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i metri di altitudine di Pietrapertosa, in Basilicata pag

di queste Alpi in miniatura. Una corona di guglie arenarie dalle forme più bizzarre e dai nomi fantasiosi – l’aquila reale, l’incudine, la grande madre, la civetta – che hanno stimolato nei secoli la fantasia degli abitanti. Ai piedi di questi monti, fra le rocce, sorgono borghi dove volano le aquile e nidificano le rare cicogne nere. Intorno, c’è una verde distesa di 4.200 ettari, a cui si aggiungono gli imponenti esemplari di cerro, tigli, aceri e agrifogli del Bosco di Montepiano. Tutti insieme formano il Parco regionale di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane che si estende tra la provincia di Matera, con i borghi di Accettura, Calciano e Oliveto Lucano, e quella di Potenza con Castelmezzano e Pietrapertosa, entrati nel circuito dei Borghi più belli d’Italia. Chi vuole regalarsi una vacanza in questi incantevoli luoghi può iniziare proprio dalla scoperta del cuore antico di Castelmezzano, dove la roccia sembra emergere dalle viscere terrestri e le abitazioni arroccate sono incorniciate da lastre di arenaria. Il piccolo borgo prende il nome dal Castrum Medianum, un castello normanno che sorgeva nella zona di cui si possono ammirare le rovine delle mura. Dal centro, salendo su una rampa di scale, si raggiunge la cima del borgo, da cui si può godere una vista mozzafiato sul Parco regionale. Un tempo questi territori pullulavano di briganti che trovavano rifugio nei numerosi nascondigli naturali, disseminati tra le rocce e la rigogliosa vegetazione, di cui si conserva memoria nei racconti dei locali. Così come altrettanto radicate nel folklore sono le storie delle famose masciare, le fattucchiere lucane, impropriamente definite streghe, oggetto di una ricerca da parte dell’antropologo Ernesto De Martino. Su un antico sentiero contadino di circa 2 chilometri che collega Castelmezzano e Pietrapertosa si snoda il suggestivo Percorso delle sette pietre. È un itinerario letterario ispirato dai racconti, tramandati oralmente da generazioni, su cui si fonda il testo Vito ballava con le streghe di Mimmo Sammartino. Il visitatore può compiere un viaggio nel mondo della magia lucana, con l’ausilio di sette totem su cui sono indicate altrettante parole chiave – destini, incanto, sortilegio, streghe, volo, ballo, delirio – relative alle storie narrate nel libro. Per chi, invece, volesse provare un’esperienza adrenalinica c’è il Volo dell’angelo: sospesi tra cielo e terra è possibile vivere l’ebrezza di scivolare lungo un cavo di acciaio tra due stazioni posizionate a Castelmezzano e Pietrapertosa, toccando i 120 Km/h su una distanza di 1.452 metri. Abbarbicato a 1.088 metri sul livello del mare, Pietrapertosa è il comune più alto della Basilicata. Il suo nome deriva dalla grande roccia bucata che si trova all’ingresso del paese: in dia-

Castelmezzano (Potenza)

© Samuele Scartabelli

CALZONCELLI ALLE CASTAGNE

di Sandra Jacopucci Tipici di Pietrapertosa e Castelmezzano, diffusi in tutta la Basilicata e, con delle varianti, anche in altre regioni, i calzoncelli alle castagne sono legati da secoli al Natale. Per il ripieno si fa bollire mezzo litro di acqua con 400 g di zucchero, si aggiungono due cucchiai da cucina di cacao amaro, un kg di farina di castagne e cannella a piacere. Il composto deve cuocere per circa 15 minuti e va lasciato raffreddare. Per l’impasto: semola di grano duro, uova e pochissimo olio d’oliva. La sfoglia deve essere molto sottile. Una volta formati i classici piccoli quadrati, farcire con il composto di castagne e friggere, possibilmente, in olio extravergine di oliva leggero. Una spolverata di zucchero a velo simulerà una dolce nevicata natalizia. letto, “pietraperciata” significa appunto “pietra forata”. Dominato dal Castello normanno costruito su una precedente torre saracena, a picco sulla valle del Basento, è riuscito a mantenere nel tempo la fisionomia medievale. Il centro storico è impreziosito dall’Arabata, suggestiva testimonianza del popolo che dominò il territorio per circa 50 anni: una stretta linea di vecchie case contadine collegate tra loro da un fitto dedalo di cunicoli, che si insinua tra le pareti di roccia arenaria. Assolutamente da visitare è la chiesa madre intitolata a San Giacomo Maggiore che custodisce un affresco di Giovanni Luce da Eboli, ispirato al tema del Giudizio universale, risalente ai primi decenni del ‘500. Fedelmente alle sacre scritture, in particolare all’Apocalisse, rappresenta con vivida efficacia la resurrezione dei morti e il destino delle anime, ambientati singolarmente in un paesaggio dove è possibile riconoscere i tipici calanchi argillosi e le guglie di arenaria delle Piccoli Dolomiti lucane. Questa terra è ricca di storia e di tradizioni come gli antichissimi culti arborei, che affondano le radici nell’animismo, celebrati ad Accettura, Oliveto Lucano, Pietrapertosa e Castelmezzano. Uno dei più noti è il rito dello sposalizio del Maggio e della Cima: la rappresentazione dell’unione tra un albero ad alto fusto, un cerro (il Maggio), che rappresenta il maschio, e una Cima, la regina del bosco, solitamente un agrifoglio. I due alberi vengono tagliati e trasportati con un rito particolarmente suggestivo che culmina con una coloritissima e chiassosa festa popolare. Un ultimo consiglio, per chi passa da queste parti, è quello di assaggiare le specialità locali: i famosi peperoni cruschi, il maialino nero cotto a bassa temperatura, l’agnello delle Dolomiti al timo selvatico con funghi, la costata di podolica alla brace e il mitico baccalà alla lucana.

