Giuseppe Lotti
PROGETTARE CON L’ALTRO necessità, opportunità
Edizioni ETS
A Nora e Maddalena che lo fanno, naturalmente Per Mohamed Bouazizi
Giuseppe Lotti
PROGETTARE CON L’ALTRO necessità, opportunità
Edizioni ETS
Alcuni dei progetti e delle ricerche presentati in questo libro nascono nell’ambito del Dipartimento di Tecnologie dell’Architettura e Design “P. Spadolini” e dei corsi di Disegno Industriale e Magistrale in Design della Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze.
Referenze Fotografiche: Flavia Veronesi e Stefano Visconti www.itacafreelance.it: pp. 8, 14, 18, 19, 42, 45, 47, 50, 64-65, 138 Maziar Boostandoost: pp. 22-23 Marco Marseglia: pp. 68, 69, 72.
© Copyright 2012 Progetto grafico Susanna Cerri www.edizioniets.com
Edizioni ETS Piazza Carrara 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione: PDE ISBN 978-884673343-6
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PROGETTARE CON L’ALTRO necessità, opportunità
Al momento il viaggiatore abbia S’è fatta notte, e i barb Taluni sono han detto che di barbari E adesso, senza barb Era una
dell’imbarco fate che cura di non portare in viaggio se stesso. Seneca, 4 a.c.-65 d.c.
ari non sono più venuti. giunti dai confini, non ce ne sono più. ari, cosa sarà di noi? soluzione, quella gente. Kostantinos Kavafis, 1908
Design che prende posizione a lato: Ganesha al computer, Mahabalipuram, India
Il mondo del progetto e, in particolare, il design hanno sempre avuto la capacità di anticipare i fenomeni della società. Addirittura, in alcuni momenti, hanno avuto l’ambizione positiva di determinarli, di prefigurare un modello di sviluppo e sociale alternativo. Così è avvenuto con il Razionalismo. Già Eduardo Persico, nel suo ultimo articolo del 1935 rimasto incompiuto scriveva: tramite la produzione di serie, l’oggetto non è più privilegio di pochi ma acquista la possibilità di entrare in ogni casa, diviene protagonista della vita di ogni giorno; il movimento per un’architettura e una decorazione moderna non ha quindi solo un carattere estetico ma si carica di valenze politiche, economiche, morali1. Mentre nel Secondo Dopoguerra Giulio Carlo Argan vedeva nel disegno industriale il mezzo per una qualificazione della massa quantitativa2 e Rosario Assunto rilevava come la quantità degli oggetti fosse strettamente collegata alla qualità di quanti con tali oggetti avranno a che fare3. Successivamente, di fronte all’emergere in tutta la sua evidenza della società dei consumi, si avvertono i limiti della professione del designer, che appare uno, tra i tanti persuasori occulti: per Filiberto Menna siamo di fronte ad un vero e proprio ridimensionamento della figura del designer “soprattutto se si considerano i compiti ad essi assegnati dalla cultura artistica dell’altro dopoguerra… Restare al di fuori di questo sistema non è possibile né avrebbe senso: l’artista lo sa e accetta di operare dentro il sistema ma per trasformarlo, anche se non più attraverso un’opera di redenzione totale, in cui non crede più, quanto mediante interventi circoscritti nell’ambito di situazioni particolari e ben determinate”4. Siano essi la prefabbricazione
cfr. Edoardo Persico, “La casa nuova”, scritto incompiuto, 1935, in Edoardo Persico (a cura di G. Veronesi), Tutte le opere (1923-1935), Edizioni di Comunità, Milano, 1964. 2 cfr. Intervento di Giulio Carlo Argan in Testo stenografico del I° Congresso Internazionale dell’Industrial Design, 1954. in Giulio Carlo Argan (a cura di Claudio Gamba), Progetto e oggetto. Scritti sul design, Medusa, Milano, 2003. 3 cfr. Rosario Assunto, L’integrazione estetica. Studi e ricerche, Edizioni di Comunità, Milano, 1959. 4 Filiberto Menna, Design, comunicazione estetica e mass-media, in «Edilizia Moderna», n. 85, 1965. 1
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a lato: Yves Béhar, OLPC One Laptop Per Child, Fuse Project
(Argan)5, la personalizzazione dell’oggetto di uso comune (Menna)6, l’”apertura” dell’opera (Eco)7. Poi l’Architettura Radicale ed il Controdesign, in stretto rapporto con il Movimento Studentesco, si fanno fautori di azioni dissacranti di denuncia contro il sistema – “è tempo di guerriglia, è tempo che il design si esponga al vento freddo ed alle vertigini dell’ignoto, che sconfini dai limiti – stagnanti ma sicuri – dei problemi civetta, dei problemi di distrazione, inventati dai potenti… Bisogna rilanciare messaggi, pensieri ed eventi, ma anche oggetti espressivamente violenti, al di là della decenza, della coerenza… il designer nudo del Duemila… sparerà nelle foreste all’impazzata dal proprio bazooka segnali negativi che siano l’incubo delle