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ANNO 12 - N° 3 - Luglio/Agosto/Settembre 2014 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006

LUGLIO - AGOSTO - SETTEMBRE 2014 - E 3,00

GIORGIO MOISO

Esplosione di energia e colore in movimento

GIUA

INVITATIONAL SHIPPING PRO-AM

La chitarra e la voce della Liguria si racconta a pochi giorni dal nuovo album

100.000 euro donati alla Fondazione Malattie Renali del Bambino

JOEL ED ETHAN COEN

NEGRAMARO

«Che bello suonare a Genova dove la musica È NATA, CRESCIUTA, DIVENTATA ADULTA»

La filosofia dei due registi fino a «A proposito di Davis»

FRANCO HENRIQUET

La straordinaria autobiografia del Presidente della Gigi Ghirotti

GOA BOA

Paolo Nutini e Caparezza accendono le luci sull’Arena del Mare

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Sommario

luglio/agosto/Settembre 2014

Direttore Responsabile Gabriele Lepri Direttore Editoriale Giordano Rodda Editore RR Editori - Via Caffaro 7/2 16124 Genova - Tel. 0108592291 Marketing Giulio Conchin lupo_190@libero.it - +393486523094

2/ I Negramaro cantano i Mondiali a Genova

“Un Amore così grande” fa tour al Porto Antico, il leader Giuliano Sangiorgi afferma: «Omaggio alla Nazionale italiana di calcio e a Claudio Villa»

Un consiglio per un mattinata diversa con famiglia o amici nella stagione estiva

6/ La Donna serpente

/ A Genova è ancora il momento di Roberto Bolle

e la Fattoria degli animali

Grandi eventi al Museo Luzzati: una mostra teatrale ed un laboratorio esclusivo per bambini. Tutto quello che c’è da sapere

9/ La strada di Henriquet

Anna Maria Solari amsori@libero.it - +393486502550

Trenta anni della Gigi Ghirotti nella storia del suo fondatore

Progetto Grafico RR Editori

10/ Villa Gambaro,

Grafica e impaginazione Barbara Macellari

una serata indimenticabile all’insegna della solidarietà

Il concerto benefico a favore del Gaslini di Genova reparto Spina Bifida

Servizi Fotografici Giulio Bardelli, Marcello Rapallino, Gianni Risso Hanno collaborato: Diego Anelli, Diana Bacchiaz, Silvia Barbagelata, Matteo Ceschina, Leo Cotugno, Gaby De Martini, Pamela Guarna, Dario G. Martini, Daniela Masella, Niccolò Metti, Anna Proverbio, Marcello Rapallino, Mauro Ricchetti, Virgilio Pronzati, Gianni e Iskandar Risso, Anna Maria Solari, Matteo Sicios Stampa Grafiche Vecchi Srl Viale Kennedy 27 28021 Borgomanero (No) Internet rreditori@gmail.com Distribuzione Potete trovare InGenova e Liguria Magazine nelle edicole della provincia di Genova e nelle edicole più importanti di S. Terenzio, Lerici, Zoagli, S. Michele di Pagana, Portofino, Bogliasco, Arenzano, Cogoleto, Varigotti, Finalborgo, Laigueglia, Cervo, S. Bartolomeo al Mare, Diano Marina, Imperia, Pieve di Teco, S. Lorenzo al Mare, Taggia e inoltre nelle edicole di La Spezia (Piazza Caduti della Libertà, Piazza Verdi, Via del Prione, Piazza Garibaldi, V Via Garibaldi, Piazza Cavour), Sarzana (Via Gramsci), Chiavari (Piazza Mazzini, Corso Dante, Piazza Nostra Signora dell’Orto), Rapallo (Piazza delle Nazioni, Via S. Anna), Santa Margherita (Piazza Vittorio Veneto, Via Bottaro), Camogli (Via al Porto), Recco (Via Serreto), Varazze (Corso Matteotti, Piazza Dante), Celle (Via Colla), Albisola Superiore (Corso Mazzini), Albissola Marina (Via Billiati), Savona (Piazza Giulio II, Via Paleocapa, Piazza Mameli, Piazza Diaz), Vado Ligure (Via Aurelia), Spotorno (Via Garibaldi), Noli (Piazza Morando), Finale Ligure (Piazza Vittorio Emanuele II), Pietra Ligure (Via Matteotti), Loano (Via Aurelia), Borghetto S. Spirito (Corso Europa), Albenga (Piazza del Popolo), Alassio (Stazione FS, Via Garibaldi), Andora (Via Aurelia), Arma di Taggia (Via Blengina, Via S. Francesco), Sanremo (Piazza Colombo, Porto, Piazza Eroi Sanremesi, Corso Imperatrice, Corso Matuzia), Ventimiglia (Via della Repubblica), Ospedaletti (Corso Regina Margherita), Bordighera (Piazza Eroi della Libertà, Via Vittorio Emanuele, Piazza del Popolo), Lavagna (Piazza Cordeviola), Cavi di Lavagna (Piazza Sauro), Sestri Levante (Piazza Repubblica), Riva Trigoso (Via della Libertà) Registrato c/o il Tribunale di Genova il 18/11/2002 - N° 23/02

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/ Il Civico Museo Storico-Archeologico di Savona

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/ A.M.A.R.V.I. Onlus, per proteggere il cuore

Un acronimo accattivante che indica un mezzo efficace per la tutela della salute

14/ La 10 Invitational Shipping Pro-am regala 100.000 euro per i bambini

Il denaro raccolto consegnato alla Fondazione Malattie Renali Del Bambino - Renal Child Foundation. Verranno utilizzati per continuare la Ricerca sulla genetica delle malattie renali

20/ Asger Jorn, oltre la forma

In occasione del centenario della nascita di Asger Jorn, la città di Albissola Marina e Savona ospitano una serie di mostre ed eventi dedicati al grande artista danese

24/ Splende la luna sul Ballo dei Gigli

La settima edizione del “Ballo dei Gigli” della Onlus Lilium per il restauro degli arredi di Villa Durazzo

26/ Il Vietnam occidentalizzato teme i cinesi

La Repubblica Popolare del Vietnam al crocevia tra l’Occidente e i potentissimi vicini

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Il grande ballerino torna dopo il sold out del 2013 per due serate il prossimo luglio

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/ Paolo Nutini e Caparezza accendono le luci sul Goa-Boa

Molta musica underground e tanta fantasia al potere: dal 14 al 19 luglio al Porto Antico

36/ Giua, chitarra e voce di Liguria

Un rapporto con la musica iniziato da bambina, una passione alimentata con il canto e con la composizione: intervista esclusiva ad una delle cantanti più apprezzate della Liguria

38/ Nervi, la protagonista

Alla scoperta di uno dei luoghi più belli del genovesato, tra cultura ed eleganza. E nei giovedì di luglio le attività rimarranno aperte fino a mezzanotte

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/ Si chiama Y-40 la piscina più profonda del mondo

Un progetto veneto che parla anche un po’ genovese: lo sponsor è la Technisub

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/ Giorgio Moiso: esplosione di energia e colore in movimento

Uno dei maggiori artisti italiani conquista la Cina e la Corea con un’esplosione e fantasmagoria di colori

60/ Alla “Manuelina” ricordando Rebora

Terza edizione del premio dedicato a u Professu Giovanni Rebora. Fra i vincitori John Dickie con il suo «Con gusto. Storia degli italiani a tavola»

68/ Nella lotta tra te e il mondo, asseconda il mondo

La filosofia dei fratelli Coen in un percorso tra tre dei loro film più significativi, «L’uomo che non c’era», «A serious man» e «A proposito di Davis»

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In copertina: i Negramaro

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“UN AMORE COSÌ GRANDE” FA TOUR AL PORTO ANTICO, IL LEADER GIULIANO SANGIORGI AFFERMA: «OMAGGIO ALLA NAZIONALE ITALIANA DI CALCIO E A CLAUDIO VILLA»

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NEGRAMARO

CANTANO I MONDIALI A GENOVA

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La copertina di Leo Cotugno

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no dei gruppi più seguiti da giovani e giovanissimi protagonista a luglio sul palcoscenico genovese. I Negramaro, band di origine salentina capitanata da Giuliano Sangiorgi e che ha rapidamente scalato la vetta delle classifiche di vendita discografica italiana, arriva nella nostra città: l’8 luglio i cinque musicisti pugliesi daranno vita al concerto in programma all’Arena del Mare del Porto Antico del capoluogo, unica tappa ligure di “Un Amore così Grande Tour 2014”. Purtroppo l’avventura degli Azzurri è finita male, ma l’unione tra musica e calcio ha funzionato ancora una volta.

di emozioni, la vorrei risentire subito” le sua parole di circostanza. Il gioco era fatto… “Un amore così grande” succede a “Cuore Azzurro”, colonna sonora della Nazionale nella splendida edizione 2006 che nella finale di Berlino laureò l’Italia campione del mondo. Quella canzone, scritta da Roby Facchinetti e Dodi Battaglia dei Pooh, viene ricordata con piacere dai Negramaro: «E’ stata per tutto il gruppo un concreto punto di riferimento, e pensiamo sia stata la stessa cosa per i tifosi italiani: sebbene soppiantata da Checco Zalone con “Siamo una squadra fortissimi” e dai White Stripes di “Seven nation Army”, il tormentone del “po-popo-popopo-po” che non ci ha fatto dormire neanche un istante».

IL REUCCIO DELLA CANZONE

CANZONE E SOLIDARIETA’

“Un amore così grande” in realtà non è una creazione by Negramaro, ma una rivisitazione. «Un pezzo che venne scritto da Guido Maria Ferilli nel 1976 ed interpretato dall’indimenticabile Claudio Villa. Anche a Genova canteremo per la Nazionale e per omaggiare uno dei più grandi artisti che la musica italiana abbia mai avuto» riprende Giuliano Sangiorgi, che poi non tarda a rivelare l’aneddoto che ha accompagnato la presentazione ufficiale del motivo alla presenza dei calciatori italiani: il primo ad ascoltarla in originalissima versione personale è stato Gianluigi Buffon, ma a tesserne gli elogi non avrebbe potuto essere altrimenti, mister Prandelli: “Noi viviamo

Il tour estivo dei Negramaro è iniziato il 5 luglio e si protrarrà per tre settimane di fila, sino al 26 del mese. «Il titolo scelto si lega anche ad un progetto solidale – continua Sangiorgi – in quanto cliccando su I-tune per ascoltare il motivo, si contribuisce fattivamente alla finalità di aiutare l’AISLA, l’Associazione per la lotta alla sclerosi laterale amiotrofica, il famigerato morbo di Lou Gehrig. Genova sportiva ha vissuto da vicino il decorso di questa terribile malattia che tra le sue vittime ha avuto anche il grande capitano del Genoa, Gianluca Signorini». Ritornando alla canzone: con questo motivo si sono cimentati nomi immortali della scena musicale italiana, i grandi tenori

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La copertina ECCO CHI SONO I NEGRAMARO

Mario Del Monaco per continuare con Luciano Pavarotti ed Andrea Bocelli. Il progetto solidarietà inizia ben oltre la prima data della tournee 2014, che ha avuto sede a Cattolica: attualmente le wiews sono state oltre due milioni. Dopo l’esibizione di Genova, i Negramaro saranno a Pistoia il 10 luglio, all’Arena di Verona il 13 ed a Palmanova (Udine) il 15. Conclusione tutta in casa, a Lecce, allo Stadio di Via del Mare, sabato 26 luglio: quasi scontato ammettere che moltissimi giocatori della Nazionale saranno ad omaggiarli.

UN NUOVO LOOK FIRMATO ARMANI Per l’occasione la band salentina riceverà anche un premio alla carriera, ancora misterioso il nome dello spettacolo candidato a consegnarglielo, mentre è un dato di fatto la partecipazione di Giuliano Sangiorgi quale portavoce italiano ai prestigiosi MTV Awards di settembre. La tournee ha anche uno stilista d’eccezione per il gruppo: è Giorgio Armani, che ha studiato per i sei componenti dei negramaro un look “teso e metropolitano” , con giacche e pantaloni dal taglio asciutto e capi in pelle dal gusto rock. «La scelta dei colori è caduta sul bianco e nero, ma nessun riferimento a simpatie di fede calcistica», se la ride lo stesso Sangiorgi. Assieme ad Emanuele Spedicato, chitarrista del gruppo pugliese, continua anche la sinergia lavorativa che già dalla primavera 2013 ha portato la musica da camera nei grandi stadi e che sarà uno degli elementi inconfondibili del concerto del Porto Antico. «Anche il pubblico genovese, ne siamo certi, parteciperà alla nostra serata in una versione molto intima, a Genova la musica è nata, cresciuta, diventata adulta». Un messaggio d’amore così grande come non comprenderlo al volo?

Tredici anni di musica raccontati sempre al massimo di creatività e partecipazione. Nella loro breve ma già intensissima carriera musicale, iniziata nell’autunno 2001, i Negramaro possono vantare tre esibizioni che hanno lasciato il segno, tutte datate 2013: il concerto assieme a Bruce Springsteen all’Hard Rock Callin’ Festival di Londra e le due serate in Germania, il 27 giugno a Monaco di Baviera ed il giorno successivo alla Muzik Halle di Dortmund. «Tutti eventi che lasciano il segno, tutti confronti non indifferenti che ti mettono alla prova» ha dichiarato il chitarrista Emanuele Spedicato. Ma dietro al mondo musicale di questa band così eclettica ed amata da vecchie e nuovissime generazioni, non c’è solo l’immancabile fenomeno di massa, ma una ricerca sistematica del particolare. Ecco tutto quanto c’è da sapere sui Negramaro. IL LORO NOME LEGATO AD UN VINO – Colpisce immediatamente quel nome fascinoso, intrigante, che molti ritengono “orientaleggiante” ed invece è indigeno doc: il Negramaro è infatti un vitigno della terra d’origine della band, nella zona più meridionale del Salento, in Puglia. Il gruppo è formato da sei componenti: voce e pianoforte affidata a Giuliano Sangiorgi, il chitarrista è Emanuele Spedicato, al basso Ermanno Carlà; si prosegue con Danilo Tasco alla batteria, Andrea Mariano è il tastierista e synthetizer dei “magnifici sei” che comprendono anche il campionatore Andrea De Rocco. GLI ESORDI – Il loro primo album, “Negramaro”, datato settembre 2003, si accompagna a numerose esibizioni dal vivo che li porta ben presto ad essere un fenomeno emergente del circuito alternativo. Un anno dopo la consacrazione con “000577”, album che vede la produzione di Corrado Rustici in alcuni brani e che si cementerà con il successo di “Mentre tutto scorre” (2005) e “La finestra” nel 2007. A conferma della forte vocazione per le esibizioni dal vivo del gruppo rock salentino, i Negramaro prendono parte da questo momento a tutti i principali festival italiani: il Concerto del 1 Maggio in piazza San Giovanni in Laterano a Roma, l’Heineken Jammin Festival di Imola, il Meeting Etichette Indipendenti di Faenza, l’Arezzo Wave e l’MTV Day. IL FESTIVAL DI SANREMO – Mentre Giuliano Sangiorgi, vocalist del gruppo, compone anche per Andrea Bocelli (grandissimo sarà il successo de “Le parole che non ti ho detto” nel 2004”, per i Negramaro giunge la conferma con l’album “Mentre tutto scorre” che vince il Premio della Critica Radio e TV alla 55ma edizione del Festival di Sanremo. Nonostante il mancato accesso alla finale nella categoria Giovani, i Negramaro sono una realtà e ben otto dei dieci brani che compongono l’album sono scelti dal regista Alessandro D’Alatri per la colonna sonora del film “La febbre”. Il singolo “Mentre tutto scorre” resta ben 20 settimane in classifica, Sangiorgi chiama Silvio Muccino a dirigere il videoclip di “Estate”, tratta dallo stesso LP: questa sarà anche la canzone che vincerà il Premio Rivelazione Italiana al Festivalbar 2005. ALTRI RICONOSCIMENTI – Nella carriera dei Negramaro anche il Premio Best Performer con “Nuvole e lenzuola” ed il prestigioso Premio Lunezia consegnato in Liguria sempre per “Mentre tutto scorre”: il long playing raggiunge le 89 settimane consecutive nella classifica dei dischi più venduti in Italia e diviene disco di diamante. Nel 2007 “La finestra”, il nuovo album prodotto da Rustici e Sangiorgi, diventa disco di platino in meno di 4 mesi con oltre 120mila copie vendute. Nel disco la splendida “Parlami d’amore” che vince il Festivalbar 2007. Un altro premio Lunezia nel 2008, per il valore Musical-Letterario del brano “Via le mani dagli occhi”, sempre compreso in “La finestra”. CASA 69 E LA TOURNEE ANNULLATA – Nel novembre 2010 esce “Casa 69”, quinto album della band inciso a Toronto (Canada) presso i Metalwork Studios con la produzione di David Bottrill, produttore anche di Muse e Placebo. Un anno dopo un delicato intervento alle corde vocali ferma Giuliano Sangiorgi e fa annullare la tournee di “Casa 69”, che potrà iniziare solo a primavera dell’anno successivo: per ringraziare i fans, i Negramaro compensano con un nuovo brano, “Aspetto lei”. Dopo l’uscita del penultimo album, “Una storia semplice”, la band si getta a capofitto nel solidale, partecipando il 22 settembre 2012 a “Italia loves Emilia”, evento dedicato alle vittime del terribile terremoto di metà primavera nelle province di Parma, Reggio Emilia e Modena. Il disco conquista anch’esso il disco di platino per le 60mila copie vendute.

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LA DONNA SERPENTE E LA FATTORIA DEGLI ANIMALI GRANDI EVENTI AL MUSEO di Leo Cotugno

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LUZZATI: UNA MOSTRA TEATRALE ED UN LABORATORIO ESCLUSIVO PER BAMBINI. TUTTO QUELLO CHE C’È DA SAPERE

allo scorso 3 giugno e sino al 19 ottobre il Museo Luzzati di Porta Siberia, nell’area del Molo di Genova, sarà teatro di due degli eventi più importanti dell’estate della città. Con “La donna serpente” dapprima e successivamente “La Fattoria degli Animali” la struttura si trasforma in grande teatro mostra e laboratorio, una valenza duplice che in coincidenza di due compleanni doc dei sopraccitati eventi porta a diventare il palcoscenico più importante del capoluogo alla voce arte figurativa.

LA PRIMA VOLTA AL TEATRO STABILE “La donna serpente”, uno degli spettacoli teatrali più amati tra i lavori di Emanuele Luzzati, ha visto partire da lontano un progetto che ha ricevuto anche l’adesione della Presidenza della Repubblica. La sua prima rappresentazione risale a 25 anni or sono, nel 1979, al Teatro Stabile di Genova, per la regia di Egisto Marcucci, anche se il testo, scritto da Carlo Gozzi, è datato di ben due secoli e oltre addietro: 1763. Fu però Emanuele Luzzati il coreografo indiscusso dell’opera, firmandone le scene: seppur realizzato con mezzi semplici, le scene dipinte, i numerosissimi accessori e costumi, diventano parte fondamentale di uno spettacolo rimasto a lungo nella memoria del pubblico e del quale scrisse in termini entusiasti il critico de “L’Espresso”, Rita Cirio: che lo definì “ una gioia per gli occhi, un volteggiare di stoffe, colori, metalli che confonde l’Opera dei Pupi ed il teatro orientale, i carri dei trionfi barocchi e le giostre…. Abiti da spose che escono dalla bocca di dragoni cinesi e biciclette incrostate di paillettes, dolci di marzapane siciliani e Wanda Osiris”.

TOURNEE MONDIALE “La Donna Serpente”, partita così da Genova, sarebbe divenuto un evento di portata continentale, potendo contare tra le città sedi di rappresentazione San Pietroburgo, Mosca, Avignone, Amsterdam e perfino Città

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Museo Luzzati del Messico. Tutti i critici del tempo scrissero in termini entusiastici, lasciapassare per un consesso artistico sempre maggiore. Tra gli interpreti meritano menzione Massimo Lopez e Maurizio Crozza ; ma assieme a loro Benedetta Buccellato, Donatello Falchi, Gianni De Lellis e Marzia Ubaldi. Gli attori dello spettacolo provenivano sia dalla Compagnia del Teatro Stabile che dalla Scuola di Arte Drammatica dello stesso teatro, costituendo uno dei primi esperimenti in cui in un teatro a gestione pubblica si fondevano l’attività didattica e formativa con quella di palcoscenico. Lo spettacolo venne poi ripreso dalla Fox & Gould di Massimo Chiesa in una rinnovata versione negli anni ’90. Nel caso de “La Donna Serpente” così come per “Il Flauto magico” la relazione tra teatro e cinema di animazione – e libro illustrato – appare direttamente, anche se il teatro ed i suoi meccanismi sono insiti nella lettura stessa di tutte le animazioni di Emanuele Luzzati.