Chiesa e convento di San Francesco, Pietrapertosa (Potenza)

di Peppone Calabrese PepponeCalabrese peppone_calabrese [Conduttore Rai1, oste e gastronomo]

LA TERRA DELL’ALLEGRIA

A BATTIPAGLIA PER SCOPRIRE LE TRADIZIONI DELLA PIANA DEL SELE, TRA EDIFICI MEDIEVALI E UN’OSTERIA STORICA CHE RIPROPONE I SAPORI DI UNA VOLTA

«B attipaglia, stazione di Battipaglia». Sento questo messaggio registrato dal tono ormai familiare sul treno che mi accompagna a casa dopo un viaggio alla scoperta di territori da raccontare. Battipaglia è anche la città della squadra di calcio che, prima di finire tra i club dilettanti, è stata rivale della mia Potenza in tante sfide sul campo. Ed è l’uscita autostradale che molti prendono solamente per fermarsi in un caseificio a comprare le mozzarelle di bufala o per raggiungere il Cilento. Insomma, la curiosità di scoprire qualcosa in più su questa città è legittima e quindi, durante uno dei miei viaggi verso la Basilicata, decido di fermarmi a visitarla. Prima di scendere dal treno ho cercato qualche informazione sul web e sul sito del Comune in provincia di Salerno leggo che, «sebbene tre piccoli nuclei abitativi fossero già presenti sin dal 13esimo secolo (uno vicino al castello, uno vicino al Tusciano e un altro vicino alla chiesa di San Mattia), l'abitato attuale nacque ufficialmente nel 1858 per volontà di

Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, come colonia agricola nel territorio comunale di Eboli». Il Regno fece costruire le cosiddette “comprese”: 20 edifici che dovevano accogliere più di un centinaio di famiglie di terremotati provenienti dalla Basilicata. «L'età prevista per gli abitanti era compresa tra i 25 e i 40 anni, essendo richiesta inoltre una rigorosa condotta politica e religiosa, oltreché una costituzione consona al lavoro. Ai nuovi abitanti vennero forniti i mezzi necessari per incentivare l'agricoltura e la bonifica di questa porzione di Piana del Sele». Quando arrivo sono le 12, la giornata è bella, il sole è tiepido e la temperatura piacevole. Il piazzale della stazione è pieno di gente, ci sono diverse attività commerciali e tante macchine che transitano. Passeggio un po’ per le strade ordinate della città campana, chiedo informazioni su cosa vedere a una signora anziana, molto curata nell’abbigliamento, che mi indica il castello come vanto del luogo da visitare assolutamente. Si tratta di un edificio medievale – detto anche Castelluccio – realizzato intorno all’anno Mille probabilmente su commissione di Roberto il Guiscardo, il condottiero normanno menzionato anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Come accadde per molti manieri della zona, a un certo punto Federico II di Svevia ne prese possesso. Il castello si trova infatti sulla collina che domina la città: una posizione strategica da un punto di vista militare, ma anche politico e simbolico. Arrivo lì davanti e mi sembra di stare in una favola: è forse uno dei più belli d’Italia, attualmente di proprietà privata. Quando torno in città è l’ora di pranzo e chiedo a due ragazzi dove poter mangiare qualcosa di autentico. Non hanno dubbi, devo andare a pranzo da Giggino. Pochi passi e sono in via Fratelli Bandiera, cuore del centro urbano di Battipaglia. Entro nell’osteria e il tempo sembra essersi fermato agli anni ‘70: televisore in bianco e nero, frigorifero con la manopola, tavole con posate, bicchieri e piatti tutti diversi tra di loro, cesti di vimini e cassette rosse e gialle con dentro le bottiglie di vetro in cui travasare il vino. Questo è lo scenario che mi accoglie da O’ vicolo ‘e l’allerìa. Un ragazzo mi fa accomodare e immediatamente mi chiede se voglio acqua liscia o gassata, in bottiglia o dal rubinetto. Gli rispondo che va bene la seconda e mi dice di alzarmi e andarmela a prendere. Arrivo davanti a un rubinetto dove se giri una manopola esce l’acqua gassata, se ne giri un’altra esce quella liscia. A fianco ci sono alcune bottiglie vuote: ne riempio una e vado a tavola. Dopo pochi minuti arriva un altro ragazzo con un cappello in testa, ha la barba e la faccia molto simpatica. «Piacere, Giggino», si presenta. «Cercavo proprio te», gli rispondo. E sorridiamo. Poi comincia a raccontarmi la storia della sua osteria, diventata ormai un punto di riferimento nella zona: «Avevo cercato fortuna al Nord, a tanti chilometri dalla mia Battipaglia, senza sapere che il futuro mi avrebbe riportato a pochi passi da casa», continua. Giggino, al secolo Luigi Cammarota, decise infatti di mettere fine al periodo di emigrazione per tornare nella sua città

natale e avviare un’attività che ricordasse la casa e i piatti dei suoi nonni. «Così è nato O' vicolo ‘e l’allerìa, una piccola trattoria che propone ogni giorno specialità diverse, a seconda delle stagioni, cercando di replicare quella che era la cucina delle nonne. Vino sfuso, bevande rigorosamente di etichette storiche, un po’ di musica e tanta allegria a fare da cornice a quello che rappresenta un vero e proprio fortino dove sopravvivono gli antichi valori della tavola tradizionale e i sapori di una volta». Sono incuriosito dal nome e chiedo informazione sulla sua genesi. Giggino mi guarda e mi chiede se conosco il gruppo musicale napoletano La maschera. Visto che la mia espressione è eloquente, riprende: «Il nome è un omaggio a questa band storica di Napoli, i componenti sono amici carissimi e hanno anche inaugurato il locale, il 10 maggio del 2017. Il giorno dell’apertura chiesi ai partecipanti di non portare fiori né oggetti di buon augurio, ma solamente piatti, posate e bicchieri di diversa natura che ricordassero la tavola dei nonni». È arrivato il momento di ordinare e Giggino mi suggerisce pasta e patate o pasta e fagioli. Non si trovano nel menù ma sono diventati il cavallo di battaglia del locale. Scelgo la prima opzione e subito dopo si siedono al mio tavolo un ragazzo e una ragazza, Valerio e Stefania, che sembra siano di casa. Si presentano e capisco che qui è normale accomodarsi insieme agli altri clienti al “tavolo della condivisione”. Mi raccontano che l’attività di Giggino si è molto evoluta grazie a diversi progetti paralleli. In primis l'idea di creare, insieme al grafico e videomaker Benedetto Battipede, il marchio ‘O panaro ‘e fami-

