Il Melozzo 02/2012

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Tariffa R.O.C., Poste Italiane spa - Sped. in abb. postale, D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004, n. 46) art. 1, comma 1,DCB Forlì - Reg. Tribunale Forlì 6/9/2011 n. 410

Anno XXXXV - N. 2 - luglio 2012 • Abbonamento annuo euro 20,00 - Sostenitore euro 26,00

IN PRIMO PIANO Ali nuove per Icaro.

STORIA

1952,Luigi Einaudi a Forlì.

DOSSIER

Notte Verde Europea di Forlì.


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SOMMARIO

IN PRIMO PIANO

editoriale

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Ali nuove per Icaro di Paolo Rambelli

STORIA 08 1952,Luigi Einaudi a Forlì: il primo presidente in visita alla città di Mario Proli

MUSICA 10 Daniele Brancaleoni, da Berio a Bach di Stefania Navacchia

FOTOGRAFIA 11 Visioni lagunari di Stefania Navacchia

dossier 12 Notte Verde Europea di Forlì di Roberta Brunazzi

ANDAR PER MOSTRE

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Sguardi d’autore di Rosanna Ricci

IDEE 22 “Giovani per il territorio”: da Forlì il progetto IBC Emilia-Romagna di Loretta Schiumarini

LIBRI 23 Un sindaco in trincea e la necessità di un nuovo impegno civico di Rosanna Ricci

FORLì UNDERGROUND 24 Sorelle e fratelli del week end di Mario Proli

in cauda venenum 26 Uno che capisce poco... di Ivano Arcangeloni

«IL MELOZZO» Già Periodico del Comitato Pro Forlì Storico-Artistica, Forlì Primo numero 14 marzo 1968 Direttore: Rosanna Ricci Edizioni In Magazine srl via Napoleone Bonaparte 50, 47122 Forlì tel. 0543 798463 - fax 0543 774044 Stampa: Grafiche MDM - Forlì Uscita trimestrale. Reg. al Tribunale di Forlì il 6/9/2011 n. 410 Redazione: Rosanna Ricci, Roberta Brunazzi, Mario Proli, Paolo Rambelli, Giorgio Sabatini, Gabriele Zelli In copertina particolare del monumento di Icaro Foto di Giorgio Sabatini Hanno collaborato a questo numero: Ivano Arcangeloni, Stefania Navacchia, Loretta Schiumarini

PALLA AL CENTRO Partiamo da due testimonianze di chi sta in prima linea: Claudio Rossi del Borsino Bar (intervistato dal “Corriere Romagna” il 13 giugno) e una seconda barista, di origine albanese, che lavora nel Centro Storico (intervistata da “Questa città” per il numero di maggio). “Noi ci siamo, - ha dichiarato il primo con riferimento agli eventi serali nel Centro Storico - aspettiamo solo di vedere anche i forlivesi e non solo universitari o cesenati”. “A me non è capitato di sentirmi discriminata - ha raccontato la seconda. - Sì, quando gli anziani si lamentano degli stranieri a volte, se sbagliano, mi viene da rispondere; però, ecco, si lamentano spesso anche dei giovani, del rumore. Quando c’è stata la Notte Verde ne ho sentiti alcuni dire: ‘Oh, ma in piazza sarà il delirio, mamma mia, ma perché fanno queste cose?’”. Aggiungiamo ora un po’ di numeri, che per definizione - non parteggiano per nessuno: le cento persone che assistono tutti i giovedì agli eventi programmati a Palazzo Talenti, le mille persone che hanno affollato la vernice della Libreria Feltrinelli, le migliaia di persone che ogni mercoledì sera animano il Centro Storico per i “Mercoledì del cuore”, le ventimila presenze registrate in occasione della Notte Verde di inizio maggio. Portiamo da ultimo la nostra piccola esperienza personale di giornalisti abituati (leggi: “costretti”) a trattenersi spesso fino a tardi in Centro Storico, cenando nei locali più diversi, da quelli più “alla mano” a quelli considerati più “esclusivi”, locali che molto raramente abbiamo visto semivuoti (e in quei pochi casi a ragion veduta). Se tre indizi fanno una prova, possiamo certamente dire che ce n’è più di una per derubricare le grida d’allarme sul Centro Storico moribondo a mortificante aspirazione dei residenti oppure a consunta chiacchiera da bar. Ovvero - volendo rimanere nel campo della saggezza popolare - ad illusorio tentativo da parte di qualcuno di chiudere la stalla quando i buoi sono ormai scappati. Sì, è vero, in Centro ci sono molte serrande abbassate, ma quante se ne abbassano ogni giorno anche fuori porta? È vero, la crisi economica sta mettendo in seria difficoltà molti commercianti, ma la crisi economica c’è per tutti: quante persone per-

dono ogni giorno il proprio posto di lavoro in fabbrica come nelle scuole, negli uffici come negli ospedali, senza avere nemmeno la possibilità di tentare qualcosa per salvarlo e nell’indifferenza più totale dei media? Perché a un certo punto occorrerà anche chiederselo: prima l’uovo o la gallina? Ovvero: i negozi del Centro chiudono perché in Centro non ci va più nessuno, o in Centro non ci va più nessuno perché non ci sono negozi (interessanti)? Se bastano eventi anche di modesto richiamo per portare così tanta gente in Centro certe sere, perché le altre sere (e di giorno) non ci va nessuno? È davvero il Centro ad essere poco attrattivo? Sono davvero i parcheggi ad essere troppo pochi e costosi (con buona pace di chi, per la Notte Verde, ha parcheggiato oltre la Stazione ferroviaria)? O i problemi riguardano anche (non solo, evidentemente) il modo in cui (non) si sono evoluti gli esercizi commerciali nel Centro storico? Ha senso continuare a promuovere l’attrattività del Centro Storico organizzando delle animazioni serali, se poi di sera i negozi rimangono (in gran parte) chiusi? La gente - forlivesi compresi! - in Centro alla fin fine ci va volentieri, ma deve avere un minimo motivo per andarci. E soprattutto per tornarci. Con i concerti e le notti colorate gliela puoi portare una volta o due, ma in quelle occasioni devi darle un motivo per tornarci anche quando non ci sono eventi particolari, e anche di giorno. Chi avrebbe il compito di farlo se ne sta (pre-)occupando? O pensa ancora che i buoi scavalcheranno le porte per poter rientrare nella stalla chiusa?

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IN PRIMO PIANO

ali nuove per icaro

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Il monumento ad Icaro nel suo aspetto odierno. Foto Giorgio Sabatini.

di Paolo Rambelli Si chiama “Ali Nuove per la città” il progetto messo a punto dal Fondo per la Cultura del Comune di Forlì per rendere possibile il restauro del monumento ad Icaro realizzato nel 1941 da Francesco Saverio Palozzi e posto all’ingresso dell’ex Collegio Aeronautico di piazzale della Vittoria, il primo istituito in Italia. Il recupero del monumento sarà affidato a restauratori professionisti, sotto l’egida dell’Università degli Studi di Ferrara, ma vedrà anche il coinvolgimento diretto di soggetti privati, secondo quello che è lo spirito proprio del Fondo per la Cultura. Per raccogliere, infatti, gli ottantamila euro necessari per l’intervento il Fondo ha lanciato un’apposita campagna di fund raising. Al momento oltre il 50% dell’importo è stato raccolto grazie all’intervento di imprese locali, coinvolte nell’intervento di restauro, nella comunicazione e nella sua promozione. Sono infatti molte le occasioni di visibilità per le imprese che potranno così approfittare di un’occasione unica per legare il proprio nome ad un’iniziativa di grande visibilità e risonanza: dalla presenza all’interno del cantiere in appositi spazi per le imprese a quella sui materiali informativi del progetto. Il sostegno economico delle azioni è inoltre interamente deducibile e si può quindi tradurre anche in un vantaggio fiscale per chi ha deciso di

“investire” in cultura. Anche i privati cittadini possono sostenere il progetto con l’acquisto di Buone Azioni per la Cultura - Emissione Speciale Icaro. Il merito del progetto “Ali Nuove per la città” va, inoltre, ben al di là del semplice restauro: accompagneranno l’intero intervento, che dovrebbe concludersi a dicembre, numerose azioni collaterali con finalità didattiche ed educative oltre che storico-artistiche, accompagnate da un rilancio turistico del territorio. La finalità didattica del progetto vede il diretto coinvolgimento delle scuole: in primis gli istituti superiori (Geometri, ITIS, Liceo Artistico, Istituto Aeronautico) per i quali sono previsti stage e laboratori già dal mese di luglio. Agli studenti degli ordini inferiori viene proposta invece un’“interpretazione” del monumento, del suo significato (mitologico, ma anche storico-artistico) attraverso concorsi di tipo letterario e figurativo. I singoli cittadini potranno vedere da vicino il monumento durante l’apertura del cantiere con visite guidate, grazie ad un ponteggio appositamente studiato e alla dotazione di scale di sicurezza. Tutte le fasi del restauro saranno documentate con video (anche educational a scopo professionale e accademico) e fotografie, per seguire l’avanzamento dei lavori. L’intero progetto verrà documentato attraverso una pubblicazione, che verrà presentata alla città al termine dell’intera operazione.

