ANNO 1 - N° 3 - Giugno 2014 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006
GIUGNO 2014
IN PRIMO PIANO:
AMADEO GIANNINI
Dalla Liguria all’America: il più grande banchiere del mondo
Al Festival della Parola
DANIELA COLOMBO
È NATA UNA STELLA
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Rivista realizzata con l a c o l l a b o r a z i o n e d i :
Sommario
numero di giugno2014 A
madeo Giannini, il banchiere più grande del mondo
Antenna blu. La Liguria da guardare.
Antenna Blu Television s.c.r.l. Sede legale Via Antonio Negro 13/10 16154 - Genova Tel. 0106045594 - Fax. 0106509024 Studio di registrazione Via Giardini Rodari 6a Tel. 0106509232 antennablutelevision@virgilio.it info@antennablu.it paolo.cavanna@alice.it Pubblicità e Marketing 0108592291
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estival della Parola Chiavari diventa la capitale della “cultura comune”
Parco Dell’antola
tra Natura e Cultura... a due passi dalla citta’
ANTENNABLU
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laudio Pia... semplicemente sbalorditivo!
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evante Ligure “In-Let City Store”
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uarantadue “catture” per il fotosafari di Bogliasco
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cimiscià, dal passato al presente
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ome vedono i daltonici
ANNO 1 - N° 3 - Giugno 2014 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006
GIUGNO 2014
IN PRIMO PIANO:
AMADEO GIANNINI
Dalla Liguria all’America: il più grande banchiere del mondo
DANIELA COLOMBO
Al Festival della Parola È NATA UNA STELLA
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Liguria magazine
IL BANCHIERE
PIÙU’ GRANDE DEL MONDO PARTE DA FAVALE DI MALVARO LA STORIA DI AMEDEO PIETRO GIANNINI, CHE DA FIGLIO DI EMIGRATI DIVENNE IL FONDATORE DELLA BANK OF AMERICA
I
l viaggio alla scoperta delle origini di Amedeo Pietro Giannini, fondatore nel 1904 della “Bank of America”, si avvale di una guida speciale che conserva tanti ricordi e memorie da aver fondato, assieme ad altre personalità liguri, un’associazione denominata “Liguri nel Mondo” a metà degli anni ‘80: Giovanni Boitano. Ricoprendo la carica di vicepresidente quando l’associazione era presieduta dal compianto Giuseppino Roberto, Boitano, sindaco di Favale per molti anni, ha partecipato al consolidamento delle varie associazioni locali sparse nel mondo ed in particolare nel Sud e Nord America. Numerosi sono stati gli incontri con i diversi gruppi insediati in Argentina, Cile, Ecuador, Uruguay e California e i racconti che scaturiscono da questi avvenimenti sono talmente tanti da richiedere uno spazio non previsto e quindi è necessario riportarne solo alcuni con l’intento L’ing. Giovanni Boitano cofondatore di pubblicarne altri in un magazine dedicato ai “Liguri nel Mondo” oggi in programmazione e che andrà in stampa a dell’associazione “Liguri nel mondo”. breve. Sopra: un ritratto di Tra i tantissimi aneddoti, Boitano ricorda il Cile e la città di Valparaiso dove i colorati ascensori portano ad osservare Pietro Giannini. la città dal “Mirador Camogli”, realizzato nel 2003 da un camogliese, tale Pablo Peragallo, che ha voluto incidere i
nomi di tutte le località della Liguria da cui sono partiti gli emigranti oggi residenti a Valparaiso, Santiago, Vigna del Mar eccetera. Ricorda poi i primi grandi impianti vinicoli realizzati dai liguri nella suggestiva cittadina di Los Andes, sulla strada che da Buenos Aires conduce a Santiago e Valparaiso. La cittadina di Los Andes (40.000 abitanti a 2.000 metri sul livello del mare) fu fondata a metà dell’800 da cinque emigranti liguri che presero ad impiantare subito le viti così come facevano nella terra di origine, dando il via alle grandi coltivazioni vinicole che rappresentano un valore notevole per la costa americana del pacifico. All’estremo sud del Perù si trova Tacna, al confine col Cile, dove la numerosa colonia italiana è da sempre in competizione con la città di Guayaquil per dimostrare il primato storico dell’insediamento e la qualità dell’impegno messo dai liguri nelle economie locali. Il principale aeroporto di Tacna è intitolato a Carlos Ciriani (uno dei primi liguri arrivati); molti abitanti della città, di origine diversa, hanno soprannomi liguri. Da tutti i ricordi emerge come gli emigranti dalla Liguria fossero dotati di fortissima intraprendenza e grande capacità di sacrificio e rinuncia derivati da una vita in terra natia fatta di povere cose. La visita del museo di Favale di Malvaro, ricavato nella casa natale del ligure che andiamo ora ad incontrare, consente di comprendere bene quali fossero le condizioni di vita dell’epoca e come fosse stimolato fortemente il bisogno di “dare risultato” ai propri sforzi e alla determinazione tipica di un popolo stretto tra la montagna e il mare. La storia di Amedeo Pietro Giannini, annoverato tra i colossi della finanza mondiale, incomincia dalla Fantanabuona e proprio da Favale di Malvaro, o meglio, come si usava dire un tempo, sa Sanvinsensu (S.Vincenzo di Favale). Qui, in località Acereto, viveva a metà dell’800 Carlo Giannini, soprannominato u Pasiensa della umile famiglia detta dei “negrun”, contadini come tanti. Luigi, uno dei suoi figli, si era invaghito di Virginia Demartini, una giovane che abitava non molto lontano, in località Ortigaro. Era figlia di Pietro, detto Peetrà di ricchi perché la famiglia raccoglieva una quantità di castagne superiore a quella degli altri e le castagne erano a quei tempi una vera ricchezza. Colpito dalla febbre dell’oro, il giovane Luigi decise di andare in California con una promessa al padre di Virginia: “Se mi va bene tornerò e vi mostrerò la mia ricchezza, così, se me lo concederete, sposerò vostra figlia!”. Luigi Giannini mantenne la parola e pochi anni dopo, quando tornò, andò alla casa dei “ricchi” Demartini e riversò in un “vallo” (il “ventilabro”, grande cesto svasato utilizzato per togliere la pula alle castagne) una grande quantità di monete d’oro che valevano di più di tutte le castagne del paese. Il matrimonio venne celebrato il 30 giugno 1869, Luigi aveva 23 anni e Virginia solo 15. Dopo poco partirono per la California e raggiunsero San Josè dove il 6 maggio 1870, in una locanda (l’Albergo Svizzero) presa in gestione da Luigi per garantirsi un tetto ed un lavoro, nacque Amedeo Pietro Giannini, il bimbo che Virginia portava in grembo dall’Italia. Nel 1876 Luigi, durante un’accesa discussione con un
