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Collana diretta da Alessandro Baldassari e Mariagiulia Burresi

“In tutte queste cose che si hanno da fare devesi avere per scopo la solidità, l’utilità, e la bellezza.” (Marco Vitruvio Pollione, De Architectura, liber I, 2)

Prossimi volumi: La chiesa di San Frediano a Pisa Le Logge di Banchi La chiesa di San Casciano a Settimo Palazzo Poschi in Pisa La chiesa di Sant’Andrea Forisportam a Pisa

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Il Palazzo Quarantotti a Pisa: studi e restauri a cura di

Alessandro Baldassari

Il Palazzo Quarantotti a Pisa: studi e restauri

La collana, inaugurata dal testo sul Palazzo Quarantotti, vuole presentare recenti recuperi di edifici storici pisani che - nel capoluogo e nel territorio - abbiano realizzato, oltre al restauro, inedite attività conoscitive (rilievi, documentazioni fotografiche, ricerche storiche e archivistiche…) e progetti di riuso o di valorizzazione. Dimore storiche, edifici ecclesiastici, edifici pubblici troveranno perciò, attraverso i volumi della collana, nuova vita con la possibilità di arricchire il patrimonio delle conoscenze del territorio, come ulteriore intervento di valorizzazione di se stessi e del contesto in cui si collocano, secondo le linee ideali tracciate dall’assunto vitruviano che richiama l’inscindibile rapporto, in architettura, tra Utilità e Bellezza.

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UTILITÀ E BELLEZZA UTILITAS ET VENUSTAS

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1 Collana diretta da Alessandro Baldassari e Mariagiulia Burresi

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Alessandro Baldassari

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progetto grafico: Andrea Rosellini Š Copyright 2011 EDIZIONI ETS piazza A. Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione PDE isbn 978-884673084-8

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Indice Prefazione....................................................................................................................................... 7 suor Antonia Dei

“Nihil sine sole�............................................................................................................................9 Silvia Nannipieri

Frammenti di decorazioni medievali............................................................................ 35 Mariagiulia Burresi

La decorazione settecentesca.......................................................................................... 45 Benedetta Moreschini

Il busto di Lucrezia................................................................................................................... 55 Mariagiulia Burresi

Il restauro del Palazzo........................................................................................................... 59 Alessandro Baldassari

Consolidamenti strutturali nel Palazzo Quarantotti..........................................123 Mauro Sassu

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Prefazione suor Antonia Dei

La storia del Palazzo Quarantotti, condotta con un’indagine minuziosa e approfondita, è la testimonianza di come si possa leggere questo importante documento che nel tempo ha avuto varie trasformazioni strutturali e artistiche per capire il senso delle vicende storico-sociali e culturali che hanno caratterizzato almeno un po’ l’intera città e in particolare il centro di Pisa. Dentro queste pagine è contenuta una lunga, inesprimibile “fatica” della quale l’autore-restauratore ci offre gli ottimi risultati affinché insieme a lui ne godano tutti coloro che possono apprezzarne il valore. Il respiro si fa largo quando si scopre la passione e la grande competenza che ha sorretto il lavoro di restauro, e la meraviglia si fa strada passo dopo passo perché il palazzo “parla da solo” racconta come si può dentro un’opera d’arte crearne un’altra: la fusione tra antico e moderno. Qui è davvero un canto all’eleganza e all’armonia! Il palazzo – come afferma lo stesso autore – si presenta, oggi, in tutte le sue stratificazioni, come uno dei più importanti edifici del centro e merita davvero un riconoscimento speciale l’architetto Alessandro Baldassari che non solo ha curato per anni con minuziosità anche i dettagli più piccoli, ma ha arricchito in modo inconfutabile il lavoro di ricerca anche con una documentazione storica e fotografica pregevole. Riconoscenti e commosse le Suore della Congregazione Santa Marta vogliono cantare la bontà e la grandezza del Creatore che a volte affida alle sue creature il compito di rendere più attraente un angolo del suo mondo attraverso il recupero di quei “segni” che esaltano la bellezza di un’arte che neppure l’usura del tempo può distruggere.

In questa storia si colloca la presenza delle Suore di Santa Marta che risale al lontano 1915 da quando il Cardinale di Pisa Pietro Maffi le invitò con l’incarico di occuparsi della tipografia dove veniva stampato il settimanale cattolico della Diocesi diventando indirettamente aiuto per la comunicazione e animazione evangelica. Venuto meno questo servizio per il superamento di una tipografia “vecchio stampo” si è ulteriormente sviluppato il pensionato universitario già esistente dal dopoguerra. Il fatto che queste universitarie trascorrano gran parte dell’anno in questa struttura dove ogni restauro parla loro di arte e di cultura, ci conforta molto. È l’ambiente adatto per loro perché hanno la possibilità di integrare con la preparazione professionale, la loro formazione umana apprezzando la bellezza e l’armonia di tutto ciò che le circonda. Il Palazzo Quarantotti è ormai un monumento nazionale che custodisce tesori d’arte ai quali possono accedere vari gruppi di visitatori e turisti: le visite sono regolate da una convenzione stipulata tra la Congregazione delle Suore di Santa Marta e il Ministero dei Beni Culturali. Questa è un’ulteriore nota di merito che va attribuita all’egregio architetto Alessandro Baldassari al quale nuovamente esprimo un grande apprezzamento per la competenza e la passione con cui è riuscito a seguire personalmente e quotidianamente l’opera di questo grande, impegnativo restauro. A lui e a tutti coloro che hanno contribuito a realizzare una tale “opera d’arte” va tutta la gratitudine della Congregazione delle Suore di Santa Marta e mia in particolare.

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“Nihil sine sole” Silvia Nannipieri La storia di un palazzo si intreccia inevitabilmente con quella di chi l’ha voluto, abitato, modificato, posseduto o perduto nel tempo. Ricostruire la storia del Palazzo Quarantotti significa anche ripercorrere la vita di almeno tre grandi famiglie che in tempi diversi e successivi, nell’arco di due secoli, lo possedettero: i Carnesecchi (dal 1601 al 1632), i Celati (dal 1632 al 1660) e, appunto, i Quarantotti (dal 1660 al 1794). 1.

La famiglia Quarantotti approda a Pisa

La famiglia Quarantotti, pur vantando ascendenze fiorentine, proveniva da Montecatini dove nel XV secolo possedeva case e terreni. Nei primi anni del ’500 due fratelli, figli di un Bartolomeo Quarantotti, si misero in evidenza, l’uno, Giovanni Battista, a Firenze e l’altro, Marcantonio, a Pisa.

Marcantonio di Bartolomeo (1485-1569) sposò Francesca Nozzolini intorno al 1527. Probabilmente era alle sue seconde nozze, trovandosi annotata nel Libro di Ricordi1 del figlio Camillo (fig. 1) una prima sorella di nome Camilla definita “sorella carnale da parte di padre”, nata e morta il 14 dicembre 1525. Possiamo pensare che l’apparentamento con la famiglia Nozzolini sia avvenuto in Pisa, città in cui quest’ultima risiedeva già dal XV secolo e di cui Marcantonio divenne “cittadino” ufficialmente dal 1532.2 Lo stabilirsi in città di famiglie provenienti dall’area fiorentina rientra in un fenomeno più ampio di rivitalizzazione e ripopolamento promosso e sostenuto dal governo mediceo. Dallo stesso Libriccino di Ricordi e conti di Camillo abbiamo notizia di molti altri figli di Marcantonio e Francesca, probabilmente nati tutti a Pisa nonostante le date siano fornite in stile fiorentino.3

Marcantonio fu medico condotto, ebbe l’affidamento di cure mediche per molti conventi maschili e femminili della città4 nonché l’incarico di assistere le ciurme delle Galere pisane. Dall’Università di Cosimo I ebbe anche l’incarico di Lettore di Medicina e Filosofia. Anche gli esponenti delle famiglie che frequentava e i suoi stessi figli Camillo e Clemente erano al contempo medici, filosofi, alchimisti e poeti secondo il cliché degli intellettuali rinascimentali. Il 10 gennaio 1565, probabilmente a seguito della morte della moglie, acquistò una sepoltura nella chiesa di Santa Caterina dei Padri Domenicani. La sepoltura, che segnava un’altra tappa nel raggiunto prestigio della famiglia, era per sé e per i suoi eredi e successori. Originariamente si trovava “in chiesa vicina alla cappella di S. Jacopo posta in mezzo a dua altre sepolture, una de’ Landi, a mano manca, ha dua scudi, in