Il Boccaccio forlivese. Fino al 28 luglio si è potuta visitare a Forlì, presso la Biblioteca Comunale, la mostra “La fortuna di Biondo Flavio e Giovanni Boccaccio nel Cinquecento negli esemplari dei Fondi Antichi della Biblioteca A. Saffi” a cura di Antonella Imolesi Pozzi, responsabile dei Fondi Antichi, Manoscritti e Raccolte Piancastelli. La mostra ha inteso far conoscere l’aspetto erudito di Boccaccio autore di opere enciclopediche in latino e la sua attività di umanista e fine studioso dei classici. Accanto al Decameron, la sua opera più celebre che venne stampata per la prima volta proprio nella tipografia dei fratelli De Gregori stampatori forlivesi in Venezia, sono state esposte rare traduzioni in volgare del ‘500 che testimoniano la grande diffusione delle opere dell’autore in epoca umanistica e rinascimentale. I legami di Flavio Biondo (Forlì, 1392-1463) con Forlì sono noti, in quanto la città romagnola gli diede i natali e in Romagna spesso tornò nelle sue dimore di Monte Scudo presso Rimini, di San Biagio di Argenta presso Ferrara e di Ravenna. La recente pubblicazione per conto dell’Istituto storico per il Medio Evo dell’edizione critica a cura di Paolo Pontari de L’Italia illustrata di Flavio Biondo ha creato l’occasione per esporre in mostra la trascrizione manoscritta del XV secolo dell’opera di Biondo posseduta dalla nostra Biblioteca.

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IN PRIMO PIANO

Un’immagine del monumento quando ancora non portava evidenti i segni dello smog. Foto Giorgio Sabatini.

Il restauro

Il Monumento ad Icaro è stato sottoposto a rilievi e indagini in collaborazione con l’Università di Ferrara tramite TekneHub. L’intervento di restauro, effettuato sotto l’Alta Sorveglianza della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna, prevede ulteriori indagini e analisi da effettuarsi quando i ponteggi al servizio del monumento saranno innalzati. Si procederà poi alle fasi di restauro specifiche che inizieranno con la rimozione di biodeteriogeni (patine biologiche, muschi, microflora), proseguendo con azioni di preconsolidamento per preparare il marmo della statua alla pulitura. Si proseguirà poi con la fase di pulitura atta a rimuovere le patine biancastre (causate dal dilavamento delle superfici e dalla conseguente dislocazione dei depositi), ripulire le aree grigie (conseguenti al deposito di polvere ambientale) e rimuovere le cosiddette “croste nere” (causate sostanzialmente da solfatazione superficiale). Per fare questo si impiegheranno con grande cautela e attenzione spugne e piccole spazzole di saggina o microspazzolini in fibre vegetali o nylon e prodotti chimici complessanti, ad esempio (EDTA bisodico) messo a punto dall’I.C.R. (Istituto Centrale del Restauro) di Roma, in accordo con la Soprintendenza e applicati tramite la valutazione di progressive prove di contatto con diverse concentrazioni di soluzione. Per agire in modo adeguato in tutte le tipologie di pulitura previste è necessario adattare gli interventi (composizioni chimiche, concentrazioni e tempi di contatto) in corso d’opera avendo l’attenzione di applicare preventivamente, ove ritenuto opportuno, sulle superfici da trattare velinature con carta giapponese. Si avrà poi cura di rimuovere precedenti risarciture incongrue, eseguite nelle cavillature e nelle piccole lesioni della statua avendo cura di non danneggiare i lembi originari del marmo. Una successiva fase è costituta dal consolidamento effettuato con adeguati protettivi (a base di silicato di etile e alchil-silani e altri) sempre accuratamente testati e bilanciati a seguito di ripetute prove. Si prosegue ulteriormente con la stuccatura che ha lo scopo di ridare continuità fisica ed estetica alla discontinuità della superficie marmorea interessata da lesioni, micro cavil-

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lature e micro fatturazioni. Le stuccature saranno eseguite con malte aeree per gli interventi in profondità o con malte a base di leganti organici miscelate a polvere di marmo per gli interventi di superficie.Questa fase operativa è assai delicata e si dovrà avere cura di valutare un’appropriata serie campionature sia per conferire una adeguata consistenza materica che un’adeguata integrazione cromatica. Si concluderà con il trattamento protettivo. L’operazione sarà realizzata a completamento dell’intervento di restauro applicando sulla superficie un protettivo idrorepellente e

traspirante reversibile.I partner tecnici che cureranno i lavori sono: Mara Bianchi, Geom. Luciano Capanni (responsabile sicurezza), prof. Fabio Bevilacqua (direttore operativo dei lavori di restauro) HD System (prodotti per restauri e per l’edilizia), Proget Domus (allestimento cantiere), Morosi (fornitura ponteggi), Turoni Restauri (restauri artistici). Altre aziende della città hanno scelto di sostenere il progetto tra cui Integra Solutions (marketing e comunicazione), Officine Media, Tipolitografia Valbonesi, PubbliGraf, il Lions Club Giovanni De’ Medici e Unindustria Forlì-Cesena.

UNA PINACOTECA SENSAZIONALE. Non solo musica e teatro: per chi trascorre l’estate in città i Musei Civici hanno proposto l’apertura straordinaria della Pinacoteca, in abbinamento alla manifestazione “Mercoledì del cuore”, con proposte accattivanti come “Una Pinacoteca sensazionale. Visite guidate sensoriali”. Curate da Luciana Prati, direttrice della Pinacoteca, e Francesca Bandini, della Cooperativa Tre Civette, in collaborazione con l’Istituto Musicale “Angelo Masini” e il Fondo comunale per la Cultura, le visite di “Una Pinacoteca sensazionale” hanno proposto un contatto e un approccio diverso alle opere delle raccolte civiche, capace di coinvolgere i sensi del tatto, del gusto, dell’olfatto e dell’udito. Si è cominciato mercoledì 11 luglio con Tocchi d’artista, visita tattile alle sculture della Pinacoteca, condotta da Francesca Bandini. Il mercoledì successivo è stata la volta del gusto e dell’olfatto, con la visita alla scoperta de L’aroma dell’arte, un percorso tra i profumi e i sapori dei fiori, con la collaborazione della Cooperativa Le Macchine Celibi. L’appuntamento del 25 luglio ha avuto infine per protagonista il mondo dei suoni, ovvero La musica degli angeli. Musiche celesti: le note escono dai quadri, con la collaborazione dell’Istituto Musicale Angelo Masini. Un duo di flauti ha accompagnato la visita alle tavole rinascimentali conservate in Pinacoteca facendo rivivere le atmosfere musicali dell’epoca.


