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R AV EN N A N° 4 OTTOBRE/NOVEMBRE 2018
Franco
FUSSI
IL DOTTORE DELLA VOCE
PAOLA BABINI / A scuola di belle arti MATTEO CAVEZZALI / Tra mistero e scrittura TEATRI RAVENNATI / La storia dell’Alighieri e del Rasi
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EDITORIALE
SOMMARIO
A
Apriamo questo numero autunnale di Ravenna con l’intervista al foniatra Franco Fussi, che vanta pazienti di fama internazionale. La coordinatrice Paola Babini ci apre le porte dell’Accademia di Belle Arti con vocazione al mosaico, Andrea Merendi ci porta nel suo mondo di fiori di carta crespa e l’artista Nicola Montalbini ci trasporta nel suo mondo di creature estinte. Parliamo di libri e scrittura insieme al giornalista Matteo Cavezzali che ha esordito con Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini, e a Giuseppe Pizzola che nel suo romanzo Sotto la faccia racconta dei tempi d’oro della città edonista. Incontriamo poi Angela Suprani, vincitrice del Premio IN Magazine per la prosa inedita, e viaggiamo nella storia dei teatri ravennati. Incontriamo la baby talento della pallavolo Sara Panetoni, e infine Alberto Donati presidente dell’Associazione L’Agenda Filosofica. Andrea Masotti
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ANNOTARE
Brevi IN
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ESSERE
Franco Fussi
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FORMARE
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Paola Babini
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RACCONTARE
Matteo Cavezzali
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CREARE
Andrea Merendi
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EDIZIONI IN MAGAZINE S.R.L. Via Napoleone Bonaparte, 50 - 47122 Forlì Tel. 0543.798463 / Fax 0543.774044 www.inmagazine.it info@inmagazine.it DIRETTORE RESPONSABILE: Andrea Masotti REDAZIONE CENTRALE: Clarissa Costa, Gianluca Gatta, Beatrice Loddo COORDINAMENTO DI REDAZIONE: Roberta Bezzi ARTWORK: Lisa Tagliaferri IMPAGINAZIONE: Francesca Fantini UFFICIO COMMERCIALE: Michela Asoli Gianluca Braga, Elvis Venturini STAMPA: La Pieve Poligrafica Villa Verucchio (RN) ANNO XVII - N. 4 Chiuso per la stampa il 23/10/2018 Collaboratori: Linda Antonellini, Roberta Bezzi, Alessandro Bucci, Andrea Casadio, Anna De Lutiis, Nevio Galeati, Serena Onofri, Aldo Savini. Fotografi: Lidia Bagnara, Davide Baltrani, Massimo Fiorentini.
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PALLEGGIARE
Sara Panetoni
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SCRIVERE
Il fascino delle parole
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FILOSOFARE
L’Agenda Filosofica
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RAPPRESENTARE Seguici su FB: www.facebook.com/ edizioni.inmagazine
Viaggio nei teatri
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DIPINGERE
Edizioni IN Magazine si impegna alla salvaguardia del patrimonio forestale aderendo al circuito di certificazione di FSC-Italia.
Tutti i diritti sono riservati. Foto e articoli possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’editore e citando la fonte.
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Nicola Montalbini
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RICORDARE
Racconto dal sottosuolo
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ANNOTARE
Mostra al MIC
Milena Baldassarri D’ARGENTO
FAENZA Dall’11 novembre
RAVENNA Prosegue la
al 28 aprile, al Mic - Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza sarà possibile scoprire i segreti delle culture del Centro America, prima dell’arrivo di Colombo, con la mostra Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America, a cura di Antonio Aimi e Antonio Guarnotta. A stupire il pubblico ci sarà per esempio la sezione dedicata all’invenzione del gioco con la palla, che può essere considerato progenitore del calcio e di tutti gli sport in cui si usa una palla che rimbalza. Infatti, negli altri giochi dell’antichità e negli altri continenti che potrebbero rivendicare un legame analogo, si usavano palle che non rimbalzavano. La mostra resterà aperta fino al 28 aprile.
striscia positiva della ginnasta ravennate Milena Baldassarri che ha conquistato la medaglia d’argento al nastro ai Mondiali di Sofia 2018, in settembre, dopo essersi qualificata per la finale all-around e per tutte e quattro le finali di attrezzo. La giovanissima atleta ha ottenuto il punteggio di 18.550, superando Linoy Ashram e restando dietro ad Aleksandra Soldatova per soli 00.050 punti. Milena, non paga, a Sofia ha conquistato anche il bronzo nella gara a squadre con le compagne Agiurgiuculese e Russo. Si tratta del primo bronzo per l’Italia nella ritmica individuale. L’atleta ha dedicato la sua medaglia a tutti coloro che l’hanno sempre sostenuta e alle allenatrici Julie e Kristina. (A.B.)
Teatro Alighieri STAGIONE D’OPERA E DANZA RAVENNA Ad aprire la stagione d’Opera 2018/19 del Teatro Alighieri sarà la maratona lirica della Trilogia d’Autunno di Ravenna Festival (Nabucco, Rigoletto, Otello), dal 23 novembre al 2 dicembre. Poi si proseguirà con il ritorno della produzione originale Il viaggio di Roberto, un treno verso Auschwitz nella nuova versione rivista per orchestra dall’autore Paolo Marzocchi. Il fil rouge del confronto fra sentimenti e potere si dipana poi tra Roméo et Juliette di Charles Gounod, diretta da Paolo Olmi nel nuovo allestimento coprodotto con il Teatro Nazionale Croato di Fiume e Le nozze di Figaro in arrivo da Spoleto, regia di Giorgio Ferrara, con Erina Yashima alla guida dell’Orchestra Giovanile Cherubini. In programma anche l’Andrea Chénier di Umberto Giordano diretto da Giovanni Di Stefano e l’opera da camera Katër I Radës, il naufragio. Con due formazioni d’oltreoceano, la newyorchese Parsons Dance e il Ballets Jazz de Montréal, e il gala del Balletto Yacobsen di San Pietroburgo, la stagione di danza si prospetta altrettanto ricca e vibrante, con una particolare predilezione per le coreografie contemporanee. Non mancherà inoltre lo speciale ciclo di conversazioni, per svelare i segreti del rapporto fra la musica e il potere.
Fielmann arriva A RAVENNA RAVENNA L’azienda tedesca Fielmann, leader del mercato europeo
nel settore ottico e nel retail eyewear, inaugura la sua seconda filiale in Emilia-Romagna a Ravenna nel cuore pulsante della città, in via Cavour, 83. La nuova apertura, prevista per il giorno 19 ottobre, vedrà nascere un negozio moderno di 146 mq, con oltre 2.500 montature di design e grandi marchi internazionali. Con Ravenna, il numero di filiali sale a 15, ma la strategia di espansione in Italia punta a rafforzare la presenza sul territorio, raggiungendo una quota di 40 negozi nel medio periodo. “Fielmann sostiene che gli investimenti nella comunità siano investimenti nel futuro – spiega Ivo Andreatta, Country Manager Fielmann Italia –. Come azienda di famiglia, Fielmann è attenta ai bisogni dei suoi clienti e pensa in generazioni. Lo scopo è produrre valore per la comunità e le città come Ravenna, l’azienda stessa e i suoi dipendenti”. 4
IN MAGAZINE
ANNOTARE
Musica e teatro TEATRO SOCJALE
Edilpiù premia i GIOVANI TALENTI
PIANGIPANE Musica, teatro
LUGO Edilpiù, storica
e nuove proposte, con gli immancabili cappelletti a fine serata. Sono questi gli ingredienti del ricco menù offerto dal Teatro Socjale di Piangipane che – per la nuova stagione a partire dal 9 novembre – propone nomi di punta quali Ornella Vanoni, Alessandro Haber, Toninho Horta, Fabrizio Bosso. Tra le novità, da segnalare anche due eventi in collaborazione con il Ravenna Festival Giovani artisti per Dante: il 7 dicembre con gli Equ in Durante, canzoni surreali sulla Divina Commedia e il 19 gennaio con la compagnia teatrale Satiri di Storie, di e con Marco Di Giorgio che – in Dante is back – catapulta Dante nel 2018, per riflettere sui ritmi frenetici dell’epoca attuale. Confermati anche i martedì di proposta di esperienze giovanili e innovative del territorio ravennate.
azienda specializzata nella progettazione e realizzazione di serramenti e infissi con sede a Lugo, è coinvolta attivamente da anni – tramite l’associazione Habitat 2020 – in iniziative culturali e divulgative. Di recente, ha sostenuto il premio Renzo Piano World Tour 2018, un progetto di grande caratura e di respiro internazionale, che ha portato tre giovani laureati in architettura 40 giorni in giro per il mondo, per consentire loro di toccare 3 continenti, 15 città e di vedere 226 capolavori dell’architettura mondiale, fra cui 28 opere firmate da Renzo Piano. Si tratta di Ioanna Mitropoulou della School of Architecture (Università di Atene), Fernandez Gonzalez della Universidad Politécnica di Madrid e Thomas Pepino dell’Università degli Studi di Padova.
Effetti Collaterali AL MAR RAVENNA Sono tanti e di diversa tipologia gli Effetti Collaterali, incontri e appuntamenti, che il Mar – Museo d’Arte della Città di Ravenna propone in occasione della nuova mostra ?War is over. Arte e conflitti tra mito e contemporaneità, aperta al pubblico fino al prossimo 13 gennaio. A partire dalle conversazioni con alcuni importanti personaggi, quali l’attore Moni Ovadia, il giornalista Gad Lerner, il linguista Giuseppe Antonelli, l’ex ct della Nazionale Italiana Arrigo Sacchi, lo scrittore Maurizio Maggiani, i politologi Alessandro Campi e Michele Marchi, gli storici dell’arte Eugenio Spreafico e Giovanna Montevecchi, lo storico Alessandro Barbero. Originale la proposta del 17 novembre, quando si terrà la Cena in tempo di guerra, organizzata dal ristorante La Campaza, con un menù elaborato dal critico enogastronomico e storico Alberto Sorbini. In programma anche visite guidate con un ospite che descriverà l’opera della mostra che più lo ha colpito. Chi saranno? Il presidente Abi Antonio Patuelli, il sindaco Michele de Pascale, l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni, il foniatra Franco Fussi, fra gli altri.