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Protagonisti bracciante, viene ferito a morte. Virginia resta con Amedeo e gli altri due figli nati dopo, Attilio e Giorgio. Decide di risposarsi con Lorenzo Scatena, proprietario di un podere confinante con il suo, che affida ad Amedeo Pietro la conduzione amministrativa della azienda agricola unita, la “Scatena & company”. A 22 anni il giovane Amedeo Giannini - Eppy, così era chiamato - sposa Clorinda Agnese Cuneo, figlia di Giuseppe Pietro Cuneo (anche lui della Fontanabuona) che l’anno dopo, il 17 gennaio 1803, fonda una cassa di risparmio locale, la “Columbus Saving and Loan Society”. Alla morte del suocero, avvenuta nel 1902, Amedeo Pietro Giannini si ritrova erede e comproprietario della piccola banca. Nel 1904, a causa di incompatibilità sulle scelte gestionali, Amedeo Giannini esce dalla banca e si fa liquidare la sua quota. Il 17 ottobre del 1904 fonda la “sua” banca e inizia la corsa verso il traguardo di “Banchiere più grande del mondo”. Giannini aprì la Bank of Italy il 17 ottobre del 1904; i depositi il primo giorno ammontarono a 8.780 dollari. La prima difficoltà da superare fu il terremoto di San Francisco del 1906, ma proprio la catastrofe aiutò Giannini a guadagnare il monopolio dei prestiti: quando il terremoto e l’incendio distrussero in tre giorni 50.000 abitazioni private, oltre agli uffici, agli alberghi ed agli edifici pubblici, Giannini prese un carro sul quale fece mettere la cassaforte recuperata dalle macerie, si piazzò in mezzo alla folla dei sinistrati, ci mise sopra il cartello Banca d’Italia: aperto ai clienti ed incominciò ad offrire soldi per la ricostruzione. Faceva il banchiere da soli quattro anni e la sua clientela era formata da umili artigiani e commercianti di origine italiana che non trovavano credito in nessun’altra banca, divenne famoso perché concedeva prestiti “osservando le mani” dei richiedenti....i “calli da lavoro” furono la vera garanzia che il prestito sarebbe stato restituito. Il terremoto di San Francisco gli offrì l’occasione di estendere anche al di fuori della colonia italiana la sua fiducia nel lavoro della gente semplice, nel dinamismo della vita economica americana e nella funzione di stimolo della banca. Il suo coraggio fu premiato: gran parte della ricostruzione di San Francisco fu finanziata attraverso i suo sportelli. Dal 1916 aprì altre filiali: da San Francisco la sua attività si allargò a poco a poco a tutta la California, specie sotto forma di finanziamento dei piccoli agricoltori, in gran parte oriundi italiani. Poi, superati gli ostacoli anche legali che i concorrenti e le autorità locali opponevano alla sua penetrazione, ottenne la fiducia dei grandi uomini di affari e si espanse anche nel resto degli Stati Uniti. Nel 1919 fondò la Banca d’America e d’Italia. Nel 1927 cambiò il nome in Bank of America: il banchiere degli umili era ormai diventato il banchiere di tutti. Nel 1928, Giannini si avvicinò a Orra E. Monnette, presidente della Bank of America di Los Angeles per la fusione dei due istituti finanziari. Riuscì a convincerlo e si formò il primo grosso gruppo bancario della California. Nel 1945 la Bank of America superò per entità di depositi la First National City Bank e la Chase Manhattan Bank, le due più grosse banche di New York, e diventò la prima banca del mondo. Nel periodo bellico Amadeo Giannini incaricò il figlio Mario di occuparsi degli italiani confinati nei campi di concentramento e di adoperarsi al fine di evitare l’internamento di altri italoamericani. Subito dopo la fine della guerra volle che la banca partecipasse in prima persona alla ricostruzione dell’Italia accordandosi con Arthur Schlesinger, responsabile della gestione del Piano Marshall, per accelerare l’invio degli aiuti; visitando l’Italia aiutò con dei prestiti l’industria automobilistica FIAT. A San Francisco una piazza vicina alla Bank of America della
città è intitolata a suo nome. Il servizio postale americano lo ha onorato con l’emissione nel 1973 di un francobollo con il suo ritratto. La rivista Time ha nominato Giannini come uno dei “builders and titans” (costruttori e titani) del XX secolo. Nel 2004 il governo italiano lo ha onorato con una esibizione e cerimonia nel parlamento per ricordare il centenario della fondazione dalla Bank of Italy. Giannini e la sua banca in California hanno aiutato in maniera determinante le industrie cinematografiche e del vino a consolidarsi. Giannini finanziò i primi film di Walt Disney, Charlie Chaplin e Frank Capra, autori con cui strinse un forte legame di amicizia.
La casa natale di Amedeo Giannini a Favale di Malvaro, sede del museo. Sotto: la “targa” del museo di Favale ed un particolare dell’essiccatoio posto all’interno della casa che aveva il compito di trattare le castagne, l’ “oro della valle”, ed anche quello di riscaldare l’ambiente dove vivevano i Giannini.
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Daniela Colombo, una delle organizzatrici dell’evento.
FRUTTO DI UN’IDEA AMBIZIOSA, DI UN’EQUIPE TUTTA AL FEMMINILE ENTUSIASTA ED INSTANCABILE E DI UNA FAME ATAVICA DI CULTURA A MISURA D’UOMO COMUNE, È NATA A CHIAVARI LA PRIMA EDIZIONE DEL FESTIVAL DELLA PAROLA.
