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LEGAL LA RIVISTA N°1 DEGLI AVVOCATI
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Web tax e incentivi fiscali non generano gli effetti desiderati. La prima penalizza solo le imprese italiane e i secondi sono di fatto irrilevanti. Perché? Ne parla il tributarista Tommaso Di Tanno
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ISSN 2499-8370
80022
www.lefonti.legal
Marzo 2018 | N° 22| 20 € Mensile
Anno 2018 - Prima immissione 26/03/2018 | Anno III | N°22 | Marzo 2018
LEGGE DI BILANCIO
I PARADOSSI DEL
FISCO ITALIANO WHISTLEBLOWING Tommaso Di Tanno
LA RISERVATEZZA NON È SEMPRE GARANTITA
PRIVACY
CAMBIO DI PASSO CON LE NUOVE REGOLE
CLASSIFICHE GLI STUDI PIÙ ATTIVI NEL BANKING & FINANCE
EDITORIALE
Proteggere il singolo per promuovere l’etica ANGELA MARIA SCULLICA
@AngelaScullica
I
n seguito alla legge sul whistleblowing, approvata lo scorso 30 novembre 2017, n. 179, le aziende dovranno consentire ai dipendenti di segnalare le violazioni senza rischiare di rimetterci il posto o di subire ritorsioni, discriminazioni o altri tipi di trattamento iniquo. Pertanto dovranno dotarsi di un canale specifico, indipendente e autonomo, basato su sistemi informativi criptati, tecnologici e conformi alle norme sulla privacy. Questo canale andrà regolato sulla base di modelli organizzativi in grado di gestire con efficienza il flusso di comunicazione tra il soggetto segnalante e i destinatari. I modelli organizzativi, che sono quelli già introdotti dal decreto legislativo n. 231/2001, relativo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ed associazioni, con la nuova legge andranno aggiornati in modo appunto da prevedere misure realmente capaci di contrastare l’eventuale commissione di illeciti. E qui occorre fare alcune precisazioni. Innanzitutto i nuovi modelli organizzativi dovranno essere in grado di evitare qualsiasi abuso in fatto di denunce e segnalazioni. In secondo luogo saranno chiamati a coadiuvare l’attività del collegio sindacale che ha l’obbligo di informare la Banca d’Italia e la Consob di tutti gli atti o i fatti di cui viene a conoscenza che possano costituire un’irregolarità nella gestione ovvero una violazione delle norme che disciplinano l’attività della società in questione. Infine i modelli organizzativi dovranno sempre garantire la riservatezza dei dati personali concernenti sia la persona che segnala le violazioni, sia la persona fisica sospettata di essere responsabile della violazione, conformemente alla direttiva 95/46/CE. Le segnalazioni andranno infatti inoltrate direttamente al responsabile dei sistemi interni di segnalazione attraverso lo specifico canale autonomo, indipendente e riservato di cui è detto, senza rispettare le ordinarie linee di reporting gerarchico. Si tratta di un accorgimento teso ad evitare che i soggetti eventualmente coinvolti possano essere informati anche in via indiretta di una segnalazione nei loro confronti da parte del soggetto segnalante. Spetta infatti solo al responsabile dei sistemi interni di segnalazione o alle Autorità di Vigilanza, di scegliere se interpellare il segnalante per ottenere eventuali approfondimenti o precisazioni su atti e fatti, oggetto di segnalazione in sede di esame e valutazione degli stessi. Nel fare ciò è però obbligato a garantire la confidenzialità e la riservatezza delle informazioni ricevute e dei dati personali del segnalante e del segnalato. Fin qui tutto bene. Riguardo alla privacy però c’è da dire che la nuova legge non incoraggia né offre in alcun modo tutela alle segnalazioni anonime in quanto la legge del whistleblowing andrà di pari passo con il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR). Quest’ultimo, in vigore in Italia dal prossimo 25 maggio 2018, non diversamente dalla normativa sulla privacy, prevede che, nell’ambito di un procedimento penale, l’interessato abbia diritto di conoscere “tutte le informazioni disponibili sulla loro origine” (art. 15, comma 1 lett. g), quindi anche il nome del segnalante qualora la conoscenza della sua identità sia assolutamente necessaria per la difesa. A questo proposito la stessa Corte di Cassazione, nella prima sentenza sul whistleblowing successiva all’entrata in vigore della legge, ha stabilito che, anche alla luce della legge 179 del 2017, nel settore penale valgono le regole ordinarie sul segreto previste dall’art 329 del Codice di procedura penale, il che significa - di fatto - che l’anonimato non esiste, o comunque sia solo temporaneo.
