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Speciale “Finiture e complementi”

Architettura e Colore

Un tema centrale in architettura: il cromatismo

Pavimenti ecologici Il parquet massiccio

I Piani del Colore

Programmi di qualificazione/riqualificazione delle città

Déco. Arte pura 1919 - 1939 Lo stile eclettico in Italia

Filippo Tommaso Marinetti: fondatore del Futurismo Si ricostruisce la complessità dell’Avanguardia italiana

Il tendaggio italiano Tendaggi creativi e originali, nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute


sommario EVENTI 4

Direttore responsabile Arch. Alessandro Robles Direttore editoriale Arch. Lorenzo Margiotta Redazione Hanno collaborato a questo numero: - Arch. Valentina Caprioli - Maurizio Margiotta - Dominika Sochan

Lo stile eclettico in Italia

6 Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo

Si ricostruisce la complessità dell’Avanguardia italiana

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Expoedilizia e SITE

La conferma di un successo annunciato

Editore Evolution City Group S.a.S. di Maurizio Margiotta & C.

ARTICOLI

Registrazione Testata giornalistica registrata Registrazione del Tribunale di Bari n. 33/07 del 4 Ottobre 2007 Iscrizione al ROC n. 16655

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DÉCO. Arte pura 1919 - 1939

Arch. Lorenzo Margiotta 9 Architettura e Colore

Un tema centrale in architettura: il cromatismo

Arch. Alessandro Robles 10 Pavimenti ecologici Il parquet massiccio Consorzio Tendaggio 11 Il tendaggio italiano Tendaggi creativi e originali,

nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute

Arch. Lorenzo Margiotta 13 I Piani del Colore Programmi di qualificazione e

Speciale “Finiture e complementi”

riqualificazione della città



EVENTI

DÉCO. Arte pura 1919 - 1939 Lo stile eclettico in Italia Sergio Campagnolo Ufficio Stampa: Studio ESSECI info@studioesseci.net

DÉCO. Arte in Italia 1919 - 1939. Rovigo, Palazzo Roverella, 31 gennaio - 28 giugno 2009. Mostra promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in collaborazione con Accademia dei Concordi e Comune di Rovigo. A cura di Dario Matteoni e Francesca Cagianelli; direzione della mostra: Alessia Vedova. Per informazioni: Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo Tel 049.8761855 Fax 049.657335

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al 31 gennaio 2009, Palazzo Roverella (a Rovigo) riproporrà il suo annuale appuntamento con le grandi esposizioni d’arte. Il filone sarà, ancora una volta, quello dell’arte in Italia tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento. Dopo aver, con successo, indagato gli anni della Belle Epoque (1880 - 1915), è la volta del Déco, un termine che indica uno stile, un gusto che segnò nelle diverse arti il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Il termine Art Déco o più brevemente Déco fu coniato negli anni ‘60 come ricapitolazione critica condotta dagli storici di uno stile o, più correttamente, possiamo dire di un gusto che aveva segnato nelle diverse arti il periodo compreso tra i due conflitti mondiali. Come sovente accade per la storia dell’arte fu il riconoscimento a-posteriori di temi e di formule figurative riconducibili ad un comune denominatore. E’ possibile definire il Déco come manifestazione di un gusto non fondato su precise teorizzazioni - in questo si è voluto vedere la discontinuità con l’Art Nouveau - ma assai diffuso in tutte le manifestazioni artistiche rivolte, come si diceva, alla ricerca di una

Speciale “Finiture e complementi”

modernità che intendeva superare la mera funzionalità delle forme aggiungendo ad esse eleganza e persuasività. Possiamo quindi accettare il termine Déco come sinonimo di un’idea di moderno, non di modernista. L’Art Déco, affermatasi negli anni Venti e Trenta e caratterizzata da numerose sfaccettature, si ispira alle geometrie dell’universo della macchina, alle forme prismatiche delle costruzioni metropolitane e a modelli di una classicità altrettanto persuasiva nei propri canoni di eleganza. Il termine Art Déco era facilmente passato dal ristretto mondo degli specialisti al largo pubblico che rapidamente si è impadronito di questa etichetta evocativa di una moda. Fino ad oggi il tema dell’Art Déco indagato è presentato al grande pubblico prevalentemente per gli aspetti connessi alle arti decorative, agli interni e all’architettura. Solo di recente si è cercato di verificare anche nelle altre arti le possibili consonanze con il gusto déco. L’intento della mostra che si aprirà nelle sale del Palazzo Roverella di Rovigo intende offrire al pubblico un possibile filo di lettura con uno sguardo che privilegia la produzione pittorica (senza tralasciare la scultura cui è dedicata una sezione) nell’assunto che un filo di coerenza percorra tali ricerche proprio nel riferirsi alla comune problematica della decorazione e della modernità. La critica aveva potuto cogliere un possibile avvio della stagione dell’Art Déco nell’Exposition Internationale Arts Décoratifs et Industriels des Modernes che si era tenuta a Parigi nel 1925, sottolineando, quindi, un primato della Francia. Anche l’Italia partecipa con una posizione affatto originale all’affermarsi di tale gusto: non possiamo dimenticare che a partire dal 1923 si tengono a Monza mostre biennali di arti decorative seppure ancora legate all’idea di un artigianato regionale. La mostra articolata in undici sezioni intende documentare lo svolgersi in Italia di questa temperie artistica che dal decorativismo derivato ancora dall’esperienza liberty di Galileo Chini di Umberto Brunelleschi o di Duilio Cambellotti passa ad utilizzare le idee formali del Futurismo come dimostrano le opere di Giacomo Balla, di Fortunato Depero, di Diulgheroff, di Fillia. E’ quindi vero che nel Déco italiano possiamo trovare ad un tempo sollecitazioni classiciste, visioni orienta-

lizzanti, rappresentazioni del mondo meccanico, attenzione alla sinuosità offerta dai ritmi della danza, e modellazioni plastiche tipiche degli sports. Nella visione di modernità riconducibile al déco così come si manifesta nel contesto dell’arte italiana degli anni Venti e Trenta, possiamo annoverare con diversi accenti che trovano ampia giustificazione nelle sezioni nelle quali si articola la mostra le opere di Giulio Aristide Sartorio, di Alberto Martini, di Ferruccio Ferrazzi, di Mario Sironi, di Achille Funi, di Ubaldo Oppi, di Gino Severini, di Felice Casorati. La mostra intende poi documentare alcuni aspetti esemplari connessi alle arti decorative al fine proprio di offrire le possibili sfaccettature con le quali il gusto déco si presenta in Italia: così accanto alla cartellonistica si è voluto in particolare presentare la produzione che l’architetto milanese Giò Ponti realizza per l’industria ceramica Richard Ginori, produzione significativamente premiata all’Esposizione di Parigi del 1925 e ancora l’attività di Vittorio Zecchin in bilico tra decorazione pittorica e raffinate produzioni vetrarie. La mostra si articola in 11 sezioni così intitolate: Inflessioni decorative del Déco; Verso nuove sintesi; Orizzonti esotici; Vittorio Zecchin e Murano: Déco tra vetri e dipinti; Divagazioni futuriste; Geometrie del Futurismo; La severità del Déco; Il sogno dell’antico; Giò Ponti: intorno alla RichardGinori; Déco scolpito; Il Déco nella grafica.

