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e Liguria magazine

ANNO 1 - N° 1 - Aprile 2014 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006

Aprile 2014

Il MuSEl dI SEStrI lEVANtE

un nuovo allestimento, «Bambini maestri di ecologia» lOrEttA GOGGI

Presenta la sua autobiografia una regina dello spettacolo

BOGlIAScO fA VINcErE l’ItAlIA Nella fotografia subacquea l’Italia e’ sempre al vertice internazionale.

Antonello

Venditti

«È venuto il tempo in cui la mia storia ridiVentA sperAnzA» 4 INGENOVA Magazine

VAlBrEVENNA

tra castelli, chiese e oratori, il fascino antico delle frazioni e dei paesi che punteggiano i crinali

VAl d’AVEtO

I cavalli selvaggi nel Parco dell’Aveto vivono in mezzo a una natura incontaminata


Rivista realizzata con l a c o l l a b o r a z i o n e d i :

Sommario Il Ritorno Al Futuro

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oretta Goggi, quando il lirismo della fede diviene libro

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Il MuSeL di Sestri Levante

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o spettacolo d’inverno in Valbrevenna

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La primula, il fiore di primavera

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Di Antonello Venditti

L

Pubblicità e Marketing 0108592291

Val d’Aveto,

paesaggi da Far West

Incantations “Textura Lucis”

al Museo del Damasco

Levante Ligure

“In-Let City Store

Bogliasco fa vincere

l’Italia

L

Aprile 2014

ANTENNABLU

Studio di registrazione Via Giardini Rodari 6a Tel. 0106509232 antennablutelevision@virgilio.it info@antennablu.it paolo.cavanna@alice.it

Aprile 2014

ANNO 1 - N° 1 - Aprile 2014 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006

La Liguria da guardare.

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Antenna blu.

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Il MuSEl dI SEStrI lEVANtE

un nuovo allestimento, «Bambini maestri di ecologia» lOrEttA GOGGI

Presenta la sua autobiografia una regina dello spettacolo

BOGlIAScO fA VINcErE l’ItAlIA Nella fotografia subacquea l’Italia e’ sempre al vertice internazionale.

Antonello

Venditti

«È venuto il tempo in cui la mia storia ridiVentA sperAnzA»

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tra castelli, chiese e oratori, il fascino antico delle frazioni e dei paesi che punteggiano i crinali

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I cavalli selvaggi nel Parco dell’Aveto vivono in mezzo a una natura incontaminata


e Liguria magazine

DI

di Leo Cotugno

IL RITORNO AL FUTURO

ANTONELLO VENDITTI

D

opo due anni esatti dalla sua ultima apparizione nella nostra città, Antonello Venditti sarà nuovamente a Genova. Fra i cantautori italiani più amati di sempre, Venditti fa tappa al Teatro Carlo Felice, unica data ligure della tournèe di “70-80, Ritorno al Futuro”, iniziato lo scorso 3 febbraio a Bologna: appuntamento per il 19 marzo, inizio fissato alle ore 21. Uno spettacolo dallo straordinario concorso di luci, effetti sonori, partecipazione coreografica. La data genovese sarà solo piccola parte di un vero e proprio show nello show che toccherà altre 22 città italiane, tra cui Milano, Firenze, Napoli e naturalmente Roma, con due date al PalaLottomatica. IL RICORDO NON SI CANCELLA – E’ l’artista in persona a commentare la scelta di questo nuovo spettacolo: «Ci sono momenti nella vita in cui il presente diventa passato ed il passato si trasforma in futuro. E’ venuto il tempo in cui la mia storia torna come speranza di non vissuto a riempire la nostra vita. Dico questo perché quarant’anni trascorsi insieme potrebbero costituire per tutti la nostra storia: ma le canzoni che l’hanno rappresentata e che riproporrò sono il nostro ritorno al futuro».

Il cantautore romano il prossimo 19 marzo al Teatro Carlo Felice di Genova: «È venuto il tempo in cui la mia storia ridiventa speranza» 2 INGENOVA Magazine

Motivi divenuti parte integrante dell’adolescenza dei nostri padri, albums che tutti ricordano, primo tra i quali “Sotto il segno dei Pesci” che conteneva le celebri “Sara”, “Eleonora”, “Roma Capoccia” e “Buona Domenica”. Al loro fianco i grandi classici: “Lilly”, “Bomba o non bomba”, “Notte prima degli esami”. Insomma, un colpo di teatro quasi inatteso dai fans di Antonello. «Un artista più profondo, che prende spunto dal finale del precedente tour di “Unica”, quando il pianoforte rimaneva solo al centro del palcoscenico dopo essere avanzato sul proscenio, e si assisteva ad un’esibizione più intima, in assolo allo strumento. Rivedrete il Venditti che aveva iniziato al Folkstudio, più profondo, più rockeggiante, con motivi mai eseguiti dal vivo e stranamente in linea con ciò che viviamo oggi». UN’ANIMA BIFRONTE – A cosa assisteremo nelle due ore e mezza di concerto al Carlo Felice? «Saranno presentati in acustico i successi degli anni Settanta ed Ottanta, da “Lo stambecco ferito” a “Mio padre ha un buco in gola”. Tutte quelle canzoni che non erano nella scaletta dei concerti rock, dall’animo più popolare e nella quale, solitamente, si evitano certe pesantezze» spiega Antonello Venditti. «Yn’anima bifronte del cantante, come il mitologico Giano della storia greca, ci sarà tanta partecipazione di pubblico anche e soprattutto al fine di recuperare canzoni importanti, quelle che se finivano prime in classifica, come


