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Guide o classifiche? Facciamo un po’ di chiarezza

di Maurizio Bertera

Non sempre le valutazioni coincidono fra loro. Talvolta chi è penalizzato da una, viene osannato dall’altra. Ma conta solo il giudizio del cliente

Ma che rapporto hanno i cuochi e i patron con le guide? Sono esattamente come i calciatori che a parole dicono di non guardare i voti della Gazzetta dello Sport ma non parlano più con il giornalista che gli rifila costanti insufficienze. Quindi chi cucina o gestisce un locale controlla non solo i propri voti ma soprattutto quelli del collega più vicino (ragioni commerciali) o più considerato dalla critica (ragioni personali). Tra il piccolo - ma sempre appassionato - popolo delle guide, invece, si perpetra l’eterna domanda: chi è veramente il migliore del reame? E già che ci siamo, perché la critica non ha una visione concorde? Per intenderci, la più mediatica resta la the World’s 50 Best Restautants dove i 40 membri di ogni panel (che rispecchiano un Paese o un’area geografica) hanno a disposizione dieci preferenze. Almeno quattro (ma sei al massimo) devono essere indirizzate a locali della propria area. Sì e no, visto che si presta storicamente a voti di scambio su scala nazionale - per quanto assegnati da gente che ne capisce parecchio - e gli sponsor importanti necessitano di luce. Tanto è vero che da quest’anno si è deciso di far uscire dalla classifica i ristoranti che l’hanno vinta in passato, a meno di un cambio di location. Tanto per fare un esempio, l’Osteria Francescana - due volte n.1 - non potrà più esserlo. Sistema discutibile, ma ogni casa ha le sue regole: quindi il Mirazur di Mentone è il miglior locale del mondo. In ogni caso, la The World’s 50 Best Restaurants si presta bene ad essere lo strumento dei viaggiatori gourmet, senza problemi di budget e che vogliono sentirsi “nel circuito”. Ma del centinaio di locali recensiti, una buona metà potrebbe essere sostituita in un minuto. Potremmo dire lo stesso della The Best Chef Top 100 che offre il fianco a un concetto evidente: anche qui a decidere sono gli “esperti” (giornalisti, operatori del settore e pure gli chef) anche se Mauro Colagreco del Mirazur è primo anche qui, seguito da altri tre cuochi transalpini e da Rene Rezdepi. Qui non c’è Hall of Fame e quindi succede che l’idolo Bottura non sia neppure in classifica. E comunque nel 2018 era solo 57°. Mah... Peraltro, mancano all’appello altri nostri big quali Enrico Bartolini, Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo mentre tra i sette in graduatoria il posto più alto è il 26°, nelle mani di Nadia Santini, celeberrima cuoca del Pescatore di Canneto sull’Oglio. Bravissima, ma è evidente che l’anzianità di servizio, il blasone del locale, la fama della famiglia Santini giocano un ruolo notevole nel piazzamento. Si potrebbe portare un’argomentazione tecnica: questa classifica giudica solo i cuochi, la ‘Fifty Best’ considera i locali nel complesso. Come considerarla? Come memo per un’esperienza internazionale. Invece, per chi è ancora fissato con la cucina transalpina, ha senso dare un’occhiata a Les Chefs 100, classifica redatta unicamente dai cuochi con due e tre stelle Michelin. Un “giochino” considerando che la Francia resta il paese più stellato al mondo e

Giancarlo Morelli

Andrea Aprea Enrico Bartolini

persone impiegate a tempo pieno (anche se in realtà hanno un ruolo importante anche i “suggeritori” che fanno altro nella vita) e ha una visione internazionale, creata in decenni di storia. Paradossalmente gli ispettori dedicati sono anche la debolezza della guida: il numero limitato (pare una quindicina di persone) riduce sicuramente la radiografia costante del Paese e l’influenza dei critici stranieri - in particolare dalla stella a salire - resta potente e non favorisce i nostri locali. Detto questo, nonostante le accuse di staticità (in parte motivate), negli ultimi anni la Rossa Michelin si è movimentata molto di difatti l’ultima graduatoria comprende una quarantina di chef d’Oltralpe mentre il numero uno è il talentuoso Arnaud Donckele di La Vague d’Or, tristellato a Saint-Tropez. Grande posto, grande cucina ma non viene manco citato nella Best Chef Top 100. Incredibile no? Peraltro, in questa graduatoria il neo tristellato Enrico Bartolini è giusto centesimo, dietro colleghi italiani che obiettivamente sono lontani dalla capacità del “regista” del Mudec. Capitolo Michelin: se per i cuochi resta l’obiettivo per ragioni di prestigio (è come arrivare in Serie A partendo dal vivaio) e commerciali (non è aria fritta: in 24 ore la neo-stella vale un 30-50% in più sulle prenotazioni), per gli appassionati è sicuramente la guida più adatta al viaggio, non fosse che “tocca” centinaia e centinaia di località, indica anche 640 alberghi e nell’era delle app ha una versione cartacea che trova posto nella tasca di una portiera o nel cassettino dell’auto. È affidabile? Intanto, è la sola che viene redatta da un gruppo di Antonino Cannavacciuolo Clemy e Gianni Bolzoni

più che in passato. A parte molte discutibili scelte all’interno del mondo stellato (roba da addetti ai lavori, ma sui tre Stelle c’è pochissimo da contestarle) e qualche “buco” sul territorio, è un buon strumento anche per chi non è fissato. Espresso e Gambero Rosso sono indubbiamente più “leggibili” della Michelin perché sono fatte di vere e proprie recensioni, come del resto il volume delle Osterie d’Italia di Slow Food che ha uno ‘zoccolo duro’ votato ai locali della tradizione, mai come oggi popolari. La vera differenza tra le due guide è rappresentata dal metodo di valutazione: più basico l’Espresso che ha creato da qualche anno le fasce dei Cappelli (da una a cinque, più i fuori classifica del Cappello d’Oro), più approfondito il Gambero Rosso con il suo punteggio per centesimi, determinato da cucina, sala e cantina. Generalizzando, potremmo consigliare ai “conservatori” la prima e ai progressisti la seconda. Poi anche qui a volte si resta perplessi: nel gruppo dei Cinque Cappelli e Cappelli d’Oro de l’Espresso ci sono tutti i Tre Stelle Michelin salvo... l’ultima, quella del Mudec di Enrico Bartolini! Come il lungo elenco delle Tre Forchette del Gambero Rosso contempla parecchi locali con una sola stellina... Quindi, pure qui ci sono (legittime) visioni diverse, mai drammatiche nella sostanza ma che possono regalare gioie e dolori a chi si siede intorno al tavolo. In definitiva qual è il miglior ristorante italiano per le nostre guide? Incrociando i voti, il Reale di Castel di Sangro perchè il Gambero Rosso assegna un punto in più rispetto all’Osteria Francescana, mentre Michelin e l’Espresso li valutano alla pari. Curioso: Niko Romito è solo 51° nella The World’s 50 Best Restaurants (terzo italiano dietro Enrico Crippa e Massimiliano Alajmo) mentre nella The Best Chef Top 100 è 20° dietro Bottura ma davanti a tutti i suoi colleghi. Come la mettiamo? Prenotate (pazientemente) da entrambi, senza leggere cosa dicono le guide, e poi fatevi la vostra idea. Forse la migliore. •

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