Tra foglie e fogli

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C’era una volta… l’erbario “Erbario” è una parola che nasconde tantissime storie e informazioni che sono state molto utili in passato e che continuano a esserlo ancora oggi. Un tempo l’erbario indicava una lista di piante con proprietà curative o da usare in cucina: ogni pianta presente nella lista era spesso accompagnata da una breve descrizione e, a volte, da un disegno che aiutava a riconoscerla. I L P R I M O E R B A R I O F I G U R ATO

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Questi antichi elenchi di piante accompagnati da disegni sono nati più di duemila anni fa, ma poi sono scomparsi, andati persi o distrutti. Sappiamo però che sono esistiti perché ne abbiamo trovato traccia in libri più recenti. Un esempio famoso è l’erbario figurato scritto da Crateva, medico ed esperto conoscitore di veleni e piante medicinali vissuto in Grecia nel primo secolo a.C., che ispirò molti altri studiosi successivi.

Uno di questi fu Dioscoride, farmacista della Cilicia (nell’attuale Turchia) vissuto nel primo secolo d.C., che riunì in un’opera di cinque libri intitolata De Materia Medica tutto quello che si sapeva sulle cure ricavate dalla natura: nel suo antico manoscritto, tra funghi, minerali, animali e piante, compaiono più volte riferimenti all’opera scritta circa duecento anni prima da Crateva.


D I S E G N I F A N TA S I O S I Alcune versioni dell’opera di Dioscoride vennero arricchite da disegni che rappresentano le piante come sono realmente. Spesso, però, le immagini che corredavano gli antichi erbari non erano riconoscibili e realistiche, ma molto fantasiose. Erano raffigurati serpenti attorcigliati alle radici, piccole facce sulle foglie e i fusti, frutti che sembravano animali e altri simboli che impedivano il riconoscimento della pianta. Talvolta, anche nei testi venivano modificati dettagli importanti.

e, in certe zone d’Europa, si credeva potesse rendere addirittura invincibili. La mandragora era quindi una pianta molto popolare, ma per raccoglierla bisognava seguire strani riti.

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Un esempio famoso è quello della mandragora, una pianta con una radice abbastanza grossa e ramificata che, in alcuni casi, sembra un pupazzo. Usata fin dall’antichità per combattere i dolori e in chirurgia come anestetico, era considerata una pianta magica in grado di portare ricchezza e fortuna a chi l’avesse posseduta

Secondo la credenza, infatti, se si fosse cercato di estrarla dal terreno la radice si sarebbe messa a urlare e le sue terribili grida avrebbero causato la pazzia o la morte del raccoglitore. Si consigliava quindi, per non correre alcun pericolo, di legare un cane con il guinzaglio alla base della pianta e lanciare un osso in modo da far estrarre la mandragora dal terreno all’animale. Sulla base di questa storia, ritenuta vera fino alla fine del Medioevo, la pianta veniva spesso disegnata come un essere umano dai lunghi capelli e ricoperto di peli, con cani legati alle caviglie, circondato da raccoglitori che si tappano le orecchie o suonano strumenti per sovrastare le malefiche grida.


LE PIANTE SECCHE Nel Cinquecento, per superare la difficoltà di riconoscere la pianta attraverso un disegno, il medico e botanico romagnolo Luca Ghini trovò una soluzione ingegnosa: seccare la pianta! Nacquero così in Europa le prime collezioni di piante secche e

la più antica, che risale al 1532, viene attribuita a Gherardo Cibo, allievo di Luca Ghini. Queste collezioni vennero chiamate orti secchi in contrapposizione agli Orti botanici, gli orti vivi che stavano nascendo proprio in quegli anni.

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I FOGLI D’ERBARIO A partire dal Settecento il nome “orto secco” cominciò a essere sostituito dal termine “erbario”. All’inizio era un vero e proprio libro che raccoglieva le piante seccate e pressate attaccate su ogni pagina. Nel tempo, però, gli scienziati decisero che era più comodo usare fogli non rilegati: fu così che nacquero i fogli d’erbario. Ci fu anche un altro cambiamento importante: dapprima le piante venivano incollate ai fogli con colla di pesce, colla di coniglio, chiara d’uovo o altri prodotti naturali, mentre poi si iniziò a fissarle con fascette bloccate da spilli, una tecnica molto più efficace sia per conservare gli esemplari che per studiarli.


A CHE COSA SERVE UN ERBARIO? È un prezioso identikit Se non sappiamo il nome di una pianta che abbiamo visto o che abbiamo raccolto, la cosa più semplice è chiedere aiuto a qualcuno che la conosca. Ma se nessuno ci può aiutare, allora possiamo confrontare la pianta misteriosa con gli esemplari contenuti nell’erbario, fino a trovare quello che le assomiglia di più. È una fotografia del passato Gli erbari che contengono esemplari raccolti tanto tempo fa rappresentano un’importantissima testimonianza di com’era un certo ambiente nel passato. In pratica è come se salissimo su una macchina del tempo per vedere com’era il paesaggio in un preciso luogo anni prima: ad esempio, costruzioni o bonifiche possono aver portato negli anni alla riduzione e perfino alla scomparsa di piante di cui ormai si può trovare traccia solo negli erbari. È uno specchio dell’ambiente La pianta in genere non può muoversi come gli animali e quindi è come fosse una centralina ambientale che registra i dati di quello che succede in un preciso luogo. Ad esempio, dallo spessore delle cere sulle foglie delle piante si può dedurre l’andamento delle piogge acide in un certo periodo.