© Benedetto Battipede

Giggino, oste del ristorante O’ vicolo ‘e l’allerìa

glia, per raccontare le storie della città e dei suoi prodotti tradizionali come il vino bianco e quello rosso, dedicati a zi’ Luigi e zi’ ‘Ntunetta, i due nonni di Giggino, l’Amaro tusciano, che porta il nome del principale fiume cittadino, e le mozzarelle Le Comprese che omaggiano le origini di Battipaglia. I due ragazzi seduti al mio tavolo percepiscono il fascino esercitato su di me da questa storia e quasi all’unisono declamano: «Ammor miii...benvenuti! ‘O vicolo ‘e l’allerìa chillo d’ ‘a nonna mia. Battipaglia!». Poi Stefania aggiunge: «Questo è il grido di battaglia che Giggino proponeva nelle sue dirette durante il lockdown, rigorosamente a pranzo e a cena. Era un modo per far compagnia alle persone e mangiare virtualmente con loro». Passano dieci minuti e Giggino si avvicina al tavolo e mi porta il piatto di pasta e patate. Prima di iniziare a mangiare gli chiedo quale sarà il prossimo progetto e lui mi parla della torta fritta accompagnata da prosciutto crudo e parmigiano, pensata come omaggio alla famiglia Baratta che nel 1920 decise di venire da Parma sino alle porte della Piana del Sele, dando lustro per decenni alla città. E poi del “piatto dei ferrovieri”, pietanza di recupero costituita da penne lisce con uova, parmigiano, salsiccia secca e rosmarino, omaggio a una delle stazioni ferroviarie più importanti del Sud Italia. Giggino mi guarda e seriamente mi dice: «Mangiare al Vicolo non vuol dire solamente tuffarsi nel passato e riscoprire i sapori d’un tempo, ma può significare anche tornare a casa con una cartolina. Ne diamo una a fine pasto, offrendo anche un francobollo, la facciamo scrivere al cliente e poi la inviamo, con l’intento di portare il nome di Battipaglia in tutta l’Italia. Durante questi cinque anni ne ho consegnate oltre tremila». Gli dico che per me lui è un vero oste. E lui risponde che ha un solo obiettivo: «Far innamorare i giovani di questa figura che sta ormai tramontando nel mare magnum di chef, bartender ed esperti di nouvelle cousine». Per farlo basta prendere un treno, fermarsi a Battipaglia, e poi cominciare a cantare «…Vien’ cu’ ‘mme, t’ port’ indo’ O’ vicolo ‘e l’allerìa». A mangiare una pasta e patate commovente.

Le cartoline di Battipaglia che Giggino consegna ai clienti della sua osteria

© Benedetto Battipede

di Padre Enzo Fortunato padre.enzo.fortunato padrenzo padreenzofortunato

[Giornalista e scrittore]

UNA CULLA DIVINA

DA BETLEMME A ROMA, DOVE LA BASILICA DI SANTA MARIA MAGGIORE CONSERVA ANCORA I LEGNI DELLA MANGIATOIA CHE, SECONDO LA TRADIZIONE, ACCOLSE LA NASCITA DI GESÙ

Fu San Francesco a comporre il primo presepe della storia, dando vita a una tradizione che si sarebbe presto radicata nel cuore delle famiglie cristiane. Nel 2023 si celebreranno gli 800 anni dalla rappresentazione della Natività realizzata a Greccio, nel Reatino. La genesi di questa devozione è raccontata nella Vita prima di Tommaso da Celano, che riprende le parole del santo: «Vorrei rappresentare il bambino nato a Betlemme e, in qualche modo, vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Ecco il nucleo fondamentale del primo presepe: il suo cuore è la mangiatoia. Il racconto della presenza dei due animali pro-

babilmente proviene dai vangeli apocrifi e, forse, San Francesco li scelse per verosimiglianza: a Betlemme l’asino era il mezzo di trasporto più usuale e, assieme al bue, anch’esso espressione di mansuetudine, rappresenta la natura stessa che si inchina al Redentore. La parola presepe deriva dal latino praesepium, che significa mangiatoia. Scrive Luca nel suo Vangelo: «Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio». Questo gesto segna il distacco da ogni tradizione religiosa pagana, perché gli dèi del tempo antico avrebbero disdegnato una nascita così umile. Sembra di udire i vagiti del neonato deposto nella paglia, quando Dio, facendosi bambino, diventa uomo tra gli uomini. E quasi sicuramente proprio l’immagine, tanto naturale quanto poetica, di una madre che accudisce il neonato spinse papa Sisto III a realizzare, nel 432, una “grotta della Natività” all’interno della basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, allora chiamata Santa Maria ad praesepem. Situata sulla sommità del colle Esquilino, è una delle quattro basiliche papali e la sola ad aver conservato le originarie strutture paleocristiane. Solo secoli dopo Gregorio XI – papa dal 1370 al 1378 – decise di collocare in un tabernacolo, andato distrutto nel ‘700 durante alcuni lavori di ristrutturazione, diverse reliquie lignee che rappresentano i presunti resti della mangiatoia che accolse Gesù. Ancora oggi i fedeli possono contemplare e pregare davanti alla Sacra culla, al di sotto dell’altare maggiore della basilica, di fronte alla grande statua di Pio IX inginocchiato. Nel 1802, l’architet-

to Giuseppe Valadier realizzò un nuovo reliquiario e nel suo diario Opere di architettura e di ornamento, del 1833, scrisse: «Sono venerati nella basilica liberiana di Santa Maria Maggiore alcuni sagri pezzi di legno, impiegato alla formazione della Culla di Nostro Signore Gesù Cristo. La pietà della Sig. Duchessa di Villermosa Spagnuola, mossa da esemplare devozione, volle che questo sagro avanzo fosse posto in una preziosa custodia di oro e in parte di argento; per cui avendone pregato il Nunzio Apostolico, allora Mons. Benedetto Capelletti, oggi Eminentissimo Cardinale, questi volle onorarmi coll’affidare a me la direzione di tale ornamento». Nella stessa chiesa è custodita, in una teca donata da Pio IX, un’altra

UNA GIOIA MAI PROVATA

Enzo Fortunato Edizioni San Paolo, pp. 160 € 14 La storia del presepe inizia quasi 800 anni fa a Greccio, in provincia di Rieti, quando San Francesco organizza la prima rappresentazione vivente della nascita di Gesù. Per questo speciale anniversario padre Enzo Fortunato esplora i luoghi simbolo della tradizione: Betlemme, Greccio e Assisi, dove la basilica superiore custodisce una suggestiva raffigurazione della Natività. Tappa a Scala, in Costiera Amalfitana, per scoprire invece l’origine del canto Tu scendi dalle stelle.

© Jastrow/wikimedia

La Sacra culla conservata nella basilica di Santa Maria Maggiore

reliquia collegata al presepio: il panniculum, un piccolo pezzo di stoffa, della grandezza di una mano, che secondo la tradizione è un lembo delle fasce con cui Maria avvolse il suo bambino. Santa Maria Maggiore conserva ancora un’altra testimonianza dedicata alla nascita di Cristo: il primo presepe realizzato in scultura da Arnolfo di Cambio nel 1291, che oggi si può ammirare nel museo della basilica, prima collocato vicino alla “grotta”. L’architetto Giorgio Vasari ricorda che del gruppo sono sopravvissute solo cinque statue in marmo con le figure di San Giuseppe, due re magi in piedi, uno inginocchiato in preghiera, le teste del bue e dell’asino, alle quali si aggiunge una Madonna con Bambino, seduta su una roccia, che però non è attribuita al noto artista. Più di un oggetto devozionale di questa basilica ricorda la Santa notte. E anche se oggi durante le Feste, a differenza del passato, la Sacra culla non può essere più esposta nella navata centrale tra i fedeli a causa del cattivo stato di conservazione, si può dire che un filo invisibile, ma molto resistente, collega Betlemme, in Terra Santa, a Greccio e a Roma.