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ESSERE
Il dottore
DELLA VOCE IL FAMOSO FONIATRA FRANCO FUSSI VANTA PAZIENTI COME JOVANOTTI, ELISA, LAURA PAUSINI, BJÖRK E I COMPIANTI LUCIANO PAVAROTTI E LUCIO DALLA, MOLTI DEI QUALI SONO DIVENTATI AMICI. di Anna De Lutiis / ph Massimo Fiorentini
I
Incontrare il dottor Franco Fussi, conoscendo la sua fama, crea un po’ di soggezione. Bastano pochi minuti invece per scoprire una persona semplice, accogliente, elegante ma casual, in un contesto, il suo studio, particolarmente raffinato, con le pareti letteralmente ricoperte di fotografie dei suoi pazienti, nomi importantissimi della musica lirica e leggera, dove non manca un pianoforte e dove, disposti con elegante disinvoltura, troviamo oggetti ricercati e unici. Il suo curriculum è chilometrico: difficile riassumerlo in poche righe. Medico chirurgo, specialista in Foniatria e Otorinolaringoiatria, responsabile del Centro Audiologico Foniatrico dell’Azienda Usl di Romagna a Ravenna, responsabile scientifico del corso di Alta Formazione in Vocologia Artistica dell’Università di Bologna diretto dal professor Angelo Pompilio (con sede a Ravenna), docente al corso di Laurea di Logopedia dell’Università degli Studi di Bologna e già docente al corso di specializzazione in Audiologia e Foniatria dell’Università di Ferrara. Consulente
Foniatra per il Teatro Comunale di Bologna, l’Accademia d’Arte Lirica di Osimo, il Rossini Opera Festival e la Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino. Membro eletto del Collegium Medicorum Theatri. La conversazione inizia con una curiosità che lascia alquanto perplessi coloro che non sono del mestiere. Lei una volta ha dichiarato: “La voce non è qualcosa che abbiamo, ma che facciamo”. Cosa vuol dire? Solitamente si dice che è un dono di natura… “È in realtà l’esito di un comportamento motorio dato dal coordinamento tra respirazione, laringe e cavità di risonanza, in base alle esigenze comunicative verbali e allo stile fonatorio che devo esprimere. Facendo un esempio banale, avere l’auto non basta, bisogna saperla guidare. Ecco perché è importante imparare a usare l’apparato in base alle proprie esigenze: parlare, cantare, recitare”. Quali sono gli aspetti del suo lavoro che la interessano, che la coinvolgono maggiormente? IN MAGAZINE
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“Sicuramente prendermi cura della voce e della persona – insieme – perché la voce è l’espressione di quello che siamo. In altre parole capita spesso che la voce dia anche indizio della personalità, al di là delle sue caratteristiche percettive”. Teatro, canto, recitazione: sono questi i campi in cui solitamente si richiede il suo intervento? “Da me vengono cantanti, attori, doppiatori, ma anche insegnanti, telefonisti di call center, insomma tutti coloro che usano la voce per molte ore ogni giorno o che la devono usare con particolare intensità”.
lente in importanti teatri, accademie, fondazioni musicali. Inoltre ha al suo attivo numerosissime pubblicazioni. Le capita di fare dei corsi oppure la chiamano quando emergono problemi da risolvere in breve tempo? “L’Accademia del Musical di Bologna, ad esempio, richiede che tutti i propri allievi vengano visitati all’inizio di ogni anno di corso, con un rapporto col foniatra che rimane attivo per l’anno intero. Con gli artisti del Coro del Teatro Comunale di Bologna, vado a fare consulenza durante le stagioni liriche. In altri casi, come per i Conservatori, svolgo
IN APERTURA, FRANCO FUSSI NEL SUO STUDIO. SOTTO, IL DOTTORE INSIEME AI CANTANTI ZUCCHERO E MICHELE BRAVI.
CONVERSARE CON IL DOTTOR FUSSI È COME SCOPRIRE UN MONDO NASCOSTO AI PIÙ, DESCRIVE LE VOCI METTENDO A NUDO LE LORO CARATTERISTICHE E COLPISCE LA SEMPLICITÀ CON CUI PARLA DI TUTTI I NOTI PERSONAGGI CHE FREQUENTANO IL SUO STUDIO.
A proposito del canto lirico, lei ha detto: “Se ci fossero stati i microfoni inizialmente, oggi non avremmo le voci liriche”. Perché? “La tecnica del canto lirico – intendo il melodramma – nasce dal XVII secolo quando, aumentando gli spazi esecutivi e la composizione dell’orchestra, la voce del cantante sarebbe risultata meno udibile a distanza. Oggi, attraverso l’uso dell’amplificazione microfonica, le possibilità espressive della voce sono del tutto diverse, legittimando perfino sussurri, voce soffiata e sporca, secondo un codice estetico del tutto diverso, mentre le esigenze di proiezione tecnica rimangono appannaggio del canto acustico e classico”. Per il canto lirico, è consu10
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HA IMPARATO AD AMARE LA LIRICA DOPO AVER ASCOLTATO RIGOLETTO AL TEATRO BONCI DI CESENA, DOVE L’AVEVA CONDOTTO UNO ZIO MELOMANE. LA SUA CANTANTE PREFERITA? MARIA CALLAS, PER LA VOCE E PER LA SUA CAPACITÀ DI TRASMETTERE EMOZIONI.
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seminari di fisiologia della voce cantata”. Lei ha avuto e ha tanti pazienti famosi, sia cantanti lirici che di musica leggera, quali Pavarotti, Mariella Devia, Elisa, Jovanotti, Juan Diego Flòrez, Lucio Dalla, Björk e tantissimi altri. Quali sono i suoi rapporti con loro? “Si stabilisce un rapporto di fiducia non solo per la qualità diagnostica ma anche per la capacità di mettersi in relazione con le loro necessità in base ai loro stili vocali e allo stile di vita. Creando sintonia, fiducia e comprensione. E infine amicizia. Al punto che mi capita di ricevere telefonate di pronto soccorso anche a tarda notte, per esempio quando il cantante è in America oppure deve esibirsi e ha dei problemi, come è capitato a Laura Pausini che doveva intervenire a Sanremo e aveva una forte laringite. Io e lei ci conosciamo da vent’anni”. Dei personaggi noti che ha conosciuto cosa l’ha colpita in modo particolare? Per esempio Pavarotti… “Luciano Pavarotti era una persona semplice e umile, affabile e molto generosa. Come molto generosi sono anche Albano, Pausini, Elisa. Lucio Dalla è una delle poche persone che, nelle occasioni d’incontro, raramente parla di voce ma piuttosto di problemi sociali, della vita e dei problemi della gente comune”. Tornando alle voci che ha conosciuto, cosa intende quando dice che ogni voce è unica al mondo? E cosa vuol dire che ci sono voci chiare, oscure, aspre, limpide? “Sono le caratteristiche timbriche che caratterizzano le voci. Timbri un po’ nasalizzati, come quelli della Vanoni o di Ramazzotti, o la modalità di emissione calda e piangente di Bobby Solo, sono caratterizzanti e possono essere simulati imparando a gestire la cavità di risonanza. Gli imitatori sono quelli che sanno usare meglio i loro risuonatori, il che permette loro di riprodurre molte
voci”. Conversare con il dottor Fussi è come scoprire un mondo nascosto ai più, parla delle voci mettendo a nudo le loro caratteristiche ma colpisce molto la semplicità con cui parla di tutti i notissimi personaggi che hanno frequentato e frequentano il suo studio. Invitato continuamente in Italia e all’estero, personaggio di primo piano, conserva una semplicità e un sorriso che mette a proprio agio, amichevole, sempre pronto a semplificare il linguaggio tecnico per dare la possibilità ai comuni mortali di capire. Gli chiediamo quali sono gli impegni futuri, oltre la comune routine. “Quest’anno sono stato al Convegno Europeo di Foniatria a Helsinki e come presidente onorario al convegno di Salisburgo, durante il festival. Il prossimo anno sarò a Mosca, poi a Filadelfia per il convegno organizzato dalla Voice Foundation, mentre nell’ottobre 2019 ci sarà il convegno ravennate La Voce Artistica al Teatro Alighieri, organizzato ogni due anni, un’idea che è nata nel 1999”. È piacevole ascoltarlo perché si sente, nelle sue parole, la passione per il suo lavoro. Così, racconta di come ha imparato ad amare la musica lirica dopo aver ascoltato Rigoletto al teatro Bonci di Cesena, dove l’aveva condotto un suo zio melomane che solitamente gli raccontava la trama delle opere. Ma aggiunge che, come tutti i ragazzi, aveva ascoltato e amato le canzoni da Rita Pavone a Mina, e infine confessa che una delle cantanti liriche che preferisce è Maria Callas perché dotata di una voce inconfondibile, per la sua capacità di trasmettere emozioni, anche senza seguire sempre i canoni classici della tecnica. Appassionato di viaggi, quando visita altri paesi, oltre che apprezzarne le caratteristiche artistiche, inevitabilmente il suo orecchio rimane sempre attento alla musica e alle voci dei popoli. Ama visitare mostre sia di arte moderna che classica, ma il canto rimane sempre il suo primo amore.
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A scuola di
BELLE ARTI LA COORDINATRICE PAOLA BABINI APRE LE PORTE DELL’ACCADEMIA RAVENNATE CON VOCAZIONE AL MOSAICO, PARLANDO DI COME AIUTARE GLI ALLIEVI, MA ANCHE DI PROGETTI E ASPIRAZIONI.
E
di Nevio Galeati / ph Lidia Bagnara
Eccellenza quasi segreta, un po’ anche per la collocazione decentrata e infelice della sede, l’Accademia di Belle Arti di Ravenna sta avvicinandosi a un giro di boa importante. Con la fine dell’anno scade la convenzione con l’Accademia statale di Bologna: cosa succederà, dopo? Intanto si è avviato il percorso che dovrebbe portare entro il 2021 alla statizzazione. Un percorso che fin qui ha avuto qualcosa in comune con… la tela di Penelope. Oggi, però, l’Accademia è sostenuta economicamente e gestita dal Comune di Ravenna, che l’ha voluta far nascere nel 1827. La coordinatrice didattica, Paola Babini, artista ravennate, docente di Tecniche pittoriche nel capoluogo regionale, si impegna perché questo perno della storia culturale ravennate torni a brillare come merita. “Abbiamo una media di 130 iscritti all’anno, suddivisi fra triennio e biennio – afferma –. Insieme ai ragazzi italiani, ci sono studentesse coreane e iraniane, molto brave; ma anche cinesi e molti macedoni. Il richiamo è davvero internazionale. La convezione del 2008 con Bologna ha confermato la vocazione al mosaico per i due anni
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specialistici. Certo, la prima parte del corso di studi ha maggiore fascino: ci sono corsi di fotografia, grafica, pittura, oreficeria. Va da sé come sia il mosaico a costituire il filo guida di tutto. Nel biennio, appunto, la ricerca focalizza le possibilità del mosaico nella decorazione, nell’arte pubblica; si lavora sul tema del restauro. È giusto che sia così perché questa forma espressiva può avere ancora grandi sviluppi. Abbiamo la fortuna che enti e istituzioni chiedano di nuovo interventi a mosaico. Come l’opera per i 60 anni del gemellaggio con Chartres, oppure il monumento che l’anno scorso abbiamo rea-
“L’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI RAVENNA HA UNA MEDIA DI 130 ISCRITTI ALL’ANNO E IL RICHIAMO È DAVVERO INTERNAZIONALE. I NOSTRI RAGAZZI STANNO RICEVENDO RICONOSCIMENTI IN TUTT’ITALIA: ABBIAMO UN POTENZIALE INCREDIBILE”.
IN ALTO, PAOLA BABINI, COORDINATRICE DIDATTICA DELL’ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI RAVENNA.
lizzato per i 150 anni dalla morte di Ruggero Pascoli: la cavallina storna in mosaico si trova lungo la via Emilia, di fronte alla Villa di Gualdo nel Comune di Longiano. Però non basta…”. La coordinatrice è un fiume in piena. “Si dovrebbero aiutare le iniziative dei giovani con più slancio – aggiunge–. Una studentessa di Ravenna mi chiedeva cosa dovesse fare per aprire un laboratorio. Purtroppo non è facile, eppure è lì che la creativi-
tà è fondamentale. Secondo me i nostri corsi riescono a stimolare proprio la creatività”. E le piacerebbe allargare l’orizzonte, sempre lavorando sulla qualità. “Sarebbe interessante istituire il biennio di oreficeria – dice convinta–. La professoressa Emanuela Bergonzoni porta avanti concetti di design diversificati e forme avanzate di progettazione, che naturalmente hanno a che fare con il corpo. Non si deve dimenticare come questo corso esista dagli anni Settanta e ha avuto l’approvazione di Giò Pomodoro, che considerava il gioiello un’opera d’arte. In questo percorso si inseriscono anche le ricerche sul micro mosaico, utilizzato in oreficeria, ma non solo”. La sede di via delle Industrie rivela anche alcune sorprese. A partire da una biblioteca specializzata sull’arte che i ravennati possono consultare liberamente (8.000 volumi, con una sezione significativa di testi del XIX secolo); senza dimenticare l’importante nucleo di periodici a disposizione, con naturale attenzione per le riviste d’arte e di architettura. Al piano superiore, non ancora consultabile, c’è poi un prezioIN MAGAZINE
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L’ISTITUTO VANTA UNA BIBLIOTECA SPECIALIZZATA SULL’ARTE E UN PREZIOSO ARCHIVIO CHE RACCOGLIE QUASI 200 ANNI DI STORIA. DURANTE IL RECENTE TRASLOCO, È STATO RISCOPERTO UN REPERTORIO DI MANIFESTI DEL PRIMO NOVECENTO.
IN QUESTE PAGINE, ALCUNE OPERE IN MOSAICO CREATE DAGLI STUDENTI DELL’ACCADEMIA.
