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I retailer fisici stanno accompagnando lo sviluppo del commercio online in varie forme e, secondo le stime elaborate dal Politecnico di Milano, dopo un 2020 in cui la spesa online degli italiani in food & grocery ha raggiunto i 2,9 miliardi di euro con una crescita dell’84%, per il 2021 è atteso un ulteriore balzo del comparto.

Food & grocery avanti tutta. Oggi l’incidenza del commercio elettronico è modesta, si ferma sulla soglia del 2% delle vendite complessive, ma le prospettive indicano una crescita a doppia cifra per diversi anni. Tutto sta a capire, mettendo da parte l’enfasi, quale incidenza raggiungerà alla fine del processo d’espansione e, soprattutto, se sarà anche sostenibile dal punto di vista economico. Per questo è fondamentale mettere a punto un modello di business efficiente. Oggi i retailer fisici stanno accompagnando lo sviluppo del commercio online in varie forme, anche per evitare che Amazon e i pure player ci mettano il cappello. Ma, sostanzialmente, lo considerano destabilizzante rispetto alle certezze acquisite nei decenni perché nel grocery potrebbe erodere un pezzo di business importante. Il futuro è incerto ma colpisce che molti investitori finanziari ripongano tanta fiducia nelle start up. Come Gorillas, nata 18 mesi fa e finanziata con un round da 245 milioni di euro, è ora attiva in 8 Paesi europei, tra cui l’Italia con 3 città, con un costo fisso di consegna di 1,80 euro. Promettono di consegnare in 10 minuti tramite biker. Secondo le stime elaborate dall’Osservatorio e-commerce B2c Netcomm - School of Management del Politecnico di Milano, dopo un 2020 in cui la spesa online degli italiani in food & grocery ha raggiunto i 2,9 miliardi di euro con una crescita dell’84%, per il 2021 è atteso un ulteriore balzo del comparto. Gli acquisti online supereranno, infatti, i 4 mi-

liardi di euro, +38% rispetto al 2020, trainati soprattutto dalla componente alimentare, +40%. La maggior parte delle vendite, il 70%, è generata da supermercati tradizionali, per esempio Esselunga, Conad, Coop e Selex con la consegna a domicilio o il click & collect. Il restante 30% del mercato è costituito da società e aggregatori online specializzati nella spesa a domicilio: Amazon Prime Now, Supermercato24, Gorillas.

CADONO LE BARRIERE

Spacchettando i segmenti di mercato dell’alimentare emerge una crescita a tassi differenti. Quest’anno i prodotti da supermercato crescono del +39% e sfiorano gli 1,4 miliardi di euro. Alla caduta delle barriere all’acquisto da parte dei consumatori, si accompagnano un incremento delle iniziative online su tutto il territorio italiano e un potenziamento dell’infrastruttura logistica, della capacità di consegna e delle modalità di ritiro della spesa. Anche l’industria di marca è in movimento sull’e-commerce. Da un’analisi su 75 aziende e 360 marchi, l’Osservatorio ecommerce del Politecnico rileva che il 63% delle imprese e il 44% dei brand sono attivi online, in crescita sull’anno precedente. Il 40% delle aziende ha un sito proprio, il 13% si appoggia a una piattaforma e-commerce di un altro operatore e il 43% è presente in un marketplace. «Vi è – commenta Simone Frater-

nali, senior advisor Osservatorio e-commerce del Politecni-

co - un’attenzione crescente dell’industria di marca al canale direct to consumer per la disintermediazione e il contatto diretto con il consumatore finale. Tra le modalità, accanto al presidio crescente dei marketplace, chi ha un sito proprio lo attiva per porzioni di gamma di nicchia o di alta qualità, secondo una logica enogastronomica, o per iniziativa speciali come i box, le edizioni imitate, la personalizzazione». Il food delivery (la consegna dei piatti pronti a domicilio), superate le difficoltà di inizio 2020 dovute alla chiusura dei ristoranti nel primo lockdown, nel 2021 continua a crescere con un ritmo sostenuto, +56%, e supera gli 1,4 miliardi di euro. A spiegare lo sviluppo del comparto è principalmente l’ampliamento dell’offerta, sia in termini di nuovi ristoranti che attivano in modo diretto o intermediato l’e-commerce, sia in termini di maggior copertura territoriale del servizio verso i comuni più piccoli. Infine, l’enogastronomia (i prodotti alimentari di nicchia) registra un aumento del +17% e raggiunge i 750 milioni di euro. Le restrizioni legate alla pandemia, di fatto, hanno