Le sezioni ed i contenuti della Mostra Déco: un grande crogiolo di idee, sollecitazioni, spunti, un momento della storia dell’arte davvero affascinante e che in Italia non è ancora stato del tutto indagato. Da qui l’attesa che si è creata intorno a questa mostra che, per la prima volta, offrirà una lettura del Déco in Italia in modo organico. La mostra – affermano i curatori – intende ripercorrere attraverso undici ampie sezioni le diverse tendenze che sottesero all’alba degli anni Venti quel complesso fenomeno di elaborazione di uno stile moderno che ebbe un prime esito eclatante nell’ambito delle Esposizioni Internazionali di Arti Decorative di Monza tra il 1923 ed il 1927.


La prima sezione dedicata alle Inflessioni decorative intende quindi ricostruire attraverso una suggestiva selezione di opere di Galileo Chini, Giulio Aristide Sartorio, Alberto Martini, Elisabeth Chaplin, quel significativo trapasso tra la sovrabbondante contorsione dei motivi floreali e l’eleganza sintetica di un più moderno linearismo. Ecco che le persistenze decarolisiane dei nudi tratteggiati da Galileo Chini nei monumentali pannelli decorativi eseguiti per la Biennale di Venezia del 1920 mostrano comunque l’esigenza di una più compiuta sintesi lineare, mentre La gioia di vivere di Giulio Aristide Sartorio inaugura nel 1927 il nuovo corso decorativo della produzione dell’artista, dove alle carnose e simboliche Gorgoni subentra il mito di una femminilità sensuale ma attuale, la cui raffinata e svettante silhouette ambisce sì ad una moda lussuosa, ma definitivamente sintetica e lineare. Nel processo di semplificazione del tessuto disegnativo la seconda sezione della mostra intitolata Verso nuove sintesi costituisce dunque un nodo fondamentale per comprendere l’ulteriore tensione di alcuni protagonisti della stagione pittorica degli anni Venti verso un linguaggio geometrizzante, talvolta ispirato alle astrazioni metafisiche tipiche dei “Valori Plastici”, come in certe opere di Felice Casorati, altre volte invece percorso da sferzanti venti secessionisti come nel caso di Guido Cadorin e Piero Marussig, altre ancora permeato di ludici arcaismi, come nelle incantate spiagge di Moses Levy. Non mancano artisti che, pur tentati dalla verve futurista, preferiranno soffermarsi sul crinale di un sintetismo vibrante di suggestivi dinamismi: basti pensare a Primo Conti e Ferruccio Ferrazzi. Nel percorso di elaborazione di uno stile moderno acquista comunque un ruolo fondamentale quella cultura orientaleggiante e più latamente esotica, che da Bisanzio a Murano, e ancora dall’Africa a Thaiti, converge verso dettati geometrici pervasi di cromatismi squillanti ed elementari. Nell’ambito della terza sezione, che spazia verso gli Orizzonti esotici del déco si dipana per la prima volta in questa mostra un ampio www.edilia2000.it

percorso verso l’Oriente déco, entro il quale artisti quali il futurista Thayaht esprimono una sensibilità moderna pervasa di tensioni primordiali e insieme di timbri cromatici internazionali che omaggiano gli esiti delle avanguardie europee, in omaggio al loro capostipite Gauguin. D’altra parte l’Africa evoca scenari altrettanto promettenti per uno dei maestri dell’artigianato déco, quel Depero che sull’onda del magistero di Clavel, e nell’infatuazione per la moda dei Balletti Russi, strappa alle foreste tropicali la sua fauna fantastica e alle architetture d’Egitto la loro prismatica inattingibilità. Ci sarà invece chi preferirà volgersi verso un Oriente fantastico, che fonde mode aristocratiche, bizzarrie cromatiche, e stilismi decorativi nel fasto di una Venezia ricondotta a Bisanzio, dietro la suggestione delle Fetes galantes di Verlaine e sulle note dei Balletti Russi di Diaghilev: è il caso di Umberto Brunelleschi che nei suoi inarrivabili pochoirs tragitta le esuberanze floreali del liberty verso la snella moda del déco. Sul tragitto da Venezia a Bisanzio ci si imbatte nel rarefatto e lussureggiante universo esotico di uno dei maggiori interpreti del gusto bizantineggiante in Italia, Vittorio Zecchin, le cui enigmatiche creature femminili incedono maestosamente in boschi favolosi, ammantate di drappi sfarzosi che riecheggiano analoghi motivi decorativi intarsiati finemente sulle seriche superfici di arazzi e ricami, come testimonia la quarta sezione, dedicata a Vittorio Zecchin e la Murano déco tra vetri e dipinti. Intorno alla ricerca di una semplificazione geometrica si radunano gli sforzi futuristi, in alcuni casi con esiti non programmatici, ma semplicemente come riflessione sulle possibilità espressive scaturite dai nuovi ritmi dinamici, come attesta la quinta sezione dal titolo Divagazioni futuriste; riguardo ai casi di più sistematica concentrazione sul dettato teorico futurista la sesta sezione, dedicata alle Geometrie del Futurismo propone un itinerario da Balla a Prampolini, da Fillia a Djulgheroff, fino al geometrismo estremo di Depero.

