Ravenna IN Magazine 01 2016

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Tariffa R.O.C.: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB - FILIALE DI FORLÌ - Contiene i. p. - Reg. al Tribunale di Forlì il 16/01/2002 n. 1 - EURO 3,00

R AV EN N A N° 1 MARZO/APRILE 2016

GAMBERINI

Laura

LA VOCE DI NEW YORK

MARIA MARTINELLI / Lo sguardo è donna MEINI E GONDOLINI / Cittadini del mondo SIR CHESTER COBBLEPOT / Non rompeteci le scatole


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1 - 3 Luglio / Misano , Italia

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EDITORIALE

Q

Questa primavera portiamo i nostri lettori nella Grande Mela, dove Laura Gamberini, dopo una lunga esperienza nella TV nostrana, è diventata columnist per “La voce di New York”, periodico di riferimento degli italoamericani. Proseguiamo con Maria Martinelli, direttrice del festival del cinema “The Lovely Ring”, che ci racconta la sua carriera e la sua predilezione per la fantascienza. Incontriamo poi Marco Meini e Giovanni Gondolini, che nel 2013 hanno lasciato la nostra città per esplorare il mondo in bicicletta. Abbiamo infine parlato con Pieralberto Setti del Ravenna Yacht Club e abbiamo incontrato gli autori di giochi da tavolo di Sir Chester Cobblepot, gli artisti Davide Bart. Salvemini e Anna Finelli, il restauratore di moto Graziano Ferrini e le calciatrici del San Zaccaria-Ravenna, che dal 2015 sono in serie A. Andrea Masotti

SOMMARIO

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ANNOTARE

Brevi IN

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ESSERE

Laura Gamberini

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GIRARE

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Maria Martinelli

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SFIDARE

Meini e Gondolini

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NAVIGARE

Ravenna Yacht Club

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GIOCARE

Sir Chester Cobblepot

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CREARE

Davide Bart. Salvemini

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EDIZIONI IN MAGAZINE S.R.L. Redazione e amministrazione: Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì Tel. 0543.798463 / Fax 0543.774044 www.inmagazine.it inmagazine@menabo.com

Collaboratori: Erika Baldini, Annalisa Balzoni, Alessandro Bazziga, Roberta Bezzi, Alessandro Bucci, Andrea Casadio, Anna De Lutiis, Gianluca Gatta, Serena Onofri, Giorgio Pereci, Aldo Savini, Michele Virgili. Fotografi: Lidia Bagnara, Massimo Fiorentini, Elio Guidi, Giorgio Sabatini.

RAFFIGURARE

Anna Finelli

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RESTAURARE

DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Masotti REDAZIONE CENTRALE: Serena Focaccia ARTWORK: Lisa Tagliaferri IMPAGINAZIONE: Francesca Fantini CONTROLLO PRODUZIONE E QUALITÀ: Isabella Fazioli UFFICIO COMMERCIALE: Gianluca Braga STAMPA: Seven Seas Srl - RSM Anno XV - N. 1 Chiuso per la stampa il 23/03/2016

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Graziano Ferrini

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VINCERE

San Zaccaria- Ravenna Calcio

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RICORDARE

Ravenna ottoniana

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ESPORRE Seguici su FB: www.facebook.com/edizioni.inmagazine

MAR

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Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e in ogni caso citando la fonte

COSTRUIRE

La casa sospesa

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ANNOTARE

Cielo di METALLO RUSSI Pubblicato per i tipi

di L’Arcolaio Edizioni di Forlì, “Cielo di Metallo” è la terza opera del poeta russiano Roberto Zaccaria (nella foto). Nato a Faenza nel 1987, Roberto ha visto la sua prima pubblicazione nel 2011 con “Il Poeta Beato” per Ed. Capit, seguita nel 2013 dall’autoproduzione “Poesie universitarie illustrate”. “Cielo di Metallo”, la cui immagine di copertina è stata curata da Carlo Fabbri, racchiude diverse poesie di Zaccaria suddivise in due parti: una prima dedicata a vari componimenti scritti in un arco di tempo recente, mentre una seconda “Nuova Poesia Tecnologica” ispirata alla Neoavanguardia Italiana. Nel libro si trovano disegni di Enrico Taroni. (A.B.)

ph Giorgio Sabatini

A Tamo i mosaici SIRIANI RAVENNA È stata inaugurata

Ripensare MILANO MARITTIMA CERVIA Il Comune di Cervia prosegue sulla via della riqualificazione e valorizzazione del territorio e lancia il concorso di idee per la redazione del Masterplan Milano Marittima 2.0 “I paesaggi diffusi della vacanza”. Il bando è aperto a tutti i progettisti e intende “accogliere un ventaglio di proposte progettuali di rigenerazione ambientale, paesaggistica e architettonica, che fungano da linee guida per le future trasformazioni di Milano Marittima. L’obiettivo del bando è sviluppare idee progettuali che sappiano valorizzare i ‘vuoti urbani’ compensando le trasformazioni della città costruita e interpretando le aree oggetto del concorso come nuove centralità ed elementi cardine per la destagionalizzazione del turismo”. In particolare i progetti dovranno svilupparsi su tre ambiti: il comparto Bassona, la fascia retrostante gli stabilimenti balneari e il sistema della mobilità e sosta. Il passo precedente dell’amministrazione cervese per il ripensamento del comparto Bassona è stato il percorso partecipato che si è svolto a fine 2015 e ha avuto come oggetto la riqualificazione del Woodpecker (nella foto): l’ex discoteca diventerà uno spazio di aggregazione dedicato alla musica, al cinema, agli spettacoli e all’arte. I nuovi progetti dovranno partire da qui. (S.F.)

venerdì 11 marzo presso il Museo Tamo la mostra fotografica “S.I.R.I.A. Salvezza Illuminazione Redenzione nell’Iconografia dell’Architettura - Mosaici pavimentali siriani” che rimarrà aperta fino al 6 gennaio 2017. L’esposizione costituisce il primo appuntamento di una serie di eventi annuali, dedicati ai grandi giacimenti musivi del Mediterraneo, che arricchiranno lo spazio museale. L’esposizione, curata da Giovanna Bucci con la consulenza scientifica di Paolo Racagni, focalizza l’attenzione su una serie di pavimenti della Siria settentrionale caratterizzati da decorazioni con motivi architettonici a pianta centrica, ricchi di significati simbolici e connessi con la rappresentazione del Santo Sepolcro. www.ravennantica.it

Anche nel 2016 PAZZI DI JAZZ

ph Elio Guidi

RAVENNA Forte del successo della passata edizione, che ha coinvolto

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IN MAGAZINE

oltre seimila studenti, ritorna “Pazzi di jazz”, iniziativa culturale, didattica e sociale che porta il jazz dentro le scuole di Ravenna. Fino al prossimo maggio, sarà un susseguirsi di incontri e laboratori, per avvicinare le giovani generazioni a questa fondamentale forma d’arte. La terza edizione ha per tema “Lo spazio cosmico” e riunisce, come da tradizione, gli artisti Tommaso Vittorini, arrangiatore e direttore d’orchestra, Ambrogio Sparagna, etnomusicologo e organettista, e Paolo Fresu (nella foto), trombettista, che fanno parte della squadra originaria di “Pazzi di jazz”. Il lungo percorso didattico sfocerà nell’evento concertistico-festa finale, il 2 maggio in piazza del Popolo. La serata farà parte del calendario dello storico festival “Ravenna Jazz”, al cui fondatore Carlo Bubani è tra l’altro dedicata. (R.B.)


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ANNOTARE

Il campionato di MELAGODO MARINA DI RAVENNA

Stili di vita in CERAMICA FAENZA “Ceramica e

stili di vita. Dal Barocco ai giorni nostri” è una mostra itinerante, curata dal Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, all’interno del più ampio progetto europeo “Ceramics ad its dimension” che coinvolge undici paesi europei e che mette in mostra una parte della storia della ceramica - dal 1600 ai giorni nostri - fino ad oggi inesplorata dal punto di vista delle relazioni tra oggetti d’uso, sviluppo sociale e contesti geografici. La mostra arriva a Faenza il 23 aprile, dopo essere stata esposta a Belgrado e a Valencia, e rimane allestita in Italia fino all’11 settembre. Saranno esposti circa duecento oggetti provenienti dai vari musei coinvolti.

Tutta la musica DI CROSSROADS RAVENNA Già partita la diciassettesima edizione di Crossroads, la kermesse jazzistica che fino al 5 giugno coinvolgerà circa cinquecento artisti su tutto il territorio della regione EmiliaRomagna. In primavera, in particolare, il cartellone di Crossroads registrerà un’impennata: dal 5 al 14 maggio accoglierà al proprio interno la nuova edizione del festival Ravenna Jazz, che continua con la formula extra large delle sue più recenti annate: concerti di punta al Teatro Alighieri, proposte per intenditori in vari club e poi musica distribuita su tutto il territorio cittadino coinvolgendo numerosi locali. La quarantatreesima edizione di Ravenna Jazz sarà aperta dal trio del contrabbassista Avishai Cohen (il 5 maggio al Teatro Alighieri) e si concluderà ancora all’Alighieri il 14 maggio con il piano solo di Michel Camilo (nella foto). Nel ravennate, grazie a Crossroads, ci sarà anche un altro big della scena italiana, argentino d’origine, il sassofonista Javier Girotto che si esibirà a Russi il 30 aprile con gli intramontabili Aires Tango in occasione della Giornata Internazionale UNESCO del Jazz. Crossroads 2016 è organizzato come sempre da Jazz Network, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna, il Ministero dei Beni e delle Attivitŕ Culturali e del Turismo e numerose altre istituzioni.