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STORIA

1952, Luigi Einaudi a Forlì: il primo Presidente in visita alla città di Mario Proli Fu una giornata speciale per Forlì quella del 16 giugno 1952. Esattamente sessant’anni fa, in un clima ancora segnato dalle distruzioni del conflitto e dalle difficoltà della Ricostruzione, la prima visita ufficiale di un Presidente della Repubblica sprigionò energia e speranze. La città imbandierata e una straordinaria partecipazione di cittadini salutarono l’arrivo di Luigi Einaudi, liberale rigoroso e piemontese vecchio stampo, che di fronte all’abbraccio della città romagnola non trattenne l’emozione, definendo quell’accoglienza “la più calda” ricevuta in tutta la penisola. Calda era anche la temperatura con gli strumenti meteorologici impegnati ad indicare un’afa anticipata. Einaudi, che fu capo dello Stato dal 1948 al ’55, giunse in piena notte a bordo del treno presidenziale che ne ospitava il sonno. La visita prese avvio alle ore 8.30 in punto rispettando il cerimoniale del saluto alle autorità. Insieme ai rappresentanti ufficiali del Parlamento (i democristiani Braschi per il Senato e Salizzoni per la Camera), il drappello istituzionale comprendeva il prefetto Querci, il sindaco Simoncini e gli onorevoli Aldo Spallicci e Cino Macrelli, oltre ad alti gradi dell’Esercito, dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia. Prima tappa fu al Palazzo di Governo in piazza Ordelaffi dove al gruppo delle autorità si aggiunsero il vescovo Paolo Babini e l’assessore provinciale Servadei. Per raggiungere la Prefettura il Presidente prese posto su un’auto scoperta che solcò un mare di folla assiepata ai bordi della strada fin dall’imbocco del viale della stazione. Applausi ed espressioni di gioia fecero vibrare una lunga onda d’entusiasmo che in piazzale della Vittoria svoltò in Corso della Repubblica e da qui proseguì dentro il cuore antico della città. Singolare il benvenuto scenografico allestito nell’aiuola di piazza Saffi, in quei giorni ancora priva del monumento al Triumviro che era stato smontato in seguito ai danni di guerra e che sarebbe tornato solo nel 1961. Con sobrietà coerente con le ristrettezze del momento, i giardinieri del Comune avevano cesellato una scritta sul manto erbo-

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Il Presidente Einaudi all’ingresso della “Primavera Romagnola” alla Fiera di Forlì (a sinistra, in alto).

Corteo in piazzale della Vittoria (a sinistra, in basso).

so con tanto di lettere e fregi. Terminato l’incontro in Prefettura, il programma proseguì alla “Primavera Romagnola”, l’appuntamento più importante organizzato dalla Fiera di Forlì che all’epoca aveva sede presso il Collegio Aeronautico. Einaudi e la consorte Donna Ida passarono in rassegna gli stand dei prodotti agricoli e industriali del territorio. Ambasciatrice del patrimonio locale fu la “pié”, la piadina romagnola preparata secondo tradizione e cotta sul testo di pietra che il Capo dello Stato mostrò di apprezzare, così come apprezzò l’omaggio di un suo ritratto realizzato con l’inconfondibile stile caricaturale da Ettore Nadiani. Nuovo tassello della visita furono gli Istituti culturali di Palazzo del Merenda per ammirare l’Ebe del Canova e approfondire il Risorgimento romagnolo attraverso una esposizione storica con documenti e cimeli. L’arrivo del drappello d’auto fu salutato da una cascata floreale sgorgata dalle finestre del Circolo Mazzini che colorò di petali l’asfalto di Corso della Repubblica. Replicando quanto era avvenuto nel 1938 per la visita del re Vittorio Emanuele III, ma con un’organizzazione connotata da meno “ordine e disciplina”, dopo la Pinacoteca toccò al Municipio. All’arrivo in una piazza Saffi traboccante di persone, l’entusiasmo costrinse le forze dell’ordine ad arginare fisicamente la folla creando cordoni di agenti. Anche in Municipio ci fu spazio per la cultura grazie alla presenza della “Mostra nazionale del disegno e dell’incisione” che fu illustrata da Gianna Nardi Spada e da altri artisti forlivesi fra i quali Casadei, Degidi e Pantieri. A conclusione dell’intenso programma giunsero le parole del sindaco Franco Simoncini che, nell’esprimere i sentimenti di stima e affetto della Città, delineò lo spirito forlivese in chiave patriottica, attraverso una genealogia di valori radicati nel Risorgimento e alimentati dalla giovane Carta costituzionale. Nel suo intervento, Simoncini non mancò di sottolineare come la straordinaria occasione giungesse in concomitanza con il primo anniversario della sua nomina a sindaco, assegnando alla coincidenza il ruolo di inatteso “regalo di compleanno”. Il destino,

Il Capo dello Stato con il sindaco Simoncini con fascia tricolore alla cinta (in alto).

invece, avrebbe riservato precoci amarezze al sindaco repubblicano che era riuscito a confinare il partito comunista all’opposizione guidando una coalizione sostenuta dal partito dell’edera, dalla democrazia cristiana, da liberali e socialdemocratici. In breve tempo fu sacrificato sull’altare delle lotte intestine al suo stesso movimento e venne costretto alle dimissioni, passando il testimone di primo cittadino (l’elezione non era diretta come oggi ma avveniva fra gli scranni del

La scritta nell’aiuola di Piazza Saffi (in basso). Tutte le foto sono conservate nell’archivio fotografico della Biblioteca Comunale “A. Saffi” di Forlì.

consiglio comunale) al mazziniano Mario Colletto. Di queste tensioni nulla emerse durante il “giorno del Presidente” che concesse spazio unicamente al tripudio democratico cui parteciparono tutte le forze politiche che si riconoscevano nella Repubblica. La visita si concluse nel pomeriggio con la partenza di Einaudi, in auto, alla volta del Museo della ceramica di Faenza. Alla stazione ferroviaria della città del Lamone lo attendeva il treno che lo riportò nella capitale.

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MUSICA

DANIELE BRANCALEONI, DA BERIO A BACH

Il violinista Daniele Brancaleoni.

di Stefania Navacchia A volte una città come Forlì può essere il punto di partenza di un viaggio musicale che attraversa diverse parti del nostro paese, diversi repertori e diversi approcci all’arte dei suoni. Una di queste storie ha come protagonista il violinista Daniele Brancaleoni, che negli ’70 iniziò il suo viaggio dal Liceo Musicale Masini. La sua era la Forlì di Romualdo Ravaioli, Alvaro e Fausto Fiorentini, Giovanni Mordenti, Adamo Scala, Lionello Godoli, Annamaria Cortini, Wally Sedioli e Giorgio Babini. In quel clima fare musica nell’orchestra degli amici del teatro significava suonare gli arrangiamenti tratti da Mascagni, Flotow, Dvorák, che scuole e circoli avevano ereditato dai caffè del dopoguerra e dai teatri del ventennio. Fare musica significava anche suonare autori come Schubert, Vivaldi e Mozart nella Basilica di San Mercuriale, in un modo che oggi appare poco conforme alla prassi esecutiva, ma che era frutto di lunghe prove condotte con gli insegnanti del Masini. Brancaleoni si diplomò al Conservatorio “G. B. Martini” di Bologna, da dove iniziò il suo percorso con i corsi di perfezionamento con le prime parti del Comunale del capoluogo emiliano presso l’Orchestra Giovanile di Budrio, per poi recarsi a Firenze e seguire l’Orchestra Giovanile Italiana di Piero Farulli. E il viaggio continuò nel 1987-88 nell’Orchestra dell’Emilia-Romagna a Parma, per poi continuare nell’Orchesta del Teatro Comunale di Treviso e nell’Orchestra Regionale Toscana. Così lo studio proseguiva assumendo anche la forma di professione, ma conservando sempre il piacere della scoperta, ad esempio quella di collaborare con importanti direttori come Peter Maag o Donato Renzetti, o di essere violino di spalla in orchestre sinfoniche (ad esempio Orchestra di San Marino e Orchestra Filarmonica Marchigiana), o di fare musica da camera accanto a Mario Brunello. Questo “girovagare” nelle formazioni italiane ha permesso a Brancaleoni di viaggiare attraverso diversi repertori, dal Barocco alla musica del ‘900. Ad esempio, negli anni ’80, quando era componente dell’Accademia Bizantina conobbe il violinista

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Carlo Chiarappa e il compositore Luciano Berio: l’iniziale diffidenza per la musica di quest’ultimo si trasformò prima in curiosità poi in interesse. Il fascino per il lavoro di questo autore fu alimentato anche da successive collaborazioni, prima nell’Orchestra della Repubblica di San Marino in occasione di un’esecuzione di Rendering, diretta dallo stesso compositore, poi a Rovereto dove Berio salì improvvisamente sul palcoscenico per dirigere il duetto finale Edoardo. In queste circostanze la conoscenza della musica nuova fu accompagnata dal rapporto con una delle personalità di maggior rilievo del secondo dopoguerra, a cui una volta Brancaleoni chiese: “Maestro, in questo punto come posso fare ad eseguire tutte queste note?”; la risposta di Berio fu: “Il più possibile!”. Da incontri come questo nacque anche la possibilità di indagare il “Gesto”, inteso come l’attimo in cui nel nostro cervello nasce la musica. L’indagine sul Gesto, portata avanti grazie anche allo

studio del pensiero del musicologo faentino recentemente scomparso Giovanni Morelli, e che Brancaleoni ritiene essere la finalità principale della filologia, lo condusse anche a cercare i legami tra i diversi repertori esplorati. Proprio a partire dal concetto di “Gesto” egli ha rintracciato analogie tra Sequenza VII per violino di Berio, dedicata a Chiarappa, e la Ciaccona della Seconda partita per violino solo di Bach, come si può leggere in uno scritto scaricabile dal suo sito (www.danielebrancaleoni.eu). La sua attività di ricerca è stata anche rivolta alla riscoperta e alla riesecuzione di opere del passato come Due concerti Grossi per due violini, viola, violoncello e orchestra d’archi op. 5 di Francesco Geminiani, la cui edizione originale è conservata presso il Fondo Piancastelli della Biblioteca Comunale di Forlì. A queste attività Brancaleoni affianca l’insegnamento presso il conservatorio di Sassari con l’intento di trasmettere ai giovani esecutori il piacere di viaggiare attraverso la musica.