FESTIVAL DELLA PAROLA, CHIAVARI DIVENTA LA CAPITALE DELLA “CULTURA COMUNE”
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al 29 maggio al 1° giugno la cittadina del Tigullio si è animata nelle piazze, per le vie del centro storico, nelle sale della Società Economica, all’Auditorium San Francesco, sulla passeggiata a mare di ben 65 eventi spalmati lungo le quattro giornate, dove il sostantivo parola è stato analizzato attraverso le più disparate accezioni. Si è passati dalla parola nel corso della storia quando, attraverso una modernissima pièce a cura del Prof. Luigi Spina dell’Università di Napoli e del suo attore Francesco Puccio, si è inaugurata la manifestazione, presentando una escursione sulla filologia della parola da Aristotele a Quintiliano, da Woody Allen a Report. Si è transitati – con un successo di pubblico e di partecipazione – dallo studio della parola nella spiritualità, con incontri con le meditazioni buddiste, islamiche e francescane ad approfondimenti scientifici e filosofici. Ci si è soffermati sulla parola nello sport, con un intervento del patron della nuova squadra ligure in Serie B, la Virtus Entella di Antonio Gozzi, arrivando alla riflessione sulla
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parola nel giornalismo, dalla più classica comunicazione scritta alla tecnologia web. L’ha fatta da padrona la strada, con flash mob letterari, presentazioni di libri, letture a cielo aperto, performance teatrali, oltre ad un’imponente sezione dedicata al cinema di Pablo Neruda e alla conclusione delle serate dando voce alla parola nella musica. Non sono mancati i grandi nomi come Piergiorgio Odifreddi, Max Manfredi, Massimo Bernardini, Alessandro Meluzzi, Davide Van De Sfroos, Giampiero Mughini, Samuele Bersani, Roberto Vecchioni, Enrico De Angelis, Zibba e molti altri. Si è deciso di dedicare questa prima edizione ad Elena Bono, poetessa, scrittrice, una tra le più grandi del Novecento, cittadina chiavarese mancata lo scorso febbraio. Proprio per celebrarla, si è aperto il Festival con una mostra a Lei dedicata e lo si è chiuso con una lettura delle opere più celebri a cura di Claudia Koll e Salvatore Ciulla. Indiscutibile il successo della manifestazione riconosciuto dalle moltissime persone, cittadini e turisti, che vi hanno partecipato, ma anche dallo spazio riconosciutogli dai mezzi di comunicazione di massa. Una ventata d’aria fresca in una città che è bella e affascinante già di suo, ricca di cultura, che traspare dalla sua architettura, dallo splendore dei suoi palazzi, da una vivacità intellettuale solo apparentemente sopita. Ma la parola che più si è distinta in questi giorni è stata “collaborazione”.
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Collaborazione da parte della giunta chiavarese del Sindaco Roberto Levaggi, dimostrando grande coraggio nell’investire in cultura, quando spesso si sente la necessità di spendere prima per i marciapiedi, ma soprattutto collaborazione con le associazioni del territorio, jam session tra pubblico e privato in una sinergia che fortemente è desiderata dalle grandi istituzioni. E allora, quattro ragazze che hanno deciso, testa bassa ma spirito di squadra, di sognare in grande, anche se non abbastanza perchè “the best is yet to come”, hanno messo anima e corpo in un progetto che aspettava solo di essere cavalcato. Grandi aspettative si stanno già formando sulla prossima edizione che si terrà sempre in primavera avanzata, in un’ottica di destagionalizzazione di un turismo che sempre più ha bisogno di emozioni esperienziali.
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TRA NATURA E CULTURA...
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A DUE PASSI DALLA CITTA’
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A SPASSO PER IL PARCO DELL’ANTOLA, UNA DELLE METE PIÙ AMATE DAI GENOVESI E DAI LIGURI
L
a Liguria è una terra ricca di varietà paesaggistiche ed ambientali. Il mare tocca le rocce che salgono veloci verso l’Appennino creando panorami ed atmosfere da scoprire, vivere e tutelare. Per rendere possibile tutto ciò un ruolo fondamentale è affidato ai Parchi Naturali, che si propongono numerosissimi obiettivi: il primo – e quello che probabilmente li accomuna un po’ tutti – è proteggere la biodiversità. In questa occasione vorremmo raccontare del Parco dell’Antola, che prende il nome da uno di monti più cari ai genovesi e che, raccogliendo le tradizioni, le peculiarità paesaggistiche e turistiche della Val Trebbia e della Valle Scrivia, si prefigge un altro obiettivo particolare: permettere ad un vasto pubblico di godere delle sue ricchezze, sempre un po’ nascoste, come forse il carattere dei liguri stessi. La sua area si snoda tra la Val Trebbia e la Valle Scrivia e comprende ben dodici comuni dell’entroterra: in Valle Scrivia Busalla, Ronco Scrivia, Savignone, Crocefieschi, Valbrevenna e Vobbia; in Val Trebbia Torriglia, Propata, Fascia, Montebruno, Rondanina e Gorreto. L’area protetta presenta
una notevole varietà di ambienti, valli e vette panoramiche, boschi, pascoli e radure, versanti rocciosi a strapiombo, corsi e bacini ricchi d’acqua, una fauna selvatica presente su tutto il territorio. I crinali dell’Antola permettono di “vivere” la natura grazie ad una ricca ed estesa rete escursionistica segnalata. Oltre alla valorizzazione e alla tutela quotidiana della biodiversità, il parco si impegna in molteplici attività di promozione del territorio, ponendo l’attenzione su aspetti culturali, turistici, educativi ed eno-gastronomici. Esso si impegna nel promuovere la cultura locale, le produzioni tipiche, valorizzando le aziende agricole che operano sul territorio con la creazione del logo “I Sapori del Parco”, che da qualche tempo è concesso dal Parco ad alcuni prodotti tipici provenienti o lavorati in Val Scrivia o Trebbia. Di fondamentale importanza è senza dubbio il centro di Educazione Ambientale, che propone ogni anno alle scuole un vario e ricco catalogo di proposte didattiche alle quali partecipano, ogni primavera, centinaia di ragazzini sia delle due vallate che anche e soprattutto di Genova.
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Due splendide immagine del lago del Brugneto.