Quest’anno al campionato invernale di Marina di Ravenna, ha partecipato, sotto le insegne dell’Agenzia Menabò di Forlì, l’imbarcazione Melagodo timonata dallo skipper Claudio Alberto Ricci. Al termine di sei combattutissime regate, Melagodo ha conquistato uno splendido secondo posto nella classe di imbarcazioni più numerosa. Insieme allo skipper si sono alternati nelle varie prove Emanuel Fischer e Enrico Pozzani Pavirani alla tattica e navigazione, Matteo Lambertini e Gigi Casadei alla randa, Annalisa Raschi, Massimo Gaspari, Leo Lucchi e Alessandro Bazziga alle vele di prua. La collaborazione dell’agenzia con Ricci continuerà nel 2016 con la partecipazione alla trans-Adriatica PesaroRovigno-Pesaro in maggio e alla Barcolana.

Visite nella NATURA SANT’ALBERTO Arriva la primavera e si moltiplicano le iniziative al

museo NatuRa (nella foto). Fino al 29 maggio sarà possibile visitare gratuitamente la mostra fotografica “Il Delta, uno scrigno di biodiversità”, in cui Loris Costa racconta la ricchezza di un ambiente e l’intensa vita degli animali nel Delta impegnati nella ricerca di cibo, nel corteggiamento e nella cura delle prole. Tanti poi gli appuntamenti di aprile: domenica 10 aprile, tour guidato in bicicletta “Alla scoperta dei fenicotteri” nelle Valli Meridionali di Comacchio; sabato 16 aprile, la “Passeggiata delle erbe”, un pomeriggio per andare alla ricerca delle erbe di Romagna; domenica 17 aprile, “Natura e sapori: alla scoperta delle orchidee selvatiche”, passeggiata guidata tra le acque della Valle Mandriole e i sentieri del prato del Bardello. Per prenotazioni: tel. 0544 528710 - natura@atlantide.net. 6

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ESSERE

La voce di

NEW YORK DA RAVENNA A MILANO, ROMA, LONDRA E PARIGI FINO A SPICCARE IL VOLO OLTREOCEANO. OGGI LAURA GAMBERINI, DOPO UNA LUNGA ESPERIENZA NELLA PRODUZIONE TELEVISIVA, È COLUMNIST PER “LA VOCE DI NEW YORK”.

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di Anna De Lutiis / ph Lidia Bagnara

Laura Gamberini è una giovane donna ravennate. Snella, bionda, con un viso acqua e sapone e due occhi vivacissimi che rivelano un carattere volitivo e determinato. L’importante famiglia da cui proviene le avrebbe certamente permesso di svolgere un lavoro tranquillo, coccolata nell’ambiente famigliare, circondata dai suoi numerosi amici, ma lei ha sempre immaginato il suo futuro altrove, sogno che ha inseguito a costo anche di sacrifici, di fatica, di incertezze: dopo una lunga carriera nel mondo televisivo, da novembre è nella splendida New York, come columnist de “La Voce di New York” con la rubrica Big Apple Juice. “Sono sempre stata molto aperta a esperienze all’estero, per questo qualche mese fa, mentre ero a New York come turista per un lungo periodo, ho provato a mandare qualche curriculum. Ne ho mandati cinque e mi hanno risposto in tre. Questo mi ha davvero dato il senso di quanto possa essere meritocratica l’America.” Il tempo di mettere a punto i documenti e Laura si è trasferita a New York, dove ha subito iniziato il suo lavoro scegliendo, anche su suggerimento del direttore Stefano Vaccaro, uno stile di conversa-

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zione diretta e confidenziale, e un titolo con relativa foto che desse l’idea di chi gironzola per la città, alla ricerca degli aspetti curiosi, mentre sorseggia un cappuccino o un succo di frutta. Viene da chiedere, visto che la rubrica è in italiano, a chi si rivolga Laura, a chi sono indirizzate le sue riflessioni, le sue scoperte. “La mia intenzione è di trasmettere le emozioni, quelle che io, da italiana, provo scoprendo gli aspetti di questa città, che raccoglie le migliori rappresentanze di ogni tipo di culture, e mi rivolgo ai numerosi italiani che già vivono a New York, a quelli appena arrivati in città, ai turisti di passaggio ma anche agli italiani, sempre numerosi, che desiderano, oppure hanno già in programma un viaggio nella grande metropoli americana.” Per stabilire i primi contatti con i futuri lettori si è presentata così: “Mi chiamo Laura e di mestiere scrivo, prevalentemente per la TV. Ho sempre viaggiato tanto per lavoro e per passione. Negli ultimi anni ho cambiato casa più o meno quattordici volte in sette città, divise in tre differenti Paesi distribuiti in due continenti. Ho vissuto a Ravenna, a Milano, a

Bologna, a Londra, a Roma e a Padova, ho lavorato a Parigi e ora eccomi qua, a New York. In ogni posto che ho attraversato, ho sempre trovato il modo, senza troppa fatica, di sentirmi a casa. A New York sono appena arrivata, è una città entusiasmante quanto difficile.” Laura confessa i suoi timori all’inizio, come quello di soffrire di solitudine in una così grande città. Ma grazie al suo carattere e alla comunità di italiani, che in città è davvero molto solida, si è scoperta a socializzare con grande facilità. Di cosa ti occupi nei tuoi articoli? “Seguirò eventi di moda, cultura e spettacolo per il giornale. In più sto lavorando al progetto di un magazine televisivo enogastronomico che è temporaneamente intitolato Percorsi (di) vini ed è prodotto da RPM Media, la casa di produzione italoamericana di Roberto Mitrotti che ha base a Long Island City. L’idea sarebbe di confezionare il programma per il mercato italiano. Nel frattempo mi hanno chiamata degli ex colleghi per girare un piccolo servizio sul Black Friday che è andato in onda su Rai3 nella trasmissione


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rante le feste natalizie, per tornare subito indietro, al lavoro. Che atmosfera avevi lasciato a New York? “Uno spettacolo incredibile, emozionante. Gli americani conservano uno spirito autentico che ostentano in maniera prettamente americana, alla grande. Ad esempio ricoprono letteralmente le loro case di decorazioni. Ce n’è oltre ogni fantasia. Ho visto decorazioni a forma di pizza, unicorno, bottiglie di vino, Marylin Monroe, Elvis Presley, Santa

“LA MIA INTENZIONE È DI TRASMETTERE LE EMOZIONI, QUELLE CHE IO, DA ITALIANA, PROVO SCOPRENDO GLI ASPETTI DI UNA CITTÀ COME QUELLA DI NEW YORK, CHE RACCOGLIE LE MIGLIORI RAPPRESENTANZE DI OGNI TIPO DI CULTURE.”

LAURA GAMBERINI IN ALCUNI SCATTI DI VITA QUOTIDIANA A NEW YORK.

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L’erba del vicino. Girando quel servizio ho conosciuto un bravo filmmaker e giornalista che mi ha coinvolta in un gran bel progetto. Si tratta comunque sempre di TV. Insomma sono tante le novità e tutte elettrizzanti.” Quali sono le difficoltà cambiando città, continente e abitudini? “Si pensa che qui a New York si possa trovare qualsiasi cosa e invece non è così. Esistono pochissimi oggetti di uso comune che per motivi culturali, o vai a capire perché, sorprendentemente, non si trovano o sono molto rari. Per esempio, provate a cercare un accappatoio a New York. Ora sorridete, ma in realtà ho lanciato una vera e propria caccia al tesoro. Gli accappatoi esisteranno forse in alcuni grandi alberghi che si rivolgono a una clientela internazionale, ma i newyorchesi non usano gli accappatoi.” Tu sei tornata in Italia du-

Claus di colore, teschi messicani, madonne portoghesi...” Di cosa ti sei occupata nella prima column dell’anno nuovo? “Al rientro dalle vacanze, ho trovato il desolante spettacolo degli alberi di Natale dismessi, ammassati lungo le strade in attesa di essere raccolti e smaltiti. Che fine faranno ora che le feste sono finite? Una domanda che mi ha messo addosso una gran malinconia e soprattutto mi ha fatta sentire un po’ Holden Caulfield, il protagonista del Giovane Holden di J.D. Salinger. Mi è tornata in mente la sua domanda, molto simile alla mia: ‘Che fine fanno le anatre di Central Park d’inverno quando il lago ghiaccia?’ Ecco, allo stesso modo io mi chiedevo che fine potessero fare tutti quegli alberi che fino a poche ore prima avevano riempito di gioia le case dei newyorchesi.” Ma qual è la storia di Laura


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prima della sua avventura americana? “Dopo aver frequentato il Liceo classico mi sono iscritta a Filosofia. Alla laurea ha fatto seguito il Master in Ideazione e produzione di audiovisivi della Cattolica di Milano per canalizzare la mia voglia di comunicare in un mestiere che avevo sempre sognato fare: l’autrice televisiva.” Quali sono le trasmissioni che hanno rappresentato le esperienze più determinanti? “Sono partita da quello che per molti è un punto di arrivo, Amici

“ALLA LAUREA HA FATTO SEGUITO IL MASTER IN IDEAZIONE E PRODUZIONE DI AUDIOVISIVI DELLA CATTOLICA DI MILANO PER CANALIZZARE LA MIA VOGLIA DI COMUNICARE IN UN MESTIERE CHE AVEVO SEMPRE SOGNATO FARE: L’AUTRICE TELEVISIVA.”