La copertina accadde con “Lilly”, si poteva pensare anche ad un errore. Da una parte ci sono i motivi che suscitavano gli urletti ammirati delle folle, dall’altra quelli ispirati da un pensiero, e “Lilly” era uno di questi. Una canzone dall’impatto così forte che, se la suoni davanti al pubblico, poi è difficile uscirne». LA BAND – Nel concerto Venditti sarà affiancato dal batterista e polistrumentista Alessandro Canini, «mentre alle tastiere ci saranno Alessandro Centofanti e Danilo Cherni, con Amedeo Bianchi al sax ed il sottoscritto al pianoforte. Un concerto fatto per i ragazzi che non hanno mai ascoltato le canzoni scritte e musicate al Folkstudio, con il solo accompagnamento di un pianoforte a muro». Un concerto rigoroso, con canzoni mai sentite dal vivo. »Ebbene sì, in scaletta ci sarà anche “Grazie Roma”. Vengo da una lunga tournèe rock, “Unica”, che ha rappresentato una delle più belle esperienze della mia vita. Nel mio mondo artistico ho sempre avuto due anime, come appena accennato, la prima puramente rock, l’altra del pianoforte e voce. Tutto questo metterà in vita assieme alla mia band un’esibizione fondata sui valori sui quali mi sono educato negli anni Settanta. La difesa dei diritti, la valorizzazione delle donne, la voglia di rinforzare i vincoli culturali di un Paese in caduta libera. Sono fuori da ogni logica che mi porta a parlare di politica, già 15 anni fa si diceva che fossimo giunti alla quinta scelta della classe politica. Il livello di oggi è il più basso esistente». Significativa la data del concerto di Roma, al PalaLottomatica, l’8 di marzo, festa della donna. «Un incontro con tutti i miei fans per scavare assieme nel pensiero delle donne, spesso e volentieri maltrattate e messe ai margini della società». In quest’importantissima occasione Venditti festeggerà “live” i suoi 65 anni. LA SCALETTA IN PROGRAMMA – Ci saranno tutte le canzoni che lo hanno reso celebre sin dagli anni Settanta. “Mio padre ha un buco in gola”, sarcastica trasposizione della famiglia, “Eleonora”, “Sara”, Ci vorrebbe un amico” (a Bologna è stata dedicata a Lucio Dalla nella prima data della tournèe), “Notte prima degli esami”, “Lilly”, “Piero e Cinzia”, “Grazie Roma”. Finale dedicato alla politica, e chiusura con “In questo mondo di ladri”. Assolutamente da non perdere.

UNO DEGLI ARTISTI PER ECCELLENZA DELLA CANZONE D’AUTORE Antonello Venditti, all’anagrafe Antonio, è considerato a ragione uno dei cantati più prolifici e popolari della cosiddetta “Scuola Romana”. Nato nella Capitale nel 1949, debutta nel mondo discografico nel marzo 1972, condensando nel suo repertorio (oltre trenta milioni di dischi venduti in tutto il mondo) canzoni d’amore e di impegno sociale. Figlio di un ex sindacalista molisano e di un’insegnante liceale di greco e latino, Venditti è assurto agli onori della cronaca per avere sposato l’attrice Simona Izzo, dalla quale ha avuto Francesco Saverio, oggi apprezzatissimo doppiatore. Il suo primo successo è stato “Mio padre ha un buco in gola”, scritta e musicata nel 1970, nella quale appare una sarcastica visione caricaturale della famiglia, con il padre ferito alla gola da un proiettile vagante durante il secondo conflitto mondiale e la madre “che è professoressa, o meglio è una professoressa madre, mi ha dato sempre 4, anche se mi voleva bene”. A soli 14 anni scrive le prime canzoni, la più famosa di queste “Sora Rosa” assieme a “Roma capoccia” e “Lontana è Milano”. Dopo la maturità classica al Liceo Giulio Cesare, cui rimarrà sempre profondamente legato, si iscrive a Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, laureandosi nel 1973. La

laurea è stata ritirata solo nel 1999 nel corso di una lezione concerto nella quale c’è stata l’occasione per festeggiare i 50 anni di età. Formatosi musicalmente al Folkstudio, storica fucina di talenti nel quale tracciò alcuni importanti momenti artistici anche il grandissimo Bob Dylan, vive questo periodo al fianco di Francesco De Gregori e Giorgio Lo Cascio, testimoni musicali di un altro storico motivo di Venditti, “Sora Rosa”. Diviene un autentico virtuoso del pianoforte e con la collaborazione di Vince Tempera, inizia l’anno successivo la carriera di cantautore, con brani quali “L’orso bruno” e “Ciao uomo”. Tra i primi testi da paroliere anche “Ruba”, datata 1974 e portata sul palcoscenico da Mia Martini. Dopo una condanna a sei mesi con la condizionale per vilipendio alla religione di stato, nella canzone “A Cristo”, scritta tutta in romanesco, e la firma del nuovo contratto discografico con la RCA, Venditti sposa nel 1975 Simona Izzo giunge il primo grande successo con “Lilly”, cui però faranno seguito un biennio oscuro ed un secondo album, “Ullalla”, indubbiamente di talento – il punto di riferimento al pianoforte era Elton John – ma non apprezzato sino in fondo in chiave vendita. L’arrivo del nuovo produttore discografico Michelangelo Romano, già in sodalizio artistico con Roberto Vecchioni, segna indelebilmente la sua carriera, con “Sotto il segno dei Pesci” (1978) e “Buona Domenica” (1979) che raggiungono il primo posto sia nella classifica 45 che nei 33 giri. Con la separazione dalla Izzo e la fondazione della sua nuova etichetta Heinz Music pubblica gli albums “Sotto la pioggia” (1982) e “Cuore” (1984), cui faranno seguito “Venditti e segreti” (1986) e “Circo Massimo”, doppio lp dal vivo per ricordare i momenti calcistici più importanti della squadra del cuore, la Roma, vincitrice dello scudetto nel 1983 e finalista l’anno successivo in Coppa dei Campioni. Altre sue tappe da ricordare sono gli albums “Rocky Rambo e Sting” (1986) e “Centocittà”, composto in onore dell’attore ed amico Carlo Verdone, cui aveva regalato anche la colonna sonora del film “Troppo forte”. Nell’ultimo venticinquennale di attività ha registrato altri cinque long playing: “In questo mondo di ladri” nel 1988, “Benvenuti in Paradiso” nel 1991, “Tutti all’Inferno” (1995) , “Comunisti al sole” nel 2007 e “La ragazza del lunedì” due anni e mezzo fa.