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Il Parco in questi ultimi anni ha progettato ed realizzato due importanti strutture che, con finalità diverse, stanno permettendo ad un sempre più vasto pubblico di conoscere ed apprezzare le potenzialità dell’area protetta: la prima è il Rifugio Parco Antola, inaugurato nel luglio 2007 e che con i suoi 32 posti letto ha donato nuovamente un presidio all’Antola, da sempre una delle vette più care ai genovesi. Il Rifugio è aperto per molti mesi tutti i giorni e anche nei mesi invernali è possibile prenotare nei weekend per rifocillarsi dopo una ciaspolata nella neve. Federico e Silvia vi accoglieranno per una notte in vetta, per un buon piatto di polenta o anche solo per una cioccolata! (Rifugio Parco Antola 339.4874872 – info@rifugioantola.com). Dal settembre 2011 è invece aperto al pubblico l’Osservatorio Astronomico Parco Antola – Comune di Fascia in Loc. Casa del Romano, tra l’altro una delle partenze predilette dal pubblico per salire in Antola. La struttura, che vanta un telescopio tra i più importanti in Italia e in Europa, dispone anche di un magnifico planetario e di una sala conferenze nella quale, attraverso una breve parentesi introduttiva, hanno inizio le visite guidate, fin dall’inizio a cura dell’Associazione Urania. Le aperture della struttura sono indicate, periodo per periodo, sul sito dedicato www.osservatorioparcoantola.it. Per altre informazioni: Associazione Urania 333.9355539. Il Parco poi ha la gestione del Castello della Pietra di Vobbia, fantastico maniero in Valle Scrivia arroccato tra due torrioni di roccia naturale. Il Castello venne edificato attorno all’anno Mille ed è oggi in ottime condizioni per merito di un restauro completo avvenuto alcuni anni fa che ne ha permesso la riapertura al pubblico. Una visita guidata di circa un’ora accompagnerà i visitatori attraverso le diverse stanze
Castello della Pietra è situato in una pittoresca posizione elevata tra due speroni rocciosi che ne costituiscono i naturali bastioni. Il castello è raggiungibile soltanto a piedi tramite un sentiero nel bosco, ed una scalinata, dopo venti minuti di suggestivo cammino.
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Natura ligure Un’altra immagine del Castello della Pietra ©M.Esposito.
Splendida immagine di Casa Romano © G. Roccatagliata.
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fino a raggiungere gli spettacolari punti panoramici, a picco sulla Val Vobbia. Il Castello sarà aperto tutte le domeniche e i giorni festivi a partire dal giorno di Pasquetta (1 aprile 2013). Per tutte le altre informazioni potete contattare gli uffici del Parco al numero 010.944175. Il Parco inoltre mensilmente organizza alcune escursioni guidate, con l’accompagnamento di guide ambientali, per A maggio i narcisi scoprire tutti i diversi aspetti della biodiversità dei suoi sul Pian territori: escursioni alla scoperta degli habitat della fauna della Cavalla.
selvatica (daino e lupo, negli ultimi anni ricomparso anche sull’Appennino Ligure), ciaspolate attraverso i sentieri innevati, brevi camminate verso le fioriture dei narcisi, fenomeno spettacolare a cui si può assistere durante il mese di maggio in Val Brugneto (Val Trebbia), e molto molto altro… Tutte le iniziative del Parco si possono trovare sul notiziario trimestrale dell’Ente, Le voci dell’Antola, il prossimo in uscita nel mese di marzo, oppure sul sito ufficiale del Parco, www.parcoantola.it
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COME, DOVE E QUANDO NEL PARCO Il contatto più immediato e diretto con il Parco dell’Antola è l’ufficio turistico di Torriglia, aperto tutto l’anno dal martedì alla domenica dalle 9 alle 13, che proverà a fornirvi le risposte a tutte le vostre curiosità. Chiamateci: 010.944175 o… scriveteci: info@parcoantola.it
Sopra la cupola dell’Osservatorio foto L.Grasso. Nelle due foto accanto il rifugio Le Terrazze.
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Qui sopra una foto di Pian della Cavalla Š A. Macco. Qui a fianco il rifugio Le Terrazze.
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In alto a sinistra: concrezioni all’interno di una goccia. Miniera abbandonata, Val Graveglia. (Foto a “4 mani” con Cristian Umili). Qui sopra: entrata ai sottolivelli completamente allagata. Gambatesa, Val Graveglia.
Qui a sinistra: concrezione mucolitica organica. Miniera abbandonata, Val Graveglia
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uando la fotografia impedisce di scrivere didascalie è perchè le immagini, come si dice in “volgo” “PARLANO DA SOLE!” Queste non sono opere di un fotografo ma di un incantevole romanziere che trascura di mettere “lettere in fila...” Lui “scatta” e per incanto dice tutto quanto la mente più fantastica può immaginare.
Dall’alto verso il basso: giocando con lo sfocato, lamelle di un grosso fungo in gran evidenza, alta Val d’Aveto. Stropharia squamosa, Schuppige Träuschling mushroom e Rana Temporaria, alta Val d’Aveto. Piccole Mycena, splendido gruppetto controluce, alta Val d’Aveto. In fondo: giocando con il controluce, lamelle di un grosso fungo in gran evidenza, alta Val d’Aveto.
Nella colonna a sinistra, sopra: Boletus reticulatus, splenido porcino in un castagneto della Val di Vara. Sotto: Clitocybe nebularis, giocando con gocce, forme e colori, alta Val d’Aveto
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Charaxes jasus bruco, caterpillar, Oruga, Sestri Levante
Lycaenidae sp, Licénidos, Bläulinge, Mariposa, Val Cichero
Qui sopra: L’Imperatore Dall’alto verso il basso, nelle prime due foto: Hesperia comma, Butterfly, Papillon, Mariposa, Val d’Aveto Le restanti: Melitaea didyma, Butterfly, Papillon, .Mariposa, Val Cichero Zerinthia polyxena, Butterfly, Papillon, Mariposa, Alta Val Graveglia .
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Liguria artistica CHI SONO Sono nato a Chiavari nel 1966. L’amore per la natura si manifesta già dai primi anni, in vacanza con i miei genitori, nel bellissimo paesino di Santo Stefano d’Aveto .Una volta cresciuto ho iniziato ad andare per boschi, cercando funghi, facendo trekking e, da quasi 20 anni, andando ogni Domenica in mountain bike nel nostro favoloso entroterra.Nel 2005 ho acquistato la mia prima reflex, una Nikon D70 e da quel momento ho ricominciato a studiare, molto di più di quando andavo a scuola. Inizialmente ho frequentato un corso base, nel quale ho imparato cosa sono e a cosa servono tempi, diaframmi ecc ecc. Successivamente ho partecipato a Workshops specifici sulla macrofotografia che mi hanno fatto scoprire un nuovo mondo, una dimensione ai più sconosciuta, ne siamo circondati, ma non la vediamo. La macro, svela le bellezze che l’occhio umano non riesce a catturare ed è per questo che esercita un fascino così grande su di me. Non essendo mai soddisfatto sono sempre alla ricerca del “passo avanti” e questo mi aiuta a progredire. Dal 2008, alla passione per la foto si è unita anche la voglia di conoscere le caratteristiche principali dei soggetti che riprendo, quindi ho iniziato a studiare entomologia (insetti), herpetologia (In particolare anfibi) ed infine botanica con grandissima soddisfazione. Nel frattempo svolgo ricerche sul territorio in maniera molto più mirata e consapevole. Il mio rispetto per la natura e la conoscenza dei suoi piccoli abitanti sono in continua crescita, al pari della mia tecnica.