LAURA SUL SET DI “EXTREME MAKEOVER HOME EDITION” E A NEW YORK.

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di Maria De Filippi. In quell’edizione avevo l’età dei concorrenti! Poi sono tornata a Milano dove ho iniziato a lavorare a Glob, il programma condotto da Enrico Bertolino in onda su Rai3, in terza serata. In seguito sono passata a Mediaset dove ho iniziato a lavorare come autrice. Ho lavorato a ogni programma con il 5: Mattino, Pomeriggio, Domenica, persino Capodanno. Dopo anni a Cologno Monzese ho avuto, grazie a Fabio Pastrello, il più grande capoautore con cui si possa avere la fortuna di lavorare, la possibilità di partecipare all’adattamento italiano di Extreme Makeover Home Edition. È stato un lavoro impegnativo che mi ha regalato alcune tra le più grandi soddisfazioni umane della mia vita.” Perché questa esperienza ti ha dato molto dal punto di vista umano? Sono reali o solo costruiti i programmi?

“No, sono veri. Bisognava cercare famiglie che avessero grosse difficoltà e selezionarle, andando sul posto. Poi si portava la famiglia prescelta in albergo, mentre la loro casa veniva completamente ricostruita. Era grande davvero l’emozione quando la famiglia tornava in una casa che non era neppure il lontano ricordo di quella che avevano lasciato.” Hai lavorato anche in trasmissioni con personaggi famosi? “Dopo Fashion Style, un talent sulla moda in onda su La5, programma che mi ha dato più gioia e soddisfazione in assoluto, ho lavorato a Come mi vorrei, un programma condotto da Belen Rodriguez in onda su Italia 1.” Quando Laura racconta le sue esperienze lo fa con semplicità, come se fossero alla portata di tutti, e quello che colpisce maggiormente è questo suo desiderio continuo e inappagato di fare nuove esperienze, di mettersi alla prova sempre pronta a cogliere le novità e senza mai cedere ai timori e alle difficoltà che inevitabilmente incontra.


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GIRARE

Lo sguardo è

DONNA

MARIA MARTINELLI, DIRETTRICE DEL FESTIVAL “THE LOVELY RING”, RACCONTA LA SUA CARRIERA DA CINEASTA E LA PREDILEZIONE PER LE TEMATICHE ESISTENZIALI NELLA FANTASCIENZA.

A

di Erika Baldini / ph Lidia Bagnara

A Ravenna di certo è lei che rappresenta orgogliosamente il lato femminile più energico di un settore spesso tacciato come ambito esclusivo maschile, per non dire maschilista: Maria Martinelli è una prolifica e attiva filmaker. Maria inizia la sua carriera cinematograf ica realizzando cortometraggi e documentari presentati e premiati in alcuni dei più importanti film festival internazionali, tra cui Oberhausen, Amburgo, Lisbona, Venezia, Montpellier, Torino. Pasionaria, strenua sostenitrice del cinema d’indagine, ha una lunga esperienza di documentarista su temi a forte interesse sociale: da I bambini non lo sanno (1999) sul bullismo, ai più recenti Over the Rainbow sull’omogenitorialità (2009), Viaggio nel mondo dell’estorsione - Cap. I L’Antiracket (2012) e Portuali (2013), ambientato al porto di Ravenna, su lavoro e democrazia. È del 2001 l’esordio al lungometraggio con una storia d’amore a tinte foschissime, Amorestremo, che ha avuto vasta risonanza mediatica perché interpretato da Rocco Siffredi. Come hai iniziato il tuo percorso di filmmaker? “Ho firmato il mio primissimo

lavoro negli anni ’80 e nel 1998 la mia prima vera regia di documentario, prodotto da Tele+. Ho iniziato, come facevano quasi tutti in quel periodo, frequentando dei master e andando a bottega. Sono stata assistente, operatrice di ripresa, ho lavorato al montaggio e poi solo dopo molti anni c’è stato il vero approdo alla regia e alla scrittura cinematografica.” In base a quali criteri o emozioni scegli i tuoi soggetti? Quali sono le tematiche che più ti interessa sviscerare? “Le tematiche dei lavori spesso nascono dagli studi e dagli interessi che maturiamo nella nostra vita. In questo mestiere tutto è personale: le idee, lo sguardo, i sentimenti, il tentativo di raccontare una realtà e le sue contraddizioni. Si tratta però di un ‘personale’ che, per quanto mi riguarda, non è mai autoreferenziale, al contrario cerca ‘la comunità’. Al tempo stesso è necessario che sia disallineato. È come se si tentasse di mettere sotto i riflettori quella parte della nostra esistenza o della nostra anima che noi stessi per primi stentiamo a riconoscere. Amo le tematiche che mettono in discussione le proprie convinzioni, sia etiche che spiIN MAGAZINE

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Sul femminile e le sue declinazioni trovo un filo che unisce buona parte del tuo lavoro, dai corti ai documentari, sino ai tuoi lavori di fiction per la TV. E arriviamo a The Lovely Ring, il festival che hai creato e diretto. Il sottotitolo della rassegna è Contaminazioni Femminili, un festival di cinema che affronta la contemporaneità attraverso lo sguardo femminile. Che temi affronterà la nuova edizione? Quali altri obiettivi vi siete imposti?

È STATA DIRETTRICE DEL CENTRO PER LA FORMAZIONE E LA COMUNICAZIONE LA PALAZZINA (IMOLA), RESPONSABILE E DOCENTE DEL MASTER DI PROGETTAZIONE DOCUMENTARI DELLA SCUOLA DI CINEMA E TV (MILANO), DIRETTRICE ARTISTICA DELL’IMOLA FILM FESTIVAL.

rituali, perché amo mettermi in discussione.” Nel 2001, presentando al festival di Torino la tua opera prima, Amorestremo, parlavi di erotismo al femminile e ti dichiaravi sostenitrice del cinema di genere. Cosa ti rimane di quell’esperienza? “Il lungometraggio è stato un’esperienza travolgente. Amo molto il cinema di genere interpretato in modo autoriale, come fanno alcuni cineasti come Cronenberg, Refn, Soderbergh, Kassovitz, che in Babylon A.D. realizza un film di fantascienza, ma in realtà tratta di filosofia. La fantascienza è il genere che prediligo, forse proprio per questa attinenza a tematiche esistenziali. Mio padre mi ripeteva sempre una frase che è diventata il motto della mia vita: piedi a terra e sguardo al cielo. Ad indicarmi una strada senza soluzione di continuità fra umano e divino.” 16

IN MAGAZINE

“Il femminile è un mio interesse, poco mi importa se è di moda, se lo è stato o se ora non lo è più. Femminile come ricerca, naturalmente, come elemento contaminante per provare a vedere le cose con un paio di occhiali diversi. Contaminazioni femminili - Cinema e donne quest’anno si svolgerà nel week-end dell’8 maggio presso il Palazzo del Cinema di Ravenna. Il tema della progenie, dei figli è il focus di quest’anno e questo argomento spero mi permetterà di proiettare alcuni film e documentari che trovo molto interessanti. Un tema che mi piacerebbe sviluppare soprattutto attraverso la lente della responsabilità che, a mio avviso, presenta sfumature inaspettate per chi sa osservarla da vicino. A tal proposito per la domenica pomeriggio è prevista una festa fatta di cinema, padri, madri e figli, di ‘tutte le forme e i generi’... ma questa sarà una sorpresa.”