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Quando

il lirismo della fede

Foto © Gianmarco Chieregato/

diviene libro

E’

una Loretta Goggi dominata da una non comune vitalità interiore la donna che si è confidata un pubblico attento e competente nella presentazione ufficiale di “Io nascerò” (Edizioni Piemme), il libro autobiografico che raccoglie tutte le tappe più importanti della sua straordinaria carriera artistica e che riassume quasi trenta intensissimi anni d’amore con Gianni Brezza, il coreografo-ballerino che ne divenne compagno nel lavoro e nella vita affettiva e, dopo averla sposata nel 2008, si sarebbe dimostrato marito premuroso ed insostituibile, sino alla sua morte avvenuta, a causa di un male incurabile, nell’aprile dell’anno scorso.

LA PRESENZA DI DIO – A Torino, dove l’opera è stata illustrata presso il salone del “Circolo dei Lettori”, location che ha fatto da tramite anche per la Liguria, Loretta si rivela accompagnata da un lirismo fideistico molto profondo. «Sono una donna nata e morta mille volte nell’arco della mia vita. Sono caduta e mi sono rialzata, sempre; ed ogni volta ho permesso a chi mi è stato vicino e a Dio di aiutarmi a rinascere». Un solo pensiero che vale 63 anni di vita , 50 esatti dei quali trascorsi nell’affascinante mondo dello spettacolo. La fede è sempre stata compagna indissolubile in ogni momento, felice o infelice esso fosse, di una delle più grandi showgirls mai esistite. Quando davvero Loretta Goggi ha sentito dentro sé la “vocazione”? «Dobbiamo tornare a quegli ultimi terribili giorni passati accanto a mio marito Gianni, che nella memoria sarà per sempre Giò – ricorda la Goggi. Quando è mancato, ha spento tutto, sono sprofondata nella disperazione più oscura, ma ho permesso alla mia famiglia, a mia sorella Daniela e a Dio di occuparsi di me». L’artista ha confidato questo suo riemergere soprattutto alle donne. «In uno stile semplice, diretto, che viene dal cuore. Non un granchè magari dal punto di vista compositivo, ma uno slancio di positività al di sopra di ogni attimo di sconforto, di ogni istante buio». QUELL’INFANZIA DORATA – Un libro autobiografico che regala una Goggi vera protagonista dei sogni di una donna. I più grandi sono stati realizzati durante l’infanzia, periodo nel quale già si manifestava l’inclinazione allo spettacolo della showgirl. «Avevo nove anni, la circostanza non era delle migliori: un forte attacco influenzale mi ha costretto a letto con la febbre. Ammalata, ho come unica compagna di quei lunghi pomeriggi la televisione, ed assisto a “Ragazza mia”, dove recitava Maria Letizia Gazzoni, una vera enfant prodige, assieme alla grande Lea Padovani. La regia è di Mario Landi, un dato che passa decisamente in secondo piano: decido che quella è la strada da percorrere, e accompagnata dai miei genitori mi presento al provino dello sceneggiato “Sotto processo”, per la regia di Anton Giulio Majano. Mi prendono, e mi sembra di volare». Ci sono altri momenti importanti di quest’infanzia dorata. «Mi ruppi l’anulare della mano destra perché chiuso nella portiera della nostra Fiat Seicento, e mio padre voleva che io studiassi pianoforte! Mi sento combattuta dalla voglia di mollare tutto, poi prevale il mio istinto di reazione, di voglia concreta di arrivare». Ma se si dovesse dire chi è oggi Loretta?

Loretta Goggi si racconta in “Io nascerò”: dal dolore può generarsi sempre la speranza 4 INGENOVA Magazine


L’intervista di Leo Cotugno «Non trovo definizioni, penso di personificare l’eterna contraddizione. Ho imparato ad accettarlo, prima non ci riuscivo; mi spiego meglio, in passato mi sentivo sempre un po’ sballottata da me stessa, mi domandavo: perché penso una cosa e ne faccio un’altra?». LA SVOLTA DECISIVA – Quando Loretta Goggi abbia scelto di vivere di spettacolo lo si viene a sapere e comprendere per conseguenza. «Nel 1970, avevo vent’anni, è giunto il momento in cui una luce accende all’improvviso la tua vita. Più che vederla, questa luce la senti e la vivi. La mia luce, il mio bisogno interiore, era uscire dal guscio e salire sul palco. Due anni prima avevo recitato ne “La Freccia Nera”, la mia controfigura era Fiorella Mannoia. Quasi di rimbalzo sono giunte anche le imitazioni: ascoltavo moltissimo Mina, ma imparai tardi a tenere il fiato. Nel canto la prima cosa da fare bene è imparare ad usare il diaframma, canzoni come “Tintarella di luna” ed “Il cane di stoffa” mi avrebbero segnato tutta la vita». Un anno dopo, Loretta è al fianco del “mostro sacro” della storia degli imitatori: Alighiero Noschese. Eppure, nella giovane Goggi accade qualcosa di quasi inspiegabile. «Nonostante la fama ed il successo, sentivo dentro di me un profondo dualismo, realizzai all’improvviso che i rapporti esistenziali con me stessa non potevano essere in completa antitesi con quelli che avevo con il mondo. Convivevano due Lorette, percepivo che tutto ciò che il pensiero aveva avuto in comune con l’azione si andava dileguando, la vita interiore ristagnava passiva mentre quella sociale godeva di avvenimenti, scoperte e soddisfazioni che però non arrivavano più all’altra Loretta». Il conflitto dura ben nove anni. Dopo il trionfo di “Fantastico” nella prima edizione del 1979, l’incontro con Gianni Brezza. La Goggi è sull’orlo dell’incertezza totale dal punto di vista professionale. «Chiesi a Gianni: secondo te, quello che ho da parte, mi basta per smettere di lavorare? La sua risposta mi gelò: dipende da come vuoi vivere. Riattacco: ma io voglio vivere in modo normale. E lui di rimando: ma vivresti senza far niente? Penso che di questo passo ti toccherà andare avanti ancora per un bel po’». QUEL CLAMOROSO DIVORZIO – Loretta Goggi si è sempre sentita donna nel modo di pensare e di agire. Il suo orgoglio femminile, nonostante gli attestati di simpatia ed i trionfi anche nel mondo della canzone – nel 1981 sarà seconda a Sanremo con “Maledetta primavera”, che venderà un milione di copie – è attaccato dal maschilismo mediatico che campeggia ovunque. «In RAI si leggeva: “spettacolo condotto da Pippo Baudo, partecipa…, rivista musicale con Corrado, ospite d’onore…”. Decido di prendere tempo, quando, nel 1984, Canale 5 mi offre, direttamente nella persona di Silvio Berlusconi, la conduzione di “Hello Goggi”. Il clamoroso no alla televisione nazionale scatena Emanuele Milano, all’epoca il deus ex machina della RAI, che mi telefona e, dopo avermi domandato per filo e per segno i motivi di quel no, offre la controproposta: “Loretta, condurrai un gioco a quiz tutto al femminile”. Nasceva così Loretta Goggi in Quiz». CON GIO’ LITIGO ANCORA – Ventinove anni di grandissimo amore non svaniranno mai. Così come si apre, “Io nascerò” si conclude, quasi un lirico melodramma, nel ricordo di Gianni Brezza. «Era un lupo di mare, un vero