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IN MAGAZINE
so archivio, che raccoglie quasi 200 anni di storia e che andrebbe riordinato e messo a disposizione almeno dei ricercatori. “Qualche anno fa si è recuperato tutto il recuperabile – ricorda Babini –, a seguito del trasloco dalla Loggetta Lombardeschi in questi spazi, prima utilizzati dal Centro di formazione professionale Albe Steiner. Abbiamo iniziato una delicata e lunga opera di archiviazione e catalogazione, riscoprendo un repertorio di manifesti dei primi del Novecento. Una gran parte fa riferimento al mondo dell’editoria, ma c’è davvero un tesoro, in queste cartelle e in questi grandi cassetti. Sarebbe utile avere più
spazio, per sistemare anche la corrispondenza, i documenti sulla storia dell’Accademia, molte opere grafiche degli alunni di allora”. Le idee non mancano: come recuperare il grande mosaico realizzato dall’artista veneto Mario De Luigi negli anni Cinquanta nella Centrale elettrica Sade (oggi Enel), e mostrato al mondo da Michelangelo Antonioni nel capolavoro Deserto rosso. “I nostri ragazzi stanno ricevendo riconoscimenti in tutt’Italia – conclude –, a dimostrazione di come l’Accademia abbia un potenziale incredibile. Osando un poco, si potrebbe pensare anche a una sua possibile attrattività turistica. Possiamo lavorare, quindi. Insieme, per gli allievi e per la nostra città”.
RACCONTARE
Tra mistero
E SCRITTURA IL GIORNALISTA RAVENNATE MATTEO CAVEZZALI, DIRETTORE ARTISTICO DI SCRITTURA FESTIVAL, HA ESORDITO CON SUCCESSO CON IL SUO ICARUS IN CUI RACCONTA L’ASCESA E LA CADUTA DI RAUL GARDINI.
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di Serena Onofri / ph Davide Baldrati
Questo è decisamente un bel momento per il giornalista ravennate Matteo Cavezzali, classe 1983, reduce dal successo del suo primo romanzo Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini edito da MinimumFax, dedicato a uno dei misteri d’Italia per eccellenza. Da anni, inoltre, è direttore artistico di Scrittura Festival che vanta ospiti quali Luis Sepùlveda, David Grossman, il premio Nobel Shirin Ebadi, lo sceneggiatore Guillermo Arriaga, ma anche Corrado Augias, Daria Bignardi e Paolo Giordano. So che ti piace essere definito un ravennate doc: cosa vuol dire esserlo e come sono i ravennati? “Sì, sono ravennate, il parente più esotico è la nonna di Bagnacavallo. Cosa vuol dire? Credo la domanda vada posta a chi viene da fuori. Per chi è del posto, è la normalità. Mi sento però di dire che ci accomuna l’importanza della cucina e della ritualità del pasto”. Autore di Icarus che parla di Gardini: perché sei voluto ritornare su un argomento ormai caduto nel silenzio da tutti? Cosa vorresti arrivasse alle persone che lo leggeranno?
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“I motivi sono principalmente due: la vita di Gardini è stata eccezionale, come un romanzo. Fin da bambino sentivo i racconti degli adulti, mi sembrava una storia fuori dal comune che aveva a che fare con le tragedie di Shakespeare. Inoltre, quel periodo che va dalla fine degli anni Ottanta all’inizio degli anni Novanta è caratterizzato da forti cambiamenti sia dell’Italia che del mondo, dalla caduta del muro di Berlino alla fine della Prima Repubblica. Vale la pena riflettervi con il giusto distacco”. Cosa vorresti che arrivasse alle persone che lo leggeranno? “Da sempre, raccontare storie è un modo per riflettere su noi stessi e sulle nostre passioni, e anche sull’Italia di oggi e di ieri. In fondo questa frattura fra sogni enormi e la realtà dura e ostile, come è stata per Gardini, è comune alla vita di tutti. Anche chi non lo ha mai conosciuto può ritrovare in quella vita qualcosa che lo riguarda”. Come si scrive un libro? E come si diventa scrittori? “Per scrivere un libro credo non ci siano formule predeterminate, ognuno scrive alla sua maniera. Ci vuole una grande passione e
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NELLA PAGINA PRECEDENTE, LO SCRITTORE MATTEO CAVEZZALI. A LATO, IL SUO ROMANZO D’ESORDIO ICARUS. ASCESA E CADUTA DI RAUL GARDINI
“LA VITA DI GARDINI È STATA ECCEZIONALE, COME UN ROMANZO. INOLTRE QUEL PERIODO A CAVALLO TRA ANNI OTTANTA E NOVANTA, CARATTERIZZATO DA FORTI CAMBIAMENTI SIA IN ITALIA CHE NEL MONDO, MERITAVA DI ESSERE APPROFONDITO”.
molto lavoro, perché impegna tante energie e ci vuole una forte motivazione. Soprattutto se si è a un esordio. Dopo parecchi tentativi ho trovato il mio modo di scrivere, è come un’ossessione. Ma mi diverto”. Com’è nato e come si è sviluppato nel tempo Scrittura Festival? “Tutto è cominciato per passione. Avevo alcuni autori che avrei voluto incontrare e ai quali avrei voluto chiedere delle cose per capire come facevano a scrivere, e quindi mi è venuto in mente di invitarli e rendere questo momen20
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to anziché un dialogo privato un appuntamento pubblico. I primi piccoli incontri si sono svolti a Marina di Ravenna in uno stabilimento balneare che si chiamava Fandango, per poi spostarsi al Caffè Letterario di Ravenna. Da solo che ero, ora siamo un gruppo di persone che condividono lo stesso amore, potendo contare sulla collaborazione del Comune e della Biblioteca Classense. Questa è la sesta edizione e siamo molto soddisfatti, per i tanti illustri ospiti e per la risposta positiva di pubblico. Nonostante i ritmi frenetici, c’è ancora tempo per la scrittura”. Come avviene la scelta degli autori ogni anno? “Partendo dai nostri gusti personali e anche cercando di portare in città autori che in quel momento propongono una riflessione importante più collettiva. Si parte dal tema della scrittura, e si vagliano possibili personaggi: per questo abbiamo avuto, oltre a scrittori, anche autori teatrali, sceneggiatori di cinema. Il Festival sta crescendo, lo scorso anno si è parlato di 8.000 presenze,
ma la cosa bella è che ancora si respira un clima familiare e informare”. Chi sogni di portare al festival? “La scrittrice Jhumpa Lahiri, vincitrice del Pulitzer e conosciutissima in America”. Un libro o un autore che ti ha segnato e cambiato la vita? “Ricordo 1984 di George Orwell, letto nei primi anni delle superiori, periodo d’eccellenza per la formazione. Mi ha fatto scoprire la grande letteratura. Cito anche Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi che mi ha fatto amare anche un certo tipo di giornalismo, interpretato dal protagonista. Attualmente ho un paio di autori preferiti: il primo è il sociologo Zygmunt Bauman, autore di Società liquida, che secondo me ha anticipato l’argomento della precarietà come la conosciamo noi oggi, il secondo un narratore francese, Emmanuel Carrère, del quale mi piace molto il modo di scrivere. Ma aggiungerei anche Maylis de Kerangal, considerata la più importante scrittrice francese contemporanea”.
CREARE
Il poeta della
CARTA CRESPA IL FAENTINO ANDREA MERENDI, L’ARTISTA DEI FIORI DI CARTA, HA CREATO UN SUO STILE IMITATO IN TUTTO IL MONDO. IL SUCCESSO È NATO DA UN LAVORO PER LA RINASCENTE DI MILANO. di Roberta Bezzi / ph Lidia Bagnara
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A LATO, L’ARTISTA ANDREA MERENDI. IN ALTO, UNA DELLE SUE CREAZIONI IN CARTA CRESPA.
Ormai è conosciuto come l’artista dei fiori, anche se lui predilige definirsi artigiano. Di certo è che il faentino Andrea Merendi è riuscito a sdoganare e a tirare fuori dal cassetto il fiore di carta, rendendolo moderno e contemporaneo. In pochi anni è diventato il flower designer più imitato al mondo ed è richiestissimo da stilisti e case di moda come Hermès e Missoni, solo per citarne alcune. I suoi fiori sono itineranti, per così dire, e possono essere acquistati da Bergdorf Goodman, i famosi magazzini del lusso a New York e sono continuamente citati nelle riviste e guide di fiori più famose al mondo. Voleva distinguersi e c’è riuscito, perché i suoi fiori – frutto delle sue abili mani che modellano la carta crespa come fosse creta – emozionano chiunque li osservi, come parlassero un linguaggio universale che non conosce confini. Non a caso c’è chi premia la sua originalità e creatività, definendolo anche “poeta della carta crespa”. Andrea Merendi, come le è venuta l’idea di creare fiori di carta? “In realtà, nasco come fiorista, allestitore e vetrinista. Quattro anni fa, ho ricevuto la richiesta di un importante centro commerciale milanese, La Rinascente. Dovevo allestire la vetrina di un profumo e ho pensato ai fiori di carta. Quelli veri infatti sarebbero durati troppo poco e non andavano bene. Poi, mi era capitato di vedere in una sfilata di Chanel delle decorazioni con fiori di carta e degli allestimenti analoghi ai magazzini Selfridges di Londra. Così, mi sono lasciato ispirare”. In poco tempo, ha subito ottenuto riconoscimenti e grandi consensi in Italia e all’estero… “Sì, e tuttora ne sono stupito. A quel primo lavoro ne sono seguiti molti altri. Per esempio, Hermès mi ha chiamato per un evento a Roma, per cui ho realizzato 450 fiori ispirandomi ai colori della nuova collezione, mostrandomi al pubblico mentre li creavo. Per lo show-room milanese di Misso-
RICHIESTISSIMI DA STILISTI E CASE DI MODA COME HERMÈS E MISSONI, I FIORI DEL FAENTINO ANDREA MERENDI POSSONO ESSERE ACQUISTATI DA BERGDORF GOODMAN A NEW YORK E SONO CONTINUAMENTE CITATI NELLE RIVISTE E GUIDE DI FIORI PIÙ FAMOSE AL MONDO.
ni ho fatto una tavolozza di fiori prendendo spunto proprio da quei mitici tessuti”. Ricorda come ha creato il primo fiore? “Sì. Ho comprato un rotolo di carta e ho cominciato a ritagliare dei pezzi e a lavorarci sopra. Tecnicamente sono un autodidatta: ho visto qualche video su YouTube, ma ho smesso subito perché proponevano le solite rose che chiunque può fare. Certo, ci vuole una certa manualità, oltre a una buona dose di creatività”. Come si spiega il suo successo? “C’è da dire anzitutto che conoIN MAGAZINE
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IN QUESTA PAGINA, ALCUNI ALLESTIMENTI CON I FIORI IN CARTA CRESPA DI MERENDI.
“IL MIO CAVALLO DI BATTAGLIA, O LA MIA FIRMA PER COSÌ DIRE, SONO I RAMI SPOGLI CHE FACCIO RIFIORIRE. UTILIZZO ANCHE IL MUSCHIO E I LICHENI. MI LASCIO ISPIRARE DALLO SPETTACOLO DELLA NATURA CHE AMMIRO QUANDO CAMMINO IN CAMPAGNA”.