Fotografando orchidee in alta Val Graveglia
Giocando con tecniche fotografiche avanzate, scatto unico! Val Graveglia miniera abbandonata.
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è un marchio che intende sostenere le attività commerciali aggredite dagli OUT LET, riservando spazi di comunicazione dedicati che si propongono al “cliente tipo” dei FOC. In queste pagine, che saranno occupate dalle attività partecipanti, viene sviluppato un primo approccio conoscitivo del “nemico”...
Il Bar della Piazza
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Il Levante Ligure
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Perchia di Alessandro Marcenaro
QUARANTADUE “CATTURE”
PER IL FOTOSAFARI DI BOGLIASCO di Gianni Risso
I
l 9 giugno 2013 nelle acque davanti a Bogliasco si è svolta una importante gara nazionale di safari fotografico subacqueo valida per la selezione ai Campionati Italiani FIPSAS 2013. I partecipanti, tutti brevettati e abilitati alla specialità agonistica, si sono sfidati a colpi di flash e scatti digitali per quattro intense ore, cercando di catturare con gli obiettivi il maggior numero di specie ittiche diverse. I risultati sono stati più che soddisfacenti, grazie alle condizioni meteo marine finalmente favorevoli ,con mare calmo e acque limpide. Inoltre i fondali di Bogliasco si sono dimostrati veramente ricchi di varietà di specie, tranquille e avvicinabili, come confermano i «carnieri» dei più bravi che sono riusciti a scovare ben 42 specie diverse.
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AL 1° TROFEO COMUNE DI BOGLIASCO ANCHE I CAMPIONI ITALIANI DI SAFARI FOTOSUB
Durante la gara, perfettamente organizzata dal CICASUB ASD Bogliasco Seatram – Diveross con il supporto logistico del Club Nautico di Bogliasco, sono stati fotografati persino barracuda, branchi di orate, lecce, cefali, tracine, dentici, torpedini, saraghi, salpe, donzelle pavonine, corvine e moltissime varietà di labridi. Dopo la conclusione della gara e lo scarico delle immagini sui computer della giuria, si sono svolte le operazioni di valutazione presso il salone parrocchiale in Bettolo – sottochiesa, dove la manifestazione si è conclusa con le premiazioni per la classifica assoluta e per le quattro diverse categorie. Le gare di safari fotografico subacqueo infatti si possono disputare in apnea oppure con l’autorespiratore, e utilizzando apparecchi fotografici reflex oppure compatti. Vincitore assoluto con il punteggio più alto e il maggior numero di specie è risultato Nicola Alaimo del Centro Sub Alto Tirreno di Massa, che ha dominato anche nella categoria “Apnea compatte”. La vittoria ha fruttato al campione il prestigioso “1° Trofeo Comune di Bogliasco” e una stupenda custodia stagna per reflex della Diveross. Ecco le classifiche delle 4 categorie. Per“Apnea compatte” alle spalle di Alaimo si sono piazzati Davide Barreca del locale CICASUB ASD Bogliasco Seatram – Diveross (42 specie catturate) e Simone Marassini del Club Sub Sestri Levante con 38 specie.
Il “Tordo ocellato” sta costruendo il nido. La foto è di di Alessandro Marcenaro
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Parte dei concorrenti Nell’“ARA Master” ha trionfato Massimo Corradi (CICASUB ASD Bogliasco Seatram – Diveross), più volte campioa Bogliasco prima ne italiano della specialità con 30 specie diverse molto ben della gara. fotografate, alle sue spalle i compagni di club Roberto Baccino, Paolo Battiato e Gianni Risso. In “ARA compatte” netta affermazione della campionissima supertitolata Martina Gambirasi del Club Sub Sestri Levante con 34 specie diverse, 2° Massimiliano Muratore stesso club e 31 specie e ottimo terzo Augusto Carbone (27 specie) della Lega Navale Italiana – Quinto al Mare. Alessandro Marcenaro del Club Sub Sestri Levante, secondo nell’assoluta, ha vinto nella categoria “Apnea Master” con 36 specie e si è aggiudicato con pieno merito, per una singolare istantanea di un labride intento a farsi il nido, anche il premio speciale “Michele Calabrese” istituito espressamente dal sindaco di Bogliasco Luca Pastorino alla memoria del concittadino recentemente scomparso durante una immersione al Cristo degli Abissi. Hanno contribuito al ricco monte premi anche Edizioni IRECO Roma Editrice La Mandragora Imola, Diveross Cooreggio, Aqua lung, apneaworld.com, Ditta Gentilotti Ge-Nervi, Isotta, Sun Line , Torino, Diving Q 18 Bogliasco, Diving Center Tortuga San Michele di Pagana, FIPSAS Regionale e Provinciale. La manifestazione è stata nobilitata anche dalla presenza del direttore del quotidiano La Stampa Mario Calabresi, che ha presentato una bellissima gallery di 15 foto sul sito www. lastampa.it.
La premiazione di Massimo Corradi e di, al centro della foto, Nicola Alaimo (1° assoluto).
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Nella foto in alto “Triglia” di Martina Gambirasi. Sotto: “Torpedine” di Davide Barreca.
Nella foto grande in alto: “Tracina” di Nicola Alaimo. Qua a fianco Tordo Rosso, di Massimo Corradi.
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In questa pagina, in alto: “Donzella” di Massimo Corradi Qui sopra: da sinistra, Lino Stancanelli Giudice Gara FIPSAS e Pierluigi Colangelo, responsabile informatica.
Re di triglie.
In alto: Alessandro Marcenaro Qui sopra la premiazione di Massimo Corradi e Martina Gambirasi. A sinistra Gianni Risso. Nella pagina accanto uno splendido “Peperoncino” (giallo e nero). La foto è di Martina Gambirasi.
