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N.4 GI
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004N.46) ART.1, COMMA I, DCB MILANO
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ANTRO
OG A I F O S PO
FOCUS ONCOLOGIA con contributi di G. Bandiera, F. Berrino, C. Bertotto, S. Cavinato, F. De Fusto, G. Fariselli, V. Fintelmann, S.M. Francardo, G. Prouse, R. Rovida, E. Soresi, G. Verusio, E. Zavattaro
EDITORIALE
Estate 2016 Con passi da gigante abbiamo messo alle spalle la Primavera e siamo giunti in Estate praticamente senza accorgercene. Vivere in città ci allontana in certo qual modo dalla percezione diretta della natura. È vero che sentiamo di più il canto degli uccelli in Primavera, ma c’era di certo un’altra atmosfera quando la cicogna portava nel suo becco alle famiglie degli abitanti dei villaggi i bambini appena nati. Nelle zone più nordiche le famigliole di cicogne tornavano dalle loro migrazioni per occupare nuovamente sempre lo stesso nido costruito solidamente sul camino di una casa. Anche le rondini ritornano più o meno nello stesso momento. Ricordo quando vivevo in Alsazia: allora grandi e piccoli correvano per strada urlando di gioia per festeggiare il loro ritorno. Negli ultimi tempi, però, per salvaguardare le cicogne che diminuivano anno dopo anno, visto che sempre meno tornavano dal loro lungo viaggio in Africa, si è scelto di tenerle in gabbia durante l’inverno. Per questo dobbiamo coltivare coscientemente un legame con la natura e c’è da meravigliarsi come sia possibile che nonostante il crescente inquinamento, gli uccelli e anche gli alberi rimangono così belli e fedeli. Il focus di questo numero è dedicato al cancro. Un’occasione per lasciare spazio a diversi approcci a questa malattia che si potrebbe definire malattia sociale della nostra epoca, e che, secondo Steiner, rappresenta un diretto attacco all’Io dell’uomo. Nell’intervista, Volker Fintelmann, parla di morte animica, in quanto l’Io tende ad annidarsi, senza diritto, nell’organizzazione sensoriale del corpo e a fargli perdere il suo carattere di eternità. Sullo sfondo si pongono le forze di Sorat, il mondo dell’Anticristo. In questo numero è stato inoltre affrontato un argomento molto spinoso, e delicato: il coinvolgimento di alcuni antroposofi col Nazismo e il Fascismo. Questa prima parte riguarda la Germania, nel prossimo numero si farà una ricerca sullo stesso argomento rispetto all’Italia. È della massima importanza che ciò venga portato a coscienza in quanto direttamente legato a pesanti effetti karmici. Il nazismo non è morto, anzi come un brutto ragno tesse ancora la sua ragnatela sulla storia attuale, seducendo tanti giovani che fanno fatica a inserirsi nel mondo del lavoro. È una situazione coperta dall’inquietante silenzio dei media in tutta Europa. Perché non ci viene detto che nel 2012, se non ci fosse stato il pugno di ferro di Putin (che non è di certo un santo), i neonazisti avrebbero preso il potere in Russia? E non dimentichiamo i criminali nazisti che non potendo tornare in patria per paura di essere identificati, dopo la guerra hanno scelto di trasferirsi in Ucraina, in Moldavia e in tanti altri paesi dell’Est Europeo. Paesi dove ora vivono i loro figli. Non dobbiamo dimenticare che a causa dell’ultima guerra mondiale molti uomini hanno perso la loro patria. Prendiamo l’esempio di Thomas Mann che ha dovuto abbandonare la sua Buddenbrookhaus nell’amata Lubecca, la città praticamente rasa al suolo dalla Royal Air Force. Nel 1942, in una trasmissione della BBC rivolta al pubblico di lingua tedesca, Mann riferì: “… penso a Coventry, e non ho niente da ridire contro la lezione che tutto debba essere pagato”. La distruzione di Lubecca e di Dresda era la risposta all’attacco terribile che portò alla distruzione di Coventry – un gioiello dell’architettura inglese – da parte della Luftwaffe del 1940.
ARTEMEDICA ANTROPOSOFIA OGGI
n. 42 - estate 2016 iscritta al tribunale di Milano al n. 773 registro stampa, 12.10.2005 WWW.EDITRICENOVALIS.COM
Direttore Responsabile Cris Thellung
Direzione Culturale Paulette Prouse
Redazione e coordinamento editoriale Anna Chiello Bruno Lanata
Traduzioni Daniela Castelmonte Giuseppina Quattrocchi
Impaginazione e grafica Giulia Boffi
Stampatore La Tipografia s.n.c Via Bramante 5, Buccinasco (MI) Stampato su carta Cyclus® 100% fibre riciclate – Colore naturale senza azzurranti ottici (OBA) – Prodotto in linea con le più severe certificazioni ambientali.
Per testi e immagini di cui non è stato possibile rintracciare i detentori dei diritti, l’editore si dichiara sin d’ora disponibile a riconoscere i diritti a chi ne facesse legittimamente richiesta. Eventuali indicazioni terapeutiche presenti negli articoli sono da considerarsi esemplificative e generiche e non sono applicabili a singoli casi senza il consulto di uno specialista.
Concessionaria per la pubblicità EDITRICE NOVALIS Via Angera, 3 - 20125 Milano tel. 026711621 - fax. 0267116222 mkt@librerianovalis.it
SOMMARIO Estate 2016 Convegno annuale della Società Antroposofica 4 E le stelle stanno ad ascoltare • Simona Casoli
6 Commissioni per la Verità
Amnistia – Riconciliazione • dalla conferenza di Gianni Simoncini
26 Cancro: il tramonto di un mito? • Giulietta Bandiera
28 L’antroposofia al tempo del Nazionalsocialismo • Paulette Prouse
29 Il futuro dell’agricoltura biodinamica • intervista a Carlo Triarico
7 Il rapporto da uomo a uomo e la nuova relazione con le Gerarchie • da appunti di Monica Bernardi
FOCUS Oncologia 10 Un futuro di guarigione • intervista a Enzo Soresi
Associazione Menschen
33 De omnibus disputandum perché si attacca l’agricoltura biodinamica? • Maurizio Pietro Morisco
36 Dalla medicina basata sull’evidenza a una medicina incentrata sul paziente • Giorgio Prouse
11 La terapia con Viscum Album Fermentatum • Bruno Lanata
Arte&Anima
38 Fuori centro
• a cura di LeoNilde Carabba
14 Una malattia volta alla distruzione dell’Io • intervista a Volker Fintelmann
40 L’azione del doppio nella nostra civiltà • Michel Joseph
16 Per una dieta adiuvante le terapie oncologiche • Franco Berrino
20 Tumori uterini: l’importanza della prevenzione • intervista a Roberto Rovida
Il sogno di una morfologia
42 L’esperienza dell’essere del silicio Appunti di viaggio
44 La Palermo araba • Cris Thellung
21 Alimentazione a base vegetale e fisioterapia ortomolecolare
46 Dialogo Cosmico degli Alberi
23 Immunoncologia: la rivoluzione copernicana nel campo della medicina
48 Tumori: buone notizie
• Serenella Cavinato e Francesco De Fusto
L'arte di Rosa Maria Scala • Aldo Maria Pero
Libertà di scelta per medici e pazienti
• Sergio Signori
• intervista a Claudio Verusio
50 Etica invece di religione • Karl-Heinz Trischler
In allegato
Christian Rosenkreutz
Spunti e riflessioni sulla corrente Rosicruciana e l’Antroposofia di Vincenzo Bevilacqua
FOCUS
ONCOLOGIA
Nella lotta contro i tumori si aspira giustamente, si ha il giustificato ideale di poter un giorno rinunciare all'intervento del chirurgo... Il problema è quello di trovare come sostituire il bisturi del chirurgo con i suoi successi e insuccessi. Rudolf Steiner (O.O. 312)
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Oncologia
Un futuro di guarigione • intervista a Enzo Soresi