LORETTA, LA STORIA DEL VARIETà E DELLO SPETTACOLO Parlare di Loretta Goggi e di cosa abbia rappresentato nella più alta espressione della polivalenza sarebbe riduttivo per chiunque. E’ sufficiente riportare una frase del grande regista Luchino Visconti per comprenderlo: »Datemi Loretta e ne farò la nuova Liza Minnelli». Nata a Roma nel settembre 1950, la Goggi ha subito avuto la vocazione artistica della showgirl sin dalla sua infanzia, vissuta con i genitori all’ombra del canto. A soli nove anni partecipa al concorso “Disco Magico”, presentato dall’indimenticabile Corrado Mantoni assieme all’orchestra diretta da Gianni Feltrio: Loretta lo vince in coppia con Nilla Pizzi. Un successo che è quasi una predestinazione. La carriera di attrice della Goggi è anch’essa precocissima. Loretta sarà nel cast di molti altri famosi sceneggiati televisivi della RAI nei quali (chi non ricorda la fragile Cosetta de “I Miserabili”, oppure la Joanna della “Freccia Nera”, tra il 1964 ed il 1969?) interpreta personaggi dall’animo molto tormentato e bisognoso. Di questo primo decennio artistico sono anche: “Scaramouche”, in coppia con un altro enfant prodige del cinema, Roberto Chevalier, “Delitto e castigo” del 1963 e “La Cittadella”, dell’anno successivo, forse la sua interpretazione migliore vicino ad un indimenticabile Alberto Lupo. Dopo aver ffiancato attori del calibro di Ilaria Occhini, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Gino Cervi e Domenico Modugno, Loretta si dedica per la prima volta al doppiaggio: è la voce del celebre canarino Titti nei cartoni della Warner Bros, dove il perfido Gatto Silvestro è invece doppiato da un altro mostro sacro del nostro varietà, Gigi Proietti. Cantante, attrice e, dal 1970, anche imitatrice, nello show televisivo Jolly, al fianco del Quartetto Cetra, Loretta ormai “buca” il video, costituendo con la sorella minore Daniela una delle coppie femminili più applaudite di tutta la tv europea. La sua terza grande performance da attrice è ne “E le stelle stanno a guardare”, altra riedizione a cura di Anton Giulio Majano dopo “Sotto Processo” e “I miserabili”, prima di iniziare anche la carriera di conduttrice. Suoi più affermati successi sono: “La Freccia d’Oro” nel 1970, “Caccia alla voce”e l’edizione 1972-73 di Canzonissima, sotto la guida di Pippo Baudo. Esplode la Loretta imitatrice straordinaria, alter ego al femminile dell’eccezionale Alighiero Noschese. Nel “mirino” della Goggi finiscono tutte le grandi della canzone italiana, Ornella Vanoni e Mina per prime, poi Caterina Caselli, Patty Pravo, e della rivista: Sandra Mondaini, Isabella Biagini, Rita Pavone. In quell’anno, dopo aver lanciato tormentoni musicali quali “Taratapunzi e” e “Mani mani”, si conferma soubrette di valore ormai internazionale nel varietà “Formula Due”, uno dei programmi televisivi più seguiti degli anni Settanta. Cinque anni di successi con Daniela saranno quelli tra il 1977 ed il 1981: il programma “Il Ribaltone” guadagna il premio Rosa d’Argento al Festival di Montreux in Svizzera. Un anno dopo – siamo nel 1979 - parte “Fantastico”, che la vede sulla scena ancora al fianco di Pippo Baudo e della giovanissima Heather Parisi, e c’è la consacrazione al Festival di Sanremo, con il brano “Maledetta primavera” che si classifica secondo e che venderà un milione di copie. Il 1979 è anche l’anno dell’amore per Loretta: sulle scene di lavorazione di Fantastico, la Goggi conosce Gianni Brezza, ballerino e coreografo, con cui convolerà a nozze dopo 29 anni di convivenza. Sarà la prima vedette italiana a lavorare per un’emittente televisiva concorrente, la prima soubrette ad avere piazzato sei hits nei primi cinque posti della hit parade: oltre a Maledetta primavera, “Il mio prossimo amore”, L’aria del sabato sera”, “Io nascerò”, “Oceano” e “Pieno d’amore”. Brezza sarà per Loretta compagno, marito, addetto stampa, ideatore e ispiratore artistico sino alla sua morte, avvenuta nell’aprile del 2011.

perfezionista – sottolinea Loretta -. Quando mi dissero che aveva un male incurabile e che non ci sarebbe stato scampo, soffrivo per lui perché speravo di aver fatto per lui tutto il possibile. Dopo mi sono spenta, non avevo voglia di niente, mangiavo una volta ogni 24 ore. Con Giò litigo ancora oggi a voce alta, come se ci fosse veramente: e quante volte sono tornata a sdraiarmi con lui su quella spiaggia a riconoscere le stelle e le costellazioni?».