ASPETTANDO IL 2023

DA NORD A SUD, SONO TANTI GLI EVENTI PER ACCOGLIERE IL NUOVO ANNO IN ALLEGRIA. TRA CONCERTI E MARATONE, ESCURSIONI IN MONTAGNA E DJSET

di Irene Marrapodi

Lo show dei Black Blues Brothers al Teatro Toniolo di Mestre

© Lorenzo Breschi

Il concerto di Capodanno a Lucca nel 2017

Raffinate pièce teatrali e spettacoli comici, concerti classici e djset, performance acrobatiche e maratone. Dopo le tradizionali Feste in famiglia, si pensa a come trascorrere l’ultimo dell’anno e l’offerta, da nord a sud della Penisola, è ampia e variegata. BOLZANO IN GARA, TEATRI A MILANO Una partenza adrenalinica, per congedarsi dall’anno passato ed entrare con gioia e fiducia in quello successivo, è la proposta di Bolzano, che dal 1975 organizza la famosa corsa di San Silvestro. Chiunque può partecipare in modo amatoriale, camminando, correndo o, perché no, pattinando, a fianco di professionisti dell’atletica e campioni olimpici. E se a Milano il Teatro Carcano affascina con le evoluzioni della Compañía de Circo “eia”, quello degli Arcimboldi porta in scena lo show del comico Checco Zalone Amore + Iva, tra imitazioni e parodie. Meno eccentrico è il Capodanno di Venezia: come da tradizione, il 29, 30 e 31 dicembre e il 1° gennaio al Teatro La Fenice è in programma il concerto con orchestra e coro guidato dal maestro britannico Daniel Harding. All’incanto di un grande classico, che andrà in onda il primo giorno dell’anno su Rai1, il Teatro Toniolo di Mestre risponde con una proposta alternativa: lo spettacolo dei Black Blues Brothers, acrobati kenyoti pronti a trascinare il pubblico verso il 2023 tra salti mortali ed eleganti evoluzioni. A Bologna, invece, il 31 dicembre e il 1° gennaio, la compagnia teatrale Bit interpreta nel Teatro Arena del sole il grande classico A Christmas Carol Musical, tratto dalla più famosa opera sul Natale di Charles Dickens. Con danze e canti, tanta festa, un pizzico di malinconia e l’immancabile lieto fine. A Rimini, la sera di San Silvestro è fiabesca: l'antica fortezza Castel Sismondo è accesa da fuochi e luci che, a tempo di musica, danno vita a uno scenografico incendio colorato. E durante la notte i musei della città aprono le porte – gratuitamente – ai visitatori. MUSICA A PERUGIA E WE RUN ROME Lucca, piccolo gioiello nell’alta Toscana, celebra le feste con un’offerta così variegata da soddisfare tutti, tra musica, installazioni, visite guidate e piste di pattinaggio. Per gli amanti della classica, la sera del 31 dicembre, nell’ambito del festival Puccini e la sua Lucca, si svolge nel Teatro del Giglio il grande concerto di San Silvestro, mentre gli spettacoli di strada animano il centro storico. Passeggiando per la città, è inoltre possibile ammirare le installazioni dei designer Francesco Zavattari e Michel Boucquillon che accendono piazza San Martino. È esuberante il Capodanno di Perugia, che quest’anno è stata scelta per ospitare il grande show targato Rai L’anno che verrà. È di nuovo la vivacità del conduttore Amadeus ad accompagnare gli spettatori verso la mezzanotte, tra esibizioni musicali e piccoli sketch. Anche la Capitale si prepara al nuovo anno, tra teatri e auditorium, ma anche per le strade del centro. Nel pomeriggio del 31 dicembre, infatti, dalle Terme di Caracalla parte We run Rome, la maratona organizzata da Comune, Coni e Federazione italiana atletica leggera per accogliere il 2023 con energia. I festeggiamenti continuano poi all’Auditorium Parco della musica, dove si può scegliere con chi aspettare la mezzanotte. In quattro diverse sale si esibiscono l’attore romano Edoardo Leo con Ti racconto una storia (letture serie e semiserie), la cantante Tosca in concerto con Morabeza Rendez-Vous, il pianista Nicola Piovani nel racconto in note La musica è pericolosa e il coro Nate Martin & Sign con le sue melodie gospel. Al Palazzo dello sport torna invece il comico Enrico Brignano con il successo Ma…diamoci del tu. DJSET A NAPOLI, VALZER A CATANIA Una full immersion di cinque giorni nella natura per salutare l’anno che se ne va e accogliere il 2023. Dal 29 dicembre al 2 gennaio, nel Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise il Capodanno diventa l’occasione per fare la conoscenza del lupo appenninico, osservandolo nel suo habitat e seguendone le tracce nella neve. E dopo aver attraversato valli e faggete, tra ciaspolate ed escursioni faunistiche, i

L’edizione 2019 della maratona di San Silvestro We run Rome

borghi di Pescasseroli, Civitella Alfedena e Lecce nei Marsi, in provincia dell'Aquila, sono pronti ad accogliere i visitatori con la loro calda atmosfera di festa. Per un nuovo inizio a ritmo slow. Anche a Napoli il Capodanno inizia in anticipo e dura tre giorni. I festeggiamenti cominciano il 29 dicembre, nella storica galleria Umberto I, con il concerto in ricordo di Pino Daniele, e proseguono la sera successiva con il rapper milanese Rkomi che diventa protagonista in piazza del Plebiscito. Nella stessa location, la notte di San Silvestro è invece animata dal comico Peppe Iodice con il suo Peppy Night, che prevede tra gli ospiti la showgirl Belen Rodriguez, il ballerino Stefano De Martino e il comico Francesco Paolantoni. A seguire, i famosi djset sul lungomare che diventano vere e proprie discoteche all’aperto. Più sobria è la festa siciliana, con le sue liriche coinvolgenti, i seducenti valzer e le musiche orchestrali che nel primo giorno dell’anno traghettano delicatamente spettatori e spettatrici verso il 2023. L’orchestra del Teatro Massimo

Il Teatro Massimo di Palermo illuminato dai fuochi d’artificio Bellini di Catania, diretta da Daisuke Muranaka, lo fa con le musiche dei più grandi compositori dell’800, come il padre del valzer Johann Strauss e il francese Georges Bizet. Il classico concerto di Capodanno al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, invece, è coordinato dal direttore d’orchestra e pianista viennese Matthias Fletzberger, mentre il violinista di origine lituana Julian Rachlin dirige lo spettacolo musicale al Teatro Massimo di Palermo, regalando intense emozioni a cittadini e visitatori.

