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Dop Economy più forte della pandemia
Il virus spinge la Dop Economy, ma solo sugli scaffali. Nel primo semestre del 2020 l’emergenza sanitaria ha spinto i prodotti agroalimentari nella distribuzione moderna: le vendite hanno registrato un’accelerazione dell’8,3% a valore, comprendendo peso fisso e variabile, anche grazie alla chiusura dell’Horeca (hotel, ristoranti e bar). Nel solo peso fisso (i prodotti confezionati) il balzo è stato del +12 per cento. E in questo contesto il balzo di formaggi, carne e oli Evo è stato del 12-13 per cento. Il vino del +10 per cento.
Il Rapporto 2020 Ismea-Qualivita sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole Dop e Igp recita che i prodotti a Denominazione hanno confermato la capacità di attrarre l’attenzione del consumatore e di agire come un volàno nello sviluppo delle vendite. In realtà si sono aperte alcune crepe, ma che nel complesso non minano la solidità di un sistema che promuove il territorio italiano anche in una fase difficile come quella della pandemia.
I RICONOSCIMENTI PIÙ ELEVATI IN EUROPA
L’Italia è un grande giacimento di eccellenze agroalimentari: vanta 838 prodotti a indicazione geografica, di cui 526 nel vino e 312 nel cibo. Il secondo player, la Francia, ci segue con 692, e il terzo, la Spagna, con 260. Spacchettando il dato del primo semestre 2020 fornito dal Rapporto Ismea-Qualivita, la crescita delle vendite a peso fisso di Dop e Igp nella grande distribuzione (iper, super, liberi servizi e discount) è stata del +12% (+14,3% solo il cibo), ancora una volta con un trend decisamente più sostenuto di quello del totale agroalimentare sempre a peso fisso (+9,2%). Formaggi e prodotti a base di carne confezionati hanno messo a segno un balzo delle vendite molto consistente, rispettivamente +13,5% e +13,6% rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel complesso le vendite annuali di prodotti Dop e Igp nella grande distribuzione arrivano a 3 miliardi su 16,9 totali, ripartite in un paniere di prodotti: i formaggi valgono circa 2 miliardi, i prodotti a base di carne circa 900 milioni, frutta e ortaggi freschi si avvicinano a 100 milioni, la panetteria a 60 milioni e gli oli realizzano qua-
si 45 milioni. Sommando i vini, per 1,6 miliardi, si arriva a 4,6 miliardi. Sul totale i formaggi incidono per 42,3% e i vini per 34,5%: il valore dei primi due prodotti incide per il 75% del totale.
LA DISTRIBUZIONE MODERNA È DIVENTATO IL BALUARDO DELLE DOP
Anche prima del covd-19, il business del food a Denominazione protetta aveva dato buona prova di sé: nell’intero 2019 era cresciuto del 4,9%, portando il valore della produzione a 16,9 miliardi mentre nella grande distribuzione il balzo delle vendite era stato più moderato, il 2,9%. «Oggi i dati sono lusinghieri – osserva Mauro Rosati, direttore di Origin Italia, l’Associazione dei consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf – ricordo però che negli anni Duemila l’industria e la grande distribuzione si schierarono contro il sistema delle indicazioni geografiche. Solo in seguito compresero che potevano ottenere una maggiore remunerazione dal mercato. Tanto che sono nati brand del distributore giganteschi come Fior Fiore e Sapori e Dintorni. Oggi con la pandemia la distribuzione moderna è diventato il baluardo delle Dop e rappresenta tutto il bacino del food: non ci sono più ristoranti, bar e una serie di altri soggetti. Va bene quindi aggiornare il rapporto con i retailer, anche se non sono convinto che soltanto la grande distribuzione sia in grado di far funzionare Dop e Igp». Rosati pensa che il vero slancio possa arrivare soltanto dalla ristorazione. «Almeno nell’avvio – precisa -. Al ristorante s’innesca un momento formativo per i consumatori, come nel vino tanti anni fa. O ancora: l’aceto balsamico è nato nella ristorazione, ma la grande distribuzione ha amplificato il fenomeno e ne ha determinato il successo».