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LE FONTI LEGAL LA RIVISTA N°1 DEGLI AVVOCATI
Sommario BANKING & FINANCE
PROTAGONISTI
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Gli obiettivi mancati dal fisco
Ecco gli studi più attivi nel banking & finance
DI GABRIELE VENTURA
DI GABRIELE VENTURA
MERCATI E BUSINESS
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DI LUIGI DELL’OLIO
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Mifid 2: cosa cambia per gli investitori
SCENARI
La scossa dei mandati I kingmaker delle Ipo
La giustizia digitale spicca il volo DI FILIPPO FATTORE
IMPRESE E LAVORO Cambio di passo con le nuove regole
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DI LUIGI DELL’OLIO
PENALE E FISCO Privacy e controllo: le investigazioni difensive DI ANTONINO TARANTO
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50
DI FILIPPO CUCUCCIO
DI LUIGI DELL’OLIO
31
40
Il whistleblowing tra privacy e modelli organizzativi
Arbitrato, istituto da rilanciare
RUBRICHE
24
General Counsel
72
80
Eventi
Mondo legale
77
82
Carriere
In corsa
DI GUIDO SIRTOLI
64
DI GABRIELE VENTURA
Come cambia il sistema finanziario
68
DI FEDERICA CHIEZZI
PROFESSIONE AVVOCATO La legal tec avanza veloce
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DI FRANCESCA VERCESI
LEGAL n. 22 - Marzo 2018
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EDITORE
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SCENARI
PROCESSO TELEMATICO
LA GIUSTIZIA DIGITALE SPICCA IL VOLO A tre anni dall’informatizzazione delle cause civili, diventano pienamente operative anche le procedure nel settore amministrativo e tributario. E da gennaio avvocati e magistrati hanno a disposizione altri due nuovi strumenti: il Portale delle vendite pubbliche e il Registro delle procedure di espropriazione forzata. Gli atti inviati via internet superano complessivamente i 10 milioni DI FILIPPO FATTORE
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a digitalizzazione della giustizia procede a ritmi serrati. A tre anni dal processo civile telematico, a due da quello tributario (che è attivo su tutto il territorio nazionale dal luglio 2015) e ad uno da quello amministrativo, diventano pienamente operativi altri due nuovi strumenti. La novità dell’ultima ora è sicuramente il Registro delle procedure di espropriazione forzata, di insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi, presentato ufficialmente dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a metà gennaio. Il Registro ha lo scopo di rendere trasparente il mercato delle informazioni delle procedure esecutive, individuali e concorsuali, agevolando così la tutela dei creditori e dando al contempo l’indispensabile ausilio alle funzioni di vigilanza esercitate dalla Banca d’Italia. Obiettivo: ridurre i tempi, salva-
a determinati criteri di ricerca. I criteri sono, per esempio, l’ufficio giudiziario di appartenenza, la tipologia di procedura (fallimentare, immobiliare, esattoriale, ecc.), il codice fiscale o la denominazione del debitore e del creditore. «Il sistema, che entra in una fase di sperimentazione concreta da parte dei soggetti interessati, rappresenta uno degli strumenti che fanno parte della grande eredità che lasciamo a chi verrà dopo. Quando sono arrivato in Via Arenula ho ereditato emergenze, chi arriverà dopo potrà confrontarsi con una situazione ordinaria, con più strumenti, con investimenti in innovazione, piu’ risorse umane e finanziarie», ha detto il Guardasigilli. guardare il valore dei beni, tutelare i creditori, migliorare le performance del sistema giudiziario, anche nel settore fallimentare. Il Registro ha, inoltre, la funzione di agevolare la circolazione dei crediti incagliati, superando le asimmetrie informative che spesso ne condizionano la valorizzazione nelle procedure di liquidazione dei beni sottoposti ad esecuzione. «Si realizza in questo modo», ha spiegato il ministro Orlando «un ulteriore tassello della politica di trasparenza perseguita dal ministero, che completa le informazioni veicolate sul Portale delle vendite pubbliche, assicurando agli uffici un fondamentale sostegno nelle attività interessate dalla duplice relazione con il ceto creditorio e con il mercato delle vendite». Il Registro delle espropriazioni Il portale web realizzato dal ministero per ospitare il Registro mette a disposizione un’ampia gamma di informazioni sulle procedure esecutive immobiliari e sulle procedure concorsuali, attingendo dai registri informatizzati Siecic di cancelleria di tutti gli uffici giudiziari del territorio italiano. In particolare, le funzioni consentono di visualizzare il profilo di singole procedure o insiemi di procedure che rispondono
