. Dalla “riduzione” – dimensionale e/o qualitativa – dei criteri compositivi di spazi aperti e costruiti elaborati per i quartieri razionali dal Movimento moderno, si passa alla affermazione del tipo edilizio come parte di morfologia urbana, che «intende mostrare la propria alterità rispetto alla periferia, qualsiasi periferia urbana, collegandosi idealmente a periodi storici precedenti nei quali l’architettura era città e viceversa» (Di Biagi, 1986, p. 16), dimostrando quasi ovunque indifferenza alla specificità dei luoghi in cui si inseriscono. Per giungere infine a praticare la dissoluzione dell’idea stessa di quartiere, in quei contesti nei quali l’autonomia e la riconoscibilità di questa parte urbana mal si sposa con le dimensioni dei centri e la loro bassa densità insediativa, e «l’impossibilità di fare riferimento all’idea di quartiere […] acquista la forma del permanere dell’idea di “casa per poveri” di ottocentesca memoria, oppure configura l’edilizia pubblica come semplice “attrezzatura”, una delle tante della città» (Cegan et. al., 1993, p. 186).
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Parte Prima – Un terreno fertile
Nel momento in cui si dissolve l’idea del quartiere come protagonista di un percorso di crescita, non solo quantitativa, della città, ed entrano in crisi le idee instauratrici dei grandi complessi abitativi pubblici, un’inversione di tendenza – legislativa, di qualità delle disponibilità economiche e di target d’intervento – investe la “città pubblica” italiana, in coerenza, anche se in parte ancora in ritardo rispetto ad esse, con le esperienze europee. Il terreno è pronto, come al termine di un ciclo vitale, ad accogliere lo sviluppo e i frutti di una nuova stagione. A partire dai primi anni novanta, i quartieri pubblici vengono investiti da una somma di interventi e percorsi di trasformazione, che si depositano sovente dove lo “spessore” del patrimonio costruito è maggiore e più rilevanti le problematiche sociali e il disagio abitativo; la loro osservazione testimonia l’affermarsi di diversi possibili atteggiamenti, a volte compresenti nelle strategie adottate dai vari attori pubblici, nei confronti del “patrimonio” da essi costituito, e che qui per brevità accorpo in tre famiglie: • la tutela del quartiere, considerato come patrimonio condiviso e luogo dell’identità di una comunità, e lo sviluppo della capacità di mettere in gioco i valori riconosciuti dai differenti attori delle trasformazioni urbane, in specialmodo dagli abitanti (Marin, 2009); • la densificazione7 dei suoi spazi, attraverso l’inserimento di nuove quantità edilizie, la diversificazione dei principi insediativi, l’aumento delle funzioni insediate, e specie dei servizi di prossimità, e della loro commistione alla residenza (Guida, Russo, 2009); • la sottrazione selettiva di quantità edilizie, con relativo reimpiego o meno delle volumetrie demolite, e la ridefinizione radicale di parte degli spazi esterni o di transizione del quartiere, finalizzate alla ricerca di una sua nuova adeguatezza alle mutate pratiche dell’abitare (Orsenigo, 2009). Tali strategie prendono forma in modi diversi, utilizzando per esplicitarsi strumenti plurimi, che appartengono quasi sempre all’esperienza della programmazione complessa; in relazione agli aspetti sui quali in particolare i progetti spaziali e le politiche ad essi correlate hanno insistito, è possibile inserire l’uno o l’altro di essi in un “filone” della stagione, aperta tra 1992 e 1994, dei “programmi complessi”: quello “urbanistico”, finalizzato all’innovazione di procedure e strumenti di governo della trasformazione; quello dello “sviluppo locale”, che ha implementato in particolare questo tipo di politiche; quello della “rigenerazione urbana”, particolarmente orientato all’integrazione sociale e allo sviluppo di comunità (Saccomanni, 2004; Franz, 2005). Passando dai Programmi di recupero urbano ai Contratti di quartiere, ai Programmi di interesse comunitario Urban, in vent’anni i quartieri pubblici sono stati luogo di proficua sperimentazione di percorsi di riquali-
7. Il tema della densità appare oggi come uno dei più rilevanti non solo per la “città pubblica”, ma in generale nel campo dell’housing: «La ricerca di sistemi abitativi più densi e condivisi rappresenta infatti una risposta ineludibile alla domanda pressante di alloggi a basso costo, di un uso più razionale dei suoli, di stili di vita sostenibili, di accoglienza e integrazione dei migranti» (Corbellini, 2012, p. 7).