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SFIDARE

Cittadini

DEL MONDO NEL FEBBRAIO 2013, MARCO MEINI E GIOVANNI GONDOLINI DECIDONO DI PARTIRE PER UN GIRO DEL MONDO IN BICICLETTA. OGGI SONO IN CANADA, IN ATTESA DI AFFRONTARE LE AMERICHE E, NEL 2018, L’AFRICA. di Roberta Bezzi

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Un’impresa senza precedenti: il giro del mondo in bicicletta, ribattezzato Magio Bike Tour, percorrendo oltre centomila chilometri, toccando tutti i continenti. Questo è l’obiettivo che si sono dati i trentenni ravennati Marco Meini e Giovanni Gondolini, amici sin dall’infanzia e con la passione comune per le due ruote e i viaggi, quando sono partiti il 17 febbraio 2013. A tre anni di distanza, hanno percorso quarantamila chilometri e visitato un pezzo d’Europa, l’Asia e l’Australia. Ora sono in Canada, a Vancouver, dove stanno riposando le gambe, ma soprattutto “la testa, stracolma di immagini, colori, facce del mondo, lingue”, in attesa che arrivi la primavera per affrontare le Americhe con la speranza di spingersi in Africa nel 2018. Qual è il Paese che più vi ha colpito o l’esperienza che porterete più nel cuore? Giovanni Gondolini: “La Mongolia è il posto che mi è rimasto più nella pelle e dentro il cuore. E pensare che non l’avevamo neanche preventivato prima di partire! È stato un regalo che ci siamo fatti, il deserto del Gobi. In quel nulla solitario ho incontrato una serenità selvaggia, una pace autentica e persone sinceramente ospitali.” Marco Meini: “In tutti i paesi attraversati, è la generosità della gente che continua sempre a emozionarmi, a stupire e a motivare. Un ragazzo disabile in Corea, un giorno, ci disse: Voi non avete solo il diritto di fare questo viaggio, ma avete il dovere di viverlo anche per me. Io sogno insieme a voi.” Come riuscite a mantenervi e quanto costa stare in giro per il mondo? Giovanni Gondolini: “All’appartamento preferisco ora una tenda, alla TV scelgo il fuoco, al telefono la carta da lettere. Lavo le mie poche cose a mano, come si faceva un tempo, mangio più pasta che carne e bevo più acqua che vino. Ora, Marco e io viviamo con dieci euro al giorno. Fanno trecento euro al mese. Teniamo da parte

un extra per un volo aereo e due visti. Avendo poche entrate, abbiamo decimato le uscite. Eppure siamo sempre in giro. Perché l’aria è ancora gratis, così come il calore che ricevi dalla gente.” Non sentite mai la nostalgia di casa, dell’Italia? “Siamo a casa sempre, anche quando siamo lontanissimo. Abbiamo la fortuna di essere nell’era di Skype che ci fa sentire più vicini. Scriviamo lettere ai nostri migliori amici, quelle su carta perché l’inchiostro riesce ad arrivare un po’ più in profondità. I nostri amici e le nostre famiglie continuano a trovare il tempo di venirci a trovare. Noi non siamo mai rientrati perché stiamo tornando. Siamo sulla via di casa, ma è una via lunga.”

“DAREMO AI PELLEGRINI DI TUTTE LE RELIGIONI UN TETTO E DEL CIBO. PERCHÉ I MUSULMANI CI HANNO DATO UN LETTO NELLE LORO MOSCHEE, COSÌ COME I BUDDISTI UNO STUOINO NEI LORO TEMPLI. SENZA NULLA CHIEDERE IN CAMBIO. MOSTREREMO AI NOSTRI FIGLI LA GENEROSITÀ.”

Progetti per quando rientrerete? “Ci piacerebbe lavorare nel mondo dell’educazione dei ragazzi, per trasmettere loro una visione pacifica e di fratellanza con le genti del mondo. Nella nostra casa del domani, accoglieremo viaggiatori per restituire l’ospitalità. Cucineremo per molti, perché in tanti hanno cucinato per noi. Daremo ai pellegrini di tutte le religioni un tetto e del cibo. Perché i musulmani ci hanno dato un letto nelle loro moschee, così come i buddisti uno stuoino nei loro templi. Senza nulla chiedere in cambio. Mostreremo ai nostri figli la generosità e insegneremo loro a essere altruisti.” IN MAGAZINE

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NAVIGARE

La tradizione

CHE INNOVA IL RAVENNA YACHT CLUB È UNA PRESENZA ORMAI STORICA DEL PORTO DI MARINA DI RAVENNA. PARLIAMO DEI PROGETTI PRESENTI E FUTURI CON L’ATTUALE PRESIDENTE, PIERALBERTO SETTI.

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Per farci raccontare la storia del Ravenna Yacht Club, storico sodalizio velico del nostro territorio, abbiamo incontrato il Presidente Pieralberto Setti a cui abbiamo rivolto alcune domande. La ritroviamo in un incarico direttivo al Ravenna Yacht Club dopo molto tempo... “Sono tornato ad un ruolo gestionale del circolo dopo alcune

di Alessandro Bazziga

esperienze come consigliere e presidente molti anni fa. Nel marzo dell’anno scorso alcuni amici mi hanno chiesto di candidarmi con loro per un nuovo corso del circolo rinnovando il Consiglio direttivo. All’assemblea dei soci ci hanno dato fiducia e ora siamo qui. Le racconto un aneddoto: durante la breve presentazione ho spiegato ai nuovi soci, metten-

dola in ridere, che rappresento il nuovo che avanza… ho 74 anni!” Ci racconta in breve la storia del RYC? “Il circolo nacque negli anni ’70 con una piccola struttura di legno addossata al molo. Poche barche, ormeggiate qua e là come si poteva, cominciarono a dar vita all’idea del circolo nautico. Allora si chiamava Motovelico.

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ph Giorgio Sabatini

“NELL’ULTIMO ANNO ABBIAMO RESO I COSTI IL PIÙ POSSIBILE VICINI AL NUOVO MERCATO, CERCANDO DI AIUTARE TUTTI A NON MOLLARE LA PASSIONE PER LA VELA E PER IL DIPORTO. OGGI IL CIRCOLO È PRATICAMENTE PIENO E DI QUESTO SIAMO MOLTO CONTENTI.”

IN ALTO, IL PRESIDENTE DEL RYC PIERALBERTO SETTI. IN APERTURA, UN MOMENTO DEL CAMPIONATO INVERNALE DI MARINA DI RAVENNA.

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Il Circolo Velico Ravennate esisteva già e con una svolta importante fu costruito l’attuale Ravenna Yacht club investendo nei pontili e nelle strutture a mare che abbiamo recentemente ristrutturato. Il circolo oggi ha più di duecento soci e moltissimi velisti e diportisti in transito.” E rappresenta una delle strutture più importanti del territorio... “Direi di sì. Collaboriamo attivamente con il Circolo Velico Ravennate e recentemente abbiamo incontrato la Lega Navale di Ravenna e il Circolo Velico di Cesenatico, con i quali collaboreremo su iniziative comuni.” Quali sono gli scopi e le attività più importanti del RYC? “Il RYC è un’associazione sen-

za fini di lucro. Il nostro scopo è offrire servizi ai soci. Attorno a quest’attività, che possiamo definire strutturale, le nostre direzioni principali sono due: quella sportiva, con iniziative importanti nel mondo della vela, prima fra tutte il campionato invernale, e nella pesca con manifestazioni e gare d’estate. La seconda direzione è quella culturale: siamo sul mare in un territorio con una lunghissima costa e quindi cerchiamo di organizzare quante più iniziative possiamo. Collaboriamo con le scuole del territorio che ci vengono spesso a visitare e con alcuni mondi importantissimi e mai abbastanza tenuti in considerazione, come la disabilità e l’UNICEF.” Ci spiega meglio la differenza tra transito e assegnazione del posto barca? “I soci a tutti gli effetti hanno un posto barca in assegnazione. Dopo un investimento cauzionale iniziale pagano una quota annuale. Gli armatori invece in transito sono ospiti da noi con un contratto temporaneo e una quota mensile o annuale di stazionamento. ” Quindi se abbiamo qualche proposta possiamo venirvi a trovare? “Il nostro Consiglio direttivo è molto operativo, lavoriamo tutti su base volontaria ma siamo sempre raggiungibili e ascoltiamo tutte le iniziative che ci vengono proposte. Colgo l’occasione per ringraziare chi con me lavora nel consiglio: Maurizio Guglielmo, vicepresidente con delega al personale e alle attività gestionali, Alessandro Bazziga, Segretario, che segue la parte di sistema informativo e i rapporti con la stampa, Franco Costa, delegato sportivo, anima del campionato invernale e delle altre manifestazioni sportive, Cesare Salotti, dedicato agli aspetti tecnici e strutturali, Omero Giangrandi impegnato con Salotti nelle attività di manutenzione e anche responsabile dei servizi di ospitalità, Luca Lombardi che con grande energia presidia tutte le attività dei pontili.”

Il 34° campionato INVERNALE Anche quest’anno a Marina di Ravenna si è svolto il Campionato invernale per barche a vela da regata e da crociera. L’evento, ormai una tradizione del nostro territorio, è stato organizzato dal Ravenna Yacht Club in collaborazione con il Circolo Velico Ravennate. Le tante regate che si sono succedute nei weekend da novembre 2015 a marzo 2016 hanno visto in mare quasi cento equipaggi. Si è svolta il 19 marzo, a conclusione dell’evento, la premiazione presso il ristorante La Campaza. In una sala affollatissima di regatanti e di velisti le premiazioni hanno evidenziato il valore degli equipaggi e degli armatori. Quello che è emerso, al di là dei risultati delle singole imbarcazioni, è un grande spirito di aggregazione che lega questi atleti tra di loro, con le loro barche e con la navigazione a vela. Sul palco, tra i tanti che si sono avvicendati, il presidente del RYC, Pieralberto Setti e il consigliere delegato Franco Costa hanno fatto gli onori di casa insieme a tutto il Consiglio Direttivo. Durante la manifestazione è stato distribuita la pubblicazione con tutte le classifiche, la rassegna stampa e le osservazioni di chiusura del campionato. Nell’editoriale, a firma di Franco Costa, si invitano tutti gli equipaggi e tutti gli appassionati ai prossimi appuntamenti nel mare ravennate che già dalle prossime settimane vedrà un fitto calendario di regate.