FOTOGRAFIA

Uno degli scatti del progetto “La Terza Venezia” (in alto), un ritratto della fotografa Silvia Camporesi (in basso).

Visioni lagunari di Stefania Navacchia Il cammino della fotografa Silvia Camporesi ha fatto tappa a Venezia: dall’incontro con la città lagunare sono nati una mostra, che ha avuto luogo a Lugano nel 2011 e un libro, entrambi dal titolo “La terza Venezia”, di cui abbiamo avuto il piacere di parlare con l’autrice. Come è nato questo progetto? Il progetto è stato commissionato dalla galleria Photographica fine art di Lugano, con la quale lavoro da quasi due anni. L’idea è stata di esplorare la città di Venezia, seguendo un percorso già trattato da altri autori, ma cercando un punto di vista nuovo, inedito. Ho trascorso in laguna un intero mese, febbraio 2011. Cosa intendi per “Terza Venezia”? La ricerca di un nuovo punto di vista, di vedute insolite, mi ha portato a visitare la città in lungo e in largo. Il problema più difficoltoso è stato l’inquinamento visivo della città: turisti, piccioni, barche, in generale elementi che non volevo entrassero nelle mie immagini. Così dove Venezia non permetteva immagini pulite sono ricorsa alle architetture in scala riprodotte nella Venezia in miniatura di Rimini. Una piccola Venezia in scala 1:10 dove sono ricostruiti fedelmente i principali palazzi lagunari. Il risultato del mio progetto è stato di sommare, in post produzione, le due città, ricreando così una terza Venezia, in parte reale e in parte fatta di pura finzione. Esiste secondo te un filo sotterraneo che lega i gruppi in cui hai diviso le foto? Ho raggruppato le immagini seguendo quattro capitoli tematici: la nebbia che compare nella serie “nautofoni”, l’acqua alta di “quando comincia l’acqua”, le leggende e le figure irreali della serie “fantasmi” e infine le immagini dedicate ai famosi oggetti-ricordo della città, nella serie “souvenir”. Il filo conduttore che lega le quattro serie è l’atmosfera sospesa e surreale che ho cercato di mantenere in ogni immagine del libro. Anche “La terza Venezia” ha un carattere fiabesco e visionario: ci vuoi parlare di questo aspetto della tua poetica? Nel mio lavoro inseguo sempre una dimensione sospesa che rimandi a un presente non ben definito. Solitamente elimino dall’immagine ogni dettaglio che definisca il tempo in

cui ci troviamo, cercando di mantenere una generale sospensione dei soggetti, delle atmosfere. Spesso i riferimenti ai quali attingo sono leggende, storie curiose e irreali, e più in generale mi affido agli aspetti misteriosi del luogo. Così è stato per la serie di fotografie dedicata a Venezia. Quali altri aspetti della tua ricerca ritroviamo in questo lavoro (l’autoscatto, Ofelia, la prevalenza del bianco…)? Sicuramente il ricorso all’autoritratto, nelle uniche due immagini in cui compare la figura umana, ispirate alla storia-leggenda di Teresa Sandon, una ragazza scomparsa in una notte di nebbia, nelle acque veneziane, all’inizio del Novecento e che rimanda alla storia di Ofelia. Oltre al bianco, l’altro colore che ritorna è il ciano, dell’acqua e del cielo, trattato accuratamente in post produzione per raggiungere la giusta tonalità. La post produzione avvicina ulteriormente la fotografia alla pittura visto che in questo lavoro citi diversi quadri? Sì, c’è nel libro la citazione dell’“Isola dei morti” di Böcklin, un quadro che sembra raffigurare il cimitero veneziano dell’isola di San Michele. Così ho fotografato l’isola e poi ho elaborato l’immagine cercando di renderla vicina all’opera di Böcklin. Non mi interes-

sava rifarla uguale, ma rendere evidente il riferimento, l’origine dell’idea. In generale la post produzione è stata determinante in un lavoro come questo, dove finzione e realtà si intersecano continuamente. A quali nuovi progetti stai lavorando? Ultimamente mi sto dedicando alla tecnica giapponese del kirigami (taglio e piega della carta) applicata alla fotografia. Il risultato è l’acquisizione, da parte dell’immagine, di una tridimensionalità, generando la nascita di strutture tridimensionali all’interno dell’immagine. Il progetto riflette concettualmente sulle possibilità espressive della fotografia come spazio che contiene ulteriori aperture e informazioni oltre a quelle visibili (senza aggiunte o sottrazioni, ma operando sullo spazio fotografico stesso).

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DOSSIER

Notte Verde Europea di Forlì di Roberta Brunazzi Sabato 5 maggio 2012 il Centro Storico di Forlì ha ospitato la prima edizione della Notte Verde Europea, promossa da un panel pubblico-privato composto dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, dal Comune di Forlì (nei due assessorati alle Qualità Ambientale e alla Cultura) e dalla Camera di Commercio di Forlì-Cesena, e tradotta in realtà dal Romagna Creative District, da Rinnova - Romagna Innovazione e da L’Arte di Innovare, col duplice obiettivo di sensibilizzare i cittadini sui temi dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile e di portarli a vivere intensamente il proprio territorio. I tratti caratterizzanti della Notte Verde forlivese - che ha richiamato nelle vie del centro tra le 16 del sabato e le 8 del mattino successivo, attorno alle 20.000 persone sono stati l’inclusività (attraverso due diversi open call sono state coinvolte oltre 50 realtà del mondo imprenditoriale e di quello dei creativi, che hanno dato vita ad oltre 80 eventi) e la capacità di far dialogare tra loro il mondo delle imprese e del commercio, quello della ricerca e quello delle diverse discipline artistiche. Una scommessa vinta per i promotori dell’evento, affiancati da 13 partner tecnici e 24 sponsor, alleati preziosi grazie ai quali è stato possibile realizzare un progetto articolato e complesso, ricchissimo di materiali e contenuti. Il duplice obiettivo di questa prima edizione è stato quello di sensibilizzare i cittadini sui temi dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, portandoli nel contempo a vivere intensamente il proprio territorio. “Use less and live better” (“Usare meno e vivere meglio”) è stato il principio ispiratore, mutuato dalla Settimana Verde 2011 di Bruxelles. Su questo leit-motiv si è dipanata tutta la kermesse, tra dibattiti e workshop, presentazione di progetti e prodotti, performance artistiche e sportive, degustazioni di prodotti biologici o a km 0: tutte iniziative finalizzate ad esplorare le migliori esperienze sostenibili (tecnologie pulite ed energie alternative, mobilità sostenibile e

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“La Natura ti guarda!� Gli occhi sugli alberi di piazzale della Vittoria, uno dei simboli della Notte Verde Europea.

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DOSSIER

Musicisti scatenati per il ZingaRof ospitato nella piazzetta di corso Diaz (in alto, a destra).

Il manifesto ufficiale della manifestazione, andata in scena il 5 maggio (in alto, a sinistra)

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Caratteristico personaggio “green� ospite dei laboratori presentati nel chiostro di San Mercuriale (in basso, a sinistra).

Uno dei relatori del Bar-camp delle imprese in piazza XX Settembre, coordinato da Luca Bartoletti del CISE e Stefano Torelli di Rinnova Romagna Innovazione (in basso, a destra). Foto Giorgio Sabatini.