Con la settima sezione rivolta a delineare La severità del déco si accede alle più calibrate ed austere zone linguistiche di un Novecento sensibile alla tradizione classica, dove Felice Casorati adombra soluzioni metafisiche, Mario Sironi prospetta esiti monumentali e Massimo Campigli occhieggia alle sintesi più primordiali risolte in un gioco di sempre più sconcertanti incastri geometrici. Si approda così all’ottava sezione della mostra, Il sogno dell’antico, ideale prosecuzione della precedente, in quanto l’ambizione di un dialogo con la tradizione finisce stavolta col sollecitare gli artisti ad una immersione profonda perfino nell’iconografia più esplicitamente antichizzante di divinità arcaiche ed eroi mitici, resi con non dissimile austerità di evocazione rispetto a ieratiche bagnanti e impenetrabili asceti. Non manca chi, come Ruggero Alfredo Michahelles (RAM) si compiace di fondere le reverie classicheggiante con gli azzardi della moda contemporanea, in una miscela metafisica ad alto quoziente visionario. Complessa e poliedrica personalità di architetto e decoratore, Giò Ponti si erge, durante la sua strabiliante carriera produttiva alla Richard Ginori, ad interprete della classicità nel raro e prezioso terreno del vetro e della ceramica, fondendo in un connubio di eleganza e modernità stilizzatissime silhouettes femminili e sogni di architettura razionalistica. Tra classicità, stilizzazione e ritmi dinamici conducono la loro frenetica ricerca plastica alcuni dei protagonisti della scultura tra 1920 e 1940, come illustrato nella sezione della mostra dedicata al déco scolpito: dalla semplificazione vibrante di Libero Andreotti all’arcaismo decorativo di Romano Romanelli fino ai vertici del novecentismo classicheggiante di Arturo Martini e agli spiritualizzati teoremi lineari di Adolfo Wildt. Senza contare colui che all’esposizione monzese del 1923 apparve come l’iniziatore trionfale della modernità: Duilio Cambellotti.

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EVENTI

Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo Si ricostruisce la complessità dell’Avanguardia italiana UFFICIO STAMPA CLP Relazioni Pubbliche press@clponline.it Comunicati e immagini su: www.clponline.it

F. T. MARINETTI = FUTURISMO MILANO, FONDAZIONE STELLINE Corso Magenta, 61 12 febbraio – 7 giugno 2009 Orario: martedì – domenica, 10 – 20 (chiuso il lunedì) sito web: www.stelline.it Catalogo Federico Motta editore Fondazione Stelline Alessandra Klimciuk tel. +3902.45462437 press@stelline.it

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a Sala del Collezionista della Fondazione Stelline di Milano ospita, dal 12 febbraio al 7 giugno 2009, la prima grande mostra interamente dedicata a Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. Il 20 febbraio 1909 venne pubblicato, su “Le Figaro” di Parigi, il Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti che proclamava l’atto di fondazione del Futurismo. A distanza di cento anni, il Comune Milano, patria del Futurismo (la prima sede ufficiale del movimento era in casa di Marinetti), è impegnato a organizzare numerose iniziative che coinvolgeranno l’intera città: mostre, conferenze, teatro, musica, cinema. In questo contesto s’inserisce l’esposizione F. T. MARINETTI = FUTURISMO, che intende approfondire e riscoprire la figura di Marinetti in tutta la sua ricchezza e complessità, da ideatore e promotore del Futurismo, a scrittore ed editore di testi futuristi, mettendo in rilievo la sua importanza internazionale come letterato e innovatore del linguaggio. La mostra, curata da Luigi Sansone, coadiuvato da un comitato scientifico composto da Luigi Ballerini, Lucia Matino, Ermanno Paccagnini, Filippo Piazzoni ed Elena Pontiggia, è organizzata dalla Fondazione Stelline in collaborazione con il Comune di Milano e la Regione Lombardia, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, con il contributo della Provincia di Milano, il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Comitato Nazionale per le celebrazioni del centenario del Manifesto Futurista. Il Futurismo è stato il primo movimento artistico legato a un’ideologia globale che ha coinvolto tutti i settori dell’esistenza: arte, politica, costume, morale, progresso scientifico, divenendo nel giro di pochi anni uno dei più importanti fenomeni artisticoletterari sviluppatisi in età moderna, sia in Italia che nel mondo. I Futuristi ebbero il merito di percepire per primi la necessità di un rinnovamento culturale profondo e radicale, all’altezza dei nuovi tempi. Il percorso espositivo proporrà, oltre a numerosi ritratti e caricature di Marinetti, alcuni capolavori fondamentali presenti nell’originaria collezione dell’artista o fatti acquisire da Marinetti al Comune di Milano, tra cui le opere di Umberto Boccioni Elasticità, Linea e forza di una bottiglia e Sotto il pergolato a Napoli, e quelle

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di Giacomo Balla Spazzolridente ed Espansione di primavera, tutte provenienti dalle collezioni delle Civiche Raccolte di Milano. Altri importanti prestiti pubblici e privati arricchiscono la mostra: la Battaglia a 9 piani di Marinetti dal MART, la tavola parolibera Bombardement d’Andrinople proveniente dalla Biblioteca dell’University California Los Angeles e la tavola tattile Sudan-Parigi. Sarà, inoltre, documentata la sua attività di autore di “sintesi teatrali futuriste” e “parole in libertà”, teorizzate nel manifesto Il Teatro Futurista Sintetico, nel Manifesto tecnico della letteratura futurista e nel successivo Supplemento al Manifesto tecnico della letteratura futurista, contenente il primo esempio di tavola parolibera: Battaglia peso + odore. Tra le rare “parolibere” e le numerose pubblicazioni di Marinetti sarà dato ampio rilievo al volume parolibero Zang Tumb-Tumb (Edizioni futuriste di “Poesia”, Milano 1914), vero incunabolo della moderna sperimentazione letteraria europea, e alle tavole parolibere: Parole in libertà (Bombardamento sola igiene), 1915, e Guido Guidi, 1916. Le tavole “parolibere” marinettiane saranno, poi, messe a confronto con quelle di altri futuristi, tra i quali Azari, Balla, Buzzi, Cangiullo, Carrà, Depero, Folgore, Govoni, Benedetta Marinetti e Mazza. Inoltre un’ampia sezione documentaria arricchirà la mostra: manifesti futuristi; fotografie; cataloghi d’epoca; cartoline; alcuni numeri delle riviste “Poesia”; “Gli Avvenimenti”; “Il Mondo”; “Vela Latina”; “Noi”; “L’Italia Futurista”, ma anche “Anthologie Revue” e “La Vogue” per testimoniare la sua attività prima del Futurismo. Verranno inoltre esposti numerosi e importanti documenti, tra cui un manoscritto di Marinetti sulla fotografia, il Canto LXXII di Ezra Pound e gli scritti di Carlo Belloli della collezione Isisuf, Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo. Il catalogo Federico Motta Editore,

che accompagna la mostra, è ricco di approfondimenti sul fondatore del Futurismo e mette in rilievo l’importanza internazionale di Marinetti attraverso i saggi di importanti studiosi e letterati: La figura di Marinetti e la mostra del 1933 di Luigi Sansone; Il ruolo di Marinetti scrittore e il libro d’artista di Luigi Ballerini; Marinetti e il simbolismo di Ermanno Paccagnini; Il ruolo di Marinetti nella creazione del Modernismo Britannico di Frederick K. Lang; Perché la velocità è una religione di Jeffrey Schnapp; Marinetti Accademico d’Italia e D’Annunzio di Giordano Bruno Guerri; Marinetti e il Giappone futurista di Nishino Yoshiaki; Marinetti e i Manifesti del Futurismo di Giusi Baldissone.