NOVITA

In cantiere un progetto scientifico per l’e-commerce

«Il processo è molto più lento di quanto qualcuno preconizzi, cioè che nel giro di qualche anno l’e-commerce riesca a ritagliarsi una quota significativa del mercato»: Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di VéGé (nel 2020 fatturato al consumo 11,28 miliardi di euro), frena ogni fuga in avanti e riporta il tema dello sviluppo del commercio elettronico sul terreno del realismo. «E’ vero – aggiunge il top manager – che la crescita dell’e-commerce marcia velocemente, anche del 70-100%, ma il montante è piccolo. Perché, se si vede bene, questo rappresenta appena l’1,9% del totale».

Dopo il boom del 2020, prevede un ritracciamento per l’online? Credo cresca ancora in futuro, anche se, dopo la scorpacciata del 2020, c’è stato un ritorno al piacere di fare la spesa fisica. Una sorta di ripensamento, soprattutto nel fresco e freschissimo. Però, qua dobbiamo capirci… Dica pure E-commerce non significa nulla. Più che una crescita dell’e-commerce oggi vedo soltanto una moltiplicazione dei touchpoint che potrebbe far diminuire le vendite fisiche: il cliente infatti si sta abituando - a seconda del prodotto, del tempo a disposizione o dell’esperienza che vuole vivere - ad altre forme di vendita. VéGé come affronta il tema dell’e-commerce? In modo scientifico. Abbiamo condotto uno studio approfonditissimo a livello di via che indica: 1) i luoghi migliori per aprire i dark store se vuoi fare e-commerce con un delivery; 2) dove collocare i locker avendo un bacino di utenza adeguato; 3) dove poter fare delivery tramite rider, Gorillas o Everli. È vitale per VéGé arrivarci in tempi brevi? Non lo sarebbe perché VéGé ha il 97% delle vendite nel fisico. Tuttavia sto approfondendo gli studi su come ottimizzare l’area del non fisico - che poi si può chiamare click & collect, home delivery, locker - perché so bene che devo preparare l’offerta per una domanda che sta nascendo. E che ha contorni particolari perché, ovviamente, siamo lontanissimi dal pensare che riceveremo ordini per l’astice blu o la burrata. E nemmeno che Amazon vi possa fare fronte. Perché non si è ancora individuato un modello di e-commerce remunerativo? Perché l’approccio ricorrente degli operatori è l’improvvisazione: “Faccio anch’io l’e-commerce”. Che non vuol dire nulla. Per questo sto conducendo studi che serviranno a ottimizzare il ritorno sugli investimenti dei nostri imprenditori. Per fare e-commerce devi avere la certezza che in quel Cap ci sia la domanda e devi essere in grado di poter piegare il tuo competitor. Fino a quando non si renderà scientifico tutto ciò che non è fisico, compreso l’e-commerce, si continuerà a perdere. Oggi le imprese perdono, ma sperimentano sul campo. Pian pianino si sta affinando l’offerta, cercando di perdere il meno possibile: questo spiega perché molti imprenditori, compresi i nostri, stiano lanciando continuamente nuovi Cap nell’e-commerce. E il conto economico? Lo conosce solo chi lo realizza. Mi spiego meglio: oggi se il dark store lo metti a conto economico nel punto fisico ti cambia il break even. In altre parole, se hai 2.500 mq di superficie e 500 mq li destini al dark store per l’e-commerce, dovresti attribuire l’affitto dei 500 mq al progetto e-commerce, ma se lo carichi sul negozio fisico puoi andare a break even subito. Una comoda scorciatoia. Tuttavia, se fossi un imprenditore, non mollerei: il cliente si sta abituando e tu devi affinare il modello di e-commerce. Concludo sottolineando che anche il modello Gorillas è in perdita. Il break even andrà raggiunto anche con l’aumento del prezzo della merce consegnata? Non credo, sono convinto che il break even si debba raggiungere con la crescita del transato. E.S.