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urbanistico, di conflitti, di progresso e cambiamenti sociali. Il Museo è dotato di un percorso espositivo ricco di exhibit multimediali ed interattivi. Il Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante costituisce polo centrale del Sistema museale integrato di Sestri Levante e Castiglione Chiavarese. MUSEL – Museo Archeologico e della Città Palazzo Fascie Corso Colombo 50 (16039) Sestri Levante GE – Italy info@musel.it prenotazione@musel.it www.musel.it tel. 0039/185/478530

L’allestimento piùu’ bello

I ragazzi intenti nella preparazione dell’allestimento

I

l MuSeL è il Museo Archeologico e della Città di Sestri Levante, con sede nello storico Palazzo Fascie, che ospita la Sezione Archeologica ed il Museo della Città. Nella sezione archeologica del MuSeL il visitatore viene coinvolto in una narrazione che descrive l’attività umana dalla preistoria alla romanizzazione. Numerosi i reperti illustrati, tra cui quelli della Valle Lagorara, la più ampia cava di diaspro a cielo aperto conosciuta in Europa, apprezzabile nel Museo anche grazie a suggestive riprese video. Nella sezione denominata Museo della Città la narrazione museale si concentra sulla storia di Sestri Levante e si sviluppa attraverso alcune specifiche tematiche: la nascita del borgo medievale, le famiglie nobiliari, la grande emigrazione di fine ‘800, e infine il ‘900. Particolare attenzione è dedicata alla narrazione del XX secolo, periodo di sviluppo industriale ed

Il giorno 8 Febbraio 2014 ha inaugurato nella sala mostre del MuSeL (Sestri Levante) una bellissima mostra dal titolo “Bambini maestri di ecologia”. Consiglio vivamente la visita. Ho avuto occasione di dare una piccolissima mano ai grandi allestitori e realizzatori delle opere esposte, i bambini delle classi elementari e medie dei plessi scolastici di Sestri Levante, nonchè dell’Istituto di Istruzione Superiore “G. Natta” “G.V. Deambrosis”. Vedrete quindi dei disegni che sono veri e propri capolavori, realizzati con impegno e maestria. Inoltre i piccoli-grandi maestri vi racconteranno, attraverso i pannelli e i video dell’esposizione, come creare nuova materia, rendendo il ciclo dei rifiuti a impatto 0. I bambini ed i ragazzi hanno infatti preso parte ad un progetto denominato “Compro rifiuti”, cominciato fin dall’inizio dell’anno scolastico e patrocinato dal Comitato Genitori Scuole, dal Comitato4valli e dal Comune di Sestri Levante, che ha come obiettivo la formazione di cittadini consapevoli del ciclo dei rifiuti e agenti nel concreto, in prima persona, per migliorarlo e considerare i rifiuti stessi come una risorsa. Per questo sarà particolarmente divertente e istruttivo leggere le “pagelle” che questi esperti del riciclo hanno dato a

di Matteo Sicios info@matteosicios.com

Il MuSeL

Nello storico Palazzo Fascie, la storia della città rivierasca e un nuovo allestimento, «Bambini maestri di ecologia»

di Sestri Levante 6 INGENOVA Magazine


Il Consulente Museale genitori e parenti su come si effettua la raccolta differenziata. Bello ed elegante il sistema espositivo realizzato con bancali di riciclo (tutto può divenire nuova materia). Sempre grazie al progetto pilota messo in atto sarà infine particolarmente emozionante vedere il pannello realizzato dalla scuola dell’infanzia sulla raccolta differenziata. All’uscita dalla mostra, arricchiti di preziose nozioni, è difficile non provare un senso di profonda inadeguatezza per non avere ancora messo in atto le iniziative promosse dai bambini di Sestri Levante con tanta tenacia. Il destino della Terra, per fortuna, è nelle mani di questi bambini e non nelle nostre. Per il video del progetto ZERO WASTE 2020: http://www.youtube.com/watch?v=adxq9Q_kaP4

Alcune delle opere esposte.

Una sala della Sezione Archeologica del Musel. Foto di Thomas Krueger, fornita dal Comune di Sestri Levante.

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Foto dei cavalli di Aurelio Schiaffino

I cavalli selvaggi nel Parco dell’Aveto vivono in mezzo a una natura incontaminata

Val d’Aveto,

paesaggi da Far West

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Liguria natura

C

avalli selvaggi che corrono in branco su montagne incontaminate, tra prati, rocce, boschi. La Val d’Aveto presenta caratteristiche spiccatamente montane, dalle rocce emergenti all’abbondanza di acqua. Se il fiume Aveto, infatti, ha plasmato e dato il nome alla Valle, le montagne hanno contribuito a rendere il paesaggio unico e caratteristico. Qui si trovano alcune delle cime più suggestive dell’Appennino ligure: il Monte Penna (1735 m), con la sua estesa foresta demaniale, un tempo formata da abeti bianchi e faggi secolari ed oggi caratterizzata da faggi e conifere di varie specie, affiancato sul versante n-e dall’imponente guglia del Pennino e, sul versante nord, dalla conca della Nave, suggestivo avvallamento simile a una dolina, frutto di una faglia su cui ha agito l’erosione degli agenti atmosferici; il Monte Aiona (1701 m), caratterizzato da estesi pascoli sul versante tirrenico e foreste di faggio su quello padano. La

sommità si presenta come un ampio e arido altopiano da cui emergono rocce, spesso coperta da nebbie fittissime; il Maggiorasca (1799 m), vetta più elevata dell’Appennino Ligure e cima principale di un gruppo montano costituito da un’insieme di affioramenti rocciosi e paretine, intercalate a boschi e a manto erboso. A questo gruppo roccioso appartengono emergenze spettacolari come il Dente della Cipolla, aguzzo monolite diabasico ai cui piedi si apre l’ampia conca di origine glaciale detta Prato della Cipolla, il Monte Bue, montagna erbosa di formazione calcarea, la Rocca del Prete, imponente e suggestiva bastionata orientata a s-o, lunga circa 600 metri e interessata da alcuni ripidi e incassati canaloni e la bellissima cascata dell’Acquapendente. Gli ultimi due monti della catena del Maggiorasca sono il Croce di Martincano e il Tomarlo, quest’ultimo spartiacque tra la Val d’Aveto e la Val Ceno. E poi il Groppo Rosso, montagna tutta picchi e anfratti, che nei tramonti limpidi