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Albero genealogico della famiglia Quarantotti Ser BARTOLOMMEO Rientra da Montecatini in Firenze ove svolge attività di notaio dal 1492 al 1529 Sposa Monna Magdalena GIO BATTA dottore in Legge utriusque cittadino fiorentino dal 1539

MARCANTONIO (1485) Medico e Lettore all’Università di Pisa cittadino pisano dal 1532 Sposa Francesca Nozzolini

CLEMENTE (1529) Battezzato in Pisa nella Cappella di san Felice Filosofo e Lettore all’Università di Pisa Priore a Pisa 1567 Sposa Lucrezia Vernagalli che porta in dote una casa in San Piero in Vincoli e beni in Treggiaia ereditati dalla zia Cassandra

CAMMILLO (1530) Priore a Pisa 1565 Autore del “Libro di ricordi”

BARTOLOMEO (1533) ALESSANDRO (1537) ANTONFRANCESCO (1541) FEDERIGO (1545) MADDALENA (1548)

MARCANTONIO battezzato il 31 luglio 1572 in Pisa nella cappella di San Luca Sposa Laura Barenga nobile milanese l’11 febbraio 1599 nella chiesa di San Ranieri

FRANCESCO (1613 - Treggiaia 1660) Battezzato il 27 marzo 1613 in San Martino in Kinzica Capitano Sposa Giustina Celati che abita in via Tavoleria nel palazzo di proprietà dei Celati, almeno dal 1661

ANTONIO

MARCANTONIO (1650) Sposa Eulalia del Rosso nel 1674 LlVIA ROSA (1675 - 1694)

MARCANTONIO PIER LORENZO (1708/9 - 1714) (1710 - 1711)

FRANCESCO (1676) Sposa M. Maddalena Palmieri nella chiesa di San Martino il 14 giugno 1707

M.LUISA CATERINA Battezzata il 3 aprile 1711 Sposa Giuseppe Tolomei a Pistoia

M. TERESA (1748 - 1772) battezzata il 28 agosto 1748

M. ANTONIA ANTON FRANCESCO MARIA (1714 - 1793) (1713 - 1775) Battezzato il 1 aprile 1715 in San Felice battezzata il 21 luglio 1713 Sposa Maria Maddalena Incontri († 1794) nel 1745

CARLO FILIPPO FRANCESCO BUON INCONTRO (1749 - 1781) battezzato il 4 ottobre 1750

M. LUCREZIA (1750) battezzata il 9 gennaio 1751 Sposa il Cav. Francesco Monti nel 1777 in San Frediano. È l’ultima erede dei Quarantotti.

RESIDENTI NEL PALAZZO DI VIA TAVOLERIA

CAMILLA Sposa nel 1631 Francesco Maffei

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ciascuno scudo sei rondinini. L’altra ha dua scudi dove sono strisce 4 con una sbarra attraverso”.5 Quella ottenuta “ha un marmo fine e lo sportello in mezzo, la quale fu de’ Piginelli”. Data la mancanza di eredi (ormai da circa trent’anni) la sepoltura dei Piginelli era divenuta cedibile.6 La lastra tombale aveva due scudi con tre leoncini ciascuno come risulta ancora nel sepultuario di Fra. Michele Salvetti del 1621 (fig. 2). Marcantonio la acquistò in cambio delle cure mediche prestate ai frati durante quell’anno, per le quali avrebbe dovuto ricevere quattro sacchi di grano. In quel tempo era priore fra Zanobi da Villa Basilica e sottopriore fra Pietro Paolo da San Gimignano, mentre fra Vittorio Carucci era sagrestano. Ad ogni buon conto la famiglia Quarantotti aggiunse quattro scudi di moneta in contanti e commissionò a Stefano scarpellino la cancellazione degli stemmi esistenti e la realizzazione del loro: una sbarra nel mezzo dello scudo, due stelle sopra e due sotto. La sepoltura è visibile ancora oggi nel transetto di destra della chiesa di Santa Caterina.7 Sulla lastra è leggibile l’iscrizione: D.O.M. / MarcusANTonius QUARANTOTTUS Civis PISANUS PhilospHIÆ AC MEDICINÆ DOCTor CUM PISIS P. / LEGENDO EUM EXERCENDO / OCTOGESIMUM AGERET ANNUM L.M.V.P.S. ET S. A.D. MDLXV KAL MaRT. (fig. 3).

La famiglia Quarantotti ha continuato a seppellire i propri morti nella chiesa cittadina di Santa Caterina fino alla soppressione granducale del convento domenicano avvenuta nel 1784. 2.

“Questo per memoria et luce del vero”

I figli di Marcantonio

Clemente Quarantotti (1529-1580?), Filosofo, Lettore all’Università di Pisa, fu tra i professori di Galileo e nel 1567 venne eletto tra i Priori del Comune di Pisa. Il 25 settembre 1571 sposò Lucrezia Vernagalli che gli portò in dote una casa da abitazione in San Pietro in Vincoli oltre a beni in Treggiaia ereditati qualche anno dopo dalla zia Cassandra.8 Il suo nome si trova sul manoscritto 32 della Mellon Collection alla Yale University Library. Si tratta di una Miscellanea di trattati alchemici e annotazioni mediche scritti in latino, greco e italiano, composto probabilmente a Pisa attorno al 1540. Al f. 54v si trova l’iscrizione “Clementis Quarantoctus Opus”. La Miscellanea sembra iniziata da Luca Antonio Bonucelli e proseguita da Mariano da Campo, notaio pubblico pisano e Operaio della chiesa di Santa Maria della Spina che dichiara di donare il volume a Camillo Quarantotto. Camillo (1530-1607), fratello di Clemente, anche lui medico, Priore

1. Biblioteca Moreniana di Firenze. Manoscritto Palagi, 63.

a Pisa nel 1565 è l’autore del Libro di Ricordi conservato presso la Biblioteca Riccardiana, nel Fondo Biblioteca Moreniana, nel quale amava chiosare le sue annotazioni con la frase “questo per memoria et luce del vero“. Come il padre esercitò la professione medica, per alcuni periodi fu anche medico delle Galere granducali. Alla sua morte non lasciò figli. Fece testamento a dì 7 maggio 1589 s.p. per rogito del notaio Cini.9 Il 1 maggio 1591 fece un codicillo al testamento. Un altro fu aggiunto il 4 agosto 1607 per rogito di ser Nicola Troncia riguardo a beni immobili in Montecatini che evidentemente a quell’epoca i Quarantotti possedevano ancora. Altri fratelli, Anton Francesco10 e Federigo,11 si dedicarono alla mercatura.

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3.

“Trenta soldati nominati Affricani”

La discendenza di Clemente

2. Sepultuario Salvetti

(copia eseguita da G. Modena nel 1923, conservata in Biblioteca Cateriniana).

Alessandro, invece, cercò fortuna nella carriera militare. Si imbarcò a Livorno con le truppe che il ducato di Firenze inviava in appoggio al Re Filippo di Spagna. Il contingente salpò agli ordini del capitano Niccolò Malegonnelle il 5 agosto 1566. “Andò alla guerra per il soccorso di Malta assediata dal Turco”, annotò Camillo nei suoi Ricordi, ma le speranza di avere un qualche vantaggio

dall’impresa svanirono presto: “ci fu detto che era morto di suo male in Messina”12 fu costretto a scrivere più avanti. La sorella Maddalena, unica femmina a raggiungere l’età adulta, si sposò nell’estate del 1568 con Giuseppe d’Antonio Portoveneri.