favorito nel food & grocery un processo di sviluppo dell’e-commerce b2c. La pandemia ha quindi aiutato a gettare le fondamenta per lo sviluppo digitale del settore, spronando l’offerta verso importanti investimenti dedicati all’e-commerce b2c e aiutando i consumatori nel loro processo di educazione digitale. Secondo l’Osservatorio del Politecnico, si tratta di elementi permanenti che porteranno l’e-commerce a non risultare più marginale nel food & grocery e a raggiungere tassi di penetrazione sul totale acquisti retail in linea con quelli registrati nei principali mercati occidentali, sarebbe a dire tra il 4 e l’8% delle vendite complessive.

DA ESSELUNGA A COOP

In Italia il retailer tradizionale più forte nell’e-commerce è presumibilmente Esselunga, seguita da Conad e Coop. I numeri di Esselunga non sono riportati nei bilanci, ma nel marzo 2020, in pieno lockdown, l’ex amministratore delegato Sami Kahale dichiarò alla stampa che l’e-commerce di «Esselunga era pari al 4% ma con le richieste ricevute in queste settimane ci porterebbero sopra al 20% del totale, cinque volte il livello attuale». Quindi nel 2019 il fatturato online del retailer lombardo era di 320 milioni. Quale l’incremento nel 2020? Nel bilancio d’esercizio il dato non è riportato. Si scrive soltanto che “il business dell’e-commerce con il suo servizio di consegna a domicilio è affidato alla direzione logistica che si occupa di organizzare e ottimizzare i trasporti su gomma ormai quasi del tutto esternalizzati”. E inoltre che l’incremento del costo dei trasporti “è in linea con l’incremento

dei volumi e del fatturato dell’e-commerce”. Nell’esercizio i costi generali di trasporto sono cresciuti del 32%, quindi si può azzardare che il giro d’affari dell’ecommerce sia aumentato nel 2020 di 102 milioni a 422 milioni totali. Qualcosa in più del 5% d’incidenza su un giro d’affari complessivo di 8,3 miliardi. In casa Conad l’incidenza dell’ecommerce è minore. I dettaglianti hanno dichiarato di aver raggiunto nel 2020 oltre 200 milioni (con gestione economica negativa), appena l’1,2% dei circa 16 miliardi di giro d’affari. Tuttavia segnalano che nel 2020 c’è stata “una forte accelerazione sul fronte della digitalizzazione. In particolare Conad ha lavorato per finalizzare un grande progetto di digitalizzazione dell’insegna che porterà al ridisegno del canale e-commerce attraverso un approccio di omnicanalità, intesa come integrazione circolare tra punto di vendita fisico e punti di contatto digitali. Una sorta di osmosi tra mondo on-line e negozi, in cui viene mantenuta molto alta l’attenzione verso una personalizzazione dell’offerta, declinata sui bisogni e sulle esigenze della clientela”. La portata del progetto Conad la scopriremo probabilmente molto presto. Nella galassia Coop non sono noti dati aggregati sul commercio elettronico. La cooperativa più grande, Coop Alleanza 3.0, scrive soltanto che nel 2016 è stata costituita Digitail srl, insieme ad altri partner con esperienze in abito digitale. L’attività ha preso avvio a novembre 2016 con le consegne da parte del primo dark store a Roma; a luglio 2017 è iniziato il servizio con l’apertura del secondo dark store a Castelmaggiore (Bologna) e nell’area del Veneto con l’avvio del terzo dark store a Padova. Nel 2020 le