nostre notti…”8. Mentre, con la creatività di massa, si assiste al ribaltamento del ruolo del progettista demiurgo proprio del Razionalismo: la Global Tools auspica così un mondo in cui scomparirà la distinzione tra coloro che fanno arte da un lato e gli utenti dall’altro, in cui, come scrive Ettore Sottsass, tutti saranno artisti, tutti costruiranno la propria casa e i propri oggetti e l’arte coinciderà con la vita stessa9. È solo negli anni ’80 che, nell’ambito di una generalizzata deregulation, anche nel mondo del design si perde ogni pulsione di intervento sociale. Così nel Manifesto del Bolidismo: “Il bolide verace teorizza alla rovescia, ovvero prima agisce, poi pensa… Il Bolide verace ritiene l’ideologia un freno inutile e dannoso… Il Bolide verace non muore per nessuna causa… Il Bolide verace coltiva la ‘contraddizione’ come l’unica possibilità di adeguamento a velocissimamente mutatesi condizioni… il Bolide verace è un Bolide verace ma se ne frega di esserlo”10. Negli anni ’90, di fronte all’urgenza delle problematiche sociali (la recessione economica, il senso di colpa nei confronti dei problemi dei Sud del mondo) e, soprattutto, ambientali (la crisi energetica, le conseguenze di un’economia basata sull’usa e getta), il design recupera parte della tensione sociale che, da sempre, gli è propria. Le implicazioni di carattere ambientale richiedono un ripensamento tra quanti, a vario titolo, si interessano al design. I motivi appaiono evidenti: come progettista degli oggetti che ci circondano e, sempre più spesso, ci cfr. Giulio Carlo Argan, Progetto e destino, il Saggiatore, Milano, 1965. cfr. Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone, Einaudi, Torino, 1975. 7 cfr. Umberto Eco, Opera aperta. Forme e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, Bompiani, Milano, 1962. 8 Alessandro Mendini, Oggetti a uso spirituale, «Domus» n.535, 1974. 9 cfr. Ettore Sottsass, Creatività pubblica, «Domus» n.368, 1973. 10 Maurizio Castelvetro, Bolide verace, 1986 (inedito). 5
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assediano il designer appare corresponsabile del disastro ambientale e, parallelamente, con il proprio lavoro può contribuire a risolverlo. Una condizione, quella del designer che, dopo la fine dei grandi racconti, propria della Postmodernità, è necessariamente quella di “demiurgo debole”11. Rimane da capire in che cosa si concretizzi oggi l’impegno sociale del design. Sicuramente una sfida decisiva è ancora e sempre più rappresentata dalle problematiche ambientali. Negli ultimi anni, anche per effetto della crisi economica, l’attenzione verso l’ecologia è in crescita tra i progettisti e, in modo minore, tra le aziende. In Italia un contributo importante è venuto dalla scuola milanese e, in particolare, dal lavoro teorico e di ricerca di Ezio Manzini12. Parallelamente l’altra tematica importante sul piano sociale è rappresentata dal confronto interculturale. Le disparità tra Nord e Sud del mondo, i crescenti flussi migratori, l’affermarsi di una società inevitabilmente plurale sono sotto gli occhi di tutti. Ma ciò ha, solo in parte, avuto effetti nel mondo del design. Si assiste semmai ad una contaminazione strettamente linguistica – materiali, forme e colori – che, solo raramente, è legata ad una consapevole presa di posizione sul piano sociale. Eppure, come espressione materiale dei rapporti interpersonali, il design può farsi attore di mediazione verso la scelta interculturale – intesa nella sua accezione più contemporanea come confronto paritetico tra alterità a partire da fondamenti condivisi. E, in un tale contesto, l’Italia può giocare un ruolo importante. Per una vocazione naturale allo scambio: gli italiani sono per storia e tradizione popolo di migranti. Ma anche per lo spazio che il nostro paese occupa dal punto di vista geografico, come diaframma tra Nord e Sud del mondo. Così Stefano Boeri: “Eppure… il grande e profondo motore del design italiano può oggi ripartire. Può tornare a pompare forme e soluzioni, alimentandosi di esperienze pratiche e di nuove tecnologie, sfornando prodotti ad alto valore estetico e simbolico. Purché si abbandoni una volta per tutte una compiacente nostalgia (che favorisce solo coloro che sopravvivono grazie alla celebrazione di un mito) e si accetti di guardare in faccia la nuova realtà delle nostre città. 11
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cfr. Ezio Manzini, Artefatti. Verso una nuova ecologia dell’ambiente artificiale, Domus Academy, Milano, 1990. cfr. Carlo Vezzoli, Ezio Manzini, Design per la sostenibilità ambientale, Zanichelli, Bologna, 2007.
