MENTE MATEMATICA
Iconografia di una tensione
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Iconografia di una tensione
Paolo Pagli
Paolo Pagli
MENTE MATEMATICA
Esiste nell’uomo la tendenza a creare con la mente strutture semplici, regolari, stabili, in contrasto con il flusso degli eventi del mondo. Una tensione che induce a vedere forme e descrivere con queste la realtà informe, interna ed esterna. L’autore chiama questa tendenza “mente matematica”. Ma non è una modalità della mente indotta dalla matematica: al contrario quest’ultima ne deriva, nelle culture e nelle epoche in cui è emersa. E anche con questo esito, la mente matematica continua a esistere e manifestarsi, eterna, svincolata dalla disciplina nata da essa. In queste pagine si ripercorrono alcune espressioni della mente matematica, nel tempo e nello spazio, allo scopo di rendere consapevole e nuovamente “nostra” questa caratteristica della condizione umana, quasi sempre perduta nel difficile rapporto con le narrazioni scolastiche della matematica. Paolo Pagli è docente di Fondamenti della Matematica presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Siena. Oltre alle basi logiche e alla storia della disciplina è da sempre interessato a individuare i modi peculiari con cui la matematica e l’atteggiamento matematico esprimono la nostra umanità. Per ETS ha pubblicato La rana di Bashoˉ. Un haiku e cento anni di traduzioni italiane (2006).
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Norio Nagayama, Enso¯
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VI
CURVE SENZA FINE
La Rotonda di Montesiepi, in cima a una collina su una deviazione della strada che congiunge Siena con Massa Marittima, fu eretta alla fine del XII secolo nel luogo dell’eremo di Galgano. Galgano, figura storica, era nato a Chiusdino, nella zona, e, secondo una biografia leggendaria, dopo una vita dissipata ma ancora giovane, in seguito a sogni e visioni, si dedicò a vita eremitica a Montesiepi, e incastrò in una roccia sulla cima del colle la sua spada trasformandola in una croce. Morì nell’eremo solo un anno dopo nel 1181. Già nel 1185, quando fu proclamato santo, venne eretta la piccola chiesa, a pianta circolare, cui furono fatte aggiunte nei secoli successivi. In seguito, alla base della collina, sorsero il monastero cistercense e la grande chiesa, che rimasta senza il tetto e con il pavimento coperto di erba, costituisce oggi un monumento famoso. La piccola Rotonda ha una cupola racchiusa all’esterno da un tamburo e una decorazione interna di 23 cerchi di mattoni rossi, sullo sfondo del tufo chiaro, conclusi da un inserto dello stesso colore a chiusura della volta.
Rotonda di Montesiepi (sec. XII). Interno della cupola.
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VII
LE SFERE E LA ROSA
La Commedia di Dante si compone di tre Cantiche, rispettivamente di 34, 33 e 33 canti, per 14223 versi (endecasillabi) complessivi. Ci interessa qui solo un aspetto: la concezione del mondo. La cosmogonia dell’autore è quella della cultura del suo tempo, vale a dire la grande sintesi, essenzialmente di Tommaso, tra la descrizione dell’universo visibile data dai Greci e il mito biblico della creazione. Dante introduce una sola novità, una proposta escatologica relativa al destino dei salvati espressa in una stupefacente, grandiosa immagine. Tranne quest’aggiunzione, tutto l’universo si dispiega secondo forme geometriche: sfere rotanti, concentriche e sincronizzate che rivelano la base greca. Ma si tratta di una sintesi qualitativa, non di un vero modello matematico (che tenga conto degli aspetti quantitativi), che verrà con Kepler, Galileo e Newton. Lo sforzo è la descrizione visiva sia di ciò che si può vedere sia dell’altra realtà. La tensione imaginale di Dante forgia con le concezioni dell’epoca la più grande rappresentazione dell’universo, della sua costruzione e del nostro destino in esso mai formulata dalla condizione umana.
Paradiso. Canto XXXI, illustrazione di Gustave Doré (1861-1868).
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Michelangelo Cactani, La materia della Divina Commedia di Dante Alighieri dichiarata in VI tavole, 1855.