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L’e-commerce si mangia quasi tutto il margine. Aumentare i prezzi

Tanti player della grande distribuzione interpretano un modello di e-commerce diverso e solo alla fine si capirà qual è quello vincente, nonostante il business sia in perdita strutturale: Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Decò Italia, è convinto che il commercio online sia destinato a un grande sviluppo in Italia, anche se i negozi fisici dispongono di strumenti adeguati per contrastarne il passo. Decò Italia è la centrale d’acquisto della marca privata creata da Multicedi e Gruppo Arena, attive in Campania e Sicilia (Gruppo VéGé) con oltre 700 punti vendita. «Ho appena incontrato il ceo di Gorillas – esordisce Gasbarrino, ex ceo di Unes per 14 anni – e ne sono uscito con una sensazione spiacevole: mentre noi ci chiediamo se le referenze debbano essere 5 o 6mila, tutti microdettagli, loro si focalizzano su come semplificare e rendere facile la spesa al cliente, come intercettarne i bisogni. La spesa implica comunque di investire 2 ore, dalla programmazione della lista al resto, mentre l’online in 10 minuti risolve il problema. E questo vale anche per chi abita sopra un supermercato e non abbia voglia di scendere». Quale modello competitivo vede in Italia? Ho l’impressione che l’online ripercorra l’arrivo in Italia dei discount: tutti si improvvisarono discounter, ma in modi diversi. Poi scattò la selezione naturale e quando l’evoluzione sembrava essersi fermata, a distanza di 10 anni, sono tornati quegli operatori che l’avevano scelto come modello di business. Performando. Oggi l’e-commerce ha vari interpreti: Esselunga, Cortilia, Gorillas… ciascuno con il suo modello. Vedremo chi rimarrà con il modello vincente. Qual è l’evoluzione prossima del fisico? In futuro ci saranno meno negozi, perché una parte delle merci ti arriverà a casa (ma cosa ti arriverà?), saranno più piccoli per lo stesso motivo e, per attrarre, dovranno essere più esperienziali, più ibridi e curare di più le persone che dovranno attrarre. Conad dichiara 200 milioni di giro d’affari online, ma sostiene di essere in perdita. Cosa non funziona? E’ probabile che sia in perdita: il modello è in perdita strutturale per tutti. Abbiamo uno come Amazon che ci costringe a fare questo e noi abbastanza stupidamente ci siamo entrati. Si regge l’onere dell’online perché guadagniamo nel retail tradizionale e l’online pesa soltanto per il 2-3%. Oggi neanche Nembo Kid sarebbe capace di guadagnarci. Ma in futuro sarà diverso. Come raggiungere l’equilibrio di bilancio? In futuro la merce che arriverà a casa dovrà costare necessariamente di più. Mi spiego: oggi il margine del retailer tradizionale è del 30-32% e alla fine, se sono bravi come Esselunga, gli rimane attaccato il 3-4% di utile netto. Ma tra picking e consegna della merce a casa del cliente i costi si mangiano fra il 24 e il 30% del margine. Chi può permettersi di togliere 25 punti da un business? Quindi una leva è aumentare i prezzi? Soprattutto come aumentarli senza dare nell’occhio. Ma non sarà facile perché la Gdo attua una strategia che è contraria al buon senso. Un esempio? Oggi Amazon fa dumping e ti abbona a Prime con 36 euro l’anno, negli Usa arriva addirittura a 99 dollari. La Gdo invece vende il panettone sottocosto a Natale e l’agnello a Pasqua. I petrolieri invece nel picco di stagione, in agosto, aumentano i prezzi alla pompa e per scoraggiare la benzina servita ritoccano i prezzi di 30-40 centesimi a litro rispetto al self service. Però per la Gdo panettone e agnello sono prodotti civetta. Allora vado avanti: in un banco servito un prosciutto di 30 mesi costa non più di 36 euro al kg, mentre una vaschetta di prosciutto arriva a 60-70 euro. Sul retailer grava anche il costo dell’addetto al taglio e alla fine il conto economico del banco servito non mi ripaga neanche l’addetto. Pertanto incentivo il consumo al banco che mi fa perdere. Quindi sono i retailer che si fanno una concorrenza suicida, contrariamente ai petrolieri che si sono inventati anche le 7 Sorelle. Di queste suggestioni sull’online c’è qualcosa da recepire in Multicedi e Arena? Il compito che mi sono dato in Decò è quello di sviluppare la marca privata. In futuro il negozio fisico per salvarsi dovrà puntare sulla marca privata e sul freschissimo. La marca privata è strategica se è di spessore, non la mainstream che hanno tutti. La marca privata serve anche a fidelizzare: se ci si abitua poi la si cerca mentre i brand industriali li hanno tutti. I negozi del futuro dovranno inoltre essere omnichannel e il vicinato sarà un elemento di forza crescente anche domani. Quindi la marca privata è un’arma concorrenziale anche contro l’e-commerce? Certo. Il supermercato del futuro va costruito con la marca privata al centro e i brand intorno. Il contrario di come si faceva anni fa: al centro Barilla, Dash e Dixan e intorno i follower e la marca privata. Probabilmente oggi e domani la Nutella dovrai averla sempre, ma non so se la Piadella Barilla sarà indispensabile. Semplificando? Barilla all’inizio le piadelle le produceva all’esterno, quando è diventato un business ha costruito la fabbrica. Io, certo, opero al Sud con un dettaglio più tradizionale e dove la marca è più forte, ma non perché il consumatore non sia pronto. Comunque l’evoluzione arriverà anche nel Mezzogiorno. Quindi la marca privata sarà un salvagente? Senza dubbio. Le marche leader negli ultimi 15 anni sono scivolate dal 27% al 14,9%. Mentre la private label è passata dal 15 al 30%, comprendendo i discount. Se ci aggrappiamo alle marche leader ci ritroviamo in strada.