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GIOCARE

Non rompeteci

LE SCATOLE

DALL’IDEA INIZIALE ALLA STESURA DELLE REGOLE, DALLO STUDIO DI FATTIBILITÀ AI TEST DI GIOCABILITÀ: I VOSTRI GIOCHI IN SCATOLA SONO PROGETTATI DA LORO. SI CHIAMANO SIR CHESTER COBBLEPOT. di Gianluca Gatta / ph Massimo Fiorentini

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NELLA FOTO, DA SINISTRA, DEMIS SAVINI, GRAFICO E ILLUSTRATORE, GABRIELE MARI, EDITOR E RESPONSABILE DEL RAMO EDUCATIVO, GIACOMO SANTOPIETRO, TEAM PRINCIPAL, GIANLUCA SANTOPIETRO, ART DIRECTOR. TUTTI SONO ANCHE AUTORI DI GIOCHI.

Sir Chester Cobblepot è un’azienda che si occupa di produzione e sviluppo professionale di giochi da tavolo. Si tratta di uno di quei settori di cui molti ignorano l’esistenza. Eppure è ovvio che Risiko e Monopoli qualcuno deve pure averli pensati ed elaborati, non nascono certo nei negozi di giocattoli. Gli appassionati sono numerosi, soprattutto all’estero e il mercato dei giochi da tavolo, nonostante la minaccia dei videogiochi, sembra godere di buona salute. Tanto che la passione può diventare una professione, così come è stato per i soci di Sir Chester Cobblepot, che deve il nome a Sir Chester Copperpot, l’archeologo che nel film I Goonies viene trovato morto nelle caverne dei pirati, e Oswald Cobblepot, che è il nome del Pinguino, il nemico di Batman. Chiedo a Gabriele Mari, editor e autore di giochi, le ragioni che hanno portato i soci a fondare prima un’associazione e poi una società di produzione. “Fin dagli anni ’90, siamo sempre stati all’interno del mondo dei giochi, come sviluppatori, grafici, dimostratori, venditori. Nel 2011 abbiamo aperto la società per imporre la nostra specifica figura di autori. Nel mondo del gioco da tavolo si rischia di vedersi rubata una buona idea da editori senza scrupoli, che la sviluppano, ne realizzano la grafica, e la vendono per conto loro. Noi invece ci siamo organizzati come una vera casa di produzione. Realizziamo il gioco in toto, come se fosse pronto per andare in stampa, e concediamo all’editore solo i diritti di replica dell’opera.” Nel settore, gli autori di giochi di successo sono considerati delle star, alla stregua degli autori di narrativa. E prendono percentuali per ogni copia venduta. Il mercato è ben sviluppato. In Italia, se va bene, un nuovo gioco vende mille copie. “In Germania, invece, la prima tiratura, quella natalizia, può essere di ventimila copie. Qui ci sono anche le due

fiere europee più importanti: a Norimberga, a febbraio, ed a Essen, a ottobre. Lì riusciamo a incontrare tutti i professionisti del settore e a vendere i nostri giochi agli editori. Abbiamo visto che sono molto apprezzati soprattutto negli Stati Uniti.” La produzione di Cobblepot si divide attualmente su tre indirizzi: giochi a sfondo storico o letterario, giochi per famiglie e party games, e giochi educativi. Si tratta di un catalogo in continua crescita, che viene realizzato in modo molto articolato. “L’idea può nascere in mille modi diversi. Può essere semplicemente anche un foglio di carta con le regole scritte a mano e un tabellone schizzato a matita. Si

ABBIAMO APERTO LA SOCIETÀ PER IMPORRE LA NOSTRA FIGURA DI AUTORI. CI SIAMO ORGANIZZATI COME UNA CASA DI PRODUZIONE. REALIZZIAMO IL GIOCO IN TOTO, COME SE FOSSE PRONTO PER ANDARE IN STAMPA, E CONCEDIAMO ALL’EDITORE SOLO I DIRITTI DI REPLICA DELL’OPERA.

procede poi con uno studio di fattibilità: bisogna pensare a come racchiudere tutto in una scatola e con un prezzo accettabile. Infine c’è il play test, che può richiedere a volte anche anni: il gioco deve essere provato e riprovato per capire se si sta dando al mercato un gioco valido e, soprattutto, rigiocabile.” Il futuro di Sir Chester Cobblepot è anche nella riedizione di giochi della mitica International Team. C’è chi ricorda ancora con nostalgia Zargo’s Lords e VII Legio, il primo gioco di ruolo completamente in italiano, recitava lo slogan. È solo questione di tempo e ci si potrà immergere di nuovo.


CREARE

La fantasia

AL POTERE CURIOSITÀ E UMILTÀ SONO LA RICETTA CREATIVA DI DAVIDE BART. SALVEMINI. DALLA PUGLIA A RAVENNA INSEGUENDO L’ISPIRAZIONE.

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di Serena Onofri

Chi abita a Ravenna non può non essersi imbattuto almeno una volta nella grafica e nei disegni colorati di Davide Bart. Salvemini. Sono sue le locandine del locale di musica indie della nostra città e possiamo averlo incontrato al Fargo o in giro in via Cavour, o magari guardando un cartellone pubblicitario notando

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quella grafica particolare e nuova, molto colorata che non può lasciarti indifferente. Ma chi c’è dietro questo artista? Proviamo a entrare nel suo mondo e vi invito a vedere i suoi disegni, poiché ti portano in un’altra dimensione, tra fantascienza e video game, in modo da far viaggiare la nostra immaginazione dentro un mondo parallelo e visionario. Partiamo da Ravenna, dove la tua arte fa parte del nostro quotidiano: quale legame hai con la nostra città? “Sono nato in Puglia nel 1988 e mi sono trasferito a Ravenna nel 1995. Amo le mie origini ma devo molto a Ravenna, dove la ricchezza culturale celata in molti suoi monumenti ha reso possibile il mio interessamento (sempre più intenso) all’arte e alla figura dell’artista.” Quali sono le tue origini: dove hai studiato? “Ho sempre compreso l’importanza della curiosità e l’osservare i punti positivi di ogni esperienza vissuta. Prima di progettare a pieno una mia possibile occupazione futura (che forse non ho ancora compreso del tutto), mi sono diplomato come perito elettronico all’I.T.I.S, ho fatto un anno di

A SINISTRA, DAVIDE BART. SALVEMINI; SOPRA, UNA SUA OPERA.


“PRENDO ISPIRAZIONE DA OGNI COSA CHE VEDO E PENSO. DESIDERO SEMPRE NUOVI SPUNTI SENZA TRALASCIARE I VECCHI. SONO UN FETICISTA DEGLI SKETCHBOOK DEGLI ARTISTI, CREDO SIANO CARTE D’IDENTITÀ CHE METTONO IN MOSTRA LA LORO VERA IDENTITÀ.”

Criminologia a Forlì, Grafica d’Arte all’Accademia di Bologna e infine la specialistica in Grafica e Illustrazione presso l’I.S.I.A. d’Urbino. Strade sempre contorte, per spunti sempre diversi.” Secondo te il luogo nel quale una persona cresce incide sulla sua creatività e voglia di farsi notare per le proprie capacità? “Ha di sicuro una certa rilevanza ma penso, soprattutto nel contemporaneo, che siano importanti anche i metaluoghi in cui si vive. Libri, film, pagine web, forum, social network e videogiochi sono tutti spazi in cui viviamo e ci possono trasmettere tanto. Bisogna saper trovare la bussola per trovare la direzione da percorrere.” Il tuo è un lavoro artistico e di solito si dice che con la cultura non si campa. È così nella realtà oppure c’è una speranza per chi come te sogna di lavorare facendo l’artista? “Credo che per fare il mio lavoro (e io sono di sicuro ancora agli inizi) bisogna credere in se stessi e nel proprio lavoro. Sono sicuro che l’illustratore sia una delle professione più belle al mondo, ma bisogna comprendere che è solitario e, che si vinca o si perda, il merito e la colpa è sempre tua. Per quanto riguarda l’aspetto economico, l’indispensabile è sempre relativo... ci si adegua e si va avanti.” Cosa si mette in gioco creando e poi proponendo la propria arte all’esterno del proprio studio? È una cosa facile per te? Hai mai ricevuto dei no? “Metti in gioco te stesso in ogni progetto, rischiando che la tua visione sia sbagliata per il cliente o

inadatta al pubblico. Col passare delle commissioni e con lo studio, diventi sempre più critico verso te stesso riuscendo a distinguere gli scarti dalle idee interessanti. Certo che ho ricevuto dei no, e li ho trovati spesso interessanti scoprendo, così, gli errori che commettevo.” Quali sono le tue fonti di ispirazioni? Hai modelli, luoghi persone a cui ti ispiri? Da dove nasce la tua grafica? “Cerco di prendere ispirazione da ogni cosa che vedo e penso. Desidero sempre nuovi spunti senza mai tralasciare i vecchi. Inoltre sono un feticista degli sketchbook degli artisti, credo siano carte d’identità che mettono in mostra la vera identità del loro possessore.” Consigli ai giovani: come si fa a diventare qualcuno nel mondo della grafica e della street art? “Tanta umiltà, spirito di adattamento e curiosità, conditi da una grossa capacità di sfruttare l’ansia. Lo so, non è una ricetta super, ma alla fine le soddisfazioni sono molte.” Parliamo d’altro: musica e film preferiti? “Per la musica direi: Board of Canada, Mannarino e Leonard Cohen. La lista dei film sarebbe lunghissima, quindi mi soffermo su tre mostri sacri: Tarantino, Cronenberg, Wong-Kar-Wei.” Cosa fai quando non crei? “Si viaggia, si cercano nuove esperienze e si ama. Devo ammettere che essendo questo lavoro anche una passione, è difficile staccarsene durante la giornata.” Sogni nel cassetto? “Per ora sto vivendo il mio sogno, non chiedo altro.” IN MAGAZINE

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RICORDARE

Non solo

BIZANTINA LA STORIA PIÙ NOTA DI RAVENNA È LEGATA AL SUO RUOLO DI CAPITALE BIZANTINA, MA ANCHE IL SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO VIDE LA NOSTRA CITTÀ PROTAGONISTA.