CAPODANNO DA

CHEF

a cura della redazione

La tavola imbandita, sinonimo di condivisione e socialità, è il simbolo delle Feste. Al suo centro trionfa il cibo, quello preparato secondo tradizione o reinventato seguendo le tendenze del momento. A chi vuole sperimentare qualcosa di nuovo l’associazione CHIC - Charming Italian Chef propone tre ricette per il cenone di Capodanno all’insegna della creatività e della sostenibilità. Principi che guidano gli oltre cento professionisti del team: chef, ristoratori, pizzaioli, pasticcieri, gelatieri e panificatori che puntano a promuovere una cucina di qualità nel rispetto delle materie prime. charmingitalianchef.com charmingitalianchef

SPAGHETTI CA’ MUDDICA ATTURRATA

LISTA DELLA SPESA (per 4 persone) 400 g di spaghetti, 100 g di pangrattato semi integrale, 50 g di alici sotto sale, 1 cl di olio evo da Nocellara etnea, 1 dente di aglio, 60 g di nocciole, 300 g di pane raffermo, 20 g di colatura di alici, 1 peperoncino piccante, pepe q.b. PREPARAZIONE Bollire gli spaghetti insieme con il pane raffermo e la colatura di alici, lasciarli al dente e mettere da parte. In un contenitore emulsionare l’olio con un po’ di acqua di cottura della pasta e mescolare bene fino a ottenere una crema omogenea con cui amalgamare gli spaghetti. Di-

P I ETRO D’ AGOSTINO [patron del ristorante La Capinera a Taormina (1 stella Mic he l in ) ]

sporre sul piatto aiutandosi con un mestolo e una pinza da cucina. Scaldare il resto dell’olio in una padella con le alici dissalate, il peperoncino e l’aglio schiacciato. Aggiungere le nocciole pestate a mortaio, il pangrattato e il pepe, mescolando fino a quando il pane non risulterà ben tostato e croccante. Cospargere gli spaghetti con il composto.

SANDRA MARINATA ALLA BARBABIETOLA, CREMA DI YOGURT E LA SUA BOTTARGA

LISTA DELLA SPESA (per 2 persone) 2 tranci da circa 160 g di sandra (o qualsiasi tipo di pesce bianco come ombrina, dentice, ricciola) 1 pezzo di barbabietola rossa cotta, 200 g di sale fino, 300 g di zucchero, 150 g di yogurt, 35 g di panna fresca da dolci non zuccherata, bottarga di sandra o di muggine q.b.

G ABR I ELE PAUSELLI [chef del ristorante La Fugascina a Mergozzo (Verbano Cus io Osso la ) ]

PREPARAZIONE Per il succo di barbabietola Tagliare la barbabietola a pezzettoni e frullarla con circa 200 g di acqua. Filtrare il brodo ottenuto. Per la sandra Marinare i tranci coprendoli completamente con una soluzione di zucchero e sale fino per circa 4 ore. Passato questo tempo, sciacquarli con abbondante acqua fredda e asciugare bene. Immergere il pesce nel succo di barbabietola e lasciarlo reidratare per 2 ore mantenendolo in frigorifero. Scolare e asciugare i tranci, dorarli in padella per un paio di minuti per lato e terminare la cottura in forno a 180° per circa 5/6 minuti. Per la spuma di yogurt Miscelare la panna e lo yogurt e condire con un pizzico di sale e olio a piacimento. Conservare in frigorifero. Per la finitura Impiattare il trancio, completare con dischetti di barbabietola cotta e condita con zucchero, sale e aceto, la crema di yogurt e la bottarga affettata molto sottile.

CIOCCOLATO-MOU CON POLVERE DI PISTACCHI TOSTATI, SCIROPPO DI ACQUAVITE E INFUSO ALLO ZENZERO

Lista della spesa (per 8 persone) 500 g di zucchero, 120 g di cacao, 300 g di cioccolato fondente 85%, 80 g di zenzero fresco, 100 g di pistacchi, 425 ml di panna fresca, 70 cl di acquavite di genziana (o grappa classica), agar agar q.b.

FABIO BARBAGLINI [patron della bottega Dolce emporio a Firenze] PREPARAZIONE Preparare il caramello fondendo 500 g di zucchero con 225 ml di acqua fino a ottenere una colorazione bruna tendente allo scuro. Aggiungere 45 ml di acqua e successivamente 425 ml di panna fresca per realizzare una crema mou profumata e setosa. Proseguire la cottura per qualche istante e aggiungere 120 g di cacao setacciato e stemperato con l'aiuto di una frusta. Aggiungere 300 g di cioccolato fondente 85%, emulsionare per ottenere una crema di cioccolato dai riflessi lucenti. Bollire 70 cl di acquavite di genziana insieme a 150 ml di acqua, legare con agar agar, togliere dal fuoco e aggiungere 80 g di zenzero fresco tagliato a cubetti molto piccoli. Lasciare in infusione e far raffreddare. Tostare in forno 100 g di pistacchi a 140° per circa 20 minuti, lasciare raffreddare e frullare per ottenere una polvere. Per la finitura Servire un cucchiaio di cioccolato-mou in un piatto fondo o in una coppetta con 1 cucchiaio di sciroppo di acquavite e la polvere di pistacchi.

SOGNI DA COSTRUIRE

DARE NUOVA VITA A SPAZI PER L’INFANZIA A MILANO, ROMA E NAPOLI. QUESTO L’OBIETTIVO DEL PROGETTO SOCIALE IDEATO DALL’AZIENDA FACILE RISTRUTTURARE CON LA ONLUS EVERY CHILD IS MY CHILD

di Cecilia Morrico MorriCecili morricocecili

Ogni bambino ha il diritto di immaginare il futuro. Da questa convinzione, che è quasi una missione, nasce il progetto Facile sognare promosso dall’azienda Facile ristrutturare in collaborazione con la onlus Every Child Is My Child presieduta dall’attrice Anna Foglietta. Obiettivo del programma di corporate social responsibility è dare nuova vita a spazi dedicati alla tutela dell’infanzia in difficoltà. Per farlo Loris Cherubini e Giovanni Amato, fondatori della società leader per le ristrutturazioni “chiavi in mano” in Italia, hanno pensato a tre progetti e tre imprese sociali che coinvolgono tre artisti in altrettante città: Milano, Roma e Napoli. Per un investimento totale di 300mila euro. L’ultimo progetto presentato è quello previsto nella città partenopea, più precisamente tra Melito e Scampia, luogo caro ad Amato: «Sono nato e cresciuto qui, per cui questa tappa del progetto ha per me un valore molto particolare. Ho provato sulla mia pelle la sensazione di non riuscire a vedere un futuro diverso. Facile sognare nasce da questa consapevolezza, dal valore enorme che un piccolo spiraglio può rappresentare in contesti difficili.