IL COMPLEANNO DI LUZZATI Come era solito fare Emanuele Luzzati, di cui è ricorso il compleanno proprio nel giorno di apertura della mostra, il 3 giugno, il tema della donna serpente venne riproposto anche utilizzando anche altri media artistici. Nel 1979 nacque il cortometraggio, ispirato da Giulio Gianini, su testo di Tonino Conte e musiche di Oscar Prudente, ora riproposto nel dvd “L’uccello di fuoco” edito da Gallucci. Nel 1983 invece “La Donna Serpente” divenne una storia illustrata contenuta nel libro della Emme Edizioni “Tre fratelli, quaranta ladroni, cinque storie di maghi e burloni” e tuttora la mostra si sta avvalendo di una serie di incontri organizzata assieme ad attori, studiosi, ricercatori ed addetti ai lavori, è organizzata in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova, Massimo Chiesa, il patrocinio della Regione Liguria, del Comune di Genova e della Provincia di Genova. Nella stessa serie di eventi di festeggiamento è compreso anche il laboratorio estivo “La fattoria degli animali”.

tu per tu con i suoi lettori ed un conseguente straordinario processo di identificazione. Proprio per tutto questo, il nostro simpaticissimo lupo di color azzurro è stato molto spesso utilizzato come testimonial eccezionalmente efficace per numerose campagne di origine sociale rivolte in modo particolare ai giovani.

IL CENTRO ESTIVO La grande novità del Museo Luzzati è questo “workshop” giovanile che avrà orario esteso all’intera giornata; le attività prendono spunto dai personaggi che popolano la mostra “Lupo Alberto 40 anni – Gli animali della Fattoria McKenzie”. Ciascuna settimana è dedicata ad un personaggio-animale diverso, per disegnare, immaginare, scoprire ogni volta un mondo nuovo: attraverso gli occhi di lupi, galline, talpe, tori. Ai laboratori di realizzazione di maschere, magliette e copricapo se ne aggiungono altri con nuove tecniche

UN MITO LUNGO 40 ANNI Da quando venne per la prima volta pubblicata la sua irresistibile striscia sul Corriere dei Ragazzi nel marzo 1974, Lupo Alberto, irriducibile quanto sfortunato figlio della portentosa immaginazione di Silver hanno appassionato oltre mezzo miliardo di fan tra Europa ed America. Dalle prime strisce sino alla nascita del “Mensile di Lupo Alberto” nel 1985 (e da allora regolarmente pubblicato) la mostra, inaugurata il 6 marzo e visibile sino al 21 settembre, documenta lo sviluppo dell’atipico, simpatico e sfortunato predatore; e di tutti i personaggi che vivono attorno alla Fattoria, elementi caratteristici di un laboratorio estivo per bambini nei quali si potrà conoscere la genesi e l’evoluzione del cane Mosè, il bobtail che impedisce ad Alberto di portar via la gallina Marta. Attorno al trio dei primattori ruotano la talpa Enrico con la lunatica moglie Cesira, l’altra gallina Alice (amica per la pelle di Marta), il colto maiale Alcide, lo sciocco papero Glicerina, l’irascibile toro Krug. Come si vede, ogni personaggio, al quale sarà dedicato un approfondimento specifico, è simbologia di una debolezza umana. Caratteristica peculiare e inusuale di Lupo Alberto è la facilità con cui ha saputo instaurare un dialogo stretto a

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per sperimentare insieme con creta, sassi, foglie e carte marmorizzate. Altra novità è il Suminagashi, l’arte giapponese dell’inchiostro fluttuante. I materiali usati sono una fornitura speciale di Faber Castell per il centro estivo, per un programma di viaggio che ogni bambino può iniziare nel modo preferito e portare avanti tra “casa e scuola” per tutta l’estate. Dopo i laboratori, nel pomeriggio ore dedicate invece al gioco e alle scoperte dei luoghi più caratteristici di Genova: Villa Croce, il Museo di Storia Naturale, la Biblioteca De Amicis e la Villetta Di Negro. Una volta alla settimana anche una gita alla fattoria didattica “Il Ciliegio” di San Desiderio per conoscere da vicino gli animali veri: asinelli e cavalli.

PROSSIMI APPUNTAMENTI La mostra ed il laboratorio estivo dedicati a Lupo Alberto ed ai suoi pittoreschi compagni di fattoria si concluderà il prossimo 21 settembre, ma sono contemplate nelle celebrazioni dei 40 anni della creatura di Silver altri appuntamenti di spessore: dal 12 luglio al 3 agosto alla Cittadella del Carnevale di Fano, in settembre all’Hotel Marina di Cagliari (visibilità sino al 26 ottobre) e sempre in settembre al Visionario di Udine.

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Sociale di Anna Proverbio

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i si accosta al libro con un cero timore; si ha paura di incontrare, nel corso della lettura, storie di sofferenza e disperazione. Tutti sappiamo che la Gigi Ghirotti è un’Associazione che si occupa di persone in fase avanzata di malattie tumorali e forse per autodifesa, finché non siamo coinvolti personalmente, cerchiamo di allontanare da noi il più possibile certe situazioni. Invece scorrendo il libro già dalle prime pagine ci si rende conto che quella narrata è una storia bellissima, fatta di solidarietà, comprensione, capacità, amicizia e generosità. Il dolore è descritto con mano lieve, la dipartita accettata come un’ineluttabile realtà che ognuno di noi, prima o poi, dovrà affrontare. La storia scritta a due mani – dal professor Franco Henriquet stesso e da Enrico Cirone, giornalista pubblicista – è un’autobiografia che inizia percorrendo brevemente gli anni giovanili del protagonista: diploma al Liceo Scientifico al Cassini, laurea in Medicina, specializzazione in Ortopedia e successivamente in Anestesia e Rianimazione. Nel 1960, dopo aver lavorato in Ospedali fuori Regione, Henriquet ritorna a Genova dopo aver vinto un concorso. Divenuto professore entra al San Martino, dove rimarrà fino al 1997, anno della pensione. Tra le tante storie raccontate di quel periodo forse la più toccante è quella di Rosanna Benzi, la ragazza che colpita da una grave forma di poliomielite, divenuta tetraplegica, visse per quasi trent’anni chiusa in un polmone d’acciaio. «La sua stanza di lungodegenza» racconta Henriquet «era diventata un punto d’aggregazione in cui, da un certo giorno, poterono convergere anche persone con handicap. Agli stranieri riusciva pure a dare lezioni di lingua italiana. Arrivarono persino dei tossicodipendenti con i quali metteva subito in chiaro che la droga, per lei, non era una soluzione». Così i capitoli si susseguono raccontando di una vita dedicata ad aiutare gli altri, alleviando il dolore, quando le cure sono ormai inutili, prima con l’assistenza domiciliare poi con la creazione degli Hospice, sorti anche per la generosità di tante persone più che per mezzo delle Istituzioni. Come non ricordare quel Signore, all’apparenza un po’ ruvido, che ha voluto rimanere rigorosamente anonimo ed ha donato ottocentomila euro, tutti di tasca sua, per contribuire alla costruzione dell’ Hospice di Albaro. «La malattia» dice Henriquet «non è una maledizione divina, non è una vergogna, non è un peccato. E’ la dimensione più oscura

della nostra esistenza che, ad un tratto, emerge attraverso la riga di un referto o una macchia nella radiografia. All’inizio appare come un pozzo nero: sapevamo che ci poteva essere, lo avevamo scoperto specchiati nella vita altrui». In questi giorni leggiamo sui giornali storie di ruberie senza fine, truffe inimmaginabili, comportamenti disonesti dettati dall’egoismo e dall’avidità; nel libro di Henriquet invece, incontriamo soltanto persone positive, coraggiose e profondamente buone, che aprono il cuore alla speranza di un domani migliore. La strada di Henriquet Chinaski Edizioni € 15

30 ANNI DELLA GIGI GHIROTTI NELLA STORIA DEL SUO FONDATORE

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VILLA GAMBARO,

UNA SERATA INDIMENTICABILE ALL’INSEGNA DELLA SOLIDARIETÀA’ IL CONCERTO BENEFICO A FAVORE DEL GASLINI DI GENOVA REPARTO SPINA BIFIDA Francesca Gambaro, l’organizzatrice del concerto.

testo e foto di Anna Proverbio

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rganizzato dall’American International Women’s Club of Genoa, il 7 giugno ha avuto luogo un concerto seguito da rinfresco nella splendida villa di Francesca Gambaro, che ha offerto gratuitamente la sua casa come “ location” per una serata dedicata alla solidarietà ed all’amicizia tra popoli di differenti nazionalità. Il club delle donne americane, presente nella nostra città dal 1957, dalla nascita si occupa – tra le varie attività sociali e culturali rivolte alle socie – di raccogliere fondi da devolvere alle opere di beneficenza genovesi. Come è ormai consuetudine da diversi anni, a giugno viene organizzato un evento ludico a pagamento e l’intero ricavato viene devoluto al supporto del reparto di Neurologia dell’Ospedale Pediatrico Gaslini, diretto dal professor Armando Cama. Quest’anno la manifestazione è iniziata con un recital del soprano londinese Susan Dely, accompagnata al pianoforte da Domenico Greco che ha interpretato, con la sua voce calda e profonda, diversi brani di American Song, Folk e Musica Jazz, terminando con “Summertime” di George Gershwin. La serata è proseguita con l’esibizione dei due gemelli violinisti Loris e Manrico Cosso che hanno saputo incantare e divertire il numeroso pubblico con l’interpretazione di una serie di brani di cui avevano curato personalmente l’arrangiamento musicale, eseguiti con una perfezione ed un affiatamento straordinario. La loro performance è iniziata con la Serenata k 525-Allegro di W. A. Mozart ed è continuata con “C’era una volta il West” di Ennio Morricone, “Voci di Primavera” di J. Strauss, “Libertango” di A. Piazzolla, “La Vedova Allegra” di F. Lehar, “Czarda” di V. Monti e per finire “Ma se ghe pensu”, intervallate da divertenti gag. Il pubblico entusiasta ha applaudito a lungo Loris e Manrico

che generosamente si sono esibiti senza alcun compenso. Dopo il concerto è stato aperto l’accesso al buffet, molti si sono complimentati per l’ottimo catering fornito da Ketty Cerruti. Terminato il rinfresco si è proceduto all’estrazione della lotteria: ai vincitori sono stati consegnati ricchi premi, donati da numerosi sponsors, tra cui Accinelli Design, Salvatore Ferragamo, Pisano Gioiellieri e molti altri. Infine, la Presidente dell’ AWIC Lesleigh Rizzi ha consegnato al professor Cama l’assegno con l’importo dell’intero guadagno della serata, per il sostegno del programma di ricerca riguardante la spina bifida, una grave malformazione

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Sociale

del sistema nervoso centrale che fa parte del gruppo dei difetti del tubo neurale, che in Italia colpisce circa un neonato su 1500. Questa grave patologia, detta anche mielomeningocele, provoca nel nascituro paralisi degli arti inferiori, incontinenza della vescica, ritardo psicomotorio e deformità scheletriche. Attualmente non esiste alcuna cura. Tuttavia nuova luce sulle basi genetiche che causano questa malformazione è stata gettata da uno studio, finanziato da Telethon e coordinato dalla dottoressa Valeria Capra, dell’Istituto Gaslini di Genova del reparto di Neurologia diretto dal professor Cama. Indubbiamente le informazioni emerse da questo studio potranno dare un contributo importante alla diagnosi della patologia, offrendo in futuro alle persone malate ed ai loro familiari un test di screening di tipo genetico, che individui eventuali mutazioni del gene responsabile della malformazione. Inoltre viene raccomandata l’assunzione di acido folico alle donne che intendano avviare una gravidanza: l’assunzione di questa sostanza consente di ridurre del 70 per cento il rischio di spina bifida nel nascituro.

Qui sopra Denise Dardani e Mary Vanni . Nella foto accanto Lesleigh Rizzi. In alto a sinistra Anna D’Albertis.

Qui accanto i gemelli Loris e Manrico Cosso

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Qui accanto Marcella Pescarmona. A fianco Susan Daly. Sotto Wanda Dolce e Mima Arnuzzo.

Qui sopra il Prof Cama, e I fratelli Cosso. Accanto Sarah Wallace, Patricia Willbell.

A fondo pagina a sinistra Susy E Giovanna Bordoni. A destra Margherita Mazza.

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Salute Testo e foto di Anna Proverbio

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abato 31 Maggio all’Auditorium del Muma Galata Museo del Mare è stato presentato un progetto ambizioso: far diventare Genova la città per eccellenza della prevenzione vascolare. La giornata iniziata nella suggestiva cornice del Porto Antico, con la registrazione dei partecipanti aderenti alle attività proposte, è proseguita con l’introduzione della Consigliera di Parità prof. ssa Valeria Maione, instancabile ed abilissima organizzatrice dell’incontro insieme al suo staff. In seguito sono stati distribuiti dei questionari che, una volta compilati, hanno consentito ai primi cento iscritti di sottoporsi gratuitamente all’esame ecocolor Doppler della carotide. La mattinata è proseguita con le manifestazioni previste. Brevi coreografie proposte dalla Scuola di Danza di Recco di Tiziana Tel erano state preparate per accogliere gli ospiti. Il CAI Alpino Italiano . Sezione Sampierdarena ha organizzato un percorso sulle alture di Granarolo. L’ASD Nordic Walking “Croce de Vie” ha accompagnato i partecipanti in un breve percorso attraverso i carruggi di Genova, illustrando i principi basilari di una buona camminata. La Cooperativa Sociale “Io Sfero ” ha presentato un laboratorio ludico ginnico: ” ...eppur si muove !” ovvero: come vincere la sedentarietà senza troppa fatica giocando con i movimenti della vita quotidiana. L’Associazione ARGO ha partecipato con alcuni cani esperti impegnati in diverse attività, mostrando i vantaggi di una corretta gestione dell’animale domestico in città. Infine “OLMO – Biciclette dal 1930” ha esposto alcuni modelli, dimostrando come la bicicletta costituisca una valida alternativa ai mezzi di trasporto tradizionali, offrendo l’occasione di praticare attività fisica. Nel pomeriggio all’Auditorium del Mu.MA. Il Prof. Domenico Palombo, Direttore dll’Unità Operativa Complesso di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare dell’ IRCCS AOU San Martino, insieme alla prof.ssa Valeria Maione, si sono confrontati con il prof. Francesco Ventura ed altri specialisti di varie discipline esaminando l’opportunità di prevenire le patologie vascolari, coinvolgendo le Associazioni che hanno aderito al progetto: Centro Mentis,

AIDM – Associazione Italiana Donne Medico – Società Italiana di Medicina Generale Sezione Genova; Alice – Associazione per la lotta all’Ictus Cerebrale; AVO - Associazione Mogli di Medici Italiani- Sezione Genova; Consulta Femminile; Associazione Italo-Capoverdiana; AIS Liguria; Le Donne del Vino. La giornata ricca di avvenimenti si è conclusa con una tavola rotonda guidata dal Prof. Palombo che ha evidenziato come i fattori di rischio più comuni per quel che riguarda le malattie vascolari risultino essere in primis il fumo di sigaretta, seguito da diabete mellito, ipertensione, ipercolesterolemia, iperglicemia, iperomocisteinemia, obesità, vita sedentaria, stress, familiarità. Il professor Palombo ha proseguito la sua interessantissima esposizione evidenziando come le malattie circolatorie rappresentino la prima causa di morte nel complesso della popolazione negli anziani e la seconda causa, dopo i tumori, negli adulti. Il chirurgo ha quindi sottolineato come le donne, un tempo, considerate statisticamente meno affette da malattie cardiovascolari, attualmente, con l’aumentata aspettativa di vita, siano notevolmente cresciute per incidenza, a fronte di una prevenzione ancora insufficiente. Questi dati autorizzano a prevedere nei prossimi anni una vera e propria emergenza vascolare a cui far fronte, imponendo come obiettivi assoluti il miglioramento della qualità della vita del paziente, la prevenzione mirata, la riduzione delle amputazioni, degli ictus e delle rotture dell’aorta addominale, attuali e future cause primarie di mortalità e morbilità. Per finire abbiamo chiesto al prof. Palombo, che cosa debba fare una persona che sottoposta ad un esame preventivo abbia a scoprire la presenza di un aneurisma che, essendo del tutto asintomatico, non si era mai accorta di avere. «Recarsi immediatamente all’Ospedale per sottoporsi ad una facile operazione endoscopica che sicuramente gli salverà la vita», è stata La pronta risposta del Professor Palombo. Per maggiori informazioni visitate il sito: www. amarvi.it SEDE NAZIONALE Piazza della Vittoria, 14/15 -16100 Genova Sede Operativa : C/O Studio Tarigo Via Maragliano 7/2 - 16100 Genova

Qui a fianco la prof.ssa Valeria Maione. A sinistra il prof. Domenico Palombo

UN ACRONIMO ACCATTIVANTE CHE INDICA UN MEZZO EFFICACE PER LA TUTELA DELLA SALUTE

A.M.A.R.V.I. ONLUS,

PER PROTEGGERE IL CUORE 13 INGENOVA Magazine


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IL DENARO RACCOLTO CONSEGNATO ALLA FONDAZIONE MALATTIE RENALI DEL BAMBINO - RENAL CHILD FOUNDATION. VERRANNO UTILIZZATI PER CONTINUARE LA RICERCA SULLA GENETICA DELLE MALATTIE RENALI Prima squadra netta: da sinistra Silvano Locatelli - Gabriella Baj - Antonella Canessa e Giampiero Alberti Lea Pericoli con Stefano Messina, il Presidente del Golf di Rapallo Paolo Risso, il presidente della Fondazione Malattie Renali del Bambino Enrico Verrina, Luisa Anselmi e Alessandra Grimaldi.

Premiazione prima squadra Lorda: da sinistra Edoardo Galeppini - Francesco Carminati - Fabrizio Parodi e Nicolò Ravano

La piccola Sofia, madrina della manifestazione, taglia il nastro decorato dai bambini del Reparto di Nefrologia del Gaslini. Da sinistra: il direttore del Golf di Rapallo Fabrizio Pagliettini, il Dottor Enrico Verrina, il Dottor Stefano Messina, il neo Sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco, la Dott.ssa Luisa Anselmi e il Dottor Paolo Risso.

LA 10 INVITATIONAL SHIPPING PRO-AM a

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Eventi di Gaby de Martini Servizio Fotografico Cristiana Casotti

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artedì 10 Giugno 2014 si è svolta presso il Circolo Golf e Tennis di Rapallo la decima edizione della INVITATIONAL SHIPPING PRO-AM di Golf a favore della Fondazione Malattie Renali del Bambino - Renal Child Foundation,che ha sede ed opera nel Reparto di Nefrologia del Gaslini. Madrina dell’evento è stata la piccola Sofia, una bimba allegra e solare di 10 anni in rappresentanza di tutti i piccoli malati, che come lei, sono costantemente seguiti ed aiutati dalla Fondazione Malattie Renali del Bambino, emozionatissima, ha tagliato il nastro del decennale, nastro disegnato e colorato dai suoi amichetti ricoverati nel Reparto di Nefrologia del Gaslini. La Invitational Shipping Pro-Am nasce nel 2005 dall’idea di un gruppo di armatori aderenti a Confitarma (Confederazione Italiana Armatori), per finanziare i progetti di ricerca della Fondazione Malattie Renali del Bambino Renal Child Foundation, costituita nel 2004 presso l’Istituto Giannina Gaslini di Genova su iniziativa della compianta Prof. Rosanna Gusmano, scomparsa nel 2011. Lo spirito che caratterizza questo importante evento benefico è sintetizzato in questa frase di Madre Teresa di Calcutta: “ciò che facciamo è una goccia nel mare, ma se non lo facessimo il mare avrebbe una goccia di meno”. Nei suoi dieci anni di vita la Invitational Shipping Pro-Am ha reso possibile la raccolta di oltre 900.000 Euro, consentendo non solo di raggiungere importanti risultati nella ricerca nel campo della genetica delle malattie renali, ma di aiutare oltre 530 bambini e le loro famiglie provenienti da tutt’Italia, ad affrontare un lungo e difficile iter terapeutico che spesso prevede la dialisi in attesa e in preparazione al trapianto renale. La mission della Fondazione Malattie Renali del Bambino è quella di migliorare la vita dei bambini colpiti da queste patologie che sono causa di un grave impatto psicologico ed umano oltre che un onere clinico ed assistenziale per loro e per le loro famiglie. L’attività di ricerca scientifica in campo genetico, che si svolge presso il Laboratorio di Nefrologia dell’Istituto Gaslini, ha permesso in questi anni di giungere all’identificazione di sei nuovi geni associati a malattie renali che si manifestano nell’età infantile. Questi importanti risultati sono stati raggiunti grazie all’impegno dei Ricercatori Medici, Biologi e Tecnici della Fondazione ed al sostegno dei suoi benefattori. Deve essere fatto ancora moltissimo e il 10° anniversario della INVITATIONAL SHIPPING PRO-AM non rappresenta un traguardo, bensì una tappa di un lungo cammino da percorrere tutti insieme.

Foto di gruppo delle squadre seconde e terze qualificate: da sinistra: Michele Marcolini - Stefano Messina Anna Pettene - Michele Reale - Paolo Risso - Paolo Terreni Francesco Perosio - Martino De Rosa Alla 10 Invitational Shipping Pro-Am sono scese sul green 30 squadre, con partenza shot gun alle ore 12,30. La gara è stata giocata, secondo le regole del Royal and Ancient Golf Club of St.Andrews adottate dal F.I.G., le regole del P.G.A.I. e le regole locali del Golf Club di Rapallo. Ospite d’onore della manifestazione Lea Pericoli che ha consegnato al Dott Enrico Verrina l’importante assegno che, grazie agli sponsor della manifestazione, quest’anno ha raggiunto la ragguardevole cifra di 100.000 Euro che, come sempre, verranno destinati alla ricerca.

