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tutela INAIL
from TEME 3-4/2021
by edicomsrl
Roberta Taurino - Direttore Amministrativo Territoriale Asl Roma 2 Mario Mazzeo - Responsabile Protezione Dati Asl Roma 2 Tutela INAIL, contagio Covid degli operatori sanitari e rispetto della privacy
Un recente intervento dell’INAIL, che si muove quesito formulato dall’Ospedale Policlinico San Martino nel solco della più consolidata Giurisprudenza, di Genova in merito a “se e quali provvedimenti debbano chiarisce i termini del rapporto tra operatività essere adottati riguardo al personale infermieristico che non della tutela prevista dall’Istituto in favore dei pubblici abbia aderito al piano vaccinale anti-Covid-19 considerato dipendenti vittime di infortunio professionale e conta- che, pur in assenza di una specifica norma di legge che stabigio Covid maturato a carico di quei soggetti i quali, pur lisca l’obbligatorietà della vaccinazione, la mancata adesioconsapevoli di svolgere la propria prestazione lavorativa ne al piano vaccinale nazionale potrebbe comportare da un in un contesto caratteriz- lato responsabilità del datore zato da particolare rischio, di lavoro in materia di protescientemente scelgono di non vaccinarsi. A fronte di Il rifiuto di vaccinarsi, zione dell’ambiente di lavoro (sia per quanto riguarda i una confermata tutela anche configurandosi come esercizio lavoratori, che i pazienti) e del lavoratore che colposa- dall’altro potrebbe esporre lo mente rimane vittima del della libertà di scelta del stesso personale infermieristicontagio, rimane esclusa la responsabilità del datore di singolo individuo rispetto co a richieste di risarcimento per danni civili, oltre che a lavoro al risarcimento del ad un trattamento sanitario, responsabilità per violazione danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’I- ancorché fortemente del codice deontologico. Nel quesito si chiede in particonail ad esercitare il regresso. A tal fine, però, questi raccomandato dalle lare se la malattia infortunio sia ammissibile o meno alla dovrà essere in grado di autorità, non può costituire tutela Inail nel caso in cui il dimostrare di aver messo a disposizione del personaun’ulteriore condizione a personale infermieristico (ma non solo), che non abbia adele l’opportunità concreta cui subordinare la tutela rito alla profilassi vaccinale, di vaccinarsi senza cadere nell’effettuazione di indagi- assicurativa dell’infortunato contragga il virus.”. Nel formulare il proprio ni a tappeto sulla salute dei riscontro, l’Istituto sottolidipendenti espressamente nea anzitutto che l’assicuravietate dalla normativa vigente. Intanto il Tribunale di zione gestita dallo stesso “opera al ricorrere dei presupposti Belluno respinge un ricorso cautelare di alcuni OSS di previsti direttamente dalla legge”. due RSA sospesi dal datore di lavoro per essersi rifiutati Ciò posto, richiamando in tal senso quanto stabilito di sottoporsi al vaccino. dall’art. 65 del DPR 1124/1965 (Testo unico delle dispoCon nota del 01.03.2021 indirizzata alla Direzione sizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli inforRegionale Liguria, la Direzione Centrale Rapporto tuni sul lavoro e le malattie professionali), la Direzione Assicurativo dell’INAIL interviene al fine di rispondere al Centrale rammenta che la tutela INAIL può essere esclu-
sa soltanto in caso di “infortunio doloso” mentre la stessa opera anche in caso di infortuni “derivanti da colpa”. Più precisamente, afferma la nota, “Sotto il profilo assicurativo, per giurisprudenza consolidata il comportamento colposo del lavoratore, tra cui rientra anche la violazione dell’obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé, l’esclusione dell’operatività della tutela prevista dall’assicurazione gestita dall’Inail.”1 . D’altra parte, però, “Il comportamento colposo del lavoratore può invece ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei suoi confronti, così come il diritto dell’Inail ad esercitare il regresso nei confronti sempre del datore di lavoro…”2 . Sebbene, dunque, la violazione delle norme antinfortunistiche da parte del lavoratore debba essere considerata un comportamento sicuramente illecito, tale illiceità non determina in alcun modo come evento “non indennizzabile” l’infortunio patito “in quanto la colpa dell’assicurato costituisce una delle possibili componenti causali del verificarsi dell’evento (insieme al caso fortuito, alla forza maggiore, al comportamento del datore di lavoro ed al comportamento del terzo).”