Presagi di un mondo nuovo, Hermann Keyserling (estratto)

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Hermann

KEYSERLING Si può immaginare il destino?

PRESAGI DI UN MONDO NUOVO EDIZIONI DI COMUNITÀ


Ognuno può suonare senza timore e senza esitazione la nostra campana. Essa ha voce soltanto per un mondo libero, materialmente più fascinoso e spiritualmente più elevato. Suona soltanto per la parte migliore di noi stessi, vibra ogni qualvolta è in gioco il diritto contro la violenza, il debole contro il potente, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, la povertà contro l’egoismo, la saggezza e la sapienza contro la fretta e l’improvvisazione, la verità contro l’errore, l’amore contro l’indifferenza.


Indice

Introduzione 11 1 La via che conduce alla cultura del futuro 2 Il significato dello stato ecumenico 3 La giusta impostazione del problema del progresso 4 Filosofia e saggezza

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Capitolo 1

La via che conduce alla cultura del futuro

Non c’è bisogno di accettare le ipotesi di Spengler per riconoscere che la cultura antica è in piena decadenza. Ma tale osservazione non va riferita solo all’Occidente: è tutta la cultura tradizionale del mondo che corre verso la rovina. Perché ciò stia accadendo e quali possibilità positive ci rimangano per il futuro sarà l’oggetto delle considerazioni di questo primo capitolo. Prima di tutto, che cosa significa la parola “cultura”? A dir la verità, essa non vuol dire né più né meno che forma di vita, in quanto manifestazione diretta dello spirito. Questa breve definizione racchiude, senza alcun pregiudizio, tutto ciò che in generale si può dire della cultura, e cioè che essa è legata indissolubilmente a un passato vivo e vitale, al quale è vincolata; che ciascuna delle sue manifestazioni è simbolica in una duplice veste: da una parte tutto ciò che è cultura, nelle sue diverse forme, diventa subito rappresentazione di senso, dall’altra la cultura è anche qualcosa di esclusivo e di conseguenza rigorosamente circoscritto. Ma la cultura è nella sua essenza anche un tutto, ciascuna parte del quale presuppone e richiama l’insieme. La cultura è un organismo spirituale, e questa sua connotazione rimane vera, che sussistano o meno la teoria delle anime della cultura di Spengler,


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quella del paideuma di Frobenius o qualunque altra ipotesi sollevata finora. A partire da questa stessa definizione si può inoltre dedurre se ciò che dall’esterno ci appare come una civiltà, e che potrebbe anche essere una cultura, invece non lo è. Questa eventualità si verifica nel caso in cui ciò che essa esprime non traduca nulla di interiore, oppure quando i discorsi sostenuti nel passato non corrispondono alla struttura esistente. Uguali caratteristiche presenta, mutatis mutandis, lo stato di barbarie. Sarà sempre difficile riuscire a definire chiaramente quegli organismi spirituali che noi chiamiamo culture, perché ogni pensiero astratto ha il soggetto personale come ultimo presupposto. La stessa cosa vale però per tutte le forme della vita, e non ultimo per l’anima umana individuale, rispetto alla quale già Schopenhauer avvisava che non si dovesse parlare come di una «persona ben conosciuta e ben accreditata». L’anima, anch’essa, è per sua natura un aggregato di tendenze e d’istinti divergenti, difficili da riunire sotto una stessa formula quanto i diversi partiti in cui è diviso il popolo tedesco, e in quest’ambito l’io cosciente non è assolutamente il comune denominatore per tutte le frazioni. Qualora l’unificazione riesca, è una rara eccezione che essa si verifichi senza l’esclusione di una parte considerevole della psiche, la quale conduce numerose vite separate e cristallizzate intorno a centri diversi dall’io. Ma se lasciamo da parte il problema di un soggetto possibile e ci concentriamo sulle anime collettive, le cose appaiono allo stesso modo complicate e con lo stesso grado intelligibilità, e in questo campo le “anime della cultura” altro non rappresentano che la più alta espressione possibile, nello stesso rapporto che la personalità completamente unificata e istruita ha rispetto a