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Nuove qualità del vivere in periferia
ficazione fisica, di rigenerazione socio-economica, di riconfigurazione della loro identità e dei rapporti con le città cui appartengono. Una notevole attività di ricerca si è sviluppata a partire dalla descrizione e valutazione di queste esperienze e dei loro esiti, portando ad un cambiamento anche dei modi di guardare ai quartieri pubblici (e spesso al resto del territorio abitato), indagando forme e modi d’uso di uno spazio abitabile esteso. Lo ha fatto attraverso itinerari e racconti «di cose e persone» che descrivono spazi e traiettorie di vita, ma generano anche «linee d’azione» formate da percorsi virtuosi già intrapresi e dalle loro possibili linee evolutive (Lanzani et al., 2008); componendo atlanti “eclettici” delle pratiche dell’abitare, dispositivi produttori di conoscenza che accostano descrizioni, lasciando al lettore la responsabilità di comparare e giudicare le diverse situazioni (Multiplicity, 2007); proponendo, con una forte motivazione a fondare le azioni di riqualificazione, indagini sulle forme e i modi d’uso dello spazio abitabile esteso, dall’alloggio agli spazi del quartiere, alla città8. Gli esiti migliori riguardano, a mio avviso, la valutazione delle politiche urbane e di alcune specifiche esperienze (tra gli altri, Pasqui, Valsecchi, 2002; Farinella, Ronconi, 2011) o la costruzione di linee d’orientamento e di indirizzi operativi basati sulle buone pratiche (LaboratorioCittàPubblica, 2009), ma se il senso della ricerca è quello di “apprendere dall’esperienza” e trasformare quanto appreso in un miglioramento dell’efficacia di progetti e processi, resta da fare dell’ulteriore strada.
8. Un percorso che individua estensione e spessore dello spazio domestico, concetto che travalica quello di alloggio, indagando come gli abitanti «si insediano, percepiscono e plasmano il proprio spazio abitabile, attribuendogli in questo modo nuovi significati» (Bruzzese, 2011). 9. Basti citare il lavoro svolto preliminarmente al bando dei concorsi Abitare a Milano 1 e 2 (2006-2007) dal gruppo coordinato da Francesco Infussi per il Politecnico di Milano.
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È certo possibile accompagnare, come confermano alcune recenti esperienze di successo9, enti locali ed amministrazioni nel costruire approcci adeguati al percorso di rigenerazione dei quartieri residenziali pubblici o delle parti di città che li includono; ma è anche, a mio avviso, necessario contribuire a un più vasto e diffuso innalzamento della qualità complessiva dell’intervento sul patrimonio abitativo, sia quello tuttora in mano pubblica, sia quello in parte privatizzato. Immaginare la costruzione di set di strumenti, indicazioni di programma, suggerimenti ai legislatori e agli amministratori locali, criteri guida per i tecnici e per i progettisti, in grado di estendere il beneficio del consolidato percorso di ricerca su questi temi ai diversi attori coinvolti in ogni, piccolo o grande, processo di questo genere. Avere la coerenza di “tornare” a più riprese sul luogo in cui l’azione di progetto o di accompagnamento si è depositata, per monitorarne effetti positivi e negatività, quando sia posta alla prova del tempo; prestando particolare attenzione, e qui esprimo un personale punto di vista, a come le attività di coinvolgimento dei cittadini siano state in grado di tradursi in sostegno all’urbanità ed educazione alla cittadinanza. La responsabilità di non depauperare la fertilità di questo suolo grava sulle spalle di molti, l’importante è assumerla in modo condiviso.