Da sinistra: VIttorio Lercari, Luigi Rivara, Pietro Cerruti e il professionista Paolo Massiglia.

REGALA 100.000 EURO PER I BAMBINI 15 INGENOVA Magazine

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Nelle foto qui sopra da sinistra: Caroline Bona, Riki Solimena in piedi con Monica Mondini e Chicco Ponte sul car, Michele Marcolini. Nella foto più a destra Francesco Pelizza il giocatore più giovane della gara.

Gabriella Baj - Antonella Canessa - 129 ; 1^ Squadra Lorda Nicolò Ravano - Fabrizio Parodi - Edoardo Galeppini - Francesco Carminati - 137; 2^ Squadra netta: Paolo Terreni - Stefano Messina - Michele Marcolini - Anna Pettene - 129; 3^ Squadra netta: Michele Reale - Martino De Rosa - Giovanni Paolo Risso - Francesco Perosio 130. Pro Individuale: 1° Classificato - Nicolò Ravano 67 - 2° Classificato a pari merito Paolo Terreni - Michele Reale 70. Neareast to the pin femminile Elisabetta Cerruti - Metri 2,33 -Neareast to the pin maschile Marco Pala - Metri 4,98, Driving contest femminile Anna Pettene - Driving contest maschile Marco Avanzino. Premio speciale Budweiser a: Michele Dettoni, Nicoletta Ceccarelli e a Piercarlo Ceccarelli.

Giovanni Pala con Carmen Moretti.

Nella foto a fondo pagina: Il Pro Simone Brizzolari con Antonio Pelizza.

Numerosi i generosi sponsor che hanno aderito anche quest’anno all’iniziativa benefica: Agenzia Marittima Cambiaso e Risso Srl - AL.MA. Spa - Alpha Trading Spa - Ambra Mar Srl - AVM Associati Spa - Banchero Costa Spa - Banca Passadore Spa - Carbofin Spa - Ceccarelli Spa - Cigisped - Clinica Montallegro - Coe Clerici Spa -Costa Crociere Spa - d’Amico Società di Navigazione Spa - Diego Calì & C.Srl - Ecotrade Spa - Finsea Spa - Fondazione Banca Popolare di Novara per il Territorio - Grimaldi Holding Spa - Gruppo Lercari Srl - Gruppo Messina Spa - Lagomarsino Anielli Srl - Master Project and Logistic - Marine Consultant & Services Srl - Pellegrini Spa - P.L. Ferrari & Co.Srl Premuda Spa - Rimorchiatori Riuniti Porto di Genova Srl - R.I.NA Spa - San Giorgio del Porto - SISAM Group - Stazioni Marittime Srl - STC Spa - Tarros Spa - Triskel Services - Union Flag Insurance Broker Srl - VSL•Venice Shipping and Logistic Spa. Sponsor Tecnici: Altavalle Acqua Minerale - Birra Budweiser - Biscaldi Srl - Biscottificio Grondona Spa - Cantine Ferrari Gughi - La Mesma - Lanterna Alimentari - Pasticceria Valle - Queen Land Srl - Schooner Viaggi Srl - Total Print Srl. La manifestazione è stata ripresa in diretta da Sky Sport. La 10 Invitational Shipping Pro-Am è stata giocata, secondo le regole del Royal and Ancient Golf Club of St. Andrews adottate dal F.I.G., le regole del P.G.A.I. e le regole locali del Golf Club di Rapallo. La formula di gioco è stata Pro-Am 18 buche hcp.- due migliori score della squadra a ogni buca. Handicap era limitato a 28. Ogni giocatore ha ricevuto i ¾ del proprio handicap. La premiazione si è svolta alle ore 19,30, a seguire i nomi dei vincitori della 10 Invitational Shipping Pro-Am : 1^ Squadra netta: Silvano Locatelli - Giampiero Alberti -

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Eventi Nella foto a sinistra: PREMIO BIRRA BUDWEISER a Piercarlo e Nicoletta Ceccarelli e a Michele Dettoni. Qui accanto Massimo MarĂŠ.

Luigi Pratolongo Riccardo Lagorio. il Pro Andrea Pesce e Alberto Gavarone.

Nelle foto a fondo pagina Paolo Pellegrini, Lea Pericoli e nello scatto a destra Ottavia Garrè con Elisabetta Cerruti.

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NE

ZIO I S O P S E NUOVA 18

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In Genova Promotion

E’

arrivata l’estate, torna la voglia di stare all’aria aperta, di godersi un bel tramonto sul proprio poggiolo o terrazzo o di cenare fuori in compagnia. Ma ecco riaffacciarsi, con fatale puntualità, il vero flagello delle calde notti di luglio e di agosto, specialmente per le zone più umide: le zanzare. Da soli, questi fastidiosi insetti possono togliere tutto il piacere della bella stagione, soprattutto considerando che sempre più i vari repellenti e insetticidi si dimostrano meno efficaci nel combatterle. A questo proposito, l’unico mezzo che garantisce davvero una protezione - che va al di là del semplice prurito, ma serve a proteggere i nostri bambini e le persone più delicate da patologie anche gravi - è quello meccanico. Niente di meglio di una zanzariera, insomma, per assicurarsi che nessuna zanzara ci faccia diventare matti con il suo invisibile ronzio, facendoci improvvisare cacciatori.

LA ZANZARIERA AVVOLGIBILE

La zanzariera avvolgibile è una soluzione pratica e, rispetto alla zanzariera fissa, permette di salvaguardare la resa estetica dei propri infissi, che non devono sopportare la presenza non certo molto piacevole di una fitta rete antiinsetti: questa viene invece estratta dallo stesso infisso solo quando serve, ad esempio durante le ore della sera o nelle giornate più calde, permettendo così con pochi e semplici gesti di “corazzare” la propria abitazione contro i parassiti più ostinati. La zanzariera avvolgibile funziona secondo un principio molto semplice, con un rullo dove viene avvolta la zanzariera stessa a un lato dell’infisso che si vuole proteggere. Si trovano in commercio sia zanzariere verticali che orizzontali, ma il primo tipo è quello di gran lunga più diffuso; le orizzontali si scelgono di solito per finestre molto ampie o molto alte.

LA ZANZARIERA FISSA

In tutti i casi in cui non si reputa necessario avere una zanzariera richiudibile, la zanzariera a telaio fisso rappresenta una soluzione molto economica e dall’installazione immediata,

con un profilo molto sottile. Si tratta, naturalmente, di una struttura fissa, che va sistemata una volta sola e, almeno nella maggior parte dei casi, non prevede una sua abituale rimozione. Perciò è ideale per tutte quelle aperture dove l’estetica non è importante (come cantine, mansarde, piccoli bagni...), soprattutto nelle case di campagna o al mare, dove la protezione richiesta è praticamente indispensabile tutto l’anno.

UNA MINACCIA NON SOLO AL NOSTRO BUONUMORE MA ANCHE ALLA NOSTRA SALUTE: SONO LE ZANZARE, SEMPRE PIÙ AGGUERRITE E PUNTUALISSIME NELLA BELLA STAGIONE. CON UNA ZANZARIERA SI PUÒ PROTEGGERE OGNI INFISSO

ZANZARIERE,

LA SOLUZIONE CONTRO UN FLAGELLO ESTIVO 19 INGENOVA Magazine

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IN OCCASIONE DEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ASGER JORN, LA CITTÀ DI ALBISSOLA MARINA E SAVONA OSPITANO UNA SERIE DI MOSTRE ED EVENTI DEDICATI AL GRANDE ARTISTA DANESE

,

di Diana Bacchiaz

L

a mostra “Jorn Collection” (a cura di Luca Bochicchio e Sandro Ricaldone) sarà ospitata fino al 7 settembre nel rinnovato spazio espositivo nel centro storico di Albissola Marina, in Via dell’Oratorio (a ridosso della chiesa di N.S. della Concordia). La riapertura della sede come nuovo Centro Esposizioni / Exhibition Centre del MuDA Museo Diffuso Albisola ha infatti coinciso con il centenario della nascita dell’artista danese Asger Jorn (1914-1973), che ad Albissola Marina visse e operò, acquistando anche una casa-studio con giardino sulle colline albisolesi (oggi Casa Museo Jorn). Dopo l’apertura il 26 aprile della mostra multimediale La Fabbrice dei Sogni (Ceramiche San Giorgio, a cura di Simona Poggi per l’Associazione Culturale Arte Doc) e dopo l’apertura ufficiale della Casa Museo Jorn, il 3 maggio, con l’allestimento didattico-museale “Caro Asger… la casa è pronta” Berto (a cura di Luca Bochicchio), la mostra Jorn Collection presenta al pubblico un’ampia selezione delle opere d’arte donate da Jorn al Comune di Albissola Marina contestualmente al lascito della sua casa-museo. La mostra ha l’obiettivo di mostrare e illustrare al pubblico la complessità e l’immediatezza del linguaggio plastico e dell’immaginario mitico e fantastico che Jorn fu capace di concretizzare in circa quindici anni di sperimentazione con il medium ceramico presso le Ceramiche San Giorgio.

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Liguria artistica CHI È ASGER JORN Asger Jorn è stato uno dei protagonisti dell’arte d’avanguardia del ‘900. Alla fine degli anni ’50 la sua opera ottenne un importante successo internazionale e iniziò ad essere esposta e collezionata dalle più importanti gallerie di Parigi, Monaco, Copenhagen, Milano, Venezia e New York. Jorn giunse per la prima volta ad Albisola (Savona) nel 1954 su invito dei pittori milanesi Enrico Baj e Sergio Dangelo (Movimento Arte Nucleare). All’epoca Jorn aveva già alle spalle importanti esperienze artistiche internazionali in Europa. Jorn fu anche uno straordinario promotore di relazioni umane e intellettuali: fondò riviste (“Helhesten” e “Eristica”) e gruppi d’avanguardia (“Cobra”, “Bauhaus Immaginista” e “Internazionale Situazionista”), e scrisse centinaia di saggi sulla cultura popolare, sull’arte nordica e vichinga, sull’estetica e sulla teoria dell’arte e dell’architettura. Fautore e sostenitore di un’arte antirazionalista, spontanea e libera da condizionamenti, rifiutò il Guggenheim Prize mantenendo, tuttavia, stretti legami professionali e affettivi con artisti quali Wifredo Lam, Jean Dubuffet e Lucio Fontana, e con galleristi e mercanti come Carlo Cardazzo, Gianni Schubert e Otto Van de Loo. Nel 1957 acquistò un’antica casa colonica e un terreno in stato di abbandono sulle alture di Albissola Marina, nel quartiere dei Bruciati. Con l’aiuto dell’amico-operaio Umberto Gambetta, Jorn trasformò quello spazio in un’opera d’arte totale nella quale architettura, natura, arti decorative e plastiche compongono un’unità organica e senza soluzione di continuità. Nel 1973, poco prima di morire, Jorn lasciò in eredità la proprietà e la collezione d’arte al Comune di Albissola Marina perché venisse aperta al pubblico come museo.

Attraverso fotografie e pannelli didattici verranno inoltre esposti al pubblico documenti e testimonianze, in parte inediti, relativi al particolare rapporto che si instaurò fra Jorn, gli abitanti e gli artisti di Albissola Marina a partire dall’Incontro Internazionale della Ceramica organizzato alle Ceramiche Mazzotti nell’estate 1954. In mostra saranno presenti opere di artisti collezionati dallo stesso Jorn, come Erik Nyholm, Antonio Sabatelli e Mario Porcù, accanto a capolavori in ceramica provenienti dalle collezioni civiche e testimonianti il contesto nel quale Jorn lavorò negli anni albisolesi (opere di Lucio Fontana, Wifredo Lam e Agenore Fabbri). Il fondo Asger Jorn comprende anche un nucleo di terrecotte popolari e una serie di ceramiche decorate dai figli di Jorn nell’ambito degli esperimenti connessi al Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista. Infine, una selezione di oltre cento documenti originali e rari, curata da Sandro Ricaldone, svilupperà in modo cronologico

Albisola Marina, anni 70, Ceramiche San Giorgio: Da sinistra Eliseo Salino, Asger Jorn, Giovanni Poggi, Silvana Priametto.

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il percorso intellettuale, teorico e organizzativo di Jorn in qualità di ricercatore e animatore di gruppi d’avanguardia da CoBrA all’Internazionale Situazionista. Le manifestazioni italiane per il centenario della nascita di Jorn, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, sono promosse dal Comune di Albissola Marina, dal Comune di Savona e dalla Fondazione Cento Fiori, a cura dell’Archivio d’Arte Contemporanea Università di Genova, in collaborazione e con il patrocinio dell’Ambasciata di Danimarca a Roma, del Museum Jorn di Silkeborg, del Cobra Museum di Amstelveen, della Regione Liguria e dell’Università di Genova DIRAAS, con il contributo della Fondazione A. De Mari – Cassa di Risparmio Savona. Jorn Collection a cura di Luca Bochicchio e Sandro Ricaldone. Progetto architettonico di Pietro Millefiore con la collaborazione di Giorgio Gatto e Liliana Ladeluca. Progetto grafico di Michele Minetto.

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GLI ORARI PINACOTECA CIVICA piazza Chabrol 2, Savona visitabile lun-mar-mer 10-13.30 gio-ven 10-13.30/15.30-18.30 MUDA–CASA JORN Via G. d’Annunzio 8 Albissola Marina (località Bruciati) mar 10-12 gio 15-17 sabato 10-12 /16-18 dom16-19 MuDA EXHIBITION CENTRE Via dell’Oratorio 32 Albissola marina Mar-sab 10-12/16-18 Dom 16-18 CERAMICHE SAN GIORGIO Viale matteotti 5 Albissola marina Lun-dom 9-11.30/15-18 Per info cultura @comune.albisolamarina.it musei@comune.savona.it

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“L

a bellezza salverà il mondo”, sostiene Tiziana Maschi, riprendendo le parole di F. Dostoevskij. La bellezza dell’arte e del paesaggio, se valorizzata, è una forma di accrescimento spirituale che può contribuire a migliorare il benessere di ciascuno di noi. Questo fa parte della missione Lilium Onlus, associazione presieduta da Tiziana Maschi, con la preziosa collaborazione di Gian Carlo Dal Molin. Quest’anno, a Villa Durazzo in Santa Margherita Ligure, si è svolta la settima edizione del “Ballo dei Gigli” della Onlus Lilium, che opera principalmente a favore della salvaguardia e del restauro delle opere d’arte “dimenticate” dagli enti preposti. L’importanza della manifestazione e delle sue finalità sono state recentemente riconosciute dal Presidente della Repubblica Italiana, che ha consegnato all’Evento ed al presidente Tiziana Maschi una medaglia al merito. I fondi raccolti quest’anno saranno destinati al restauro di alcuni dei preziosi arredi della Villa stessa. Un’incredibile luna piena, riflessa nel mare di fronte alla Villa, ha illuminato la serata, affollata di ospiti illustri, provenienti da tutto il mondo. S.A.I.R. il Principe Stephan di Montenegro, Namira Salim, console Pakistano nel Principato di Monaco,nonché astronauta, esploratrice dei due Poli, difensore dei diritti delle donne, numerosi esponenti giapponesi del Club Roll Royce e Bentley di Montecarlo col vicepresidente Monsieur Tamienne, Sir Linjie Chou, il duca Antonino d’Este d’Orioles, e, in rappresentanza della famiglia Grimaldi, la contessa Marion Von Leuchtemberg.

LA SETTIMA EDIZIONE DEL “BALLO DEI GIGLI” DELLA ONLUS LILIUM PER IL RESTAURO DEGLI ARREDI DI VILLA DURAZZO

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Eventi

Nella pagina accanto, foto in alto: gruppo internazionale di invitati all’aperitivo in terrazza di Villa Durazzo In basso a destra: l’avv. Donadoni e l’avv. Ortona con la presidente della ONLUS LILIUM organizzatrice dell’Evento la contessa Tiziana Maschi.

In questa pagina, in alto a sinistra: il Duca Antonino d’Este d’Orioles, la Baronessa Donna Loredana Dell’Anno e altri aderenti giapponesi. Sotto a sinistra: il Principe Stephan di Montenegro con la presidente, la contessa Tiziana Maschi e il vicepresidente GianCarlo Dal Molin della Onlus LILIUM. In alto a destra:. il sindaco di Santa Margherita Ligure, l’avv. Paolo Donadoni e l’avv. Francesco Ortona . In basso a destra: S.A.I.R. il Principe Stephan di Montenegro e la marchesa Stefania Vola, con Sir Linjie Chou

SUL BALLO DEI GIGLI 25 INGENOVA Magazine

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e nelle altre grandi metropoli della Repubblica Popolare i McDonald’s ci sono eccome, e da tempo. Dunque sulle coste vietnamite sbarcavano negli anni ’60 del secolo scorso GI e marines destinati a impantanarsi in risaie e foreste alla perenne caccia di avversari che sembravano fantasmi. Sino alla fine ingloriosa con la caduta di Saigon nell’aprile 1975, e la precipitosa fuga dei diplomatici USA che scapparono in elicottero dal tetto della loro ambasciata. Cambia davvero il mondo, poiché ora a sbarcare sono i Big Mac e i Filet-oFish. D’altra parte molte catene americane quali Pizza Hut e Burger King in Vietnam sono già presenti, ma chi aveva sprecato articoli per registrarne l’arrivo? Con McDonald’s è diverso. Quello “è” il fast food per antonomasia, l’immagine più vera dell’America. E ovviamente il suo “sbarco” non è passato sotto silenzio. In Vietnam sono ancora comunisti? Sì, la Repubblica Popolare del Vietnam si definisce ancora comunista ed è dominata dal partito unico. Però al pari della Cina si sta aprendo sempre più all’Occidente dal punto di vista commerciale e culturale. E si nota ancora la differenza tra Sud e Nord. Che succederà a questo punto? Un bel niente, giacché i giovani vietnamiti sono già influenzati da un bel po’ dai simboli occidentali (e americani in particolare). Magari qualche stomaco si rovinerà con french fries e ketchup, ma poco male: è accaduto dappertutto. Si noti che il primo McDonald’s ha aperto in una via che porta il nome di Dien Bien Phu, l’epica battaglia nella quale le truppe del generale Giap sconfissero i francesi nel 1954. E pure questo fatto ha un certo valore simbolico. Viene da chiedersi, almeno a chi ricorda la guerra del Vietnam, perché gli americani non usarono hamburger e patatine invece di napalm, defolianti e bombe a non finire. Avrebbero certamente avuto più successo. Ma allora c’era la Guerra Fredda: un altro mondo.

A COLLOQUIO COL PROF. MICHELE MARSONET:

IL VIETNAM

OCCIDENTALIZZATO

TEME I CINESI

Che impressione le fa il Vietnam attuale? Invitato in seguito ad Hanoi per firmare un accordo di cooperazione con un’università locale, sono tornato dal Vietnam con impressioni contrastanti. E’ il mio primo viaggio nel Paese asiatico e confesso che lo pensavo diverso. Sapevo già, ovviamente, che anche qui il processo di occidentalizzazione è in corso. Tuttavia mi era stato detto che nel Nord procedeva con più lentezza rispetto al Sud. A occhio e croce non direi. La TV trasmette in continuazione soap opera in perfetto stile americano. Il centro è pieno di negozi con le grandi griffe italiane e non, e le auto di lusso non sono poi così rare. In stile occidentale anche le canzoni, mentre i fast food furoreggiano tra i giovani, sia gli originali USA che le imitazioni locali. Insomma il Vietnam si è davvero aperto all’Occidente, e abbondano gli uomini d’affari – soprattutto giapponesi ed europei – che vengono a proporre business o a trasferire aziende approfittando del bassissimo costo del lavoro.