La famiglia Quarantotti alla fine del Cinquecento era stabilmente residente a Pisa nel quartiere di San Francesco. Marcantonio, figlio di Clemente e Lucrezia Vernagalli (1572-1614) fu battezzato il 31 luglio 1572 in Cappella di San Luca,13 sposò Laura Barenghi, di famiglia nobile milanese, anch’essa trapiantata a Pisa, l’11 febbraio 1599 nella chiesa di San Ranieri. Tre anni dopo, il 28 marzo 1602, prese a livello dalle monache di San Martino in Kinzica una grande casa appena finita di costruire proprio davanti al loro monastero per farla divenire residenza di famiglia.14 Nel 1604 possedeva una “Casa di commercio” con attività anche a Livorno, Napoli e Tunisi. Le case di commercio come la sua trafficavano merci di ogni tipo, dalle stoffe alla cera, dal legname alle spezie, ma anche capitali finanziari. Nel 1608, ad esempio, la signora Dienora di Stefano Bonsignore, da Reggio, e suo fratello Ercole, dovevano al Quarantotti 200 scudi d’oro di Spagna ciascuno, anticipati da lui per il loro riscatto a “Mamet Cielibi, turco di Tunisi”. La somma era da restituirsi a Napoli.15 Affermato mercante ebbe anche riconoscimenti pubblici e ricoprì cariche importanti a livello cittadino, come quando nel 1609 comandò la X e ultima

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3. Chiesa di Santa Caterina, sepultuario Corallini; il n. 67 nel transetto destro corrisponde alla sepoltura della famiglia Quarantotti.

squadra di mezzogiorno alla battaglia del gioco del ponte organizzata in Firenze, sul ponte di Santa Trinita per le nozze di Cosimo figlio di Ferdinando III e Maria Maddalena d’Austria. La squadra era formata da “30 soldati nominati AFFRICANI, adorni in modo che sembravano veri leoni ed alla mostra avevano nella destra una clava o mazza ferrata e nella sinistra una palla, affermando con un cartello di voler mantenere che le donne della parte dell’Austro erano di bellezza maggiore e di valore almeno eguale a quelle che abitano a Tramontana”16 (fig. 4). Fece parte dei Consoli del Mare e fu fra i tre deputati inviati a Rosignano nell’agosto del 1612 per occuparsi del recupero di beni e mercanzie scampati a un naufragio.17 Nel 1614, alla sua morte, Ottavio

Sassetti, esponente di un’altra nota famiglia fiorentino-pisana, socio nella filiale di Marsiglia aperta qualche anno prima, divenne tutore dei figli, ancora bambini, Antonio, Clemente e l’ultimo, Francesco, nato da appena un anno. 4. Via Tavoleria

e la villa di Treggiaia Il capitano Francesco e sua moglie Giustina

I tre fratelli Quarantotti, Clemente, Antonio e Francesco nel 1618 risultano possedere Beni “che furno di Jacopo Ricciardi in Treggiaia”.18 Antonio è annoverato tra gli eleggibili del Comune nel 1635. Ma il continuatore dell’epopea familiare sarà l’ultimogenito Francesco. Nacque a Pisa, fu battezzato il 27 marzo

1613 in san Martino in Kinzica e morì nel 1660 a Treggiaia. È attraverso di lui che la storia dei Quarantotti si unisce alla storia del Palazzo di via Tavoleria. Francesco, infatti, che aveva scelto la carriera militare, si trova sempre definito “Capitano”, sposò Giustina Celati (1623-1694) il cui padre Ulivieri di Salvestro aveva acquistato con il proprio zio Francesco, dai Carnesecchi il palazzo di via Tavoleria che sarà poi noto come palazzo Quarantotti. Da questo matrimonio nacquero due figli: Marco Antonio e Livia. Ulivieri Celati o Celata era medico già nel 1610 e lettore nello Studio pisano dal 1613 al 1649. Iniziò la sua carriera accademica come Lettore di Logica e proseguì per molti anni alternando l’insegnamento di Medicina Teorica con quello di Medicina Pratica. Sembra facesse parte dell’Accademia dei Disuniti (fondata nel 1623). Di lui il Fabroni scrisse, citando il Sommaia: “il Celata è salito con extraordinaria fortuna in ogni reputazione nella pratica, e fa tutte le faccende in Pisa, e

4. Il Gioco del Ponte sul ponte di Santa Trinita a Firenze.

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a lungo rivendicata dai Prini Aulla la dote di Giustina che comprendeva il palazzo di via Tavoleria e altre case in Livorno.19 5. I Carnesecchi

5. Ritratto di Giustina Celati - Archivio Fabbrini.

se vengono forestieri di qualità, avendo bisogno, sogliono valersi di lui”. La sua storia divenne in seguito la storia di quattro sorelle e di una eredità contesa. I beni di Ulivieri Celati, tra cui numerosi immobili tra le attuali via San Frediano, via Tavoleria, piazza delle Vettovaglie e il Lungarno, alla sua morte, avvenuta intorno al 1650, in mancanza di un erede maschio furono divisi tra le quattro figlie: Giustina, allora Quarantotti, Cassandra, poi Aulla, Margherita e Caterina all’epoca bambine. Alla fine del Settecento quando anche i Quarantotti non avevano più continuatori maschi della casata venne

La Famiglia Carnesecchi ha una lunga storia radicata soprattutto nella città di Firenze dove è attestata già nel XIV secolo. Originaria di Cascia di Reggello dette i natali a mercanti e banchieri, molti dei quali ricoprirono anche cariche pubbliche, sia politiche che militari, al servizio della Casa Medici. Altri rami si diffusero a Prato e a Siena. Nel centro di Firenze un intero isolato è caratterizzato da palazzi di loro proprietà, l’angolo tra via Cerretani (dov’è tuttora visibile lo stemma della famiglia), via Rondinelli, via Panzani e via de’Banchi si chiama ancora “Canto dei Carnesecchi”. La tomba di famiglia era nella chiesa di Santa Maria Maggiore. Tra i rappresentanti di spicco nel XVI secolo possiamo citare Bartolomeo di Zanobi (1501-1570),20 autore fra l’altro di una Storia di Firenze titolare del Banco Carnesecchi-Strozzi che aveva interessi in molti centri europei e, per tutt’altre ragioni, Pietro (1508-1567), condannato al rogo per eresia nel 1545. Fine intellettuale, dotto umanista, colto e brillante, quest’ultimo ricoprì cariche importanti a Firenze e a Roma dove, sotto la protezione del Papa Clemente

VII (un Medici), arrivò ad essere nominato Protonotaro apostolico. Dopo la morte del papa perdette l’impunità e il suo essere vicino alle idee evangeliche lo mise più volte in pericolo di vita. Soggiornò a lungo in Francia, presso Caterina dei Medici, ma infine tornò a Firenze per eccesso di fiducia nei suoi antichi protettori. Il Granduca Cosimo I lo consegnò a Pio V e a Roma fu condannato e giustiziato.21 Giovanni Battista di Ridolfo Carnesecchi (1545ca-1608) appartenne al ramo della famiglia che si trasferì a Pietrasanta per ricoprire ruoli da funzionari medicei per quanto riguardava l’estrazione del ferro e dell’argento dalle miniere versiliesi. In Pietrasanta i Carnesecchi avevano una residenza contrassegnata da uno stemma ancora visibile, alcuni di loro

6. Stemma della famiglia Carnesecchi.

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ricoprirono il ruolo di capitani, come risulta da iscrizioni poste sul palazzo dei Capitani nella piazza del Duomo.22 Il 1 marzo 1562 i beni di un capitano G.B. Carnesecchi ed altri ribelli subirono una confisca. Essi vennero incamerati, sotto forma di donazione governativa, dai Cavalieri di Santo Stefano.23 A meno che l’episodio non sia da riferirsi a un omonimo, la crisi col governo centrale dovette però subito rientrare, Giovanni Battista di Ridolfo24 infatti nel 1565 a Pietrasanta era Camarlingo e nel 1571 Doganiere delle gabelle e Provveditore delle Miniere. Appartiene a quegli anni il carteggio, conservato nell’archivio mediceo, relativo ai rapporti tra la casa Medici e il proprio funzionario a Pietrasanta: il 2 settembre 1572, ad esempio, Cosimo I De’Medici informava Filippo Ducci che “Giovanni Battista Carnesecchi ha conmissione da noi di far tirare dalle cave de’ mistij alla marina dua agugle di marmo mistio di peso di settanta, intorno a via Rondinelli a cinque migliaia l’una dove ha bisogno di quattro canapi grandi di braccia 300 l’uno.”25 Almeno dal 1586 Giovanni Battista risiedeva a Pisa, è in questa città infatti che gli venne indirizzata una lettera da Belisario di Francesco Vinta. Quest’ultimo, da Firenze, informava il Carnesecchi che Francesco I aveva deputato Aldo Manuzio a ricoprire la cattedra di letteratura umanistica in luogo di Pietro Angeli da Barga