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di Andrea Casadio / ph Massimo Fiorentini

Nella percezione comune, anche agli occhi dei suoi stessi abitanti, Ravenna ha un’identità ben definita: quella di città “bizantina”. Non è necessario che questo si traduca in una precisa conoscenza del contesto storico che a tale termine è sotteso. Ultima capitale dell’impero romano d’Occidente, città di Teodorico, capoluogo dei domini dell’Italia bizantina propriamente detta: nei riflessi dorati dei mosaici si condensa senza troppe distinzioni l’essenza di un carattere forgiatosi nelle varie tappe che hanno fatto dei secoli fra la tarda antichità e l’esordio del Medioevo il “periodo aureo” della storia ravennate. Eppure, limitare quest’ultimo all’epoca che si chiude con il 751 dopo Cristo è decisamente riduttivo. La caduta definitiva del potere bizantino-esarcale ad opera dei Longobardi, in quell’anno, fu certo una cesura decisiva nella storia della città, ma non l’inizio della decadenza. Lungi dall’eclissarsi per sempre, lo scettro del potere di cui Ravenna continuava a essere il fulcro passò a un’entità diversa e più autoctona, ma in quel momento non meno importante, e cioè quella degli arcivescovi. Detentori di un’autorità al tempo stesso reli-

giosa e civile, nei secoli seguenti i presuli ravennati furono di fatto i governanti di una “signoria” territoriale virtualmente indipendente (sia pure nel quadro del Regno d’Italia post-carolingio), godendo al contempo di un prestigio che giunse perfino a sfidare quello dei papi di Roma. Fu in questo contesto che, alla metà del X secolo, iniziò per la vecchia capitale l’ultima fase di vero splendore, ancora una volta legata alla grande concezione del potere imperiale così come risorse in quel frangente storico: il Sacro romano impero germanico della dinastia di Sassonia. Protagonisti di quella svolta furono due personaggi di grande carisma: Ottone di Sassonia e l’arcivescovo Pietro. Il primo, re di Germania e vincitore degli Ungari, gli ultimi barbari che per cinquant’anni avevano atterrito l’Europa con le loro scorrerie, acquisì in quegli anni la supremazia anche in Italia sulla base di un progetto politico dall’ambizione quasi visionaria, quale appunto la ricostituzione dell’Impero. Un obiettivo raggiunto nel 962, quando venne solennemente incoronato a Roma dal pontefice come capo di un organismo che racchiudeva nei suoi

confini l’Europa centrale e il Regno d’Italia (ossia il centro-nord della penisola). Nel suo disegno, il sovrano che passò alla storia come Ottone il Grande trovò uno dei principali alleati nell’arcivescovo di Ravenna. La fruttuosa intesa che Pietro – in quel momento già da quasi quarant’anni sulla cattedra di S. Apollinare – stabilì con l’imperatore, inaugurò una solida tradizione di rapporti privilegiati fra la città e la dinastia sassone e significò per Ravenna il ritorno, insieme a Pavia, allo status di capitale del Regno, sia pure nella particolare accezione con cui questo concetto può essere applicato al mondo medievale. Segno concreto ed emblematico di tale ruolo fu la costruzione di un nuovo palazzo imperiale, l’ultimo a essere edificato in città. Inaugurato da Ottone nell’aprile del 967 alla presenza del papa Giovanni XIII, l’edificio sorgeva appena fuori le mura meridionali, nella zona dell’attuale via dei Poggi, e fu utilizzato più volte dall’imperatore nelle sue frequenti visite, soprattutto in occasione delle festività più solenni (Natale e Pasqua). Purtroppo, il fatto che oggi non ne rimanga traccia contribuisce oggettivamente a metIN MAGAZINE

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IN APERTURA, UNA RAFFIGURAZIONE DELL’IMPERATORE OTTONE III ALL’INTERNO DELL’EVANGELIARIO DI OTTONE III.

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tere in ombra la memoria degli Ottoni nella storia ravennate, così come congiura a tal fine l’assenza di altri interventi architettonici di rilievo in una città che, dal punto di vista monumentale, era già ampiamente “equipaggiata” dalle realizzazioni tardoantiche. Fu soprattutto con il giovane Ottone III (che proprio l’arcivescovo ravennate Giovanni incoronò re di Germania ancora bambino ad Aquisgrana alla morte del padre), che la città visse la sua ultima, grande stagione imperiale. Una stagione che, oltre a quello del sovrano, porta anche il segno di un’altra personalità d’eccezione: quella di Gerberto di Aurillac, il più grande intellettuale della sua epoca, precettore e consigliere di Ottone, da questi nominato arcivescovo nel 998. A Ravenna, Gerberto operò in coerenza con la sua idea di riforma della Chiesa, nel quadro del grande progetto politico-culturale della Renovatio Imperii, ossia della rifondazione dell’idea imperiale romana sulla base dello spirito cristiano e della collaborazione fra il potere politico e quello religioso. Fu nell’ottica di questo ideale che un giorno, partendo dal proprio palazzo ravennate, l’imperatore in persona cavalcò fra le paludi fino all’eremo dove un sant’uomo di nome Romualdo si era ritirato in preghiera, convincendolo a tornare nel “mondo” per collaborare al suo progetto. Qualche anno dopo, in quel luogo Ottone fece costruire un monastero dedicandolo a S. Adalberto, da poco martirizzato nella missione di cristianizzazione della Polonia. Il monastero divenne così il centro di irradiazione di un altro obiettivo che stava assai a cuore al giovane imperatore, l’evangelizzazione dell’Europa orientale, e il nucleo di formazione di un nuovo centro abitato, S. Alberto. Il grande disegno di Ottone e di Gerberto trovò il suo culmine quando, nel 999, l’imperatore impose la nomina dell’arcivescovo ravennate al soglio papale con il nome di Silvestro II, il pontefice del nuovo millennio. Fu però

un’illusione di breve durata. Nel 1001 una sommossa dell’aristocrazia romana costrinse infatti entrambi ad abbandonare la città sul Tevere, dove non sarebbero più tornati. Poco dopo, la scomparsa precoce tanto di Ottone (morto appena ventiduenne nel 1002 nei pressi di Viterbo) quanto di Gerberto (che gli sopravvisse appena un anno) sancì il definitivo fallimento del loro ambizioso progetto. Quello che restò fu soprattutto l’esperienza di rinnovamento religioso che

A QUEST’EPOCA RISALGONO ELEMENTI CARATTERISTICI DELL’EDILIZIA RELIGIOSA RAVENNATE, COME LE CRIPTE E I CAMPANILI CILINDRICI: UN SIMBOLO DI PRESTIGIO PER LA CHIESA CITTADINA, CHE RICONFERMÒ L’INDIPENDENZA DA QUELLA ROMANA.

S. Romualdo continuò a perseguire fino alla fondazione dell’eremo di Camaldoli e dell’omonimo ordine monastico tuttora esistente. A Ravenna, l’eredità dei decenni ottoniani fu il rafforzamento della tradizione imperiale della città, che si esplicò per tutto l’XI secolo in una serie di arcivescovi di origine tedesca. E appunto questo è il dato che più occorre sottolineare nel ripensare alle vicende della Ravenna ottoniana: il suo rinnovare quello speciale legame con il mondo germanico e centro-europeo risalente ai tempi di Teodorico, che è assolutamente centrale nella storia della città e che è invece troppo spesso ignorato da una visione che tende a valorizzarne unicamente la dimensione mediterraneo-bizantina. Ma fu proprio quando quel legame si stemperò, e infine si ruppe, che Ravenna si ritrovò – allora sì definitivamente – una piccola città di provincia dell’Italia medievale.