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sco molto bene i fiori freschi, perché ci lavoro da trent’anni e perché sono cresciuto in campagna, che amo infinitamente. Quindi so ben distinguere una dalia da una peonia, il che non è sempre così scontato. Purtroppo, diversamente da quanto avviene nel Nord Europa ma anche in Francia e Inghilterra, dove c’è un grande amore per i fiori, in Italia ormai nei negozi si trova solo ciarpame, perché la gente compra qualcosa solo per matrimoni, battesimi, funerali. Per fortuna mi è venuta questa idea dei fiori di carta, che nulla hanno a che vedere con quelli vecchi e stantii a cui prima si era abituati”. Come si distingue il suo stile ora copiato da tutti? “La mia è un’interpretazione del fiore, non un’imitazione. E deve emozionare chi lo guarda. Non mi interessa il virtuosismo, anche perché sarebbe impensabile impiegare ore per un solo fiore, il cui prezzo andrebbe decisamente fuori mercato. Per questo una cosa che non mi piace è quando mi sento dire, come se fosse un complimento: ‘Che belli i suoi fiori, sembrano veri!’. Se volessi fare fiori veri, mi limiterei a raccoglierne di freschi. Ecco perché utilizzo volutamente colori che in natura non esistono, come certi grigi. I miei fiori possono piacere o meno, ma quello sono. Non vendo mai il fiore singolarmente perché, se non è usato in modo adeguato, diventa un fiore qualsiasi”. Le piacciono dunque le composizioni… “Sì. Adoro, per esempio, mettere insieme le bacche di rosa canina
con il fiore finito, che è una vera e propria novità. Per i matrimoni, propongo di mescolare fiori freschi e di carta. Il mio cavallo di battaglia, o la mia firma per così dire, sono i rami spogli che faccio rifiorire. Utilizzo anche il muschio e i licheni. Mi lascio ispirare dallo spettacolo della natura che ammiro quando cammino in campagna, basta poco… E ogni composizione è unica e personalizzata”. Il colore è una caratteristica importante. Le piace sperimentare? “Moltissimo. Come dicevo, propendo per sfumature che non esistono in natura. Inizialmente mi accontentavo delle carte che trovavo in commercio, poi ho aperto una collaborazione con la Cartotecnica Rossi di Arsiero, in provincia di Vicenza, con cui produciamo nuovi colori di carta crespa. Qualche esempio? Il malva, il cipria, il grigio, che fino a qualche tempo fa non si trovavano. Li presentiamo ogni anno al Paperworld di Francoforte in Germania. Una volta, osservando i miei fiori in vetrina, mi sono accorto che la carta scolorita dal sole diventava ancora più bella, perché polverosa. Così, ho iniziato a stingere i colori con la candeggina. Finché, con la Cartotecnica abbiamo messo a punto dei colori acrilici già scoloriti”. Per sua scelta, lei non ha un sito web. Come mai? “E non ho neanche un negozio. Ma chi è interessato sa come arrivare fino a me. In realtà, è un gran bel risparmio di tempo, perché evito di attirare curiosi e perditempo!”.
Sala da tè • Aperitivo • Cena Chef Franco Ceroni Sommelier Daniele Caringella
Al 1° Piano di Piazza J. F. Kennedy • Ingresso in Via IX Febbraio n°1 Aperto dal giovedì alla domenica dalle 15.30 Tel. 366 9366252 • info@salonedeimosaici.it • www.salonedeimosaici.it
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LA PANACEA L’ESTETICA DEL BENESSERE
IL CENTRO ESTETICO LA PANACEA, NATO DALL’ENTUSIAMO DI LAURA VERLICCHI E CRISTINA POLETTI, SI DEDICA AL BENESSERE DI UOMINI E DONNE OFFRENDO UN SERVIZIO ALTAMENTE QUALIFICATO.
IN ALTO, LE QUATTRO IMPRENDITRICI DEL CENTRO ESTETICO LA PANACEA.
Sentirsi bene nel proprio corpo è fondamentale per stare in armonia con se stessi. Partendo da questo presupposto, da oltre vent’anni La Panacea si dedica alla bellezza e al benessere di donne e uomini. Professionalità, cortesia, accoglienza e disponibilità sono solo alcuni dei punti di forza del centro che ha nel passaparola il miglior biglietto da visita. Un servizio altamente qualificato e prodotti di eccellenza sono
poi l’ulteriore corollario che la clientela ben conosce. La Panacea nasce grazie all’entusiasmo e allo spirito imprenditoriale di Laura Verlicchi e Cristina Poletti che – appena ventenni – aprono un primo centro a Lido Adriano nel periodo estivo, a cui ne segue presto un secondo a Ravenna città in inverno. Il grande salto di qualità, nel tempo, è stato quello di puntare solo sull’ex capitale bizantina, sdoppian-
do l’offerta. La Panacea, infatti, ha sede sia all’interno del Centro Commerciale Esp, sin dalla sua apertura nel 1998, sia in via Cilla 55, dove il salone è maggiormente improntato verso il benessere, grazie anche all’accogliente e confortevole spa. Forte del successo dell’attività, Laura e Cristina hanno contribuito alla crescita professionale di numerose estetiste, creando anche con loro – oltre che con i clienti – un bel rapporto di fidelizzazione, a dimostrazione che lavorare o vivere un’esperienza all’interno de La Panacea è un po’ come sentirsi a casa. Per questo motivo, dall’inizio di quest’anno, è stata creata una nuova società “allargata” alle operatrici di consolidato corso che hanno deciso di accettare la sfida. Ed è così che sono diventate socie anche Simona Gagliarduc-
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ci e Simona Garavina, dando vita a un bel team tutto in rosa affiatato e collaudato. “Per noi bellezza è sorridere nel mondo, consapevoli della propria unicità. Per questo nel nostro centro utilizziamo solo prodotti e trattamenti che preservano l’unicità della pelle e della persona”. Questo amano ripetere le quattro titolari che hanno scelto di proporre due brand francesi diffusi in tutto il mondo che assicurano trattamenti efficaci e prodotti domiciliari viso e corpo di altissima qualità e performance, quali Renophase e Salin Biosel. I Laboratoires Renophase, fondati a Parigi nel 1984, hanno sviluppato ricerche medicali per risolvere i problemi di pelle grazie a formule sempre più mirate e tecnologicamente avanzate, frutto di rigorosi studi scientifici sull’invecchiamento cutaneo. Per poter
utilizzare questi cosmetici ad alta attività dermatologica, La Panacea ha dovuto seguire un lungo e attento percorso di formazione. Chi predilige i prodotti naturali, può apprezzare i prodotti di Salin de Biosel, in cui sono inseriti estratti di radici, cortecce, foglie e fiori. Ogni parte della pianta, infatti, è una ricchezza nutritiva infinita trasferita nei cosmetici. La Panacea offre una ricchissima offerta di trattamenti per il viso e il corpo, avvalendosi sempre dei più innovativi macchinari disponibili sul mercato, fra cui Fisiosphere, l’endomassaggio meccanico con Cmp (campi di micro correnti pulsate) per contrastare inestetismi quali cellulite, adiposità localizzata, lassità cutanea e invecchiamento tissutale; radiofrequenza tripollar (Pollogen); infrarossi, laser, ultrasuoni (Overline); tecnologia
Led. Poi c’è Nausicaa, per vivere un’esperienza sensoriale in una culla di vapore. Tra i fiori all’occhiello del centro vi sono inoltre l’epilazione brasiliana Skin’s, dolce, sicura, efficace, e il Microblanding, una tecnica estetica di pigmentazione dell’epidermide, mirata alla correzione delle sopracciglia. Quest’ultima si esegue tramite una penna speciale con micro-lame a pettine e appositi pigmenti, incidendo manualmente pelo a pelo, creando così un effetto molto naturale. Il centro La Panacea colpisce subito per l’ambiente moderno ed elegante, pulito e accogliente in cui – tra un trattamento e l’altro – è possibile anche bere una tisana, rilassarsi o farsi una sauna, come in una vera spa. Un altro segreto del centro è quello di non negare mai un appuntamento a qualsiasi
ora del giorno, per soddisfare sempre le esigenze della clientela. “Ogni persona è unica e merita un ascolto attento e personalizzato”, questo in sintesi il metodo seguito dalle estetiste. “La clientela è sempre più esigente e preparata, e gli uomini sono ormai al pari delle donne”, raccontano le titolari de La Panacea. “Nuove tendenze? Negli ultimi anni è aumentata la richiesta di consulenze personalizzate di alto livello che parte dalle proprie esigenze e dall’analisi approfondita della pelle, dell’inestetismo da contrastare, dei trattamenti da eseguire. La clientela poi desidera trattamenti veloci e con risultato immediato, perché il tempo a disposizione nel quotidiano è sempre più ristretto. Esigenze a cui cerchiamo di dare una risposta con il nostro impegno quotidiano!”.
Ravenna: • Via Cilla, 55 - Tel. 0544 454017 • Centro Comm. ESP - Via M. Bussato, 74 - Tel. 0544 275220
RAPPRESENTARE
Viaggio nei
TEATRI
DAGLI SPETTACOLI IN CASE PRIVATE O NEI PALAZZI ALLA NASCITA DEI PRIMI TEATRI, TRA CUI SPICCANO L’ALIGHIERI E IL RASI CHE OGGI OSPITANO LA STAGIONE DI RAVENNA TEATRO di Andrea Casadio / ph Massimo Fiorentini
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In queste settimane, con l’arrivo dell’autunno, il riaprirsi delle porte dell’Alighieri e del Rasi per l’incipiente stagione teatrale ripete un rito che si rinnova da secoli. Fu dall’epoca rinascimentale che in Europa cominciarono a prendere piede gli spettacoli di prosa in senso moderno e le prime forme di drammi in musica evolutesi poi nell’opera lirica, rappresentati in ambienti pubblici appositamente destinati, o periodicamente adattati, a tale fine. Ravenna, a questo riguardo, non fece eccezione. Per lungo tempo, però, fu priva di un locale dedicato specificamente a tale uso, e gli spettacoli furono ospitati in case private o nei palazzi del potere pubblico. Quello legatizio (l’attuale prefettura), ricostruito nella seconda metà del Cinquecento, fu la sede di accademie musicali e di altri intrattenimenti organizzati dai singoli legati. Anche il Collegio dei Nobili (la ex caserma di via Nino Bixio) nel Settecento apriva le porte alla cittadinanza in occasione delle rappresentazioni degli studenti. Ma fu soprattutto la sala del Palazzo Comunale, già dalla metà del Cinquecento, a costituire lo spazio privilegiato della vita teatrale ravennate. Vi si svolgevano recite di prosa e, dal 1683, anche di lirica, per le quali venivano approntati appositi palchi di legno. E proprio la definitiva demolizione del palco della sala, imposta dal legato nel 1702, fu la spinta alla costruzione del primo vero teatro comunale della città. L’ignaro passante che oggi si trova a transitare per via Pellegrino Matteucci difficilmente può immaginarlo, ma l’involucro esterno del palazzo della Cgil è esattamente ciò che resta di questa struttura. Realizzato fra il 1722 e il 1724 su progetto del ravennate Giacomo Anziani (per l’esterno) e del veneziano Antonio Mauri (per l’interno), il Teatro Comunitativo aveva una sala con pianta a U su cui si aprivano quattro ordini di palchetti, 97 in totale, acquistati dagli esponenti delle famiglie più in vista, ovviamente in gran parte
nobili. Fu dunque questo edificio, dalle forme decisamente sobrie e collocato in un angolo marginale della città, il fulcro del fenomeno sociale più importante del XVIII e del XIX secolo. Di qui passarono un dodicenne Gioacchino Rossini, che nel 1804 vi suonò il cembalo nella stagione lirica del carnevale, e il ben più maturo George Byron, ospite dell’amata Teresa nel palco della famiglia Gamba nel 1820; qui si scatenarono le passioni artisticopolitiche del secolo del teatro, quell’Ottocento risorgimentale che ebbe proprio nei palcoscenici uno dei suoi luoghi simbolo. Appunto perché ritenuto ormai
DOVE C’È OGGI IL PALAZZO DELLA CGIL IN VIA PELLEGRINO MATTEUCCI, TRA IL 1722 E IL 1724 FU REALIZZATO IL PRIMO TEATRO DI RAVENNA, CON PIANTA A U E DOTATO DI 97 PALCHETTI, FULCRO DEL FENOMENO SOCIALE PIÙ IMPORTANTE DEL XVIII E DEL XIX SECOLO.
inadeguato ai tempi, verso il 1830 cominciò a farsi strada fra la cittadinanza l’idea di rimpiazzare il vecchio teatro con uno più moderno e sontuoso. Una collocazione più idonea venne individuata nell’area allora occupata dalla Piazzetta degli Svizzeri, una sorta di propaggine dell’attuale Piazza Garibaldi. Il direttore dell’Accademia di Belle Arti, Ignazio Sarti, presentò il progetto di una grande e ambiziosa struttura, alla quale però, per motivi economici, il Comune preferì quella, più modesta ma pur sempre dignitosa, dei fratelli Tommaso e Giovan Battista Meduna, due architetti veneziani che pochi anni prima avevano partecipato alla ricostruzione della Fenice. In effetti, l’iter si rivelò alquanto torIN MAGAZINE
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IN APERTURA E A LATO, ALCUNE IMMAGINI DI FINE OTTOCENTO DEL TEATRO MARIANI.