DA COSTRUIRE

Dietro ogni sogno realizzato c'è qualcuno che ci ha creduto, e noi siamo fieri di rendere più facile la possibilità di sognare un futuro diverso». Qui il lavoro di ristrutturazione si lega a La Scugnizzeria, nata come libreria per volontà del giovane editore Rosario Esposito La Rossa e in cui oggi una parte dello spazio, chiamato Ospedale dei libri, è stato riorganizzato per dare vita a un luogo dove i ragazzi e le ragazze del quartiere possono scoprire antichi mestieri dell’editoria come la stampa a caratteri mobili. A dicembre è stato avviato un workshop creativo tra La Rossa, l’architetta Daniela De Martino e l’artista napoletano Jorit. Insieme stanno ora immaginando la Matta pizzeria, uno spazio polivalente dove i giovani del quartiere, anche con disabilità, potranno imparare il lavoro del pizzaiolo, acquisendo così una professionalità, e le bambine e i bambini saranno coinvolti in laboratori creativi intorno alla magia della panificazione. Il locale prende il nome dalla Matta, la carta napoletana che vale come jolly e rappresenta un buon auspicio per chi vuole trovare il proprio cammino. Nella Città Eterna il progetto coinvolge invece la cooperativa sociale Antropos onlus, fondata 25 anni fa da un gruppo di educatori con l’intento di aiutare bambini e ragazzi nati in contesti difficili. Qui l’iniziativa vuole portare nuova vita e colori a La casetta delle arti e dei giochi, ludoteca nata nel 2003 nel quartiere di Tor Sapienza, nella periferia est della città. Ad accogliere i ragazzi ci sarà un grande murale dell’illustratrice e artista Camilla Falsini. «Siamo tra il 60 e 70% d’avanzamento dei lavori e pensiamo di concluderli prima di Natale, o all’inizio dell’anno nuovo», spiega Cherubini. Viaggia ormai a vele spiegate, invece, il primo progetto di Facile Sognare: la ristrutturazione di un immobile dell’impresa sociale ControVento, realtà attiva a Milano da oltre un secolo nella salvaguardia dei diritti dei minori e nel sostegno alla genitorialità. Ne è nato uno spazio di incontro a misura di bambino, un luogo confortevole, dalla dimensione domestica e quotidiana, pensato per agevolare il riavvicinamento dei più piccoli al nucleo familiare, molto spesso conflittuale e difficile. Il locale è stato reso unico dall’installazione site-specific Felicitas della designer e artista Elena Salmistraro, come ricorda l’attrice Anna Foglietta, presidente di Every Child Is My Child: «Vedere la sorpresa negli occhi dei bambini di fronte alla bellezza di questo spazio e alla magia

M a t te o Ca l ò ©

L a Scugnizzeria

© Paola Ledderucci

Laboratorio creativo sulla stampa a caratteri mobili de La Scugnizzeria a Napoli

I l work sh o p per i lavori di ristrutturazione della Casetta delle arti e dei giochi a Roma

© An t inor i

Da sinistra: Giovanni Amato, co-fondatore di Facile ristrutturare, Anna Foglietta, presidente di Every Child Is My Child Onlus, e Loris Cherubini, co-fondatore di Facile ristrutturare

dell’opera di Elena conferma ancora una volta quanto sia importante per noi, come adulti, impegnarci nella tutela dei loro diritti, rivendicando il valore della bellezza come elemento imprescindibile dello sviluppo». Anche Cherubini rammenta l’emozione dell’apertura: «Il giorno della presentazione, decine e decine di persone del quartiere si sono affacciate per vedere questi locali, prima in disuso, tornare nuovamente in attività. È stata per noi una grandissima soddisfazione». facileristrutturare.it everychildismychild.it facilesognare | facileristrutturare everychildismychildonlus

© Antinori

LE ALI DELLA

A TARANTO LA FONDAZIONE ROCCO SPANI PRESIEDUTA DA GIULIO DE MITRI SI OCCUPA DEL RECUPERO E DELL’INTEGRAZIONE DEI MINORI SVANTAGGIATI ATTRAVERSO L’ARTE

di Cesare Biasini Selvaggi - cesarebiasini@gmail.com D all’inferno alla redenzione, attraverso l’arte. Una fondazione specializzata nel recupero e nell’integrazione sociale dei minori in contesti difficili che è anche un centro per l’arte contemporanea con una programmazione degna di un mu-

LE ALI DELLA CREATIVITÀ

La scultura di Giulio De Mitri, Il giardino di Psyché (2016), nel Parco di sculture di Santa Sofia, in provincia di Forlì-Cesena

seo civico. Un caso straordinario che avrebbe appassionato persino l’artista tedesco Joseph Beuys che all’arte dava anche un ruolo sociale. Tutto comincia a Taranto, a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90. Nella città dell’allora acciaieria Italsider è in corso una guerra di malavita senza precedenti che, nel giro di poco tempo, provocherà una vera e propria carneficina di oltre 150 morti. Sono gli anni bui di una faida a colpi di kalashnikov culminata con la famigerata “strage della barberia”, nel pomeriggio del 1° ottobre 1991: tra i vicoli della città vecchia quattro innocenti vengono uccisi in una sala da barba. Il vuoto prodotto da arresti e omicidi eccellenti fa saltare gli equilibri interni della criminalità e il tutti contro tutti lascia spazio al pentitismo. I ragazzi più indifesi dei

Attività di animazione e laboratori creativi a cura della Fondazione Rocco Spani

quartieri marginali della città pugliese sono intrappolati nelle maglie della sopravvivenza spicciola e ingrossano le fila della microcriminalità. Tra queste tenebre così dense all’improvviso balena una luce di speranza, quella di un laboratorio sperimentale di arti visive e di animazione fondato da un collettivo di artisti e operatori sociali. Si tratta di uno spazio urbano aperto ai minori a rischio del territorio, dove sono coinvolti nel “fare arte”, dando libero spazio alla creatività, allo stupore e alla meraviglia. Con un progetto di alfabetizzazione primaria che va dall’educazione all’immagine (disegno, pittura, arti applicate, scultura, incisione calcografica) al teatro (mimo, marionette, burattini, ombre) fino ai laboratori per il recupero di vecchi mestieri artigiani come il découpage, l’incisione, la tecnica a sbalzo, il mosaico, la ceramica o il modellismo e la legatoria. Un primo avviamento professionale fondato sui diversi talenti sviluppati dai ragazzi che ha rappresentato per loro, in seguito, un’opportunità di lavoro nella legalità. Quest’esperienza è passata alla storia delle cronache di Taranto come “il miracolo nella città vecchia” che, dagli anni ‘80, continua a favorire l’integrazione sociale con minori a rischio di disadattamento. Un miracolo della società civile che ha un’artefice: Fondazione Rocco Spani, nata per volontà dell’artista Giulio De Mitri che ne è tutt’oggi il presidente, dedicata alla memoria dell’insegnante Rocco Spani, educatore e attento osservatore delle problematiche minorili del centro pugliese, morto nel 1976. Incontriamo De Mitri per conoscere personalmente chi è riuscito a fondere, in maniera indissolubile, la sua vicenda esistenziale a favore degli svantaggiati più giovani con il suo essere artista. Un caso autentico, come pochi, di sovrapposizione tra arte e vita. Qual è il bilancio della Fondazione in oltre 30 anni di assiduo lavoro? Nel territorio jonico abbiamo contribuito a sottrarre ragazzi e ragazze fragili all’abbandono scolastico, al “codice della cattiva strada” dei reati contro le cose e le persone e allo