ESPORRE

Sedotti dal

PASSATO

L’ESPOSIZIONE DEL MAR DI RAVENNA È UN PERCORSO SUGGESTIVO ATTRAVERSO LE OPERE DEI MAGGIORI ARTISTI DEL NOVECENTO CHE HANNO RIVISITATO TEMI E OPERE DELL’ANTICHITÀ. di Gianluca Gatta

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Il MAR di Ravenna propone fino al 26 giugno una mostra dedicata a un percorso che ogni artista si ritrova prima o poi ad affrontare nella propria carriera, ovvero la rilettura in chiave contemporanea di temi e raffigurazioni del passato, e lo fa con riferimento specifico all’esperienza artistica del Novecento. La seduzione dell’antico, da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto propone al visitatore centoventi opere distribuite su sette percorsi tematici. Il primo, Quel non so che di antico e moderno – che trae il titolo da un discorso di Carlo Carrà nell’epoca in cui lo sguardo delle avanguardie cominciò a rivolgersi al passato –, si apre con un’opera di Salvador Dalì che ben può rappresentare la sintesi dell’intera mostra: Métamorphose topologique de la Vénus de Milo traversée par des tiroirs è una rilettura, appunto, della Venere di Milo in chiave surrealista con cassetti aperti che la percorrono in tutta la sua lunghezza. In questa sezione vale sottolineare inoltre la presenza di Piazza d’Italia di Giorgio De Chirico, Il gioco di scacchi di Massimo Campigli e Pomona di Marino Marini, un bronzo trattato in modo da richiamare il marmo antico. Del 1955 è la terracotta policroma smaltata di Leoncillo, Il Tevere, compresa nella sezione su I generi della tradizione che sottolinea il rinnovato interesse degli autori del Novecento per la natura morta, il paesaggio, e il ritratto. Qui troviamo, tra le altre opere, Tête d’homme barbu di Pablo Picasso, olio su tela. Nella sezione dedicata ai Turbamenti barocchi merita di essere citata Corrida di Lucio Fontana, piombo e colore su tela applicata su tavola, mentre troviamo Oreste e Pilade di Giorgio De Chirico nella sezione su Il mito e il sacro. Qui una grande tela di Gregorio Sciltian, Bacco all’osteria, mostra il mito antico che irrompe nel quotidiano con echi barocchi e, in particolare, caravaggeschi nell’uso

LA MOSTRA ATTRAVERSA LA STORIA DEL NOVECENTO DOCUMENTANDO ARTISTI E VICENDE CHE TESTIMONIANO UNA RIPRESA DELLA TRADIZIONE IN UNA RESTITUZIONE MODERNA DI MODELLI E VALORI DELL’ANTICO O IN VESTE DI ICONE CONTEMPORANEE.

della luce e della composizione delle figure. Seguono le sezioni Archeologie – con una rilettura di Leoncillo del noto sarcofago etrusco degli sposi in Amanti Antichi –, Citazioni – con la popolarissima Monna Lisa con baffi e pizzetto di Marcel Duchamp in L’envers de la peinture – e L’attualità dell’antico, dove troviamo, tra l’altro, La Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto e Details of Renaissance Paintings di Andy Warhol, una rilettura pop della Nascita di Venere di Sandro Botticelli.

A SINISTRA, GIULIO PAOLINI, “MIMESI”, 1975; SOPRA, MARCEL DUCHAMP, “L’ENVERS DE LA PEINTURE”, 1955.

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COSTRUIRE

Ingegneria

AD ARTE

A CERVIA C’È UNA CASA UN PO’ SPECIALE, IN CUI SI VEDONO SPERIMENTATE TECNICHE INGEGNERISTICHE ORIGINALI E ALL’AVANGUARDIA, PER DARE VITA A UNA DIMORA CHE UNISCA DESIGN E ARMONIA CON L’AMBIENTE. di Annalisa Balzoni / ph Giorgio Sabatini

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L’arte nell’edilizia ha un significato ben preciso: è il modo corretto di portare a termine una lavorazione, secondo i dettami del buon costruire. Nella storia dell’architettura troviamo manuali come il De Architettura di Vitruvio o il De re Aedificatoria di Leon Battista Alberti, scritto in pieno Rinascimento dove le regole del costruire sono dettate principalmente dal buon senso, dalla coscienza e dall’esperienza, dalla conoscenza e dalla ricerca, unite a “un umano sentire”. Questa premessa serve da apertura al nostro articolo. Per la prima volta infatti viene proposta l’analisi dello studio e dell’elemento tecnico che sono da supporto all’opera. A volte nello scrivere su una dimora non ci si sofferma sulla parte strutturale; l’occhio del lettore vuole e desidera vedere l’oggetto terminato e definito in ogni suo particolare. Oggi si vuole evidenziare come una tecnologia costruttiva può diventare un elemento architettonico anche se rimane nascosto all’occhio umano; si vuole sposare l’ingegneria con l’architettura. Tutto

nasce da un incontro, dalla visita a una bellissima e moderna dimora situata a Cervia e da una semplice domanda: “Come fa a star su?” La risposta mi è stata data dall’ingegner Antonio Farolfi di Forlì, insegnante e strutturista, allievo del noto ingegnere forlivese Vincenzo Collina. Una chiacchierata che è diventata una lezione affascinante di tecnica e di professionalità, a tratti divertente, soprattutto nel notare come una tecnologia sia così amata. Tutto ruota attorno alla precompressione, tecnica storica ma che ha visto la sua applicazione e il suo riconoscimento ufficiale nel XX secolo. Nel 1933, nell’articolo Ideés et voies nouvelles il costruttore Eugene Freyssinet per la prima volta lasciò traccia scritta della parola precontrainte, neologismo che definirà per tutti gli anni successivi la tecnica della precompressione. I primi tentativi di realizzare opere in calcestruzzo armato precompresso risalgono al 1888 ad opera di Doering. I primi risultati soddisfacenti furono ottenuti applicando la presollecitazione nella


SOPRA E IN APERTURA, DUE SCORCI DELL’ESTERNO DELL’ABITAZIONE CERVESE IN CUI SI COLGONO I VOLUMI AGGETTANTI REALIZZATI GRAZIE ALLA PRECOMPRESSIONE.

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produzione di tubi in calcestruzzo ad opera della ditta italiana Vianini, nel 1925. L’intento comune era quello di applicare una precompressione per evitare o ridurre la fessurazione del calcestruzzo, ignorando altri aspetti statici del procedimento. I concetti base della moderna precompressione furono ideati da Freyssinet, che nel 1928 ne depositò il brevetto. Lo stesso ideatore dal 1936 utilizzò la tecnica della precompressione pressoché per tutte le opere. Nell’ottobre 1950 quattro ingegneri, l’italiano Rinaldi, l’olandese Bruggeling, l’inglese Gooding e lo spagnolo Conde, richiesero ufficialmente la formazione di una specifica federazione internazionale, che venne costituita due anni dopo. Da allora la precompressione ebbe la definitiva affermazione e la debita divulgazione negli ambienti interessati. L’ingegner Farolfi ama la precompressione, ama il suo utilizzo, poiché permette di risolvere i problemi della deformabilità delle strutture e consente la realizzazione di strutture leggere, riducendo gli spessori e di conseguenza l’impatto ambientale e architettonico. Il principio costruttivo funziona come le assi di legno delle botti utilizzate per il vino: queste prima dell’utilizzo vengono bagnate e il legno si dilata chiudendo le fessure tra un’asse e l’altra. Così funziona la precompressione: cavi inseriti all’interno della struttura da realizzare in cemento, dopo

la gettata gli stessi cavi vengono tesi vincendo tutte le forze e consentendo la realizzazione di grandi aggetti con piccoli spessori. È il caso di questi volumi, aggetti di diversi metri di profondità, corpi che rimangono sospesi, non vi sono pilastri a sorreggerli, non vi sono muri di sostegno; il risultato è una forma geometrica che si sposa con l’ambiente. Per il nostro territorio rappresenta un caso raro soprattutto per edilizia residenziale, anche se questa tecnica di costruzione ha trovato esempi meravigliosi in architettura residenziale come la “casa sulla cascata” di Frank Lloyd Wright. Ci si è voluti soffermare su questo esempio d’ingegneria, per sottolineare che osare è indice d’intelligenza, specialmente quando si possiede una coscienza professionale che va oltre certi schematismi, troppo spesso alla base di molte progettazioni.

LA CULTURA DEL BUON COSTRUIRE DEVE CARATTERIZZARE IL NOSTRO PATRIMONIO ARCHITETTONICO. IL RISPETTO VERSO IL TERRITORIO È UN VALORE ESSENZIALE, OPERARE SECONDO TALE VALORE È BASILARE E OBBLIGATORIO.



RAFFIGURARE

I colori della

SARAGHINA UN’INTERPRETAZIONE ORIGINALE DELLA TECNICA MUSIVA È QUELLA PROPOSTA DA ANNA FINELLI, CHE HA RIPROPOSTO IN MOSAICO UN’ICONA DELLA TRADIZIONE ROMAGNOLA COME LA SARAGHINA.