NELL’OTTOCENTO SORSERO IN CITTÀ DIVERSI TEATRI POPOLARI FRA CUI IL BERTOLDI, POI FILODRAMMATICO, LA SUGGESTIVA ARENA ZINNANI CHE HA POI LASCIATO IL POSTO ALLA GALLERIA FABBRI, E IL MARIANI, TRASFORMATO DI RECENTE IN RISTORANTE.
mentato: i lavori, cominciati nel 1840, si conclusero solo 12 anni dopo, con una spesa lievitata a 106.000 scudi rispetto ai 38.000 previsti inizialmente. Il risultato fu comunque nel complesso soddisfacente: un elegante edificio neoclassico, con una pianta a ferro di cavallo su cui si aprivano 99 palchi divisi in quattro ordini, più una serie di ambienti di contorno e di servizio di cui il vecchio Comunitativo era sprovvisto. Intitolato a Dante Alighieri su suggerimento del 30
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delegato apostolico Stefano Rossi, il nuovo teatro fu inaugurato il 15 maggio 1852 con due opere della stagione lirica, che comprendeva Roberto il diavolo di Mayerbeer, Medea di Pacini e Lucia di Lammermoor di Donizetti. Sottoposto nel tempo a vari restauri e ad alcuni ampliamenti, nel 1977 ottenne il riconoscimento del suo valore culturale con l’inserimento nella ristretta lista dei Teatri di Tradizione. Pur restando la presenza più significativa del panorama cittadino, nel corso del tempo l’Alighieri è stato però affiancato anche da altre realtà. Proprio i ritardi nella sua costruzione stimolarono nel 1847 l’imprenditore Andrea Bertoldi ad aprire un teatro privato in un’area di sua proprietà in via Alberoni. Chiamato dapprima, appunto, Teatro Bertoldi, nel 1867 mutò nome in Filodrammatico, dopo che i proprietari lo ebbero concesso in affitto all’omonima Accademia che riuniva gli appassionati dilettanti di recitazione. Nel 1887, in seguito a un incendio, venne chiuso, e poco
dopo demolito. Questo spinse i filodrammatici a trovare una nuova casa nella vecchia chiesa sconsacrata del convento di S. Chiara, sul Corso, di proprietà del Comune. Ottenutane la concessione, provvidero ad adattare l’edificio alle proprie necessità, e l’8 maggio 1892 lo inaugurarono con una commedia di Bisson e un monologo di Luigi Rasi, già attore dell’Accademia stessa e in quel momento direttore della scuola di recitazione di Firenze. Proprio a Rasi il teatro sarebbe stato dedicato nel 1919, rinnovando nei decenni seguenti (in cui subì diverse ristrutturazioni) il suo ruolo di palcoscenico per le produzioni delle compagnie private in collaborazione con l’amministrazione comunale: una vocazione oggi portata avanti da Ravenna Teatro, che ne ha la gestione dal 1991. La grande diffusione che l’intrattenimento teatrale conobbe nell’Ottocento portò anche alla nascita di strutture dedicate specificamente a un pubblico popolare, più spartane nella forma e
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sarebbe sorto il negozio della ditta Giacomo di Salvatore Fabbri, destinato a sua volta a diventare una presenza storica della Ravenna del secolo scorso. Uno dei motivi della decadenza dell’Arena stava nel fatto che, dal 1864, era comparso un temibile concorrente nel teatro aperto in quell’anno dal capomastro Gaetano Patuelli, in via Ponte Marino. Fu però dopo il dissesto economico di quest’ultimo, con il passaggio all’editore-tipografo Eugenio Lavagna, che il teatro Mariani, come fu ora rinominato, conobbe il suo periodo d’oro. Pur avendo anch’esso una vocazione più popolare rispetto all’aristocratico Alighieri, non
IN ALTO, LA SEDE CGIL. A FIANCO, IL TEATRO ALIGHIERI E, SOTTO, IL TEATRO RASI.
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più alla buona nell’offerta degli spettacoli, ma di non minore impatto nella vita sociale della città. È in questo contesto che si colloca la simpatica esperienza dell’arena in legno per spettacoli diurni che i fratelli Girolamo e Tommaso Zinanni realizzarono nel cortile della loro abitazione, nell’attuale via Diaz. Impiantata nel 1842 e ristrutturata nel ‘51, l’Arena Zinanni – come venne chiamata anche dopo che i due fondatori ne cedettero la proprietà – consisteva in una galleria e in una platea scoperta, occupata da panche e sedie. Vi si davano spettacoli circensi e produzioni drammatiche seguite con grande trasporto dal pubblico, che spesso, sull’onda delle emozioni, non mancava di lasciarsi andare a reazioni scomposte. Lo stesso accadeva in occasione delle manifestazioni politiche di ispirazione democratico-radicale, che pure avevano nell’Arena una delle loro sedi privilegiate. Poi il lento declino fino alla chiusura, con l’ultimo spettacolo il 20 agosto 1896. In seguito, al suo posto,
mancò di ospitare spettacoli lirici e di prosa di ottimo livello. Un posto di diritto nella storia ravennate gli diede inoltre il fatto che fu proprio qui che il 22 agosto 1896 (simbolicamente, due giorni dopo la chiusura dell’Arena) si svolse la prima proiezione cinematografica della città. Proprio la destinazione a sala cinematografica finì poi col prevalere nella seconda metà del Novecento. Una vocazione parzialmente mantenuta anche oggi, dopo che l’ultima e più radicale ristrutturazione, fra le tante della sua storia, ne ha fatto una delle realtà più innovative nel panorama commerciale del centro storico.
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SCOMPARSI IL PERCORSO ARTISTICO DI NICOLA MONTALBINI SI È SVILUPPATO SU DUE FILONI ICONOGRAFICI PARALLELI: LA CITTÀ STORICA E LE CREATURE ESTINTE, CHE COLGONO L’ESISTENZA DI UN’ALTRA DIMENSIONE DEL REALE.
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di Aldo Savini / ph Lidia Bagnara
Fin da piccolo, Ravenna è stata per Nicola Montalbini fonte di ispirazione, affascinato dai campanili medievali, dai mosaici antichi, dai sarcofagi, dalle porte, dalle finestre, dai mattoni delle case che attraversano il tempo. Tutti spunti e occasioni: alle elementari e alle medie non faceva
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che disegnare, ma la sua passione e le sue capacità non venivano adeguatamente apprezzate dagli insegnanti finché, al Liceo Artistico, Paolo Racagni, insegnante di pittura, ne ha riconosciuto le doti espressive, consolidando la sua vocazione naturale per l’arte. Ordine, rigore, nitidezza e ma-
niacale precisione per i dettagli, l’uso di inchiostri naturali, pittura e da ultimo il digitale, danno forma al suo immaginario figurativo. Sente lontani gli uomini, la pittura en plein air, l’eccessiva gestualità; piuttosto avverte interesse per le fotografie anonime, le tracce di
antiche pitture sui muri e affinità con alcune figure della storia dell’arte, anche minori e dimenticate, come i pittori di icone che a partire dal VI secolo riproducono ancora fedelmente le stesse immagini, ma anche con artisti moderni fra cui Giorgio Morandi, Max Ernst, Odilon Redon, Paul Klee e Philip Guston. A questi affianca lo studio della botanica, dell’anatomia comparata e la lettura di poesie, soprattutto di autori di lingua tedesca. L’abilità manuale, quasi fosse un monaco amanuense o un orefice, è alla base di molti dei suoi lavori, nei quali non compare mai la figura umana che non trova particolarmente affascinante e stimolante. Il suo percorso artistico si è sviluppato senza nostalgia sul filo rosso della memoria per un passato che non esiste più, su due filoni iconografici paralleli e senza intrecci o contaminazioni: la città storica che non c’è più ma che conserva tracce del passato e gli animali estinti, pensati e immaginati nel loro habitat naturale, vivi, che respirano, evocazioni del loro passaggio sulla Terra, senza implicazioni o intenti scientifici. Sia le città che gli animali appartengono a un mondo scomparso, estinto; le città assomigliano a collage pittorici di agglomerati disabitati o bombardati come la Berlino postbellica, mentre i modelli per dinosauri sono i giocattoli di plastica che riempiono i negozi per bambini. Convinto che l’arte si sia sempre
servita dei progressi tecnologici, usa il digitale, adottato inizialmente per un’esigenza pratica. Disegna quotidianamente con la china e con il tablet così da annotare idee, spunti e scattare foto da rielaborare. La straordinaria velocità esecutiva gli consente di ottenere le immagini delle città e dei dinosauri digitali, dei paesaggi alieni con animali e fiori coloratissimi che trasferisce non su carta fotografica ma sulla rosaspina da incisione che confonde la visione, rendendo l’effetto quasi da litografia. Paola Babini nella presentazione in catalogo per la mostra Achiropita gli riconosce “una grazia e una leggerezza che a un’occhiata superficiale potrebbero confondere lo spettatore. Le sue sono creature che colgono l’esistenza di un’altra dimensione del reale, il suo vero segreto è osservare con attenzione la realtà, la sua dote è riuscire ad attivare quel famoso sesto senso che, pur se sopito dal rumore assordante del mondo, ancora in parte possediamo”. Nato a Ravenna nel 1986, dove vive e ha lo studio in un garage di famiglia trasformato negli anni in luogo d’arte, in via Agro Pontino 26. Dopo il Liceo Artistico di Ravenna ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna, che ha concluso con una tesi in pittura con un dinosauro di carta lungo 16 metri, poi andato distrutto. Attualmente sta seguendo il biennio specialistico di mosaico a Ravenna.
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LE TRADIZIONI DI NICK FUSIONE TRA CUCINA E PASSIONE
NICOLA GENTILE RENDE OMAGGIO ALLA CUCINA DEL TERRITORIO PROPONENDO GUSTOSE RICETTE NEL SUO RINNOVATO RISTORANTEPIZZERIA LE TRADIZIONI DI NICK, AD ALFONSINE.
IN ALTO, NICOLA “NICK” GENTILE, TITOLARE DE LE TRADIZIONI DI NICK. A LATO, IN ALTO, LA MISE EN PLACE. IN BASSO, IL CAPOSALA NICOLA COZZOLINO.