Il prato in via Giorgio Regnoli, percorso sensoriale per bambini (in alto, a sinistra). Foto Giorgio Sabatini.

L’assessore Patrick Leech, affiancato da Piergiuseppe Dolcini e Alberto Bellini, nel corso del convegno di apertura dell’evento, sul tema “Europa 2020: da Bruxelles a Forlì” (in alto, a destra). Foto Giorgio Sabatini.

Musicisti di strada in via delle Torri (in basso, a sinistra). Foto Giorgio Sabatini.

Il Maestro Marco Sabiu in piazza Saffi, protagonista del concerto “Audio Ergo Sum” che ha chiuso la serata del 5 maggio (in basso, a destra). Foto Giorgio Sabatini.

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DOSSIER

Le stelle della bandiera europea proiettate sul monumento di Saffi (a sinistra).

gestione dei rifiuti, bio-architettura e design, smart city, agricoltura, paesaggio). Tantissimi gli appuntamenti di spettacolo, riflessione, divertimento e informazione in programma, dei quali si può trovare una galleria fotografica (non esaustiva, vista la ricchezza e la complessità della serata) in queste pagine. La Notte Verde Europea si è rivelata così una piccola-grande occasione di adesione collettiva ai valori green. Un esperimento di partecipazione che incoraggia l’evoluzione di comportamenti virtuosi, per condividere uno sguardo sul futuro. E a cogliere questa occasione sono stati davvero in tan-

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ti, assaporando il gusto di una notte speciale nel cuore della città. “La Notte Verde - ha osservato il presidente della Fondazione Piergiuseppe Dolcini - è stata certamente un evento straordinario per l’inedita partecipazione del pubblico, ma ancor più per aver dimostrato di poter gettare un ponte tra mondi che troppo spesso faticano a comunicare tra loro, a partire da quello delle imprese e quello della ricerca accademica, tema che ci ha spinto già nel 2008 a dare vita a Romagna Innovazione. Un’esperienza, quindi, cui non solo va data continuità, ma che può essere presa a modello anche per altri ambiti”.

Il campanile di San Mercuriale sembra prendere fuoco in apertura dello spettacolo presentato da Eventi Verticali (a destra).

“La Notte Verde Europea - ha evidenziato il sindaco di Forlì Roberto Balzani - ha rappresentato la coesione e la speranza della comunità forlivese, ritrovatasi ad animare la città intorno ai suoi valori caratteristici: cultura e ambiente. Il programma, costruito insieme a tutti gli attori del territorio, ha consentito di disegnare la città ideale, per pensare e divertirsi allo stesso tempo. È un primo passo, per sviluppare Forlì in modo responsabile e sostenibile”. “Era davvero molto tempo - gli fa eco l’assessore all’ambiente Alberto Bellini - che non si vedevano tante persone di tante generazioni diverse abitare il centro sto-


Un gruppo di giovani artisti ai Giardini Orselli, impegnati in uno dei workshop dedicati alla Pop Art del nuovo millennio (in alto, a sinistra). Foto Giorgio Sabatini.

rico della città. Tante idee giovani, tanta musica, tanti profumi, tante innovazioni. La Notte Verde e Blu, con Saffi illuminato dalla bandiera europea, sembra ritrarre una Forlì inedita, disponibile ad accogliere punti di vista nuovi, reattiva. Corso Diaz pareva una strada del centro di Barcellona, via Regnoli una strada incredibilmente suggestiva, col tappeto verde lungo il marciapiede. Insomma, la testimonianza concreta di una trasformazione della percezione e dell’estetica urbana che può crescere davvero dentro di noi”. “Gli alti livelli di presenze - ha commentato Alberto Zambianchi, Presidente della Ca-

Performance acrobatica di Eventi Verticali sul campanile di San Mercuriale (in basso, a sinistra). Foto Giorgio Sabatini.

mera di Commercio di Forlì-Cesena - testimoniano come la città abbia partecipato con interesse e voglia di mettersi in gioco all’appuntamento della Notte Verde. Desidero evidenziare, all’interno della manifestazione, la presenza e la partecipazione di numerose imprese del territorio, con propri spazi espositivi e la presentazione dei prodotti e servizi ‘green’ ai cittadini, chiaro segno di come le aziende stiano rispondendo alla crescente domanda di ‘green economy’ nella nostra provincia”. “La partecipazione corale di oltre quaranta associazioni creative e culturali che hanno coinvolto oltre un centinaio di creativi

Una giovane volontaria tra piantine e colorati origami in corso Diaz (a destra). Foto Giorgio Sabatini.

- osserva a sua volta la presidente del Romagna Creative District Barbara Longiardi - ha dimostrato la volontà di contribuire in modo tangibile ad una nuova visione della città di Forlì e della Romagna. Esistono tantissime realtà creative locali, presenti sotto forma di piccole imprese e associazioni, che sono in grado di lavorare insieme in modo partecipato e che vogliono e possono dare un contributo davvero importante. Speriamo che queste nostre energie e questi creativi vengano nuovamente coinvolti per una progettazione collettiva degli spazi e delle azioni per la città”.

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ANDAR PER MOSTRE

sguardi d’autore di Rosanna Ricci

IVO GENSINI

Una mostra di alto spessore è “Metamorfosi Liriche Nature” di Ivo Gensini allestita fino al 30 giugno nel Palazzo di Residenza della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Si tratta di sculture a tutto tondo o ad altorilievo che rivelano una perizia “orafa”, tanto sono precise e puntuali. Ivo Gensini è nato nel 1950, si è diplomato all’Istituto Statale d’Arte di Forlì, dove ha ricoperto per molti anni la cattedra di Plastica, e ha completato i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ma ciò che interessa particolarmente della sua vicenda artistica è stato il contatto con l’informale che gli ha permesso una visione diversa delle cose. “Gli oggetti quotidiani, attraverso questa innovativa forma d’arte - spiega Gensini -, vengono riabilitati”. Di qui il continuo contatto dell’artista con la materia, in prevalenza legno e metalli, in modo da aggiungere la libertà gestuale alla precisione di parallelismi costruttivi dove tutto risponde a un estremo equilibrio armonico. Anche le fessure, gli spazi si coniugano a questa intenzione di misura che permette di guardare in modo diverso le cose comuni. Questa totale corrispondenza fra ideazione e realizzazione pratica richiede tempi lunghi e una forte concentrazione mentale. La fedeltà a questo rigore creativo impedisce a Gensini di realizzare molte opere: in mostra è possibile ammirane 37 prodotte negli ultimi vent’anni. I temi proposti nella mostra sono essenzialmente tre, come dichiara il titolo dell’esposizione. In primo luogo la “Metamorfosi” intesa come trasformazione della materia o di un oggetto quotidiano in qualcosa d’“altro”. Nasce quindi una nuova forma, destinata ad avere una vita propria grazie alla feconda coesione di geometrie e di elementi informali realizzati con l’uso di materiali diversi (ferro, piombo, zinco, rame, ottone, acciaio, legno). Gli altri temi sono “Liriche”, perché le opere creano visioni poetiche non estranee a componimenti letterari in quanto medesimo è il percorso, e “Nature”, perché vi è una relazione con oggetti della natura (nidi, pesce, mela) rielaborati e reinterpretati secondo una visione personalissima che non esclude richiami ad altri artisti come in “I Nidi”, opere-omaggio a Brancusi, Fontana, Burri, Dalì, Pomodoro, Botero, Viani.

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“Boccione”, opera polimaterica di Ivo Gensini.


“L’attesa” (1978) di Francesco Giuliari.