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SCIMISCIÀA,
NEGLI ANNI NOVANTA È STATO RECUPERATO UN VITIGNO STORICO, CHE OGGI È ENTRATO A FAR PARTE DELLA DOC GOLFO DEL TIGULLIO-PORTOFINO
DAL PASSATO AL PRESENTE di Virgilio Pronzati
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egli anni Ottanta il contesto ampelografico ligure comprendeva ben 39 varietà di vitigni tra raccomandati e autorizzati, così suddivisi: 13 a La Spezia, 11 a Genova, 9 a Savona e 6 a Imperia. Oggi i vitigni sono 30 (16 a bacca bianca e 14 a bacca nera) e non sono più vincolati a restrizioni provinciali, a meno che non compongano i vari vini Doc. I vitigni sono un po’ come le persone: ci sono quelli cosiddetti «intelligenti», capaci cioè di dar vita a vini dal profumo composito e buona struttura, e quelli cosiddetti comuni, da cui derivano vini più semplici ma piacevoli. L’ampelografia mondiale racchiude oltre 7 mila vitigni/uve suddivisi tra quelli da vino e quelli da tavola. Come succede da un po’ di tempo in quasi tutte le nostre regioni, anche in Liguria c’è stato il recupero di antichi o desueti vitigni. Tra questi, dopo averne vinificato piccole quantità di uve (micro vinificazioni) e ripetute analisi chimiche e organottiche, il raro Scimiscià: un vitigno originario della Val Fontanabuona che, nel passato, dava i migliori bianchi locali e migliorava anche i mosti fatti con
varie uve. Il suoi primi vini erano da tavola, poi IGT ed oggi finalmente Doc, entrando a far parte della Doc Golfo del Tigullio-Portofino. Sconosciuto ancor oggi al di fuori del Genovesato, il Scimiscià godeva di buona popolarità e reputazione già da alcuni secoli in Val Fontanabuona, ma le uniche testimonianze scritte su questo vitigno, risalgono alla metà dell’Ottocento. G. B. Arata ne scrisse nel bollettino agrario del febbraio 1882, citando che tra i vari vitigni presenti nel circondario di Chiavari, oltre i già noti Vermentino e Albarola, c’era il Scimiscià, chiamato allora Cimiciato. Altre informazioni ci vengono da C. Garibaldi, proprietario terriero di Pontori, in Valgraveglia. Nei suoi “Ricordi al Padrone e Doveri da Manenti” scritti tra il 1802 e il 1822, annota”…non ti scordare la Moscatella, Vermentino, e Cimixiaro che (l’uva) la fan migliore”. “Le vigne principali da coltivarsi in Garibaldo sono le Brazole, Rolli, uve bianche, Pignoli, uve nere e, Bessari, che ne fan molte. Ma le migliori di sapori, che però ne fan poca, sono le Moscatelle, che van coltivate al sole e non confuse colle altre vigne perché seccano, Vermentino, Cemixiaro, Boccadoro, Augustana”. Il recupero del vitigno risale al finire degli anni ’90. Dai vecchi filari di Scimiscià o Simixià donati da Marco Bacicalupo, per anni portabandiera e pioniere del Simixà, la Cooperativa Agricola San Colombano, per mezzo dell’agronoma Silvia Dellepiane, e lo studio (ampelografico) di Lorenzo Corino, docente dell’Università di Agraria di Torino, è stata fatta una piccola quantità di vino, di cui i risultati sono stati molto positivi. In seguito, con un certosino lavoro durato oltre un lustro, fatto con reimpianti sperimentali e ricerche clonali, è stato possibile far iscrivere il Simixà al Registro nazionale dei vitigni, presso il Ministero Politiche Agricole e Forestali. Nel 2003, promossa dalla Comunità Montana Fontanabuona
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Enogastronomia nell’ambito del locale Expo, si è tenuta una presentazionedegustazione di Simixà secco e passito, nella quale sono emerse testimonianze dirette sul vitigno e sul vino, e la conferma della qualità dei Scimiscià o Simixià degustati. Nel 2005 col contributo economico della Provincia di Genova e la costituzione del Comitato Promotore per il Recupero e la Valorizzazione del Patrimonio Varietale di Vite del Genovesato, costituito dalla stessa Provincia, dalla Comunità Montana Fontanabuona, dalla Cooperativa Agricola San Colombano, dagli agriturismo Da u Cantin e Valle Chiappella di San Colombano e dall’azienda agricola Nervo di Coreglia Ligure, c’è stato un decisivo passo avanti nella valorizzazione e diffusione del Scimiscià. Dai fondi erogati per il progetto, furono acquistati 2000 portinnesti “1103” Paulsen (in seguito innestati, in quanto le marze di Scimixà del vigneto di Cassottana presentavano delle virosi). Seguì l’impianto di barbatelle distribuite all’azienda agricola e ai due agriturismo. Dopo quattro anni le prime uve di Scimiscià, vinificate per tre annate dal dr Giancarlo Stellini, enologo e Responsabile dell’Ufficio “Promozione territoriale - Agricoltura” della Provincia di Genova. Il più era fatto. Oggi i pochi produttori realizzano, tempo permettendo, buoni vini. Dall’esame del DNA è emersa un’interessante scoperta. l’analisi genetica per la caratterizzazione varietale, impiegando 11 microsatelliti, ossia studiando altrettanti punti del genoma soggetti a frequenti variazioni. In aggiunta a questi, ne sono stati valutati altri 33, per un totale di 44, al fine di eseguire un’identificazione clonale nell’ambito della popolazione di Scimixà o çimixà, in quanto tale varietà presentava due biotipi: con grappolo grande e grappolo piccolo. Confrontando il DNA dei due vitigni, è emerso che essi sono diversi tra loro, ma che il profilo genetico del Scimixà coincide con quello della varietà “Genovese”. Un vitigno collezionato in Corsica (Aleria) da un anonimo ricercatore dell’Università di Davis in California. Una scoperta che ha basi accreditate: infatti la Corsica appartenne a Genova per ben 421 anni.