LA REPUBBLICA POPOLARE DEL VIETNAM AL CROCEVIA TRA L’OCCIDENTE E I POTENTISSIMI VICINI di Diana Bacchiaz

P

rof. Marsonet, a proposito dei rapporti tra Vietnam e Occidente si è parlato di “soft power”. Che cos’è? La notizia non è certo da prima pagina, ma fa riflettere. A quasi 40 dalla fine della guerra nel Vietnam con la caduta di Saigon (che ora si chiama Ho Chi Minh), proprio nella ex capitale dell’ex Vietnam del Sud apre il primo McDonald’s. Simbolo universalmente noto della cultura “popolare” USA. E non mi si venga a dire che è sacrilego accostare alla cultura la più nota catena mondiale di fast food. Lo sarebbe se vivessimo in un’epoca diversa. Nella nostra, il “soft power” di cui dispongono gli Stati Uniti è formato anche – e forse soprattutto – dai fast food, strumento formidabile di penetrazione della mentalità americana all’estero. Il suddetto “soft power”, anche se può sembrare strano a prima vista, è importante quanto marines, portaerei e droni. Se ne sono accorti molti commentatori notando che la Cina, per esempio, non dispone di strumenti simili per propagandare ovunque la propria “way of life”. Tant’è vero che a Pechino, Shangai

Il turismo esiste? I turisti, inclusi gli americani, sono numerosi. Notandone alcuni piuttosto anziani, ipotizzo che vogliano vedere la città che bombardavano pesantemente e dalla quale partivano le truppe regolari che andavano a sostenere i Vietcong al Sud. Ci sono ricordi di quei bombardamenti tra la gente? Sì, c’è un altro Vietnam in cui il ricordo della guerra vinta viene coltivato con molta serietà. Il museo militare è stracolmo di prede belliche americane. Un Phantom intatto, uno degli elicotteri da cui i marines sbarcavano sui campi di battaglia, un grande Chinhook da trasporto, un enorme

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Dialoghi con il Professore cannone semovente. Accanto a questi i mezzi dell’esercito vietnamita: il carro armato che sfondò i cancelli dell’ambasciata USA il giorno della vittoria, due Mig, molti AK-47 in perfetto stato di conservazione. C’è pure una bella ricostruzione, con relativo filmato, della battaglia di Dien Bien Phu, quella in cui le truppe del generale Giap annientarono i francesi. Nel museo anche i tipici elmetti dell’esercito nordvietnamita, le cui imitazioni si trovano nei banchi di souvenir e vengono ora usati da molti camerieri nei ristoranti. Il migliore ricordo del passato è il mausoleo di Ho Chi Minh costruito in stile sovietico. La coda è ancora lunga, a differenza di quanto accade a Mosca per Lenin, e il passaggio intorno alla salma imbalsamata del leader è piuttosto rapido visto il numero dei visitatori in cui abbondano intere classi di studenti accompagnati dai loro insegnanti. Il paragone con la Cina viene spontaneo. Lo zio Ho, proprio come Mao, mantiene il ruolo di padre della patria e i suoi ritratti sono ovunque (come, del resto, le bandiere rosse con la stella gialla al centro). Però fuori scorre un altro mondo. Non so se esista l’omologo vietnamita di Deng Xiaoping; forse no, il processo è stato avviato dall’intera leadership del partito. Ma il risultato, una volta fatte le debite proporzioni, è analogo: un’incipiente economia di mercato controllata strettamente dal partito comunista. Parlando con i colleghi locali ho conferma di un fatto che già sapevo. L’Occidente non è più visto come nemico. Preoccupa invece – e molto – la Cina. Shinzo Abe e i giapponesi non sono affatto soli: tutti i Paesi che confinano o sono comunque vicini al colosso ne percepiscono la potenza ormai evidentissima, e ne temono l’espansionismo. Apprendo, tra l’altro, che a tutti i giovani, maschi e femmine, viene insegnato come si monta e maneggia l’AK-47. Due studentesse d’italiano mi raccontano ridendo che è facile, anche se non sono sicure, all’occorrenza, di saperlo usare al meglio. E anche qui, come in Cina, gli studenti non nascondono la noia provata nei corsi di marxismo-leninismo, obbligatori a scuola e all’università e unica filosofia ammessa. Come trova il Vietnam? Un Paese bellissimo, con laghi e templi ovunque (anche in città) ma con un traffico sempre più caotico. A Ho Chi Minh City (l’ex Saigon), mi dicono, è molto peggio. Chissà se i vietnamiti – come del resto i cinesi – sanno dove stanno andando. Penso di no. Nei giovani, che pur rispettano il passato, è evidente la voglia di assomigliare sempre di più a noi. Vuoi vedere che lo Zio Sam, pur sconfitto militarmente, ha alla fine vinto la battaglia più importante trasmettendo agli ex nemici il suo stile di vita? Tra l’altro, chi era convinto che l’espansionismo cinese fosse una favola o, tutt’al più, un’invenzione di Shinzo Abe per giustificare il crescente nazionalismo nipponico, è ora costretto a ricredersi. In più occasioni ho rilevato che la Cina non preoccupa soltanto i giapponesi, ma anche tutti gli altri Paesi che al colosso asiatico sono contigui: Corea del Sud, Filippine, Taiwan, Vietnam, Malaysia, Thailandia etc. E per quanto riguarda i rapporti Cina-Vietnam? Dopo aver compiuto un gesto da “grande potenza” creando una zona assai vasta di identificazione e difesa aerea che include il piccolo arcipelago delle Senkaku sotto sovranità giapponese, ora la Repubblica Popolare punta sul Vietnam con un gesto che dimostra la volontà di dominio del governo di Pechino. Secondo un comunicato di Hanoi diffuso alcuni giorni orsono, “le autorità competenti del Vietnam hanno scoperto la perforatrice di profondità Hai Yang Shi You 981 (denominata HD 981 dal Vietnam) e tre navi per il trasporto del petrolio e del gas della Cina che si stavano muovendo a Nord Ovest delle Isole Tri Ton (appartenenti all’arcipelago vietnamita di Hoang Sa). La perforatrice si trovava a 80 miglia all’interno della piattaforma continentale vietnamita, 130 miglia nautiche dalla costa del Vietnam. La Cina ha installato questa perforatrice per condurre esplorazioni petrolifere nella piattaforma continentale vietnamita e ha utilizzato un gran numero di navi per proteggerla. In questo

CHI E’ MICHELE MARSONET Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.). Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di Visiting Fellow presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), alla City University di New York e alla Catholic University of America (U.S.A.). E’ attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. E’ stato Direttore del Dipartimento di Filosofia (2000-2002 e 2008-2011) e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova (2002-2008), dal 1° novembre 2008 a oggi è Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova. Il 9 ottobre 2012 è stato eletto Preside della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova per il triennio 2012-2015. E’ Fellow del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh. E’ stato Visiting Professor in molti atenei stranieri: University of Melbourne (Australia), University of Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), London King’s College, Leeds, Manchester, Hertfordshire, Stirling, Southampton e Middlesex (U.K.), Cork (Irlanda), Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna), Friburgo (Svizzera), Lovanio (Belgio), Giessen (Germania), Varsavia e Cracovia (Polonia), Cluj (Romania), Malta, Valona (Albania), Reykjavik (Islanda). E’ Professore Onorario della Universidad Ricardo Palma di Lima, e nel 2009 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa della Universidad Continental di Huancayo (Perù). E’ autore di 30 volumi e curatele, di cui 5 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e di circa 250 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere. E’ giornalista pubblicista.

PUBBLICAZIONI Introduz. alle logiche polivalenti, Abete, Roma, 1976. Logica e impegno ontologico, Angeli Editore, Milano, ‘81. Linguaggio e conoscenza, Angeli Editore, Milano, 1986. La metafisica negata, Angeli Editore, Milano, 1990. Logica e linguaggio, Pantograf, Genova, 1993. Scienza e analisi linguistica, Feltrinelli, Milano, 1994. Introduzione alla filosofia scientifica del ’900, Studium, Roma, 1994. Science, Reality, and Language, State University of New York Press, New York, 1995. The Primacy of Practical Reason, University Press of America, New York-London, 1996. La verità fallibile, Angeli Editore, Milano, 1997. Prassi e utopia. I limiti dell’agire politico, Studium, Roma, 1998. I limiti del realismo, Angeli Editore, Milano, 2000. Donne e filosofia, Erga, Genova, 2001. Liberalismo e società giusta, Name, Genova, 2001. The Problem of Realism, Ashgate, Aldershot-London, 2002. Logic and Metaphysics, Name, Genova, 2004. Conoscenza e verità, Giuffrè, Milano, 2007. Idealism and Praxis, Ontos-Verlag, Frankfurt-Paris, 2008. Elementi di Filosofia della scienza, CLU, Genova, 2008. I problemi della società multietnica, Ecig, Genova, 2008. Il mondo plasmato dai media, Ecig, Genova, 2009. Mercato libero o intervento statale?, Ecig, Genova, 2010. Scienza e religione sono incompatibili?, Ecig, Genova, 2011. Il pensiero utopico è oggi in crisi. Si può, tuttavia, vivere senza speranze e senza grandi mete da raggiungere?, Ecig, Genova, 2012. Può esistere l’uomo robot?, Ecig, Genova, 2013.

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momento le navi di scorta cinesi sono 60 e fra queste vi sono anche navi militari. Tali navi hanno intenzionalmente violato e ignorato la legge vietnamita». Un comunicato per niente “leggero”, come le parole in esso contenute lasciano chiaramente intendere. Immediate le proteste di Hanoi e frenetici i contatti tra le due capitali. Il problema è che i cinesi – come già era avvenuto nel caso delle Senkaku - vanno avanti come bulldozer, ignorando le reazioni dei vicini (che poi siano giapponesi o vietnamiti poco importa). La Cina si sente “padrona” in questa parte del mondo. C’è però un grosso problema. I vietnamiti, al pari dei giapponesi, possiedono un fortissimo spirito nazionale. Nel volgere di poche ore in Vietnam si è scatenata una vera e propria caccia ai cinesi (la quale ha coinvolto pure cittadini di Taiwan che non c’entrano affatto). Fabbriche cinesi distrutte, installazioni saccheggiate e, purtroppo, anche molti morti. Il governo di Hanoi ha ufficialmente condannato le violenze, facendo però capire con chiarezza che l’intera responsabilità ricade sul potente vicino. Un bel coraggio, vien fatto di pensare. Il Vietnam ha 90 milioni di abitanti, la Cina un miliardo e 300 milioni (circa). Non c’è proporzione tra i rispettivi eserciti, né tra le due economie. A occhio e croce uno pensa subito che, se solo lo volesse, i cinesi potrebbero mangiarsi il Vietnam in un solo boccone. Tuttavia varrebbe la pena che l’attuale seconda potenza mondiale chiedesse il parere degli USA prima di compiere ulteriori passi. Anche gli americani, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, pensarono di fare piazza pulita in Vietnam grazie alla loro superiorità militare e tecnologica. Il presidente Lyndon Johnson definiva il Vietnam “un piccolo Paese piscioso”. Iniziarono con l’invio di consiglieri militari. Poi sbarcarono – in numero sempre maggiore – GI e marines, toccando la soglia dei 600.000 uomini. Nulla da fare, e tutti sanno come andò a finire: i funzionari dell’ambasciata USA costretti a fuggire sugli elicotteri lasciando al loro (triste) destino gli alleati di Saigon (l’attuale Ho Chi Minh City). Ma non è questo il punto principale. Si tratta invece di capire dove vuole arrivare la Cina e se i suoi governanti riusciranno a comprendere che i Paesi vicini, pur molto più piccoli, non sono disposti a diventare dei semplici satelliti. Nel frattempo si apprende che nelle scuole cinesi le carte geografiche riportano i confini dell’Impero di mezzo che includeva molti Stati vassalli (incluso, guarda caso, anche il Vietnam). Finiti i tempi della solidarietà internazionalista e dei sorrisi tra Mao e lo Zio Ho, in Asia si torna a vecchi scenari che noi europei conosciamo bene. Una nazione cresce e utilizza la sua potenza economica e militare per imporre la propria volontà a tutte le altre.

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Il Consulente Museale di Matteo Sicios

E

ntrare al Museo è di per sé un viaggio nella storia. Raggiunto il Priamàr si ha già l’impressione di essere di fronte a qualcosa di simile ad una macchina del tempo. Una fortezza enorme, posta su una collina che sorge vicino all’area del porto. Per raggiungere il Museo si passa attraverso il parco, l’accesso è la galleria che si apre nelle mura e che conduce all’interno della fortezza. Questi bui ambienti servono già ad immergersi nei secoli di vita della collina. Il percorso museale permette di vedere gli oggetti esposti in ordine cronologico, ma all’interno delle vecchie sale, per scoprire così anche la storia del Priamàr. Le vetrine della prima sala contengono gli oggetti degli uomini che hanno abitato il colle dal Bronzo Medio (2000-1550 anni a.C.) fino ai primi secoli del Medio Evo. Nella seconda sala si trovano le splendide ceramiche bassomedievali e di età moderna, simbolo della storia e del presente del ponente ligure. La Savona Medievale che non esiste più si incontra così solo al Museo, tra i suoi oggetti e i suoi ambienti, su quel colle che ha visto la distruzione della Cattedrale, del Palazzo Vescovile, del convento domenicano, delle dieci chiese delle confraternite, del castello di S. Maria – per far posto ai poderosi bastioni di questa macchina del tempo. Il Civico Museo Storico-Archeologico di Savona è un museo per tutti. Bambini e ragazzi possono scoprire la storia del territorio attraverso un suggestivo percorso indietro nel tempo e attività didattiche sempre rinnovate. Turisti e appassionati possono approfondire i temi presentati grazie all’esposizione di multimediali e della biblioteca della sezione savonese dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri. L’orario estivo del Museo (dal 16 giugno – al 14 settembre): lunedì / domenica 10,30-15 martedì chiuso http://www.museoarcheosavona.it/ Per informazioni: mailto:info@matteosicios.com

UN CONSIGLIO PER UN MATTINATA DIVERSA CON FAMIGLIA O AMICI NELLA STAGIONE ESTIVA

UN PO’ DI STORIA DEL PRIAMÀR - 1528 sottomissione definitiva della città di Savona alla Repubblica di Genova - 1542-1544 la Repubblica di Genova su progetto di G. M. Olgiati realizza la fortezza - 1591-1610 trasformazione della fortezza: apertura del fossato e sistemazione dell’area della Cittadella - 1683-1686 Domenico Sirena modifica gli spazi esterni e la maggior parte del sistema bastionato - 1686 in poi sistemazione in funzione residenziale - 1740-1748 durante la guerra di Successione austriaca e durante le Guerre Napoleoniche è al centro di numerosi scontri - 1815 la fortezza, con l’annessione al Piemonte della Liguria, conclude la sua storia - 1820 diviene un penitenziario - 1848 successivamente un reclusorio militare - 1878 viene radiata dalle fortificazioni militari del regno d’Italia - 1878 in poi riconversione dell’area esterna Solo dagli anni cinquanta del secolo scorso hanno inizio i restauri, i primi scavi e le indagini.

IL CIVICO MUSEO

STORICO-ARCHEOLOGICO DI SAVONA

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Carlo Felice

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A GENOVA E’ ANCORA IL MOMENTO DI

ROBERTO BOLLE IL GRANDE BALLERINO TORNA DOPO IL SOLD OUT DEL 2013 PER DUE SERATE IL PROSSIMO LUGLIO di Daniela Masella La stagione invernale 2014 del Teatro Carlo Felice volge al termine. In cartellone una florida ed intensa produzione artistica, con titoli eccellenti e noti professionisti del panorama internazionale: opera, sinfonica, balletto, gala, aperitivi e manifestazioni collaterali si sono alternate durante l’anno, con un ottimo consenso di pubblico e di critica. Il Teatro ha sempre mantenuto alto l’interesse cittadino e la gestione generale di tutto l’iter esecutivo, lottando e calibrando con cura ed attenzione le molteplici difficoltà economiche preesistenti, che lo hanno spesso messo in ginocchio o rallentato. Ultimo appuntamento in programma, che registra già il tutto esaurito, è lo spettacolo di Roberto Bolle and Friends, venerdì 18 e sabato 19 luglio alle ore 21.00. In collaborazione, il Politeama Genovese ed il Carlo Felice sostengono questo importante avvenimento conclusivo, che dalla prevendita dei biglietti a sedere si rivela molto atteso dalla città. Dopo la grande affluenza dell’anno scorso, che aveva fatto registrare un clamoroso sold out al botteghino, questo celeberrimo ballerino, ètoile della Scala di Milano, vanto italiano in tutto il mondo, principal dancer dell’ABT di NY, ritorna nuovamente nel capoluogo ligure. Molto amato non solo per il suo raffinato e strepitoso talento ma anche per la sua capacità di comunicatore, ha il merito di aver riportato la danza classica all’attenzione di un’ ampia platea. In tv ha partecipato a diversi programmi e ha dato persino il suo volto alla pubblicità; ha fatto sì che la sua professione fosse ammirata ed apprezzata non solo da un pubblico esperto o di nicchia, ma anche da una larga fascia popolare. Dopo il suo fortunato debutto, lo stesso Bolle esalta e rivolge i riflettori sul palcoscenico genovese e alla sua profonda tradizione artistico-culturale. C’è ancora riserbo sul cast ed il programma delle due serate: lui stesso cura tutti i particolari e sceglie i differenti ballerini e colleghi, altrettanto professionisti del panorama tersicoreo internazionale, che lo affiancheranno nella bellissima e ricercata performance.

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SPECIALE

ESTATE

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PAOLO NUTINI E CAPAREZZA ACCENDONO LE LUCI SUL GOA-BOA

Caparezza. Sotto Paolo Nutini

MOLTA MUSICA UNDERGROUND E TANTA FANTASIA AL POTERE: DAL 14 AL 19 LUGLIO AL PORTO ANTICO di Leo Cotugno

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aranno Paolo Nutini e Caparezza le “star” che la faranno da protagonisti all’edizione 2014 del Goa-Boa Festival in programma dal 14 al 19 luglio all’Arena del Mare del Porto Antico di Genova. Sicuramente un altro successo di nomi, vista anche la perdurante aria di crisi che nel settore degli spettacoli ha vibrato colpi di scure in maniera molto più decisa: c’è la volontà di andare avanti e coinvolgere strati sempre maggiori e più eterogenei di pubblico, di essere portavoce di sonorità etniche provenienti non solo dall’Italia, ma da

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InGenova Musica ogni parte d’Europa. Ci si è riusciti anche in quest’edizione, che partirà forte il 14 luglio con Alessandro Mannarino, cantautore romano che mescola nel suo repertorio lontani echi della penisola balcanica, il folk all’italiana e alcune caratteristiche musico-recitative che lo avvicinano non poco al carisma di Vinicio Capossela, il cui nome non ha bisogno di presentazioni. DA SANREMO A GENOVA VIA SUCCESSO – Ma è con Paolo Nutini che il Festival Goa-Boa (a proposito, si chiama così perché Goa è l’abbreviazione commerciale marittima di Genoa, Genova: il crocevia dei grandi traffici, dunque degli scambi: anche musicali. Boa è il punto di riferimento che nel porto accompagna la perfetta rotta di ogni imbarcazione) decolla in modo illuminante. Il giovanissimo cantante di origine scozzese, nato a Paisley nel 1987, è uno degli artisti più apprezzati del nuovo soul bianco, al quale si accomunano soft rock e blues: ha iniziato a cantare a soli 8 anni, il suo esordio sui palcoscenici nel 2006, dopo avere accompagnato i genitori nella loro attività di venditori in un negozio di fish and chips. Il grande amore di Nutini per la musica si deve al padre, originario della Toscana. Nutini partecipa alla corale della sua scuola ed è in queste occasioni che il maestro lo nota, dandogli i primi consigli per migliorare la tecnica vocale. Il colpo di fortuna, se così possiamo sottolineare, oppure di genio per dare meglio adito ad un artista destinato ad un futuro davvero notevole, giunge nel 2003: il concittadino David Sneddon, vincitore della prima serie di “Fame Academy” della BBC, la versione britannica del nostro “Amici”, si presenta in forte ritardo durante un avventuroso viaggio di ritorno da Londra; per placare il pubblico, decisamente spazientito, un dj di una radio locale organizza un quiz che vede come premio la possibilità di esibirsi sul palco. Paolo Nutini vince e viene notato da Ken Nelson, produttore londinese che gli darà il visto per cantare in diversi locali della capitale inglese. Assieme a Nelson, Nutini può firmare il suo primo album, “These streets”, prima di essere invitato dai Rolling Stones a Vienna per aprire la data unica austriaca di “Bigger Bang Tour”. Premiato nel 2007 dal Sindaco di Barga – paese natale del padre – con la medaglia d’oro di San Cristoforo, massima onorificenza che la cittadina toscana potesse tributargli -, Nutini partecipa nel 2007 al Live Earth di Londra, nel prestigioso Wembley Stadium, ed il suo successo continua folgorante: viene scelto testimonial nel 2008 per la marca di abbigliamento sportivo Puma assieme al grande Usain Bolt, e nel successivo anno il suo nuovo album “Sunny Side Up” vende oltre seicentomila copie, vincendo il Wind Music Awards. Prima di approdare a Genova, Nutini si è già fatto apprezzare interprete raffinato e suadente al Festival di Sanremo, dove ha cantato i brani “Candy” e “Scream” del suo ultimo LP, oltre ad una struggente “Caruso” di Lucio Dalla.

capacità di apprendimento, vincendo anche una borsa di studio all’Accademia di Comunicazione di Milano ma preferendo la scelta della carriera musicale a quella del perito. I suoi esordi lo vedono sul palcoscenico al Festival di Castrocaro e poi a Sanremo (1995), dove al Festival, nella categoria Giovani, presenta “Succede solo nei film. Due anni dopo Caparezza torna sul palco dell’Ariston, con “E la notte se ne va” che giunge quarta nella categoria Nuove Proposte. Il suo nuovo look, con capelli crespi e pizzetto, nasce nel 2009: dopo “Fuori dal tunnel”, continua a comporre nel suo garage di Molfetta e regala al suo già numerosissimo esercito di fans i demo “Ricomincio da Capa”, “Con Caparezza nella monnezza” e “Zappa”. Tra i suoi più significativi titoli, nei quali “Fuori dal Tunnel” diviene un’accorata protesta contro il “divertimentimificio”, ossia l’imposizione di svagarsi tutti allo stesso modo, ricordiamo “Jochenellavitanonhocapitouncazzo” e “Vengo dalla Luna”. Jolly dissacrante verso la società della comunicazione, vero e proprio simbolo della lotta alla globalizzazione musicale, è stato anche apprezzatissimo interprete in Zelig Circus dopo l’uscita del suo terzo album “Habemus Capa”, dal quale sono stati estratti i singoli “Dalla parte del toro”, “Torna Catalessi” e “La mia parte intollerante”.