7. Archivio Mazzarosa. Albero genealogico della famiglia Carnesecchi.

presso lo Studio pisano. Dava quindi disposizioni perché fosse versato al professore in anticipo lo stipendio per

un anno.26 Nel 1588 sposò, a Pisa, Brigida di Nicolaio e l’anno successivo, nella cappella di Santa Margherita,

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Frammenti di decorazioni medievali Mariagiulia Burresi

È ormai acclarato che un’indagine filologicamente accurata sulle murature durante i restauri dell’edilizia storica pisana porta con altissima frequenza, mediante saggi stratigrafici mirati, a rintracciare frammenti più o meno estesi di decorazioni antiche che integravano, negli interni, la policromia esterna della città medievale. Se dunque il rinvenimento di quelle del complesso oggi noto come Palazzo Quarantotti, avvenuto durante la prima fase dei lavori, non sorprese, sorprese però l’ampiezza del reperto e la sua tipologia: la raffigurazione a fresco di un vasto tendaggio drappeggiato alla muratura, come attestato in altre permanenze, completo di un bordo superiore con iscrizioni. Benché infatti sia noto che nella maggior parte dei casi le decorazioni murali medievali in edilizia civile,

quando non alludono a “crustæ” o tarsie marmoree, imitano i tendaggi o le pellicce – che presumibilmente si addossavano veramente alle pareti, in alcuni periodi o occasioni dell’anno, per motivi termici oltre che decorativi – questo ritrovamento spiccava per la sua singolarità. Nella parete della casa torre oggi visibile dal cortiletto coperto interno e un tempo parete interna di salone medievale, apparve un ampio tratto decorato a “vaio”, una pelliccia utilizzata anche per abbigliamento di lusso, ottenuta cucendo piccole pelli di roditori dal manto bicromo (bianco-grigio) con un accostamento che conferisce un aspetto embricato all’insieme. È una tipologia decorativa che trova una sua collocazione cronologica nel contesto pisano forse dalla fine del secolo XIII e pare più estesamente attestata nel Trecento. Nel nostro caso la decorazione a vaio

si distingue da altre dello stesso tipo, per il fatto di presentare sul bordo, nel punto ove la pelliccia si aggancia alle testate delle travi infisse nella parete, anche la raffigurazione dei chiodi e, su tutta la sua lunghezza, un’iscrizione in eleganti caratteri gotici tracciati in rosso, sinora non decifrata per la frammentarietà delle lettere che non furono a suo tempo oggetto di integrazione pittorica delle lacune. Se esaminiamo rapidamente il contesto in cui si colloca il ritrovamento, si nota che le decorazioni murali non contenenti soggetti sacri sinora rinvenute su pareti di edifici pisani sono molteplici e talvolta si presentano come palinsesti di almeno due strati che attestano l’aggiornamento delle tipologie decorative nel tempo, a seguito di variazioni d’uso o di proprietà degli edifici e/o di gusto. Le tecniche riscontrate attestano la prevalenza di pitture murali a calce

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su sottile strato d’intonaco fresco che segue la scabrosità del paramento murario in pietra o laterizio, senza presenza di sottostanti sinopie. Tra i decori più semplici si possono annoverare quelli riproducenti un drappeggio di teli non decorati nello zoccolo inferiore di pareti anche di edifici ecclesiastici. Il motivo a drappeggio si ritrova: - nell’abside sinistra della chiesa di San Piero a Grado sotto la teoria di Apostoli di una perduta Assunzione databile tra la fine del secolo X e l’inizio del secolo XI; - al piano terra dell’ex monastero di San Matteo (ora Museo omonimo) databile al XII-XIII secolo; - al primo piano della ex canonica di San Pietro in Vinculis, dove il motivo presenta elementi di decorazione policroma, con fili

1. Affresco al P.T. del Museo di San Matteo.

colorati passanti nel tessuto rappresentato, e appare appeso ad una fascia decorata con motivi a compasso e fitomorfi e sormontato da una decorazione a finti mattoni (su parete in mattoni!) del sec. XIII;

- nello zoccolo della navata destra della pieve di Vicopisano, in un contesto della metà del secolo XIII; - nel piano terra dell’attuale Museo dell’Opera del Duomo ( già seminario dei Chierici) al di sotto di un bordo geometrico. Motivi antropomorfi e zoomorfi sono sopravvissuti in pochi fortunati casi, testimonianze della raffigurazione in parete di suntuosi panni spesso di ascendenza bizantina e islamica, come: - in palazzo Da Scorno di via santa Maria, dove resta il bordo superiore di una ricca decorazione dell’ultimo ventennio del XII per la maggior parte conservata staccata nel Museo di San Matteo 2. Affresco nella canonica

di San Pietro in Vinculis.

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e rappresentante un motivo a grandi maglie polilobate riempite da intrecci arabizzanti e da figure vivacissime di ascendenza bizantina; nella cripta di San Michele in Borgo, dove la volta è decorata da un motivo di ascendenza islamica con orbicoli abitati da animali reali e fantastici forse simboli dei 4 elementi; nell’abside della cattedrale, dietro ai grandi dipinti che hanno sostituito dopo l’incendio del 1596 il sepolcro dell’imperatore Enrico VII, dove è raffigurato un suntuoso velario con aquile imperiali entro un motivo a scacchiera; al I piano delle case dell’Opera del Duomo dove è presente un motivo a clipeo includente un drago del secondo Trecento; nella decorazione oggi in parte perduta con cane rampante in orbicolo, sull’esterno dell’edificio di via Toselli, in origine parete interna di un salone che probabilmente collegava il palazzo, sorpassando il vicolo con una volta, a quello demolito nell’ultimo conflitto bellico e in corso di riedificazione. Quest’ultimo risulta nel secolo XIV di proprietà della famiglia Del Cane, nome che potrebbe spiegare la peculiarità della decorazione della stoffa raffigurata sulla parete

del salone e indicare una medesima proprietà del salone distrutto. Motivi a fasce fitomorfe duecentesche sono state rinvenute nell’edificio di via san Martino 59 e nello strato più antico delle decorazioni del palazzo Lanfranchi, mentre al piano terra del palazzo Reale resta il frammento, forse più antico, di un tessuto con alta fascia a decorazione fitomorfa. Motivi a fasce geometriche sono presenti in forma disegnativa nella decorazione,

non collegabile ad una decorazione tessile, dell’abside di Sant’Jacopo di Zambra e risalente all’epoca dell’edificio sec. XII) e al I piano del Museo di San Matteo, in un bordo trecentesco di scala interna. Il motivo a “vaio”, allusivo come si è accennato di rivestimenti con pellicce delle pareti, è indubbiamente tra i più diffusi fra XIII e XIV secolo a Pisa, ed è a oggi attestato oltre che in palazzo Quarantotti:

3. Affresco staccato da Palazzo da Scorno.

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Il busto di Lucrezia Mariagiulia Burresi