vendite di Easy Coop sono aumentate dell’84% rispetto al 2019, anche per l’emergenza sanitaria. Nel 2021 le vendite continuano la loro corsa, con un +55% nel primo trimestre.

IL CASO UNICOMM

Crescita a due cifre a parte, lo sviluppo dell’e-commerce è legata alla sostenibilità economica sia da parte dei retailer fisici che delle web company. Oggi molti player fisici perdono risorse nelle vendite online «ma ci sono modelli di click & collect dove non si perde – afferma Giancarlo Paola, amministratore delegato di Gmf e direttore commerciale del gruppo veneto Unicomm -. Attualmente abbiamo 25 negozi attivi nell’online che si appoggiano alla piattaforma multinsegne di Selex Cosi Comodo: il cliente sceglie la sua insegna, pone il suo Cap e ordina. I costi centrali della piattaforma sono in comune su Selex mentre a livello locale abbiamo soltanto un presidio operativo per caricare offerte e aggiornare gli assortimenti». Questo modello sta funzionando nonostante ci siano livelli di utilizzo molto differenti tra i diversi punti vendita. «Abbiamo dei negozi con un’incidenza dell’online dell’11-12% e altri con il 2% – sottolinea Paola –. La differenza la fa la location: quelle su strade di grande traffico hanno le performance migliori. Inoltre abbiamo una gestione snella: gli addetti già presenti in negozio ricevono l’ordine e provvedono alla preparazione della spesa. Senza spese aggiuntive». Diverso il caso delle aziende autonome che hanno costi fissi per la piattaforma e la gestione, con un punto di pareggio più alto. L’ordine con consegna a casa del cliente, pesa per il 30% sugli ordini totali online di Unicomm. «Il fatto di vivere in provincia con distanze ridotte – spiega il top manager – induce i consumatori a preferire il click & collect anziché il delivery: si evita di aspettare a casa la consegna. Mentre nelle grandi città è il contrario, ma lì lo stile di vita è diverso».n

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