Parte Prima – Un terreno fertile
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Indice
Indice
PREFAZIONE Bruno Dolcetta INTRODUZIONE Milena De Matteis, Alessandra Marin
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PARTE PRIMA UN TERRENO FERTILE Alessandra Marin
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INDIRIZZI E STRATEGIE PER LA RIQUALIFICAZIONE URBANA STRATIFICARE, RIGENERARE, INNOVARE Carlo Magnani RIQUALIFICARE I QUARTIERI DELLA CITTÀ PUBBLICA: SPAZI, PROGETTI, STRATEGIE Paola Di Biagi RIPARTIRE DALLE PERIFERIE Laura Fregolent IL CONCORSO PASS “PROGETTO PER ABITAZIONI SOCIALI E SOSTENIBILI” PER TIBURTINO III A ROMA Barbara Del Brocco NUOVI REALISMI Sara Marini
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IL PROGETTO IN EQUILIBRIO: SOSTENIBILITÀ NEL PAESAGGIO URBANO IL PROGETTO DELLA FRICHE PER LE PERIFERIE RESIDENZIALI Annalisa Metta
59
BERLINO: RELAZIONI RICONOSCIUTE TRA SPAZI APERTI E COSTRUITO Marcello Mamoli
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Nuove qualità del vivere in periferia
PRINCIPI INSEDIATIVI ACCRESCITIVI E “ARCHITETTURA SENZA ARCHITETTI”: ESEMPI AFRICANI Elisa Dainese DAL VIVERE IN PERIFERIA ALL’ALVEARE DELL’ACCOGLIENZA Giuseppe Longhi
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STRUMENTI, ECONOMIE E SCENARI DI FATTIBILITÀ LA POLITIQUE DE LA VILLE NELL’ESPERIENZA DI LIONE Anna Laura Palazzo
93
LA RIGENERAZIONE IN CARENZA DI RISORSE Roberto D’Agostino
99
QUALITÀ E DENSITÀ: I TEMI DELLA CITTÀ SOSTENIBILE ALLA LUCE DELLA LORO FATTIBILITÀ ECONOMICA Ezio Micelli
103
STRATEGIE PER INCENTIVARE LA RIGENERAZIONE URBANA E CONTRASTARE IL CONSUMO DI SUOLO Stefano Stanghellini
109
IL VALORE DEI SUOLI EDIFICABILI IN ITALIA Paolo Rosato e Gianluca Mazzon
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PARTE SECONDA LIVING URBAN SCAPE E LA RIGENERAZIONE URBANA NEI QUARTIERI PUBBLICI Milena De Matteis
135
TERRITORI E PECULIARITÀ LOCALI LA MISURA DELLO SPAZIO PUBBLICO Daniele Carfagna
147
PAESAGGI DELL’ABITARE PUBBLICO A ROMA Maria Livia Olivetti
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ROMA. SGUARDI SUGLI SPAZI APERTI DELLA CITTÀ PUBBLICA Giorgia De Pasquale
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Indice
CITTÀ PUBBLICA DIFFUSA E PROGETTO URBANO PARTECIPATO Milena De Matteis
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I QUARTIERI PUBBLICI COME “SEMI DI URBANITÀ” Stefano Munarin
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MATERIALI PER LA RIGENERAZIONE POLITICHE COMUNITARIE IN VENETO: I CONTRATTI DI QUARTIERE COME STRUMENTO DI RIGENERAZIONE URBANA Ianira Vassallo PROGETTI DI RINNOVO URBANO IN GERMANIA: IL CASO DI HALLE Maria Livia Olivetti PROGETTO DEGLI SPAZI APERTI E CITTÀ PUBBLICA. RIPENSARE I VUOTI DI PAESAGGI ENTROPICI Anna Lambertini
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DENSITÀ DI SPAZI E QUALITÀ URBANA Andrea Sardena
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USI INSTABILI DELLA STRADA Claudia Marcon
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GIARDINI CONDIVISI E PRATICHE SPONTANEE NELLO SPAZIO PUBBLICO CONTEMPORANEO Valeria Leoni
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PARADIGMI POSSIBILI PER LA RIGENERAZIONE Milena De Matteis, Claudia Faraone*
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INDICE
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Nuove qualitĂ del vivere in periferia a cura di Milena De Matteis e Alessandra Marin pp. 256 - Euro 25,00 ISBN 978-88-96386-30-9 formato 17x24 cm