“…donna di molto spirito ed ornata di disinvolta cultura…” L’inedito busto già conservato nel salone del palazzo sopra una colonna in marmo verde rastremato è realizzato in alabastro poggiato su un doppio basamento a rocchetto circolare in marmo nero venato e plinto in marmo giallo. Anche se non fosse incisa sul bordo del busto la scritta” T.o MASI F.” si poteva assegnare ugualmente il busto-ritratto allo scultore romano Tommaso Masi ampiamente documentato dagli inizi dell’Ottocento a Pisa dove trascorrerà la sua vita spegnendosi, ottuagenario, nel 1852. L’estenuata politura della superficie, infatti, che rende a pieno la trasparenza dell’incarnato e la sensuale morbidezza delle vesti,

disvela del suo autore la nota perizia di ritrattista che lo fece prescegliere, nel 1824, per il ritratto funebre di Ferdinando III di Lorena e Toscana e che nell’opera in esame appare già acquisita. L’esecuzione accurata del busto rivela anche la consapevole adesione del Masi alla più raffinata tradizione di scultori che aveva visto protagonisti in città, dagli inizi del Settecento, i Vaccà, Andrea e Ferdinando, e che trovava fuori di Pisa più recenti e diretti riferimenti, sullo scorcio del secolo, nella travolgente fama del Canova, di cui il Masi risulterebbe essere stato scolaro. Per l’effigie funebre del Granduca si disse che il Masi aveva realizzato un ritratto “di perfettissima somiglianza”, ma lo stesso potrebbe dirsi anche per tutti i numerosi ritratti da lui eseguiti. Nel primo decennio del secolo il Masi realizza quello dell’arcivescovo Franceschi – morto nel

1806 – commissionatogli dai nipoti per l’autorevole collocazione nel transetto della cattedrale, e poco dopo scolpisce la sepoltura del maggior pittore pisano del Settecento Giovan Battista Tempesti, collocato in Camposanto nel 1813. Il ritratto inserito nella sepoltura di Francesco Del Testa Del Tignoso fu posto nello stesso prestigioso pantheon pisano nel 1830, cui il Masi affiancò, ormai vecchio nel 1847, quello di Cammillo Borghi. Come si vede, sono tutte committenze che additano l’apprezzamento continuo nella città delle sue qualità di ritrattista e scultore, abilità ampiamente utilizzate anche in continui incarichi di restauro alle sculture antiche del Camposanto e della cattedrale, incarichi assegnatigli anche quando si criticavano del Masi, nell’età avanzata, le modalità didattiche da lui adottate presso la cattedra dell’Accademia pisana che lo

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scultore tenne fino alla morte. Tommaso Masi rivela precocemente la sua abilità di ritrattista, a giudicare dall’attenzione che dedica alla definizione dei particolari fisionomici anche nel busto della nobildonna pisana conservato in palazzo Quarantotti, un busto che una tradizione orale vorrebbe riferirsi a Lucrezia Quarantotti Monti, che fu nel secondo Settecento apprezzata animatrice del proprio salotto. Lucrezia Quarantotti Monti (Pisa 17451810) fu proprietaria del palazzo di via Tavoleria dov’era nata, per brevissimo tempo, dalla morte del padre Anton Francesco Maria nel 1793 e della madre nel 1794, a quando decise di venderlo al Lenzi che ne è in possesso dal 1797 (cfr. ivi Nannipieri). Il busto rappresenta un’attonita figura femminile, il capo racchiuso in una cuffia stretta da un largo lucido nastro ondulante e i cui bordi si arricciano con ampie volute intorno al volto dal naso aquilino, i grandi occhi spalancati, il collo sottile avvolto dal doppio colletto della veste serica finemente pieghettato e della giacca incrociata sul petto. Se l’effigiata è Lucrezia, di cui peraltro non sono noti altri ritratti, sono pochi gli anni in cui avrebbe potuto commissionarlo per la propria dimora, ma d’altra parte l’abbigliamento con cui la nobildonna compare nel ritratto sembra riportare una severa edizione della moda legata al gusto

di fine secolo, prossimo all’incipente Direttorio. Stando ad esso, il ritratto, dovrebbe essere stato eseguito prima della vendita del palazzo e probabilmente anche prima della morte dei genitori e presenterebbe la donna in un’età di poco inferiore ai 50 anni, anche se l’ovale del volto, forse ingentilito dallo scultore, e le labbra piene, insieme con le ciocche di capelli che coprono la fronte, non evidenziano segni visibili di un’incipiente età matura. Tommaso Masi doveva essere a queste date, più che ventenne, da poco giunto da Roma, dove si era formato e esercitato in quell’attività di restauro che svolgerà per tutta la vita, in fase di espansione di un’operosità che agli inizi del nuovo secolo appare già intensa e apprezzata tanto da procurargli i ricordati incarichi di prestigio per l’Opera del Duomo e da essere ricordato dal Conservatore del Camposanto Carlo Lasinio e dall’erudito Alessandro Da Morrona sia per la sua formazione autorevole (“…scuolare del celebre Canova…”), sia come esperto scultore che svolge con decoro il suo esercizio. Sono ormai numerose le notizie note che lo riguardano, anche se la sua personalità artistica e culturale, forse perché carente di balzi linguistici innovativi e piuttosto assestata su fenomeni già noti e rassicuranti, non è stata oggetto di un’organica monografica ricostruzione, per quanto

siano stati significativi gli incarichi affidatigli a Pisa. Furono incarichi didattici (fu docente di Architettura dal 1815 al 1822 e poi di Ornato e Modello fino alla morte nella locale Accademia), e furono incarichi di scultore prevalentemente legati, come si è accennato, alla ritrattistica e per la realizzazione di monumenti funebri di personaggi illustri pisani e non solo: sono incarichi che ce lo svelano una personalità artistica certamente poco innovativa, che tuttavia si applicò con maestria a declinare non solo quanto appreso nella formazione romana e nel suo alunnato canoviano (certamente almeno ideale), ma anche l’esperienza che andava rinnovando nel continuativo esercizio di restauro di opere scultoree di antichi maestri, svolto in particolare per conto dell’Opera del Duomo.

Nota

Per una raccolta delle notizie su Tommaso Masi si veda S. Renzoni, Pittori e scultori attivi a Pisa nel secolo XIX, Pisa 1997, ad vocem e Id. Arti e Accademie, in R.P. Ciardi (a cura di), L’immagine immutata, Pisa 1998.

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Il restauro del Palazzo Alessandro Baldassari

1.

Introduzione

Il palazzo Quarantotti costituisce, nel suo genere, un classico: la maggior parte dei Palazzi pisani ha infatti conosciuto una genesi ed una evoluzione assai simile a quella propria di questo edificio. Ciò che caratterizza in maniera speciale il palazzo sulla via Tavoleria è invece l’esito di questi interventi e, in qualche misura, la sua collocazione. L’intervento di restauro promosso dalla Congregazione delle Suore di Santa Marta ha interessato il palazzo Quarantotti in pressoché tutti i suoi aspetti: statico, funzionale, dell’apparato decorativo. La conduzione del restauro attraverso tutte queste aree di interesse ha consentito una conoscenza assai approfondita sia delle architetture, che hanno contribuito a rendere

l’edificio così com’è, sia delle tecniche antiche e recenti utilizzate nella sua realizzazione. In questo modo è stato possibile colmare, sia pure a salti e non completamente, il vuoto documentario che riguarda gli interventi specifici sul palazzo dovuto alla dispersione, in tempi relativamente recenti, dell’archivio della famiglia che più di ogni altra ha contribuito a fare di questo edificio uno dei più importanti nel panorama dell’architettura civile a Pisa. Le ricerche d’archivio condotte da Silvia Nannipieri hanno consentito di ricostruire la storia delle famiglie che si sono succedute nella proprietà del palazzo attraverso i tortuosi meandri delle vicende di coloro che lo hanno abitato ed è grazie a queste ricerche che è stato possibile collocare in un contesto temporale più preciso gli interventi edilizi che hanno condotto

il palazzo Quarantotti ad essere quello che oggi si presenta: un edificio che ha un posto proprio nella storia dell’architettura pisana dall’XI al XX secolo. Questo volume vuole essere un documento di quanto fatto e di quanto, nel fare, è emerso dal palazzo: un testo rivolto a quanti vogliono conoscere una storia poco raccontata della città di Pisa, siano essi specialisti o meno. 2.

