Alla prima cellula, nata qualche miliardo di anni fa. Senza di lei non saremmo qui a parlare di scienza, di filosofia e del colore dei nostri calzini. - Lorenzo Ai miei genitori, Lidia e Sandro a Cristina T, professoressa di Italiano e a Lisa e Tito per il loro sorriso. - Matteo
Testi: Lorenzo Monaco e Matteo Pompili Illustrazioni: Agnese Baruzzi La foto a p. 87 è di Francesco Ridolfi. Dove non altrimenti indicato, le immagini appartengono all’archivio Giunti. L’editore si dichiara disponibile a regolare le eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. www.editorialescienza.it www.giunti.it © 2012, 2017 Editoriale Scienza srl via Bolognese, 165 – 50139 Firenze – Italia via Beccaria, 6 – 34133 Trieste – Italia Prima edizione: marzo 2012
Stampato presso Lito Terrazzi srl Stabilimento di Iolo
L O R E N Z O M O N A C O • M AT T E O P O M P I L I
Lo strano caso della cellula X hi Le av ve nt ur e de l pr of. St ri zz ao cc
Illustrazioni di
Agnese Baruzzi
B
uongiorno. Mi chiamo Elia Brambilla Strizzaocchi. Ho la pancia, un camice e sono un ammasso di cellule. Di minuscole cellule. Diecimila trilioni di minuscole cellule, per l’esattezza. Una bella cifra, no? È più o meno il numero di tazzine che vi servirebbero per svuotare tutto l’oceano Pacifico, se vi saltasse in mente di farlo. Ma basta chiacchiere. Torniamo alle mie cellule: sono bellissime, anche se voi non potete vederle perché sono troppo piccole. Ma io sì che posso. Perché appartengo alla famiglia degli Scienziati Strizzaocchi, una stirpe che nei secoli è riuscita a raggiungere un traguardo straordinario: vedere gli esseri più piccoli del mondo, le creature più minute e invisibili. Come le cellule, per l’appunto. E io ne ho una meravigliosa collezione, nel mio laboratorio le ho raccolte a bilioni, a trilioni, a quadrilioni. Praticamente mancavano solo delle incantevoli cellule di muffa verde smeraldo. Ma un giorno d’inverno ho trovato anche quelle! Stavo per tuffarmici sopra quando è successo qualcosa di fastidioso. Estremamente fastidioso. In un angolo buio del laboratorio si è risvegliata X. Ecco com’è andata.
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UNA VOCE IN LABORATORIO
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hi, c’è qualcunooo? – urlava X. Il motivo era intuibile: era cieca come una talpa (anzi, peggio) e senza un naso con cui sentire un qualsivoglia odore, nemmeno il più puzzolente. Ciechi e senza naso: voi come vi sentireste? Andreste in giro a tentoni nel buio? Forse, ma se vi dicessi che non avete le mani? E neppure i piedi? Niente per tastare in giro e capire dove siete. O che cosa siete. Capito la situazione? Ecco, X si sentiva proprio così, una cosetta sperduta nel niente. In più aveva una specie di formicolio dentro. E questo rendeva X curiosissima. – C’è qualcunooo? C’è qualcunooo? – continuava a ripetere. E di nuovo: – C’è qualcunooo? C’è qualcunooo? – E così avanti. Avrebbe fatto impazzire anche una statua di pietra, di quelle che se ne stanno tranquille nelle piazze anche con un piccione sulla testa. Beh, lì non c’era una statua. C’ero io: Elia Brambilla Strizzaocchi, abbottonato stretto nel mio camice – pulitissimo, tranne che per qualche grande macchia blu e svariati buchi – e circondato dalle mie amate provette, da stupendi pezzetti di insetto e piccoli animali squamosi. Davanti avevo lo splendido vassoio di muffe verde smeraldo che attendevano solo me, e un lungo lavoro silenzioso. Ecco perché, al sentire per la settecentotreesima volta “C’è qualcuunooo?”, mi misi a urlare come se fossi stato punto da un’ape.