Il Portale delle vendite pubbliche Accanto al Registro delle procedure di esecuzione, da gennaio è diventato pienamente operativo anche il Portale delle vendite pubbliche (Pvp). Il nuovo strumento finalizzato a garantire un agevole monitoraggio e accesso alle varie informazioni sulle vendite forzate in corso nel territorio nazionale è stato introdotto dal decreto legge 83 del 2015 convertito nella legge 132 del 2015, ma è divenuto attivo solo nel luglio dello scorso anno, seppure in una fase sperimentale, in attesa delle specifiche tecniche del ministero. Il via libera all’utilizzo dello strumento da parte dei tribunali italiani è arrivato il 10 gennaio, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto ministeriale che accerta la piena funzionalità dei servizi del Portale. Mentre il 20 gennaio è arrivato l’avviso di adozione delle specifiche tecniche, che risultano disponibili sul Portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia. Utilizzo obbligatorio La pubblicazione in Gazzetta di quest’ultimo provvedimento ha fatto scattare il termine dei 90 giorni entro il quale l’uso del Pvp diventerà obbligatorio. La scadenza del periodo transitorio è dunque fissata
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al 9 aprile. L’utilizzo del Portale è un adempimento amministrativo che non sostituisce la pubblicità telematica operata sui siti accreditati presso il ministero della Giustizia. Il nuovo ausilio telematico, infatti, costituisce un sistema integrato che unifica i registri telematici utilizzati dalle cancellerie dei tribunali, i siti internet abilitati per la pubblicazione e gli avvisi di vendita relativi ai beni immobili e mobili registrati di valore superiore a 25mila euro e i gestori delle vendite pubbliche. Nel Portale ci sono un’area pubblica accessibile a chiunque sia interessato e un’area privata riservata solo agli operatori autorizzati. I due strumenti fanno parte di una strategia complessiva messa in atto dal ministero per modernizzare, semplificare e rendere meno costosa la macchina della giustizia. «Ho da sempre assegnato priorità al tema dell’innovazione tecnologica quale chiave per garantire trasparenza, efficienza, qualità dell’azione amministrativa e l’efficace esercizio delle funzioni di organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Le politiche di informatizzazione stanno gradualmente restituendo efficienza al sistema giudiziario», ha detto Orlando, aggiungendo che ad oltre tre anni dalla obbligatorietà del processo civile telematico «i dati indicano un trend in forte ascesa». Crescono gli atti telematici In effetti, i numeri disegnano una curva in continuo aumento. Tra dicembre 2016 e novembre 2017, secondo l’ultimo monitoraggio del ministero della Giustizia, avvocati e altri professionisti hanno depositato 8,5 milioni di atti telematici, di cui 418mila ricorsi per decreto ingiuntivo, 6,4 milioni di atti endo-procedimentali e 929mila atti introduttivi. A novembre gli atti depositati telematicamente sono stati 795mila, 33mila in più (il 4%) dello stesso mese del 2016. In crescita anche le medie mensili, che sono passate da 662mila a 710mila, con un incremento del 7% (+47mila atti). Per quanto riguarda i magistrati, nello stesso periodo di riferimento, sono stati depositati 4,5 milioni di atti nativi digitali, di cui 1,4 milioni verbali di udienze, 397mila decreti ingiuntivi e 300mila sentenze. Il balzo di novem-
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bre su questo fronte è stato del 9%, con un incremento di 39mila atti. Mentre le medie mensili sono cresciute anch’esse del 7%, passando da 357mila a 381mila. Risparmi e investimenti Complessivamente le comunicazioni effettuate solo telematicamente da tutti i tribunali, dalle corti di appello e dalla Corte di Cassazione dal dicembre 2016 a novembre 2017 sono state oltre 19 milioni, con un risparmio stimato di 67,2 milioni di euro. Soldi guadagnati dallo Stato che devono, però, essere sottratti a quelli spesi negli ultimi anni. I risultati sulla digitalizzazione