Pisa prima dei Quarantotti

La zona ove è ubicata la via Tavoleria nel quartiere di Santa Maria costituisce una delle parti più antiche della città di Pisa. (fig. 1) Diversi studi hanno indicato questa parte dell’abitato come una delle probabili aree di collocazione dell’insediamento romano e varie

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9. Le case sul vicolo ad est del palazzo. 10. Il piano terra del palazzo.

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realizzata la “domus” è costituito dal piano terra e dall’ammezzato. (fig. 23) La caratteristica più interessante della grande sala è l’alta colonna in pietra, con base e capitello tuscanico che doveva consentirle di aprirsi completamente come una loggia a nord

verso l’area oggi occupata dal cortile prospiciente il vicolo Quarantotti. Una loggia (fig. 24) di grandi dimensioni, destinata con ogni probabilità ad attività di mercatura e realizzata sui resti di una casa torre la cui unica testimonianza è, come

25. La casa torre al centro del palazzo.

detto, la porzione di pilastro in pietra all’angolo tra la via Tavoleria ed il vicolo Quarantotti. Il piano superiore della loggia, caratterizzato sul vicolo Quarantotti da piccole finestre di forma squadrata con stipiti ed architrave in pietra, era posto al disopra della grande volta, realizzata in muratura di mattoni posti “a coltello” e doveva aprirsi verso il cortile grazie ad un sistema di travi e pilastri sorretto al centro dal grande beccatello in pietra impostato abbastanza arditamente sulla colonna. La forma del beccatello, costituito da due imponenti elementi in pietra serena sovrapposti, rimanda, a parere di chi scrive, ad una origine fiorentina delle maestranze che lo avrebbero realizzato. Una struttura a beccatelli analoga, tra le non molte di questo tipo rintracciabili nella città di Pisa, è visibile nella torre che sovrastava la porta a Lucca “la vecchia”, oggi inglobata nel bastione del Parlascio, ristrutturata dai fiorentini dopo la prima conquista di Pisa del 1406.5 La loggia venne poi chiusa con la ristrutturazione seicentesca mediante la costruzione di una parete aperta da due arcate verso il cortile, parete che andò a collegarsi a quella soprastante posta a sbalzo sopra il beccatello retto dalla colonna. La nuova muratura inglobò due travi lignee poste al disopra del piano soprastante la loggia ed appoggiate al centro al pilastro in

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26. Le diverse strutture medievali identificabili nel palazzo al piano terra ed al piano nobile.

mattoni realizzato in corrispondenza del beccatello con una tecnica alquanto disinvolta ma che conferma la presenza, in origine, di grandi aperture verso il cortile anche al primo piano, sia pure affacciate su un vano di ridotta profondità. Adiacente alla loggia, al primo piano, è la grande sala realizzata occupando tutto un piano della domus ed abbattendone il muro centrale, conservato invece al piano terra, così come tutte le murature interne soprastanti e tutti i solai. Il grande ambiente così realizzato, è stato coperto con un’ampia volta in cannicciato6. E tanto alto è il vano (fig. 20) che

al disopra della volta in cannicciato è posta direttamente la struttura del tetto, realizzato in legno con una doppia struttura di travi poste parallelamente alla via Tavoleria; le inferiori, di un altezza non minore di 70 centimetri, a reggere i rompitratta delle superiori su cui si appoggiano le terzere e, al disopra, i travicelli. Le travi inferiori costituivano con ogni probabilità la struttura portante di un solaio che doveva sovrastare la grande sala prima della realizzazione della volta in cannicciato.

4.

Le altre case del Palazzo

Come ampiamente descritto, il palazzo è costituito dall’accorpamento di edifici diversi. Se ciò è normale sulla via Tavoleria una qualche particolarità va riconosciuta al fatto che, occupando nella trasformazione delle case in palazzo aree una volta poste a cielo aperto, si sono venute inglobando anche strutture che si disponevano diversamente rispetto alla via Tavoleria attraverso lo studio delle quali è possibile indicare quale dovesse in origine essere la successione tra spazi coperti e scoperti in questa parte della città.7

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5.

Dalle case al Palazzo

Dalla grande sala posta tra la torre ed il salone delle feste che, come abbiamo visto, consisteva in epoca medievale in uno spazio scoperto, attraverso un portale in pietra di origine almeno cinquecentesca si accede alla vasta sala decorata a stucchi e realizzata accorpando con ogni probabilità due ambienti di dimensioni minori. Anche qui al disopra della volta in mezzane che la ricopre si imposta la copertura del palazzo; la sala prospetta sul cortile su cui si apriva anche la grande loggia, sul vicolo oggi denominato Quarantotti. Dal vano su cui prospetta la casa torre si accede alla cappella, già oggetto di una infelice ristrutturazione all’inizio del XX secolo. Nel corso del restauro e del successivo riallestimento della cappella che ha comunque tenuto conto anche degli interventi più recenti (fig. 32) si è potuto identificare il lato esterno della “domus” costituito da una parete in laterizio scialbato su cui si apre ciò che in origine era una finestra e su cui è possibile identificare gli scarsissimi resti di una decorazione a carattere geometrico dipinta su un sottilissimo strato di intonaco. La presenza di queste decorazioni su un prospetto tanto stretto potrebbe far ipotizzare la presenza di una struttura 31. Resto di decorazione a “pelle di vajo” della casa sud.

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in legno realizzata a sbalzo ed oggi scomparsa. Il restauro ha anche restituito sulla parete verso la via Tavoleria, curiosamente caratterizzata da una finestra che taglia in parte la muratura posta tra il salone delle feste e la cappella e così realizzata per poter mantenere all’esterno la simmetria delle aperture nella ristrutturazione seicentesca, il resto di una delle decorazione realizzata nel rinnovo settecentesco consistente in una cornice nella parte alta del lato corto della sala e da due putti che reggono un cartiglio con una scena dipinta. È purtroppo tutto ciò che resta, insieme ad un residuo della originale decorazione geometrica del soffitto ligneo a lacunari; il rimanente è andato distrutto in una ristrutturazione che vogliamo augurarci non troppo vicina a noi. Sta di fatto che sotto l’intonaco novecentesco, caratterizzato da grevi decorazioni a secco di angeli e candelabre, nemmeno l’uso delle più moderne tecnologie8 ha consentito di individuare se non minimi lacerti della decorazione pittorica dell’ordine di qualche centimetro di ampiezza: un decoro purtroppo perduto che doveva certo costituire uno dei più ricchi di tutto il palazzo, a giudicare dalla parte rimasta che si è salvata soltanto perché nel tentativo di regolarizzare la forma della cappella, davanti al lato corto 32. La Cappella del palazzo.

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verso la via Tavoleria era stato eretto un muro di mezzane “per ritto” la cui rimozione nel corso del restauro ha consentito il ritrovamento. Le due sale al piano nobile successive all’attuale cappella costituiscono di fatto un’appendice posteriore alla originale conformazione seicentesca del palazzo propriamente detto. Si tratta delle case che Francesco Quarantotti ricorda di aver acquistato ed annesso al palazzo intervenendovi con diversi lavori di restauro.9 (figg. 36-37) Infatti la ristrutturazione seicentesca ha costituito sulla via Tavoleria un prospetto caratterizzato da tre ordini principali di finestre che vanno dall’angolo con il vicolo Quarantotti sino alla casa “B” sulla via Tavoleria. La disposizione delle finestre dice molto sull’intervento costitutivo del palazzo. Si è infatti stabilito un allineamento tra solai (piano terreno, ammezzato, primo e secondo) sulla base del quale si è proceduto alla ristrutturazione interna utilizzando alcuni punti fermi: è stato proprio il blocco d’angolo a dettare l’altezza dei solai principali: il piano nobile all’altezza della grande volta lunettata, il secondo allineato al solaio ligneo a lacunari; per gli ammezzati ci si è fatti guidare dalle piccole finestre presenti nel secondo registro della “domus” al centro del palazzo.

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33. La sacrestia della Cappella. 34. Interno della Cappella dopo il restauro.

