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FOOD TRAVEL RETAIL

FOOD TRAVEL RETAIL

Negozi come veri spazi omnichannel

I punti vendita fisici, soprattutto per i consumatori italiani, non perderanno di interesse. Ma, per categorie come l’abbigliamento e l’elettronica, potrebbero diventare più degli spazi di showroom. Si va verso un’integrazione in loco di modalità online e di tecnologie

INTERVISTA A

Enrico Cosio, retail, wholesale and distribution sector leader, partner Deloitte

Partiamo dall’attualità. Un colosso come Inditex ha annunciato la chiusura di 1.200 negozi nel mondo e contestualmente forti investimenti sull’online. In generale, come conseguenza del Covid-19, dobbiamo aspettarci in Italia un taglio dei punti vendita da parte dei principali operatori internazionali del fashion (e non solo)?

E. C. In questo momento, i clienti stanno tornando a fare acquisti con modalità e velocità diverse, la domanda per l’apparel & accessories sta lentamente tornando a crescere, di pari passo con uno stato d’animo più ottimista e sicuro. Nei prossimi mesi, in un new normal regolato da distanziamento sociale e protocolli sanitari, il mondo online, dai social agli store di Andrea Penazzi

virtuali, diventerà sempre più importante per i brand per rimanere in contatto con i con sumer, ascoltare la loro voce e costruire strategie di go-to-market che consentano di non rinunciare all’esperien zialità che ha sempre caratterizzato il mon do del fashion. In generale, però, i negozi fisici, soprattutto per i consumatori italiani, non perderanno interes se. Ma, per categorie come l’abbigliamento e l’elettronica, potrebbero diventare più degli spazi di showroom, in cui poter visionare il prodotto e testarne le carat teristiche procedendo poi all’acquisto online con consegna a domicilio. È probabile che, più che a una riduzione della numerosità dei punti vendita, si assista a un’integrazione in loco delle modalità online e delle tecnologie, per dare vita a degli spazi omnichannel ve ri e propri.

Negli scorsi mesi l’eCommerce è cresciuto addirittura a tripla cifra, anche se la fine del lockdown ha riportato l’attenzione sui negozi fisici. Qual è stato l’andamento dei consumi, tra on e offline, nelle prime settimane di riapertura?

E.C. La situazione di lockdown alla quale i consumatori sono stati sottoposti ha portato a un cambiamento repentino delle proprie modalità di acquisto. L’uso del canale online, infatti, ha visto una crescita vertiginosa, passando da una situazione in cui i pattern di acquisto erano prevedibili e per la maggior parte in-store a un’altra in cui anche la popolazione più anziana utilizza il web con disinvoltura. Tuttavia, con la riapertura dei negozi, la situazione si è ri-bilanciata. Con la Fase 3 ufficialmente iniziata, il 56% degli italiani si sente sicuro a recarsi in negozio, più del doppio rispetto al mese di aprile. Grazie al nostro Consumer Tracker, infatti, abbiamo potuto verificare l’andamento delle scelte dei canali di acquisto per una serie di categorie di prodotto e, secondo gli ultimi rilevamenti di giugno, gli store fisici vengono scelti da una media del 57% dei consumatori contro un 21% che preferisce il canale online. Il 22% propende, invece, per un utilizzo ibrido in-store-online. Sono soprattutto i prodotti di elettronica, i libri e l’abbigliamento a registrare i valori più alti negli acquisti online, mentre grocery e household good restano categorie fortemente legate al negozio fisico.

É (ancora) tempo di consulting

Settimana dopo settimana, i numeri mostrano valori in crescita, ma la strada post lockdown si conferma lunga e impervia. Per questo motivo, dopo una prima tornata di interviste sul numero di giugno del magazine, nella quale sono state coinvolte aziende del calibro di Bain, Boston Consulting Group e McKinsey, su r&f di luglio/agosto proponiamo i contributi di altrettanti big del consulting: Deloitte, EY e PwC. L’obiettivo è quello di fornire spunti, esempi e soluzioni per sostenere il settore del retail via via che la ripresa prende quota.

Come cambieranno i negozi in termini di servizi per realizzare quel concetto di omnicanalità di cui si parla da anni e che potrebbe vedere adesso una forte accelerazione?