Tra dicembre 2016 e novembre 2017 sono stati depositati 8,5 milioni di atti telematici della giustizia sono, infatti, il frutto di una politica di investimenti mirata. Dal 2011 al 2017 la spesa in servizi di informatizzazione è stata di 828 milioni. Risorse che vanno considerate più per la loro qualità che per la loro quantità. Se nel 2011 le somme totali a disposizione erano 123,7 milioni, di cui 83,8 per la manutenzione e 39,8 per evoluzione e sviluppo dei sistemi, nel 2015 il rapporto si è invertito: i 154,8 milioni a disposizione sono stati utilizzati in minor misura per la manutenzione (60,6) e in prevalenza per lo sviluppo (94,2). Il processo amministrativo Le cose iniziano a marciare spedite anche per il processo amministrativo telematico, partito un anno fa. Il bilancio dei primi dodici mesi è assolutamente positivo, con una significativa diminuzione degli atti rifiutati dal sistema. A gennaio del 2017, quando il nuovo sistema aveva mosso i primi passi, la percentuale di ricorsi non accettati per problemi di tipo informatico o per errori materiali nell’invio era del 21%. Adesso la percentuale si è ridotta al 5,8%. Complessivamente nel corso del primo anno di operatività ai Tar e al Consiglio di Stato sono stati inviati oltre 290mila atti. Di questi 268mila
sono giunti a destinazione, mentre 22mila sono stati respinti dal sistema. Si tratta, dunque, di una percentuale annua del 7,7%. Le sviste degli avvocati Ma le colpe non sono sempre della procedura telematica. Molto frequenti sono anche le sviste e dimenticanze da parte di avvocati e professionisti. Tra i motivi che causano la mancata accettazione dell’atto ci sono la mancata validità della firma digitale con cui si sottoscrive il ricorso (6,1%), la versione non aggiornata del modulo di deposito (5,9%), l’invio del modulo di deposito ad una sede diversa da quella indicata nello stesso modulo (3,8%), l’inserimento non corretto delle generalità e del codice fiscale di chi invia l’atto (3,4%), la casella Pec che appartiene ad un avvocato non presente nel ricorso (2%). Ma sembra che il motivo principale per cui l’invio non va a buon fine abbia poco a che fare con l’informatica. Nel 36% dei casi, infatti, non viene allegato l’atto da depositare. Dal ministero, in ogni caso, non emergono particolari preoccupazioni. «Gli errori sono rimediabili e attestati su percentuali fisiologiche», ha spiegato il responsabile del servizio per l’informatica della giustizia amministrativa, Dante D’Alessio. «L’intero sistema si è dimostrato affidabile e non ci sono state significative interruzioni dei servizi». Le novità nel civile Da gennaio ci sono diverse novità anche per il processo civile telematico. La prima e, forse, più rilevante è che la procedura informatica per il deposito interesserà ora tutti gli atti, sia quello nuovi sia quelli riferiti a ricorsi vecchi, presentati nella tradizionale versione cartacea prima dell’avvento del processo telematico, il primo gennaio 2017. Per quanto riguarda i contributo unificato, invece, il suo pagamento sarà consentito solo attraverso il modello F24 Elide. Stop dunque ai versamenti effettuati attraverso il servizio postale o il circuito Lottomatica. La quie-
INVESTIMENTI MIRATI I risultati sulla digitalizzazione della giustizia sono il frutto di una politica di investimenti mirata: dal 2011 al 2017 la spesa in servizi di informatizzazione è stata di 828 milioni
tanza verrà rilasciata immediatamente se il pagamento viene effettuato sul portale dell’Agenzia delle entrate, bisognerà, invece, aspettare qualche giorno nel caso di versamenti con internet banking. Una semplificazione arriva dal domicilio digitale. L’avvocato non sarà più costretto ad eleggere domicilio nella città dove ha sede l’ufficio giudiziario amministrativo destinatario del ricorso. Basterà, al suo posto, una semplice Pec. Altri 12 mesi di carta Malgrado la fuga in avanti, il passato non è ancora completamente scomparso. Originariamente la carta del Processo amministrativo telematico sarebbe dovuta scomparire dopo i primi dodici mesi di vita del nuovo sistema. La legge di bilancio ha però concesso all’ultimo tassello di procedura analogica di sopravvivere ancora un anno. Fino al dicembre 2018, infatti, oltre all’invio telematico, che è quello che ha valore legale, l’avvocato dovrà anche consegnare al tribunale una copia cartacea, di cortesia, del ricorso. L’atto dovrà necessariamente contenere, oltre al ricorso, anche gli scritti difensivi. E dovrà avere una attestazione di conformità con i documenti depositato attraverso la procedura informatizzata.