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ed è costituito da un solaio ligneo a lacunari, ridipinto all’epoca della ristrutturazione ma che denuncia la propria maggiore anzianità. La sala è in collegamento con il grande salone delle feste, posto al piano nobile e della superficie di circa 100 metri quadrati. (figg. 41-45) La realizzazione di quest’ultima vastissima sala, ridecorata in occasione del matrimonio tra Antonio Quarantotti e Maddalena Incontri avvenuto nel 1745 ha costituito, all’epoca della sua ristrutturazione, uno degli interventi più importanti subiti dal palazzo insieme alla realizzazione del grande scalone in pietra che conduce dal piano terra al salone. Qui ben poco è rimasto della “domus” medievale che occupava completamente quest’area: è stato abbattuto il muro centrale portante, conservato al piano terra, così come sono state demolite tutte le murature interne soprastanti e tutti i solai. La grande volta in cannicciato che copre il salone costituisce una di quelle di maggiori dimensioni tra le strutture simili realizzate a Pisa. Vista dal vano di difficilissimo accesso che la sovrasta, la volta ricorda all’estradosso una barca rovesciata, seppure di pianta più o meno quadrata, mentre dal disotto l’intradosso intonacato è indistinguibile dalle volte

cosiddette “reali” di grande spessore o a quelle di mezzane “in foglio” pur presenti in altre parti del palazzo ma che sarebbero state di difficile e costosissima esecuzione per la copertura di un vano tanto vasto. Oltre il grande scalone in pietra la cui realizzazione, per eccesso di fiducia dei suoi costruttori, ha costituito una delle cause principali dei gravissimi problemi statici che nel restauro del palazzo ci si è trovati ad affrontare, è posto al piano nobile un altro ampio salone che fa da cerniera tra la parte meridionale e quella orientale del palazzo. La vasta sala, pur priva di speciali caratteristiche o decorazioni, presenta, a sostegno delle gigantesche travi che ne portano il soffitto, mensole lignee dipinte che costituiscono un altro resto della struttura e della decorazione preseicentesca dell’edificio. In questa zona il palazzo trova la sua maggiore articolazione: a Sud le alcove ricche di stucchi, ad Est salette ed altre alcove con una serie di notevolissimi affreschi. Per un certo periodo i diversi edifici che oggi compongono il palazzo debbono aver convissuto in condizioni molto diverse tra loro. La decisione di trasformare le case della via Tavoleria, ovvero la “domus” e l’edificio con la loggia, in palazzo potrebbe farsi ascrivere ai Carnesecchi

38. [nella pagina precedente] La volta dell’alcova. 39. La volta della sala precedente l’alcova.

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41. Il salone delle feste,

nord-ovest.

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A questa sorte non è sfuggito nemmeno il palazzo Quarantotti, che ha conosciuto una sopraelevazione oltre alla cancellazione di un pilastro portante nella zona est. A ciò si unisca il cedimento, iniziato da almeno 300 anni, della parete dello scalone, che costituiva anche il lato sud del salone delle feste. Il primo intervento sul palazzo Quarantotti di cui sono responsabile risale al 1982, con il restauro delle facciate e del tetto. La facciata sulla via Tavoleria, in particolare, mostrò al momento di intervenire per la sostituzione dell’intonaco fatiscente, la presenza di notevolissimi resti, in particolare di quelli della “domus” e delle sue quadrifore tanto che, in accordo con la Soprintendenza, si decise di mantenere a vista le strutture medievali considerando che la conformazione della successiva facciata del palazzo non veniva da esse più di tanto compromessa. Gli interventi più importanti iniziarono però 13 anni più tardi, quando la Congregazione proprietaria decise di procedere ad un completo restauro dell’edificio. La molla principale fu appunto quella delle condizioni statiche: gli interventi prima descritti avevano causato dissesti e fessurazioni che era impossibile ignorare. In particolare l’affondamento del muro dello scalone aveva causato il dissesto della

42. Sovrapporta con Il Sacrificio di Isacco e corridoio tra l’alcova e il salone.

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muratura sud del salone delle feste ed il cedimento di tutte le volte in muratura che a quel muro facevano riferimento, rottura e cedimento che raggiungevano in alcuni casi i sette centimetri su un affondamento relativo del muro di oltre dieci. L’eliminazione del pilastro nell’area est dell’edificio, sostituito da travi in acciaio che si erano deformate, in quanto di sezione insufficiente a sostenere il carico, aveva causato la rottura del muro dell’alcova est al piano nobile e la frattura della volta della sala all’estremità est del palazzo, volta che, sulla frattura, era calata di oltre sei centimetri. Tutte le lesioni erano in fase attiva ovvero le murature continuavano a muoversi, con rischi che andavano aumentando con il passare del tempo. Anche la soprelevazione era stata sottovalutata sotto il profilo statico e minacciava di causare seri danni ai piani sottostanti. Era evidente che l’intervento di restauro avrebbe dovuto procedere secondo tre direttrici comuni: statica, architettonica e dell’apparato decorativo. A ciò si aggiungeva la necessità di dotare l’edificio di un insieme di servizi adeguati all’uso che ormai da molti anni la Congregazione delle Suore di Santa Marta faceva dell’immobile.

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43. Il salone verso via Tavoleria. 44. La volta del salone.

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8. I princîpi del restauro

Prima di procedere alla presentazione degli interventi di restauro, il cui esito è possibile giudicare dalle immagini di questo volume, vorrei brevemente esporre quelli che sono stati i criteri informatori dell’intervento. Ho già avuto modo di esprimere alcuni di questi concetti in altri scritti:14 chiedo anticipatamente scusa a chi avesse già avuto modo di leggerli, ma ritengo importante ripresentarli per chiarire il tipo di approccio che, nel corso dell’intervento di restauro, ho cercato di avere al monumento. Troppo spesso il restauro è stato considerata una disciplina in cui, come si usa dire “val più la pratica che la grammatica”. Credo invece che dotarsi di un apparato teorico, che magari non si limiti all’antitesi tra le teorie di Ruskin e quelle di Viollet Le Duc, sia indispensabile per l’esecuzione di un restauro basato su fondamenti scientifici e non su concetti fumosi come la buona volontà o il tentativo di non far danni. In soccorso del restauratore che intenda procedere con un minimo di avvedutezza vengono i capisaldi di alcuni dei padri del restauro moderno: dalla sentenza “Konservieren, nicht restaurieren” di Georg Dehio,15 che non richiede traduzioni, alla Teoria dei Valori di Alois Riegl,16 alla

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“ricomposizione dell’unità potenziale dell’opera d’arte” teorizzata da Cesare Brandi.17 Dalla comprensione degli scritti di questi studiosi discende la necessità di intendere il restauro anzitutto come un intervento di conservazione, inevitabile conseguenza della presa di coscienza che è da considerare monumento “… ogni opera dell’uomo che esiste da più di 50 anni”. L’accettazione di questo assunto non può quindi che condurre alla realizzazione di progetti di conservazione ponderati, redatti cioè sulla base dell’analisi dell’insieme di valori presenti in un monumento che un operatore avvertito deve essere in grado di individuare e pesare. Un progetto di restauro ponderato non potrà ammettere che la sola rimozione di quegli elementi recenti e privi di valore, nel senso inteso da Riegl,18 che costituiscono un disturbo nella percezione del monumento in tutte le sue stratificazioni storiche. La natura di questi interventi deve garantire comunque la coerenza e la comprensibilità delle opere d’arte sulle quali si esercita: il semplice congelamento dello stato in cui il restauratore incontra l’opera può non essere sufficiente, in quanto rischia di restituircela incomprensibile o inutilizzabile o di confinarla in un limbo in cui a dettare legge è la moda e non la storia. Per tentare di spiegarsi con un 45. Il salone a sud-est: le figure allegoriche.