Visita guidata alla mostra di Daniel Spoerri al Crac Puglia, Taranto

Giulio De Mitri Cielo-mare (Identità) (2009)

spaccio di sostanze stupefacenti, grazie alle nostre attività dai linguaggi creativi, peculiarità innovativa del progetto pedagogico-educativo della Fondazione. I minori provengono da contesti familiari multiproblematici per incapacità genitoriale, indigenza, reclusione per reati o perché vivono in nuclei allargati complessi. Ci vengono affidati dai servizi sociali, su decreto dei tribunali per i minorenni, fin dai tre anni. Oggi molti di loro hanno conseguito diplomi professionali, alcuni si sono anche laureati in Beni culturali, in Scienze dell’educazione, in Servizio sociale e lavorano nel pubblico o nel privato. La Fondazione conta ormai numerosi presidi permanenti nel centro storico di Taranto: i laboratori didattici e creativi, il centro socio educativo e culturale diurno L’Isola della fantasia, la comunità educativa residenziale Guglielmo De Feis, la biblioteca Franco Sossi e il Centro di ricerca arte contemporanea (Crac) Puglia. Come mai questa centralità dell’arte nel vostro metodo? Sicuramente ha influito in maniera decisiva la mia specifica vocazione e la mia esperienza di docente nelle accademie di Belle arti italiane. Poi la collaborazione con insigni personaggi del mondo artistico e pedagogico, da Bruno Munari a Mario Lodi e Joseph Beuys, che ho avuto l’onore di conoscere e con cui ho realizzato dei progetti culturali. Qual è l’effetto della creatività sui ragazzi? Ha la forza di diventare un gioco straordinario, non si blocca in formule matematiche, investe la complessità del mondo interiore di ogni individuo. L’esperienza dell’arte fa muovere i ragazzi e le ragazze nel nuovo, modifica i loro punti di vista sulle cose e sugli eventi, dà alla vita il senso dell’avventura e della meraviglia, contribuisce a valorizzare con successo le loro risorse intellettive, emotive e affettive. Attraverso il fare arte, hanno la possibilità di incanalare la loro energia impulsiva e autodistruttiva verso una destinazione diversa, più accettabile socialmente, di inclusione e integrazione. Nelle teorie psicologiche questo è noto come il principio della sublimazione, seguendo la lezione di Freud. A Taranto non avevate un contenitore dove mostrare l’arte contemporanea ai ragazzi e far sperimentare loro i nuovi linguaggi della creatività… È vero. Anche per questo nel 2015 ci è venuta l’idea di aprire il Crac Puglia. Siamo partiti mettendo insieme una collezione permanente con i lavori di affermati nomi nazionali e internazionali, tra i quali Munari, Beuys, Mauro Staccioli, Giuseppe Spagnulo, Oliviero Rainaldi, per poi far evolvere il centro in un’attività di ricerca, sperimentazione e documentazione visiva. Qui promuoviamo e organizziamo mostre, laboratori site-specific, installazioni, pièce, performance, interventi, animazione teatrale, fotografia, videoarte. Mi conquistano sempre lo stupore, la meraviglia e la spontaneità che ogni bambino tira fuori da ogni evento.

Quando mi congedo da Giulio De Mitri ho ancora negli occhi la sua opera con decine di farfalle in acciaio applicate su massi di pietra. Questa scultura, intitolata Il giardino di Psyché, l’associo subito al film di fantascienza The Butterfly Effect secondo cui, portando all’estremo la teoria del caos, il minimo battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. E penso che non ci possa essere metafora migliore per descrivere quel “miracolo nella città vecchia”, con il suo uragano di speranze generato dal battito d’ali della creatività, a cui ho appena assistito dietro le porte della Fondazione Rocco Spani di Taranto. fondazioneroccospani.org

Giulio De Mitri

SURREALISTA TOTALE

Max Ernst Nascita di una galassia (1969)

Fondazione Beyeler, Riehen/Basel, Beyeler Collection © Max Ernst by Siae 2022

Il mondo della sfocatura. Rifiuto assoluto di vivere come un tachiste (1965)

Collezione privata, Viareggio © Max Ernst by Siae 2022

A MILANO LA PRIMA RETROSPETTIVA ITALIANA SU MAX ERNST. OLTRE 400 OPERE, TRA DIPINTI, COLLAGE E SCULTURE, RACCONTANO LA VITA E L’ESTRO DI UN GENIO

di Giuliano Papalini

Pittore, scultore, poeta e fine umanista affascinato dal Rinascimento, capofila del movimento Dada e del Surrealismo a metà del ‘900. Max Ernst viene celebrato a Milano con una straordinaria retrospettiva, la prima mai realizzata in Italia, a cura di Martina Mazzotta e Jürgen Pech. Ospitata a Palazzo Reale fino al 26 febbraio, e promossa da Comune in collaborazione con Electa, Max Ernst. Le ragioni di una mostra offre un vasto e articolato percorso composto da oltre 400 opere provenienti da importanti musei, fondazioni e collezioni private italiane e internazionali tra le quali Ca’ Pesaro di Venezia, la Tate Gallery di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, la Fondazione Beyeler di Basilea e il Museo nazionale Thyssen-Bornemisza di Madrid. L’esposizione si dipana tra le vicende biografiche e la carriera dell’artista tedesco, poi naturalizzato americano e francese, che – come spiegano i curatori – con il suo estro folle «ha dato vita a foreste, esseri indecifrabili dall’aspetto plastico, uccelli-feticcio e altri animali, corpi femminili e corpi celesti che si ibridano con l’artificio e con il mito. Tra mimesi e metamorfosi, inconscio e realtà, mondo animato e inanimato». Un viaggio straordinario attraverso le opere di Ernst che, con un geniale approccio espressivo, è stato capace di rendere poesia anche le cose più banali. Una collezione di oggetti rari che racchiude i temi più classici della storia artistica del Rinascimento italiano e tedesco e del Romanticismo, riuscendo perfino a includere gli strumenti della scienza e della tecnologia. «Per guardare con coraggio al buio come alla luce, ed estendere lo sguardo fino ai limiti estremi del visibile, ieri come oggi», raccontano sul catalogo Mazzotta e Pech. Passo dopo passo, la mostra ripercorre la vita dell’artista, approfondendo i grandi periodi storici che hanno caratterizzato il suo lavoro. In apertura, ad accogliere i visitatori, c’è Oedipus Rex del 1922, una delle opere più note di Ernst. Poi il percorso espositivo prosegue in nove sale tematiche attraverso il mondo del maestro surrealista fatto di dipinti, collage, sculture, fotografie, gioielli, libri e documenti inediti. Sono visibili numerosi lavori realizzati con la tecnica del frottage, basata sul principio dello sfregamento, e del grattage, che consiste nel raschiare la pittura ancora fresca sulla tela, fino al dripping, in cui il colore gocciola