dottor Enzo Soresi, ha diretto dal 1990 al 1998 come primario la Divisione di pneumotisiologia dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano occupandosi prevalentemente di neoplasie polmonari e pubblicando su questo argomento oltre 150 lavori scientifici. Dottor Soresi, lei è un medico “scientifico”, pneumologo e oncologo, premiato con la medaglia d’oro per i cinquant’anni di professione. Eppure nel suo libro Il cervello anarchico, sviluppando il tema della PNEI, racconta della sua apertura al mondo della medicina integrata, e in particolare all’impiego del vischio per i malati di tumore polmonare. Come è avvenuto questo tipo di approccio? Il mio incontro con il vischio è avvenuto negli anni Settanta, nel periodo in cui lavoravo presso il Niguarda. Allora, sugli ottanta posti di cui disponeva il reparto di pneumologia, settanta erano occupati
da persone malate di cancro. Il tumore polmonare è sempre stata la bestia nera dell’oncologia: io lo chiamo lo squalo bianco per la sua inesorabilità. Nel mio libro racconto come una sera bussò alla porta del mio studio un paziente che era stato dimesso tre mesi prima. Affetto da tumore inoperabile, aveva rifiutato di sottoporsi alla chemioterapia. Ora era di fronte a me e mi tendeva una radiografia chiedendomi di visionarla. Posta la lastra sul diafanoscopio notai, confrontandola con quella che avevamo effettuato prima delle dimissioni che, in effetti, il tumore si era ridotto del cinquanta per cento. Alla domanda se aveva seguito qualche ciclo di chemioterapia rispose di no, che si era sottoposto a una cura a base di Viscum Quercus cum Hg. E mi mostrò una scatoletta e una ricetta del professor Buongiorno. Lo chiamai e fissai un appuntamento presso il suo studio. Allora ero un giovane medico ancora fresco di laurea, lui era un signore di ottant’anni. Medico steineriano, dotato di una cultura affascinante, nonché di straordinaria saggezza, mi spiegò come utilizzasse il vischio per il suo effetto antiproliferativo e la capacità di stimolare il sistema immunitario, integrandolo con altre sostanze che ne potenziavano l’effi-
Cellule cancerose nel corpo umano
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cacia. Da allora sono solito prescrivere il Viscum Quercus come terapia adiuvante e come terapia integrata durante la chemioterapia, con risultati soddisfacenti. Chi voglia approfondire il tema del vischio potrà leggere (nelle pagine seguenti) gli articoli con gli interventi del dottor Sergio Maria Francardo e dottor Corrado Bertotto, oltre all’intervista al dottor Volker Fintelmann. Crede quindi che sia superato l’approccio proposto dalla medicina basata sull’evidenza? Personalmente ho sempre affrontato la medicina in senso scientifico, rivolgendomi alla cosiddetta medicina basata sull’evidenza. Anche nell’oncologia, però, in presenza di una chiara criticità legata alla scarsa risposta a trattamenti chemio e radioterapici che mortificano la biologia, l’apertura alla medicina integrata propone interessanti prospettive proprio nell’uso di sostanze – dal vischio alla micoterapia – volte a ottimizzare la risposta del sistema immunitario. Attualmente si registrano sostanziali novità in campo oncologico? Oggi, grazie ai progressi dell’immunoterapia, si aprono nuove, concrete speranze non solo nel campo della cura ma anche in quello della prevenzione, come potete leggere nell’intervista al dottor Claudio Verusio che offre un’esaustiva panoramica sulle possibilità e sui rischi connessi al potenziamento del sistema immunitario in chiave anti-cancro. Certo, in ogni caso occorre ricordare l’importanza dei controlli periodici e del supporto dello specialista nel campo della diagnosi precoce, di cui ci parla il dottor Roberto Rovida (a pag. 20) che
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Oncologia approfondisce il tema dei tumori legati all’apparato genitale femminile. Altro aspetto fondamentale da prendere in considerazione è quello della nutrizione; aspetto che rientra nell’ambito dei meccanismi di vita e morte delle cellule in generale e di quelle tumorali in particolare. Semplificando, si può vedere come in effetti la cellula tumorale ami lo zucchero e soffra l’ossigeno. Da qui tutto l’interesse degli studi dedicati alla necessità di una corretta alimentazione rivolta a ridurre l’infiammazione dei tessuti sostenuta dai derivati dello zucchero ( AGEs) e all’influenza dell’attività fisica sul cancro attraverso la stimolazione dell’attività mitocondriale che ottimizza l’ossigenazione cellulare. Quindi, più movimento, più attività fisica vuole dire invecchiare meglio e ridurre i rischi di sviluppare un tumore. Per meglio comprendere come il nostro stile alimentare possa favorire o contrastare lo sviluppo dei tumori si rimanda all’articolo del dottor Franco Berrino (a pag. 16), da anni una delle figure di riferimento in questo campo della ricerca. Occorre anche fare riferimento alle ripercussioni che la fisica quantistica ha avuto sulla medicina, consentendo di integrare i fenomeni biologici con aspetti inerenti i campi biofisici, elettrici e magnetici. In questo senso vorrei ricordare l’esempio della miracolosa guarigione da un melanoma metastatico di un contadino dopo aver ricevuto in dono un’immagine sacra da Madre Teresa di Calcutta, fatto di cui avevo dato testimonianza sempre nel mio libro. Qui il processo di risanamento può essere inquadrato come un atto di trascendenza – attraverso il quale la mente si libera da una serie di composizioni preordinate – che potrebbe essere interpretato come un salto quantico. Una chiave di lettura che ci fa presagire come la medicina quantistica possa offrirci un futuro di guarigione.
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La terapia con Viscum Album Fermentatum Organizzati da Weleda Italia, si stanno attualmente svolgendo in Italia una serie di incontri introduttivi dedicati a questo fondamentale trattamento antroposofico. Nell’incontro svoltosi lo scorso maggio a Milano erano presenti, quali relatori: Sergio Maria Francardo, Corrado Bertotto e Giuseppe Fariselli. • Bruno Lanata Nell’ambito della medicina antroposofica i preparati a base di vischio sono quelli maggiormente e più ampiamente studiati, utilizzati soprattutto per il trattamento adiuvante delle malattie tumorali. A tal proposito, Rudolf Steiner aveva affermato nella conferenza tenuta a Dornach il 2 aprile del 1920: “Nella lotta contro i tumori si aspira giustamente, si ha il giustificato ideale di poter un giorno rinunciare all’intervento del chirurgo; si tratta di un’aspirazione oggi non ancora realizzabile, a causa delle condizioni igienico-sociali che dovranno esse pure venire trasformate, parallelamente agli altri processi. (…) Il vischio è (…) certamente il medicamento che, dinamizzato in modo opportuno, dovrà un giorno sostituire il bisturi del chirurgo per quanto riguarda le malattie tumorali. Bisognerà soltanto trovare il modo di usare giustamente soprattutto i frutti del vischio, senza però trascurare altre forze del vischio stesso, per ottenere un vero farmaco.” (O.O. 312) Dalla profonda intuizione di Steiner sulle potenzialità di questa pianta sempreverde, grazie alla collaborazione della dottoressa Ita Wegman si giunse, da prima, alla messa a punto del rimedio denominato Iscar e, quindi, alla preparazione dell’Iscador®.