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– Silenzioooooooooooo! – dissi tutto rosso in faccia. – Ah! Allora c’è qualcuno! – pigolò X con entusiasmo. – Silenzio – gemetti, calmandomi un po’. Ma solo un po’. – Chi sei? – Silenzio, ho detto. – Ma come ti chiami? – Strizzaocchi. Anzi, professor Strizzaocchi – dissi tirando su con il naso per darmi una certa aria – e ora zitta! – Certo. Ma ho una domanda per te. Che cosa sono, io? – Mpfr – grugnii. – Sono una cosa lunga? – No. – Sono una cosa magra? – No. – Sono una cosa brutta? – No. – Sono una cosa dolce, elastica, gobba, molle? No, no e no! avrei voluto gridare, mettendo fine a quello strazio e tornandomene alle mie muffe. Invece no, non gridai. Quella cosetta era curiosa e a noi scienziati Strizzaocchi, purtroppo, piacciono i tipi curiosi. Per questo mi sentii obbligato a dire qualcosa di più a quella noiosa creatura. – Sei una cellula. Una cellula del mio laboratorio – affermai, sperando di zittirla con una parola così scientifica. – Ooohhh! Una cellula! – esclamò X. – E cos’è un laboratorio? – Ignorante! – sbuffai. – Dovresti chiedere, piuttosto, che cosa sono le cellule. – Ah – fece X incerta – allora che cosa sono le cellule? – Ecco, tu sei una cellula. Non posso dirti altro. E poi non potresti capire. Per conoscere come sei fatta, dovresti vederti. 8
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– Allora basta che io mi guardi! – disse X, raggiante di felicità. – Potresti… se tu avessi gli occhi, ma non ce li hai – dissi sogghignando. Questo avrebbe chiuso definitivamente la conversazione e mi avrebbe permesso di immergermi nelle muffe verde smeraldo. – Ah! E tu, invece, ce li hai gli occhi? – Oh, sì. Ne ho due – ammisi. – Allora tu puoi vedermi. – No, non posso – feci evasivo. – Perché sono nascosta? – No. – Allora, perché sei nascosto tu? – No. – Mmmh. Allora, perché sono invisibile? – Perché sei piccola – dissi. – Sei così piccola e minuscola che anche un acaro della polvere ti sembrerebbe grande come King Kong. Anzi come più di centomila King Kong messi uno sopra l’altro.
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– Allora sono la cosa più piccola che esiste! – Oh, no. Ci sono molte cose ancora più piccole di te. Gli atomi, per esempio. – E che cosa sarebbero? – Sono i mattoni di tutte le cose. Se metti insieme gli atomi, fai delle molecole. Anche le molecole sono piccolissime. Poi puoi mettere insieme le molecole. Le cellule, come te, sono fatte di molecole. – Quindi sono una massa di molecole – concluse X. – Allora nessuno può vedermi! Nessuno può capire come sono fatta e perché sento questo formicolio dentro! X non pigolava più, ora. La conversazione sembrava finalmente conclusa. Potevo tornarmene in punta di piedi fino al bancone delle muffe. Invece sentii la mia voce dire: – In realtà non può vederti nessuno che abbia occhi normali. Ma io, che sono uno Strizzaocchi, se solo lo volessi, potrei vederti. – Oooh! E come fai? – riprese X. – Con uno strumento speciale che rende potenti gli occhi e riesce a farmi vedere gli oggetti piccolissimi.
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È un apparecchio straordinario che si chiama microscopio. – E tu ce l’hai? – Certo! – annuii. – Tutti gli Strizzaocchi ne possiedono almeno uno e io sono uno Strizzaocchi. Se non ce l’hai, non entri in questa famiglia di scienziati. – Allora accendilo, dai, accendilo, accendilo! – urlò X eccitatissima. Sospirai. Ormai non avevo più scelta. Sfilai la cuffia blu di plastica sotto la quale tenevo custodito il mio microscopio: un oggetto meraviglioso, nero e lucido come un bastoncino di liquirizia. Il miglior microscopio dell’Universo, il più potente. Lo accesi e lo puntai su X. Sarebbe bastato strizzare un poco gli occhi e il mio sguardo sarebbe penetrato all’interno di X. Provai un brivido: vedere l’interno di una cellula è un po’ come essere di colpo catapultati in un’altra dimensione. – Dunque, sei pronta, cellula? – Certo! E anche un po’ emozionata. – Non dire baggianate, non puoi emozionarti. Distenditi un po’ invece… ecco. A posto. Oh! – Che cosa c’è? – Non vedo nulla! Aspetta, devo colorarti. – Ehi, aspetta. Che cosa ti salta in mente? – Tranquilla, è una tecnica che ha inventato uno Strizzaocchi francese. Adesso sei una cosetta trasparente, a guardarti sei quasi invisibile. Ma se ti coloro di giallo, verde o blu, ecco che diventi perfettamente osservabile. – Ok. Però sta attento. – Certo – tagliai corto. Attorno al microscopio però non c’era nessuna boccetta colorata. Girai la testa qua e là per la stanza alla ricerca del colorante. Provette, piattini di vetro, cartacce appallottolate, un panino con peperoni e cipolla…