E.C. L’omnicanalità e un approccio agile nell’acquisto renderanno possibile bypassare quei limiti imposti dal distanziamento sociale e dalle norme di sicurezza e igiene che dovranno esser implementate nei prossimi mesi, permettendo ai consumatori di effettuare acquisti in sicurezza senza rinunciare all’esperienza. Già alcuni store in questo momento stanno sperimentando il servizio di consierge, che prevede visite guidate in negozio su appuntamento con personale interamente dedicato al singolo consumatore, preceduti in alcuni casi dalla visualizzazione dettagliata del prodotto online. In generale, ci sarà un orientamento a fornire servizi sempre più tailorizzati e on demand, offrendo il giusto mix di modalità di fruizione online e offline, sfruttando la tecnologia per riuscire a rispondere alle nuove esigenze di salute e sicurezza ricercate dai clienti.

Eugenio Puddu, consumer products sector leader, partner Deloitte

Molte catene del food retail stanno completando la riapertura dei propri ristoranti, ma alcune hanno già ripreso anche lo sviluppo vero e proprio. Superata questa fase iniziale, il food tornerà a correre come prima del Covid con nuove aperture, nuovi formati e nuovi investimenti?

E.P. Il contesto in cui i food retailer sono tornati a operare dopo il lockdown è mutato profondamente. A un mese dalla riapertura delle attività ristorative, il 36% degli italiani afferma di sentirsi sicuro ad andare al ristorante: un dato in leggera crescita rispetto a fine maggio (31%), a conferma che il ritorno alla normalità per il comparto sarà graduale. In questo scenario, l’innovazione dei formati può giocare un ruolo centrale per la ripresa. Proprio in questi mesi, alcuni operatori del settore hanno investito in soluzioni ad alto contenuto tecnologico, che abbracciano i trend di innovazione nell’ambito FoodTech. Tra queste spiccano le ghost kitchen, un modello di ristorazione nativo digitale che unisce la produzione di qualità al delivery, lasciando da parte il consumo in loco. In vista del rientro in azienda, sono state ideate anche soluzioni contactless per facilitare la fruizione di servizi aziendali come la mensa.

Umberto Mazzucco, transportation, hospitality & services sector leader, partner Deloitte

Tema travel: durante il lockdown la propensione degli italiani a organizzare un viaggio in vista delle vacanze era molto bassa. Con l’arrivo dell’estate e i dati del contagio in netto miglioramento (almeno in Italia e in buona parte d’Europa), il dato sta tornando verso valori più standard?

U.M. Con l’avvicinarsi dell’estate e la crescente preoccupazione di aziende e cittadini su come affrontare la ripresa e adattarsi a una “nuova normalità”, l’intero settore del turismo e dell’hospitality continua a interrogarsi sulle nuove aspettative dei turisti, sia italiani che stranieri, che si apprestano ad affrontare questa difficile stagione. Bisognerà aspettare ancora qualche settimana per parlare di ritorno ai valori standard, in un contesto di parziali riaperture dei confini e la ripresa della libera circolazione delle persone in Italia e nell’area Schengen, in questo momento gli italiani restano cauti. Quello che emerge dalle più recenti rilevazioni del nostro Consumer Tracker, è una forte attenzione dei cittadini alla salute e alla sicurezza: il 42% mostra preoccupazione per la propria salute e il 53% dichiara di preoccuparsi per il benessere dei propri familiari. In questo momento infatti, solamente il 28% degli italiani si sentirebbe sicuro a volare e il 35% si sentirebbe sicuro a soggiornare in hotel. In generale, la propensione a tornare a organizzare vacanze e a viaggiare rimane lontana dai valori pre-Covid: ad oggi solo il 23% degli italiani è attivamente alla ricerca di occasioni per prenotare hotel e voli. Purtroppo, non sono solo i nostri connazionali a sentirsi poco sicuri a pianificare vacanze; se si osservano i dati degli altri paesi coinvolti nell’indagine, il sentiment è piuttosto allineato intorno a una media del 21%. La Cina, come prevedibile, risulta essere il paese con un livello di sicurezza percepita maggiore.

Infine, il settore degli shopping mall negli USA, già in forte difficoltà prima dell’arrivo del Covid, sta soffrendo ulteriormente a causa della pandemia. Dato il vostro osservatorio internazionale, il fenomeno dei dead mall potrebbe espandersi ulteriormente in America e raggiungere l’Europa e l’Italia?

E. C. Prima della pandemia Covid-19, i centri commerciali stavano già vivendo un momento di crisi per via della difficoltà a tenere il passo con i cambiamenti dei gusti dei consumatori e la crescente sfida posta dall’online.