C’è tutto il gusto autentico della tradizione romagnola, rivisitata in chiave contemporanea e creativa, al ristorante Le Tradizioni di Nick di Corso Garibaldi 67 ad Alfonsine, noto anche per la pizza da leggenda di Nick, sia nella versione al metro sia in quella classica, passando per le schiacciatine e i calzoni. Aperto il 27 ottobre 2016, con l’inaugurazione ufficiale due giorni dopo, l’impresa di Nicola Gentile – da tutti chiamato semplicemente Nick – si è rivelata da subito vincente. Ha acquistato un locale chiuso da tempo che ha completamente ristrutturato, rendendolo a sua immagine e somiglianza. L’ambiente interno, con mattoni a vista nel soffitto e nelle colonne, alternati al bianco candido che fa un bel contrasto, richiama l’atmosfera della vecchia cantina di campagna. Le sale luminose possono ospitare fino a 150 coperti, anche se in estate nel giardino esterno sono creati
altri 50 coperti. Nick ha messo tutta la sua esperienza venticinquennale, considerando che è stato protagonista dei più noti locali a Ravenna, in alcuni posti come collaboratore, in altri come proprietario. A farlo diventare noto, nel 2015, è stata la sua vittoria alla trasmissione televisiva di Real Time Best in Town, in cui ha vinto la sfida tra tre pizzerie, con il suo Le Sciccherie di Nick in Piazza Harris a Ravenna, che ha venduto per aprire ad Alfonsine. “Ho creduto in questo paese come investimento perché da troppo tempo mancava una pizzeria-ristorante”, spiega Nick. “E la risposta non solo c’è stata, ma persino superiore a qualsiasi più rosea aspettativa. In appena due anni, il personale è passato da 8 a 14 persone ed è in fase di studio un importante ampliamento che consentirà di raddoppiare quasi i coperti disponibili. La clientela raven-
nate mi ha seguito, in quanto ormai fidelizzata, e a questa si è aggiunta quella ovviamente del posto. Abbiamo a tal punto richieste che, il sabato e la domenica, bisogna prenotare persino due settimane prima, considerando inoltre che spesso siamo costretti a fare il doppio turno dalle 19 alle 21 e dalle 21 in poi. Per tutti noi è una grande soddisfazione”. Per questa sua nuova attività, Nick ha deciso di alzare l’asticella della qualità e – come si evince dal nome stesso scelto per il ristorante-pizzeria – di rendere omaggio alla cucina del territorio. Oltre ai piatti alla carta presenti tutto l’anno, è possibile provare le novità stagionali fuori menù sempre molto apprezzate dalla clientela. Tra i primi, a farla da padrona è la pasta fresca, e da provare sono i cappelletti al prosciutto crudo e asparagi, i tagliolini con pomodorini, pancetta e rucola, i cappellacci ripieni di funghi
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LE SALE LUMINOSE POSSONO OSPITARE FINO A 150 COPERTI, ANCHE SE IN ESTATE NEL GIARDINO ESTERNO SONO CREATI ALTRI 50 COPERTI. OLTRE AI PIATTI ALLA CARTA, È POSSIBILE PROVARE LE NOVITÀ STAGIONALI FUORI MENÙ.
porcini e taleggio o i tortelli di patate in salsa di parmigiano. Come secondo, punto di forza del locale sono le tagliate di manzo, la fiorentina con filetto e il classico misto di castrato alla griglia. Per chi preferisce la pizza, non c’è che l’imba-
razzo della scelta, fra pizze al metro (una vera specialità di Nick), schiacciatine, classiche, bianche, calzoni e specialità varie, con impasti – normali e ai sette cereali – lievitati 48 ore. La mozzarella utilizzata è un’ottima fior di latte, mentre il pomodoro è rigorosamente Made in Italy. Da provare è certamente la pizza Le tradizioni con impasto al metro condita con pomodoro a pezzettoni, bufala, origano, basilico, olive taggiasche e olio romagnolo, oppure, ottima per comitive la 120 cm al metro per 8-10 persone, a gusto e piacere del cliente. Durante i pasti è possibile degustare una delle sessanta etichette romagno-
le selezionate. Non si può che finire in bellezza, assaggiando uno dei sedici dolci della tradizione fatti in casa, tra cui la zuppa inglese, la sfogliatina con mascarpone e Saba, le pere cotte al Sangiovese, con cannella e crumble, il tortino con cuore di cioccolato caldo o il semifreddo al pistacchio. Durante l’anno, il ristorantepizzeria propone diverse cene a tema e degustazioni, fra cui quella dedicata alla carne con il macellaio Gabelli che taglia la carne in mezzo alla sala, o la Pizza e bolle, con 4/5 tipi di impasto abbinato a un calice. Le Tradizioni di Nick è aperto tutto l’anno, con chiusura il martedì e il sabato a pranzo.
Alfonsine (RA) - Corso Garibaldi, 67 - Tel. 0544 84138 info@letradizionidinick.it - www.letradizionidinick.it
RICORDARE
Racconto dal
SOTTOSUOLO NEL SUO ROMANZO D’ESORDIO, IL RAVENNATE GIUSEPPE PIZZOLA RIPORTA ANEDDOTI E RIFLESSIONI DEI TEMPI D’ORO DELLA CITTÀ EDONISTA DEGLI ANNI OTTANTA E NOVANTA.
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di Linda Antonellini / ph Massimo Fiorentini
Samuele Guarnieri è un giovane brillante, dotato del talento sufficiente a garantirgli un futuro luminoso. Invece, si limita a consumare i giorni nutrendosi solo delle sue insane passioni, immerso in quel mondo edonista di fine anni Ottanta dove tutto sembra realizzabile senza alcuna fatica. Lui è il protagonista di Sotto la faccia, opera prima di Giuseppe Pizzola, imprenditore ravennate con il talento della scrittura. Un romanzo generazionale e fortemente introspettivo che cerca di indagare e interrogarsi su cosa
si celi dietro alle scelte di ognuno di noi, su quei sottili e inesplicabili meccanismi che regolano e influenzano le direzioni che intraprendiamo, anche quelle più estreme e apparentemente insensate perché costretti dal terribile giogo del libero arbitrio. Pizzola si è laureato in Scienze dell’Informazione all’Università degli Studi di Milano, città in cui ha vissuto quasi un decennio e di cui conserva un piacevole ricordo. È il fondatore e l’amministratore di un’importante azienda operante nel settore dell’Information
Technology. Intrigante è scoprire il suo lato intellettuale e la sua cultura letteraria, appassionato di autori come David Foster Wallace e Dostoevskij, di musica jazz e di cinema le cui immagini e dinamismo narrativo divengono ispirazioni e trasposizioni per i suoi scritti. In antitesi con l’apparente razionalità insita nel suo lavoro ha deciso di portare a compimento una missione iniziata molto tempo fa: scrivere un libro che riportasse uno spaccato di quel mondo estremo e bizzarro che è stata la riviera romagnola degli anni Ottanta e Novanta e che in qualche modo ha toccato la generazione di chi ha oggi cinquant’anni o giù di lì, ma allo stesso tempo interessante anche per i più giovani, per capire le differenze con il cupo e depressivo scenario dei giorni nostri. Per questo il romanzo, presentato pochi mesi fa, ha già stimolato l’interesse soprattutto di chi ha vissuto i tempi d’oro di una Ravenna oramai lontana nel ricordo, edonista e goliardica. Le intenzioni che hanno portato Pizzola a raccontare questa intrigante storia sono differenti e apparentemente distanti e vanno da una fascinazione per una narraIN MAGAZINE
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tore del racconto: il protagonista sbaglia, si arrabatta e si ingegna, compie scelte avventate e deplorevoli (anche e soprattutto a danno di sé stesso), ma alla fine il lettore si trova a stare dalla sua parte, affascinato e allo stesso tempo turbato da quella smisurata forza
È UN ROMANZO SU UNA VITA E SULLA VITA, UN RACCONTO DAL SOTTOSUOLO PER INTERROGARSI SUI SOTTILI E INESPLICABILI MECCANISMI CHE REGOLANO E INFLUENZANO LE SCELTE DI OGNUNO DI NOI, ANCHE QUELLE PIÙ ESTREME E APPARENTEMENTE INSENSATE.
NELLA PAGINA PRECEDENTE, UN RITRATTO DI GIUSEPPE PIZZOLA. IN ALTO, LO SCRITTORE MENTRE PRESENTA IL SUO LIBRO.
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zione squisitamente aneddotica, reminiscenza di quei tempi allegri e gioiosi, a un’analisi più esistenzialista, pronta a immergersi nelle pieghe più recondite e buie dell’animo umano. La scrittura per Pizzola è liberazione e purificazione, frutto di un’accentuata sensibilità nel percepire e riportare in modo egregio ciò che gli accade intorno, una sorta di autoanalisi atta a espellere o a sedimentare le scorie dell’anima. Il romanzo è schietto e sincero e accoglie al suo interno qualcosa di tutti noi: speranze, sogni, paure, alternando personaggi quasi taumaturgici, lenitivi, ad altri (come il protagonista), la cui mente ipertrofica tende a esasperare pensieri e accadimenti. La genesi del romanzo è stata lunga e travagliata vuoi per pigrizia (come ammesso dallo stesso autore), vuoi per l’impossibilità di dedicarsi in modo continuativo alla stesura, fino a quando qualche anno fa irrompe improvvisa un’impellenza di lasciar traccia di pensieri e ricordi e di cristallizzare l’epica di un’età d’oro che mai più ritornerà. Sotto la faccia è un romanzo su una vita e sulla vita. Questo è in sintesi il filo condut-
generatrice ma anche potenzialmente distruttrice che è la voglia di autodeterminarsi. È evidente che gli argomenti che più affascinano Pizzola sono l’essere umano, in quella continua ricerca di un equilibrio tra follia e saggezza e di un senso ultimo di fronte al nichilismo che a turno ci pervade tutti. Altro tema caro allo scrittore è quello del ricordo e del ritorno, ossia la voglia di analizzare e indagare quell’aspirazione ricorrente dell’animo umano di idealizzare il glorioso passato perduto e rinverdire l’idea del disimpegno, ossia di un modello di vita scevro dal peso del tempo, dalle banalità e insoddisfazioni del presente e dall’incertezza del futuro. Tutto questo e altro ancora è Sotto la faccia, racconto popolato da personaggi sfaccettati e multiformi, in un mix di pregi e difetti, di stranianti e a volte stravaganti riflessioni; una generazione di super-giovani, di Vitelloni post litteram. Samuele Guarnieri, così come Giuseppe Pizzola, si fanno portavoce e ambasciatori di questo mondo che fu, per aiutarci a non dimenticare ciò che bene o male siamo stati o avremmo voluto essere.
atmosfera e sapori
Aperto a pranzo anche per colazioni di lavoro, ideale la sera, per cene intime, in una romantica atmosfera.
Cucina del territorio rivisitata / Specialità di carne e pesce Pane fatto in casa / Preparazione a base di foie gras e tartufi in stagione Formaggi d’alpeggio con mostarde e confetture /Ampia selezione di vini nazionali Una tessera gastronomica nella mosaicale creatività di Ravenna Via Faentina, 275 San Michele Ravenna (chiuso giovedì) - Tel. 0544 414312
PALLEGGIARE
Sempre più
IN ALTO
IL BABY TALENTO SARA PANETONI, FORTE DEI RECENTI SUCCESSI, HA SALUTATO RAVENNA E SI È ACCASATA AL CLUB ITALIA PER AFFRONTARE IL CAMPIONATO DI A1 FEMMINILE.
A LATO, SARA PANETONI DURANTE UN’AZIONE. NELLA PAGINA SEGUENTE, LA PALLAVOLISTA INSIEME ALLA SQUADRA MENTRE FESTEGGIANO UNA VITTORIA.