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49. Il piano sottotetto.

utilizzando, anche in questo caso e laddove non era possibile affidarsi semplicemente ad una rinnovata fiducia alle strutture originarie, un intervento di protesi poste a sostegno e non in sostituzione delle parti originarie, intervento tanto discreto che è praticamente impossibile coglierne i segni all’interno dell’edificio. L’insieme di queste pratiche ha consentito di restituire il palazzo alla pienezza delle sue funzioni risolvendo

50. Vista della torre vetrata.

anche situazioni delicatissime, quale quella a carico del muro sud del Salone delle feste, in cui il consolidamento delle murature ha dovuto interagire con la presenza di intonaci decorati di grande fragilità. 10. La conservazione

Una volta restituita al palazzo la propria solidità è stato necessario occuparsi di tutta

un’altra serie di compiti: la protezione delle sue stratificazioni storiche, la conservazione del suo apparato decorativo e la sua rifunzionalizzazione. Il primo problema è stato affrontato eseguendo una serie mirata di saggi: tutte le pareti del palazzo, salvo quelle delle sale del primo piano di maggiore importanza, erano state più volte ridipinte, quando non nuovamente intonacate, nel corso soprattutto del XIX e dell’inizio del XX secolo, quando

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Consolidamenti strutturali nel Palazzo Quarantotti Mauro Sassu

Da un punto di vista statico-costruttivo, il Palazzo Quarantotti riveste un certo interesse nel tessuto cittadino di Pisa poiché riassume in sé i tipici aspetti statici prodotti dall’intasamento urbanistico delle case torri medievali risalenti ai secoli XI-XIII. Queste presentano un sostanziale schema statico a telaio, con robusti pilastri in pietra da taglio agli angoli, collegati da architravi o archi in muratura di varia conformazione e tessitura, parzialmente tamponati con diverse tipologie costruttive.1 I principali problemi statici che si sono riscontrati sono stati prodotti dall’alterazione dell’intelaiatura a torre, per ricavare un palazzo i cui ambienti di rappresentanza avessero le dimensioni confacenti al prestigio della famiglia Quarantotti. Un primo delicato intervento ha riguardato il vano scale a doppia rampa, con gradini in pietra

serena innestati su parete di spina: quest’ultima, costruita con una tessitura di mattoni pieni in laterizio, era stata fondata su un successivo sottofondo in pietrame misto eretto probabilmente nel XVII secolo, a seguito della demolizione di una porzione della casa torre contenente il vano scala. I cedimenti relativi, tra la base della preesistente casa torre e quella della parete di spina, hanno prodotto in circa quattro secoli un suo maggior cedimento di circa 12 cm e soprattutto hanno trascinato verso il basso l’appoggio di un sovrastante arco spingente sulla parete affrescata del grande Salone delle feste causando visibili danni e inducendo un preoccupante quadro fessurativo. Dopo avere applicato un tirante provvisorio per la chiusura della spinta nell’arco, si è pertanto proceduto all’eliminazione del cedimento relativo del piede della parete di spina: ciò si realizzato con

due file di sei micropali armati con tubolare metallico di lunghezza 42 metri circa, con diametro D = 250 mm per i primi ventidue metri e D = 200 mm per i successivi venti metri, per ridurre i rilevanti effettivi di adesione e attrito durante la perforazione; l’applicazione di n. 2 livelli di bulbi, unito al bulbo sulla punta del palo, ne ha migliorato l’ancoraggio laterale e la portata di punta, benché il loro ruolo fosse sostanzialmente quello di cementare la verticale del muro riducendone gli effetti viscosi. Le azioni del muro sono state raccolte da due solidi in c.a. con sezione ad L, vincolati con alcuni profili UNP trasversali al muro e attestati sulle sommità delle due file di micropali. Le diverse fasi costruttive sono state frequentemente monitorate con calibri centesimali rimuovibili per verificare che le condizioni transitorie fossero compatibili con la statica del vano

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scala e dei manufatti soprastanti. Ad oltre dodici anni dall’opera non si sono registrati cedimenti differenziali o quadri fessurativi ulteriori. Un secondo intervento è stato quello di difendere alcune murature costruite ai piani superiori e poggianti impropriamente su travi in legno. In quel caso, attesa l’impossibilità di procedere con demolizioni invasive senza danneggiare significative vestigia storiche, si è ricorso all’uso di travature reticolari metalliche in aderenza alle murature lesionate: queste sono state realizzate con profili ad L di ridotto ingombro, attraversati da bardotti innestati sulle murature in numero, sezione e distribuzione tali da poter raccogliere i carichi delle pareti e riportarli ad idonei appoggi su murature di elevata solidità. In un caso alla travatura reticolare si sono appesi manufatti storici sottostanti, ciò grazie a barre di sospensione avvitate ai correnti del traliccio metallico. I profili, le barre ed i tiranti si sono potuti nascondere attraverso fodere o pannelli riportati sopra lo spessore delle pareti rendendoli invisibili all’utente. Un terzo intervento è consistito nel sostenere dall’alto una volta in foglio affrescata e che aveva subito un importante fenomeno di dissesto statico;2 difatti la rimozione di un’altra porzione di casa torre aveva prodotto

un cedimento relativo tra le pareti di coronamento della volta, con una visibile perdita di forma della volta stessa portandola all’imminente collasso. Il rinforzo è consistito nell’afferrare dall’alto numerosi punti della volta, tramite ganci solidarizzati da pasticche di resina epossidica in estradosso, a sua volta afferrati ad una sovrastante incastellatura di tubi da ponteggio con altrettante catene dotate di tenditori: si è potuto così ridare forma alla volta e successivamente si è applicato un doppio foglio di rete elettrozincata D = 1,5 mm maglia 20 x 20 mm sull’estradosso secondo il principio statico dell’Arco Armato, con un considerevole incremento della capacità portante e della duttilità per futuri eventuali cedimenti del perimetro della volta.

Note

1

2

Vedi F. Redi, Pisa com’era, archeologia, urbanistica e strutture materiali, Napoli, 1991. Cfr. M. Sassu, E. Alderighi, Restauro statico di una volta laterizia in folio per sollevamento e rinforzo estradossale, in Bollettino degli Ingegneri della Toscana, vol. XLVIII, n. 9, 2002.

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Congregazione delle Suore di Santa Marta

Restauro di Palazzo Quarantotti Progetto Alessandro Baldassari Collaborazione al progetto Camilla Cervetto Michela Pecenco Cristina Zeni Direzione dei lavori dei restauri pittorici Mariagiulia Burresi Consulenza per le strutture Mauro Sassu Consulenza per gli impianti Roberto Gonnelli Fausto Benedettini Giancarlo Jermini Impresa esecutrice Bonaccorsi Costruzioni Restauri pittorici Diane Villard Consorzio Il restauro Impianti meccanici Impianti industriali s.r.l. Impianti elettrici Coli Giuliano & Luciano Opere in ferro Romeo Bini Foto Mario Ciampi Alessandro Baldassari Architetti

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Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com – www.edizioniets.com Finito di stampare nel mese di novembre 2011

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Collana diretta da Alessandro Baldassari e Mariagiulia Burresi

“In tutte queste cose che si hanno da fare devesi avere per scopo la solidità, l’utilità, e la bellezza.” (Marco Vitruvio Pollione, De Architectura, liber I, 2)

Prossimi volumi: La chiesa di San Frediano a Pisa Le Logge di Banchi La chiesa di San Casciano a Settimo Palazzo Poschi in Pisa La chiesa di Sant’Andrea Forisportam a Pisa

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Il Palazzo Quarantotti a Pisa: studi e restauri a cura di

Alessandro Baldassari

Il Palazzo Quarantotti a Pisa: studi e restauri

La collana, inaugurata dal testo sul Palazzo Quarantotti, vuole presentare recenti recuperi di edifici storici pisani che - nel capoluogo e nel territorio - abbiano realizzato, oltre al restauro, inedite attività conoscitive (rilievi, documentazioni fotografiche, ricerche storiche e archivistiche…) e progetti di riuso o di valorizzazione. Dimore storiche, edifici ecclesiastici, edifici pubblici troveranno perciò, attraverso i volumi della collana, nuova vita con la possibilità di arricchire il patrimonio delle conoscenze del territorio, come ulteriore intervento di valorizzazione di se stessi e del contesto in cui si collocano, secondo le linee ideali tracciate dall’assunto vitruviano che richiama l’inscindibile rapporto, in architettura, tra Utilità e Bellezza.

E dilettando appaga…

UTILITÀ E BELLEZZA UTILITAS ET VENUSTAS

E dilettando appaga…

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