Da allora l’utilizzo del Viscum si è diffuso in gran parte dell’Europa, e oggi la terapia antroposofica con vischio è il trattamento più comunemente prescritto nella terapia oncologica complementare nei paesi di lingua tedesca. Già nel 1999, in Germania oltre l’80% dei pazienti oncologici ricorreva alle medicine non convenzionali, di questi circa il 60% usava il Viscum (Stoll, 1999). Sia in Germania che in Svizzera il Viscum album fermentatum. rientra tra i prodotti dispensati dal sistema sanitario. (fonte: Le malattie tumorali, a cura di O. Sponzilli e G.F. Di Paolo) Il vischio e la medicina integrata “In Europa – ha sottolineato il dottor Corrado Bertotto durante il suo approfondito intervento nel corso dell’incontro milanese – esistono diversi ospedali e importanti centri oncologici che utilizzano il vischio. In Germania ci sono cinque ospedali, una clinica convenzionata e diverse case di cura e centri riabilitativi. In Svizzera abbiamo due Ospedali (ad Arlesheim e a Richterswil), i Centri di Medicina integrata negli ospedali cantonale ed universitari di San Gallo, Zurigo e Berna, il Reparto di medicina complementare a Scuol, la Casa Andrea Cristoforo ad Ascona
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Oncologia Il futuro del vischio L’estratto di vischio elaborato come Viscum album fermentatum (Iscador® denominazione internazionale) è un medicinale sviluppato dalle conoscenze mediche e farmaceutiche antroposofiche. Si tratta di una risorsa fondamentale per la terapia del paziente con malattia tumorale e ciò che impressiona ancor di più è il fatto che ha in sé la possibilità di rispondere a 360° alle necessità del paziente stesso e del medico. Infatti agisce sia direttamente sulle cellule tumorali provocandone la morte, sia indirettamente sul tumore migliorando la capacità del sistema immunitario di controllarlo; inoltre protegge il paziente dagli effetti collaterali sviluppati dalla chemio e radioterapia sia a livello cellulare, velocizzando i processi riparativi delle cellule sane, sia a livello globale inducendo nel paziente una generale sensazione di benessere testimoniata anche da tutti i questionari sulla Qualità della vita somministrati a scopo di ricerca. La sua prescrizione da parte del medico, sebbene orientata da linee guida generali, non è rigidamente legata a un protocollo e richiede di essere affinata ascoltando con attenzione le reazioni che il paziente racconta di avere alla terapia. Questa attitudine all’ascolto del paziente che il Viscum album fermentatum sollecita al medico, apre anche la possibilità di entrare nella sua biografia avviando così un processo di attribuzione di significato della malattia e di riconoscimento di sé, elementi non meno importanti dei farmaci in un percorso di guarigione. Sono questi, in sintesi, i motivi che hanno reso il Viscum album fermentatum il medicamento della medicina non convenzionale più prescritto in ambito europeo nella pratica dell’oncologia integrata. Accanto all’esperienza clinica di molti medici che si è sviluppata negli ultimi cento anni, l’enorme mole di dati e studi scientifici oggi disponibili che mostrano i benefici di questo preparato è l’ultima e stringente evidenza che appare poco etico non prendere in considerazione. Tutti i medici che hanno voluto e potuto offrire ai loro pazienti questo straordinario medicamento sperano per il futuro in un suo possibile riconoscimento come farmaco registrato a tutti gli effetti anche in Italia. dottor Emilio Zavattaro Medico membro SIMA (Società Italiana di Medicina Antroposofica) in Ticino. In Italia invece si trova La Casa di Salute Raphael, casa di cura e centro termale”. “Negli ultimi vent’anni sono stati realizzati numerosi studi clinici, soprattutto in Germania, sui derivati del vischio – ha proseguito il dottor Bertotto – che hanno messo in evidenza come questi ultimi migliorino la qualità della vita, favoriscano la riduzione degli effetti collaterali di radio e chemioterapia quali nausea, vomito e immunodepressione e allunghino il tempo di sopravvivenza. Questo grazie alla capacità del vischio di stimolare e modulare il sistema immunitario e di stabilizzare e favorire la riparazione del DNA. Producono, inoltre, un potenziamento delle difese endogene, e riducono la predisposizione alle infezioni. Ragguardevole è anche la riduzione
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della sintomatologia dolorosa derivante dalla patologia. La somministrazione di preparati a base di vischio, sostanza dal comprovato effetto immunomodulante, effettuata insieme ad altri trattamenti clinici – tra i quali l’ipertemia esogena (total body o locale profonda) e l’ipertermia endogena, ma anche i bagni in dispersione oleosa – possono contribuire in modo sostanziale al benessere del paziente.” L’albero ospite Nel determinare l’efficacia terapeutica, fondamentale importanza riveste l’albero ospite, ossia il tipo di pianta che ha accolto il vischio, grazie al quale – affermava Rudolf Steiner – è possibile sviluppare una relazione con determinati organi. “Anche nelle indicazioni originali di Rudolf Steiner, l’aspetto
dell’albero ospite riveste un ruolo fondamentale nella terapia antroposofica con il vischio. Possiamo infatti vedere come esista una decisa differenza nel trattamento degli adenocarcinomi e dei tumori epiteliali”, ha evidenziato il dottor Bertotto parlando della sua esperienza presso la Klinik Arlesheim. “Semplificando, potremmo dire che nel primo caso sono tendenzialmente indicate tipologie di vischio provenienti dalle latifoglie, quali la quercia e il melo, mentre nel secondo si preferiscono derivati dalle conifere, quindi abete e pino. A questo schema fa eccezione il carcinoma mammario, che rientra tra gli adenocarcinomi. Per questo tipo di carcinoma viene anche indicato, soprattutto nella postmenopausa ma in alcuni casi anche nella premenopausa, il vischio di pino oltre a quello del melo. In ogni caso la scelta del tipo di albero ospite è spesso basata sulle caratteristiche individuali del paziente e della sua storia clinica”. L’esperienza del medico di famiglia “Nel corso della mia carriera mi sono frequentemente trovato ad affrontare il tema della patologia tumorale”, ha ricordato il dottor Sergio Maria Francardo, nel suo intervento durante l’incontro organizzato da Weleda Italia. “Certo, come medico di medicina generale inizialmente non disponevo delle conoscenze proprie a un oncologo ma, grazie al costante rapporto con gli specialisti, ho avuto modo di sviluppare cultura e competenze sull’argomento. Nella mia professione ho quindi avuto modo di maturare un’approfondita pratica nell’utilizzo del vischio a livello terapico. Quello che mi ha confortato e mi ha dato coraggio – ha proseguito il dottor Francardo – è la possibilità, anche per un medico non oncologo, di stare vicino al paziente e di aiutarlo riguardo a tantissimi aspetti. Anzi, rispetto allo specialista, il medico di famiglia ha il vantaggio della relazione che si crea con il paziente; relazione destinata a durare nel tempo.
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Oncologia Una naturale vocazione a proteggere l'organismo “Nella mia carriera professionale ho avuto diversi pazienti tumorali, alcuni dei quali seguo da oltre trent’anni”, prosegue il dottor Francardo. “Nel tempo si è venuto quindi a creare un coinvolgimento che riguarda la biografia, la stessa vita delle persone. È questo un aspetto che conferisce al medico di famiglia un’ulteriore responsabilità, in quanto il paziente sviluppa una fiducia che non è solo legata al rapporto professionale ma anche a quello personale, frutto delle esperienze vissute assieme. Ad esempio, mi sono trovato più volte ad affrontare il tema dei fibromi e dei miomi uterini. Quello che mi ha colpito in questi casi è il fatto che siano strettamente connessi con gli aspetti profondi della vita della donna. Così, mi è capitato di assistere alla loro regressione e anche alla loro scomparsa nel momento in cui, nella relazione con la paziente, è emerso un elemento fondamentale della sua storia personale più intima. Per questo occorre portare nella sede tumorale le forze animiche. In questo senso la terapia con il vischio ha naturalmente delle indicazioni in quanto il compito del vischio è proprio quello di riportare il corpo vitale e il corpo animico in connessione, di ricreare un dialogo per dissolvere la dissociazione che è alla base della crescita tumorale. In fondo il vischio – ha concluso il dottor Francardo – è un parassita che non fa del male alla pianta, e ha una naturale vocazione a proteggere e a difendere l’organismo dagli attacchi del mondo”. Interessante ricordare a questo proposito quanto affermato del biologo Rolf Rüdiger Dorka per il quale “se si osserva il vischio dal punto di vista della metamorfosi evolutiva si può certo parlare di un’immagine animica e di un’immagine spirituale. Immaginativamente, nella sua metamorfosi il vischio sviluppa qualcosa che ricorda il seme all’interno del frutto e
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ciò rimanda all’animico che, in esseri superiori, diviene qualcosa di autenticamente astrale”. Utile anche a livello di prevenzione “A un certo punto della mia carriera di medico all’interno dell’Istituto Tumori di Milano ho cominciato a rendermi conto che, nonostante tutte le grandi novità di cui potevamo allora finalmente disporre, eravamo ancora lontani dalla possibilità di guarire la maggior parte delle persone ammalate di cancro”, ricorda il dottor Giuseppe Fariselli. “Per questo ho cominciato a cercare nuovi percorsi in grado di integrare le mie conoscenze rispetto alla medicina ufficiale che avevo fino ad allora studiato. Mi sono quindi avvicinato alla medicina antroposofica e ho iniziato a utilizzare il vischio, anche se all’inizio con una certa titubanza. Avevo infatti degli amici che avevano avuto il cancro e che si erano curati con il vischio. Ho quindi iniziato a trattare i pazienti con questo tipo di terapia, utilizzandola sempre in abbinamento con le terapie convenzionali. Tra le patologie che affliggono i pazienti che ho attualmente in cura, la più diffusa è sicuramente il tumore della mammella, ma curo anche persone affette da altri tipi di tumore, in particolare dell’apparato digerente, polmone, rene, utero, linfomi, melanomi e sarcomi. Utilizzo il vischio non solo contemporaneamente alle terapie convenzionali, ma fin dal primo impatto con una diagnosi di cancro accertato o anche solo sospetto, al termine dei trattamenti, in caso di recidive o metastasi. In tutti questi casi ho sempre registrato un netto miglioramento della qualità di vita del paziente che assumeva il vischio. Oltre alla riduzione del dolore che poteva essere così tenuto sotto controllo. Ma non solo. Il vischio può oltretutto essere utilizzato a livello preventivo, ed è generalmente privo di effetti collaterali”, ha concluso il dottor Giuseppe Fariselli. “L’ho provato su di me e mi sento di consigliarlo”.