Expoedilizia e SITE

La conferma di un successo annunciato Con 45mila operatori qualificati +45% rispetto alla scorsa edizione

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saltante il bilancio di Expoedilizia e SITE, le due manifestazioni fieristiche organizzate da ROS, società partecipata da Fiera di Roma e Senaf, che hanno animato in contemporanea dal 13 al 16 novembre il polo fieristico della capitale. Un evento di primo piano che ha visto la partecipazione di ben 45 mila visitatori qualificati, il 45% in più rispetto all’anno scorso, provenienti soprattutto dal Centro Sud Italia. Qui tutti gli operatori del settore hanno potuto visionare le principali novità nell’ambito delle costruzioni e dell’impiantistica tecnica, presentate dalle oltre 800 aziende espositrici. Una rassegna completa organizzata in 10 padiglioni su una superficie totale di 70mila metri quadri per una panoramica di ampio respiro ma facile da percorrere grazie al concept espositivo “a dimensione di visitatore”, organizzato in 14 aree tematiche. La prossima edizione è prevista dal 12 al 15 novembre 2009. Anche quest’anno gli organizzatori di Expoedilizia e SITE, oltre ad aver dimostrato la capacità di riunire e coinvolgere tutte le principali aziende della filiera delle costruzioni (settori impiantistico idrotermosanitario, elettronico ed elettrotecnico, della sicurezza, della domotica, delle energie alternative, delle macchine e attrezzature per il cantiere edile, dei serramenti e delle finiture dell’involucro, dei materiali e componenti strutturali, dei trattamenti e delle scelte cromatiche delle superfici, ect.), hanno avuto il merito di realizzare un calendario fitto di attività dedicate alla formazione come corsi, seminari e convegni per approfondire le tematiche più interessanti per gli addetti ai lavori, spaziando dalla refrigerazione all’illuminotecnica, dalla sicurezza alla climatizzazione.

che ha dato l’opportunità ai visitatori di aggiornarsi sulle innovazioni e sulle tecnologie impiantistiche ed edili in grado di migliorare l’efficienza energetica degli edifici. Tra i prodotti presentati in fiera, materiali e soluzioni per l’isolamento acustico, barriere termiche, coibentazioni, vetrate a basse emissioni, materiali coibentanti, involucro edile, solare termico e fotovoltaico, co-generazione, geotermia, prodotti che utilizzano biomasse, pellets e legna, led e lampadine fluorescenti elettroniche. Un tema, quello dell’ecosostenibilità, al centro dell’interesse dei media e oggetto di numerose attività formative realizzate proprio per offrire ai visitatori un quadro completo degli aspetti normativi e applicativi della materia. Grande apprezzamento da parte dei professionisti anche per le aree dimostrative predisposte dagli organizzatori per essere sempre più vicini alle esigenze degli operatori. All’esterno dei padiglioni per esempio, ben 30mila metri quadri sono stati destinati all’Area Dimostrativa per Macchine da Cantiere dove i visitatori hanno potuto vedere e testare direttamente gli ultimi modelli di macchine da cantiere dei più importanti marchi del settore. Scavare, trasportare, frantumare, spostare e sollevare sono state solo alcune delle operazioni dimostrative effettuate

durante i quattro giorni. Tra i tanti “eventi nell’evento” si è distinta, per la capacità di richiamare l’alta attenzione del pubblico e un grande afflusso di visitatori, l’Area Legno: oltre 800 metri quadrati dedicati alla promozione della cultura delle costruzioni in legno e dei suoi derivati con un occhio di riguardo alle soluzioni tecnologiche più innovative ed ecosostenibili. Accanto alla parte espositiva, è stata anche inserita un’area dimostrativa: qui i visitatori hanno visto progettare, tagliare e montare le pareti in legno utilizzate per la costruzione di case e hanno potuto assistere alla realizzazione “just in time” di una torretta e del tetto di una struttura per un parco giochi. «Crediamo fermamente che sia essenziale per una Fiera non limitarsi ad essere una vetrina di aziende e prodotti ma proporsi come una vera e propria piattaforma di incontro che favorisca la crescita di conoscenza e di business per tutta la filiera a cui si rivolge, per questo nelle nostre manifestazioni si alternano appuntamenti formativi e momenti dimostrativi. - afferma Emilio Bianchi, Direttore di Senaf - Il segreto del grande successo che Expoedilizia e SITE hanno riscontrato negli anni nasce proprio da questa capacità di creare un sistema nel quale il “sapere” e il “fare” si coniugano per generare integrazione e innovazione».

Tutte le informazioni sulla fiera su www.senaf.it tel. 02 3320391 Per ulteriori informazioni PR Help Comunicazione d’Impresa Roberto Grattagliano Francesca Magnanini tel: 02-54123452 fax: 02-54090230 e-mail: roberto.grattagliano@prhelp.it francesca.magnanini@prhelp.it sito web: www.prhelp.it

Particolare interesse ha riscontrato il progetto ERRE, il Percorso delle Energie Rinnovabili e del Rendimento Energetico nell’edilizia, l’iniziativa trasversale alle due fiere www.edilia2000.it

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articoli

Architettura e Colore

Un tema centrale in architettura: il cromatismo La disciplina architettonica si articola da sempre in molteplici campi di applicazione distinguendosi anche per una attenta propensione o idiosincrasia verso gli aspetti cromatici e decorativi. L’Architetto però, vero protagonista della fusione delle arti, ha sempre colto con molta attenzione le varie sfumature cromatiche della natura. Nell’avvicendarsi delle stagioni, quando uno spazio verde si presenta disegnato automaticamente anche dalla casualità naturale, un occhio attento non può ignorare il fascino di un prato erboso evidenziato da bordure di lillà, peonie, rose e clematidi, oppure segnato da betulle, aceri, cipressi della California ed ippocastani rosa che in autunno bruciano il paesaggio nel rosso, nell’oro, nel bronzo, suscitando emozioni diverse. Gli oggetti e gli ambienti che ci circondano sono in gran parte evidenziati da colori combinati tra loro. I colori che vediamo in natura, infatti, sono il risultato di un fenomeno fisico: la scomposizione della luce che viene captata dall’occhio umano. La fisica ci spiega che il colore non potrebbe esistere senza luce, che noi vediamo bianca, ma che in realtà è composta dai sette colori dello spettro solare. Tutto ciò che viene illuminato, infatti, restituisce una parte della luce ricevuta. I nostri occhi sono in grado di recepire la luce emessa dagli oggetti e ne codificano così la forma, il rapporto chiaro-scuro ed il colore. Vedere il colore è quindi una sensazione, proprio come osservare delle forme, ascoltare una buona musica, enfatizzare elementi o ricercare e gustare dettagli. Però se, tra i tanti parametri architettonici, volume, superficie, spazialità, decorazione, simmetria, proporzione, prendiamo in considerazione l’unico parametro, non sempre ritenuto essenziale, il colore, vedremo come, anche questa componente, di solito sia stata studiata e analizzata solo in maniera settoriale. Il colore è stato impiegato sui muri esterni delle prime strutture urbane conosciute (si pensi ai mattoni vetrosi smaltati nelle ziggurat mesopotamiche, costruite 2300 anni prima di Cristo). Erano ugualmente dipinti con colori i muri esterni degli Egizi e i templi dell’Antica Grecia, ed erano policrome la Roma Imperiale, Pompei, le facciate frontali di alcune cattedrali europee, la Torino barocca, le facciate dipinte del ‘700 ligure, nonché le realizzazioni di Bruno Taut con la sua trasformazione di Magdeburgo in “una città colorata”. www.edilia2000.it