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Liguria natura

si colora di rosa per effetto della presenza di Sali di ferro e magnesio nella composizione mineralogica delle rocce. Numerosi rigagnoli e ruscelli danno vita al fiume Aveto che percorre tutta la vallata. La sua corsa verso la confluenza con il Trebbia è mutevole: nella piana intorno a Priosa scorre tranquillo, allarga poi il suo letto nel vastissimo pianoro alluvionale di Cabanne, aumenta la velocità nella forra del Malsapello e nel tratto ponte di Alpepiana-Salsomi-

nore scorre in uno spettacolare e profondo canyon. Le foreste demaniali e i laghi di origine glaciale ne fanno un ambiente montano di grande interesse e fascino, che per le sue caratteristiche strutturali e naturalistiche è rimasto incontaminato e inalterato. Per tali motivi e per le molte attrattive la Val d’Aveto è da sempre meta degli appassionati di alpinismo ed escursionismo, che possono effettuare un gran gran numero di itinerari e percorsi suggestivi.

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Textura lucis (foto di Alessandra Cevasco e Davide Marino)

di Alessandra Cevasco e Davide Marino

T

utto ebbe inizio da un programma televisivo della RAI trasmesso una domenica del 2008, che raccontava la particolare attività dell’azienda De Martini situata nell’entroterra ligure, e più precisamente nell’entroterra di Chiavari, a Lorsica. Il progetto vero e proprio prese il via poco

tempo dopo dall’incontro con la famiglia, sapiente custode della tradizione ligure del tessuto damascato, e si pose sin da subito la finalità di mostrare, in chiave poetica, l’articolato e paziente processo che porta alla creazione dei preziosi lampassi e damaschi di Lorsica, famosi in tutto il mondo. La De Martini è un’azienda storica che stando ai documenti di casa nacque nel 1500, e continua tuttora ad essere gestita

A Lorsica é in corso la mostra di Marino e Cevasco dedicata all’arte della tessitura.

INCANTATIONS

“TEXTURA LUCIS”

AL MUSEO DEL DAMASCO

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In Genova Promotion INFO MOSTRA: Museo del damasco Via Casali 109 - 16045 Lorsica (Ge) - Tel. 0185 95019 ORARIO: Sabato e Domenica dalle 15 alle 17 (dal 1/4 dalle 16 alle 18).

Dal progetto “Textura lucis” (foto di Davide Marino) dalla famiglia di generazione in generazione, di padre in figlio, lavorando nella stessa casa. L’arte della tessitura già dal ‘400 rappresentava una delle principali attività economiche della Repubblica di Genova, grazie alla disponibilità di materie prime che transitavano nel porto. Lo sviluppo del settore tessile genovese portò rapidamente alla nascita delle Corporazioni e il mestiere tessile divenne talmente prestigioso che si vietò l’emigrazione e l’esportazione di qualsiasi conoscenza e tecnica al di fuori delle mura della città, per concentrare nella Repubblica il monopolio. In risposta a queste restrizioni nacquero le tessiture nella Riviera di Levante e, nel borgo di Lorsica, paese situato nella Val Fontanabuona, s’intesificò la produzione del damasco e dei tessuti serici. Nel Cinquecento si contavano circa 1000 telai a conduzione familiare, e gli artigiani realizzavano tessuti pregiati e unici che adornavano le dimore delle sontuose corti europee. In ogni famiglia di Lorsica era presente almeno un telaio, e sul finire dell’Ottocento vi erano ancora concentrati 250 telai, principalmente situati nelle abitazioni. Questa illustre tradizione rimane ancor oggi viva grazie a questa azienda a conduzione familiare, il cui principale lavoro consiste nella tessitura del damasco di seta con l’antico metodo tradizionale. Questo è stato possibile grazie a Nicola De Martini, papà di Stefania, inventore e costruttore di un telaio apposito per produrre questa stoffa, un telaio unico al mondo e brevettato che riesce a riprodurre la stessa trama meravigliosa tessuta a mano nel ‘500. Questo fatto si può constatare nella Chiesa di Lorsica dove si trova un antico damasco identico a quello che viene prodotto tuttora. I tessuti creati con macchinari che si usavano quasi duecento anni fa, che il telaio industriale non riesce a produrre, sono prodotti artigianali nel vero senso della parola, e al tatto e alla vista hanno una marcia in più rispetto a tanti altri.

La volontà tenace di perpetuare antiche tecniche e conoscenze oggi, in un mondo attuale super tecnologico e competitivo affidato quasi interamente alla produzione in serie, ha molto colpito l’attenzione dei fotografi Davide Marino e Alessandra Cevasco che, ognuno con la propria sensibilità e visione, hanno creato immagini capaci di esaltare il significato di una così rara e delicata realtà. Insieme ai due fotografi ha lavorato ad un breve e prezioso film documentario il regista ucraino Aleksandr Balagura che, con grande sensibilità, ha registrato la relazione tra vita e lavoro intrecciando momenti in immagini di grande bellezza e poesia. Davide Marino, memore degli stupendi ritratti che fece Vincent van Gogh nel Brabante del 1883-84 ai tessitori domestici di Neunen, anche allora ridotti di numero e ormai destinati a scomparire a causa della rivoluzione industriale, ha creato intense immagini di deciso taglio pittorico. Così ricorda quell’esperienza: “E’ stato un periodo di grandi motivazioni. Ricordo quella magica atmosfera con i rumori dei telai in funzione e la luce che penetrava e dava all’ambiente un’aspetto scenografico, teatrale. Ricordo che la Sig.ra Clelia si muoveva silenziosamente, intenta a governare le antiche macchine e la piccola Rebecca giocava fantasticando tra rotoli di seta. Passavamo ore ed ore a fotografare e il tempo sembrava scorrere più lentamente, perchè la gioia di cogliere quelle luci cancellava ogni fatica”. Alessandra Cevasco si immerge in questo luogo di ritmi e silenzi cogliendone attraverso il tempo sfumature sempre più sommesse e significative, che registra in simboliche e rarefatte immagini . “Ho avuto la fortunata opportunità di vivere, attraverso le fotografie che scattavo, una rarissima e delicata armonia tra persone e strumenti, in un luogo creativo che lega insieme tradizione e visione. Ho visto, in questo loro quotidiano e laborioso ordinare infinitesimi fili di luce in compiuti disegni, la porta devozionale che conduce alla creazione artistica. Credo che nulla più dell’infinito incrociarsi della trama e dell’ordito ci avvicini alla struttura fondamentale dell’esistenza, il simbolo universale della croce”.