Alessandro Mannarino

FOLK PUGLIESE INTRISO DI RAP – Il 19 luglio sarà invece la volta di Michele Salvemini, in arte Caparezza (testa ricciuta), nato 40 anni fa a Molfetta, in provincia di Bari. Dai suo esordi, avvenuti nel 2003 con “Vieni a ballare in Puglia”, divenuto poi vero e proprio tormentone estivo, e la successiva “Fuori dal tunnel”, datata 2004, Caparezza si è ironicamente autodefinito “Un Mikimix, cantante insignificante dal cui autodisgusto nacque il se stesso odierno”. Figlio di una maestra e di un operaio, dopo avere studiato ragioneria presso l’Istituto Tecnico di Molfetta, una grande passione per la fumettistica, denota eccezionale

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di Leo Cotugno

GIUA,

CHITARRA E VOCE DI LIGURIA L

o sfondo di Rapallo, sua città natale, a fare da ispiratore a musiche e canzoni che raggruppano ricordi legati alla terra di Liguria. Un amore per la chitarra iniziato con la sua vita, da quando, ancora bambina, si misurava con coraggio con la composizione. Maria Pierantoni Giua, in arte semplicemente Giua, si racconta al nostro magazine con la semplicità e la forza interiore che da sempre la contraddistinguono, sin da quando, dieci anni or sono, vincendo il Premio Recanati, il Festival di Castrocaro ed il Premio Lunezia, iniziava la propria straordinaria evoluzione artistica, allieva del chitarrista Armando Corsi e dell’insegnante di canto Anna Sini, instancabile nell’opera di collaborazione con il musicista e produttore Beppe Quirici. In quest’intervista esclusiva, svolta a pochi giorni dalla pubblicazione del suo nuovo album musicale, la brava cantante tigullina si racconta a “cuore aperto”: i sogni, gli esordi, la Giua “inedita” made in Liguria. I suoi ricordi più belli legati agli esordi musicali? Tra i ricordi più belli c’è il momento in cui i miei genitori mi hanno regalato la prima “vera” chitarra, quella da grandi. Era il mio compleanno, compivo otto anni, e questa chitarra era troppo grande per me, ma ero veramente felicissima! La musica mi accompagna da sempre, col suo spirito allegro e facile, anche se l’idea di trasformarla in lavoro è stata frutto di alcuni incontri successivi: quello con Armando Corsi, che

UN RAPPORTO CON LA MUSICA INIZIATO DA BAMBINA, UNA PASSIONE ALIMENTATA CON IL CANTO E CON LA COMPOSIZIONE: INTERVISTA ESCLUSIVA AD UNA DELLE CANTANTI PIÙ APPREZZATE DELLA LIGURIA è stato per tanti anni il mio maestro e con cui recentemente ho pubblicato un nuovo disco, TrE (etichetta Egeamusic) e quello con Beppe Quirici, il produttore del mio primo lavoro, “Giua” (Sony-Bmg). Da qui ho mosso per lavorare seriamente, sono tanti gli incontri e le esperienze che mi hanno fatta crescere, i primi gruppi di amici con cui ci si vedeva a provare in salette piuttosto improbabili: i concerti con i “Fandangos”, musica flamenco e sudamericana, dapprima, e poi con gli “Endegu”, con cui ho cantato numerosissime volte le canzoni di Fabrizio De Andrè. La mia fortuna è stata quella di capire, fin da bambina, che la musica era la cosa che in assoluto mi piaceva di più. E quando i desideri sono così chiari si può fare anche molta


In Genova Musica fatica per realizzarli ma parti con grande determinazione e coraggio. Liguria, terra di navigatori e cantautori. Quali nessi possono esserci? E’ la parola “porto” che rappresenta al meglio ciò che mette assieme i naviganti ed i cantautori, una terra come la Liguria e De Andrè, Lauzi o Umberto Bindi. Il porto è il luogo degli scambi, delle partenze e degli arrivi, dei viaggi, delle avventure, degli addii e dei nuovi inizi; è il luogo della conoscenza, dell’apertura, dell’artigianato, della competenza, della libertà, della terra e del mare insieme, del riparo, della strategia, dello straniero, del diverso. Ed è tante cose ancora, le stesse cose che sono materia delle canzoni. La Liguria è una terra particolare, compressa, allungata, di montagne, case affastellate, mare bellissimo, scogli e spiagge. Ed è una terra contraddittoria, verde ed acida come un limone, invitante come la panissa fritta appena fatta, con i vigneti abbarbicati sui monti e le belle e brutte sorprese agli angoli. E’ troppe cose la Liguria, per restare zitta e non diventare canzone o poesia. Da dove muove la sua evoluzione artistica? Il mio amore per la musica nasce dall’ascolto di alcune canzoni che mio padre mi suonava quando ero piccola: canzoni popolari sudamericane cui si univano le ballate di Faber e dei cantautori in generale. Restavo incantata e soprattutto volevo suonare, cantare, scrivere anch’io! Sono sempre stata vorace ed onnivora, affascinata da ritmi e dalle storie. Quando a diciotto anni ho lavorato nel negozio di dischi di Rapallo (La casa del Disco, ndr), ho potuto, oltre a spendere tutto quello che guadagnavo in dischi, ascoltare qualunque cosa, dalla musica classica al grande rock, al jazz ed al rythm’n blues passando per la musica celtica: credo che Giua risenta di tutti questi ascolti e che si muova artisticamente come un’onda, spostandosi come una corrente ed avvicinandosi a certi lidi, a certi Paesi. Ora sto lavorando al nuovo disco, vedremo cosa succederà!. Canzone e musica: i consigli di Giua ai giovani che vogliano intraprendere la carriera di cantante. Difficile farlo, è una faccenda troppo personale. Una cosa è certa, bisogna sapere distinguere bene tra quella che è una vocazione e quella che invece è la voglia di fare successo a tutti i costi; facendo il cantante, il personaggio, la comparsa. Su questa differenza si gioca tutto, si giocano anche il talento ed i desideri. E’ importante trovare anche le persone “giuste”, che non vogliono solo incantare o adulare. Oltre ad avere una buona e sana conoscenza di se stessi bisogna potersi fidare dei propri altri, sapere scegliere i propri referenti o riferimenti. Poi c’è lo studio, trovare dei maestri appassionati, degli amici con cui suonare, musicisti bravi che ti facciano crescere. Altro stadio importantissimo è il suonare dal vivo, ascoltare e scrivere: avere tenacia e perseveranza, essere solidi e aperti allo stesso tempo.

scritte per copioni davvero molto apprezzabili: sempre così è nata l’occasione di andare a Spoleto, grazie all’incontro con la giovane attrice e regista Eleonora D’Urso, con cui avevo lavorato precedentemente in un reading, “Volammo davvero”, voluto dalla Fondazione De Andrè. Eleonora mi aveva chiesto di scrivere le musiche e le canzoni per uno spettacolo molto divertente, “Un piccolo gioco senza le conseguenze”, alla fine mi hanno chiesto di stare in scena a fare la colonna sonora vivente! Il Festival di Sanremo è stato un altro passaggio fondamentale per il mio percorso, poco teatrale e molto televisivo, mi ha permesso di mettere meglio a fuoco cosa mi piace e cosa no dell’ambiente musicale: fare la cantautrice non è un lavoro che ha una sua strada, preconfezionata, da seguire, è un lavoro che si inventa giorno dopo giorno, frutto di occasioni e incontri presi al volo. Quando non è assorbita da impegni artistici cosa attrae maggiormente la sua attenzione? Ah, sono irrefrenabile! Adoro andare a teatro, al cinema, leggere, dipingere, nuotare, stare con gli amici, camminare, andare al mare. In pratica non mi fermo un solo istante, riesco a fare spesso ciò che mi piace, sia quando lavoro che quando ho tempo libero, qualunque spunto è buono per una canzone ed ogni concerto è buono per una mangiata con gli amici oppure una pausa. Mi piace anche godermi la casa, non avendo ritmi frenetici ed avere il tempo per fare accadere le cose. Le pubblicazioni più recenti: ce ne vuole rivelare contenuti ed ispirazioni? Le due più recenti pubblicazioni sono davvero diversissime tra loro: il mio ultimo disco “TrE” , composto e suonato a quattro mani con Armando Corsi; ed il libro per bambini “Girotondo di elefanti”, edito da Gallucci, nel quale appare una canzone illustrata da Sophie Fatus, scritta con Pier Mario Giovannone ed arrangiata con Armando Corsi e la Banda Osiris. TrE è nato dalla voglia di condividere la musica con quello che è stato dapprima il mio maestro e dopo il mio compagno di avventure musicali, appunto Armando Corsi. E’ un doppio CD che racchiude canzoni e brani strumentali inediti ed alcune cover scelte tra quelle che più amiamo: “Volver”, tango di Carlos Gardel, a “La casa nel parco”, di Bruno Lauzi. Un disco che è stato possibile realizzare grazie all’apporto di tantissimi amici che hanno creduto in questo lavoro ed hanno invesito tutta la loro professionalità e passione, un disco ricco di ospiti importanti, Jacques Morelembaum, Riccardo Tesi, Mario Arcari, Fausto Mesolella, Nohezan, Marco Fadda e per finire, non meno importante, mia nonna Anna Macchiavello. “Girotondo di elefanti” è invece un libro musicale coloratissimo e pieno di allegria. Tutto nasce da una filastrocca di Pier Mario Giovannone che mi ha fatto venire la voglia di inventare una musica, la collaborazione tra Armando Corsi, la mitica Banda Osiris, l’editore Gallucci e la disegnatrice Fatus hanno dato vita ad un prodotto che ha subito entusiasmato Raffaele Abbate della Orange Home Records, deciso immediatamente a produrlo. Così, tra un concerto e l’altro di TrE, mi sono anche ritrovata a cantare e ballare con un sacco di bambini! Cosa ci sarà nella programmazione a breve scadenza di Giua? Ad oggi mi divido tra la mia città, Genova, e Milano, dove sto lavorando al nuovo disco con Alberto Pugnetti, ex discografico e consulente musicale delle più importanti agenzie pubblicitarie. Ho conosciuto Alberto in occasione di “Ci vuole orecchio”, rassegna sulla canzone d’autore, da lui organizzata allo Zelig: sono stata fortunata perché, invitata a cantare due canzoni, ho trovato un produttore! Non so ancora dove mi porteranno i nuovi brani e questi nuovi percorsi artistici intrapresi: ma come amo sottolineare, di sicuro anche questa sarà una bella avventura!

Giua tra partecipazione a Sanremo ed il Festival dei Due Mondi di Spoleto… Musica e teatro si sono incontrati presto nella mia vita, sia perché sono due mie grandi passioni, sia perché ho avuto la fortuna di lavorare in teatro molto giovane con le mie canzoni. L’incontro decisivo è stato quello con il Teatro della Tosse di Genova, una realtà vivace e piena di fantasia con cui ho debuttato, era il 2007, nello spettacolo “Poeti vs Cantautori, per la regia di Tonino Conte. Da lì è iniziata una bellissima collaborazione che va avanti ancora oggi, tra spettacoli che mi vedono in scena e canzoni

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NERVI,

LA PROTAGONISTA “….Nervi va in scena. Ed è come fosse sempre la sua prima. Femminile, seducente, bella, altera, inamovibile. A tratti dolce ma superba, cullata dal fruscio di palme, di pini, di cipressi, magnolie e buganvillee, piante secolari, esotiche e mediterranee dalle radici intrise di storia, di arte, di suoni, di colori, di gemme preziose. Accanto alle viuzze, spumeggia il mare, risuona di mareggiate e le risacche inabissano canti di antiche sirene e muse ispiratrici. Lungo la passeggiata Anita Garibaldi, tra il cicalio dei colori, si annidano sogni e ricordi di passi immortali. Tra il cinguettio costante di innumerevoli specie, si rincorrono scoiattoli e lucertole. Gli scogli austeri e gloriosi contornano un paesaggio che irrompe penetrante, introverso e quasi da fiaba. Distogliere lo sguardo dal mare è impossibile e quasi vietato, solo il cielo talvolta si distingue con toni più scuri all’imbrunire….” (Anna Maria Solari, “Il mio Levante”) testo e foto di Anna Maria Solari

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ervi è una piacevole località del Levante genovese nota per il paesaggio meraviglioso e per la mitezza del clima. Una guida svizzera del 1619 definisce Nervi “il vero Paradiso terrestre”, dove primavera e autunno non fanno che alternarsi. E’ incerta l’origine della cittadina, le ipotesi sono diverse. Alcuni autori sostengono la tesi che una colonia di celti vi si fosse stabilita. L’ipotesi è avvalorata dal motto “Near Av Inn” presente sullo stemma nerviese che significherebbe “Luogo vicino al mare” e così nel tempo l’attuale nome. Altri pensano che il nome possa derivare dall’imperatore romano Marco Cocceio Nerva al quale sarebbe stato dedicato in suo onore da alcuni soldati a lui fedeli che trovarono rifugio in questo antico borgo. Sempre al periodo romano si basa un’altra ipotesi per la scritta “in arvis” (nei campi) che compare su una pietra miliare romana. Il ponte romano comunque ed il castello quale presidio militare per la sicurezza dei traffici rappresentano le prime strutture, seguite poi nei secoli successivi dalla pieve di San Siro. Il percorso più panoramico di Nervi, naturalmente pedonale, scende per un tracciato antico al porticciolo, sul quale si affacciano le case del borgo ed a ponente il complesso del seicento di chiesa ex convento del collegio G. Emiliani. In quest’ansa meravigliosa, quasi intatta, prevalgono ancora i caratteri paesaggistici storici, conciliati con l’attrezzatura per l’ormeggio di imbarcazioni leggere e recenti impianti sportivi. Osservando la caratteristica rada, si supera su di un piccolo ponte il torrente Nervi e lo sguardo si posa sulla passeggiata Anita Garibaldi, che sale con dolci forme nel belvedere più famoso e lungo d’Europa. Il percorso scavato nelle rocce mantiene il carattere rustico-naturalistico e


Genova da scoprire

ALLA SCOPERTA DI UNO DEI LUOGHI PIÙ BELLI DEL GENOVESATO, TRA CULTURA ED ELEGANZA. E NEI GIOVEDÌ DI LUGLIO LE ATTIVITÀ RIMANGONO APERTE FINO A MEZZANOTTE pittoresco e mostra l’intervento urbanistico discreto e sapiente, dove la mano dell’uomo ha saputo sostenere il trionfo di una natura straordinaria in ogni punto, a monte e a mare. A metà passeggiata si può ammirare la Torre Gropallo del XVI secolo che fu eretta a difesa dalle incursioni barbaresche di Federico Barbarossa. A monte un susseguirsi di parchi privati, uniti ai parchi pubblici ed alle antiche ville, Villa Gropallo e Villa Serra, separano le abitazioni dal mare. All’origine erano due ville distinte anche se l’impianto dei rispettivi parchi sembra unico perché ispirato dalla stessa cultura paesaggistica e botanica diffusa a Genova a partire dal XVIII secolo dal Durazzo e successivamente dalle famiglie Serra e Gropallo. Nel 1928 il Comune di Genova acquistò Villa Serra per allestire il palazzo a sede della Galleria d’ Arte Moderna, mentre il parco unito a ponente con il Gropallo, diventò pubblico. Vi sono oltre una cinquantina di specie di piante mediterranee ed esotiche, spesso molto rare. Proprio in tale fiorente natura, a partire dal 1954, e nei mesi estivi si cominciò a realizzare, in una inimitabile scenografia, il Festival del Balletto, voluto, ideato e diretto dal maestro Mario Porcile con Ugo Dell’Ara che divenne presto una manifestazione di fama e prestigio internazionale. Per più di trent’anni si susseguirono artisti e compagnie, registi e scenografi conosciuti in tutto il mondo acclamati da un innumerevole pubblico che ricordava gli anni della Belle Epoque, quando svernavano gentlemen inglesi, nobili russi in fuga, artisti francesi e spagnoli. Tra loro ricordiamo il grande ballerino Rudolph Nureyev, Carla Fracci, Alicia Markova, Margot Fonteyn ed i più famosi corpi di ballo del Mondo. Le numerose ville e gli alberghi tornarono a rivivere in una migliorata e curata modernità ed accoglienza. Ricordiamo il primo hotel del 1860, “Pension Anglaise” fondato dai Gropallo, che iniziò il successo di Nervi, stazione climatica e balneare, spiaggia bordata di scogli, come era consueto ascoltare.


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La passeggiata Anita Garibaldi, così intitolata nel Giugno 1945, fu costruita in due tempi dal marchese Gropallo, la prima parte della costruzione risale al 1862 per collegare il porticciolo con la torre Gropallo, la seconda parte risale al 1872 per collegare la strada che attraversa i parchi, via Serra Gropallo, con la zona di Capolungo, ma sembra che un sentiero esistesse già percorso dai pescatori ed i contadini del luogo. Proseguendo si raggiunge il Palazzo Serra con la Galleria civica d’Arte Moderna che raccoglie le opere di artisti genovesi ed italiani che hanno esercitato un’influenza sull’arte genovese dall’inizio del XIX secolo fino all’arte contemporanea. L’ultimo edificio all’interno del complesso è Villa Grimaldi Fassio. Nel suo parco all’Inglese che degrada verso il mare, si può ammirare il “Roseto” suddiviso in aree che raggruppano le rose antiche, moderne, da concorso e prodotte dai principali ibridatori italiani e stranieri. Una collezione con circa 200 varietà, per un totale di 1000 piante. La Villa è sede del pregevolissimo Museo Frugone che espone artisti italiani e stranieri del XIX secolo e primi XX secolo. Poco distante è situata Villa Luxoro, che ospita l’omonimo museo titolato a Giannettino Luxoro. Il suo parco, anche se di più modeste dimensioni, è inserito in un insieme di ville private di inizio Novecento realizzate nei terreni agricoli della settecentesca villa dei Marchesi Crosa di Vergagni, adibita proprio in quel periodo storico a “Pension Russe” per ospitare turisti attirati dalla fama internazionale di Nervi. In una cornice di bellezze naturali e storiche, l’operosità, l’ingegno e l’estro degli abitanti hanno creato un vero e proprio susseguirsi di attività commerciali tali da definire Nervi, “il salotto di Genova” anche per la ricercatezza e l’originalità dei prodotti e servizi offerti. Scendendo col treno si percorre l’elegante Viale delle Palme, si raggiunge comodamente in pochi minuti il centro di Nervi con l’animata Via Oberdan che si estende in parallelo alla passeggiata a mare.


Genova da scoprire

Percorrendo la via dei negozi, si possono ammirare: abbigliamento, capi sartoriali, calzature, profumerie, mobilifici, storiche botteghe, quali il ferramenta, arredi e oggetti per la casa, oreficerie, centri estetici, parrucchieri ed altro ancora per rendere unico lo shopping e lasciarsi coccolare da una rinomata accoglienza. Ci si può concedere una piacevole sosta tra bar e storiche gelaterie o sorseggiare aperitivi godendosi il clima mite tutto l’anno ed il privilegiato paesaggio. L’arte della ricettività e della ristorazione sono tra le più diffuse, perché sono riuscite in alcuni casi a tramandare una memoria. Il Signor Emanuele “Manue”, per esempio, vanta fino dall’Ottocento, la memoria storica di Nervi nella gastronomia, grazie agli insegnamenti della nonna Angiolina che serviva anche illustri personaggi che arrivavano in carrozza proponendo una cucina semplice, genuina e tradizionale. Anche nella moda si può affermare che abiti ed accessori di classe, proposti da atelier storici, hanno valorizzato molte donne, alcune già famose e conosciute le quali hanno trovato a Nervi il proprio stile e lo hanno esportato nel Mondo. Poter abitare in una località così particolare ed unica è ancora oggi stimolante e le storiche agenzie immobiliari riescono a presentare con esperienza e professionalità proposte interessanti. Per poter godere ampiamente delle innumerevoli vetrine e scegliere con tranquillità gli acquisti, durante tutto il mese di luglio i negozi saranno aperti il giovedì sera, dopo cena, dalle ore ventuno a mezzanotte.

Sembra proprio di tornare sulle tracce di un passato dinamico e culturale, tra il brusio e l’allegria che anche la sera animava le vie di Nervi, quando si affrettava il passo, si controllava la “mise” e ci si inebriava di profumi e odori di piante secolari… la musica del palcoscenico si diffondeva nei parchi e le danze incominciavano. Avvolti e conquistati dalla lussureggiante natura, scrittori, pittori, poeti, scultori, grandi personaggi, hanno trovato ispirazione per le loro famose opere ed ancora oggi, nonostante la crisi economica e la difficoltà a promuovere ed a sostenere l’arte in genere, Nervi riesce ancora ad affermare la sua innata vocazione culturale e turistica.