È una miniera di informazioni L’erbario può essere utilizzato anche per ricostruire il percorso delle spedizioni scientifiche, frequenti a partire dal Settecento e responsabili dell’arrivo di nuove piante in parchi e giardini, oltre che di risorse alimentari o medicinali prima sconosciuti. Inoltre sui fogli degli erbari c’è spesso un cartellino che, in aggiunta al nome scientifico, può dare informazioni sugli usi alimentari, medicinali e tessili tipici di determinate regioni o territori, che altrimenti rischierebbero di andare perse nel tempo. È un archivio storico Spesso nei nostri giardini vengono coltivate piante provenienti da altri continenti. Crescendo, i loro semi possono diffondersi nell’ambiente circostante, ma è solo se ne abbiamo conservato un pezzetto in un campione essiccato che, con il passare degli anni, potremo risalire alla data d’arrivo in Italia e seguire il cammino che hanno percorso.

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I protagonisti della botanica La botanica è quella parte della biologia che studia i vegetali. Nata quando l’uomo preistorico doveva scegliere il legname per costruire le palafitte, i frutti da mangiare, le piante per curare le malattie o da cui ottenere colori per raccontare le sue storie, è una materia vastissima che dai funghi arriva alle palme passando per le alghe, i licheni, le felci, i pini e tutte le piante con fiori e frutti. Tanti sono i personaggi che hanno permesso alla botanica di fare grandi progressi. Alcuni nomi sono famosi in tutto il mondo, altri sono meno conosciuti, ma ognuno di loro ha contribuito allo sviluppo delle nostre conoscenze scientifiche. P I E T R O A N D R E A M AT T I O L I 8

Il medico Pietro Andrea Mattioli nacque a Siena, ma passò la sua infanzia a Venezia e a Padova, per poi trasferirsi per lavoro in Trentino. Mattioli divenne famoso perché nel Cinquecento tradusse dal greco l’opera De Materia Medica di Dioscoride aggiornandola con nuove scoperte. Aggiunse la descrizione, la storia, l’indicazione delle proprietà medicinali e degli usi popolari di alcune centinaia di piante sconosciute ai tempi di Dioscoride. Inserì molte specie del Trentino che lui stesso aveva osservato e classificato, ma anche piante utilizzate nelle tradizioni popolari di altri Paesi che amici e viaggiatori gli avevano inviato, perfino specie provenienti dall’Oriente e dalle Americhe. È suo, ad esempio, il primo disegno dell’albero e del frutto del banano, sua la seconda illustrazione nota del cavolfiore o la prima del pomodoro. Il lavoro di Mattioli fu importantissimo:

i suoi disegni erano davvero precisi, le specie inserite nell’opera erano tante e le informazioni riportate corrette. Ma ancora più importante fu la sua scelta di scrivere in italiano e non in latino come si usava allora: in questo modo il suo lavoro poteva essere facilmente letto non solo da speziali, erboristi, medici ma anche da non esperti.


CARLO LINNEO Un nome molto noto è quello di Carl Nilsson Linnaeus, in italiano Carlo Linneo, grande naturalista svedese del Settecento che volle mettere un po’ di ordine nel caos che dominava il regno vegetale, in cui una stessa specie poteva avere due, ma anche tre, quattro o più nomi. Studiando le caratteristiche dei fiori, si accorse che piante diverse presentavano fiori simili, per cui era possibile riunirle in uno stesso gruppo. Ebbe però anche un’altra idea. All’epoca si usava assegnare una frase per identificare una specie, ma spesso era difficile da ricordare. Linneo pensò di semplificare le cose dando alle piante una sorta di nome e cognome in latino, che all’epoca era la

lingua comune tra gli scienziati. Il primo nome, scritto con l’iniziale maiuscola e che possiamo far corrispondere al cognome, indicava il genere, cioè il gruppo di appartenenza, mentre il secondo termine, scritto in minuscolo e che possiamo far coincidere col nostro nome, individuava la specie. Con questo sistema bastava ricordare due parole e non una frase intera! Ad esempio, per indicare la patata prima si usava la frase Solanum caule inermi erbaceo, foliis pinnatis integerrimis (Solanum a fusto erbaceo senza spine, foglie intere pennate), mentre dopo la classificazione di Linneo si cominciarono a usare soltanto due parole: Solanum tuberosum.