Sempre più brand che hanno fatto storicamente affidamento sui centri commerciali hanno scelto di investire nell’apertura di nuovi flagship store e nello sviluppare i propri website per vendere in maniera diretta ai propri consumatori. I centri commerciali sono stati dunque portati a investire in pratiche volte a riconquistare i clienti. Purtroppo, nel tentativo di arrestare la diffusione del virus, questi negozi sono stati chiusi e per molte catene non ci sono certezze su quando e come riapriranno. La situazione è critica sia in America che in Europa, poiché, per cercare di recuperare le perdite, i grandi magazzini così come altre tipologie di store con problemi di liquidità pregressa avranno bisogno di un’iniezione di fondi non solo nel breve periodo ma anche nei prossimi mesi per consentire di reinvestire nelle loro attività e tentare di aumentare le vendite. ¢

Omnicanalità: percorso obbligato

La razionalizzazione delle reti di vendita andrà a impattare sul numero e sul formato dei negozi. Per attuare questo progetto i brand dovranno considerare le sinergie con il digitale, la tipologia e la fascia di prodotto, ma anche l’area geografica

INTERVISTA A

Stefano Vittucci, partner EY, responsabile consumer products and retail in Italia

Nelle scorse settimane Inditex ha annunciato la chiusura di 1.200 negozi nel mondo e contestualmente forti investimenti sull’online. In generale, come conseguenza del Covid-19, dobbiamo aspettarci in Italia un taglio dei punti vendita da parte dei principali operatori nazionali e internazionali del fashion (e non solo)?

Sicuramente possiamo aspettarci una razionalizzazione delle reti fisiche nell’ambito del retail. Se guardiamo al mondo del fashion, ad oggi l’eCommerce pesa in media il 15% circa, e le previsioni parlano di un forte boost con un guadagno di svariati punti di penetrazione, fino ad arrivare al 20-30%. Stefano Vittucci

Certamente, questa è ancora una quota di minoranza sul totale dei consumi retail, ma è molto più rilevante che in passato. Focalizzando quindi il discorso sul canale brick & mortar, il negozio fisico rimarrà strategico, ma al contempo assistiamo a un dibattito su quale dovrà essere il suo ruolo, come dovranno cambiare i formati e quali dovranno essere i numeri delle reti di vendita. In questo dibattito si possono individuare svariati temi.

Può sintetizzarci i principali?

Il primo da tenere in considerazione è che il fatturato retail che si sposta sull’online crea criticità nella copertura dei costi fissi nel retail fisico di cui l’azienda si è caricata negli anni. Un altro aspetto importante è capire come razionalizzare i canali per mandi Andrea Penazzi tenere la redditività dei brand. Proprio il brand potrebbe essere un elemento attorno al quale creare sinergie anche con il canale online, puntando su un prodotto che vada verso l’innovazione e sfruttando il ciclo delle stagioni. Ovviamente, il canale online deve essere in grado di gestire tutto ciò che concerne il reso e il cambio merce, un aspetto che nel retail fisico viene gestito in modo istantaneo. Un ulteriore elemento da considerare è il diverso impatto della crisi sui marchi e sui consumatori: la clientela target della fascia premium ha un potere d’acquisto che è stato fortemente minato, per cui quei consumatori potrebbero essere costretti a compiere delle scelte. Al contrario, i brand più iconici si rivolgono a una fascia di consumatori diversa e potrebbero beneficiare del fatto che i loro prodotti sono percepiti come maggiormente timeless. Un ultimo tema: registriamo un impatto anche geografico sullo shopping. Mentre, prima della crisi sanitaria, per un consumatore ci

nese risultava molto interessante comprare ad esempio un brand italiano in Italia, ora i limiti alla mobilità stanno bloccando questo flusso a beneficio della mainland China. Guardando ai dati del lusso, i cinesi rappresentano circa il 30% del consumo mondiale e, di questa percentuale, il 50% viene acquistato nei loro viaggi in Europa. Adesso questo trend potrebbe invertirsi, con un impatto positivo sulle reti fisiche ubicate in quelle aree geografiche e anche parzialmente sull’online.

Tra le principali vie dello shopping, i centri commerciali, i department store e gli oultet, quale tipologia di canale rischia di subire maggiormente l’effetto della crisi?

I department store potrebbero soffrire particolarmente, anche per una questione di attitudine o di nuove abitudini del consumatore. A mio avviso, infatti, il negozio fisico diventerà sempre più un hub: un luogo dove il cliente cerca un rapporto diretto con il brand, dove trova un assortimento completo e dove verifica tutto quanto ha vissuto in precedenza ad esempio su Internet e sui social media. Di conseguenza, il negozio posizionato in ambito high street può diventare un punto di riferimento, che può beneficiare anche del rinnovato interesse per la prossimità. Inoltre, i department store, così come i mall, sono luoghi di aggregazione che possono subire maggiormente le tematiche legate alla sicurezza e al distanziamento sociale. Il canale outlet, invece, dovrebbe continuare a ricoprire un ruolo rilevante anche per le attuali esigenze di smaltimento di stock. Trasversalmente a tutti questi canali pesa il mancato fattore turistico, che, tuttavia, incide molto per quei department store e quei centri che, proprio grazie a un’organizzazione specifica, puntano su questa fascia di clientela per estendere la propria catchment area.