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UN PROGETTO VENETO CHE PARLA ANCHE UN PO’ DI GENOVESE: LO SPONSOR È LA TECHNISUB

Gianni Risso Foto Ilva Mazzocchi e Fabio Ferioli

SI CHIAMA Y-40

LA PISCINA PIU’ PROFONDA DEL MONDO Risso luglio 2014 (3).indd 42

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Sotto il mare

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ll’inizio di giugno è entrata in piena attività a Montegrotto Terme (Padova) la piscina più profonda esistente al Mondo con un record certificato e misurato da Umberto Pelizzari della bellezza di 42 metri e 15 centimetri. L’inaugurazione, con il tradizionale taglio del nastro, si è svolta il 5 giugno presso la struttura Hotel Millepini alla presenza di molte autorità della regione e di tanti personaggi del mondo della subacquea. Dopo il taglio del nastro l’avveniristica struttura, vero vanto della tecnologia e dell’imprenditoria italiana, è stata benedetta da Monsignor Claudio Giuliadori vescovo di Macerata e grande appassionato d’immersioni subacquee. Gli invitati non subacquei hanno potuto seguire dal bellissimo tunnel Cousteau che attraversa la piscina una spettacolare esibizione dei subacquei aperta con le discese profonde di Umberto Pelizzari e della campionessa di apnea Ilaria Molinari…vestita da vera sirena. A seguire, figure ed evoluzioni mozzafiato per il piacere degli spettatori. In sostanza il complesso Y-40 ha subito dimostrato come sia possibile fare sub in condizioni veramente ottimali: acqua termale limpidissima, alla temperatura di

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32°-34°C, gradoni attrezzati per qualsiasi attività subacquea a partire da 3 e fino a 15 metri; zona con grottine artificiali per esercitazioni speleo sub, pozzo profondo 42 metri per apnea profonda e immersioni tecniche e assoluta certezza di potersi immergere in qualsiasi giorno dell’anno, giorni festivi compresi. Sabato 7 giugno c’è stata l’apertura ufficiale per il pubblico e per l’inizio delle immersioni con la partecipazione del mitico campione di apnea Enzo Maiorca e della campionessa Ilaria Molinari. Nella struttura Y-40 Hotel Millepini si fanno corsi subacquei PADI ad ogni livello fino all’istruttore e corsi di apnea con la didattica di Apnea Academy. Y-40 è stata pensata e voluta da Emanuele Boaretto e dalla sua famiglia di imprenditori del settore alberghiero, è stata realizzata nel tempo record di un anno ed è un nuovo sicuro volano per il turismo della zona e lo confermano già le molte prenotazioni giunte da gruppi di sub da tutta Italia e da molte nazioni europee. L’opera è stata finanziata da Veneto Banca. Anche se l’opera si trova nel Veneto, possiamo dire che «parla anche genovese» in quanto l’esclusivo sponsor tecnico per tutte le attrezzatura subacquee è la Technisub di Genova presente con l’ampia gamma di prodotti dei marchi del gruppo: Aqualung, Apeks, Suunto, Whites e Aqua Sphere. Durante la cerimonia di inaugurazione Marco Tallia, amministratore delegato di Techni-

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sub ,ha affermato che Y-40 è una grande opportunità per la diffusione delle attività subacquee in assoluta sicurezza e comfort e ha annunciato che nella struttura di Montegrotto si terranno due grandi eventi aziendali: a quello di settembre interverranno un centinaio di distributori provenienti da tutto il Mondo.

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In Genova Promotion

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InGenova Promotion

LE LISTE NASCITA E BATTESIMO, PER SALUTARE UNA NUOVA VITA

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ormai sempre più diffusa l’usanza delle liste nascita e delle liste battesimo, pensate per tutti coloro che vogliono festeggiare con gioia l’arrivo di una nuova vita con regali belli e soprattutto utili, senza inutili “doppioni” e permettendo ai genitori di organizzare al meglio il corredo per i più piccoli. Si tratta anche un segno dei cambiamenti attraversati dalla nostra società: molte coppie oggi scelgono di non sposarsi o comunque non celebrare un matrimonio con tanto di lista nozze, preferendo invece allestire una lista per il loro bambino o la loro bambina, magari in occasione di una bella festa di battesimo. Un modo perfetto per comunicare la propria partecipazione al lieto evento, senza correre il rischio che ci si ritrovi, ad esempio, con due seggioloni e nessun passeggino… in più, questo genere di liste è molto comodo anche per chi si trova a dover fare il regalo, che non è più costretto a “indagare” tra amici e parenti per sapere se è l’unico intenzionato a uno specifico acquisto, e magari dando un’occhiata direttamente su Internet al catalogo scelto dai genitori, in tutta tranquillità anche per chi abita lontano. Omogeneizzatori, scaldabiberon, seggioloni, seggiolini per auto, marsupio, passeggini, lettini, termometri, prodotti per l’igiene del bimbo: oggi è davvero possibile non tralasciare nessun aspetto della vita del bambino perché abbia fin da subito ogni possibile comfort.


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Dialoghi con il Professore

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GIORGIO MOISO:

ESPLOSIONE DI ENERGIA E COLORE IN MOVIMENTO UNO DEI MAGGIORI ARTISTI ITALIANI CONQUISTA LA CINA E LA COREA CON UN’ESPLOSIONE E FANTASMAGORIA DI COLORI di Diana Bacchiaz

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iorgio Moiso, piemontese trapiantato a Savona, conquista anche l’estremo Oriente con la sua esplosione di colori e con un informale estremamente dinamico: non sono opere ferme ma vere forme in movimento. È bravissimo nelle sue performance, in cui l’artista è in contatto con l’opera attraverso il corpo, in una sorta di lotta amorevole con l’opera stessa. Lui stesso afferma che Pollock è sempre di lato all’opera, mentre lui

entra col corpo dentro l’opera. Oltre ai cimenti pittorici in parallelo ha studiato musica: è infatti un valido jazzista e con la sua band si esibisce, come batterista, durante molte sue performance. La sua pittura è quella di un giovanissimo che trasmette energia all’ambiente, un folletto che dalla natura di un bosco entra sulla scena dell’arte con pennellate vigorose ed intense, gioiosamente materiche. Con uno scatenato e scanzonato senso dell’umorismo, gioca e si


Liguria artistica

In questa pagina, diverte con l’arte, in una continua performance che è la sua nella foto vita. Artista completo, vola dalla musica alla pittura, alla al centro, Giorgio ceramica, all’ideazione creativa e senza fine. La sua pratica Moiso immerso nel operativa nasce da un originale mix fra musica e pittura: colore. questa capacità di trasformare una jam session jazzistica in Nelle altre foto una “jam session pittorica” denota in modo singolarmente possiamo ammirare i originale la sua affermazione d’artista. Dei grandi pannelli meravigliosi “Tuffi di di ceramica, di suggestiva bellezza, iniziano il suo percorso Colore” . negli arcani maggiori dei Tarocchi, che svuotati dal loro ancestrale significato simbolico acquistano in Moiso la dimensione da lui voluta di superba opera d’arte, specie nei pannelli dell’”Appeso”. Queste violente esplosioni materiche sono però dense di un importante cromatismo estetico. Ad Ellera, villaggio d’arte nei pressi di Albisola, troneggia su un muro uno stupenda ceramica di Moiso di grande dimensione,150x260, che rivela in pieno la sua grande capacità artistica, documentando la carriera di questo che è stato definito“pittore in preda al colore”.

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Nella foto accanto un articolare de “L’Appeso dei Tarocchi”.

Qui sotto lo studio dell’artista.

Qui sopra: L’Imperatore

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Liguria artistica CHI È GIORGIO MOISO Giorgio Moiso nasce a Cairo Montenotte (Savona) il 13 febbraio 1942. Muove i primi passi nel mondo dell’arte grazie al pittore Carlo Leone Gallo (1875-1960) dal quale apprende le tecniche della pittura. Parallelamente, sotto la guida di Gino Bocchino, jazzman savonese, inizia lo studio della musica come batterista. Nel 1968 si diploma presso il Liceo Artistico “Arturo Martini” di Savona. In quegli anni ha avuto modo di conoscere e di far proprio lo straordinario clima di apertura avanguardista degli artisti internazionali che frequentavano negli anni ‘60 Albissola Marina (Wilfred Lam, Asger Jorn, Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Piero Manzoni, Sergio Dangelo, Agenore Fabbri, Mario Rossello). Nel 1972 viene invitato da Mario De Micheli alla mostra “Il tema dell’uomo” nel Museo della Ceramica di Albissola Marina. Sempre nello stesso anno ad Albissola apre lo studio situato nella celebre piazzetta di Pozzo Garitta accanto all’atelier che fu di Lucio Fontana. Nel 1975 è invitato alla X Quadriennale di Roma, dove presenta due opere di grandi dimensioni dedicate al tema che gli è più caro in quegli anni: l’albero. Nel 1976 prende studio a Milano dove lavora per alcuni anni. Nel 1988 incontra a Venezia Mimmo Rotella, Pierre Restany e Arnaldo Pomodoro. Nel 1998 la passione per il jazz lo porta ad una svolta decisiva nel suo lavoro: far dialogare la musica con il gesto, il segno, il colore. Il richiamo alle geniali sperimentazioni degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta - il gruppo giapponese Gutai, Mathieu, Fluxus - con l’aggiunta della matrice jazz danno vita a una miscela del tutto personale: la Live Performance Painting. Negli ultimi anni Moiso tende a privilegiare l’aspetto spettacolare della sua opera dando vita a delle live performance di successo, tra le quali ricordiamo quelle al Castello di Rivara, allo Spazio Mazzotta a Milano e alla Pinacoteca di Savona. La sua pratica operativa nasce da un originale mix fra musica e pittura e si ispira a una stagione creativa ormai quasi mitica, ma si precisa e cresce in termini di notevole attualità. È proprio questo felice connubio fra musica e pittura, questa capacità di trasformare una jam session jazzistica in una “jam session pittorica”, a caratterizzare in modo singolarmente originale la sua affermazione come artista. Nel 2009 realizza lo splendido “album” ‘Round midnight’, nel quale, attraverso 43 opere, mette in relazione i coevi movimenti artistici, bebop-pittura d’azione, cool jazz-minimalismo o cool art, free jazz-arte concettuale. Nel 2010 il più ambito riconoscimento per Moiso, l’Asian Museum of Art di Daejeon (Korea ) gli allestisce una grande mostra personale comprensiva di 11 sale espositive, “ Cosmography” sarà il titolo della mostra, della performance e del catalogo . Nel 2011, la RADO lo invita a Instanbul all’Esma Sultan Palace, dove realizza in performance un grande dipinto di 2 per 3m., su una superficie in plexiglass. Viene invitato inoltre alla 54° Biennale di Venezia Padiglione Italia-Torino. Nel 2012, la sua personale al Palazzo Ducale di Genova all’interno della rassegna “Come Quando Fuori Piove”.

Nella foto in alto a sinistra: spazialità in grigio. Al centro pagina: Moiso col grande pannello dei Tarocchi: L’Appeso

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InGenova Wine

VINI RARI E… INQUIETI A FINALBORGO UNA SCELTA INUSUALE A CA’ DI NÌ PER LA FESTA DELL’INQUIETUDINE: 5.000 BICCHIERI SERVITI TRA BIANCHI ta, rispettivamente sabato 17 dedicato ai vini bianchi rari, e E ROSSI QUASI INTROVABILI domenica 18 riservato ai vini rossi rari. Delle vere e proprie

Nella foto: il Delegato Regionale Onav Andrea Briano mentre guida la degustazione dei vini rossi rari

di Virgilio Pronzati

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a’ di Nì, splendida dimora storica all’interno delle mura medievali di Finalborgo, è stata teatro per quattro giorni (dal 15 al 18 maggio) di un esclusivo evento enoico che ha richiamato il pubblico delle grandi occasioni. Non Barolo, Brunello di Montalcino o Amarone, ma vini veramente rari e quasi introvabili, provenienti da varie regioni d’Italia. Essendo l’unica rassegna nazionale di questi tipi di vino, la partecipazione di tecnici, sommelier, onavisti ed enoappassionati ha superato le quattromila presenze. In degustazione 91 vini ottenuti da 57 diversi vitigni, prodotti da 55 aziende di quindici regioni. In testa con tredici vini il Piemonte, seguito da Friuli, Emilia Romagna e Puglia con dodici, Veneto con undici, Marche con sette, Liguria con sei, Trentino, Lombardia, Toscana e Sardegna con tre, Valle d’Aosta e Campania con due, Umbria e Calabria con uno. Oltre alle degustazioni ai banchi d’assaggio curate dai soci Onav savonesi, e altre direttamente dai produttori, si sono tenuti due laboratori di degustazione guida-

Cà de Ni: Enoappassionati al Banco d’assaggio dei vini rari

lezioni sul vino tenute dal delegato regionale Onav Andrea Briano. A parte i vini assaggiati ai banchi dei produttori, oltre 5.000 bicchieri sono stati serviti al banco curato dall’Onav. L’originale e importante evento, svoltosi in occasione della Festa dell’Inquietudine, giunto con successo alla seconda edizione, è nato lo scorso anno da un’idea del Circolo degli Inquieti, e organizzato dalla Camera di Commercio di Savona in collaborazione con l’ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino e il Comune di Finale Ligure. Allestimento e regia della quattro giorni della Oro Argento Group di Finalborgo, azienda che firma le maggiori manifestazioni culturali e gastronomiche liguri. All’inaugurazione della rassegna il Sindaco di Finale Ligure Flaminio Richeri, l’Assessore al Turismo e Cultura Nicola Viassolo, il Presidente della Camera di Commercio di Savona Luciano Pasquale e il Presidente del Circolo degli Inquieti Elio Ferraris. Quest’ultimo, ideatore e regista della Festa dell’Inquietudine giunta alla settima edizione. Iniziativa dedicata a personaggi “inquieti” italiani e stranieri che si sono distinti nei vari settori dell’arte. Tra i vini rari e inquieti non è mancato il momento musicale, con l’esibizione del pianista iraniano Ramin Bahrami, premiato nel 2013 come Inquieto dell’anno.

I VINI DA VITIGNI INQUIETI PRESENTI Albarossa • Aleatico • Arvesiniadu • Baratuciat • Barbarossa • Barsaglina • Bovale • Caprettone • Casetta • Catalanesca del Monte Somma • Centesimino • D’Alessano • Enantio • Famoso • Foglia Tonda • Fumin • Gamba Rossa • Garofanata • Grisola Gruajo • Incrocio Bruni • Lagarino • Lanzesa • Longanesi • Lumassina - Malbo Gentile • Malvasia Moscata • Mantonico • Maresco • Marzemina Bianca • Minutolo • Mornasca • Moscatello di Taggia • Nascetta • Nebbiolo di Dronero • Nera dei Baisi • Pedevenda • Pelaverga • Pelaverga Piccolo • Petit Rouge • Piculit Neri • Pignola Valtellinese • Pignolo • Quagliano • Rossese Bianco • Sciaglin • Spergola • Sussumaniello • Tazzelenghe • Tundè • Ucelut • Uva Pane • Veltliner • Verdeca • Vermentino Nero • Vernaccia Nera • Vespaiola

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Per ricordarlo al meglio, Gianni Carbone, patron dello storico ristorante Manuelina di Recco, ha istituito nel 2012 un premio annuale dedicato a U Professu Giovanni Rebora, ideato nell’occasione di un pranzo nel suo ristorante, con l’incontro di Federico Rebora (figlio del compianto Giovanni) con gli amici Gloria (figlia di Gianni) e Paolo suo marito. Un riconoscimento di un testo sulla civiltà della tavola che si avvicini alla “maniera di pensare” di Rebora, in linea con il “pensiero storico-gastronomico” della famiglia Carbone. Archiviate le prime due edizioni, questa del 2014, ha un motivo internazionale. Come da regolamento, il Premio Rebora è composto da tre Sezioni: Autori, Giovani ricercatori e Alla Carriera. Per la sezione Autori il premio è andato all’inglese John Dickie con l’opera “Con gusto. Storia degli italiani a tavola” (Laterza Editori). Uno studio sulla gastronomia e sugli italiani a tavola, toccando regione per regione. Una fedele realtà vista da un cronista del gusto. «Dagli studi di Giovanni Rebora - dice Dickie - ho ricavato l’essenza del mio libro. Da li la scoperta dell’origini dei “mangiari”. La cucina italiana nasce nelle città e non nelle campagne. Quella raffinata è nata nelle classi dominanti e consumata

ALLA “MANUELINA” RICORDANDO REBORA PROFESSU GIOVANNI REBORA. FRA I VINCITORI JOHN DICKIE CON IL SUO «CON GUSTO. STORIA DEGLI ITALIANI A TAVOLA» di Virgilio Pronzati

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hi ha conosciuto u Professu Giovanni Rebora ne ricorda l’enorme conoscenza, la schiettezza, la simpatia e la semplicità. Per anni fu professore di Storia economica e di Storia agraria medievale e direttore del dipartimento di Storia moderna e contemporanea dell’Università di Genova. Per i suoi allievi è stato quasi un padre. Brillante relatore sulla storia dell’alimentazione in numerosi convegni, seminari e manifestazioni tenutisi in tutta Europa, nonché autore di numerose e fondamentali opere - saggi e libri - di storia della gastronomia. Benché fosse considerato nel settore tra i maggiori esperti di livello internazionale, spesso si rendeva disponibile anche per eventi minori o più modesti. Mancò all’affetto dei suoi cari e degli amici il 22 ottobre 2007.

nelle famiglie abbienti. Senza la conoscenza del cuoco e degli attrezzi, la quasi totalità dei piatti non sarebbero nati. Ma ancor più interessanti sono i personaggi che hanno creato i piatti, chi li ha mangiati e chi ne ha parlato e scritto». Il premio dedicato ai Giovani ricercatori (da sempre nelle attenzioni e nel cuore di Rebora), è stato assegnato ad Alice Montarotti con l’opera “Analisi dell’alimentazione tradizionale contadina e delle pratiche della medicina popolare della metà del secolo scorso a San Salvatore Monferrato, in raffronto alla letteratura scientifica medica e nutrizionale contemporanea” (Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo). Per il premio alla Carriera, l’ambito riconoscimento è stato assegnato al professor Giovanni Ballarini: attuale presidente dell’Accademia Italiana della

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Cucina, già professore dell’Università di Parma, nonché illustre membro di commissioni scientifiche italiane ed europee. Tra le sue importanti ricerche, quelle sulla sicurezza e della qualità alimentare, sugli aspetti antropologici dell’alimentazione umana, in particolare nella società, nell’economia e nella salute. Temi di cui ha realizzato quasi trecento pubblicazioni e oltre trenta libri. Per la cerimonia di proclamazione e premiazione dei vincitori, tenutasi lo scorso 12 maggio, la sede non poteva che essere il Ristorante “Manuelina”. Per l’occasione Gianni Carbone ha fatto come sempre le cose al meglio, nel corso di un’esclusiva e golosa serata con circa 200 eletti invitati e golosità ispirate al premio e preparati da tre grandi chef: lo stellato Filippo Chiappini Dattilo dell’Antica Osteria del Teatro di Piacenza, Luisa e Franco Casella della Locanda dei Beccaria di Montù Beccaria e Marco Pernati del “Manuelina” con tutta la sua brigata. Ecco il menu: Benvenuto col Franciacorta Brut Villa Crespia Numero Zero sposato a irrinunciabili leccornie (ricciola marinata, salumi pregiati e tante altre) preparate e servite dai selezionati fornitori del Manuelina. la Trota della Val d’Aveto con asparagi piacentini all’orientale, la Focaccia di Recco col formaggio. Di seguito: Hamburgher mediterraneo di ricciola con melanzane e finto ketchup abbinato al Lumassina Acerbina 2013 di Terre Rosse, Risotto con pasta di salame, fagioli e Barbera del Professore accompagnato col Barbera d’Asti Il Professore 2012 di Franco Roero. Dulcis in fundo con Budino cacao e prescinseua con composta allo Sciacchetrà e biscotto alle arachidi. La serata, dopo gli applauditi interventi di Federico Rebora, Paolo Povero e Paolo Lingua, è stata siglata dalla premiazione del patron del Manuelina: Giovanni Ballarini ha consegnato a Gianni Carbone la medaglia dell’Accademia Italiana della Cucina, per l’appassionata e professionale valorizzazione della cucina italiana e delle sue tradizioni. Significativo il patrocinio all’evento di Regione Liguria, Comune di Recco e della Camera di Commercio di Genova. Mentre per la collaborazione: Selecta, Villa Crespia, Franco Roero e Vladimiro Galluzzo.

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ristorguida Ristorante Officina Di Cucina

al pepe rosa e curry, fiammate al cognac”, “Il filetto di maialino in camicia di melenzane e semi di sesamo” e i dessert, “Il piccolo zuccotzuccot to farcito al torroncino e glassato con crema al pistacchio”, “La bavarese alla vaniglia Bourbon con gelatina di brachetto e frutti di bosco”. La carta dei vini non è ampissima, ma selezionata. Orario a pranzo e cena Lun. Mar. 12:00/15:00 - Cena su prenotazione Mer. Sab. 12:00/15:00 - 19:00/24:00 Domenica chiuso.

“Officina Di Cucina” è un piccolo ristorante situato nella blasonata Via Colombo, al civico 17r, nel quartiere di Brignole. A pochi passi dell’omonima stazione ferroviaria e di alcuni dei migliori alberghi della città. Quando entrerete in questo ristorantino, vi salsal ta immediatamente all’occhio il colore bianco che domina nelle sale, spezzato poi dal variegavariega to colore delle sedie e della mise, quasi tutto in stile Shabby. Ad accogliervi troverete la famifami glia De Chiara, con Leopoldo, lo “Chef Patron” di origini campane e la moglie Tatiana, ucraina di nazionalità, ma di adozione napoletana, che con la loro simpatia e professionalità vi mettemette ranno a vostro agio. Una volta seduti a tavola, finalmente potrete assaggiare una cucina tipitipi camente di impronta mediterranea. Leopoldo si dedica anima e cuore ai suoi piatti, mescolando le sue origini campane a quanto di buono ha imparato girando per le cucine italiane. Alcune delle proposte sono “Le pettole di semola rimarima cinata con vongole veraci e ceci”, “I panciotti di pasta fillo farciti di baccalà mantecato con pomodorini Pachino”, “I paccheri trafilati al bronzo alla Cappuccina”, “Le code di gamberi

Via Colombo, 17r - Genova, Italia Tel. 0105536994 cell. 3392891053 info@officinadicucina.it www.officinadicucina.it

La Berlocca Piacere per il palato: cucina creativa e ambiente suggestivo per un’esperienza polisensoriale unica!