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Web tax e incentivi fiscali non generano in sostanza gli effetti desiderati. La prima penalizza solo le imprese italiane e i secondi si dimostrano nella realtà irrilevanti. Perché? Ne parla Tommaso Di Tanno, che illustra anche le strategie di sviluppo del suo studio DI GABRIELE VENTURA
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o studio legale tributario Di Tanno e associati è una realtà in prima linea da ormai da oltre trent’anni nel ramo fiscale. Il socio fondatore, Tommaso Di Tanno, ha infatti fondato lo studio nel 1986 e da allora la filosofia di fondo è rimasta la stessa: la stabilità. L’obiettivo è infatti quello di individuare i professionisti giusti con una selezione rigorosa, per poi premiare e valorizzare chi lo merita. Oggi, l’esigenza di uno studio specializzato nel Tax è quella di poter contare su una struttura efficiente, riducendo la leva e premiando le risorse generate all’interno della firm. Ne è convinto lo stesso Di Tanno, che con Le Fonti Legal ha fatto il punto sulle ultime novità in materia fiscale introdotte dalla Legge di bilancio 2018, su tutte la Web tax, e sulle strategie di crescita dello studio, che ha aperto il 2018 con la promozione di due nuovi soci, Marco Sandoli e Andrea Tonon, entrambi avvocati. Partiamo dalla Legge di bilancio. Una delle principali novità in materia fiscale riaguarda la Web tax. Qual è il suo parere in
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merito? Lo strumento è uscito ridimensionato rispetto alle premesse. Con quali effetti sulle imprese? In Senato si era discusso di una certa versione della Web tax, che avrebbe dovuto correggere lo squilibrio determinato dalle multinazionali della web economy che non pagano le imposte nei mercati in cui operano, a eccezione di quello di origine. Si tratta di una questione che non riguarda solo l’Italia ma anche altri paesi europei. Nei mercati dove sono presenti, queste multinazionali pagano imposte bassissime e dichiarano un fatturato molto modesto, mentre ne evidenziano uno enorme in Irlanda. È una problematica così sconvolgente perché ha raggiunto ormai dimensioni enormi e deve essere corretta al più presto. L’elemento discriminante è far sì che quanto si preleva in un certo mercato venga poi versato sotto forma di imposta e, dal punto di vista del diritto, è determinante rivedere la regola della stabile organizzazione o del paese in cui origina l’attività di impresa. Questa costruzione, infatti, è stata costruita all’interno della old economy, che si fonda su fatti materiali. La new economy, però, si basa su fatti immateriali e per questo è necessario aggiornare la regolamentazione. Tutti gli operatori politici ed economici sono consapevoli di questa problematica, tanto che a Davos è stata presentata una relazione su questo punto in cui si stima che le imprese della web economy abbiano sottratto ai paesi dove hanno un mercato attivo circa 200 miliardi di dollari di imposte. Entrando nel merito, quali sono gli aspetti critici della norma approvata dal Parlamento? La versione del provvedimento uscita dal Senato dava qualche soluzione a questa tematica. Possiamo discutere se fosse adeguata al caso oppure no, ma certamente dava delle risposte. Poi alla Camera sono state introdotte delle modifiche che hanno snaturato la norma con una versione che non affronta il problema dello squilibrio tra le imprese nazionali e multinazionali.
ITER LEGISLATIVO «In Senato si era discusso di una certa versione della Web tax, che avrebbe dovuto correggere lo squilibrio determinato dalle multinazionali della web economy che non pagano le imposte nei mercati in cui operano», dice Tommaso Di Tanno Sopra, palazzo Madama
Di fatto, anzi, perpetua la situazione di squilibrio. Per di più, viene introdotto un nuovo balzello a carico delle imprese italiane e, nei fatti, non delle multinazionali. Entrando nel dettaglio, la prima versione del provvedimento prevedeva un’imposta del 6 per cento per le imprese con diritto a un credito di imposta compensabile con Iva e contributi Inps. Questa compensabilità è chiaramente realizzabile solo dalle imprese presenti sul mercato italiano, mentre non è utilizzabile dalle realtà non presenti e quindi non debitrici di Iva e contributi sociali. Nei fatti, quindi, l’imposta gravava solo sulle multinazionali straniere. La Camera ha invece ridotto la Web Tax al 3 per cento applicandola, però, a tutte le imprese in modo indiscriminato. Ne deriva un aggravio di costi per le aziende italiane; forse, ripeto forse, anche per le straniere. Ma certo nessun riequilibrio. Può essere che sia stata determinante l’esigenza di far cassa, da parte dello Stato? Se il tentativo era quello di fare
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