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La bagnacavallese Sara Panetoni, nata a Lugo il 6 maggio 2000, ha mosso i primi passi nella pallavolo con la Fulgur Bagnacavallo all’età di otto anni, esordendo sei anni dopo in B2 con l’Olimpia Teodora Ravenna nel 2014, passando in seguito all’Olimpia Cmc in B1 dove, la baby-fenomeno, si è ritagliata il ruolo di libero. Tappa successiva per Sara è stato il campionato di A2 con la Conad Olimpia Teodora, realtà nata dalla fusione tra le due società ravennati, con il compito di vice Paris, titolare in seconda linea. Rinviato di un anno il passaggio in A1 con il Club Italia, progetto tecnico d’eccellenza della Fipav sito a Milano e creato nel 1998 che, nel corso degli anni, ha plasmato alcune delle giocatrici più talentuose e titolate del panorama nazionale (alcuni esempi sono costituiti da Lo Bianco, Barazza, Del Core, Togut e, per citare le atlete più recenti, Chirichella, Malinov, Egonu, Orro e Danesi), Sara vanta un titolo di campionessa mondiale Under 18 e uno europeo Under 19, rispettivamente conquistati in Argentina a Rosario e in Albania a Tirana. Sara, quando ti sei avvicinata al volley e quali sono
state le principali tappe che ti hanno portato a diventare giocatrice professionista? “Ho iniziato a giocare fin da piccola nel Bagnacavallo. A 12 anni, sono andata a giocare a Ravenna dove ho militato nelle giovanili e successivamente in serie C. Crescendo ho giocato in B2, B1 e A2, sino a giocare a Milano in A1, con il Club Italia. Negli ultimi due anni ho fatto parte anche
della Nazionale Italiana”. Che cosa significa per te disputare un campionato in A1 femminile con il Club Italia? “Sarà sicuramente un’esperienza molto interessante dal punto di vista pallavolistico ma anche personale, ci sarà molto da imparare!”. Quali sfide sei maggiormente pronta ad affrontare e quali, invece, temi di più? “In questo momento è difficile
ph Infinity
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di Alessandro Bucci
dirlo, sicuramente tutte le sfide saranno importanti e tutte avranno da insegnarmi qualcosa”. Qual è una tua giornata tipo? “La nostra attività è iniziata lo scorso 20 settembre perché prima ci hanno lasciato dieci giorni di pausa dopo l’Europeo. La mattina andiamo a scuola, nel pomeriggio studiamo e andiamo ad allenamento e la sera studiamo ancora. Un ritmo certamente non facile”. Sei felice di lavorare con coach Bellano? “Molto. Con Massimo mi sono trovata bene fin da subito, mi piace come lavora e anche come persona!”. Ripercorriamo un po’ le tue emozioni nel passato recente. Con la nazionale under 19 hai vinto il titolo europeo a Tirana contemporaneamente a quello di miglior libero della manifestazione. L’anno prima il successo era arrivato come under 18. Quanto hanno inciso questi traguardi nella tua vita personale e professionale? “Sicuramente sono stati risultati importanti per la squadra e per me anche dal punto di vista personale. Sono state due grandi sod-
disfazioni, ma nonostante questo si continua a lavorare per cercare di migliorarsi sempre”. Nella tua nuova avventura ci sono delle giocatrici con le quali hai già intesa o magari un rapporto di amicizia? “Mi sono sempre trovata bene con tutte le mie compagne, però credo sia normale legare di più con qualcuna rispetto a un’altra. Le mie preferite sono Alessia Populini e Francesca Scola e, nell’ultimo periodo, anche Rachele Morello”. Se ti guardi un attimo indietro, cosa ha rappresentato per te l’Olimpia Teodora Ravenna? “Insieme a Bagnacavallo, è stata la società che mi ha permesso di crescere e raggiungere risultati importanti, quindi mi porterò sempre dietro tanto, le persone che ho conosciuto e che hanno creduto in me, il lavoro che ho fatto e le amicizie che sono nate”. Chi è Sara al di fuori della pallavolo? Quali sono i tuoi hobby? “Quando posso ritagliare tempo per me, passo le giornate insieme ai miei amici. È la cosa che preferisco fare perché mi rasserena e mi distende”.
Circonvallazione S. Gaetanino, 104 Ravenna 0544 454119 www.casadellatenda.com
SCRIVERE
Il fascino delle
PAROLE
LA RAVENNATE ANGELA SUPRANI HA VINTO IL PREMIO LETTERARIO NAZIONALE CITTÀ DI FORLÌ – SEZIONE PREMIO IN MAGAZINE PER LA PROSA INEDITA.
C
di Roberta Bezzi
Con il racconto Le cose che finiscono, la ravennate Angela Suprani, 55 anni, di professione impiegata nel settore privato, ha vinto la quindicesima edizione del Premio Letterario Nazionale Città di Forlì – sezione Premio IN Magazine per la prosa inedita. Ha già partecipato a tanti concorsi e i suoi racconti brevi hanno ricevuto molti apprezzamenti e sono stati pubblicati su riviste letterarie e antologie e, nel 2009, ha pubblicato una raccolta L’amore strano per Il Filo di Roma. Cosa rappresenta per lei la scrittura? “Scrivo perché mi diverto, è una forma di piacere. All’inizio si scrive per se stessi, quindi sotto l’in-
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IN MAGAZINE
flusso di una pulsione passionale, l’amore per le parole, che aiuta a manifestarsi. Poi si cresce e si avverte il desiderio di confrontarsi, di presentare le proprie opere”. A che età ha cominciato a mettere su carta le parole? “Da ragazzina. Già verso i 12 anni, mi dilettavo con un personaggio che si chiamava Bianca a cui facevo vivere tutte le cose che volevo fare io. È stato terapeutico”. In molti dicono che scrivere non possa esistere senza leggere… “Sì. Leggere aiuta a formare il proprio stile, a sviluppare l’autocritica e a non dimenticare umiltà e rispetto nei confronti della letteratura. Personalmente i miei preferiti sono gli autori russi, ma anche italiani. Qualche nome? Javìer Marias, Erri De Luca e José Saramago”. Come nascono i suoi racconti? “Quasi sempre da un’unica immagine, una scena, un fotogramma che – nel racconto breve – si riesce a rievocare, a fare vivere e poi a lasciare andare. Di recente sto sperimentando una forma di scrittura più lunga e strutturata, un piccolo romanzo. Non sempre ho bene in mente come procederà la storia nel momento in cui ha
inizio, anche questo mi affascina e diverte. È qualcosa di magico”. Come le piace scrivere? “A mano, riempiendo i fogli di cancellature, asterischi, freccette, rimandi, poi ricopio, lascio riposare e rileggo dopo qualche tempo, come se leggessi il lavoro di un altro scrittore. Per scrivere ho bisogno del tempo vuoto davanti a me, nessun impegno, nessun orario, nemmeno a fine giornata”. Quanto c’è di autobiografico? “Scrivere è sempre rivelatore di sé. Anche se non c’è nulla di realmente autobiografico, le idee, le parole, le sensazioni che si evocano sono in testa”. Nel suo racconto Le cose non finiscono sviluppa un concetto molto bello: fare in modo che il desiderio non muoia con la sua realizzazione… “Sì. Spesso, la bellezza iniziale si perde e questo genera in breve tempo un senso di frustrazione. La storia parla di una bambina che deve far fronte alla scomparsa da casa della madre. Anziché subire il trauma della perdita, riceve un regalo: capisce che la madre va verso l’agognata libertà, ha avuto il coraggio di scegliere una vita migliore. Un meraviglioso messaggio di speranza”.
RACCONTO VINCITORE DEL PREMIO LETTERARIO NAZIONALE CITTÀ DI FORLÌ, SEZIONE PREMIO IN MAGAZINE PER LA PROSA INEDITA.
LE COSE CHE FINISCONO di Angela Suprani
La vita non è tanto semplice per me che detesto la fine delle cose. A volte detesto persino le cose che incominciano, sento l’odore della loro fine ancora prima che questa si avvicini. L’inizio delle cose è grandioso. Quando ero piccola mi incendiavo facilmente all’idea di lanciarmi in qualche nuova avventura, come per esempio costruire una capanna con le lenzuola tese tra il letto e la scrivania. Sentivo di avere il potere che serviva per dare inizio alle cose, e questo mi rendeva invincibile. Il pensiero di poter cominciare qualche cosa di nuovo mi attraversava la mente a velocità folle e subito diventava l’immagine del mio desiderio compiuto, della gioia finale che presagivo smisurata, se solo l’idea che ne avevo mi faceva sentire così forte e luminosa. Prendevo la rincorsa per lanciarmi nella felicità raggiungibile di un dopo che già sfrigolava con impazienza nei miei gesti affrettati e maldestri. Potevo vederlo, laggiù, gioioso e invitante. Poi, una volta finita la rincorsa, me ne restavo lì sotto al tetto di lenzuola del mio desiderio compiuto, e mi si sgonfiava l’anima dentro al petto mentre mi accorgevo che ciò che provavo non era niente di simile a quanto mi aspettavo. Pensavo a quanto era stato bello fino a pochi minuti prima, con il sogno ancora tutto intero e gonfio e a portata di mano, e poi, ecco, d’un tratto, tutto scomparso. Che me ne facevo di quella stupida capanna di stracci? Il meglio era già passato. Tiravo giù tutto a strattoni e mi gettavo sul letto sfinita e incredula. Poi mia madre sparì da casa. Sparita, letteralmente, svanita nel nulla. Era un giovedì pomeriggio e lei andava in ciabatte su e giù per le scale con la cesta del bucato da stendere; c’era il sole e tirava un gran vento; le porte sbattevano però lei, che di solito non lo sopportava proprio, quel giorno sembrava non accorgersene nemmeno. Avrei dovuto capire che quello era il segnale di qualcosa di strano. Io stavo seduta davanti alla televisione, e quando lei si affacciò alla porta ci guardammo un momento negli occhi, lei chiese “Tutto bene?” e io dissi “Mmh mmh”, poi la sentii scendere le scale e aprire la porta sul retro, poi più nulla. Non 1’abbiamo rivista mai più. Papà rientrò all’ora di cena e solo allora ci accorgemmo che nell’aria non aleggiava nessun profumino invitante; guardai l’orologio e restai schiacciata dalla prima pesante consapevolezza, la prima che io ricordi, quella incancellabile. Anche se non avevo idea di che cosa esattamente fossi consapevole. Senti-
vo comunque che era come un punto, un violento punto posto alla fine di qualcosa, e che non mi piaceva per niente. La mamma, pare, se ne andò via così com’era, con lo scamiciato e le ciabatte, senza prendere nemmeno diecimila lire dal borsellino della spesa, né un fazzoletto da naso; in casa non mancava proprio niente, nemmeno una nostra fotografia. Quella notte restammo tutti e tre ammutoliti, io mio padre e mio fratello, sbattendo sguardi impauriti tra le quattro mura della cucina. Il rumore secco dei nostri pensieri si allungava come una crepa nel silenzio che si era creato attorno a tutti quei punti interrogativi. Ad un certo punto papà aprì la finestra, e la tenda bianca si mosse con il vento. Entrò quieta la luce della luna e la casa si svuotò definitivamente della presenza della mamma. Io non ero dispiaciuta per lei. Ero invidiosa. Nei miei pensieri lei stava ancora prendendo la rincorsa verso il suo raggiante futuro, senza mai raggiungerlo, fortunata lei, e io mi sentivo arrabbiata perché prima di compiere questo suo atto meraviglioso ed egoista avrebbe almeno potuto infondere a me un po’ del suo coraggio. Dio, che coraggio! Aprire le braccia e volarsene via, brava, è così che si fa, o tutto o niente, non stucchevoli vie di mezzo, vorrei ma non riesco, vado ma non vorrei, mi piacerebbe ma non posso. No no, a lei è scesa la catena e ha abbandonato la bicicletta, ha continuato a piedi come se niente fosse. Lei ha saputo tagliare, con un colpo solo, il laccio che lega l’inizio di qualcosa alla sua triste fine polverosa. Noi tre, invece, restavamo lì immersi nell’irrisolta questione del perché le cose che finiscono lasciano tutto attorno quello spaventoso odore di paura bruciacchiata. Del perché le cose che iniziano e sembrano bellissime poi si riducono a un mucchietto sbriciolato che scricchiola sotto alle scarpe quando ci passi sopra. Le cose migliori non sono quelle che si compiono. La vera meraviglia è questo arrivare sull’orlo del desiderio, sentire le ginocchia che tremano e fermarsi lì, sul ciglio di ciò che non avviene. Trattenere il fiato per non spezzare l’equilibrio inverosimile di un momento sospeso sulle possibilità: in quello splendido non-succedere: è lì che accade tutto quanto. Bè, intanto vola, la mamma, almeno lei, ne sono certa; con i capelli svolazzanti nell’inebriante corsa verso aspettative non deluse. Ancora adesso, nelle giornate di vento forte, se chiudo gli occhi posso sentire sulle guance le frustate dolci come carezze dei suoi capelli biondi che si alzano e si abbassano al ritmo di tutti i desideri del mondo.
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CILLA CAFFÈ SENTIRSI A CASA
IL CILLA CAFFÈ, NATO DALLA COMPLICITÀ DELLE TITOLARI ANNA E CHIARA, PROPONE PIATTI VELOCI E DELIZIOSI IN UNA LOCATION INTIMA E DAL PROFUMO DI CASA.