. A ciò si aggiunga che “…il rifiuto di vaccinarsi non può configurarsi (neppure) come assunzione di un rischio elettivo, in quanto il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore e la tutela assicurativa opera se e in quanto il contagio sia riconducibile all’occasione di lavoro, nella cui nozione rientrano tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti l’ambiente, le macchine, le persone, compreso il comportamento dello stesso lavoratore, purché attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione.”. Vero è poi che, allo stato attuale della legislazione, non si rinviene uno specifico obbligo di aderire alla vaccinazione da parte del lavoratore. In tal modo “il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato.”. Ovviamente, conclude la nota, quanto chiarito “non comporta l’automatica ammissione a tutela del lavoratore che abbia contratto il contagio e non si sia sottoposto alla profilassi vaccinale in quanto, come precisato nella circolare n. 13/2020, occorre comunque accertare concretamente la riconduzione dell’evento infortunistico all’occasione di lavoro.”3 . Interessante, in questo contesto, dare conto anche di una recentissima ordinanza emessa dal Tribunale di Belluno4 con la quale è stato respinto il ricorso cautelare presentato da una decina di Operatori Socio Sanitari di due RSA che avevano impugnato la decisione datoriale di sospendere – senza stipendio – il rapporto di lavoro a seguito
1 Ex multis Corte di Cassazione Sezione Lavoro Ordinanza 19 marzo 2019 n. 7649 secondo cui “Nell’ipotesi di infortunio sul lavoro del lavoratore, il comportamento colposo di quest’ultimo può ridurre oppure esimere, se esclusiva, la responsabilità dell’imprenditore, escludendo il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro, così come il diritto dell’INAIL di esercitare l’azione di regresso nei confronti del datore; esso non comporta invece, di per sé, l’esclusione dell’operatività dell’indennizzo sociale previsto dall’assicurazione gestita dall’I-
NAIL, che ha la finalità, in armonia con gli artt.32 e 38 della Cost., di proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro (appunto anche da quelli derivanti da colpa) e di garantirgli i mezzi adeguati allo stato di bisogno discendente dalle conseguenze che ne sono derivate.”. 2 Con un’importante precisazione sottolineata da costante giurisprudenza secondo cui “Il datore di lavoro, in caso di violazione della disciplina antinfortunistica, è esonerato da responsabilità soltanto quando la condotta del dipendente abbia assunto i caratteri dell’abnormità, imprevedibilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, mentre, qualora nella condotta del lavoratore non ricorrano detti caratteri, l’imprenditore è integralmente responsabile dell’infortunio che sia conseguenza dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche, poiché la violazione dell’obbligo di sicurezza integra l’unico fattore causale dell’evento, non rilevando in alcun grado il concorso di colpa del lavoratore.” (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Sentenza 17 gennaio 2018 n. 1045). 3 “Ne discende che, ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto o non possa essere provato dal lavoratore, né si può comunque presumere che il contagio si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro elemento che in tal senso deponga, l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura privilegiando essenzialmente i seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.”