ECCO ALCUNI ASSAGGI DI SCIMISCIÀ FATTI IN ANNI DIVERSI Scimiscià (Simixà) 1978 - Alcol: 13,5% - Produttore Marco Bacicalupo Alla vista è limpido, di colore giallo oro antico con riflessi ambrati. Al naso si presenta intenso e persistente, ampio, abbastanza fine, con sentori di miele di castagno e lievi di confettura di albicocca, cedro e arancia canditi. In bocca è secco, poco fresco ma piacevolmente sapido, caldo, con lievissima vena tannica, di buona struttura e molto persistente. Evoluzione: pronto. Degustato nel settembre 1983. Scimiscià 2002 - Alcol: 12% - Prodotto da Silvia Dellepiane Alla vista è molto limpido, di colore giallo paglierino scarico con lievi riflessi verdolini. Al naso si presenta intenso e persistente, fine, abbastanza ampio, con sentori di nocciola fresca e, lievi, di pesca bianca non ancora matura e sottobosco. In bocca è secco, fresco e sapido, delicatamente caldo, discretamente pieno, continuo. Di buona armonia. Scimiscià Passito 2002 - Alcol:15,4% - Prodotto da Silvia Dellepiane e Lorenzo Corino Alla vista è limpido, di colore giallo dorato intenso con lievi riflessi ramati. Al naso è intenso e persistente, fine, ampio, con netti sentori fruttati (vi si coglie la mela cotogna e la pesca bianca giustamente mature) e, lieve, di seme di pesca. In bocca è dolce ma fresco e sapido, caldo, pieno, continuo, di ottima persistenza aromatica. Evoluzione: giovanissimo. Entrambi i vini sono stati assaggiati nel 2003 con Silvia Dellepiane e Adriano Silvestrin nella Sala Assaggi della Camera di Commercio di Genova. Sentè Vino Bianco 2012 - Alcol: 12,5% - Prodotto da U Cantin Alla vista è cristallino, di colore paglierino molto scarico con netti riflessi verdolini. Al naso si presenta sufficientemente intenso e persistente, abbastanza fine, con sentori floreali e fruttati di fiori di sambuco ancora verdi, mela e pera appena mature, e lieve di paglia. In bocca è secco, fresco, sapido, delicatamente caldo, di equilibrata struttura, discretamente persistente, con fondo sapido-amarognolo. Retrogusto: vena sapida e note floreali e fruttate. Evoluzione: giovane. Degustato nella primavera del 2013 Maccaia Vino Bianco Dolce 2010 - Alcol: 123,5% - Prodotto da U Cantin Alla vista è limpido, di colore ambrato carico con nuances rosa-ramate. Al naso si presenta discretamente intenso, persistente e fine, con sentori floreali, fruttati, e vegetali di fiori di tiglio appassiti, albicocca essiccata, marmellata di cotogna, miele di castagno, e lieve di agrumi ed erbe aromatiche. In bocca è dolce ma non stucchevole, fresco, sapido, caldo, con piacevole vena tannica, di buon corpo, abbastanza persistente, con fondo dolce-amarognolo. Retrogusto: vena dolce e note floreali, fruttate e vegetali-balsamiche. Evoluzione: giovane. Degustato nella primavera del 2013 L’Antico Colline del Genovesato IGT - Alcol: 13% - Prodotto da Cantina Bisson Alla vista è cristallino, di colore paglierino con netti riflessi verdolini. Al naso si presenta abbastanza intenso e persistente, fine, con sentori floreali, fruttati e vegetali di fiori d’acacia e pesco, cedro e limone ancor verdi, e lieve d’erbe di montagna. In bocca è secco, fresco, molto sapido, un po’ minerale, caldo, di buona struttura, e persistenza, con fondo sapido-amarognolo. Retrogusto: vena sapida e note floreali, fruttate e vegetali. Evoluzione: giovane. Degustato nell’estate del 2013
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COME VEDONO I DALTONICI ALLA SCOPERTA DI UN’ANOMALIA CHE COLPISCE CIRCA IL DIECI PER CENTO DELLA POPOLAZIONE MASCHILE di Stefano De Pietro (comevedonoidaltonici.com)
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imium ne crede colori”, non credere troppo ai colori, diceva Virgilio nelle sue Bucoliche. Ed aveva ragione. “Come vedono i daltonici” è il titolo della una mostra itinerante con il quale si sta conducendo una campagna sociale a favore dei daltonici che, come si sa, percepiscono un mondo colorato a modo loro. Potrebbe sembrare strano, ma il daltonismo è veramente poco studiato nella sua ricaduta sociale, mentre gli studi scientifici ne hanno ormai spiegato il motivo, quasi sempre genetico, e anche il risultato sulla percezione dei colori: oggi si può infatti “vedere come un daltonico”, da qui il titolo della mostra. I daltonici sono circa il 10% della popolazione maschile, quindi un numero considerevole, al punto che non è corretto indicarli come una “minoranza”, semmai sono una “quota significativa della popolazione”. Solo in Italia si parla di 2,5 milioni di persone. Come vivono queste persone? Oggi i daltonici soffrono di un’ignoranza della materia, che porta sia le istituzioni che gli ambienti scientifici a risolvere il problema della loro presenza con una serie di limitazioni di accesso, al mondo del lavoro come alla patente di guida, che poco hanno a che fare con un esame attento della materia. Un
esempio? La paletta del moviere, rossa e verde, che serve a regolare il traffico delle auto, può essere tranquillamente affidata nella mani di un daltonico; mentre per guidare l’auto che viene diretta dal moviere si viene sottoposti ai test di Ishihara, il metodo di diagnosi del daltonismo: un controsenso che la norma non ha saputo cogliere, visto che il moviere potrebbe sbagliare colore della paletta. Ma ci sono molti altri esempi: risulta che un croupier daltonico non sia ammesso nei casinò, con la spiegazione che potrebbe confondersi con le fiches; ma che la stessa confusione possa averla un cliente daltonico (uno su venti dei giocatori) evidentemente non è un argomento che interessi, altrimenti si cambierebbero i colori delle fiches! In ambito medico, si tende a dimenticare la presenza dei daltonici anche in studi che abbiano a che fare con il colore (ad esempio uno studio della relazione tra colore e battito cardiaco non ha tenuto conto dei daltonici). In ambito tecnico, con l’uso di rosso e di verde nelle mappe di emergenza per lo sfollamento degli edifici, nei quadri sinottici, mentre in comunicazione la presenza dei daltonici è completamente ignorata. Il viaggio della vita daltonica comincia a scuola. Come per la dislessia, è sbagliato attendere che i bambini abbiano effetti riscontrabili in età avanzata, occorre effettuare la diagnosi ambulatoriale in modo sistematico già dai primi anni di scuola o anche all’asilo. Non è corretto affidarsi alla capacità degli insegnanti di accorgersi che “qualcosa non va” ma, anzi, dovrebbero essere proprio questi ultimi ad essere informati, dal medico, del daltonismo di un bambino prima di iniziare la scuola. Lo stesso comportamento degli insegnanti non sempre è adatto ad un bambino daltonico. Quindi, una proposta utile è che sia inserita questa informazione nella scheda personale degli scolari. In questo modo la formazione potrà proseguire tenendo conto della presenza di una visione ridotta dei colori. Tra le azioni da intraprendere, prima di tutto la spiegazione che essere daltonici non è una