L

di Aldo Savini / ph Lidia Bagnara

La Galleria d’arte e di antiquariato aperta nel centro di Ravenna nel 1958 da Anna Fietta veniva acquisita nel 1998 dalla nipote Anna Finelli che, senza tradire lo spirito culturale, artistico e imprenditoriale della nonna, l’ha trasformata nell’atelier annaFietta.it, convertito all’arte musiva. Dal n. 5 di via Argentario quattro anni fa si è trasferita al n. 21, proprio di fronte alla basilica di San Vitale. In occasione della visita a Ravenna del Presidente

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della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia ha realizzato su di una lamina di rame ondulata il tricolore in formati diversi e riproducibile. La sua presenza discreta nel centro storico della città è segnalata dalle targhe toponomastiche eseguite a partire dal 2009, con al centro l’indicazione del luogo su ceramica e ai lati due bande evocative in mosaico per le quali sono stati utilizzati smalti bizantini, murrine,

vetri specchiati e ori. Il colore dominante trae ispirazione dal luogo di collocazione mentre la componente decorativa riprende spunti iconografici dalle basiliche paleocristiane a cui si associano immagini ordinarie di pesci, imbarcazioni, conchiglie, ma anche fiori o semplici motivi geometrici. Ho incontrato Anna Finelli per una breve conversazione. Cosa resta del mosaico bizantino nella sua produzione che ha una connotazione non solo artistica ma anche commerciale? “Del mosaico bizantino resta molto. Amo definirmi un’abile artigiana proprio perché il mio lavoro è improntato alla restituzione su piccoli oggetti di arredamento della storia che ci hanno lasciato i bizantini. Mantengo lo spirito dell’arte musiva incollando le tessere con la colla cemento che costituisce una base a intonaco e lasciando libera la fuga, senza stuccarla come allora, perché la luce che corre tra le tessere di vetro rende i chiaroscuri più efficaci e questo distingue il nostro mosaico.” L’oggettistica da arredamento o da souvenir in mosaico può avere un ruolo nel-


la diffusione dell’immagine di Ravenna? “Il mio lavoro si fonda sulla convinzione che questi piccoli oggetti, come specchiere, bomboniere e regali, restino nelle mani di coloro che sono venuti a visitare i nostri mosaici antichi, e ne ricreino attraverso le cromie e i sapori materici un’eco, tanto che molto spesso quando ritornano fanno visita al mio atelier.” Come si colloca nel contesto artistico dei mosaicisti ravennati? “Sono un pesce fuor d’acqua, ho fatto l’università, studiato storia antica, praticato il restauro archeologico prima di dedicarmi al mosaico, per cui questa diversità di formazione è evidente, però penso che abbia portato qualcosa di nuovo a questa arte.” Evidenti gli apprezzamenti delle istituzioni che le hanno commissionato, tra l’altro, targhe toponomastiche e medaglie commemorative; non sono mancate però le critiche per un uso originale e innovativo, quasi consumistico, della tecnica musiva. “Ammetto che non si può piacere a tutti, ho avuto l’idea di portare il mosaico nei piccoli oggetti, non

vengo dalla scuola del mosaico, e questo si nota, però le critiche le ho trovate spesso gratuite. Comunque, uso le paste vitree e sono molto fedele nel riproporre le atmosfere bizantine.” Mi sembra che abbia un indiscutibile rispetto della tradizione anche nei suoi contenuti e nei suoi significati, come dimostra il lavoro sulla saraghina, immagine che affonda nell’immaginario collettivo nostrano, che ha portato alla mostra “Saraghine nella notte”, inserita nel programma del Festival Internazionale del Mosaico 2015. “L’idea è nata dall’amore per i pesci, li ho sempre osservati viaggiando nelle città vicine al mare. Ho visto pesci realizzati con le tecniche artigianali locali, quindi mi è sembrato un omaggio e un contributo alla nostra tradizione rappresentare in mosaico questo semplice pesce, scegliendo anche il nome dialettale che viene dato alle sardine. Ho scelto la stessa forma del pesce per poi decorarla in mille modi diversi, cosicché ogni esemplare è originale e singolare e rappresenta la cifra stilistica ed estetica del mio modo di lavorare.”


RESTAURARE

Il mago delle

DUE RUOTE

GRAZIANO FERRINI NON È SOLO UN RESTAURATORE DI MOTO, È ANCHE UN GRANDE APPASSIONATO E FINE COLLEZIONISTA, ATTENTO ALLA STORIA DI CIASCUN ESEMPLARE.

S

di Giorgio Pereci / ph Giorgio Sabatini

Si chiama Butega ad Grazien, dalla sabbiatura al filetto ed è un’officina di Ravenna dove le moto rivivono grazie alle mani sapienti di Graziano Ferrini, diventato professionista dopo anni da semplice appassionato. “Avevo tredici anni quando ho messo a posto il motore di mio nonno. Non avevo un’idea di nulla. Eppure lo restaurai dalla A alla Z e una volta messo in moto capii che quella sarebbe stata la mia professione. Ho cominciato restaurando le mie moto a tempo perso, nelle ore serali, poi sono passato a quelle degli amici, degli

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amici degli amici... ho visto che c’era richiesta e allora mi sono detto ‘proviamo’. E oggi sono più di vent’anni che faccio questo mestiere.” Il nome della bottega fa riferimento alla prima fase di restauro. Si parte infatti da una sabbiatura a bassa pressione a tutte le parti verniciate, per evitare il surriscaldamento delle lamiere, eventuale conseguenza di deformazioni. Dopodiché si applica una mano di primer epossidico, controllando su tutta la carrozzeria se sono presenti ammaccature, tagli o fori e sistemando il tutto senza l’uso di stucco. Poi si passa a una leggera carteggiata al tutto e si procede con due mani di fondo a spessore e poi una terza mano a maschera – che è una velatura di un altro colore che permette di rilevare piccole imperfezioni al momento dell’ultima carteggiatura –, per terminare con una seconda carteggiata con carta fine prima di passare alla verniciatura a forno. Per il blocco motore Graziano Ferrini procede smontando fino alla più piccola vite. Le parti di motore e telaio da cromare vengono ricromate. La frizione viene sempre cambiata.

Tutti i cuscinetti sono tolti e sostituiti assieme a paraoli e guarnizioni. Testa e cilindro vengono controllati e rettificati oppure tamponati, nel caso siano ancora in buono stato. Una volta che è stato rigenerato il tutto, si procede al montaggio e spessoraggio del blocco. La stessa procedura si applica al carburatore, a mozzi e ruote. Quando gli chiedo quali sono le moto più difficili da restaurare non ha dubbi, sono quelle inglesi sia perché i pezzi sono difficili da trovare, sia perché le misure sono in pollici. E la più antica? Un BSA Black Star del 1933, di un proprietario di Forlì. Ferrini è anche un collezionista: possiede oltre trecento moto, mai esposte integralmente al pubblico. “Copro gli anni dal 1920 al 1990. E ogni moto è un esemplare, con una storia particolare per la casa che l’ha prodotta. Non ho però Vespe e Lambretta, non le posso vedere, anche perché sono troppo inflazionate: hanno raggiunto cifre, in termini di costo, che non sono giustificabili. Invece la moto che ha più valore è una Moto Bianchi del 1921: la prima moto uscita dallo stabilimento Bianchi.”



VINCERE

Ragazze nel

PALLONE

CON ENTUSIASMO E VOGLIA DI METTERSI ALLA PROVA LA COMPAGINE CALCISTICA FEMMINILE DEL SAN ZACCARIA-RAVENNA È ARRIVATA FINO ALLA SERIE A.

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L’USD (Unione Sportiva Dilettantistica) San Zaccaria-Ravenna calcio femminile è da tanti anni una realtà consolidata sia nel territorio ravennate che nel panorama calcistico nazionale. La società fu fondata nel 1986 da Silvano Fantini, un signore di San Zaccaria, che diede la possibilità alle ragazze del piccolo paese alle porte di Ravenna di poter giocare a pallone. Per tanti anni la squadra ha navigato nelle categorie minori tra serie D e serie C fino alla stagione 2008/09, quando con la presidenza di Loris Suprani ha conquistato la promozione in serie B. All’inizio del campionato 2009/10 diventa presidente della società Rinaldo Macori, legato all’ambiente del San Zaccaria per aver giocato nella squadra di calcio maschile.

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di Michele Virgili

“Nel 2009 è iniziata questa bella avventura - ricorda Macori - con Fausto Lorenzini come direttore sportivo e Mirko Balacich allenatore. Anno indimenticabile, con ragazze quasi tutte della zona di Ravenna abbiamo vinto la serie B. Dopo tre stagioni tra serie A2 e B arriviamo alla stagione 2013/14 quando abbiamo dominato il campionato cadetto e con il primo posto siamo stati promossi nella serie A nazionale”. La squadra è allenata da Marinella Piolanti, vera icona del calcio femminile, che nella sua lunga carriera, durata più di vent’anni, ha indossato anche la maglia del Milan. “È una grande opportunità poter allenare in serie A - commenta la Piolanti non mi aspettavo una possibilità così grande. Inizialmente non è

stato facile passare da compagna di squadra ad allenatore, ora sono contenta. La squadra è valida con tante ragazze giovani, possiamo toglierci delle soddisfazioni”. Mediamente sugli spalti sono presenti circa trecento spettatori, la tribuna è stata completamente ristrutturata grazie al contributo del Comune e della Fondazione Cassa di Risparmio. Accanto alla prima squadra è presente un bel settore giovanile nato nel 2010, la rosa della primavera è composta da ventotto giocatrici. “È una risorsa fondamentale con tanti margini di miglioramento - riprende Macori -, la nostra politica è basata sulla crescita delle ragazze più giovani che rappresentano il nostro futuro”. Un notevole motivo di soddisfazione per la società biancorossa arriva dalle sette ragazze che sono già entrate nel giro delle nazionali: Luisa Pugnali, Azzurra Principi e Linda Tucceri in quella maggiore, nell’under 19 Martina Piemonte e Amanda Tampieri, nell’under 17 Erika Santoro e Linda Casadio. Da quest’anno la società ha iniziato una collaborazione anche con le scuole medie della provincia di Ravenna per avvicinare le ragazze al calcio.


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