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GESTIONE
STORIE di ATTUALITÀ gestione
Programmazione, il futuro della floricoltura non può più aspettare
di Benedetta Minoliti
Un tema centrale per il mondo florovivastico. Dalle problematiche alle prospettive, ne abbiamo parlato con alcuni attori del settore
STORIE di ATTUALITÀ gestione
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Le cifre emerse
• Il 90% delle aziende fa la programmazione 5/6 mesi prima. • Nel 2023 ci ritroveremo con una mancanza di prodotto del 20%. • I floricoltori italiani non sanno esattamente quante piante vengono prodotte. Il risultato? Il 20/30% del prodotto viene buttato.
Le to do list, o “liste delle cose da fare”, sono diventate indispensabili nel lavoro quotidiano di tantissimi. L’idea di programmare, attraverso un elenco, le proprie attività lavorative e non sembra essere diventato ormai indispensabile per essere non solo più produttivi, ma anche più ordinati, gestendo meglio le risorse e il tempo a nostra disposizione. La programmazione è una delle
tematiche più importanti anche nel
floroviviasmo. Perché, sembrerà banale dirlo, non è possibile pensare di presentare al consumatore finale un buon prodotto se prima non si è pensato adeguatamente a tutti gli step che lo porteranno, ad esempio, sugli scaffali di un Garden Center o in un negozio specializzato. Nonostante questo, però, come ha sottolineato Alessandro Fornasaro, agente di commercio in floricoltura, la strada da percorrere è ancora davvero molto lunga. «Siamo l’unico settore
in cui manca una reale programmazione, non c’è approccio scientifico o studio di settore. Di conseguenza, non si riesce neanche a dare il giusto
valore alle piante» ha spiegato. «Negli anni ‘80 bastava fare qualsiasi cosa e venivano su i soldi. Così, tanti si sono messi a fare fiori. Oggi, però, con la crisi, le nuove tecnologie e quant’altro, bisogna imparare a stare dietro alla programmazione, agli investimenti, ad una gestione economica migliore. Tutti elementi che, purtroppo, mancano nel nostro settore». Per provare a raccontare a che punto siamo con la programmazione in Italia e cosa si potrebbe fare per raggiungere degli standard comuni, anche in linea con il resto d’Europa, ab-
biamo sentito alcune voci del mondo del florovivaismo: Aldo Staboli, dirigente di Planta, Giorgio De Menech di Floricoltura Luca Maffucci e Stefa-
no Donetti, presidente di AICG.
OGNUNO HA IL SUO PUNTO DI VISTA, MA TUTTI SONO CONCORDI SU UN ASPETTO: L’IMPORTANZA DELLA PROGRAMMAZIONE
Dal primo anello della catena, il produttore, fino al venditore nei Garden
In Italia sulla logica della programmazione siamo drammaticamente lontani da quello che potrebbe essere considerato “fatto bene”
Aldo Staboli, Planta
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Center, e non solo, tutti concordano su un aspetto: la programmazione è pro-
babilmente l’aspetto più importante per il settore, da qualunque punto di
vista la si guardi. «La programmazione serve a far sì, tra i vari aspetti, che i produttori non ci rimettano». A spiegarlo è Stefano Donetti, presidente di AICG. «Abbiamo un mercato non facilissimo, dove ci sono prodotti che si possono programmare e altri meno, anche e soprattutto in base alle richieste del mercato. Quello che succede è che, purtroppo, ci si ritrovi con
una mancanza di prodotto da una parte e una sovrabbondanza dall’al-
tra. Questo, alla fine, comporta un ab-
bassamento dei prezzi, che in alcuni casi non riescono neanche a coprire i
costi di produzione». C’è anche chi, come Aldo Staboli, sottolinea come il lavoro da fare sia davvero ancora tanto: «In italia sulla
logica della programmazione siamo drammaticamente lontani da quello che potrebbe essere considerato “fat-
to bene”. Il rischio di produzione è totalmente nelle mani dei coltivatori, che fanno estremamente fatica ad avere dai clienti finali, che siano garden center o GDO, una programmazione adeguata.