e gli stili di vita sono plurali, ma anche le tradizioni artigianali e i bisogni sono molto più articolati e complessi di tre decenni fa… è la sperimentazione, in una città mondo, dell’idea che il design possa tornare ad essere un fattore di coesione e integrazione sociale e culturale”13. Tutto ciò può avere ripercussioni importanti anche in ottica di mercato. Con Lidewij Edelkoort, una delle più importanti trends forecaster al mondo: “La gente è stufa di trovare gli stessi negozi, gli stessi marchi, lo stesso gusto ovunque… Il ‘global style’ non esiste, è stato creato dalle aziende ma non funziona più quando i consumatori viaggiano molto. La gente cerca sempre di più l’esperienza unica, personale e quindi il gusto e il cibo veramente locali, per riqualificare l’esperienza di viaggio… Come nel XVIII secolo ci fu una reazione alla serializzazio-
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Che sono oggi la culla di grandi società cosmopolite, dove non solo le pratiche del consumo
ne industriale in Inghilterra, e la nascita del movimento degli Arts & Crafts, così anche oggi la gente vuole soluzioni appositamente create per sé, coniate su misura del proprio desiderio”. E relativamente al ruolo dell’Italia, alla domanda se questa potrà occupare una posizione in primo piano: “…in teoria sì perché gli skills artigianali, per ora, in Italia ancora ci sono. Purtroppo però il livello dell’educazione nel settore del progetto e della moda, fatte poche eccezioni, non è alto, e i nuovi talenti non sono sostenuti come in altri Paesi. C’è una grande americanizzazione del Paese, anche sostenuta da una tv spazzatura che impera e ha effetti negativi sull’italianità intesa come senso innato del bello. Dall’altro lato, sostenere l’italianità non significa, come invece purtroppo accade, chiudersi allo straniero. È assolutamente necessario che, per crescere, l’Italia comprenda e accetti le migrazioni di massa e ne tragga tutti i possibili vantaggi a livello di interscambio culturale, estetico e di gusto. La capacità di aprirsi e accettare il nuovo sarà la chiave del futuro successo del made in Italy”14. Vittoria Franco, a proposito delle problematiche implicate dalla società multietnica, parla così di “Sfida creativa verso l’altro”15, un’espressione sicuramente efficace anche per il tema oggetto di questo testo.
Stefano Boeri, “Il design, la città e i desideri”, in Stefano Boeri, Lucia Tozzi, Stefano Mirti (a cura di), Geodesign. La mobilitazione dell’intelligenza collettiva. 48 progetti per Torino, Abitare Segesta, Milano, 2008, p. 8. 14 In Laura Traldi, Il design? Mai più ovvio e banale, «Interni» n.589, 2008. 15 cfr. Vittoria Franco, Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di Dio, Donzelli, Roma, 1996. 13
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Indice
Design che prende posizione
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La sfida dell’interculturalità
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Campi meticci
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Design con i Sud del mondo
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Progetti vicini
75
Il ruolo dell’Italia
91
Sistema Italia e sfida verso l’Altro
99
Attorno al Mediterraneo
113
I Sud hanno molto da insegnare
125
Bibliografia
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Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 in Pisa dalle Edizioni Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniEdizioni ETS.com www.edizioniEdizioni ETS.com
L’accrescimento del divario tra Nord e Sud del mondo, l’intensificarsi dei flussi migratori, l’affermarsi di società sempre più plurali pongono nuove sfide al design, per tradizione, strumento di intervento nel sociale. Se è vero che dal mondo del progetto, in un’ottica necessariamente interdisciplinare, può venire un contributo in termini di sviluppo sostenibile e come supporto all’affermazione di un modello realmente interculturale, è altrettanto vero che ciò può rappresentare un’opportunità a livello di scambio di conoscenze, savoir-faire e di crescita culturale e produttiva. In tale scenario l’Italia, per posizione geografica e per naturale propensione all’incontro, può svolgere un importante ruolo; senza perdere il legame con i territori e le capacità che esprimono ma aprendosi, con intelligenza e misura, al nuovo che proviene dall’altrove. Giuseppe Lotti, ricercatore, è docente di Disegno Industriale all’Università di Firenze e vicepresidente del Corso di Laurea in Disegno industriale. È autore di pubblicazioni sul design e curatore di mostre in Italia e all’estero. Dal 2010 è direttore del Centro Studi Giovanni Klaus Koenig.
ISBN 978-884673343-6