FRATTURE DA COVID
L’emergenza sanitaria ha aperto delle crepe nella vendita di prodotti Dop e Igp nel fuori casa. Nel 2020 i prodotti a indicazione geografica potrebbero aver perso vendite per almeno 3,4 miliardi. La pandemia ha dimostrato che i prodotti di maggiore qualità sono anche i più vulnerabili. L’Istituto di servizi per il mercato agroalimentare (Ismea) calcola che il business dei vini accuserà un calo di 1 miliardo nel canale Horeca. A questo andrà aggiunta una contrazione dell’export per circa 200 milioni e quasi 1,5 miliardi di fatturato riconducibile al circuito dell’enoturismo. Nel settore lattiero caseario la perdita potrebbe raggiungere i 230 milioni, con un rosso di circa 100 milioni dell’export. Per i salumi il calo è di 120 milioni, più 30 dell’export. Nelle carni fresche la contrazione è di 10 milioni, soprattutto per le difficoltà di collo-
camento di alcuni tagli pregiati. «Stimiamo che l’Aceto Balsamico di Modena Igp – commenta il direttore del Consorzio Federico Desimoni – perda fino al 10% del valore e il 5% dei volumi. Hanno sofferto, in particolare, il prodotto premium e i piccoli produttori, con cadute di volumi fino al 30-40%. La grande distribuzione ci ha dato una mano ma non abbastanza per compensare le perdite».
LE PREVISIONI SUL 2021
E con l’avvio del 2021? «Nonostante tutto le nostre imprese sono solide - risponde Desimoni - e non avendo esposizioni finanziarie rilevanti riusciranno ad andare avanti senza scossoni, sempre però che ci sia un ritorno alla normalità nel corso di quest’anno». Trend più pesante nel business del Prosciutto di Parma. Dal Consorzio riferiscono che il calo della domanda si è avvertito al banco taglio nella grande distribuzione e anche in seguito alla chiusura dell’Horeca. Trend solo in parte compensato dal +20% del prodotto in vaschetta che vale solo il 10% del totale. Durante la prima ondata, il calo aveva toccato punte del -30%/-35% con i produttori costretti a rallentare la produzione per i magazzini traboccanti di prodotto finito invenduto. All’estero persistono ancora oggi le difficoltà per alcuni Paesi, come gli Usa e i Paesi asiatici per la chiusura della ristorazione. Per il Prosciutto di Parma è indispensabile riavviare a pieno regime il canale Horeca, soprattutto nei Paesi oltreoceano dove il foodservice assorbe almeno il 60% delle vendite di Prosciutto di Parma e nei mercati asiatici arrivano fino all’80%. Il Consorzio prevede una contrazione complessiva delle vendite, a volume, nell’ordine del 10%-15%, anche se rimangono ancora da valutare gli effetti del lockdown europeo quasi totale durante le festività natalizie e l’andamento delle esportazioni.
GRANA E PARMIGIANO RASSICURANO I CONSUMATORI
Carenza di domanda e eccesso di produzione sono alla base del taglio triennale del 3% della produzione deciso dai Consorzi del Parmigiano reggiano e del Grana padano, prodotti di punta del made in Italy che, insieme, rappresentano oltre 3 miliardi di valore della produzione. Il Consorzio del Parmigiano ha disposto inol-
tre il ritiro dal mercato di 320 mila forme fino a marzo 2021 e il Grana padano di 120 mila forme. Nel 2020 la produzione di Parmigiano reggiano ha raggiunto il record storico di 3,53 milioni di forme (+5%) e, a fine anno, le quotazioni hanno riagguantato la doppia cifra. Anche sul fronte delle vendite non c’è stato il temuto crollo, grazie alle vendite massicce della grande distribuzione. Come interpretarlo? «Che il fuori casa e i ristoranti utilizzano molti formaggi similari, spacciandoli per Parmigiano reggiano - spiega il presidente del Consorzio Nicola Bertinelli –. Il fenomeno è stato evidente durante il primo lockdown, quando i consumatori hanno acquistato molto più Parmigiano reggiano nella grande distribuzione». Stesso film per il Grana padano. Il buco aperto dalla chiusura dell’Horeca è stato più che compensato dai retailer in Italia e all’estero, soprattutto nell’Unione europea. Da gennaio a novembre 2020, i consumi di Grana padano hanno fatto registrare un complessivo +3,7%. Nel retail l’Italia ha segnato un robusto +7,1%. «Il nostro prodotto al momento non è stato danneggiato dalla crisi perché è percepito dal consumatore come uno dei prodotti più rassicuranti - commenta Renato Zaghini, presidente del Consorzio tutela Grana padano -. Tuttavia, la crisi sanitaria da Covid-19 ha fortemente penalizzato
il segmento Horeca favorendo una forte contrazione dei consumi: le difficoltà dovute alla chiusura forzata dei ristoranti ci hanno costretto a rivedere i piani annuali di comunicazione e di prodotto. Il segmento retail ci ha consentito però di recuperare il gap dell’Horeca e di chiudere il 2020 con il segno positivo».