ri del tempo ma nel tempo perché incompleta, con i posti per le anime future (nella tavola di Cactani è posta “sotto” l’Empireo). Ancora al di là, l’ultima transizione ontologica, che Dante non può compiere: dalle realtà precedenti create all’Increato, cioè Dio. Tutto quindi, visibile e invisibile, transeunte e immutabile, ab aeterno e con un inizio nel tempo, è inquadrato in una costruzione regolare: una grandiosa armonia di sfere concentriche, rese “visive” da Dante. La rappresentazione del reale è totale e assomma fisica, metafisica, cosmologia, teologia e, unico elemento non propriamente geometrico, ma di quasi totale simmetria, la costruzione escatologica della Rosa che è, per alcuni! il nostro destino2. In seguito, e oggi, verranno date visioni più corrette (la fusione di matematica ed esperienza che è la scienza moderna) dell’Universo. Mai più si avrà una visione così onnicomprensiva, con un ruolo nostro così estetico e insigne, né un cantore di pari altezza. Nella seconda metà del XX secolo è stato osservato che le due realtà, “visivamente” non armoniche di Dante (i due sistemi di sfere che rappresentano il visibile e l’invisibile) potrebbero “unificarsi” geometricamente, mantenendo la distinzione ontologica, in un’unica sfera a quattro dimensioni. Però per questo non sono sufficienti le intuizioni della mente matematica, ma occorre il pieno vissuto della matematica
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VIII
LA FORMA DEL DESTINO
Jeroen Anthoniszoon van Aken, detto Bosch (c. metà del XVI sec., 1516), il grande pittore visionario “…dipinse macabre pitture di spettri e orribili fantasmi dell’inferno…”, secondo la (riduttiva) interpretazione di uno dei suoi primi studiosi, una generazione dopo la morte. Qui compare con la consueta forza fantastica e insieme con insolita semplicità. La composizione è parte di un trittico composto di tre coppie di pannelli, di cui sono rimaste le due coppie laterali, il Paradiso e l’Inferno, mentre è perduta quella centrale, un Giudizio Universale.
Hieronymus Bosch, L’ascesa all’Empireo (1500-1504). Venezia, Palazzo Ducale. Foto per gentile concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
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Nella costruzione di Dante, la scena raffigurerebbe il passaggio all’Empireo, all’Invisibile, verso la Rosa. Bosch vede il luogo della transizione come un elemento regolare, un immenso cilindro. La semplicità e la simmetria, anticipo forse della diversa realtà in cui si viene immessi, contrastano nettamente con le sei figure delle anime (ancora corporee: forse solo al di là del passaggio regolare svanirà quella forma irregolare!) e anche degli angeli-guida con la loro dispersione di estremità: braccia, gambe, ali. La spirale che compiono, a segnare la fatica del moto, la resistenza, il timore del transito, contrastano con la linearità del grande spazio sagomato che reca all’Altrove. Se in altro luogo (e qualche secolo prima) delle curve concentriche erano ritenute un mezzo sufficiente per arrivare a percepire, forse, ciò che esiste oltre, in Bosch infiniti cerchi “saldati”, cioè uno spazio cilindrico, sono ancora il tramite reale del transito. Nella Rotonda di Montesiepi l’eventuale contemplatore che si metteva in cammino con la percezione e la mente era da solo, con la sua aspirazione, qui (come nella Commedia del resto) le anime fruiscono di un ausilio. Ma soprattutto, l’esperienza della Rotonda (potenzialmente per tutti) e anche, nella finzione narrativa, la visione (privilegiata) di Dante, coinvolgono persone viventi: in Bosch il dramma del destino escatologico è rigorosamente solo dopo la morte, e non è detto il modo della misteriosa anticipazione da parte sua. Una implicita sfiducia o minore fiducia nelle possibilità umane? Rimane invariata comunque l’ipotesi di una struttura regolare che collega il mondo terreno e l’Assoluto.
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IX
LE TRAME COLORATE
I labili e intermittenti contatti di terre tra il continente americano e l’Eurasia, poi definitivamente interrotti oltre 20.000 anni fa, hanno fatto sì che le popolazioni paleolitiche asiatiche “emigrate” nell’America priva di presenza umana, creassero culture indipendenti da quelle del vecchio Continente. Una nuova occasione (un nuovo laboratorio) per lo sviluppo della condizione umana. I risultati sono noti e “anomali”: l’America non ha mai conosciuto i metalli (se non per ornamento), e quindi tutte le sue civiltà sono rimaste, in un certo senso, all’età della pietra; l’agricoltura è stata acquisita solo imperfettamente; non si sono avuti la ruota e l’arco architettonico, né, sembra, scritture fonetiche… Ma sono sorte egualmente grandi civiltà, “altre” e quindi, potenzialmente, l’occasione di un intenso confronto tra realizzazioni diverse della condizione umana. Abbiamo interrotto l’esperienza annichilendo tutte le culture autoctone e operando il genocidio delle popolazioni, in atto ancor oggi. La mente matematica naturalmente emerge anche nelle varie culture americane, ma è ormai impossibile ricostruirne le epifanie e i dettagli. I quipus erano un elemento della cultura degli Incas.
Quipu.
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Felipe Guamán Poma de Ayala, Nueva coronica y Buen Gobierno, scritto tra il 1580 e il 1620. L’autore era figlio di un ufficiale spagnolo e di una donna inca. Il testo contiene numerosissimi disegni che ritraggono la vita quotidiana nella società incaica.
In vari disegni illustrativi nelle antiche opere citate, i “quipucamayoc” (gli addetti ai quipus, che spesso li hanno in mano) sono rappresentati accanto a silos di cereali ecc. Cioè i numeri scritti nei quipus, come in ogni cultura organizzata del mondo, sono in primo luogo numeri contabili, di inventari. I quipus rappresentavano quindi uno degli strumenti essenziali dello stato incaico. Ci si chiede fino a che punto il concetto di numero degli Incas fosse astratto (perché ci sono “scritture” dello stesso numero di colori diversi?), e se accadde che i numeri diventassero argomento di studio e di interesse indipendente. Si era arrivati (e in che forma) a una matematica vera e propria? L’esperienza fu tragicamente interrotta, la memoria cancellata e tutta l’umanità ha perduto per sempre una sua raffinata costruzione concettuale.