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dottor Corrado Bertotto, medico specialista in medicina generale, già primario del reparto di oncologia integrata presso la Ita Wegman Klinik (Svizzera) ed ora presso la Klinik Arlesheim (Svizzera), nonché membro SIMA (Società Italiana di Medicina Antroposofica). A breve entrerà a far parte dello staff della Casa Andrea Cristoforo di Ascona. dottor Sergio Maria Francardo, membro SIMA (Società Italiana di Medicina Antroposofica), docente nei corsi per medici e farmacisti di Medicina Antroposofica, svolge seminari e corsi di alimentazione nell’ambito delle attività legate all’agricoltura biodinamica.
dottor Giuseppe Fariselli, medico oncologo, ex dirigente medico all’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano, Divisioni di Chirurgia Oncologica, Oncologia Medica.
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Oncologia
Immunoncologia:
la rivoluzione copernicana nel campo della medicina Stiamo oggi vivendo un momento decisivo nella cura del tumore. Tra i nuovi percorsi indicati dalla ricerca scientifica si sta prepotentemente affermando l’immunoterapia, ossia la possibilità di utilizzare il nostro sistema immunitario in chiave anticancro. Intervista a Claudio Verusio Le notizie si rincorrono, tanto che sembra quasi impossibile riuscire a starci dietro. Arrivano da Chicago, dal Congresso della società americana di oncologia clinica Asco, dall’università Johannes Gutenberg a Mainz in Germania, ma anche e soprattutto dall’Anderson Cancer Center dell’Università del Texas a Houston, dove lavora l’immunologo James Allison cui si devono alcune promettenti scoperte. Le novità fanno riferimento ai risultati ottenuti grazie all’immunoncologia anche nei confronti di forme tumorali particolarmente aggressive, come il melanoma in
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stadio avanzato, che fino a ora risultavano refrattarie alle cure chemioterapiche. Di queste novità parliamo con il dottor Claudio Verusio, medico oncologo, Direttore di Struttura Complessa di Oncologia Medica dell’azienda ospedaliera A.O. Busto Arsizio, P.O. Saronno. Dottor Verusio, innanzi tutto potrebbe spiegarci che cos’è l’immunoterapia e quali sono i principi su cui si basa il suo funzionamento? L’immunoterapia, in estrema sintesi, potrebbe essere definita come una pratica che agisce sul sistema immunitario po-
tenziandolo in modo da sfruttare le difese naturali dell’organismo nei confronti delle malattie. Da sempre il sogno degli oncologi è stato quello di utilizzare questo principio anche in campo oncologico. In effetti, se quella tumorale è una cellula che subisce una modificazione rispetto alle caratteristiche originarie, questa dovrebbe essere trattata dal nostro sistema immunitario come un elemento estraneo all’organismo, e quindi attaccata alla stregua di quanto avviene per virus e batteri. Allo stesso modo il tumore nel suo insieme dovrebbe subire forme di rigetto come avviene per un organo trapiantato.
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Oncologia
dottor Claudio Verusio, direttore di Struttura Complessa di Oncologia Medica, A.O. Busto Arsizio, P.O. Saronno. Per quali ragioni le cellule tumorali non vengono aggredite e distrutte dalle difese immunitarie? Fino a pochi anni fa i tentativi di creare un vaccino terapeutico in chiave anticancro non avevano dato risultati soddisfacenti. Tanto che, negli ultimi decenni, gli studi sull’immunoterapia si sono drasticamente ridotti. La ricerca si è piuttosto concentrata sulle target therapy, ossia sulle terapie bersaglio, sviluppatesi in seguito alla decodificazione del genoma umano e al conseguente sviluppo della ricerca di biologia molecolare. Questo tipo di terapie hanno offerto risultati molto validi. Inoltre, rispetto alla chemioterapia, il cui limite maggiore risiede nel non essere selettiva – vale a dire che colpisce indifferentemente tutte le cellule, sia quelle neoplastiche sia quelle sane, provocando gli effetti collaterali che tutti conosciamo – la target therapy, come dice il nome, è una terapia mirata, ossia la sua azione è specificamente rivolta verso le cellule tumorali.
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Quindi, la sperimentazione in campo immunoterapico è stata abbandonata? In realtà il sogno dell’immunoterapia in campo oncologico non è stato completamente abbandonato. Recentemente, grazie proprio alle nuove conoscenze nel campo della biologia molecolare siamo riusciti a comprendere più a fondo i meccanismi che regolano il sistema immunitario e, quindi, a comprendere la strategia messa a punto dai tumori per difendersi dall’azione del sistema immunitario. Il sistema immunitario è naturalmente programmato per riconoscere gli antigeni tumorali come estranei e, di conseguenza, ad attaccarli per bloccarne la proliferazione. Compito questo deputato ai linfociti T. E: in effetti, quando viene effettuato l’esame istologico di un tumore si riscontra la presenza di infiltrati linfocitari. Questi però risultano inerti di fronte alla crescita tumorale. Oggi, grazie agli studi di James Allison, studi per i quali probabilmente gli verrà assegnato il premio Nobel, sappiamo come le cellule cancerose riescono a ingannare il sistema immunitario. E di conseguenza sappiamo come sia possibile superare questo ostacolo. Potrebbe spiegarci in cosa consiste la scoperta di Allison? La natura ha programmato il nostro sistema immunitario in modo tale da attivarsi in presenza di germi e batteri, così come di cellule tumorali. Struttura portante della nostra risposta immunitaria adattiva sono i linfociti T, globuli bianchi specializzati che, quando necessario, vengono attivati: cominciano, quindi, a crescere di numero e diventano molto “aggressivi” nei confronti dell’elemento estraneo. Una volta svolto il loro compito vengono disattivati per evitare che possano provocare danni anche ai tessuti sani. Questo processo di attivazione e disattivazione avviene attraverso un complicato siste-
ma di recettori presenti nelle cellule immunitarie. Esemplificando, possiamo paragonare questi recettori a degli interruttori, on/off, agendo sui quali si avvia o inibisce l’azione dei linfociti T. Ma se il nostro sistema immunitario è naturalmente programmato per bloccare la replicazione delle cellule tumorali, perché una volta giunto nelle vicinanze della neoplasia arresta la sua carica aggressiva? Le recenti scoperte hanno evidenziato non solo che il tumore è in grado di nascondersi, ingannando i globuli bianchi ai quali si propone come una presenza innocua, ma di essere anche capace di bloccare le cellule del sistema immunitario grazie all’azione di specifici antigeni presenti sulla superficie delle cellule tumorali e nel microambiente che le circonda. Possiamo raffigurarci questi antigeni come delle “piccole dita” che vanno ad agire sugli interruttori del precedente esempio, “spegnendo” i linfociti T che arrestano la loro azione killer nei confronti del cancro. Si è pensato, quindi, di potenziare le cellule immunitarie grazie a un sistema in grado di proteggere i pulsanti on/off dei linfociti T così da bloccare l’azione inibitoria degli antigeni. Con quali tipi di tumore sono stati ottenuti i migliori risultati con l’immunoterapia? I primi test erano rivolti verso due specifici tipi di tumore, entrambi caratterizzati da una forte antigenicità, ossia dalla capacità di indurre nell’organismo la produzione di linfociti: il tumore del rene e il melanoma. In particolare quest’ultimo, considerato come il “peggiore” tra i tumori solidi, aveva già fornito interessanti risposte ai primi vaccini. In particolare negli anni Novanta era stato riscosso un certo successo con l’impiego delle cosiddette cellule NK, Natural Killer.