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quella dell’uomo primitivo. Dal punto di vista formale, i due casi sono non solo analoghi, ma identici. Le anime non sono divise in compartimenti più di quanto non lo siano i corpi. Simile all’etere, l’inconscio unisce tutti gli esseri. Ogni riunione consapevole d’individui crea fatalmente una vera unità che fa di ciascun essere una cosa diversa da quella che era prima. Ciò che sotto tale aspetto opera il matrimonio, non è se non la manifestazione suprema di quanto si produce in qualunque conversazione tra individui e in qualunque conferenza. Così nascono pertanto in ogni istante delle vere anime collettive, e il collettivo ha tanta maggior prevalenza sui suoi elementi, quanto più i rapporti sono multipli e durevoli e quanto più esso s’oppone, nel suo insieme, ad altre collettività. Perciò, quando si prende in considerazione soltanto lo stato di fatto, nell’ambito dell’ipotesi delle “anime della cultura”, non ci si occupa affatto di semplici postulati, ma di trovare una definizione più o meno felice con cui designare delle realtà indubbie. Ed è questo ciò che ci interessa in questa sede. Indipendentemente dall’esattezza delle teorie di Spengler o di Frobenius, le collettività, e di conseguenza anche le culture, costituiscono di per sé fenomeni primari e secondari e rappresentano dei veri organismi vivi e autonomi. In quanto tali, essi sono naturalmente sottomessi alla legge del divenire e della morte. Non esiste essere vivente che non si trasformi costantemente; nulla che non sia vincolato nella propria espressione al senso di una possibile evoluzione futura. Le culture scompaiono quando si esauriscono, quando cioè il “senso” che esse incarnano trova la sua ultima espressione esteriore, nella quale potersi irrigidire. È la loro morte naturale, ed è su tale fine


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che Spengler ha posto particolarmente l’accento. Ma in genere le culture muoiono già prima, nel momento in cui entrano in contatto con altre forme di vita che distruggono la loro unità. A questo punto risulta chiaro quanto sia più opportuno considerare il senso di ogni cosa al di fuori di teorie prestabilite. Qualunque sia il significato ultimo delle culture, esse esistono nel mondo dei fenomeni, in virtù d’uno stato d’equilibrio particolare dei loro elementi costitutivi. Come il carattere speciale d’un determinato stato dell’anima individuale è legato alla particolare specie di combinazione di certi elementi psicologici, così avviene per le anime collettive. Ognuna d’esse vive, ed è ciò che è, in virtù dell’esistenza di precisi elementi ripartiti in un preciso stato d’equilibrio. Essa può continuare a esistere attraverso le trasformazioni di questi elementi, proprio come l’individuo resta identico a se stesso attraverso le proprie metamorfosi, ma, in entrambi i casi, soltanto fino a un certo limite che non può essere valicato. Una volta superato tale limite, l’unità necessariamente si dissolve. Ammesso ciò, noi comprenderemo subito perché ogni cultura tradizionale sulla terra è e dev’essere sulla via del declino e della morte: lo stato psichico di tutti gli uomini storicamente determinati si è trasformato a tal punto da non essere più capace di unificarsi nel senso tradizionale. Tale trasformazione consiste precisamente nello spostamento definitivo dell’attenzione, all’interno della struttura dell’anima, dall’elemento intrasmissibile all’elemento trasmissibile. Finora tutte le culture hanno avuto il loro centro di gravità nell’irrazionale, nell’istinto, nel sentimento, nell’eros e in ciò che è al di fuori della logica, e l’irrazionale è, per sua natura, intrasmissibile. Manca qui ogni possibilità di trasmissione da monade