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… ma esattamente dietro di me, su una mensola altissima, proprio sopra la stufetta che riscaldava tutto il laboratorio, c’era una piccola bottiglia piena di un liquido rosso pomodoro. – Allora, hai fatto? – mi chiese X. – Aspetta! – Per afferrare la boccetta, saltai sulla sedia. Devo ammettere che fu un errore, perché era una di quelle sedie con le rotelle. L’avevo comprata perché mi piaceva sedermici sopra, dare uno spintone sulla parete con i piedi e slittare a tutta velocità per la stanza. Era una sedia-slitta. Appunto: non appena ci balzai sopra, improvvisamente la sedia schizzò via. Io però rimasi attaccato allo scaffale. Il quale, purtroppo, non era stato progettato per sostenere una persona appesa. Il risultato fu che la mensola si staccò tutto d’un tratto, facendomi crollare prima sulla stufetta e poi sul pavimento con un gran botto, e rovesciando a terra una pioggia di provette. – Che cosa è successo? – esclamò X, preoccupata. – Oh, nulla, nulla – mentii, scrollando la testa e producendo un’altra piccola grandinata di pezzi di vetro. – Ho preso il colore. Questa però non era una menzogna. Incredibilmente la boccetta rossa era nella mia mano, intatta. – Ora te lo verso sopra – dissi avvicinandomi al microscopio. Zoppicavo leggermente. – Ecco fatto. Come stai? – dissi. – Come prima. – Ovvio. Ora zitta. Ti stai colorando lentamente e sta apparendo qualcosa… È una specie di foresta sottomarina: ci sono cose che pendono, cose che scattano, altre che fluttuano. Che caos! Ma non lo trovo… uff! Non lo trovo! – Che cosa? Dimmelo! – Zitta, lasciami concentrare. Sì, sì! Eccolo, lo vedo. 12
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– Ma cosa? Cosaaa? – Il punto di partenza di tutto. Per capire meglio come sei fatta, bisogna dare un’occhiata a ciò che ti fa funzionare. Che fa funzionare tutte le cellule. È un luogo piuttosto misterioso e gli scienziati stanno cercando da anni di carpirne i segreti. Lo chiamano nucleo.
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li Strizzaocchi non esisterebbero senza i microscopi. Si crede che il primo di questi strumenti sia stato inventato alla fine del Cinquecento da un signore che fabbricava occhiali e che viveva in Olanda, ma non lo si sa con esattezza. È sicuro, invece, che nel Seicento il microscopio apparve nei laboratori di tutta Europa. E dove c’è un microscopio… c’è sempre uno Strizzaocchi! Il primo di questi scienziati nacque in Inghilterra nel 1635, un periodo in cui gli uomini portavano lunghe parrucche con i boccoli. Si chiamava Robert Hooke e di sicuro è uno dei membri più famosi della famiglia degli Strizzaocchi. Era un tipo gracile che bisticciava con tutti; da piccolo aveva tre passioni: osservare con attenzione qualsiasi cosa; costruire marchingegni meccanici (una volta smontò un orologio e lo ricostruì ancora più bello e preciso) e disegnare. Continuò a coltivare queste tre passioni anche da grande, quando si mise la parrucca e andò a lavorare per la Royal Society, il più importante gruppo di scienziati della sua epoca. Appena ebbe tra le mani un microscopio non gli sembrò vero. Era un marchingegno con cui poteva osservare tutto quello che voleva: fili di lana, mostruosi occhi di mosca, zampe di formica, pulci, pidocchi, capelli!
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Ma non gli bastava: lo smontò e lo rimontò per renderlo più potente. E un giorno, successe: vide una cosa che nessuno aveva mai visto prima. La trovò in una fettina sottilissima di un tappo di sughero: anche se sembrava bello compatto, Hooke scoprì che il sughero era formato da tante piccolissime cellette, come gli alveari delle api. Hooke decise di chiamare queste stanzette “cellule” (che nella lingua degli scienziati del suo tempo, il latino, vuol dire “piccola cella”). Ovviamente non poteva tenere la scoperta per sé. Fece quindi disegnare un grande album illustrato con tutte le cose che aveva visto, tra cui la prima illustrazione di una cellula! In realtà, Hooke non aveva ben capito cosa fossero le cellule o come funzionassero. Credeva che fossero un po’ come delle scatole vuote e senza vita, e non aveva tutti i torti. Infatti le cellule del sughero sono proprio morte. Dovranno passare altri 200 anni e il lavoro di centinaia di altri scienziati Strizzaocchi per arrivare a capire che le cellule sono ben altro. Mangiano, si riproducono, si agitano: sono vive.
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