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Oncologia I risultati ottenuti grazie all’immunoterapia nel caso del melanoma metastatico sono stati ragguardevoli, con una percentuale di lungo sopravviventi che ha raggiunto il 20 per cento dei casi: vale a dire pazienti che riuscivano a superare i tre, quattro anni di vita in buone condizioni usando come farmaco l’Ipilimumab. Ma ancora più clamorosi sono stati i dati riscontrati con l’impiego del Nivolumab e del Pembrolizumab. Questi due farmaci, sopratutto il primo, hanno fornito risultati estremamente interessanti. Allo stato attuale, tra le persone trattate è stata registrata una sopravvivenza dopo cinque anni superiore al 40 per cento. Il che induce prudentemente a pensare di trovarci di fronte a una concreta possibilità di guarigione. Cosa inimmaginabile se si pensa che finora chi si ammalava di questo tipo di tumore in genere non sopravviveva più di sei-otto mesi, mentre i casi di lungo sopravvivenza erano veramente sporadici. Visti i risultati ottenuti con il melanoma, si è pensato di intervenire su altri tipi di tumore? Chiaramente dato che questa terapia non agisce sul tumore ma agisce sul sistema immunitario il pensiero successivo è stato di testarlo anche con altre tipologie di tumori. Certo, come dicevo, oggi sappiamo che questo tipo di farmaci che agiscono sul sistema immunitario funzionano bene anche con il tumore del rene. Sono stati anche ottenuti risultati con il carcinoma spino cellulare, che attualmente rappresenta il 25-30 per cento dei tumori del polmone, e con il linfoma di Hodgkin. Risultati preliminari interessanti si sono registrati anche per quanto riguarda i tumori della vescica e del colon. In effetti, anche il gruppo di Stanley Riddell dell’Hutchinson Cancer Research Center ha pubblicato dati estre-
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mamente promettenti, relativi a un trial in cui veniva usata l’immunoterapia sui linfociti T nei confronti della leucemia linfatica cronica (Llc), leucemia linfoblastica acuta (Lla) e linfoma non-Hodgkin. Alla luce di questi risultati, qual è il clima che si respira nella comunità scientifica? Ovviamente il clima è sicuramente positivo. Non solo per quanto finora ottenuto ma anche in una prospettiva futura, per quello che si ritiene che la ricerca nel campo dell’immunoterapia possa portare. Deve comunque essere chiaro che, anche se abbiamo ottenuto dei buoni risultati con questi farmaci, risultati che non avevamo mai visto in precedenza, esistono ancora tipi di tumore che resistono ai trattamenti immunoterapici. Perché non rispondono, a questo tipo di cure? Una tra le ipotesi che sono state fatte è legata allo scarso livello di antigenicità di alcuni tumori. Per cui il sistema immunitario, seppur molto potenziato, incontra difficoltà a riconoscerli come elementi estranei. Per rimediare a questo ostacolo si stanno mettendo a punto varie strategie. Si potrebbe, ad esempio, introdurre all’interno delle molecole di DNA del tumore dei virus depotenziati al fine di accrescerne il livello antigenico, così da renderlo più facilmente individuabile dal sistema immunitario. Un’altra strada è la combinazione di questi con i vaccini. O la combinazione di diversi farmaci immunoterapici. Potete comunque immaginare, partendo da questi presupposti, l’universo di possibilità che si sta aprendo alla ricerca nell’ambito della cure delle malattie tumorali. Insomma, abbiamo intrapreso una strada che promette di trasfor-
marsi in una lunghissima autostrada. Alcuni però muovono critiche all’immunoterapia sostenendo che se viene tolta la “museruola” ai linfociti questi possono diventare eccessivamente aggressivi e attaccare anche le cellule sane. È chiaro che potenziare molto il sistema immunitario potrebbe dare luogo, come conseguenza, a malattie autoimmuni. Possono quindi verificarsi, ad esempio, casi di tiroiditi, polmoniti, dispnea, coliti, gastriti e anche ipopituitarismo e mielodepressione, tutte patologie correlate al manifestarsi di una malattia autoimmune. Finora i casi più frequenti sono stati quelli di ipotiroidismo, dovuto all’attacco della tiroide da parte dei linfociti T attivati, e l’insufficienza surrenalica correlata all’ipofisi. In realtà, con gli attuali dosaggi questi effetti collaterali sono veramente rari. Con Nivolumab e Pembrolizumab (anti-PD-1) sono minimi, un po’ più importanti con l’Ipilimumab (anti-CTLA-4). E comunque possono essere tenuti sotto controllo. Alla luce di quanto sta avvenendo potremmo quindi supporre che in un domani non troppo lontano l’immunoterapia possa in tutto o in parte sostituire la chemioterapia e la radioterapia? Ormai ci stiamo muovendo nel senso di una sempre maggiore efficacia terapeutica con migliori risultati a fronte di tossicità sempre minori, Non solo con l’immunoterapia ma anche con le target therapy. Con la possibilità di combinare fra loro anche i diversi tipi di terapie. In quest’ottica possiamo veramente pensare non solo al superamento della chemioterapia e della radioterapia ma, in un futuro non so quanto lontano, non solo verranno drasticamente ridotti gli interventi chirurgici ma potremo finalmente parlare dell’immunoterapia anche come forma di prevenzione delle malattie tumorali.
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De omnibus disputandum perché si attacca l’agricoltura biodinamica? • Maurizio Pietro Morisco Di tutto dovremmo parlare! Pur condividendo questa esortazione che richiama alla libertà, si ha l’impressione che predomini l’irrigidimento e l’imposizione di un certo modo di vedere l’uomo e la vita lì dove si svolge la ricerca scientifica. Ora, il motivo che mi spinge a scrivere è il perché alla dialettica virtuosa si preferisce l’insulto, il preconcetto, la derisione verso quei ricercatori definiti “eretici” le cui frasi, isolate dal loro contesto, vengono ricucite in un deforme Frankenstein dell’informazione con cui spaventare e suggestionare il pubblico. Questa non è ricerca della verità! La verità si delinea nella piena libertà dell’individuo, ma certa scienza vuole che l’evento in cui l’io realizza se stesso passi inosservato. La libertà conferma l’Io che a sua volta, essendo autentico e quindi vero, conferma la libertà. La libertà di esprimerci di cui godiamo è parallela alla sempre più forte tendenza alla vigile applicazione delle regole dove il denaro, affrancato dalla sfera dei sentimenti come un dio che è causa di se stesso, è sentito come l’unico mezzo con cui dare espressione ai desideri, nel bene e nel male, ecco perché non si parla altro che di economia. Lo stesso denaro inizia ad assumere forme platoniche ed aristoteliche, la piattaforma digitale ha creato la bitcoin, una moneta virtuale, al di sopra delle regole economiche della moneta che utilizziamo ogni giorno. Che fare allora? Bisogna conoscere se stessi! Curare la propria interiorità come si fa con la terra, consci non tanto delle altrui forze ma delle proprie debolezze in un processo di immunizzazione fondato sulla conoscenza dei saperi osservati senza le lenti dei preconcetti. Vedo la malafede in chi si prodiga nell’informarci per difenderci dai ciarlatani ma che con altrettanta solerzia trasforma argomenti scomodi in “materia da esperti” come accade con gli accordi TTIP. Tutto, naturalmente, in nome del nostro bene. Vedo e continuo a vedere, anche quando mi verrebbe la tentazione di chiudere gli occhi e non vedere più niente. Michel Foucault nelle sue lezioni di biopolitica descrisse tre modi di apparire della tecnica. • Produzione, manipolazione e trasformazione. • Utilizzo dei sistemi dei segni. • Determinazione, condotta, che agisce sulle volontà e che vuole indirizzare gli individui verso precisi obiettivi. Aspetti esattamente inversi alla triarticolazione sociale di Ru-