Ravenna, via Luigi Cilla 30 Tel. 0544 1952639 cilla-caffe.business.site
Si presenta con uno stile moderno, urbano e luminoso, il nuovo Cilla Caffè, sempre animato a qualsiasi ora della giornata, dalle colazioni del mattino agli aperitivi serali. Aperto nel febbraio 2018, in pochi mesi è già riuscito a diventare un punto di riferimento nel bel quartiere residenziale e commerciale che si sviluppa attorno a via Cilla, grazie all’entusiasmo, alla simpatia e alla cordialità delle due giovani titolari, Anna e Chiara, abili nel creare una piacevole atmosfera di grande famiglia. “Per noi il locale è come una casa, in cui tutto va curato sin nei minimi dettagli – raccontano le due socie –. Per questo, ogni giorno, ci alterniamo per essere sempre presenti e accogliere in prima persona i nostri clienti ‘ospiti’ che, in molti casi, diventano anche amici con cui scambiare due chiacchiere”. Nulla di che stupirsi se si considera che la felice avventura del Cilla Caffè ha preso il via proprio dal bel rapporto di complicità fra Anna (nella foto, a sinistra) e Chiara (a destra): entrambe con una consolidata esperienza nel settore, ave-
vano già lavorato insieme in una precedente attività anche se con ruoli diversi. La sintonia professionale e amicale è stata immediata, al punto che – appena si è presentata l’occasione giusta – hanno deciso di fare società. Così hanno aperto il Cilla Caffè, cambiando il nome al bar che già esisteva da vent’anni: una scelta felice quella di ispirarsi direttamente alla strada, per essere ancora più facilmente identificato da residenti, lavoratori e gente di passaggio. E c’è chi arriva da tutta Ravenna, soprattutto nel fine
settimana, per far tappa da Anna e Chiara e gustarsi l’ottimo cappuccino con quella deliziosa crema al caffè che si fa ricordare. Il passaparola si è rivelata la carta vincente. “Non si può fare questo mestiere senza amarlo profondamente”, spiegano. “Solo così si riesce a offrire un servizio di qualità che diventa un importante tratto distintivo. Il nostro è un piccolo bar dove il fattore umano ha un alto valore, in cui è necessario dimostrare flessibilità e la massima disponibilità in termini di tempo”. Aperto dalle 6 alle 22 di sera, il Cilla Caffè prepara piatti veloci, ma gustosi e sani per la pausa pranzo, golosità per la merenda adatte anche ai bambini e una grande selezione di vini dal metodo classico per l’aperitivo ai gran rossi. Vedere la gente che torna e fa i complimenti è la più grande soddisfazione per chi ogni giorno lavora duramente ma con il sorriso sulle labbra come Anna e Chiara. Il bar dispone di un piacevole spazio esterno con tavolini sotto i portici e di un confortevole spazio interno, in cui a colpire subito è il moderno bancone con dietro una vernice a lavagna in cui sono indicate le migliori proposte. Tanti ingredienti di successo per un luogo perfetto in cui rilassarsi e staccare per un po’ dalla routine quotidiana.
FILOSOFARE
Spirito
FILOSOFICO PROMUOVERE LA FILOSOFIA COME PRATICA DI CONSAPEVOLEZZA, COMPRENSIONE DELLA REALTÀ E BENESSERE: CE NE PARLA ALBERTO DONATI, IL PRESIDENTE DI L’AGENDA FILOSOFICA.
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di Roberta Bezzi
Far conoscere la filosofia, avvicinarla a un pubblico più ampio, farla diventare un’abitudine di pensiero. Questo è l’obiettivo dell’Associazione Culturale L’Agenda Filosofica, costituita nel febbraio 2018, per promuovere e diffondere la cultura dal punto di vista storico, letterario e filosofico, valorizzando le risorse e i talenti del proprio territorio. “La filosofia è tra le urgenze che vanno praticate oggi, è tra le cose da fare subito – spiega Alberto Donati, presidente dell’Associazione Culturale –. Perché la filosofia insegna e allena a pensare, e quindi rappresenta l’antidoto per smascherare tutte le certezze e i dogmi inadeguati per avanzare, per trovare nuovi futuri. Dopo decenni di predicata torre d’avorio ed erudizione intellettuale, la filosofia viene oggi in soccorso di un mondo diventato analfabeta di ritorno nel ragionamento, nella ricerca, nell’osservazione e nella comprensione del reale. La filosofia ci mostra la strada di come si può essere coraggiosi, o oltraggiosi, in un mondo di forti costrizioni e opachi condizionamenti”. L’Agenda Filosofica si avvale di un comitato organizzatore che si IN MAGAZINE
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“LA FILOSOFIA INSEGNA E ALLENA A PENSARE, E QUINDI RAPPRESENTA L’ANTIDOTO PER SMASCHERARE TUTTE LE CERTEZZE E I DOGMI INADEGUATI PER AVANZARE, PER TROVARE NUOVI FUTURI. CI MOSTRA LA STRADA DI COME SI PUÒ ESSERE CORAGGIOSI”.
nutre delle idee di appassionati sostenitori della filosofia, a cui si affianca un comitato scientifico fatto da persone che hanno messo la filosofia al centro della loro formazione e professione: Massimo Donà, Andrea Tagliapietra, Davide Grossi, Giacomo Petrarca, tutti provenienti dall’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e Umberto Curi, professore ordinario di Storia della filosofia alla facoltà di Lettere dell’Università di Padova, noto anche per un paio di pubblicazioni di filosofia del cinema quali Lo schermo del pensiero, Cinema e filosofia e Un filosofo al cinema. Si tratta di filosofi di età ed esperienze diverse, che danno spessore a contenuti e costruiscono un ponte generazionale tra la filosofia del Novecento e quella dei giorni attuali. “Crediamo – aggiunge Donati –, che si possa fare filosofia ovunque e
a maggior ragione nei luoghi in cui in genere non si fa. La pratica filosofica, infatti, può aiutare i gruppi, siano essi aziendali, associativi o comunitari, a sviluppare tecniche di benessere collettivo. Con la filosofia si diventa più coesi e compatti, si crea uno spirito comune in cui è più facile identificarsi, si favorisce la consapevolezza e la comprensione della realtà. Per questo abbiamo scommesso insieme su tale Associazione, rivolgendo particolare attenzione all’ambito aziendale, perché crediamo che la filosofia renda più felici e liberi”. Pur avendo la sede legale a Bologna, è in Romagna che L’Agenda Filosofica ha il suo maggiore terreno d’azione. Tant’è che, la scorsa estate, si è occupata per la prima volta dell’organizzazione e della comunicazione dell’edizione 2018 di Filosofia sotto le stelle, festival arrivato alla quattordicesima edizione, portato a Cervia nel 2005 proprio quando Donati era Assessore alla Cultura. Dal 28 al 31 luglio, con una speciale anteprima il giorno 13, si sono susseguiti tanti appuntamenti, dibattiti e lezioni magistrali con alcuni fra i più interessanti filosofi e pensatori italiani sull’esplorazione del tema Utopia VS Distopia. Il pubblico – fatto di residenti e turisti – ha salutato con calore l’apertura affidata a Curi che ha parlato di Un luogo in cui essere
felici, le lezioni magistrali di tutti i filosofi del comitato scientifico, e di ospiti quali Giulio Giorello, Gianluca Pelleschi, Alessandro Lolli, Antonio Del Castello, Eleonora Caramelli, Jacopo Lorenzini e Isabella Ciotti, con incursioni nel cinema, nella teologia, nella storia della lingua italiana e del Risorgimento. “Tutto è andato nel migliore dei modi e ora aspettiamo la conferma del Comune per il 2019 – afferma Donati –. Per la prima volta, abbiamo messo a disposizione di tutti degli mp3 con le lezioni, proponendo inoltre una maratona filosofica di quattro ore al faro di Cervia che ha fatto registrare un alto numero di presenze”. Per veicolare e sostenere le proprie attività, L’Agenda Filosofica si avvale della pagina Facebook con più di 100.000 like e di tutta una serie di gadget fra cui la shopper e le t-shirt, il taccuino e l’Agenda Filosofica 2019, presenti nel Kit filosofico e acquistabili sul sito www. agendafilosofica.it. “Guardando al futuro – conclude Donati –, vorremmo sviluppare alcuni dei progetti che già come assessore avevo promosso in passato e non solo: corsi di Philosophy set me free destinati alle aziende che vogliono costruire il team building, incontri filosofici sui temi più comuni quali felicità, lentezza, serenità, amicizia, sogno, letture e gruppi filosofici per condividere il sentire e sentirsi meglio”.
IN APERTURA, ALBERTO DONATI, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE L’AGENDA FILOSOFICA. A LATO, UNA SERATA DELL’EVENTO FILOSOFIA SOTTO LE STELLE.
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ELETTRICITÀ ELETTROPOMPE BENINI 50 ANNI DI INNOVAZIONE
NATA A CESENATICO NEL 1968, LA DITTA BENINI HA SAPUTO AFFRONTARE IL MERCATO SPINTA DA PASSIONE E VERSATILITÀ IN UN MERCATO IN CONTINUA EVOLUZIONE. Primo Benini e suo figlio Alex oggi sono l’anima e il motore dell’azienda di famiglia: l’inizio del nuovo millennio li vede protagonisti nel settore delle energie rinnovabili – oggi è rimasta una delle poche
aziende della zona di Cesenatico che ancora si occupa di fotovoltaico –, un’avventura iniziata nel 2008 quando l’azienda si avvicina a questo settore innovativo e in crescita dopo aver partecipato a corsi di formazione e aver conseguito le qualifiche idonee. Ma la storia della ditta parte da lontano, se oggi infatti si occupa di impianti fotovoltaici e sistemi di accumulo, sia civili che commerciali, la storia inizia nel 1968 quando Primo Benini e suo fratello Davide decidono di avviare un’attività imprenditoriale nel settore degli impianti elettrici. Allora la figura professionale di riferimento era quella dell’elettricista, un mestiere ancora legato al passato artigianale,
mentre i fratelli Benini – esprimendo fin dall’inizio quella attenzione all’innovazione che caratterizzerà tutta la loro carriera – sin dalla prima ora si occupano di impianti elettrici, civili e industriali. Nel corso del tempo hanno ampliato l’attività di base alle prime richieste di mercato, dimostrando grande versatilità e attenzione al cambiamento: agli impianti elettrici si sono aggiunti impianti antifurto, impianti di automazione per l’apertura di cancelli, citofonia e video-citofonia, impianti TV e impianti di trattamento e depurazione di acque primarie. Il 1989 è un anno di forti cambiamenti: la mucillagine si manifesta in modo devastante nei mari della riviera romagnola. Gli albergatori, per far fronte al calo di presenze estive, iniziano a costruire le piscine all’interno degli alberghi. I fratelli Benini colgono immediatamente l’opportunità e, per rispondere a questa crescente e repentina esigenza, iniziano a occuparsi anche di impianti di filtrazione per piscine e idromassaggio, installati direttamente sulle strutture in cemento degli alberghi, oltre che di fornitura di piscine in lamiera prefabbricata e vasche idromassaggio. Da allora
e ancora oggi l’azienda si occupa di piscine per numerosi Hotel della riviera e privati della zona, fornendo assistenza e manutenzione con prodotti chimici per il trattamento dell’acqua, accessori, e fornitura e riparazione di pulitori automatici. È nel 1994 che la ditta viene rilevata totalmente da Primo Benini, a cui si affianca il figlio Alex, formatosi grazie alla partecipazione a numerosi corsi e diventato installatore autorizzato di società primarie del settore. Si tratta di un ultimo importante passo che ha permesso di ampliare negli ultimi 25 anni il raggio d’azione dell’azienda a settori come impianti di allarme con tecnologia wireless, impianti TV-Sat digitale, aspirapolvere centralizzati, cablaggio di rete strutturato, gestione camere per alberghi, impianti di rivelazione incendio, sistemi nebbiogeni e sventa-furto. Quella di Benini è la storia di una passione e, soprattutto, della capacità di adeguarsi ai tempi di un mercato in continua evoluzione che premia sempre più la versatilità, oltre che la professionalità e la serietà. Tutte caratteristiche che Primo e Alex Benini continuano ancora a incarnare dopo 50 anni di storia.
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