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Botanici padovani Troviamo botanici famosi anche tra gli scienziati che hanno studiato all’Università di Padova, fondata nel 1222, e che hanno lasciato nel Museo botanico della città le loro collezioni a testimonianza degli studi e delle scoperte fatte. Il Museo si trova all’Orto botanico fondato da Buonafede nel 1545 e raccoglie numerose collezioni legate all’insegnamento delle scienze e alle ricerche che si facevano in passato. Ci sono semi di diversa forma e dimensione, frutti europei ed esotici, tavole didattiche, modellini di funghi o strutture vegetali costruiti a metà Ottocento ma soprattutto tante piante essiccate.

I FUNGHI DI PIER ANDREA SACCARDO 10

Pier Andrea Saccardo fu direttore dell’Orto botanico nella seconda metà dell’Ottocento. La sua più grande passione fu lo studio dei funghi, non tanto quelli grandi e buoni da mangiare, quanto piuttosto quelli molto piccoli e generalmente chiamati muffe.

La sua collezione comprende circa 69 000 esemplari raccolti nella provincia di Treviso, nei dintorni di Padova e soprattutto nell’Orto botanico della città, oltre a materiale che gli era stato inviato da tutta Italia e dal resto del mondo.


LE ALGHE DI ACHILLE FORTI Studente di Saccardo e grande esperto di alghe, Achille Forti raccolse, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, circa un migliaio di generi diversi provenienti da acque dolci e salate, a cui aggiunse quasi 8000 vetrini con alghe piccolissime dette diatomee. Prima di

morire, lasciò all’Università di Padova la sua collezione botanica che testimonia le esplorazioni geografiche del suo tempo, gli usi popolari delle alghe e la migrazione di diverse specie da un luogo all’altro in seguito, ad esempio, ai cambiamenti climatici.

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L’Erbario di Padova

La parte più antica del Museo botanico è l’Erbario, che nasce nel 1835. Il nucleo di partenza sono le piante coltivate nell’Orto botanico cittadino, raccolte dall’allora direttore Giuseppe Antonio Bonato. A queste si sono poi aggiunte collezioni provenienti da diversi Paesi del mondo finché, un po’ alla volta, si sono superati i 700 000 esemplari, tanto da rendere questa struttura il quarto Erbario in Italia per quantità di materiale. Negli armadi che rivestono le pareti dell’Erbario ci sono piante raccolte da semplici appassionati e da illustri botanici italiani e stranieri.


Conosciamo le piante Cosa accomuna le microscopiche alghe che vivono negli oceani alle gigantesche sequoie delle foreste della Sierra Nevada? Sono capaci di compiere la fotosintesi: catturano l’energia luminosa del sole e la trasformano in energia chimica, rendendola disponibile per tutti gli altri organismi e creando le condizioni giuste per la vita sulla Terra. I N C R E D I B I L E VA R I E TÀ

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Il mondo delle piante è caratterizzato da una straordinaria diversità di forme, dimensioni, adattamenti ad ambienti molto diversi, dai deserti alle foreste tropicali, dalle pareti rocciose verticali alle acque. Le specie erbacee sono prive di tessuto legnoso. Alcune di esse, le annuali, come ad esempio il girasole o il papavero, germinano, fioriscono, producono i semi e muoiono in fretta, nell’arco di pochi mesi. Altre sono invece chiamate biennali: Pianta annuale

nel primo anno di vita producono solo le foglie, al secondo fioriscono e fruttificano, poi muoiono. Infine le perenni possono vivere per tempi più lunghi e produrre fiori e semi per più anni consecutivi. Alcune perenni, come ad esempio il tulipano o il bucaneve, scompaiono alla vista quando le condizioni diventano sfavorevoli alla loro sopravvivenza e si rifugiano sottoterra, ma ricompaiono quando il clima migliora.

Pianta perenne


Alberi e arbusti sono invece dotati di una struttura legnosa permanente e possono vivere anche centinaia di anni. Hanno in genere dimensioni molto maggiori rispetto alle specie erbacee perché i loro tessuti sono irrobustiti dalla lignina, un composto che li rende solidi. In genere gli alberi hanno un solo fusto, da cui si dipartono molti rami, mentre gli arbusti

hanno più fusti che partono dalla base, anche se questa distinzione non sempre viene rispettata. Le piante legnose possono essere latifoglie cioè avere foglie con lamina ampia, o aghifoglie, cioè con foglie sottili ad ago. Possono essere sempreverdi, cioè conservare le foglie per tutto l’anno o spogliarsi in autunno se sono decidue.

13 Arbusto Alberi

Piante d’artista

Il modo migliore per capire qualcosa è... vederla! Oggi è molto facile: spesso ci basta consultare internet per trovare migliaia di foto e disegni, ma fino a qualche tempo fa non era certo possibile. In passato la soluzione migliore (e a volte l’unica) era quella di utilizzare dei “cartelloni disegnati”, veri e propri dipinti che mettevano in evidenza anche i particolari più microscopici delle piante.


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