Già, perchè il generale corso occupò la Liguria e l’Emilia e il 22 marzo 1797 le sue truppe si spinsero fino in Val di Fiemme. Quel giorno, proprio a Predazzo, il Regolano versò la taglia imposta alla Regola dagli invasori francesi. L’esercito era chiamato alla distribuzione del rancio dal rullio di un tamburo, in francese “le berloque”. Questa abitudine ha lasciato traccia in tutti e tre i dialetti. In Liguria “a berlocca” è l’ora del pranzo dei marinai a bordo e degli operai dei cantieri navali; in Emilia “berloca” indica il papa sto, il desinare; in Val di Fiemme “as na berlocberloc ca” vuol dire avere una gran fame.Ecco nata la nostra Berlocca. Le origini familiari e l’amore per le nostre terre hanno guidato anche la scelta dei piatti che vi proponiamo in carta. Se avrete voglia di seguirci, potrete fare con noi un viaggio gastronomico molto interessante poichè i prodotti provengono prevalentemente da “filiera corta” in autoproduzione. C’è un rarissimo forno a legna, perfettamente funzionante, che rende spettacolare la saletta e tutto il locale. Tutti gli ambienti sono climatizzati. Chiuso il lunedì e la domenica sera. Via dei Macelli di Soziglia, 45, 16123 Genova tel 010 7963333

Consultando i testi di storia e di storia della gaga stronomia, abbiamo trovato questo elemento: Napoleone.


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I SEGRETI DEI DENTI TUTTO SU QUESTI STRUMENTI PREZIOSI MA DA TENERE SOTTO CONTROLLO COSTANTEMENTE

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denti sono organi durissimi, che si trovano all’interno del cavo orale di molti animali. Spesso si indicano come denti quelli dei vertebrati. La funzione primaria dell’insieme dei denti (la dentatura) è quella della presa del cibo. In genere, nei mammiferi i denti assolvono anche alla funzione della masticazione del cibo. Oltre a queste basilari funzioni, possono assolvere alla difesa, ed accessoriamente alla fonetica ed estetica. Nei mammiferi le radici dei denti sono coperte dalle gengive. Il processo di formazione dei denti è chiamato odontogenesi ed inizia in fasi piuttosto precoci successive al concepimento. Nella bocca esistono diversi gruppi di denti, variabili per

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forma, dimensione e funzione. Nei mammiferi e nell’uomo, si distinguono gli incisivi, i canini, i premolari e i molari. Durante la crescita, l’uomo sviluppa due dentizioni. La prima in ordine temporale è rappresentata dai denti di latte, o temporanei o caduchi o ancora decidui, che cominciano a spuntare in genere verso il sesto mese di vita. All’età di due anni, di solito, un bambino ha venti denti. La dentizione decidua è composta, per ogni arcata dentale, da 4 incisivi (2 mediali e 2 laterali), 2 canini (rispettivamente 1 nell’emiarcata di sinistra e 1 in quella di destra) e 4 molari (2 per ogni emiarcata e, rispettivamente denominati 1º e 2º molare). I premolari sono assenti nella dentizione decidua o di latte. La seconda dentizione è composta dai denti permanenti. Il germe dentario, da cui si sviluppano i denti permanenti, è presente all’interno dell’osso alveolare. Quando il bambino ha circa sei anni, i denti permanenti cominciano a svilupparsi e la radice del dente deciduo viene erosa dagli odontoblasti, non avendo supporto, il deciduo cade, venendo rimpiazzato dal permanente. Questo processo dura per sei anni (si continua fino circa ai vent’anni solo per i “denti del giudizio” (terzi molari) ed al suo termine l’uomo adulto è provvisto di trentadue denti. L’uomo possiede, per ogni semiarcata (metà di una arcata dentale): 2 incisivi (1 mediale e 1 laterale), 1 canino, 2 premolari (chiamati primo e secondo premolare) e 3 molari (chiamati rispettivamente primo, secondo e terzo molare, di cui il terzo è anche chiamato dente del giudizio). Moltiplicando per 4 ciascuno di questi numeri, poiché due sono le metà arcate e le arcate stesse sono 2 (una mascellare e una mandibolare), si avranno: 8 incisivi, 4 canini, 8 premolari e 12 molari. Sommando questi numeri, si ottengono in totale i 32 denti propri dell’uomo adulto. Nella dentizione permanente il terzo molare, il dente del giudizio, può essere assente, anche in tutte le semiarcate.

IL DENTE DEL GIUDIZIO Per denti del giudizio si intendono quattro denti molari (terzo molare inferiore, terzo molare superiore, rispettivamente a destra e a sinistra) che, occupando l’ultima e quindi più interna posizione nell’arco dentale, sono chiamati anche ottavi. La dicitura dente del giudizio, presente in innumerevoli lingue (dal latino dens sapientiae), è dovuta al fatto che generalmente compaiono tra i 17º ed i 25º anno di età. Possono essere anche più di quattro oppure di meno, rispettivamente in caso di iperdentia o ipodontia.Spesso accade che un dente del giudizio manchi di spuntare, rimanendo dunque incluso (quando il germe dentale si trova completamente coperto dalla gengiva) oppure semincluso (quando è in parte visibile). La mancata eruzione (“crescita”) può essere dovuta a due fattori: data la conformazione della mandibola e della mascella, è possibile che al dente manchi il posto per erompere (spuntare); oppure l’asse di crescita del dente non è orientato correttamente. Nei casi più complicati, può darsi che il dente cresca in direzione orizzontale, eventualmente facendo pressione sul secondo molare. Un dente del giudizio cresciuto imperfettamente rischia di causare delle patologie come ad esempio la cisti, la pericoronite, la carie e l’ascesso.


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NELLA LOTTA TRA TE E IL MONDO, ASSECONDA IL MONDO LA FILOSOFIA DEI FRATELLI COEN IN UN PERCORSO TRA TRE DEI LORO FILM PIÙ SIGNIFICATIVI, «L’UOMO CHE NON C’ERA», «A SERIOUS MAN» E «A PROPOSITO DI DAVIS» di Nicolò Metti

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aramente capita di incontrare, nella storia del cinema e della filosofia, un pessimismo esistenziale dotato di così numerose, luminose e variegate sfaccettature. Il pensiero, che si traduce nel cinema, dei fratelli Coen sembra ottimamente condensato in questo aforisma kafkiano. Nonostante uno dei loro principali pregi sia la capacità di intersecare semplicità concettuale e perspicacia filosofico/sociale, è difficile riassumere la profondità dei loro ragionamenti in un libro, tantomeno in una serie di articoli. Inoltre, come mette splendidamente in evidenza il libro di Agostinelli sul mondo coeniano, è impossibile definire in maniera dettagliata il nucleo del pensiero dei due fratelli. Si tratta, piuttosto, di un approccio, un modus operandi, una tendenza che fonda e governa ogni loro prodotto, in ognuno dei dettagliatissimi frammenti di cui solitamente è composto. Colpiscono duro, sorridendo e facendo sorridere, ma non permettono mai che lo spettatore si dimentichi del livido generato da un impatto così veemente con la real-

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Cinema tà. Per quanto non sempre fedele ai canoni originali del realismo, la loro maniera di guardare ai fatti (oltre alla loro frequente intenzione di utilizzarli come fondamento della narrazione) resta spuria, genuina e, a tratti, cruda. Il loro stile, però, resta difficilmente relegabile in stabili etichette storico-tematiche. L’unico regista a cui possono essere accostati, per metodo di produzione più che per contenuti trattati, è Hitchcock: con il grande maestro condividono l’uso costante dello storyboard e la persistente concettualità di ogni evento, personaggio, oggetto che si avvicenda sullo schermo. Qui verranno prese in esame le pellicole coeniane che maggiormente simboleggiano la loro posizione filosofica, piuttosto che la loro tecnica di scrittura e regia; più precisamente, intraprendendo un piccolo percorso attraverso tre lungometraggi in grado di rappresentare il loro rapporto con l’esistenza, con la società e con l’arte (rispettivamente L’uomo che non c’era, A serious man e l’ultima opera A proposito di Davis, anche se si tratta di tematiche interdipendenti e rintracciabili nella maggior parte di loro lavori). Anche Fargo e Non è un paese per vecchi contengono notevoli spunti filosofici, maggiormente incentrati sul tema del male e delle sue cause, argomento ancor più ostico da sintetizzare e in parte estraneo ai fini generali e introduttivi di questi paragrafi. Pare opportuno fornire i binari generali su cui imposto il confronto fra le tre opere. E’ interessante notare le forme e i modi con cui certe caratteristiche si ripropongono e certe altre mutano, pellicola dopo pellicola. Ad esempio i Coen spesso alternano, ribaltano e rivalutano generi letterari e cinematografici ma mantengono sempre una netta tendenza al noir e al grottesco, elementi riscontrabili anche nelle storie e negli eventi apparentemente meno adatti (dal noir classico de L’uomo che non c’era si può giungere fino a isolati episodi di contrastante violenza presenti in lavori più recenti). Una caratteristica in cui, invece, i fratelli sembrano evolversi e mutare è riscontrabile nel topos del “perdente”; il loro tipico protagonista, nonostante spesso finisca appunto per “perdere”, quasi mai arriva alla sconfitta nello stesso modo e con le stesse responsabilità. Uno dei primi “eroi” coeniani che sono comparsi in sala era il Drugo de Il grande Lebowski, uno degli ultimi è Larry Gopnick di A serious man; c’è un evidente incolmabile distanza tra la psicologia di questi due personaggi: nonostante la condizione esistenziale in cui albergano sia molto più simile di quanto sembra. Da una parte vi è la beata ignoranza e dall’altra il cruccio dello scienziato/matematico. Questo cambiamento nel modo in cui i protagonisti coeniani gestiscono le vicende quasi mai fortunose che capitano rispecchia un certo acuirsi del pessimismo esistenziale che da sempre li caratterizza («nei primi film sconfinavamo nel pessimismo, oggi - vivendo in un America sempre più incerta e piena di dubbi - è lucidamente amara» hanno dichiarato in un’intervista a Cannes), oltre ad una comparsa di qualche nota malinconica un tempo davvero insolita per la loro produzione (ne rappresenta l’effige L’uomo che non c’era, il ritorno A proposito di Davis). Ciò che sicuramente compare all’improvviso nella loro ultima opera è una condanna e una responsabilizzazione del soggetto protagonista per gli errori che commette; non si tratta più di un personaggio passivo, vittima di avvenimenti sfortunati, ma di un uomo che sbaglia, che ha colpa, che si procaccia il suo destino nonostante subisca anch’esso il peso di questioni esistenziali, ineludibili nell’ottica coeniana. Concludendo, ciò che stilisticamente permane è costituito da una paradigmatica attenzione maniacale alla portata semantica di ogni particolare presente in ogni fotogramma,

interconnessa con un’enorme capacità di sintesi, sveltezza e ritmo nella narrazione, arma principale di chi come loro intende costruire i posti narrati tramite i personaggi che li abitano e le relazioni tra di essi (l’importanza della componente umana è sempre costante, a volte isolato addirittura dal luogo stesso, come nel caso di Fargo). I Coen parlano tantissimo senza mai sentire il bisogno di allungare eccessivamente la durata della proiezione; continuamente, lo spettatore assiste ad elementi pregni di significato, molto somiglianti a mani che i due fratelli ci porgono per accompagnarci verso riflessioni così profonde da risultare paradossalmente sia inarrivabili che alla portata della quotidianità di chiunque.

L’UOMO CHE NON C’ERA «Lavoravo in una bottega di barbiere. Ma non mi sono mai considerato un barbiere». La prima frase che la voce fuoricampo del protagonista proferisce svela immediatamente la sua reticenza verso i costrittivi e scomodi limiti imposti dal “posto nel mondo” che ci assegniamo o ci assegnano. Ed Crane è convinto che l’etichetta nasconda e annienti il contenuto; non riesce, però, a trovare il tempo e la forza di precisare quale fosse il suo personale contenuto così drasticamente oppresso. Una vita ormai assuefatta dalla routine lavorativa va in frantumi come il vetro dell’ufficio di “Big Dave”, amante della moglie, assassinato da Ed per legittima difesa. «Che razza di uomo sei?», incalza spesso il cognato padrone della bottega; Ed non è sicuro di saperlo, poiché non è sicuro di avere dimestichezza con i termini tramite i quali solitamente ci definiamo a vicenda. Egli è un entità spettrale, un ospite del lungometraggio sulla sua vita tanto curioso quanto passivo. Ed Crane odia profondamente i fotogrammi che stanno tentando di incatenare il dinamismo che caratterizza (o dovrebbe caratterizzare) la sua esistenza. Nonostante un’immagine di sé stesso molto confusa e profondamente irrealizzata, Ed vorrebbe sbraitare le sue necessità di libertà e autonomia ma non esce neanche un filo di voce. Gli inutili colpi di coda della passione per il pianoforte e dell’investimento-truffa sono solo il vano tentativo di ravvivare il fuoco, soffiando su ceneri già spente: insieme alle vicende giudiziarie, sono gli episodi che maggiormente gli annebbiano la vista, che maggiormente lo convincono (forse, gli fanno sperare) che la sua ubicazione

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in questo mondo davvero non esista. Una volta finito sulla sedia elettrica, il suo ultimo timido pensiero si volge ad un aldilà metafisico e, per la prima volta nel film, il suo tono risulta leggermente meno opaco, come se avesse compreso solo al termine della sua vita la beatitudine di un illusione che prima non si era mai concretamente auto-inflitto, osservando la religione esattamente con lo stesso atteggiamento contemplativo e distaccato con cui osservava tutto. Joel e Ethan Coen sfogano veementemente il proprio pessimismo esistenziale, sfruttando ampliamente le potenzialità di un bianco e nero noir che mai si sono concessi in maniera tanto genuina. Questa generale sfiducia che contamina ogni sequenza del lungometraggio va molto vicina al nichilismo più bieco, nonostante il protagonista non venga assolutamente colpevolizzato per essere giunto a questa condizione; egli ha semplicemente rifiutato tutti quei prototipi a cui comunemente le persone si affezionano per disegnare, in maniera tanto pignola quanto inefficiente, il proprio percorso esistenziale. Ed voleva solo capire chi era veramente; così facendo, non è mai stato nulla, immettendosi in un circolo vizioso molto più grave di quanto sembri a prima vista. Il perdente coeniano, come anticipato nell’introduzione, non si procaccia quasi mai la sconfitta a cui va incontro, piuttosto sembra esserne travolto; in questo senso, i fratelli dedicano sempre particolare attenzione a suggerire alcuni responsabili sociali e culturali di questo sentimento alienante. Ad esempio, “Big Dave”, l’antagonista indiretto del barbiere dipendente Ed, è il proprietario di un centro commerciale; il protagonista è sempre surclassato da persone di ceto e anzianità maggiore, quasi simboli di una lotta conto il “potente” dal sapore vagamente riconducibile alla rivoluzione hippie (le loro colonne sonore sembrano testimoniarlo). Una delle capacità più impressionanti che i due autori testimoniano scena per scena è quella di condensare tematiche enormi in pochi e chiari simboli iper-referenziali. Questa pellicola esaspera questa abilità, risultando una costellazione di accostamenti semantici semplici e peculiari: un invito a nozze per lo spettatore che ama essere sempre narrativamente intrattenuto, anche quando la messa in scena procede a ritmi lenti. Uno degli esempi più interessanti che concretizzano questo discorso troppo astratto è situato nella prima parte di film: Ed viene trascinato dalla moglie in chiesa a giocare a tombola; la panoramica che ci mostra questa ambientazione parte da un primo piano del crocefisso che, scendendo lentamente, svela un prete e il sacchetto da cui estrae i numeri, come se l’assolutismo di un credo religioso lasciasse semanticamente spazio alla casualità sovrana. Situazione, eventi ed oggetti comuni in ottica coeniana possono assumere da un momento all’altro significati preponderanti, esprimendo in maniera tanto

meravigliosamente nitida quanto sorprendentemente sintetica il punto di vista degli autori. Il rapporto tra i Coen e i simboli trova, forse, la sua espressione maggiore in questo lungometraggio, diventando parte integrante della psicologia stessa del protagonista. Egli riscontra una certa superficialità nel modo in cui la società produce, interpreta e adotta simboli; per questo motivo, Ed prova a slegarsi da questo meccanismo che, una volta messo alla prova, rivela tutta la sua ineludibilità (il luogo semantico dove ricerca catarsi e sollievo è esattamente il tipico panorama di ogni vero avventuriero americano: l’investimento, la speranza economica, la gallina dalle uova d’oro che ben presto si mostra nella sua essenza illusoria e truffaldina). Un’immagine su tutte, però, opprime questo barbiere passivamente scalpitante: i capelli e i peli in generale. Durante tutta la durata del film si susseguono varie riproposizioni di inquadrature che si soffermano volutamente sul taglio, sulla ricrescita e sulla rasatura. Vi sono anche due momenti in cui Ed fa riferimento esplicito ad essi, nel suo soliloquio spesso squisitamente filosofico. Una frase in particolare («i capelli continuano a crescere, noi li tagliamo e li mischiamo all’immondizia») centra in pieno il contrasto principale di cui questi “oggetti di scena” sono emblemi: l’asimmetria tra l’interpretazione umana dell’esistenza e la sua reale forma. L’esempio più lampante è condensato nel gesto del cliente/truffatore che, per farsi tagliare i capelli, si solleva il parrucchino; l’artificiale spodesta il naturale e, anche quando viene escluso, mostra il nostro modo artificioso di gestire la natura delle cose (da quanto siamo intrinsecamente subdoli dei concetti che maneggiamo, tagliamo anche ciò che ha smesso di crescere). Ed ragiona molto su questo tema, dai primi momenti in cui svolge il suo frustrante lavoro nella bottega alle ultime sequenze in cui viene accompagnato e posizionato sulla sedia elettrica; anche al termine della sua vita, un ultimo sguardo vuole e deve soffermarsi sulle capigliature del “pubblico” non pagante che sta per assistere alla sua esecuzione. Con moderato sollievo, Ed è consapevole di essere prossimo ad oltrepassare questa infernale catena referenziale, dove ogni cosa si porta dietro concettualità, limitazioni, simbolismo. Quasi come se anche quest’ultimo passaggio non fosse anch’esso un icona della vita e quindi della morte, insomma dell’esistenza e della sua inarrestabilità. L’ultimo canonico passo che il suo percorso deve compiere rappresenta la sua uscita di prigione e la sua caduta nel dirupo. Nella morte, egli si slega e si lega contemporaneamente alla vita, più precisamente alla vita concettualizzata dall’uomo, in cui non trova spazio né la concretezza di una lacrima sul suo volto né la leggerezza di un sorriso sulle sue labbra, piuttosto una fioca malriposta speranza nella presenza (guarda caso, simbolica) di una via d’uscita da queste sbarre artificiali e superficiali che chiamiamo a volte società, a volte esistenza.