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Dal progetto “Textura lucis” ( foto di Alessandra Cevasco )

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Davide Lombroso theme libre.

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Sotto il mare

Nella fotografia subacquea l’Italia e’ sempre al vertice internazionale. Dopo Marsiglia, nuovi successi anche in Costa Azzurra per merito dei sub bogliaschini

Fioritura - Massimo Corradi.

Bogliasco fa vincere l’Italia

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Testo di Ilva Mazzocchi Foto di Gianni Risso

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i è svolto con grande successo dal 6 all’8 dicembre, nel Palais des Congres di Antibes Juan-les-Pins, l’importantissimo Festival International de l’Image Sous-Marine et de l’Aventure Méditerranea, organizzato magistralmente dall’Office de Tourisme e des Congres d’Antibes - Juan-les-Pines e dall’ Equipe Cousteau. Nel corso delle tre riuscitissime giornate nel Palais des Congres, completamente ricostruito, si sono tenute esposizioni fotografiche, proiezioni, seminari, stage di fotografia subacquea con immersioni in mare, battesimi subacquei, mostre e tanto altro. Secondo una tradizione pluriennale, anche quest’anno i fotografi subacquei italiani hanno conseguito risultati veramente entusiasmanti, cogliendo vittorie e piazzamenti Nella pagina accanto: di prestigio. Nei diaporama e audiovisivi ha vinto con pieno pulizia dentale, merito Andrea Pivari con una suggestiva e intrigante storia Massimo Corradi.

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di amori fra creature del mare. Alle sue spalle, a un solo punto, si è piazzato il savonese Massimo Corradi, leader del CICASUB ASD Bogliasco Seatram , con un breve documentario sul relitto della petroliera Haven. Nelle serie di 10 immagini digitali, categoria Master, ha vinto David Salvatori su Domenico Roscigno. Nelle serie di cinque immagini, categoria Open, strepitosa doppietta di Davide Lombroso primo davanti a Flavio Vailati, entrambi del CICASUB Bogliasco Seatram; 5° Alessandro Schiasselloni di Rapallo. Fra le centinaia di stampe, tutte esposte perfettamente nei vari saloni del Palais des Congres, l’italiano Domenico Roscigno, nel Master Mediterraneo, ha sbaragliato tutti con un’eccezionale foto di Pesce San Pietro. Nei Master altri mari ha vinto una bellissima istantanea di quattro otarie realizzata da Gregory Lecoeur. Per l’Open altri mari ha vinto uno squalo di Frederic Fedorowsky. La manifestazione si è svolta sotto l’abile regia di Baudouin Varenne. La giuria internazionale era composta da André Ruoppolo, Valerie Ferretti, Settimio Cipriani e dal nostro Gianni Risso. Ospiti d’onore del Festival, Madame Francine Cousteau, vedova del Comandante Jacques Yves e Presidente della Fondazione Cousteau, e il navigatore solitario Stéfane Narvaez con il suo sloop Shark 47 reduce dal suo grande exploit: il giro del mondo al contrario, in 250 giorni, senza scalo e navigando soltanto con la forza del vento e dell’energia solare.


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Nella foto in basso: fluorescenze di Massimo Corradi.

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LO SPETTACOLO D’INVERNO IN VALBREVENNA Tra castelli, chiese e oratori, il fascino antico delle frazioni e dei paesi che punteggiano i crinali Testo e foto di Mauro Ricchetti

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a Valbrevenna inizia a pochi chilometri da Casella. D’estate è come un lungo canale di un verde intenso e luminoso, stretto tra boschi e montagne; un territorio quasi nascosto, silenzioso e affascinante, disegnato intensamente da un susseguirsi di fasce, torrenti e cascate, dal fondovalle fino agli antichi casoni del Lomà e alle pendici dell’Antola. In autunno, la zona si colora di calde tonalità che variano dal giallo al rosso, al marrone che il sole, ormai meno intenso, fa brillare, mentre le foglie secche formano soffici tappeti lungo i quindici chilometri della vallata. Ma è tra dicembre e i primi di febbraio, quando la neve copre con un manto bianco montagne, alberi e colline, che


Escursioni

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la vallata diventa spettacolare, quando le fasce gradonate che dal fiume salgono verso la montagna disegnano con linee sinuose i dislivelli dal fiume fino alle cime dell’Antola. Le cinquantadue frazioni – alcune ancora intensamente popolate, altre quasi abbandonate – punteggiano i crinali con tanti piccoli gruppi di case dove solitamente si può vedere una chiesa con il campanile aguzzo ed un piccolo cimitero. Da Molino vecchio, capoluogo di fondovalle, le frazioni appaiono come adagiate sulle colline fino alle creste dei monti, intervallate d’inverno dalle distese bianche dei campi e dei boschi degradanti verso valle. I piccoli gruppi di case sparse sono ancora in massima parte compatti realizzati in pietra, costruiti con la marna dell’Antola un tempo legata assieme dalla calce prodotta nelle fornaci locali. Molti camini delle case fumano ancora e per le strade si sente il profumo della legna bruciata e del pane appena sfornato. Il compatto manto nevoso sembra potenziare il silenzio ed i tetti delle umili abitazioni divenuti anch’essi bianchi, fanno apparire queste case ancora più inserite nell’ambiente. La neve infatti ricopre anche i nuovi interventi non sempre adeguati, mostrando solo il gioco dei volumi delle antiche costruzioni cosi come erano centocinquant’anni fa, quando gli abitanti erano oltre tremila, prima del grande esodo verso Perù e Argentina. Molti contadini che all’epoca emigrarono fecero anche fortuna, e anche se si inserirono molto bene nella società dei nuovi paesi, in fondo al cuore custodirono sempre desiderio di ritornare ai luoghi natii. Senarega, paese di fondovalle con il suo antico castello dei Fieschi, di recente completamente restaurato, è forse il borgo più interessante dal punto di vista architettonico ed ambientale della Valbrevenna. La neve rende davvero spettacolare il tessuto edilizio del borgo che dalle case basse e dal ponte medioevale sul torrente sale fino al Castello e alla grande Chiesa, in un susseguirsi di tonalità bianche e