VOLÀNO DI CRESCITA
Nonostante la nota dolente della ristorazione nel 2020, per la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova «le Indicazioni geografiche sono uno straordinario vòlano di crescita e di manutenzione della qualità territoriale integrata, capace di influire sulle scelte di sviluppo. Un patrimonio rilevante del nostro Paese che va-
lorizza territori e imprese, qualità produttiva, sostenibilità ambientale, salvaguardia del paesaggio, incremento dell’occupazione e sviluppo economico. Per le nostre prime dieci Dop registriamo un tasso di esportazioni importanti, ma dobbiamo ampliare questo elenco e rafforzare le altre produzioni di qualità riconosciuta». Poi Bellanova termina ricordando la piaga delle imitazioni, l’Italian sounding: «Lavoreremo insieme sul Patto per l’export, dove abbiamo preteso impegni chiari contro l’Italian sounding. Le nostre eccellenze sono troppo spesso vittima di imitazione e di furto di identità all’estero, una delle migliori risposte è la nostra presenza sul mercato». Raffaele Borriello, direttore generale di Ismea, si sofferma invece sulle difficoltà emerse con l’emergenza sanitaria. «Con la pandemia sono emerse delle falle nel funzionamento delle grandi catene del valore che hanno coinvolto anche le produzioni a indicazione geografica – ammette Borriello -. In questo contesto di crisi, l’obiettivo è cercare un nuovo equilibrio nella consapevolezza che si giocherà tutto su resilienza aziendale e produttiva; sostenibilità ambientale, cibo sano e di qualità e sicurezza alimentare. Le Dop e Igp giocheranno quindi in casa, rafforzando, da un lato la reputazione di qualità e, dall’altro, il ruolo guida dei Consorzi di tutela». «Nel comparto delle Dop-Igp – aggiunge Rosati - sono stati i piccoli produttori a subire il contraccolpo più acuto della crisi sanitaria. E’ quindi emersa la necessità di rafforzare un sistema composto da molte realtà che, seppur piccole, rappresentano un valore inestimabile per i nostri territori».
LA PARTITA DEL NUTRISCORE
Gli addetti ai lavori ritengono che una volta superata l’emergenza sanitaria tutto possa tornare come prima. Ma sui prodotti italiani a indicazione geografica si allunga l’ombra del Nutriscore, il sistema di etichettatura a colori lanciato dai francesi che mediante una serie di semafori ottici segnala gli eccessi di zucchero, grassi e sale negli alimenti. Una minaccia inaccettabile per il made in Italy: nei supermercati le confezioni di Parmigiano reggiano, Grana padano, Prosciutto di Parma e di olio
extra vergine di oliva e di tanti altri prodotti verrebbero segnalati con un semaforo rosso, cioè come prodotto non salutare. Mentre, paradossalmente, una Coca-Cola Light avrebbe luce verde. «La minaccia è grave – ammette Borriello – ma, la ministra Bellanova al tavolo europeo ha rigettato completamente il documento. Il sistema delle Igp deve uscire dal Nutriscore. Perché le caratteristiche delle Dop-Igp non consentono la valutazione all’interno di questo sistema». L’Italia però è isolata dai grandi Paesi europei. Ha contro pesi massimi come Francia, Germania e Spagna. Noi abbiamo la solidarietà di pesi piuma come la Grecia e la Repubblica Ceca. Che fare? «La questione si gestirà all’interno di un quadro più complesso a livello europeo – replica Borriello –. Noi dobbiamo continuare a sostenere l’esclusione dei prodotti Dop-Igp dal Nutriscore». Per Rosati «la Ue fa grande confusione su questo tema. Intanto è sbagliato l’approccio: la quantità fissa, i 100 grammi, non si addice all’alimentazione. Per esempio, i 100 cl per l’aceto balsamico non hanno senso, non tiene conto dell’utilizzo e l’approccio scientifico è del tutto sbagliato. Alla fine però rischia di penalizzare tutta la dieta mediterranea che comprende anche la Francia». Infine, in Italia forse ci sono troppe Dop? Su 312 denominazioni del cibo, nel 2019 le prime 15 si sono ritagliate un valore alla produzione di 6,6 miliardi su 7,7 complessivi. Significa che le altre 297 hanno segnato un valore medio unitario di 3,7 milioni. «Non è una questione di dimensione economica – contesta Rosati -. Il cappero di Pantelleria non potrà mai fatturare 20 o 100 milioni, ma consentirà a 20 operatori di vendere il prodotto in 7 ristoranti di New York. Inoltre, andiamo incontro alla strategia europea Farm to fork and biodiversity che premierà le imprese e i territori che lavoreranno sulla diversa identità. Per esempio gli oli, ce ne sono tanti di Igp e Dop: in Toscana va bene un Igp che serve per fare qualità ed esportare, ma vanno bene anche le sottozone Dop che consentono di mantenere in areali vocati delle cultivar che altrimenti andrebbero perse. Qui rispondiamo a un obiettivo diverso: facciamo una qualità più elevata per mantenere un presidio di biodiversità importante». n