Ma la mente di un fruitore contemporaneo di architettura corre subito alla memoria dei colori di Burano (VE). Tutti i visitatori di Burano rimangono, infatti, affascinati dal suo paesaggio insulare e dai suoi cromatismi derivanti dai mille colori delle case che si riflettono nelle acque verdi dei canali. Sono le abitazioni tipiche dell’isola, per lo più di forma squadrata ma che si distinguono l’una dall’altra. I colori diversi delle case, che oggi sono diventati la caratteristica principale dell’isola, una volta servivano a delimitarne le proprietà. Esiste tuttavia una “leggenda” legata al carattere variopinto dell’isola, la quale narra che erano i pescatori a dipingere la propria casa, al fine di riconoscerla da lontano durante i lunghi periodi di assenza dovuti alla pesca. Qui, in ogni caso, la più totale disomogeneità diventa armonia e realizza la famosa “isola dei mille colori”. Ma è all’inizio del ‘900 che il colore diviene tematica consapevole dell’architettura. L’architetto e urbanista tedesco Fritz Schumacher affermava nel 1901 che l’economia estetica globale di un edificio doveva concentrarsi sin dall’inizio proprio sul colore. Però, per una moderna percezione del colore, risulta doveroso andare alle trasgressioni del movimento futurista italiano del primo ‘9oo che voleva esaltare anche il movimento della “città che sale”, e quindi ricordare con orgoglio le celebrazioni cromatiche di Giacomo Balla, Fortunato Depero, Mario Chiattone, Antonio Sant’Elia. Ma un discorso attento va affrontato nel ricordare l’intuito sviluppato sul suo “cromatismo architettonico” dall’architetto Piero Bottoni (19031973, figura di primo piano della cultura architettonica e urbanistica italiana del Novecento) con le sue tavole acquerellate di scorci urbanizzati. Per l’arch. Bottoni il colore non era semplicemente un segno di identificazione o mezzo di espressione, era uno strumento di evidenziazione costruttiva: “i colori distinguevano un valore diverso tra l’alto e il basso di un edificio o di un fronte costruito” (come ha brillantemente esposto Manlio Brusantin nel suo articolo Colore Novecento in

Architettura). I “Cromatismi architettonici” di Bottoni del 1927 (sei acquerelli di piccolo formato) hanno rappresentato un vero studio sul colore nell’architettura, con semplice valore di schemi di un problema coloristico-costruttivo più complesso. Tali schemi avevano nell’itinerario culturale di Bottoni il senso di un manifesto programmatico: “Le architetture che io presento, e che formano le strade e le piazze di una città immaginaria, non hanno che valori di schemi: alcune sono semplici cubi, altre, a intelaiature di finestre normali, sono fatte per studiare i valori dei rapporti “vuoto-colore”, oltre che quelli di “posizione”» (Bottoni, 1927). Capire come utilizzare al meglio il colore, è infatti un tema centrale per gli architetti, i designer, i progettisti che pur operando abitualmente scelte cromatiche, spesso non hanno una precisa conoscenza degli aspetti psicofisio-percettivi legati all’impiego del colore. Eppure, da una corretta scelta del colore può dipendere il successo stesso di un progetto e la sua capacità di inserirsi positivamente nell’ambiente costruito; la città, appunto, e più in generale il paesaggio. Di tutte le arti, infatti, l’architettura è l’unica ad essere irrimediabilmente legata al territorio, allo spazio entro il quale è sorta e che, a sua volta, ha concorso a modellare. Ma fino a che punto questo colore dell’architettura in quanto tale entra in gioco nel quadro globale della configurazione urbana? C’è ancora da decidere quale sia realmente il valore ed il ruolo del colore in architettura, ma sicuramente i contrasti cromatici e la generale percezione visiva di ciascuno di noi fanno del colore una caratteristica primaria della nostra vita.

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Pavimenti ecologici Il parquet massiccio Arch. Alessandro Robles

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ella progettazione d’interni, il piano di calpestio è spesso l’elemento che più risalta e caratterizza gli ambienti. È perciò importante che esso rispetti criteri tecnici, estetici oltre che di eco-compatibilità e sostenibilità. Il legno, materiale naturale e rinnovabile, riscuote oggi consensi sempre maggiori come pavimentazione nell’edilizia abitativa sia per le esigenze stilistiche che per le caratteristiche tecniche di resistenza meccanica, potere termocoibente, igroscopicità (cioè capacità di regolare l’umidità relativa degli ambienti), temperatura superficiale. Il parquet, pavimentazione in legno più diffusa, da sempre impiegato per pavimentare la zona notte per il calore che trasmette sia fisicamente che visivamente, oggi viene impiegato in ogni luogo domestico. Per interagire con altre superfici in modo più diretto, la pavimentazione naturale può essere raccordata ad altri rivestimenti anche nei vani di servizio come la cucina. Il mercato offre ormai una vastissima varietà di prodotti: dai parquet tradizionali a quelli prefiniti, dalle listarelle ai listoni per interni e per esterni. Volendo approfondire l’impiego del legno per i calpestii domestici, si potrebbero analizzare tipologie ed essenze più adatte per caratteristiche e provenienza. Prima però bisogna soffermarsi sull’importanza del corretto utilizzo di questo materiale nobile e delicato. Innanzitutto un pavimento naturale ed ecologico deve essere realizzato con essenze di produzione locale come ad esempio rovere, acero, betulla, larice, ciliegio, olmo, noce, frassino, castagno, pero, faggio, pino, abete, pioppo, ontano, acacia (robinia). In

