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Real estate
Landlords e Tenants: un nuovo patto
La crisi sanitaria del Covid-19, con i conseguenti provvedimenti restrittivi alla circolazione delle persone e le chiusure forzate degli esercizi, ha messo in ginocchio un intero comparto.
Nel 2020 il settore del Commercio ha fatto registrare spaventose contrazioni di fatturato in tutta la nazione con poche e significative eccezioni, su tutte il settore alimentare e il commercio elettronico. Fra i format a essere stati più danneggiati troviamo le strutture aggregate, fra cui i centri commerciali, i parchi, outlet ecc., dove più stringenti sono stati i provvedimenti restrittivi. Ed è su queste che vogliamo rivolgere l’attenzione. La situazione accennata ha messo in seria difficoltà una relazione cardine di tutta la filiera del real estate commerciale, quella fra proprietario e affittuario. Il primo ha registrato un crollo degli introiti da affitti e una crescente massa di insoluti, e il secondo, dal canto suo, ha subito in molti casi un azzeramento delle vendite (e, quindi, degli incassi). Una “guerra fra poveri”, si direbbe, se non fosse che il settore sia uno fra quelli più redditizi del mercato immobiliare, maggiormente in passato, per la verità. Il perdurare di una tale condizione rischia di diventare patologico e avere conseguenze permanenti sull’asset sottostante, il cui valore – notoriamente – è funzione della sua capacità di produrre reddito certo e stabile.
Una tempesta che ci offre occasione per una riflessione di medio periodo. Valutare il punto vendita dalla sola capacità di vendere quel dato bene o servizio ivi presente o fornito, abbiamo visto, è stato fortemente messo in crisi da limitazioni e chiusure. Rimedi quali ristori, periodi di gratuità o canoni soltanto come percentuale del fatturato sono insufficienti e solo temporanei. Occorre pertanto cambiare paradigma: lo spazio di esercizio non può più essere considerato solo come un punto di vendita fisico - come nei fatti già non è -, ma va posta l’attenzione su tutte le attività che in tale luogo e attraverso di esso possono essere svolte. Vien facile pensare all’utilizzo del punto vendita come pickup point per la consegna di prodotti acquistati da negozi online, anche di terzi come già avviene per alcuni marchi, ovvero come spazio in cui fornire servizi connessi alla vendita anche se conclusa altrove, fino ad arrivare a pensare il luogo anche come il magazzino
in cui viene stoccata la merce non necessariamente correlata alla vendita in loco o, ancora, partecipare al market place comune. Un luogo ubicato in una struttura composita che è più della somma delle sue componenti.
L’insieme di questi aspetti, modulato per tipologia, dovranno portare a un nuovo corpo contrattuale, un rapporto che origina da una maggiore compenetrazione degli interessi che, come accaduto nel caso della pandemia, possono ricevere forti condizionamenti per cause indipendenti la volontà dell’operatore economico. Eliminare anacronistiche limitazioni merceologiche superate dalla normativa di settore ovvero abbandonare logiche di esclusiva spesso inattuabile data la polverizzazione delle strutture, sono alcuni esempi. Ancora, prevedere canoni di affitto compositi come sommatoria di parti fisse e variabili; le prime che crescono o diminuiscono in maniera prefissata al verificarsi di dati eventi, le seconde che possono crescere o diminuire anche in modo proporzionale o per scaglioni di fatturato sviluppato o, infine, abbinare clausole di fuoriuscita al verificarsi o meno di tali eventi.
Continuare ad arroccare le proprie posizioni su contrapposti centri di interesse, senza comprendere che il futuro va sempre più verso forme dinamiche di commercio che comportano una profonda collaborazione fra gli attori, tradisce una visione miope che oramai sempre meno possono permettersi di avere. Serva il 2021 quale momento per ridiscutere gli accordi, con l’obiettivo di trovare un nuovo equilibrio nel rapporto, prima che nei numeri.n
Alberto Deiana
project management and Real Estate Executive, Mi.No.Ter.
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