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X
ANALOGIE LONTANE
La complessa storia dei giardini cinesi e di quelli giapponesi che ne derivarono, marca intanto la differenza tra le due civiltà. In Cina, mentre l’abitazione tende a essere formale, il giardino è concepito per contrasto più libero: è stato detto che la casa cinese è confuciana, il giardino taoista. In Giappone il giardino è sempre l’estensione della casa (o addirittura il viceversa), e ambedue sono all’insegna della “naturalità”, maggiore comunque che in Cina. Comune fu la volontà di ripetere i grandi paesaggi naturali, con le rocce a significare le montagne ecc. In Giappone dopo l’epoca Heian (794-1185), a partire dal XIII secolo, con l’influenza dello Zen (e la volontà di distaccarsi dalla tradizione di corte precedente), i giardini furono vissuti come oggetti da contemplare piuttosto che spazi da percorrere, e vennero annessi a templi. Alla fine del XV secolo nacquero i cosiddetti “giardini di pietra” (kare sansui: “paesaggio arido”). Conseguenza anche di eventi pratici (le guerre avevano quasi fatto sparire i ricchi mecenati che prima sostenevano economicamente lo Zen) furono il culmine della tendenza alla rappresentazione tridimensionale delle pitture cinesi Sung, sintetiche e quasi del tutto monocromatiche. Quindi solo rocce emergenti come da grandi profondità, sabbia, nessun elemento vivente tranne il muschio. Togliere alberi e piante separò i giardini dalla natura e dal ciclo delle stagioni, prima essenziale. Risultato sempre di scelte accuratissime e invisibili negli esiti, i giardini passarono da una rappresentazione sintetica del mondo (stato d’animo: mono no aware, empatia, partecipazione alla caducità) a una visione simbolica (yu¯gen: mistero). “Paesaggio arido” giapponese: il giardino Ryo¯an-ji (c. 1490) a Kyoto
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linee di forza di un campo di energie. Le pietre, ciascun gruppo organizzato con una gerarchia interna di altezza, inclinate, evocano un’emergenza dal profondo, senza materialità e trasmettono la tensione. Parlare di un mondo di essenze, ontologico, urta contro la realtà umile e presente della materia, anche se sublimata, e contro la psicologia immanente dei Giapponesi. Gli scopi interni, legati alla meditazione e alla visione dello Zen, non spiegano l’impressione per chi ne è del tutto ignaro. Possiamo leggerlo nella nostra ottica: se nel Daisen-in avevamo una visione in qualche modo matematica (geometrica) della realtà del mondo (il mondo trasfigurato dalla mente matematica), qui si è alla presenza dell’universo stesso degli enti matematici. Non un particolare modo di vedere la realtà, ma un’altra realtà, con un’epifania che non ha esempi in nessun altro luogo e nessun’altra cultura. Involontaria, certo passibile di altre interpretazioni, come risultato della ricchezza e dell’unità fondamentale della condizione umana.
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INDICE
Presentazione I Il frammento regolare II Sedimenti antichi
7 11 15
III Un messaggio enigmatico
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IV StabilitĂ nel tempo
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V Lo spazio organizzato
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VI Curve senza fine
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VII Le Sfere e la Rosa
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VIII La forma del destino IX Trame colorate X Analogie lontane XI Genesi XII Il percorso inverso
39 43 47 51 57
XIII Modelli ideali
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XIV Mutamento di ottica
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XV Il nuovo mondo
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XVI Assenza
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Epilogo
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Esiste nell’uomo la tendenza a creare con la mente strutture semplici, regolari, stabili, in contrasto con il flusso degli eventi del mondo. Una tensione che induce a vedere forme e descrivere con queste la realtà informe, interna ed esterna. L’autore chiama questa tendenza “mente matematica”. Ma non è una modalità della mente indotta dalla matematica: al contrario quest’ultima ne deriva, nelle culture e nelle epoche in cui è emersa. E anche con questo esito, la mente matematica continua a esistere e manifestarsi, eterna, svincolata dalla disciplina nata da essa. In queste pagine si ripercorrono alcune espressioni della mente matematica, nel tempo e nello spazio, allo scopo di rendere consapevole e nuovamente “nostra” questa caratteristica della condizione umana, quasi sempre perduta nel difficile rapporto con le narrazioni scolastiche della matematica. Paolo Pagli è docente di Fondamenti della Matematica presso la Facoltà di Scienze dell’Università di Siena. Oltre alle basi logiche e alla storia della disciplina è da sempre interessato a individuare i modi peculiari con cui la matematica e l’atteggiamento matematico esprimono la nostra umanità. Per ETS ha pubblicato La rana di Bashoˉ. Un haiku e cento anni di traduzioni italiane (2006).
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