Speciale “Finiture e complementi”

secondo luogo, il listone massiccio per parquet deve provenire da “taglio selettivo”, vale a dire realizzato mediante forestazione produttiva o attività di riciclaggio. Vanno esclusi dalla scelta i legni esotici, frutto di disboscamenti ancora incontrollati e che hanno richiesto per il trasporto sprechi energetici e trattamenti con antiparassitari fortemente nocivi sia per i lavoratori che per gli utenti finali. Per realizzare una pavimentazione ecologica è necessario evitare quei listoni multistrato contenenti formaldeide e altre sostanze tossiche. Il legno, infatti, perde le sue principali caratteristiche e può addirittura rappresentare un pericolo per l’ambiente e per la salute, se viene trattato con prodotti derivati dalla sintesi petrolchimica, ad esempio quando è rifinito con collanti bicomponenti epossidici, vernici poliuretaniche protettive e solventi. Questi prodotti tendono a rilasciare composti volatili nei primi mesi dopo la posa e modificano le prestazioni proprie del legno. Se necessario, i trattamenti per la protezione e la cura del legno possono essere realizzati con prodotti di derivazione vegetale o animale come l’olio di lino, le resine di conifera, le essenze d’agrumi, la cera d’api. Il trattamento naturale non ha minore durata di quello a base chimica. Infatti, mentre per ridare lucentezza ad un parquet già lavorato a vernici sintetiche, detto flatting, si deve applicare una totale “rodatura”, che riduce non di poco lo spessore del materiale, il parquet nutrito con cera d’api ed altri componenti naturali, va invece trattato ove necessita senza dover eliminare vecchie applicazioni, in quanto il trattamento naturale viene assorbito dal

parquet e non crea strati superficiali che possono essere deteriorati dall’uso quotidiano. Ma oltre a scegliere prodotti di qualità, si deve prestare particolare attenzione alla posa in opera quale fase più importante della realizzazione di un pavimento in legno. Recentemente l’UNI ha pubblicato la nuova norma UNI 11265:2007 “pavimentazioni di legno - posa in opera - competenze, responsabilità e condizioni contrattuali” che individua competenze ed oneri dei diversi operatori che intervengono nel processo di realizzazione dei pavimenti di legno (parquet), nelle nuove costruzioni. Progettista, direttore dei lavori, produttore degli elementi di legno, rivenditore, posatore, impresa esecutrice del supporto, costruttore edile, committente e utente possiedono ambito operativo e relative responsabilità. La norma indica i documenti che eventualmente devono essere rilasciati in conformità alle disposizioni di legge. L’utilizzo del legno nelle finiture degli spazi residenziali è contemplato e promosso in bioarchitettura in quanto, se inserito in un controllato processo di produzione, si configura quale un materiale realmente rinnovabile. Gli altri tipi di pavimentazioni, come monocotture, gres, klinker, sono invece realizzati con materie estratte dal sottosuolo e che hanno impiegato anni per assumere lo stato attuale. Inoltre, il legno è un materiale che, se trattato biologicamente, “respira” anche quando è diventato pavimento o rivestimento di un’abitazione. Dal punto di vista percettivo un parquet ecologico ha una gamma di colori che cambiano a seconda della quantità di luce o delle caratteristiche


dell’ambiente in cui viene utilizzato. Come tutti i materiali naturali, il legno possiede una bellezza intrinseca data dall’unicità di ogni elemento.

Essenze Analizziamo le essenze più diffuse e adatte per una pavimentazione ecologica. La robinia pseudoacacia, di origine nordamericana, nota anche come falsa acacia è una pianta pioniera, che tende ad espandersi. Il legno è solido, durevole ed elastico, si può lavorare, rifinire e lucidare bene. Si distingue per una naturale resistenza all’usura e alle aggressioni degli agenti chimici ed atmosferici. Il rovere (quercus petraea) è una quercia assai tipica del paesaggio italiano; il legno è fra i più pregiati, pesante e durevole. Il pavimento in rovere è robusto e con venatura marcata e tonalità tendente al giallo bruno.

Il faggio (fagus selvatica) è uno dei nostri più importanti alberi forestali sulle Alpi; il legno ha grana fine ed è esente da nodi poiché i rami cadono presto lasciando il tronco pulito. Il colore rosato con venatura poco marcata è adatto ad interni eleganti. L’acero campestre è un albero tipico dei boschi italiani. Di colore chiaro, è uno dei migliori legni ed è impiegato anche per fabbricare cucine, giocattoli e strumenti musicali. Il pavimento in acero è chiaro e luminoso con venatura leggera e colorazione tendente al giallo-avorio. Il legno del castagno (castanea sativa) è molto simile a quello della quercia, sebbene di venatura meno marcata. È un legno scuro, ottimo per i mobili e buono anche per esterni in quanto ha un’ottima resistenza agli agenti atmosferici. Il ciliegio (prunus avium) è una componente naturale delle foreste europee, cresce rapidamente a dimensioni

di vero e proprio albero. La specie coltivata possiede un legno di buona qualità di colore arancione o rosso bruno con venature, molto duro, compatto e con fibre regolari. Il noce (junglas regia) è di origine orientale ma comune in Italia. Il suo legno è pregiato, di colore marroncino e si trova in varianti sia chiare che molto scure. Ha venature marcate, è duro e compatto, abbastanza pesante ma elastico. Un pavimento in noce nazionale è duraturo e con una estetica inconfondibile. L’olmo campestre (ulmus carpinifolia) è presente in tutte le regioni italiane in pianura e fino a 500 mt. di altitudine. Il legno è assai pregiato e facile da lavorare. Possiede un’elevata resistenza delle fibre all’abrasione e al taglio. La venatura è ricca di inflessioni di colore che variano dalle tonalità del rossoarancio a quelle del marrone-verde. Il pavimento è naturalmente scuro e ricco di venatura.

Il tendaggio italiano

Tendaggi creativi e originali, nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute L’industria del Tendaggio Italiano è sinonimo di novità. La cooperazione fra diversi settori dà alla luce nuovi materiali, fibre, filati e tessuti, nuovi trattamenti, in una continua tensione verso l’innovazione. Da una ricca tradizione tessile, profondamente radicata nel nostro paese, e da una industria solida, vivace e competitiva nascono i prodotti made in Italy, al passo con le più recenti innovazioni stilistiche e tecnologiche. Made in Italy è anche sinonimo di una grande attenzione alla sicurezza, poiché investiamo continuamente nella ricerca di processi innovativi e produttivi orientati a superare le più ferree prescrizioni a tutela della salute e della sicurezza. Per questo possiamo garantire che i nostri prodotti sono esenti da rischi, in modo particolare derivanti dall’uso di sostanze chimiche. Proponiamo il ritorno alla naturalità nei tessuti sintetici, dando loro l’aspetto e il tocco del cotone, della seta o della lana senza perdere le loro caratteristiche di performance: tessuti tecnonaturali, che mantengono l’aspetto e la mano degli originari ma sono trattati e finiti in modo da conferire loro nuove caratteristiche. Offriamo fibre naturali più funzionali, trattate ed accoppiate a fibre sintetiche per migliorare notevolmente le caratteristiche strutturali e quindi il risultato finale: resistenza, brillantezza, definizione del colore, mano più dolce. www.edilia2000.it