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dolf Steiner dove è descritta una nuova relazione tra la sfera economica, giuridica e spirituale. Perché la triarticolazione e la biopolitica per parlare di agricoltura biodinamica e dei ripetuti attacchi che essa subisce? Perché questi ultimi hanno origine dalle forme di cultura descritte da Steiner nella sua Filosofia della libertà che descrivono l’uomo limitato nella sua attività conoscitiva. Ma Steiner non ravvede tali limiti e percepisce, dietro gli eventi, l’agire di un mondo spirituale cui l’uomo appartiene. Argomenti ostici per chi decide delle sorti del mondo. Nella sua ricerca, Steiner parte dall’elemento esistenziale e soggettivo per approdare alle verità oggettive, un modus operandi che è il motivo dell’avversione nei suoi confronti. La stessa massima sul retro dei testi antroposofici recita che “qui si vuol riunire nell’uomo ciò che è in terra con ciò che è in cielo” è vista come una dichiarazione di guerra da chi nega la realtà di un mondo spirituale. Separare le idee dalla realtà distrae dall’agire del pensiero libero dai condizionamenti dove, in piena verità, avviene invece la conciliazione tra idea e realtà. Nell’agricoltura biodinamica questa unione è intuibile più che nella pedagogia steineriana in quanto, seppur sezionassimo il cadavere di chi ha frequentato una scuola steineriana per capire quanto la sua vita è dipesa dall’istruzione ricevuta, non troveremmo nulla. L’idea nella realtà del mondo vegetale è invece più evidente dato che ogni pianta manca di espressione individuale. Supponendo un vissuto esemplare in chi ha frequentato una scuola steineriana, niente toglie che la causa potrebbe essere in una adolescenza felice o in un grande amore. Con una pianta i motivi della sua crescita sana sono nelle interazioni di processi fisici facilmente testabili. Non è un caso che si critica, oltre al vino, non tanto le idee su cui si fonda la biodinamica ma il vissuto di Steiner. Con pettegolezzi biografici, sicuri che le mezze verità fanno più danni delle menzogne, il confronto scade a sentimentalismo nell’intento recondito di poter apostrofare Steiner ed i suoi interpreti di dilettantismo scientifico. Per inciso, Steiner non ha mai parlato di vino biodinamico. Se la scienza, sul piano dialettico, riesce a portare discredito al biodinamico sul versante tecnico lei stessa fornisce gli strumenti con cui verificarne la qualità: questo il suo problema
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che previde Steiner affermando che le verità antroposofiche sarebbero state confermate dalla scienza. Tornando alla pedagogia, Steiner parla di innatalità ed immortalità, concetti insoliti in campo educativo ma che qui invitiamo a osservare come ciò che dal cosmo giunge alla terra, di una antropologia che in molti genera dubbi anche sulla sua validità didattica. Sarà forse per questo che non ci si affanna a confutarla ma siamo sicuri, se dovesse avvenire, che si userà il diretto legame con l’antroposofia quale spauracchio con cui intimorire la gente. Con la biodinamica, siamo più nel movimento dalla terra verso il cosmo che la scienza non può contrastare, la immediata verifica strumentale della validità del prodotto porta con sé il pericolo di una perdita di autorità della teorie scientifiche come vediamo accadere con il Dna nucleare e mitocondriale in medicina legale o la lunga diatriba sulla Xylella in Puglia e che suscitano interrogativi sulla tendenza del mondo scientifico a sconfinare in area economica o politica. Questo pericolo è reale in quanto la scienza spaccia la particolarità della causa-effetto per la totalità del fenomeno osservato. Tutto quanto non rientra nei suoi parametri diventa creduloneria e a nulla sono servite le parole del filosofo Popper, tanto stimato dal mondo scientifico, sul non formulare alcun giudizio su fenomeni inspiegabili prima di aver trovato idonei strumenti di verifica. Avviene dunque che la scienza ufficiale sopporta certe espressioni da creduloni purché i suoi interpreti dichiarino pubblicamente di non credere a quanto viene detto ma di prendere certe indicazioni quasi come un frivolo gioco di società da dame del settecento: è quanto accade con l’astrologia che per tale motivo riesce a godere di ampio spazio televisivo. Ma esiste lo strumento con cui verificare ciò che non è materiale? Steiner non solo non nega la libertà, al contrario di Spinoza che la considera appannaggio solo di Dio in quanto causa di se stesso, ma ritiene l’uomo in grado di osservare nelle causeeffetto fatti aventi origine nel mondo spirituale e non semplici automatismi. Bisogna però sviluppare la percezione del pensare, l’autentico strumento con cui cogliere nella datità del mondo una realtà spirituale. Questa la differenza tra scienza positiva e scienza dello spirito dove però la prima si contraddice in quanto, restando alle sue stesse teorie, dovrebbe mostrare tangibilmente il pensiero che produce. Vera scienza è dunque la percezione del pensiero e non del pensato dove la comunione dell’uomo è l’idea nella realtà. Ma quale realtà dell’idea vi è nelle critiche all’agricoltura biodinamica? Nel rispondere partirei da quanto riferitomi da un amico che coltiva le sue terre senza uso della chimica. Figlio di agricoltore, cresce in stretto connubio con la natura per poi impiegarsi in fabbrica con qualifica di perito. Ma il suo legame con la terra
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non è andato perduto, nel suo intimo cresce come un seme a tal punto da fargli comprendere come l’alienazione della vita di fabbrica indebolisce la volontà fino a far credere che fuori di quel contesto non vi è futuro. Lascia l’impiego e con i pochi risparmi acquista un terreno; ma l’aver aiutato in lavori di campagna è altro che dirigere una azienda agricola, in più ora è sposato e con prole. Con tenacia, sempre supportato dalla moglie, si arriva al presente dove dirige una realtà molto attiva. Trent’anni di rapporto con la terra maturano poi il pensiero che la causa delle malattie non è solo nei malesseri sociali ma anche nella scarsa qualità del cibo, un binomio che ha generato un diffuso stato di malattia cronica dove non si muore ma si resta deboli nel corpo e nell’anima per tutta la vita trattati e
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gestiti come una merce dal circuito economico delle lobby che si arricchiscono producendo, oltre i veleni, i farmaci. L’approdo alla biodinamica avviene constatandone la sua verità, motivo per l’amico, degli attacchi subiti in quanto è una agricoltura che cura la terra, non la sfrutta e non richiede uso della chimica. Per questo la si boicotta volutamente e si continua con l’uso di pesticidi che saturano la pianta di sali stressandola sino ad alterarne il processo di sintesi clorofilliana. Alla fine, sulla tavola del consumatore, giunge un alimento gonfio ma povero di nutrienti frutto di piante preda di insetti nocivi come accade con gli ulivi colpiti dalla Xylella. La logica esposizione dell’amico non si concilia con le “prove” della incoerenza di Steiner dimostrate con la tecnica delle
parole isolate dal loro contesto generale. Concetti utilizzati da Steiner quali “Antico Sole” o “forze eteriche” non dovrebbero generare scandalo, le scoperte necessitano di termini con cui identificarle ma Steiner non si fossilizzava sui nomi ma invitava a percepire l’idea nella realtà osservata. La critica alla terminologia è ridicola, oltretutto non si capisce perché non lo si fa con la fisica quantistica dove si utilizzano nomi bizzarri per descrivere eventi che sono solo formule matematiche. Assistiamo da un certo tempo ad azioni ambigue come quella del filosofo francese Michel Onfray che nel suo recente libro Cosmo attacca la biodinamica con argomenti da cui non solo non traspare autentica conoscenza ma che sembrano rifarsi, (per non dire copiati), ad articoli di Dario Bressanini. Perché e chi elargisce tanto credito alle teorie di simili personaggi? Altro caso è quello di Ernesto Vania che definisce la biodinamica una “filosofia applicata alla produzione del cibo”, ma che vuol dire? Che la biodinamica è una montatura di Steiner avente lo scopo di fare proselitismo? Oppure, siccome non usa biotecnologie, non è una scienza? Non capiamo cosa egli intenda poi con “filosofia applicata” in quanto ogni scienza è tale, ma è quando afferma che “la biodinamica indaga semplicemente la natura per trovare in essa gli insegnamenti per fare agricoltura e che preferisce compostaggi e fasi lunari”, che viene fuori l’anima scientifica che separa l’oggetto osservato dall’osservatore. Per Vania una sperimentazione costruita su contenuti astratti, potremmo definirla scienza platonica, non è vera scienza. Ma Steiner parla di percezioni e non di rappresentazioni e qui sarebbe da approfondire il suo lavoro di integrazione tra platonismo ed aristotelismo. Inviterei Ernesto Vania a leggersi la Filosofia della libertà o a ripensare a Talete deriso dalla sua serva perché cadde in una buca mentre studiava le stelle in cielo. Ma quando, conoscendo il moto dei pianeti, Talete si comprò terreni di ulivo sicuro della loro resa, ci piace pensare che la serva non rise più. Si ricorre alla terza espressione della tecnica quando, sempre Vania, afferma che “la biodinamica sfugge ad ogni forma di controllo, motivo per cui il ministro delle politiche agricole sbaglia ad inserirla nel piano strategico nazionale del biologico” e che il marchio dell’agricoltura biodinamica è una proprietà esclusiva della Demeter, ente autoreferenziale come tutta l’agricoltura biodinamica. Di fatto le critiche sembrano più interessate non alla qualità del cibo ma a far passare la biodinamica e la Demeter come espressione delle multinazionali tanto avversate dai cultori del biologico. Tutte queste critiche dimostrano solo che le concezioni di Steiner le si tratta non con metodo scientifico ma da pubblicitari e quando il concorrente ha un suo spessore è meglio non menzionarlo, non si sa mai che la curiosità spinga le persone a saperne di più.