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Il floricoltore si ritrova spesso ad essere troppo “debole”, non riuscendo a puntare i piedi e a dire: “Se non ho una programmazione non ti faccio la produzione”». A lavorare, però, su una programmazione ben strutturata è Floricoltura Luca Maffucci, tra le aziende leader in Italia per le piante in vaso, come ha ben spiegato Giorgio De Menech: «Noi
lavoriamo programmando in questi giorni (inizio novembre, ndr.) l’anno
agricolo 2023 - 2024. Lo facciamo con molto anticipo, e non è usuale, perché il 90% programma al massimo 5/6 mesi prima. Sicuramente è un rischio, visto l’aumento dei costi di tantissimi materiali e la crisi in atto». E proprio a proposito di crisi, non solo energetica ma anche dei materiali e del-
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Programmazione: cosa servirebbe per “farla bene”
• Un coordinamento, che si occupi di aiutare e unire ogni singolo elemento della filiera, dal produttore al consumatore finale • Una programmazione più condivisa tra i vari attori del settore • Sapere esattamente quante piante vengono prodotte nel nostro Paese. In Europa questi dati sono raccolti e forniti da Fleuroselect (di cui abbiamo parlato nello scorso numero di Agriflortec)
la manodopera, per fare degli esempi, tutti sono concordi: è una situazione che sicuramente incide negativamente sulla programmazione. «La crisi ener-
getica sta influendo pesantemente sul
nostro settore» ha sottolineato Donetti. «Probabilmente nel 2023 ci trove-
remo con una mancanza di prodot-
to del 20%. E poi, ci troviamo a non poter fare una programmazione certa perché non sappiamo quanto potrebbe costare domani il bas, e questo è un bel problema». «In altri Paesi, come ad esempio Francia e Germania, i produttori si stanno facendo sentire» ha spiegato invece Staboli. «Se non hanno delle sicurezze, Quella che servirebbe in Italia è una programmazione più condivisa. In Italia manca proprio un coordinamento, che invece sarebbe fondamentale
Stefano Donetti non produrranno. Ed è probabile che vada esattamente così».
COSA FARE? «Quella che servirebbe è una pro-
grammazione più condivisa» ha detto Donetti. «Come AICG abbiamo già promosso progetti legati ad un certo tipo di programmazione, e saremmo pronti a partecipare ad un tavolo condiviso con tutti i membri della filiera». Sulla condivisione, per raggiungere un obiettivo comune, la risposta sembra essere unanime. «Se ognuno guarda nel
proprio giardino, come avviene adesso, il risultato è un’eccedenza di prodotto, con conseguente abbassamen-
to dei prezzi». «In Italia manca proprio un coordinamento, che invece sarebbe fondamentale per il settore. Mancano le catene di garden center e GDO che lavorino con programmi su larga scala, e non negozio per negozio, e ovviamente manca la forza del produttore, che per paura di non vendere decidere di accettare un po’ quello che capita». Quello che servirebbe, come è tornato a sottolineare il presidente di AICG, è un tavolo condiviso. Un momento in cui si pensi ad una programmazione condivisa che veda coinvolto il consumatore finale, che deve essere ascoltato, i garden center e ovviamente i produttori.
«Così, si può provare a rispondere ad una serie di domande: Come sta andando un determinato prodotto? Come possiamo farlo andare di più? In che modo possiamo veicolarlo per renderlo più appetibile al consumatore, con delle promozioni che siano di valore e non sul prezzo? E, soprattutto: quale prezzo è disposto a pagare il consumatore? Questa, alla fine, è
una delle cose più importanti». Un problema, da non sottovalutare, è quello del reperimento dei dati. A sottolinearlo è De Menech: «Noi floricoltori non sappiamo esattamente quanto prodotto viene coltivato in Italia. Se oggi non va la stella di Natale, per esempio, nessuno la fa e si metterà a produrre altro. Se domani si vende bene
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la diplodenia, tutti la produrrano, con conseguente difficoltà di vendita e di prezzi. Il risultato concreto: un 20/30% di prodotto buttato». «Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia delle informazioni su cosa e in quale quantità viene prodotto nel nostro Paese» ha continuato. «In Europa c’è Fleuroselect che si occupa di questo aspetto. Loro sanno esattamente, in tutti i Paesi europei, cosa viene coltivato. Tutti, tranne l’Italia».
Serve, quindi, non un’unione simbolica della filiera, ma un vero e proprio coordinamento che si occupi di
aiutare ogni singolo elemento, dal produttore al cliente finale, in una programmazione che sia adeguata, dove si provi anche a rischiare, provando ad uscire dalle produzioni più “banali” per proporre delle novità. «Fare una programmazione per tutta la stagione non è più sostenibile, è rischioso e difficile» ha spiegato Aldo Staboli. «Ma non farla non è di certo un’opzione. Bisogna provare a stare nel mezzo, tenere gli occhi aperti ed essere flessibili, ricordandosi che non si può più avere solo un piano A, ma anche diversi piani B».
I floricoltori italiani non sanno esattamente quanto prodotto viene coltivato in Italia. Il risultato concreto di tutto questo è che poi un 20/30% di prodotto viene buttato via
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Giorgio De Menech, Floricoltura Luca Maffuci
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