L’implementazione di nuove tecnologie, frutto della collaborazione tra industrie chimiche, produttori di fibre, tessitori, editori e designer, ci permette di offrire prodotti particolarmente innovativi. Possiamo offrire tessuti antimicrobici, per la protezione termica o dai raggi UV, impermeabili ma traspiranti, impregnati con microcapsule che rilasciano gradualmente un’essenza, dotati di un’azione antibatterica, tessuti profumati alla lavanda, vaniglia e limone. Abbiamo fibre in grado di attenuare gli odori, ad esempio quello del fumo, e che possono contribuire alla riduzione di allergie e a prevenire forme di rinite, sinusite ed asma. Siamo inoltre particolarmente attenti alle esigenze dei clienti: l’informatizzazione di tutto il processo produttivo, il servizio personalizzato e la flessibilità permettono all’Industria Italiana

del Tendaggio un grado di elasticità e una velocità di risposta difficilmente eguagliabili e unici al mondo. Tratto da: CONSORZIO TENDAGGIO Piazza Castello, 24 - 20121 Milano www.consorziotendaggio.it

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articoli

I Piani del Colore

Programmi di qualificazione/riqualificazione della città

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egli ultimi trent’anni, all’interno di un clima di fervido interesse scientifico per le operazioni di conservazione e recupero dell’edilizia storica, ha acquisito particolare valore la lavorazione delle superfici delle facciate sia rispetto ai materiali che ai trattamenti cromatici. Prima ancora di percepire un colore, la nostra mente ne nota la ripetitività o molteplicità, identifica i contrasti cromatici ed i toni dominanti: per tale ragione un Piano del Colore diviene la guida primaria per la manutenzione, controllo e restauro delle facciate puntando alla riqualificazione della città nel rispetto della cultura edilizia locale. L’interesse e il dibattito riservato agli aspetti cromatici della città, ha rappresentato e rappresenta ancora oggi un segnale positivo dell’accresciuta consapevolezza che il colore è uno degli elementi che concorrono alla definizione della qualità degli spazi urbani. Così come i singoli edifici si qualificano nel loro insieme come un tessuto connettivo di strade, prospetti, prospettive e piazze, anche il colore dei singoli elementi concorre significativamente a definire l’immagine complessiva della città. Il Piano del Colore è un progetto di riqualificazione dell’immagine della città che regola il corretto svolgimento

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delle operazioni di coloritura, pulitura e restauro delle facciate, o di parti di esse, attraverso la valorizzazione dei loro colori e della loro immagine cromatica. Il fine ultimo nell’affrontare la stesura di un Piano del Colore è generalmente quello di realizzare uno strumento utile alla tutela delle peculiarità storiche e tradizionali delle facciate degli edifici di un insediamento. Da qui la necessità di una pianificazione e di un coordinamento degli interventi cromatici, laddove la città è intesa nel senso più ampio di territorio costruito e il tema del colore affrontato non solo attraverso la problematica della tutela del colore nei centri storici ma anche in termini di qualità ambientali. In Italia i Piani del colore sono una realtà piuttosto recente, il primo piano della città di Torino risale alla fine degli anni ‘70, a cui sono seguiti, sempre più numerosi, i tentativi di altre amministrazioni di dotarsi di strumenti in grado di regolare l’uso del colore in aree specifiche e in particolare in quelle storiche. Le prime progettazioni avevano come obiettivo principale “quello di creare un quadro generale di riferimento unitario, all’interno del quale stimolare un attento controllo ed un corretto indirizzo di intervento delle tinteggiature sulle facciate, in relazione alla storia, lo stile e l’uso di

materiali in epoche passate, in stretta relazione con le modalità e le tecniche di restauro”. Molte amministrazioni comunali -però- hanno successivamente inteso questi Piani attuativi come “piani del decoro” e quindi del colore della edilizia cittadina, miranti a fornire ai Comuni una linea di indirizzo tendente ad uniformare e controllare quei caratteri pubblici, quali gli oggetti di arredo urbano e le coloriture delle facciate dei palazzi. L’intento è stato quasi sempre quello di evitare che la discrezionalità privata potesse ingenerare un percorso visivo dei luoghi assolutamente discontinuo e frammentato. Ritengo però che l’immagine di una città non debba essere costituita da un semplice maquillage in balia della moda del momento. Rifacimenti incontrollati in occasione di interventi di restauro o di semplici interventi di manutenzione delle facciate, hanno determinato spesso la distruzione e la perdita definitiva dei colori originari e di finiture particolari tipiche di un “modo di costruire” del passato. Il problema del rispetto dei materiali, delle finiture e delle superfici degli edifici antichi non trova fondamento solo su esigenze estetiche, ma riguarda le ragioni più profonde della conservazione: non è solo un problema di immagine, ma deriva dalla consape-

Arch. Lorenzo Margiotta

Portofino

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volezza dell’importanza storica, documentaria e culturale della salvaguardia delle testimonianze del passato. Ecco perché tali Piani attuativi risultano frutto di approfondite indagini storiche. Si tratta infatti di una elaborazione complessa, non una soluzione semplicistica quale espressione di una riduzione all’uniformità. Al contrario, trattasi proprio di una valorizzazione di peculiarità e differenze, individuate, studiate, definite

e tutelate. Vengono infatti individuati materiali e tecniche di finitura, zona per zona, talvolta edificio per edificio, attraverso una capillare attività di schedatura: vengono quindi definite le modalità delle operazioni di manutenzione delle facciate e di restauro, le tavolozze dei colori, i materiali ed i prodotti da utilizzare negli interventi. Quasi sempre vengono effettuate operazioni di ricerca storica e di rilievo in sito al fine di poter realizzare un esame corretto dell’ambiente Centro Storico con la valorizzazione delle tracce di colorazione ancora superstiti. Gli elementi basilari del Piano, quindi, sono la ricerca storica sui colori e