FRANCESCO GIULIARI

Molti a Forlì hanno conosciuto Francesco Giuliari (nato a Verona nel 1929 e morto a Forlì nel 2010) e ne hanno apprezzato le opere pittoriche. Un numero inferiore è rappresentato invece da quelli che hanno avuto il privilegio di vedere le sue incisioni e di incontrarlo nello studio dove c’erano opere e strumenti, compreso il torchio calcografico donato poi al Liceo Artistico di Forlì. Un’umanità sorprendente, una signorilità di modi e una qualità pittorica eccellente avevano reso Francesco Giuliari una persona molto amata e con tanti amici nella nostra città. Ritornando all’attività incisoria, fino al 3 giugno è stata allestita una mostra di opere grafiche dell’artista al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo. Sono state esposte circa 100 opere realizzate

dal 1970 in poi. Una parte ritrae paesaggi veneti, le ultime invece sono quelle più originali perché l’immagine, pur sempre chiara e leggibile, ha forti richiami simbolici. Uomo di grande sensibilità e di forte spessore culturale, Giuliari trasferiva nelle opere rivisitazioni in chiave moderna di grandi maestri del passato oppure aggiungeva nelle opere (a volta anche nelle cornici) scritte, titoli, allusioni a uno scrittore o a un poeta. Non amava parlare di sé, ma aveva una grande conoscenza del mondo dell’arte, della storia e anche della musica, da lui molto amata. Aveva il diploma di maturità classica e quello di maturità artistica, una laurea in Lettere e Filosofia e una lunga permanenza come docente di Storia dell’arte contemporanea e tecniche pittoriche all’Accademia Cignaroli di Verona. Dotato di

sorridente ironia, Giuliari amava spesso diventare protagonista dei suoi quadri. La figura umana così difficile da rappresentare era spesso il nucleo delle sue “citazioni”, circondate da oggetti che con la figura avevano stretti rapporti anche concettuali. L’eleganza delle linee, l’armonia delle forme, la grande qualità esecutiva non erano però elementi di solo godimento estetico. Ogni particolare, anche il più insignificante, aveva, infatti, una precisa funzione nell’opera e “mediava” elementi all’apparenza inconciliabili. Tutto nasceva da una fervida fantasia, ma anche da pulsioni intime, dolci e cariche di sensibilità come la frase che compare più volte nelle incisioni, “Sa figurarci l’icone e cura significando”, che altro non è che il doppio anagramma del suo nome in una frase di senso compiuto.

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ANDAR PER MOSTRE

“Primavera” (1902) di Domenico Baccarini.

“OLTRE IL MARMO”

Una mostra che ha una stretta relazione con quella dedicata all’opera di Adolfo Wildt nei Musei San Domenico è la sesta edizione di Novecento Rivelato dal titolo “Oltre il marmo”, allestita fino al 1° luglio nel salone della Pinacoteca civica forlivese. La singolarità della rassegna - curata da Orlando Piraccini e da Luciana Prati - è di presentare molte sculture scarsamente conosciute perché conservate nei depositi. Le opere in mostra (bronzi, terracotte e gessi) appartengono allo stesso periodo in cui visse il grande scultore milanese. Alcune di queste sculture fanno parte del fondo più importante di Forlì, la collezione Piancastelli. Vari sono i linguaggi espressivi che spaziano dalla tradizione accademica al simbolismo, al verismo, al liberty. Fra i nomi più noti degli scultori romagnoli presenti citiamo Domenico Baccarini, Tullo Golfarelli, Bernardino Boifava, Ercole Drei, Mauro Benini, Pietro Melandri, Ugo Savorana, Ettore Lotti. A questi si aggiungono alcuni autori toscani come Paolo Testi, Walmore Gemignani, Mario Moschi. Fra le opere più significative si segnalano: un piccolo ritratto di Giovanni Pascoli realizzato da Tullo Golfarelli che è anche l’esecutore del bronzo “Tritone”, alcune statue in terracotta di Domenico Baccarini, fondatore del celebre cenacolo faentino che porta il suo nome e, sempre dello stesso ambiente, un nudino di Ercole Drei. Meritano di essere ricordati il ritratto del pittore Giovanni Marchini realizzato da Bernardino Boifava a cui si deve anche il busto di Cesare Majoli e due ritratti, opere di Ugo Savorana. Tutto questo dimostra come la scultura abbia avuto un posto importante all’interno della Pinacoteca forlivese. “Nel corso dei decenni - scrive Orlando Piraccini - donazioni e lasciti di privati, ma anche trasferimenti da altri luoghi pubblici cittadini hanno reso più consistente e varia la componente plastica della raccolta comunale. Ricchezza però non sempre conosciuta. Oggi, grazie al progetto ‘Novecento Rivelato’ è possibile avere un quadro conoscitivo di questa ricchezza culturale del nostro territorio. Non dimentichiamo poi che alcune delle splendide opere presenti nella mostra ‘Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt’ sono conservate nella Pinacoteca forlivese in seguito alla donazione del conte Raniero Paulucci Di Calboli”.

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In tutte le librerie

HO PROVATO A FUGGIRE di Erminia Crociani

“Si fa una gran fatica a raccontare una storia vera, soprattutto se è dolorosa e se appartiene a te.”


IDEE

“GIOVANI PER IL TERRITORIO”: DA FORLì IL PROGETTO IBC EMILIA-ROMAGNA di Loretta Schiumarini Si chiama “Giovani per il territorio” ed è un’importante iniziativa realizzata dall’Istituto per i Beni Culturali dell’Emilia-Romagna (IBC) che ha scelto la città di Forlì come prima area di sperimentazione a livello regionale. Nel presentare il progetto, il Presidente dell’IBC Angelo Varni ha sottolineato l’obiettivo di diffondere la cultura della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, soprattutto in rapporto al territorio del quale sono elemento peculiare, e di far comprendere l’importanza del patrimonio (percepito in una continua integrazione con le vicende storiche e i mutamenti sociali) rivolgendosi in particolare alle nuove generazioni. Insieme a questa finalità ne compare un’altra e cioè la valorizzazione delle energie dei giovani e l’incentivo a coltivare esperienze di cittadinanza attiva. Il progetto si propone infatti come invito ai giovani a esplorare il proprio territorio, a prendersene cura, a riconquistarlo e a rinnovarlo per realizzare percorsi di creatività. Per questi motivi è stato aperto un bando destinato a finanziare attraverso l’attribuzione di un contributo complessivo di 12.000 euro, la realizzazione di due progetti innovativi a tema libero per la valorizzazione di uno o più beni culturali ubicati nella città di Forlì. I progetti dovranno essere attuati direttamente dai soggetti proponenti entro il 30 ottobre 2013 mediante una o più modalità. Si può optare per azioni di comunicazione per la promozione del bene culturale anche attraverso supporti editoriali, multimediali e grafici e/o con l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione. Altra possibilità è rappresentata da iniziative concrete legate alla tutela e alla valorizzazione del bene nel contesto della cultura, della storia e della tradizione locale, attraverso l’ideazione di proposte innovative in grado di esprimere la creatività giovanile nelle sue varie forme. Oppure è possibile attivare iniziative relative alla promozione turistica ambientale e culturale del contesto nel quale è collocato il bene anche in raccordo con altri soggetti come le associazioni di volontariato. Infine sono tenute in considerazione iniziative didattiche, eventi, mostre e altre at-

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tività di educazione al patrimonio culturale legate al bene prescelto. Possono partecipare al bando i giovani cittadini che, alla data di scadenza, abbiano un’età compresa fra i 18 e i 35 anni, organizzati in gruppi informali composti da un minimo di tre giovani; oppure le associazioni e le cooperative di cui almeno tre componenti abbiano un’età compresa fra i 18 e i 35 anni, già formalmente costituite alla data di scadenza del bando. Le domande di partecipazione devono essere inviate entro il 28 settembre 2012.

Per ulteriori informazioni: www.ibc.regione.emilia-romagna.it; giovaniperilterritorio@regione.emilia-romagna.it.

28 SETTEMBRE 2012 SCADENZA DEL BANDO 30 OTTOBRE 2013 ATTUAZIONE DEI PROGETTI 12.000 EURO FONDI DISPONIBILI 18-35 ANNI ETà DEI PARTECIPANTI

Tonino Guerra. Un ricordo forlivese. La fotografia che proponiamo fu scattata da Aurelio Angelucci il 22 dicembre del 1981. Siamo nel Salone delle Conferenze della Camera di Commercio di Forlì ed è appena terminata la manifestazione in onore di Tonino Guerra che, per l’ occasione, invitato dal Circolo “E’ Racòz”, ha presentato al pubblico forlivese “Il Miele”, un suo poemetto in dialetto romagnolo, con traduzione italiana a fronte. A far da supporto all’ amico sono intervenuti due “pezzi da novanta” della cultura romagnola come Don Francesco Fuschini e Walter della Monica. Il successo dell’ incontro è stato clamoroso e Tonino Guerra nel suo intervento non ha mancato di citare con grande stima (“è un genio!”) l’intellettuale concittadino Piero Camporesi, docente all’ Università di Bologna, che da poco, anch’egli, aveva dato alle stampe un’opera come “Il pane selvaggio”, di fondamentale importanza nel campo dell’ antropologia culturale. Prima di recarsi al ristorante per il tradizionale trattenimento conviviale proposto dal “Racòz”, vediamo il Poeta di Santarcangelo trattenersi cordialmente con un piccolo gruppo di amici ed estimatori, fra i quali riconosciamo, oltre a Walter della Monica, da sinistra: Vittorio Mezzomonaco, Nino Piccari e Fanny Monti, di spalle.