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grigie. Gli spigoli degli edifici sembrano quasi arrotondati dalla neve, in un’atmosfera ovattata, avvolta da un silenzio assoluto, che nonostante il freddo intenso e le gelate invita a restare. Il Comune di Valbrevenna riaprirà al pubblico il grande Castello e l’Oratorio completamente restaurati nei prossimi mesi dell’anno. Una occasione per far conoscere sia il piccolo maniero che l’antico borgo, patrimonio unico della


Escursioni vallata rivolto ad un turismo sempre più attento a cogliere gli aspetti intatti del nostro ambiente ancora unico, sia d’estate che nella magica atmosfera dello spettacolo della neve. Armanda Navone, nel suo libro sulla Valbrevenna «Il sole sorge al tramonto», ha scritto: «Non un rumore, non una voce risalivano… ma in alto le vette si accentuavano nel cielo chiarito da un alone di delicatissima luce… puoi girare il mondo intero, ma un’aria così non la trovi di sicuro».

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ici «primula» e subito pensi alla primavera: la si vede far capolino con fiori di un bel colore giallo nei boschi, vicino a ruscelli, su terreni calcarei, alla fine dell’inverno subito dopo la scomparsa della neve, quando nei prati comincia a comparire l’erba verde. Le Primule accomunano due proprietà molto importanti: sono rustiche di facile impianto e molto decorative. I fioristi quindi si sono cimentati a creare un numero grandissimo di cultivar (soprattutto dalla subsp. sibthorpii o ibridi tra le varie sottospecie) variando la colorazione dei petali, la grandezza del fiore, la bellezza delle foglie, ma anche il numero dei petali o il suo disegno (fimbriato, arricciato, ondulato, frastagliato, ecc.). Il nome del genere (“Primula”) deriva da un’antica locuzione italiana che significa fior di primavera (e prima ancora potrebbe derivare dal latino primus). All’inizio del Rinascimento questo termine indicava indifferentemente qualsiasi fiore che sbocciasse appena finito l’inverno, ad esempio così si indicavano le primaverili margheritine (Bellis perennis – Pratolina). In seguito però il significato si restrinse come nome specifico (nel parlare corrente) alla pianta di questa scheda (chiamata alla fine “Primula comune”), e come nome dell’intero genere nei trattati botanici. Ildegarda di Bingen (Badessa Hildegard von Bingen, diventata santa e vissuta in Germania dal 1098 al 1179, studiosa di medicina) la consigliava come rimedio contro la malinconia: se la si portava sul cuore a contatto con la pelle avrebbe raccolto il vigore del sole di mezzogiorno. Le più conosciute specie spontanee della flora italiana vi sono la P. veris, nota col nome comune di primula odorosa o primavera odorosa, spontanea sulle prode dei fossati, sulle Alpi e gli Appennini, dove fiorisce alla fine dell’inverno, la P. vulgaris, comune nei boschi, nota col nome comune di primaverina, e occhio di civetta, la P. farinosa, dai fiori colorati di rosa o rossi, comune sulle Alpi. Le primule coltivate in piena terra desiderano esposizione semi-ombrosa e riparata, terreno acido e fresco, fertile e ben concimato con sostanze organiche; le specie coltivate in vaso richiedono locali freschi e umidi, luce solare filtrata, terriccio fertile, leggero e acido, concimate ogni 15 giorni con fertilizzante liquido, annaffiature abbondanti, le specie perenni vengono coltivate come annuali, scartandole dopo la fioritura. La moltiplicazione avviene con la semina sotto vetro o in ambiente fresco e ombreggiato, in terriccio di bosco sabbioso, utilizzando seme freschissimo, da aprile in poi, con fioritura nell’inverno-primavera successiva. Le cultivar vengono moltiplicate per via agamica, con la divisione autunnale dei cespi, o dei getti, anche se generalmente le primule malsopportano i trapianti, presentando scarse fioriture. Le specie esotiche che mal sopportano il gelo vengono coltivate in vaso nelle serre o negli appartamenti. tra le specie

Più di cinquecento specie per questa pianta che coi suoi colori vivaci segnala la fine dell’inverno

rustiche, adatte alla decorazione di sottoboschi, prati e giardini umidi, segnaliamo la P. acaulis dai fiori giallo-chiari, la P. auricolacon foglie carnose e fiori gialli, la P. hirsuta dai fiori porporini e la P. elatior, con fiori di colore giallo o arancio riuniti in ombrelle, e numerose varietà con una vasta gamma di colori, dal giallo al rosso al blu. La primula è una pianta dalle numerose virtù medicinali. L’infuso, il decotto e lo sciroppo dei rizomi di P. veris, dall’odore anisato, raccolti da settembre a novembre, ripuliti ed essiccati al sole, hanno proprietà diuretiche, espettoranti e bechiche, vantano anche un’azione antiemetica, tonica del sistema nervoso, antireumatica e antidiarroica. Topicamente si utilizzano i rizomi freschi ridotti in poltiglia come impacchi sedativi. Inoltre, la polvere dei rizomi ha proprietà sternutatorie; il decotto per uso esterno di foglie raccolte da aprile a giugno avrebbe proprietà antireumetiche, antiartritiche e curative della gotta, e l’infuso e lo sciroppo dei fiori raccolti da aprile a giugno appena sbocciati e seccati all’ombra, vantano proprietà sudorifere, calmanti, anticonvulsive, bechiche e pettorali. L’infuso per uso topico dei fiori serve per impacchi antinevralgici e infine le giovani foglie consumate fresche, crude o cotte, hanno un’azione depurativa.

La primula, il fiore di primavera 34 INGENOVA Magazine


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