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Speciale “Finiture e complementi”

sui materiali, attraverso documenti reperiti in archivi storici pubblici e privati, nonché fonti iconografiche d’epoca (dipinti a olio, stampe in bianco e nero e a colori e prospetti colorati). Basta ricordare alcuni esempi concreti per comprendere come anche l’aspetto esteriore e il miglioramento dell’ambiente urbano concorrano ad innalzare la qualità della vita nella città. Torino è stato il primo Comune in Europa a dotarsi di un Piano del Colore. Fin dall’Ottocento il Consiglio degli Edili aveva elaborato un piano di colorazione con criteri ambientali: erano stati individuati dei percorsi cromatici, che si dipartivano da Piazza Castello e si ramificavano per strade e piazze in modo da creare una sequenza continua ma variata di una ottantina di colori. La città risultava come un “sistema policromatico coordinato”, testimoniando la sua cultura intrinseca dell’immagine urbana di grande livello. Nel 1845 venne resa nota e messa a disposizione una “Tavolozza dei colori”, frutto di mezzo secolo di studi e prove di tinteggiature, composta da ben 107 colori, che comprende 72 tinte per le parti ad intonaco su fondi e rilievi, 22 tinte per le parti in legno, 13 tinte per le parti in ferro. In tempi moderni è stata poi ricostruita la “Mappa cromatica” della città storica: è stato inoltre predisposto un “Archivio dei Modelli di Colorazione”, al fine di offrire una guida pratica che tenga conto delle più moderne tecniche di finitura correnti. L’attuale Piano del Colore di Torino costituisce sicuramente uno strumento fondamentale di valorizzazione, conservazione e tutela del patrimonio edilizio e si pone come obiettivi prin-

cipali: - la valorizzazione degli scenari fisici della Città; - la conservazione e la tutela del patrimonio edilizio; - l’evoluzione nella collettività dell’apprezzamento estetico per il colore; - la leggibilità e la riconoscibilità delle stratificazioni dei diversi tessuti urbani. Oggi, finalmente, le amministrazioni locali più attente ai problemi della qualità ambientale e alla valorizzazione dei beni da loro amministrati cominciano a intuirne l’importanza strategica del Piano del colore. E così sarà per l’applicazione del “Piano di Tutela dell’Immagine Urbana” del Comune di Roma che permetterà all’amministrazione locale di ritornare a quella bellezza originale che era negli intenti e negli occhi dei progettisti dell’epoca, e di poterla trasmettere alle generazioni future. Il colore e il decoro, infatti, non hanno soltanto un valore estetico, ma hanno la capacità di dar vita a sensazioni che rendono più piacevole il contesto in cui si vive. Inoltre, quartieri correttamente mantenuti sono più belli da vedere e acquistano anche un maggior valore, ravvivando nel cittadino il senso di


appartenenza Ma ormai anche nei Comuni più piccoli inizia a farsi strada l’idea che la gestione matura delle risorse disponibili, attraverso la promozione e l’adozione di un corretto Piano del Colore, non è un lusso o una onerosa necessità: ma, al contrario, un modo intelligente per creare opportunità di lavoro e di qualificazione del territorio, con importanti ricadute sociali ed economiche. Ne è un esempio il “Piano del Colore e dell’Arredo Urbano” della città di Rieti e del territorio comunale. Si tratta di uno strumento urbanistico che stabilisce le coordinate di indirizzo nello svolgimento delle operazioni di coloritura, pulitura e restauro delle facciate e dei manufatti di arredo urbano oltre a dettare le norme tecniche di attuazione in riferimento al miglioramento del decoro dell’ambiente urbano (centro storico, nuclei di aggregazione extraurbana, zone urbane). Il Piano è finalizzato alla riqualificazione e alla tutela del patrimonio storico, culturale, architettonico ed ambientale a livello del colore e dell’arredo urbano fornendo gli opportuni strumenti di monitoraggio delle azioni sul costruito. Il Piano, inoltre, fissa regole specifiche

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nel contesto urbanistico tese ad uno sviluppo armonico della città con grande sensibilità verso l’aspetto estetico concorrendo così ad innalzare la qualità della vita urbana. Ma il colore di una città è molto di più degli effetti cromatici del suo centro storico: è elemento di comunicazione, di riferimento ubicazionale, di riconoscimento e di identità. Al di là di un valido approccio storico al colore che trova risposta nei piani di tutela, appare sempre più necessario un nuovo approccio al progetto urbano del colore che tragga motivazioni, non solo dalla storia e dalle preesistenze, ma anche dalla capacità del colore da una parte di modificare percettivamente la visione di uno spazio e di un’architettura, e dall’altra di emozionare. Ormai è dell’aspetto visivo degli spazi urbani e dei rapporti che esso crea tra uomo e ambiente, anche e soprattutto attraverso il colore, che occorrerebbe riprendere ad occuparsi. Ciò che manca, però, è una formazione progettuale rispetto al colore che vada a scardinare una ben troppo nota e radicata concezione formale acromatica che considera ancora il colore a posteriori, come semplice decorazione. La forma a volte non può essere percepita senza il colore, e la componente cromatica dovrebbe essere studiata ed elevata al pari delle altre componenti che portano alla configurazione del progetto architettonico e urbano.

Ponza

Il rilievo dei colori nei centri storici in Italia è stato regolato dalla norma UNI/EDL 8813 del 28/02/1986 - Sistema di specificazione del colore. Questa Norma è stata predisposta dalla Sottocommissione UNI “Colore nei Centri Storici” che prevede la codifica delle tinte degli intonaci e dei serramenti delle facciate col sistema Munsell, attraverso un catalogo ricco di qualche migliaio di campioni di tinte, ampliabili all’infinito con opportune interpolazioni (Munsell Book of Color, Glossy Finish Collection, Baltimore (Maryland),USA 1976). Attualmente gli intonaci e le coloriture sono normati a livello nazionale dalla commissione “Rivestimenti con intonaci e prodotti coloranti” dell’UNI e a livello europeo dalla Commissione “Intonaci esterni ed interni” CENT/TC 125. All’epoca, il Munsell era il sistema di notazione dei colori più diffuso su scala mondiale, anche se il suo alto costo lo escludeva di fatto da un uso corrente. Il Munsell era anche stato scelto perché aveva il vantaggio di essere collegato con il sistema di denominazione ISCC.NBS3, che consente di attribuire, per ogni colore, oltre ad un codice oggettivo, anche un nome standard grazie alla riduzione dell’universo cromatico in sole 267 aree distinte da un codice e da un nome di colore definito univocamente, circostanza che consente di raggruppare l’infinità di sfumature di tinte ritrovate sulle facciate in una gamma più ristretta e più facilmente gestibile, formata da un numero limitato di colori. Nel corso degli anni, si è diffuso il sistema di codificazione scientifica dei colori NCS (Naturai Color Sysiem, Scandinavian Color Institute, Stockholm 1992), di origine svedese. Grazie anche ad un’accorta politica di sponsorizzazioni, l’NCS è diventato così accessibile dal punto di vista economico da soppiantare il Munsell, peraltro recuperabile perché collegato al sistema NCS mediante una semplice tabella di conversione. L’NCS è anche convertibile nel sistema adottato per la notazione di colori nei computers, consentendo così di rendere pubblica la “Tavolozza dei colori” via-internet.

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