direttamente dai barattoli forati. Tanti i grandi dipinti come Pietà o la rivoluzione di notte, L’antipapa e L’angelo del focolare. Le opere sono accompagnate da una minuziosa narrazione della biografia dell’artista, dagli anni della formazione in Germania in cui vive la Grande guerra – combattuta in prima persona – fino all’avvento rivoluzionario del Dadaismo, con l’invenzione del “collage senza colla”, che il critico André Breton definì come «il biglietto da visita di un mago». Gli anni trascorsi da Ernst a Parigi e in Francia, l’affermarsi del Surrealismo, le collaborazioni, i viaggi e le sperimentazioni si succedono nella narrazione cronologica fino alla prigionia da parte dei nazisti che lo consideravano un “artista degenerato” e lo imprigionarono fino all’esilio forzato negli Stati Uniti. In mostra anche le fotografie di maestri dell’epoca come Man Ray e Lee Miller, che accompagnano i quadri e raccontano il contesto sociale e relazionale in cui sono stati creati, oltre alle amicizie e agli amori di Ernst. L’esposizione si avvia alla conclusione con il ritorno in Europa. Nella sala intitolata Memoria e meraviglia sono raccolte, infatti, le opere degli ultimi decenni dove la storia della cultura e il ritorno all’antico diventano fonti d’ispirazione per lavori dove il passato e il ricordo diventano protagonisti. Nell’ultima sala, infine, lo sguardo è rivolto alle stelle. Negli anni che precedono lo sbarco dell’uomo sulla Luna, le tele di Ernst mettono in dialogo arte e scienza rappresentando visioni inedite sul cosmo. palazzorealemilano.it palazzorealemilano

Max Ernst L’antipapa (1941 circa)

Collezione Peggy Guggenheim, Venezia

SGUARDI INQUIETI

Antonio Ligabue Autoritratto con torre (1948)

Joškin Šilian HE – SHE (2015)

Casa dell'Art Brut

DA PAUL KLEE AD ANTONIO LIGABUE FINO ALL’ART BRUT E ALLE OPERE DEL MUSEO DI STORIA DELLA PSICHIATRIA. A REGGIO EMILIA UNA MOSTRA INDAGA IL TEMA DELL'IDENTITÀ NELLE SUE DECLINAZIONI PIÙ PROFONDE

di Sandra Gesualdi sandragesu

Addentrarsi nei meandri della psiche e mettersi in ascolto di voci recondite, intime, ignorate. L’arte, come cartina tornasole del sé e del mondo coevo, non è capace solo di mostrare la sconfinata bellezza in cui siamo immersi, o interpretare fette di realtà variegata, ma anche e soprattutto di offrire i labirinti più privati del proprio inconscio. Di far urlare gli occhi, dare voce ai silenzi e all’inespresso che vuol debordare. Con pennellate materiche affondate sulla tela, sculture scomposte, oggetti astratti che danzano su un quadro. È quello che esplora

L’Arte inquieta. L’urgenza della creazione, la mostra curata da Giorgio Bedoni, Johann Feilacher e Claudio Spadoni e allestita a Palazzo Magnani di Reggio Emilia fino al prossimo 12 marzo. Al centro, un’indagine profonda sull’identità, quella appunto inquieta e dai plurimi volti, rivelata attraverso opere generate da urgenze espressive talvolta «dal sapore di un sale grezzo e amaro», spiega Bedoni sul catalogo critico. Paesaggi endogeni, mappe, volti fermati su 140 opere, firmate da assoluti maestri internazionali come Paul Klee o Anselm Kiefer e provenienti da collezioni di tutto il mondo. In mezzo, molti tra gli autori di linguaggi poetici alla base della modernità espressiva come Alberto Giacometti, Jean Dubuffet, Hans Hartung, Antonio Ligabue, Cesare Zavattini, Maria Lai e Carla Accardi, solo per citarne alcuni. «Un percorso espositivo lungo le traiettorie delle metamorfosi moderniste, di cartografie visionarie, di linguaggi ipnotici», scrive ancora Bedoni. «Opere che attraversano la scena contemporanea, non rinnegano percorsi biografici duri ma, intuendo la realtà viva di questo mondo, ne vedono il buio e sanno afferrarne la luce». Tra le sale tematiche camminano sul filo della storia, in bilico come un funambulo, le domande sul chi siamo poste dagli artisti. Con un’urgenza vitale fatta di colore, corpi deformi, espressioni spaesate e caos. E, accanto ai capolavori di maestri presenti in ogni manuale d’arte contemporanea, sono esposte anche opere provenienti da mondi esclusi, di ieri e di oggi, finalmente considerate un prezioso e necessario archivio dell’immaginario: l’Art brut, quell’espressione creativa istintiva e spontanea legata al concetto di ispirazione autonoma, incolta e spesso prodotta non da professionisti ma da alienati. Così i grandi artisti del ‘900 sostengono un serrato confronto, alla pari, con l’Art brut del passato e alcune opere inedite provenienti dall’archivio dell’ex ospedale San Lazzaro e conservate nel Museo di storia della psichiatria di Reggio Emilia, una tra le maggiori collezioni del genere in Europa. Lo sguardo nel vuoto di Antonio Ligabue, il ribrezzo o il terrore celato dai colori di Arnulf Rainer, i mondi ingarbugliati e onirici di Keith Haring si incrociano con le composizioni di Joškin Šilian e le ossessioni partite da ciò che la società omologata respinge in squilibri e pazzie e che qui diventano protagonisti. Non le facili follie d’artista, spesso atteggiamenti alla moda, ma mappe e mondi di sognatori, grovigli profondi, monologhi interiori. Come se il pennello e il colore fossero la torcia per fare luce sull’io e sul mondo, per rendere visibile un repertorio di ideologie, allucinazioni, progettazioni nate da bisogni d’espressione, private e corali. D’altronde, come sosteneva lo psichiatra Franco Basaglia, «la follia è una condizione umana. In noi esiste ed è presente come lo è la ragione». E l’arte può raccontare e sublimare questo connubio identitario. Incessante, generativo e inquieto. palazzomagnani.it fondazione_palazzomagnani FondazionePalazzoMagnani

Keith Haring Untitled (1984)

Collezione privata

Sicilia (1977)

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