LIBRI

Un sindaco in trincea e la necessità di un nuovo impegno civico di Rosanna Ricci è un dibattito che scava in profondità quello aperto dal libro di Roberto Balzani “Cinque anni di solitudine - Memorie inutili di un sindaco”, e già questo dato rende “differente” la pubblicazione rispetto agli standard del confronto politico italiano, spesso appiattito su luoghi comuni, slogan e analisi superficiali. Uscita a maggio 2012, la pubblicazione edita da “Il Mulino”, ha acquisito subito un ruolo di carattere nazionale grazie alla considerazione ricevuta dai principali giornali italiani (dal “Corriere delle Sera” a “L’Espresso”) e alle interviste televisive e radiofoniche su media nazionali. I perché di una così alta attenzione vanno ricercati nelle caratteristiche dell’autore e nel contenuto del volume. L’autore: un professore universitario di storia contemporanea, con radicata esperienza di partecipazione nel tessuto associazionistico romagnolo e una situazione imprevista che, vinte le primarie del Partito Democratico da outsider, lo ha portato diventare sindaco di Forlì nel 2009. Il contenuto: una analisi dettagliata e senza sconti della condizione politica, morale, amministrativa e istituzionale dell’Italia di oggi vista dalla prima linea del Comune. I due fattori risultano concatenati e, leggendo, emerge come il prevedibile passaggio del professore dalla teoria degli studi alla pratica dell’amministrare la cosa pubblica (con frase ad effetto risorgimentale si potrebbe dire “dal pensiero all’azione”) sia stato controbilanciato dalla riflessione costante su ciò che avviene. Ciò significa attenzione alle dinamiche, alle cause, agli effetti, alle relazioni e ai fatti, nonostante i tempi brucianti e travolgenti della vita amministrativa. Balzani si è invece misurato con ciò di cui è partecipe un sindaco (e ancor prima un candidato-sindaco), ha sezionato le questioni e fissato pensieri sulla carta in modo da rendere permanente la riflessione. C’è poi un altro aspetto che rende il libro particolarmente interessante per chi abita in questo angolo di Romagna. Si tratta del ruolo che Forlì assume come caso di studio nazionale, come laboratorio. è una sensazione piacevole sentir parlare della nostra città nella

trasmissione di Corrado Augias o in quella di Lilli Gruber e non solo per una piccola nota di orgoglio (sentimento peraltro non particolarmente assecondato dai forlivesi, più propensi a evidenziare problemi che a condividere soddisfazioni), ma perché passa l’idea che qui, fra le mille difficoltà quotidiane, si stia in realtà muovendo qualcosa di nuovo e di utile all’Italia. L’analisi di Balzani parte da un’esigenza fondamentale per il presente incerto e un futuro minacciato da scenari di crisi non solo economica: il bisogno di verità. Perché nel tempo, a causa del crescente benessere che ha alimentato sovradimensionate politiche di spesa pubblica e ha tarato verso il basso i livelli di moralità della classe dirigente (nei casi più nobili appiattendoli su posizioni funzionali al dato elettorale), è venuta meno la fiducia fra cittadini e centri in cui si esercitano le forme di governo. Il bisogno di verità emerge quotidianamente, mano a mano che aumenta la consapevolezza di quanto sia diventato distante il rapporto fra partiti e persone, fra progetti e realtà, fra attese e risposte, fra aspirazioni e frustrazioni. L’attualità risulta costellata di scenari de-sincronizzati e di strumenti in gran parte obsoleti, tanto nell’organizzazione quanto nella definizione degli obiettivi. Così gli attori pubblici e privati che occupano la scena abbisognano l’uno dell’altro ma spesso non riescono a comprendersi. Lo studio di Balzani è alimentato da un’ansia di capire e affronta i problemi partendo dalla “lettura” della città e del territorio, delle istituzioni e delle classi dirigenti, delle componenti sociali e economiche. Da questa lettura emergono i problemi, primi fra tutti quelli determinati da strutture esauste impegnate nel governo amministrativo, dalla carenza di credibilità delle classi dirigenti e dalla mancanza di idee condivise di futuro. Il testo evidenzia pure le risorse e le possibilità di reagire a questa situazione, caricando una spinta dal “basso”, dall’impegno civico dei cittadini e dai Comuni, senza cercare alchimie ma sfruttando ciò che la legge mette a disposizione. Si è di fronte a un libro militante (nel titolo “interrogativo” dell’ultimo paragrafo l’autore rende evidente di assegnare alle memorie un chiaro mandato di utilità)

che lancia proposte partendo da un modo rinnovato di far politica, motivato prioritariamente dal senso del dovere, dalla condizione pro-tempore della gestione del potere e dalla volontà di essere autenticamente partecipi del proprio tempo. è una chiamata all’azione che, però, sembra stridere con il titolo. Viene da domandarsi: perché “Cinque anni di solitudine”? La risposta si legge nel paragrafo che apre la seconda parte del libro ed ha a che fare con la dimensione introspettiva dell’autore e con la condizione di sacrificio in cui si trova (e si troverà sempre!) chi per un periodo di tempo dedica sé stesso (e inevitabilmente la famiglia, amici, risorse, tempo) al servizio della “cosa pubblica”. Se poi questo periodo coincide con una gravissima crisi dello Stato, che scarica sui Comuni i mille problemi che gli apparati provinciali, regionali e nazionali non riescono a risolvere, questa situazione sfocia nel paradosso di far piombare in un profondo senso di solitudine anche una figura, come quella del sindaco, che più di tutti vive in mezzo ai cittadini e intreccia la sua quotidianità in una miriade di relazioni.

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FORLì UNDERGROUND

Sorelle e fratelli del week end di Mario Proli percorso letterario nel ventre della Forlì segreta e clandestina incrocia la storia di Chiara. Occhi marroni, capelli castani che sfiorano le spalle e corrono sulle sopracciglia lungo una frangia leggera. è intelligente e responsabile, così almeno dicono le maestre e l’insegnante di danza. Esile, elegante, giovane ballerina di quarta elementare. Figlia unica. Condivide un destino simile a quello di altre bambine e bambini, ragazzi e ragazze, della città d’inizio millennio. I suoi genitori sono divorziati. Chiara ha due famiglie, un invariato numero di nonni, zii e cugini e una quantità imprevedibile di sorelle e fratelli del week end. Analizziamo il caso. I genitori si sono separati in modo burrascoso. Sono persone oneste, educate, tendenzialmente altruiste, legate da sincero amore per la figlia ma ferocemente incazzate l’una con l’altra. Chiara vive con la mamma e può stare con il babbo, e coi i nonni paterni, in determinati giorni e orari, come deciso dal giudice e accettato in modo consensuale. La mamma non è riuscita a ricostruirsi un legame sentimentale stabile e continua a sperimentare relazioni, fino ad oggi di breve durata, con uomini separati o presunti tali. Il babbo, invece, si accompagna da quattro anni con una donna divorziata alla cui frequentazione è imputabile la causa del fallimento coniugale. Chiara non sopporta la quasimatrigna per colpa della ostentata vanità e dell’irritante capigliatura color corvino, luccicante e serpentina. Non sopporta neppure la sua figlia, cioè la quasi-sorellastra, che ha dieci anni e sfoggia a imitazione della madre una chioma che ricorda un piccolo nido di vipere. L’antipatia è reciproca. La gelosia vibrante. Chiara ha un grande amore. Si chiama Ercole ed è il cane dei nonni paterni; un boxer fulvo, con pelo a spazzola scintillante e un fisico poderoso. Purtroppo riesce a vederlo solo la domenica pomerig-