vergogna, ma anzi un motivo di interesse proprio per la differenza che viene coltivata dentro di sé. Un corso di aggiornamento sulla dislessia, per gli insegnanti, sarebbe il momento giusto per inserire anche argomenti riguardanti il daltonismo. Durante la diagnosi, occorre che il medico spieghi il tipo esatto di daltonismo, cosa che raramente viene fatta, il suo livello, e dare spiegazioni su come comportarsi con i colori. Sarebbe utile un opuscolo informativo per i daltonici e per i loro vicini. Crescendo, inizia l’impatto sociale vero e proprio: alla guida di auto e moto ci sono di fatto centinaia di migliaia di daltonici, che ad ogni rinnovo corrono il rischio di perdere la patente. L’Italia persevera infatti con i controlli sul daltonismo intendendolo come uno sbarramento nel caso di un uso “lavorativo” per le patenti superiori alla B. Invece secondo i dettami della UE, tale limitazione della visione dei colori non comporta “per definizione” alcun ostacolo alla guida. Quindi la norma italiana deve essere adattata per recepire nel modo corretto la direttiva comunitaria. Chi avesse subito un danno dal comportamento lesivo dello Stato italiano, ha diritto ad un giusto indennizzo. Oggi, grazie a
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Salute e dintorni “Come vedono i daltonici”, è stato depositato in parlamento un disegno di legge specifico, per correggere il Codice della strada e per aumentare l’attenzione al daltonismo in ambito legislativo. La “grande paura” risiede nella convinzione che un daltonico non sarebbe in grado di distinguere i colori del semaforo. Si tratta ovviamente di una affermazione senza alcuna base scientifica, anzi, il grande numero di daltonici alla guida dimostra proprio il contrario. Passata la patente, che in qualche modo un daltonico riesce a “strappare” solo fino al livello B, si arriva al momento di cercare un lavoro. Oggi il daltonismo viene considerato uno sbarramento a molti mestieri, anche se gli ultimi studi sulla visione ne hanno ridimensionato notevolmente l’incidenza. Occorre quindi una revisione dei termini per i quali un daltonico possa o non possa svolgere determinate mansioni, agendo in diverse direzioni: riverificare, a fronte della visione daltonica, se la mansione o la norma sono compatibili, nei casi residui, verificare se è possibile intervenire in modo semplice per superare la condizione di inaccessibilità, modificando le cause dell’incompatibilità. Questo vale soprattutto per le norme tecniche, nelle quali troppo facilmente si usano i colori rosso/verde legati a segnalazioni, anche di pericolo. Proprio sulle norme occorre svolgere un lavoro di controllo e stabilire nuovi standard di colore/ segnalazione, adatti a tutti. Studiare quindi, in relazione al residuo di mansioni incompatibili, l’opportunità di inserire i lavoratori daltonici all’interno di liste agevolate per aiutarli a trovare lavoro dove sia possibile, evitando inutili offerte non adatte. A tale scopo, come per gli scolari, la proposta è di segnalare la condizione di daltonico all’interno dei database dell’ufficio provinciale del lavoro, così come nei database dei servizi privati, e di operare con i dovuti incroci per offrire ai daltonici solo mansioni compatibili. Nell’accesso ai servizi, ai concorsi, ai beni, si fa talvolta uso di colori semplici per dare indicazioni, senza tenere conto della presenza dei daltonici. L’uso dei colori andrebbe regolamentato in modo da obbligare una verifica. Anche in editoria non esiste una sensibilità al problema della leggibilità (scritte verde su rosso, blu su rosso, rosso su blu, o su nero). Già poco leggibili ai tricromatici, diventano dei rebus per i daltonici. Esistono dei semplici accorgimenti per evitarlo. Fare informazione aiuta la causa: poter vedere come un daltonico, oltre che simpatico come curiosità da colmare, è anche utile per la creazione del concetto di differenza e dell’abitudine al rispetto reciproco, nei bambini e negli adulti. Non esiste nulla di più utile che far provare agli altri le proprie difficoltà per ottenere attenzione proprio nel superamento delle stesse. Oggi la parola “daltonismo” viene utilizzata troppo frequentemente senza verificarne gli effetti tossici sulla vita delle persone. Una delle ultime norme sulla sicurezza pone il daltonismo come ostacolo per poter svolgere la funzione di addetto alla sicurezza privata. Ossia, un semplice “buttafuori” da discoteca non deve essere daltonico per potersi iscrivere alle liste del ministero. Ne deriva che, per legge, il 10% delle persone che svolgevano questo lavoro, lo perderanno. Un punto fermo sulla logica che dovrebbe muovere la ricerca e la costruzione del mondo perché sia utile
per tutti lo troviamo in questa frase di Ludwig Wittengstein, dalla sua opera “Osservazione sui colori”: è significativo come quello che è visto come un difetto possa divenire una capacità particolare (l’esempio delle abilità dei daltonici). Questo determina, ad esempio, una visione sociale completamente differente da quella che comunemente abbiamo nei confronti dell’handicap. Il disabile è solo una persona con doti diverse che può fare dei giochi linguistici differenti dai nostri. Se noi non li comprendiamo ciò dipende dalla nostra mancanza di alcuni requisiti.
LA MOSTRA Come vedono i daltonici è partita nel 2006 con i primi contatti con il mondo istituzionale per cercare attenzione al problema. Nel 2010, la collaborazione con Fabrizio Repetto ha consentito di ampliare l’attività con la produzione di 50mila tovagliette di carta distribuite a Genova nel giro di pochi mesi, con la spiegazione del daltonismo. Successivamente, la Biblioteca Berio ha dimostrato interesse ospitando la prima esposizione della mostra, che ad oggi si compone di 14 pannelli tematici, due quadri, la bandiera italiana deuteranope (vista come un daltonico), due video daltonici. Con l’intervento a Telenord con Silvana Bonelli nello stesso anno, inizia anche la comparsa televisiva, culminata con una puntata monotematica su TV2000 nel 2012. Oggi la collaborazione si è estesa con il Prof. Giulio Bertagna, designer percettivo, che ha aggiunto alla conferenza che spesso accompagna la mostra, una parte tecnica sul daltonismo, le pittrici Anna Franca Cavallini, autrice del primo ed unico quadro in copia daltonica e Daniela Vercelli, con un quadro adatto alla visione simulata, Martina Lazzaretti, fotografa che ha fornito materiale per la simulazione, Eleana Marullo per la parte di studio sulla cartografia e Cristina Capelli per i numerosi consigli e l’appoggio logistico. L’Ente Parco di Portofino ha collaborato nella realizzazione di cartelli orientativi del parco adatti ai daltonici e per la divulgazione al Festival della Scienza 2012. L’attività sul daltonismo ha trovato l’interesse del Comune di Genova sia per la parte di comunicazione web che per la divulgazione dell’argomento nelle scuole.
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