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Appunti di viaggio
La Palermo araba
Il dominio islamico in Sicilia durò più di duecento anni. Quando arrivarono i normanni in città trovarono trecento moschee, nonostante la maggioranza della popolazione non si fosse convertita all'Islam • Cris Thellung Patrimonio mondiale dell’Unesco, il complesso di San Giovanni degli Eremiti a Palermo fa parte di un itinerario di bellezze architettoniche di stile arabo-normanno che testimoniano come sotto il regno di Ruggero II (1095-1154) e dei suoi successori, fosse praticata la tolleranza religiosa e la multietnicità contribuisse a dare splendore alle corti regnanti. Il sovrano normanno, che parlava in modo sciolto l’arabo, favorì l’ingresso a palazzo di poeti, scienziati e strateghi islamici, oltre a comporre l’intera amministrazione governativa con musulmani entrati alle sue dipendenze che, per almeno un secolo, continuarono a praticare la loro religione senza convertirsi al cristianesimo. San Giovanni si trova in centro città, a poca distanza dalla Cappella Palatina, quasi con la sua presenza a voler rendere omaggio alla bellezza della nota chiesa dedicata a un altro apostolo, San Pietro. La costruzione sorta per dare riparo alla vita eremitica dei monaci, è un semplice e stupendo connubio d’architettura bizantina-araba che si ispira alle moschee islamiche in un perfetto rapporto di corpi cubici e cupole emisferiche. Così come un altro gioiello di Palermo, San Cataldo, edificio del XII secolo, anch’esso sovrastato da tre cupole rosse appoggiate a un compatto murario in arenaria che ripropone il matrimonio tra stili architettonici orientali e occidentali. Girando per la città non mancano altri esempi di come le dominazioni passate abbiano lasciato segni tangibili del loro regno sul territorio siciliano. Bizantini, arabi, normanni, rispettosi del credo altrui (non certo però del potere altrui) non fecero scempio delle opere di pregio costruite dalle culture precedenti e dominanti, lasciandoci così un patrimonio artistico e culturale che è andato via via aumentando nel tempo. Tutto ebbe inizio nel IX secolo, quando le navi musulmane partirono dai porti della Tunisia per approdare in Sicilia il 17 giugno dell’827. Ci vollero molti anni prima che le città isolane accogliessero l’invasione dei popoli “fedeli in Dio”, uniti da un solo credo re-
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La Zisa, interno
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ligioso e politico, l’Islam appunto. La dominazione bizantina era sconfitta a favore del mondo musulmano che, una volta insediato sull’isola, risollevò l’economia introducendo alcuni sistemi di agricoltura nuovi per quel tempo e per quei luoghi. Le antiche colture di grano furono sostituite da varietà di prodotti della terra importati, come ortaggi e agrumi, pistacchio e gelso, canna da zucchero e palma da dattero oltre al riso e al cotone. Gli arabi erano maestri nello sfruttamento delle risorse idriche, sapevano ideare e realizzare sistemi di irrigazione, necessari a portare immediati benefici al raccolto. La produzione alimentare fu sostenuta dal commercio e per questo la Sicilia ebbe un ruolo da protagonista degli scambi internazionali che avvenivano nel Mediterraneo. Siracusa lasciò il ruolo di città dominante a Palermo, divenuto ben presto centro di potere islamico e sede dell’emirato. Furono erette mura e torri in difesa del sovrano e costruita la sua residenza che prenderà, in seguito e fino ai giorni nostri, il nome di Palazzo dei Normanni. Il capoluogo si fece bello con nuove fortificazioni, mulini e mercati, nacquero moschee e bagni pubblici, la popolazione arrivò a essere composta da almeno 100.000 abitanti. Anche centinaia di anni dopo, con l’arrivo dei re normanni e cristiani, si ebbe un fiorire delle arti contribuendo a rendere splendida la città. Si dice che il viaggiatore, storico e poeta andaluso Muhammad ibn Jubayr che visitò Palermo nel mese santo del Ramadan dell’anno 1184, tornando dal suo pellegrinaggio alla Mecca disse di essere stupefatto che la
San Cataldo
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capitale dell’Emirato di Sicilia per circa 130 anni e in mano a quel tempo a un re cristiano, fosse somigliante a Cordova per l’architettura, dove le innumerevoli moschee fungevano da scuola ai maestri del Corano. Era da poco nata la Zisa in quegli anni, un altro importante edificio visitabile ancora oggi. Dall’arabo Alaziza, ovvero “la splendida”, il palazzo concepito come dimora estiva del re, rappresenta uno dei migliori esempi del connubio di arte e architettura normanna e ingegneria araba che sperimentò alcune tecniche innovative per il ricambio dell’aria fresca negli ambienti. Già a quei tempi si sentiva la necessità di combattere la calura estiva e nei locali della Zisa un sistema complesso di circolazione dell’aria passava attraverso canne di ventilazione, finestre esterne ed altri posti in riscontro stabilendo un flusso continuo d’aria ai locali dove risiedeva il sovrano. A Palermo vennero realizzate opere moderne, già in epoca araba, per il benessere della vita quotidiana dei suoi cittadini. Una di queste furono i “quanat” che risolvevano il problema delle necessità idriche urbane. Affermava lo scrittore e viaggiatore Ibn Hawqal: “La popolazione della città si disseta con l’acqua di pozzi posti all’interno delle loro case”. Tutto ciò grazie all’applicazione di un’antica tecnica arabo-persiana, cioè la costruzione di una fitta rete di canalizzazioni sotterranee. Morale: la qualità della nostra vita spesso migliora con l’aiuto di tutti, senza distinzione di razza, colore, religione, opinione politica o altro!
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Libertà di scelta per medici e pazienti
Tumori: buone notizie a cura di Sergio Signori Esistono dati e fatti comprovati che dimostrano come ancor oggi venga reiterato un colossale errore collettivo, per il quale paghiamo un prezzo elevatissimo, in termini di paure, sofferenze e vite umane. A pagarlo non sono solo adulti ma anche bambini e persone anziane. L’errore cui mi riferisco riguarda la convinzione che ogni anno un numero altissimo di persone muoia a causa di patologie quali cancro, linfomi e leucemie. Da questo errore si stanno via via dissociando, sia pure lentamente e con una certa reticenza, un numero sempre più nutrito di medici, paramedici, terapeuti e divulgatori, che, tuttavia, pagano sovente le conseguenze della propria scelta, subendo sanzioni e radiazioni dal proprio albo professionale per il solo fatto di volersi finalmente emancipare da quello che appare essere, per l’appunto, solo un drammatico errore di valutazione. Un errore da cui possiamo liberarci Da decenni vige, come detto, la radicatissima convinzione che esistano malattie terribili in grado di ucciderci. Ciò nonostante l’incalcolabile numero di fonti e di guarigioni dimostrano che non c’è nulla di “maligno” nel nostro corpo e che di cancro, linfomi e leucemie si può tranquillamente guarire. Esistono addirittura casi di “portatori sani” di queste patologie: vale a dire persone che da anni hanno nel corpo dei tumori cosiddetti “maligni” senza averne tuttavia alcun danno, grazie al lavoro fatto su se stesse a livello profondo, a beneficio della loro crescita personale. Eppure la maggior parte della gente si ostina a considerare “la malattia” come un’entità concreta che “ci viene” dal di fuori, invece di prendere coscienza che il nostro corpo si altera, tanto nelle funzioni che nella struttura, a causa di fattori differenti. Prendere in considerazione sia l’organismo sia la persona è alla base delle medicine tradizionali di tutti i tempi e viene oggi dimostrato anche dalla moderna epigenetica (letteralmente: ciò che sta al di sopra della genetica). Fondamentale, in questo senso, l’opera del biologo molecolare americano Bruce Lipton che nei suoi libri La biologia delle credenze e Evoluzione spontanea dimostra ampiamente come nel nostro corpo accada proprio ciò di cui siamo convinti, a livello conscio, ma soprattutto subconscio. Ulteriore conferma giunge inoltre dalla PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia) la quale dimostra come il sistema immunitario (al pari degli altri sistemi del corpo) sia inscindibilmente collegato alla psiche, conscia e subconscia.