In questi mesi l’eCommerce è cresciuto addirittura a tripla cifra, anche se la fine del lockdown ha

riportato l’attenzione sui negozi fisici. Come cambieranno questi ultimi in termini di format e servizi per realizzare quel concetto di omnicanalità di cui si parla da anni e che potrebbe vedere adesso una forte accelerazione?

Il Covid ha accelerato tutto il processo di digitalizzazione. A mio avviso, questo periodo è stato un grande test. Se prima della crisi sanitaria, di fronte all’alternativa tra online e fisico, alcuni operatori potevano ancora scegliere il secondo, i limiti alla mobilità hanno reso talvolta il canale dell’online l’unica possibilità per soddisfare un’esigenza di acquisto. E questa costrizione ha messo alla prova anche la capacità delle aziende già attive sull’eCommerce, portando alla luce eventuali criticità. Venendo alla sua domanda, in una logica di omnicanalità i negozi si dovranno evolvere per assomigliare un po’ di più a degli atelier, dove si offrirà un’esperienza al cliente il più possibile customizzata. Ma, oltre a questo, i brand dovranno essere pronti a offrire una seamless customer experience, cioè un’esperienza simile o identica su tutti i touch point: dal digitale al fisico. Per raggiungere tale obiettivo gli operatori dovranno implementare un processo in cui una transazione o più semplicemente una relazione con il consumatore possa incominciare online e completarsi nel negozio fisico o viceversa, aspetto, quest’ultimo, sempre più importante. Tutto ciò implica varie tematiche, legate alla digitalizzazione, agli investimenti, al pricing, alla disponibilità di prodotto, perché anche il magazzino e la gestione degli stock devono essere un continuum tra online e offline. In questo modo l’azienda può arrivare a indirizzare persino le scelte del consumatore sulla base della logistica. In sintesi, il fattore flessibilità diventa davvero molto importante.

Ovviamente tutto ciò comporta forti investimenti.

Parlando di omnicanalità e quindi di nuove strategie e di trasformazione, ovviamente non si può prescindere dagli investimenti. Guardando a questa difficile fase di mercato, credo che tale percorso non si possa completare in pochi mesi, ma al contrario 2 o 3 anni. Ovviamente chi ha iniziato prima si trova avvantaggiato e chi è rimasto indietro necessita di un’accelerazione. In questo momento bisogna trovare soluzioni efficienti, sostenibili dal punto di vista dei costi e attuabili in tempi abbastanza rapidi. Per gli operatori che partono da zero, una soluzione nel breve periodo potrebbe essere quella di avviare delle partnership con piattaforme eCommerce già esistenti, come

abbiamo visto fare anche da alcuni operatori della GDO.

Arrivando al tema della ristorazione, molte catene stanno completando la riapertura dei propri ristoranti, ma alcune hanno già ripreso anche lo sviluppo vero e proprio. Superata questa fase iniziale, il food tornerà a correre come prima ?

Il lockdown ha portato a un repentino spostamento all’interno delle mura domestiche dei pasti precedentemente consumati fuori casa. Il pieno recupero dei volumi ante covid temo che non sarà cosi immediato, in primis perché il consumatore dimostra ancora una certa cautela. Ma c’è un secondo motivo, più esogeno, che riguarda il perdurare delle misure di contenimento. Il vero tema, infatti, è il numero dei coperti limitato. A questo si lega la possibilità di generare volumi. Ulteriore criticità: il mancato turismo. Si dovrà capire quali potranno essere i flussi in futuro, considerando che permangono restrizioni alla mobilità. Restrizioni che incidono anche sulle attività lavorative che portavano allo spostamento delle persone. Sicuramente, ad oggi, è necessario effettuare investimenti per adeguarsi alle tematiche di sicurezza e al mantenimento delle stesse. Aggiungo, a tutto questo, il tema della location: alcune soffriranno più di altre. Questo proprio in virtù delle limitazioni alla mobilità. A subire maggiormente l’impatto della crisi saranno soprattutto gli operatori indipendenti e i soggetti più piccoli, mentre i grandi gruppi potrebbero attivare sinergie e liberare investimenti per operazioni di relocation, di adattamento dei formati o ancora per puntare alla prossimità nelle aree con i flussi più importanti. In base a un nostro modello proprietario, prevediamo che nel 2020 l’intero settore della ristorazione possa subire una contrazione compresa tra il -30% e il -45 per cento. ¢

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