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a monade. In questo contesto le culture primitive corrispondono più o meno all’idea che l’uomo si fa della vita delle piante: sono legate alle contingenze dello spazio e del tempo, incapaci di variazione nei loro caratteri tipici, intrasmissibili dall’esterno. Lo spirito, nell’accezione più ampia della parola, che spazia dal logos all’intelletto, è invece essenzialmente trasmissibile; una verità espressa secondo le leggi dell’intelletto è generalmente intelligibile a chiunque; l’intelletto abbatte tutte le barriere; la facoltà di comprendere, che è una capacità innata, riguarda per sua stessa natura la comprensione del mondo soggettivo e psichico altro da noi, e conseguentemente ci libera da qualsiasi barriera altrimenti esistente. E quindi, più si sviluppa lo spirito (e questo processo equivale a un vero fenomeno di crescita), più l’elemento trasmissibile aumenta d’importanza di fronte all’intrasmissibile. Perciò non è per nulla giustificato porre l’accento principale sull’esclusivismo della cultura antica: se il mondo allora conosciuto poté essere ellenizzato, o, dal punto di vista religioso, giudaizzato, se d’allora in poi noi partecipiamo tutti all’ellenismo e al giudaismo, questo fatto è, rispetto all’originalità incomunicabile del loro nocciolo primitivo, di gran lunga il più significativo. Tuttavia la tesi principale di Spengler resta vera riguardo a tutte le civiltà sino a oggi, perché per riprendere la nostra definizione fondamentale enunciata all’inizio, nessuna delle loro forme era in se stessa vitale, se non quale manifestazione di uno spirito unitario preesistente. L’ellenizzazione e la giudaizzazione ebbero successo nella misura in cui lo spirito vivo dei greci e degli ebrei riuscì a conquistare subito una precisa sfera culturale oppure, come accadde nel caso del cristianesimo, divenne parte inte-


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grante d’una sintesi nuova, sotto forma di eredità viva. Finora in tutta la storia non si è mai visto alcun elemento di natura trasmissibile che si sia effettivamente trasmesso da solo, come se fosse dotato di vita propria. La civiltà cristiana infatti presupponeva, per essere adottata, una conversione; e la cultura sociale del secolo XVIII presupponeva che si partecipasse allo spirito vivo della società europea d’allora. Questo significa in generale che la tradizione viva, in qualsiasi forma si presenti, è stata finora la condizione pregiudiziale di ogni trasmissione. Tuttavia lo stato attuale dell’umanità è radicalmente mutato. L’intelletto è più sviluppato — e in questo senso il cervello umano è simile a ciò che nella pianta funge da sistema nervoso — si è emancipato da qualunque vincolo tradizionale. In esso la coscienza ha trovato il suo nuovo centro, e il risultato di questa trasformazione, che va avanti da tempo, è che il carattere della vita umana è ormai determinato dall’elemento trasmissibile. Il vero centro dell’organismo psichico oggi non si trova in una posizione diversa rispetto a quella che aveva quando si svilupparono le civiltà sorte finora. Cosa significhi questo spostamento, potrà essere chiarito attraverso un esame del senso della tecnicizzazione del mondo. Mettere in luce soprattutto il carattere barbarizzante della tecnica vuol dire porre male la questione. Senza alcun dubbio le possibilità infinite delle applicazioni, indipendenti da spazio, tempo e da qualsiasi altra limitazione — come è proprio di ogni prodotto della tecnica pura — sono tutto l’opposto del concetto di fenomeno culturale possibile nel senso tradizionale, perché ciò che può manifestarsi in ogni tempo e in ogni luogo come forma di vita non può essere, nelle condizioni finora vigenti, una manifestazione


Hermann Keyserling, Presagi di un mondo nuovo © 2016 Comunità Editrice, Roma/Ivrea

1a edizione italiana © 1949 Edizioni di Comunità Titolo originale Die neuentstehende Welt La presente edizione riprende la traduzione originale di Guido Gentilli per la 1ª edizione ISBN 978-88-98220-44-1 Redazione: Angela Ricci Impaginazione e ebook: Studio Akhu Progetto grafico: BeccoGiallo Lab

Edizioni di Comunità è un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti www.fondazioneadrianolivetti.it Direzione editoriale: Beniamino de’ Liguori Carino

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