Circolare INAIL n. 13 del 3 aprile 2020. 4 n. 12/2021 del 19/03/2021 – Dott.ssa Anna Travìa.
del giudizio di inidoneità al servizio emessa dal medico competente che li aveva sottoposti a visita dopo il loro rifiuto di vaccinarsi. A fare da contraltare all’invocato rispetto del diritto costituzionalmente sancito a non vaccinarsi “per forza”, il Giudice, con una scelta invero condivisibile, pone il dettato dell’art. 2087 c.c. a mente del quale “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”. Se dunque, prosegue l’ordinanza, rientra nel novero dei c.d. “fatti notori” “l’efficacia del vaccino … nell’impedire l’evoluzione negativa della patologia causata dal virus”, così come è incontestato “che i ricorrenti sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro”, “è, pertanto, evidente il rischio per i ricorrenti di essere contagiati”. Da qui la conclusione che “la permanenza dei ricorrenti nel luogo di lavoro comporterebbe per il datore di lavoro la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei suoi dipendenti”. Una decisione che, prima nel suo genere, non mancherà di suscitare dibattito. Sul tema, ad esempio, potrà da un lato essere innestato un riferimento – perfettamente in linea con gli orientamenti del Tribunale – alla normativa portata dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e forse anche una considerazione più ampia dell’art. 32 della Costituzione come fonte di un diritto alla salute non limitato al singolo individuo, ma, dall’altro, si chiederà di considerare anche la possibilità di un diverso impiego dei lavoratori che non vogliono vaccinarsi in contesti operativi che non pongano a rischio la salute loro e di altri5 . Fermo quanto precede, comunque, non v’è dubbio che la responsabilità del datore di lavoro e la conseguente tutela risarcitoria in situazioni di “infortunio” come quelle descritte, potrà essere esclusa soprattutto in relazione al fatto che il dipendente vi sia incorso nonostante tutte le misure di contenimento del rischio adottate dal datore di lavoro ivi compresa l’esortazione alla vaccinazione e la messa a disposizione di specifico vaccino. Proprio a questo fine potrà essere necessario per il datore di lavoro dotarsi di elementi probatori che dimostrino di aver posto a disposizione dei propri dipendenti tutti gli strumenti necessari a tutelare al meglio la loro salute. Particolare attenzione dovrà essere dedicata, dunque, al reiterato invito alla popolazione aziendale esposta al rischio contagio di sottoporsi al vaccino mediante il ricorso non solo e non tanto a generici inviti, bensì a specifici richiami a fruire di tale possibilità accompagnati da concreti elementi informativi e organizzativi utili a consentire la reale fruibilità dello strumento vaccinale. D’altro canto, sarà cura del datore di lavoro documentare adeguatamente (ad esempio mediante invio delle comunicazioni massive agli indirizzi di posta elettronica aziendale dei dipendenti così come facendo ricorso ad accorgimenti informatici idonei a comprovare il corretto invio e l’eventuale ricezione degli avvisi) tale attività. Quanto precede senza dimenticare, però, che ai sensi della normativa vigente – il D.Lgs. 81/08 e s.m.i, ma anche la normativa posta a tutela della c.d. “privacy”, il datore di lavoro non è legittimato – salvi casi eccezionali – a conoscere dello stato di salute dei propri dipendenti ivi incluse le informazioni sul loro stato vaccinale. In questo senso, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, con le FAQ pubblicate lo scorso 01.03.2021, ha chiarito che “Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19…” né può trattare queste informazioni seppure con consenso esplicito degli stessi. E dunque “…solo il medico competente (che, lo si ricorda, nell’adempimento dei propri compiti opera quale autonomo titolare del trattamento dati personali), nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica. Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore.”. Anche allo scopo di evitare contestazioni circa il corretto adempimento delle previsioni di cui al Regolamento 2016/679/UE, al D.Lgs. 196/2003 e s.m.i., nonché al D.Lgs. 81/2008 e s.m.i., nell’ambito delle Aziende e delle Strutture Sanitarie occorrerà quindi prediligere il ricorso a procedure organizzative poste sotto il diretto controllo del medico competente che consentano di somministrare il vaccino ai dipendenti senza per questo mettere a conoscenza il datore di lavoro di informazioni che lo stesso non può conoscere giacché lesive della dignità e riservatezza dei dipendenti, nonché della normativa vigente in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
5 Anche se, nella realtà delle strutture sanitarie si fatica a comprendere come possano essere ricollocati i professionisti che non intendono vaccinarsi senza che per questo si determini il rischio, come minimo, di un loro demansionamento de facto.