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continuano SUL MELOZZO le storie SURREALI AMBIENTATE NELLA forlì CONTEMPORANEA. gio a causa dell’organizzazione consensuale. Di norma funziona così: il sabato, all’uscita da scuola, Chiara viene presa da uno dei genitori che la tiene, insieme al relativo partner e alla rispettiva prole. La famiglia variabile del fine settimana sta insieme al pomeriggio e alla sera per ritrovarsi, spesso, al risveglio. A mezzogiorno, per Chiara, arriva il turno dei nonni paterni, così come pattuito. Infine alla sera la mamma la va a prendere. Suona il citofono, dice una frase secca agli ex suoceri e la bambina scende. Quelle poche ore domenicali custodiscono il momento più atteso della settimana, una parentesi di coccole e affetto. Chiara sta sempre con Ercole e, dopo aver giocato e saltato e corso nel piccolo giardino o attraverso le stanze, si siede vicino a lui e gli parla. “L’altro sabato mamma ha portato in casa il nuovo moroso e i suoi figli. Sono sportivi. Lui lavora nelle assicurazioni e sembra meglio di quello di prima. Almeno non ha quell’odore falso di dentifricio. Il figlio più grande fa la seconda superiore e ha già la ragazza. Me l’ha fatta vedere nel telefonino. è bella. Lui sembra gentile. L’altro va alle medie e crede di sapere tutto. Mah... Vedremo come andrà con questi fratelli. Forse li rivedo sabato prossimo, se la mamma resiste.” Ercole segue con attenzione. “La serpe nera invece è insopportabile. Ieri sera mi ha detto tante cattiverie, una dietro l’altra. Che lei è più brava, più bella, ha più amiche, si veste meglio. Ha detto perfino che il babbo vuole bene a lei come a me e forse un po’ di più. Il mio babbo!? Volevo spaccarle il muso col telecomando. Mi ha detto che il babbo le ha regalato un braccialetto. Blèèè! Ma che braccialetto! Era uno di quei cordini colorati e in più, ne sono sicura, glielo ha comprato sua mamma e le ha detto una balla. Poi ha sparato l’ultima cattiveria. Ha detto che io e lei stiamo insieme, e così capita anche agli altri fratelli dei week end, perché a turno i nostri genitori possano essere senza figli fra i piedi e fare i fidanzatini. Così un sabato stanno soli il babbo e la serpentona e

la settimana dopo tocca agli altri due”. Il boxer la guarda e i suoi occhi brillano di una istintiva solidarietà. “Meno male che ci sono i nonni e per fortuna ci sei tu”. Chiara accarezza il cane e gli si stende vicino. S’addormenta. Ercole ha il muso appoggiato sulle zampe e sente il calore di un respiro leggero. Suona il campanello della porta. Il pomeriggio è finito. Si torna alla routine della nuova condizione di fanciullezza, figli di più d’uno e sotto il fuoco di obblighi incrociati. La bambina non si sveglia. I nonni la chiamano. Lei sembra dormire. Non c’è nulla da fare. La mamma è costretta a entrare. è spazientita. Si lamenta coi nonni. La bambina rimane immobile. La chiama di nuovo, alza la voce, la scuote bruscamente. Nulla. Ora la mamma urla, la nonna urla, il nonno urla. è troppo. Ercole s’impone in quella rissa con ringhio oscuro e chiaror di denti. “Non permettetevi”, sembra dire, “rispettate questa serenità.” Gli adulti si spaventano e per un attimo tacciono. Ercole striscia il muso sul volto della piccola come una morbida carezza. Chiara si risveglia: è ora di andare.


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In cauda venenum

Uno che capisce poco... di Ivano Arcangeloni Per onestà devo premettere che io sono uno che capisce poco. Se capissi un po’ di più, non vivrei nel Centro storico di Forlì, proprio in centro centro, a due passi dalla piazza, senza essere nemmeno un immigrato. Se capissi un po’ di più avrei comprato casa a Barisano o a Pieveacquedotto. Ma capisco poco, così sto in Centro. Una delle tante cose che non capisco è perché i commercianti del Centro, quelli che resistono, sono così ostili all’ipotesi – il sogno? – di una pedonalizzazione, almeno parziale, di alcune vie. I commercianti, credo, ragionano così: se il cliente non può parcheggiare di fronte alla vetrina, non compra. Ragionamento bizzarro, visto che una delle strade più animate dallo shopping è via delle Torri, l’unica pedonale. A me, capendo poco, sembra che senza le macchine passeggiare per il Centro sarebbe più piacevole. E mi pare anche che passeggiando senza l’ansia di essere travolti da un SUV, ci sia più agio nel curiosare tra le vetrine e, magari, fare un acquisto. Ormai siamo assuefatti all’automobile, è diventata parte integrante del paesaggio e ci sembra normale così. Forlì non è Firenze, e anche a Firenze piazze come Santa Maria del Carmine o quella di Santo Spirito sono ormai destinate a... parcheggio. Forlì non è Firenze, ma ci sono angoli del Centro storico che conservano una loro bellezza: piazzetta Melozzo, per esempio, tra corso Garibaldi e l’ex convento della Ripa, esatto, lì dove c’è il parcheggio... Quella piazzetta cosa sarebbe senza le auto? Facciamo un esperimento mentale: proviamo ad immaginare piazzetta Melozzo senza automobili. Ci sono degli alberi, potrebbero esserci delle panchine, magari un gelataio ambulante, bambini che giocano a pallone, mamme che li lascerebbero fare senza angosce (poiché se le auto non ci sono, non ci sono nemmeno pericoli), e forse, dico solo forse, potrebbero anche guardarsi in giro, sbirciare in una vetrina e, chissà, avventurarsi in un acquisto. Spingiamoci più in là: immaginiamo adesso piazza del Carmine senza automobili. Sì, lo riconosco, questo è troppo anche per un esperimento mentale. Allora andiamo oltre, proviamo a fare un sogno col-

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lettivo: piazza del Carmine chiusa al traffico! Anche lì metterei qualche albero, qualche panchina, i bar ci sono già, si potrebbe celebrare il rito dell’aperitivo in Centro, all’ombra di un ippocastano, seduti su una panchina, guardando i bambini giocare e ridando così vita alla piazza che adesso, ridotta a parcheggio, è morta. Nella piazza del Carmine del nostro sogno invece si potrebbe parlare, gironzolare, leggere un libro, insomma vivere. Sì, è vero, è solo un sogno. L’aperitivo è bello farlo in mezzo al traffico, sull’orlo di una rotonda, a due passi dalle auto che stazionano in attesa del verde e intanto ci riempiono dei loro veleni. Così fa la gente, oggidì. Che strano, però, che i più strenui oppositori alla chiusura del Centro alle auto siano proprio i commercianti. Non avrebbero proprio loro tutto da guadagnarci dal trasformare il Centro di Forlì in un luogo piacevole nel quale ritrovarsi, passeggiare, parlare? La crisi picchia duro, lo sappiamo. I commercianti forse pagano più di altri l’impoverimento progressivo delle famiglie; loro forse più di noi sono subissati da balzelli da pagare. E allora, perché non provare? Forse le cose vanno bene così come stanno? All’Ikea si parcheggia lontano, si cammina a lungo sotto il sole cocente, in quei non-luoghi

delle nostre periferie. E poi entri e continui a camminare, camminare, nell’atmosfera asfittica dei grandi magazzini, con quelle musichette melense di sottofondo, con quell’aria chiusa, senza poter guardare un pezzetto di cielo. Dal parcheggio di via Manzoni a piazza Saffi si cammina meno che da quello dell’Ikea al reparto cucine. Eppure quella da via Manzoni alla piazza sembra troppa strada, tanto che quel parcheggio, nuovissimo, è quasi sempre deserto. Perché bisogna parcheggiare vicino, bisogna camminare il meno possibile: per camminare c’è il tappetino della palestra... E poi, diciamocelo, camminare è un po’ da pezzenti: vuoi mettere arrivare all’aperitivo con il macchinone? Così come andare in bici: non sarà da pezzenti, ma di certo è roba proletaria. La bici è di sinistra e il SUV di destra, direbbe Gaber. Ma a Forlì non c’è una giunta di sinistra? Ah, ecco, è vero: la bici che mi immagino io (che difatti capisco poco), arrugginita, con la sella sbilenca e il fanalino rotto, è da sinistra extra-parlamentare, da anarco-insurrezionalista. Invece la bicicletta da corsa, quella che inforchi indossando tutini fosforescenti che si vedono fin dalla Luna, è da sinistra di governo. Il SUV, non ci piove, è di destra. Per quanto... chissà quanti “compagni” ce l’hanno...




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