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E che dire della teoria delle cosiddette “5 Leggi Biologiche” del dottor Ryke Geerd Hamer? Nonostante il ragguardevole lavoro svolto negli anni per dimostrare, con prove di laboratorio alla mano, che il corpo ha reazioni sensate a precisi traumi interiori, egli condivide la sorte di tutti coloro che hanno osato sconfessare il monumentale edificio della visione “ufficiale”, tanto che basta citarne il nome, in ambito clinico e non solo, per venire immediatamente avversati.1 Esistono altresì innumerevoli casi di persone guarite senza bisogno di asportare loro le parti “maligne” e, per contro, altrettante persone amputate inutilmente. Come viene ribadito da decenni, la massa tumorale non è di per se stessa il problema (se non nei casi di ingombro), ma è l’espressione di diversi fattori dei quali non si tiene conto, puntando tutta l’attenzione sulle cellule e sulle “metastasi”. Ricchissima è la documentazione disponibile sui casi di persone decedute per cause quali incidenti stradali o infarto, la cui autopsia rileva tumori “maligni” mai diagnosticati, che non procuravano loro alcuna conseguenza. Il problema comincia invece quando viene emessa una diagnosi infausta, la qual cosa le proietta in dinamiche di paura che alla lunga debilitano il loro sistema, cui spesso si aggiungono gli effetti collaterali delle terapie altamente invasive previste dai protocolli clinici. I casi di cancro sono in aumento? Anche la convinzione che il cancro sia in aumento non corrisponde al vero. Moltissimi casi di “cancro” sono infatti delle semplici sovra-diagnosi. L’esempio più clamoroso riguarda il PSA per la prostata, su cui esistono le sconcertanti dichiarazioni del professor Richard J. Ablin, oncologo di chiara fama, l’ideatore di questo specifico test che ha da tempo egli stesso sconfessato, ripetendo che un aumento del PSA non pone affatto il sospetto di carcinoma della prostata. Anche sulla mammografia vi è un’ampia gamma di fonti di medicina ufficiale che dimostrano come circa il 30 per cento (una su tre!) delle diagnosi di cancro della mammella sono in realtà delle sovra-diagnosi. 2 Un altro grande paradosso riguarda chemio e radioterapia, entrambe potenzialmente cancerogene, quindi capaci di provocare secondi o terzi casi di tumore. Anche in questo caso tuttavia persiste un gigantesco malinteso. Si sostiene infatti che “il cancro sia tornato”; quando invece è una parte diversa
A R T E M E D I C A - n. 42 E s t a t e 2016
Sergio Signori, specialista in Medicina Interna e medico olistico. È autore del libro Siamo guariti dal cancro (Nuova Ipsa Ed. 2014), nel quale riporta ventisette casi documentati di guarigione, dei quali solamente quattro grazie all’applicazione dei protocolli ufficiali. Dello stesso libro è imminente una riedizione, che porta il numero di guarigioni a quarantadue. Ogni anno questi casi si moltiplicano infatti in misura esponenziale, ma la maggior parte di essi, non essendo riportati dalle cronache, passano sotto silenzio. del corpo che si altera a causa di veleni cellulari e radiazioni! Ciò nondimeno, nel mio libro sostengo che, poiché la paura (che è il contrario dell’amore) è il vissuto che più di ogni altro ostacola la guarigione, se una persona ha paura nel non fare la chemioterapia, tanto vale a quel punto che la faccia, a patto che affianchi altre cure di medicina complementare, raccomandate fra l’altro dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se ancora inspiegabilmente avversate da molti medici, soprattutto in Italia. Come mai allora tante persone muoiono ancora di cancro? La risposta è piuttosto ovvia: non muoiono di cancro in realtà, bensì di un misto di paura, disperazione, rassegnazione, veleni, radiazioni, amputazioni, prognosi nefaste e via dicendo. Ciò alimenta tuttavia la convinzione che il cancro uccida, con la conseguenza di statistiche falsate che alimentano ancor più questo infernale circolo vizioso. Reato di opinione Nel mondo medico regna un clima da caccia alle streghe e chi sgarra dalla visione ufficiale, e dai suoi protocolli, rischia grosso, in barba allo stesso “reato di opinione”. Alcuni medici sono stati condannati per la morte di alcuni loro pazienti, non perché li avessero curati con terapie complementari, ma con l’accusa di averli distolti dalle cure “ufficiali”. Eppure, ogni giorno, un numero incalcolabile di persone muore proprio a causa delle terapie ufficiali (io stesso ho perduto amici e pazienti in questo modo) ma di ciò nessuna casistica tiene conto. L’ultimo codice deontologico recita infatti che “il medico non deve distogliere i pazienti da cure di comprovata efficacia”. Peccato che tali cure consistano quasi sempre in farmaci chimici di sintesi altamente nocivi per l’organismo. Lo sapevate infine che cancro, linfomi e leucemie non colpiscono, o colpiscono in misura sensibilmente inferiore, i disabili mentali gravi e i bambini autistici, rispetto alle persone cosiddette “normali”? Questa è un’altra dimostrazione che la mente (anche quella subconscia) è in realtà il principale fattore di induzione di malattie nel corpo, cui si aggiungono solo in misura molto relativa, l’alimentazione, l’inquinamento ambientale e così via.
Fonti inconfutabili ci informano altresì che, fin dagli anni Settanta, la gestione del “pianeta oncologico” è stata assunta dalle case farmaceutiche. Oncologi e medici traggono le loro ferree convinzioni e formulano le loro prognosi in base a casistiche finanziate dalle stesse Big Pharma a sostegno dei propri esclusivi interessi. Ci si riduce a fare il calcolo dei decessi, isolando la malattia da tutta una realtà ben più complessa che riguarda ciascun singolo paziente, senza minimamente considerare quale fosse la sua condizione di salute globale, il suo stile di vita, il suo grado di fiducia nella cura, i trattamenti farmacologici che riceveva e così via. Del resto noi medici veniamo debitamente istruiti fin dall’inizio, e per tutta la durata della nostra vita professionale, a sostenere questo stato di cose. Inoltre, poche riviste scientifiche sono davvero indipendenti dalle logiche commerciali dell’establishment sanitario. “Le morti sono fatti” dicono, dimenticando che anche le guarigioni sono “fatti”! Prendersi cura di sé Una domanda fondamentale che la medicina ufficiale non si pone mai è la seguente: perché questa patologia riguarda proprio questo particolare individuo? Da almeno venticinque anni tento di far comprendere ai miei colleghi medici e ai pazienti l’importanza di tutti quei fattori, anche ambientali, che concorrono nel farci ammalare.3 Il passaggio fondamentale che siamo chiamanti a compiere è quello che va dal combattere la malattia al prendersi cura di sé in modo globale, comprendendo che la “malattia”, così come la cura, non viene mai da fuori e che la guarigione è un processo interiore, un potenziale individuale, prima ancora che collettivo! Di fronte a una diagnosi di cancro, di linfoma o di leucemia, l’approccio più corretto sarebbe quello di pensare: una parte del mio corpo si è alterata, non ne comprendo ancora il motivo, ma mi impegno a cercarlo, chiedendo aiuto e sostegno alle persone e agli specialisti di cui mi fido, non chiudendomi, ma facendo “rete”. In questo modo posso portare al mio corpo attenzione, amore e cura, rigenerandomi nel profondo.
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Lascio al lettore il giudizio, consigliando ancora un volta di documentarsi leggendo alcuni testi quali La malattia è un’altra cosa! (a cura dell’Associazione Alba) e Grazie dottor Hamer di Claudio Trupiano (Ed. Urrà). Per capire come la partita della salute non si giochi solo a un livello di pensiero razionale, può aiutare anche seguire il lavoro della psichiatra Erica Francesca Poli, autrice del libro Anatomia della guarigione (Anima Ed.) del cui lavoro potete trovare abbondante materiale anche in rete.
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Cito a questo proposito il recentissimo libro di Marcello Pamio La fabbrica dei malati (Evoluzione Editore) per chi volesse approfondire questi aspetti inquietanti della prassi medica.
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A chi vuole saperne di più a questo proposito, consiglio di consultare il sito www.casasalute.it e di leggere libri sulla Geobiologia, che riportano conoscenze note da millenni, anche se ancora pervicacemente ignorate, sulle influenze dell’ambiente sugli esseri viventi.
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