A SERIOUS MAN La moglie lo invita ad andarsene dalla sua stessa casa, poiché ne vuole usufruire più comodamente con l’amante. Le relazioni con i figli sono ridotte alle richieste di denaro e alla manutenzione dell’antenna televisiva. Il suo posto da professore di matematica è seriamente a rischio; nel frattempo, uno studente cinese cerca di corromperlo per migliorare un voto, mentre il padre lo minaccia di denunciarlo per diffamazione se spiffera della tentata “mazzetta”. Qualsiasi relazione con amici o con il vicinato è conflittuale e la sua paradigmatica educazione contrasta talmente tanto con le reazioni esterne a cui corrisponde da risultare

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Cinema quasi sottomissione nei confronti dei suoi interlocutori. Larry Gopnik, la rettitudine fatta matematico, si trova la vita improvvisamente capovolta rispetto all’immagine che ne aveva sempre avuto. Egli guadagna una posizione particolare all’interno della carrellata di perdenti coeniani, condensando alcuni tratti autobiografici che influiscono su ogni produzione dei Coen: rappresenta l’esatto punto medio tra religione (è ebreo, esattamente come l’educazione ricevuta dai due fratelli), scienza (è professore, proprio come i genitori dei due fratelli) e cinismo (non accetta risposte metafisiche, come sicuramente non le hanno mai accettate John e Ethan). La sua ricerca di “risposte” caratterizza tutto il lungometraggio, così come il suo continuo scagionarsi da colpe che non riesce nemmeno a identificare. «Io non ho fatto niente» è la frase che Larry ripete più frequentemente; in realtà, passa da toni genuini a tendenze auto-accusatorie. La passività sembra essere il suo principale difetto; quando gli eventi lo portano a dover togliersi le catene sociali che gli permettevano di concettualizzare la sua vita come normale (in realtà, molto spesso ripete di non aver mai saputo cosa fosse realmente la sua stessa vita), egli rimane fermo, continua a meditare e ricercare soluzioni nell’astrattismo delle icone che governano le nostre speranze (religione e scienza). Nonostante si renda conto delle crepe che costellano l’apparentemente solido fondamento etico costituito dal trittico religione/scienza/moralità, Larry ha il principale difetto di ricercare la soluzione ai suoi problemi all’interno delle stesse cause che li hanno generati, ovvero all’interno di questioni metafisiche, aprioristiche o, nel caso scientifico, metodologiche. Di fronte agli avvenimenti che sballottano la sua esistenza, egli rimane sul tetto di casa sua a pensare, ad aggiustare l’antenna e ad osservare le attività del vicinato. Il pessimismo coeniano si avventa sulla società, scientifica o religiosa che sia, portando a giudizi molto profondi nonostante i toni più leggeri e folcloristici rispetto al passato. Estraendone alcune figure e situazioni (forse eccessivamente) prototipicali, i Coen si propongono di narrarci le contraddizioni in primis della moralità sociale, in secondo luogo delle scienze “dure” post-fisica quantistica. L’aver utilizzato due perni così apparentemente distanti costituisce, a mio modo di vedere, uno dei principali meriti da riconoscere alla quantità ed alla qualità del contenuto di quest’opera. In realtà, la narrazione non si incentra solo su questo paragone e include molti esempi di pura critica sociale, più precisamente rivolta al ruolo contemporaneo dell’individuo all’interno della massa; tuttavia, risulta molto apprezzabile il parallelismo, per quanto accennato, con alcuni problemi scientifici sorti in tempi relativamente recenti, su tutti il principio di indeterminazione di Heinsenberg (già accennato, a dire il vero, in “L’uomo che non c’era”). L’insolubilità dei dubbi morali di Larry viene paragonata alla problematicità di alcune spinose questioni micro-fisiche, senza mai lasciare che quest’ultime risultino invadenti. Non solo viene negato a Larry ogni vacuo appiglio etico, egli deve anche assistere al crollo dell’antropocentrismo scientifico, “dio degli atei”, ancora incerto se attribuire l’indeterminatezza di alcune osservazioni a limiti epistemici umani oppure alla natura delle cose. <Accetta il mistero> è l’invito che il padre dello studente cinese gli porge, a proposito del bivio apparentemente necessario tra l’essere corrotto e l’essere denunciato per diffamazione. Quest’ultimo caso è uno dei migliori esempi del meraviglioso ponte che i due fratelli magistralmente costruiscono per portare ora questioni scientifiche nella società, ora questioni sociologiche nella scienza.

In mezzo a rabbini poco eloquenti, vicini arroganti, famigliari sanguisughe, due personaggi si caricano sulle spalle un peso semantico sicuramente maggiore rispetto al contorno del protagonista. Il primo caso è il fratello “scemo” Arthur, che tanto handicappato non sembra quando vince un ingente somma a carte tramite le sue conoscenze matematiche. Nel momento in cui viene minacciato con l’arresto a causa dell’illegalità dei suoi metodi vincenti, egli non sopporta l’idea di non poter giocare più al suo gioco preferito, l’unica cosa che gli interessava veramente (regalava i soldi vinti). Larry cerca di consolarlo, nella triste piscina vuota del Motel dove adesso abitano; la risposta di Arthur è quasi scontata per chi ha confidenza con il modo di pensare coeniano: «A me Hashem non ha dato niente! Guarda tutto quello che Hashem ha dato a te!». La sua figura è un emblema di una capacità straordinaria con cui i due registi sono soliti deliziarci: come Fontana usava fare con le sue tele, i Coen prima mostrano, poi squarciano i parametri moralmente ovattati con cui la società determina il posto nel mondo di ogni persona; essi hanno l’inimitabile abilità di essere dentro e contemporaneamente fuori dalla propria storia, senza mai farsi sfuggire nemmeno uno dei lati delle molteplici medaglie descritte. Come dei fenomenali burattinai, i due geni registici prima ti convincono dello status concettuale di alcuni fatti, poi aggiungono un punto esterno al ragionamento che porta ad un’integrale rivalutazione dei medesimi avvenimenti, attuando una rivoluzione concettuale tanto potente quanto sotto controllo. Concludendo, l’altro personaggio che ispira di per sé una riflessione è il figlio di Larry, Danny Gopnik: un ragazzo superficiale, le cui uniche attività sono ascoltare musica, fumare erba e guardare la televisione; forse, però, è proprio nell’essenzialità delle sue giornate che i Coen, con una mossa mai eseguita prima, provano a fornire una vita d’uscita. Il nichilismo in cui giace il ragazzo non è di certo ben visto dai due registi, ma comparato all’artificiosità dei perni che regimentano le vite degli adulti ne esce pieno vincitore. Il tornando finale è uno dei simboli più potenti narrati dalla pellicola: il montaggio alternato finale suggerisce la correlazione semantica tra il cambio di voto di Larry, emblema della corruzione e della distruzione dei confini etici fino a quel momento perseguiti , e l’evento atmosferico. Il tornado avanza, la città si nasconde nei rifugi, solo alcuni ragazzi rimangono fuori ad osservare l’approssimarsi del grande cono rovesciato; Danny nota che una bandiera americana finirà per essere strappata e che, di fronte ad un ciclone, non può più avere importanza il suo debito con uno spacciatore. Più genericamente, il tornado dell’amoralità non crea nessun pericolo per dei ragazzi che nell’uni-

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verso morale non ci hanno mai messo piede. Larry finisce nell’occhio del ciclone poichè ha utilizzato il vento per tentare di uscire da un tornado; l’universo di Danny appare più innocuo, come un territorio lunare dove l’assenza di gravità e di ostacoli impedisce l’interrompersi di un percorso esistenziale caratterizzato da dinamismo, continuità e repulsione a limitazioni intrinseche. I Coen ci avvisano subito, fin dalla citazione con cui inizia il prologo: «Accogli con semplicità qualsiasi cosa ti accada». Siamo di fronte ad una catastrofe fittizia, possibile solo nei luoghi dove la società ha edificato qualche struttura etico-morale da spazzare via, rinunciando alla suddetta simplicitas.

A PROPOSITO DI DAVIS «Tu ci pensi mai al futuro in generale?» «Al futuro? ... Tipo le macchine volanti e gli alberghi sulla luna..?». Un vagabondare artistico senza tempo, tantomeno futuro. Una voce calda in contrasto con il gelido inverno che si abbatte su New York e sul suo prestante fisico, orfano di un altrettanto prestante cappotto. Dita agili che arpeggiano una chitarra, facendo vibrare l’unica cosa su cui sembrano aver potere. Llewyn Davis, gallese, musicista folk, si smarrisce nelle note di uno spartito che non ha mai voluto imparare a leggere. Guardando il mondo, disattento al suo roco richiamo, egli è presuntuosamente convinto di fare vera musica d’autore, a differenza sostanzialmente di chiunque altro. Le sue esibizioni colpiscono nel profondo, così come la sua negligenza e superficialità. Sembra che il suo indubbio talento lo porti ad auto-giustificarsi, a non andare incontro al

mondo ma aspettarlo, divincolandosi tra l’ospitalità del divano di un amico e la rincorsa di un gatto arancione come il tramonto. Llewyn è convinto di avere grandi capacità, così come è convinto di non interessare all’ambiente commerciale della musica. Egli, dall’alto del suo piedistallo, fa tutto da solo: si incatena gettandosi addosso un destino da musicista e, successivamente, sembra scagionarsi con la stupidità del pubblico medio e la poca attenzione della critica all’intensità della sua espressione artistica. <Qua non vedo soldi> è la risposta di uno dei maggiori produttori musicali di Chicago; questa è esattamente la frase che si aspettava, anzi, che quasi pretendeva di sentirsi dire, mostrando in un attimo l’essenza del suo personaggio. Il pessimismo coeniano cambia, in quest’opera, decisamente rotta, sconfinando il tipico panorama grottesco verso lidi senza dubbio più malinconici. Il ritmo si abbassa, il numero di eventi proposti diminuisce, al fine di enucleare tutta la piattezza che caratterizza la vita di un artista maledetto, per di più se si è auto-inflitto la maledizione. E’ sempre interessante osservare come i due registi siano in grado di attirare l’attenzione verso tutte le sfaccettature della questione che stanno narrando: dietro a questo eccesivo ego del protagonista, dietro la sua reticenza ad edulcorare la sua vena artistica in modo da renderla più fruibile, vi è una forte denuncia sociale, più precisamente nei confronti dell’evidente impermeabilità di quell’ambiente che, nella musica e nell’arte in generale, governa le tendenze commerciali muovendo capitali in direzioni spesso opposte all’originalità, al pathos e all’innovazione. Llewyn è proposto come un personaggio con innumerevoli difetti, in cui senza dubbio non è, però, inclusa la sua ferma volontà di continuare a cantare, invece che iniziare a riprodurre ciò che la massa vuole ascoltare (o che i produttori utilizzano come pasto “garantito” per un pubblico che potrebbe anche essere affamato di pietanze più sostanziose). Llewyn non vuole esibirsi ma esprimersi, non si sente un’attrazione da esporre, ciò che cerca è un contatto più intimo che sicuramente lo spettatore del lungometraggio intrattiene durante la pellicola. La sua gestione dell’ambiente circostante non deve cancellare il profondo rispetto che i Coen dimostrano di nutrire per la vera arte, l’arte diretta, spuria da secondi fini commerciali, genuina nella forma e nei contenuti. Il protagonista sembra inscenare, piuttosto che vivere, uno svogliato inseguimento al denaro, al successo ed alla sorte. La sua principale caratteristica è anche il maggior distacco tra Llewyn e altri personaggi coeniani: la costrittiva passività lascia in parte spazio alla consapevole pigrizia, il destino funesto viene soverchiato dai frettolosi e numerosi errori. Se Ed Crane si dannava nel silenzio e Larry Gopnik nella ricerca, Llewyn Davis è conscio della peculiarità intrinseca alla sua personalità: la capacità, quasi l’abilità, di sbagliare. Siamo di fronte ad un perdente che innanzitutto sa di esserlo e che, in secondo luogo, è pienamente colpevolizzato delle sue sconfitte. Come già detto, l’equilibrio tra responsabilità esterne e interne nel suo fallimento non è chiaramente delineabile ma, per la prima volta, i Coen mettono l’accento su tutte le occasioni in cui il protagonista condiziona il proprio avvenire con chiare e rintracciabili decisioni errate. Ad esempio, egli rifiuta di appropriarsi dei diritti discografici dell’unico successo a cui, casualmente, gli era capitato di partecipare (quindi, in maniera atipica per le abitudini coeniane, la sorte viene valutata anche in maniera positiva, al contrario della propensione del protagonista a non sfruttarla). Nella giungla simbolica a cui da sempre ci abituano, un segnale in particolare sembra attirare volutamente l’attenzione dello spettatore: la presenza del gatto. L’animale partecipa a quasi tutte le scene in cui

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Cinema protagonista prende una decisione infelice o contestabile, a cominciare dal momento in cui non chiude bene la porta e lo lascia uscire dalla casa in cui era ospite (dando il via al solito turbinio di eventi che avvolge il malcapitato coeniano), fino ad arrivare alla sua tutt’altro che casuale comparsa in strada, subito dopo la decisione di Llewyn di non svoltare al bivio che lo avrebbe portato dal figlio (che, peraltro, ha scoperto durante la narrazione di aver avuto a causa di una gravidanza che credeva interrotta). Llewyn si trascina dietro per gran parte del film questo paffuto e arancione simbolo della sua stessa coscienza, della sua consapevolezza di non essere eufemisticamente del tutto esente da colpe. Il modo in cui solitamente afferriamo un gatto e il modo in cui esso solitamente ci scodinzola attorno sono due dei modi in cui si mostra una delle più efficaci ed eloquenti metafore visive che i Coen ci abbiano mai offerto. Di grande interesse è, inoltre, il personaggio interpretato da John Goodman, fedelissimo collaboratore dei due fratelli. Egli rappresenta la commercialità nei suoi tratti più oscuri e cinici, oltre a condensare il lato “noir” della vicenda che si svela quando il produttore discografico viene trovato steso con la bava alla bocca in un bagno pubblico, subito dopo una dose di eroina. Si tratta di un personaggio sporco, losco, opportunista, talmente cinico da contestare pure il luogo scelto dal collega di Llewyn per suicidarsi e dividere, definitivamente, il duetto. La figura di Goodman esprime uno dei tratti più caratteristici dell’universo in cui Llewyn si trova a fluttuare; diversamente dalla solita impostazione coeniana, però, sembra essere meno accentuata la classica degenerazione progressiva degli eventi, in favore di una circolarità esistenziale tanto inquietante quanto disarmante. La prima scena del film, infatti, si riallaccia alla sua conclusione, replicando una scazzottata che il protagonista subisce fuori da un locale dove era solito esibirsi. Ciò che viene svelato durante la proiezione, però, è la causa di quella violenza: l’aggressore è il marito di una anziana arpista, la cui seppur modesta performance era stata interrotta, la sera prima, dalle grida e dagli insulti di Llewyn, come al solito ostile ad ogni forma artistica che non fosse la sua. Questo suo comportamento viene profondamente condannato dalla pellicola e, allo stesso tempo, viene proposto come leit-motiv dell’insoddisfazione tipica di un cantante folk fallito. Accentuando la suddetta alienante circolarità che caratterizza la narrazione, il lungometraggio si conclude con un primo piano del protagonista che, alzando il braccio verso il suo violento interlocutore, lo saluta e ci saluta. «Au revoir», caro pubblico e cara vita da artista, al prossimo show, alla prossima volta in cui la frustrazione prenderà il sopravvento ed il numero di opportunità svanite (o sprecate) mi impediranno di mantenere la passività ed il contegno consone ad un fallito come me che, forse, ha deciso prima di fallire, poi di cantare.

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L’arte a Staglieno Per la vastità dei suoi imponenti monumenti funebri è considerato un vero e proprio museo a cielo aperto. Le numerose statue funerarie e cappelle – opere prevalentemente di scultori genovesi – sia pure costruite in stili differenti, restituiscono all’insieme del complesso un importante valore sotto l’aspetto dell’architettura e scultura funebre. Fra gli scultori che hanno dato vita alle opere del cimitero di Staglieno vi sono, fra gli altri, Santo Varni (autore della bella statua dedicata alla Fede della Religione, alta nove metri e posta al centro del luogo di sepoltura, statua eseguita non per una tomba in particolare ma come emblematica presentazione del grandioso cimitero allo spettatore che vi accede) e Lorenzo Orengo (che scolpì la tomba dedicata a Caterina Campodonico, la famosa venditrice di noccioline). Sono poi da segnalare Augusto Rivalta (autore della tomba Piaggio), Eugenio Baroni (autore di numerose tombe di famiglia), Luigi Rovelli (che costruì la Cappella Raggio, nota anche come Duomo di Milano per la somiglianza con la cattedrale meneghina), Michele Sansebastiano (cui si devono il cippo Tagliaferro, il cippo Romanengo-Bussa e la Tomba Barbieri), Edoardo Alfieri e Norberto Montecucco. Una menzione particolare merita, infine, l’Angelo di Monteverde, opera dello scultore Giulio Monteverde che orna sontuosamente con una figura d’angelo d’inusitato fascino la tomba Oneto al Porticato superiore di ponente.

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E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora, ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio. (Tiziano Terzani)

Sede legale: Corso Europa 98 - 16132 Genova - Telefono 010 581.581

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L’idea del dr. Massimo Ladisi era quella di creare una struttura polispecialistica adibita alla chirurgia estetica. Nel 2004 nasce la medical center, il primo poliambulatorio medico dedicato alla chirurgia estetica. Grazie alla professionalità e all’esperienza di numerosi specialisti, ogni inestetismo viene trattato e valutato in equipe alla ricerca della migliore soluzione. L’attenta analisi e la volonta di capire l’esigenze del paziente è la filosofia del gruppo. Ogni richiesta viene valutata e adattata alla fisionomia della persona scegliendo le tecniche e metodologie migliori. La scelta dei trattamenti viene effettuata dal team utilizzando le più adeguate metodologie allo scopo di soddisfare eventuali richieste. La nostra filosofia si basa su poche semplici regole e sulla serietà dei nostri professionisti. IL VALORE DELL’ESPERIENZA La scelta per ogni componente del team è senza dubbio data dalla propria esperienza sul campo, oltre ad un notevole riguardo per i propri aspetti caratteriali. Lo studio personalizzato perchè ogni richiesta viene valutata e adattata alla fisionomia della persona scegliendo le tecniche e metodologie migliori. I NOSTRI TRATTAMENTI La scelta dei trattamenti viene effettuata dal team utilizzando le più adeguate metodologie allo scopo di soddisfare eventuali richieste. PRODOTTI NATURALI Molta attenzione viene fatta alla continua ricerca dei prodotti più naturali disponibili sul mercato. La scelta quindi è verso prodotti assolutamente anallergici e biocompatibili con I nostri tessuti.

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In Genova Promotion

CHIRURGIA ESTETICA:

LA MASTOPLASTICA ADDITIVA

I

l modello di bellezza femminile a cui normalmente si fa riferimento ha tra le sue caratteristiche un seno ben rappresentato,di dimensioni discrete se non rilevanti. La donna che ritiene di non corrispondere a questo “ideale” sempre più frequentemente decide di adeguare la taglia del proprio seno al volume che lei ritiene più appropriato ed attraente. Per aumentare il volume mammario sono state utilizzate diverse tecniche e materiali, dal grasso autologo all’iniezione di materiali biocompatibili, ma il metodo più sicuro ed affidabile consiste nell’utilizzo di protesi con involucro in silicone contenenti gel o liquido. Tali protesi, utilizzate sin dagli anni 60, si sono evolute nel corso degli anni e quelle attualmente in uso permettono di ottenere ottimi risultati , molto più naturali sia visivamente che alla palpazione. Gli impianti mammari sono costituiti da un involucro in silicone che contiene a sua volta gel di silicone più o meno coesivo in modo da evitare la dispersione in caso di rottura della protesi stessa. La superficie esterna dell’involucro in silicone è testurizzata, sottoposta cioè ad un trattamento che la rende ruvida al fine di prevenire la contrattura capsulare. La stessa funzione ha il rivestimento in poliuretano, che alcuni impianti possono avere. Per quanto riguarda la forma si dividono in due grandi gruppi, le rotonde e le anatomiche. Le prime sono tondeggianti e uniformemente convesse nella parte anteriore e contengono un gel morbido che ha la tendenza a spostarsi verso il basso in posizione eretta. Le anatomiche hanno un rapporto variabile tra diametro maggiore e minore, contengono un gel meno coesivo. Hanno forma ovoidale, molto simile a quella naturale della mammella. Il volume nella parte superiore è sfumato ed evita l’eccessivo riempimento del polo superiore. Entrambi i tipi, rotonde e anatomiche, sono disponibili in diversa proiezione aumentando così le possibilità di scelta dell’impianto più adatto per la singola paziente. Per inserire la protesi nella mammella si esegue una piccola incisione cutanea, in genere di 4-5 cm. La scelta della sede in cui praticare tale incisione varia da caso a caso in base alla tecnica utilizzata, al tipo di protesi e alle esigenze della paziente. L’accesso può avvenire dal solco sottomammario, dall’areola o dall’ascella. L’incisione a livello del solco viene utilizzata generalmente per l’inserimento di impianti anatomici. Permette di passare direttamente dietro al parenchima mammario senza doverlo attraversare, per cui la ghiandola non viene toccata. La cicatrice col tempo si confonde col solco stesso diventando praticamente invisibile. Nell’accesso areolare l’incisione viene collocata attorno all’areola mammaria, emiperiareolare inferiore o obliqua inferolaterale che permette un accesso diretto al bordo esterno del muscolo grande pettorale, o all’interno di essa (transareolare). Le cicatrici, grazie alla differenza di colore della cute, sono di ottima qualità e da subito quasi invisibili. Con l’accesso ascellare è possibile avere cicatrici nascoste, lontane dall’area mammaria. L’inserimento è però un po’ più difficoltoso ed in genere è preferibile utilizzare protesi rotonde se si sceglie tale via. Attraverso le incisioni cutanee si procede all’allestimento di una tasca dove viene inserita la protesi. La tasca può essere

LA MASTOPLASTICA ADDITIVA GODE ORMAI DA MOLTO TEMPO DI NOTEVOLE SUCCESSO ED È L’INTERVENTO PIÙ RICHIESTO NELL’AMBITO DELLA CHIRURGIA PLASTICA DELLA MAMMELLA. ottenuta dietro la ghiandola mammaria, posteriormente al muscolo grande pettorale, in un piano sottofasciale o in un piano misto( DualPlane). La scelta della tecnica, del tipo di protesi, della sede d’incisione e della tasca è legata alla situazione locale, alla preferenza del chirurgo ed ai desideri della paziente La mastoplastica additiva può essere eseguita sia in anestesia generale che in locale con sedazione. La durata è di circa un’ora. Viene posizionato un drenaggio che sarà rimosso la mattina dopo e la paziente potrà essere dimessa. Nei giorni successivi dovrà indossare un reggiseno moderatamente compressivo, giorno e notte per circa 2-3 settimane. Il lieve gonfiore che può essere presente si risolve nel giro di due settimane e la paziente può tornare alle sue normali attività. La mastoplastica additiva può essere eseguita a qualsiasi età dopo che le mammelle sono completamente sviluppate. Le indicazioni all’intervento sono : -ipoplasia mammaria -asimmetria mammaria -riduzione di volume dopo dimagrimento -riduzione o alterazioni di volume e forma post gravidanza Ogni anno migliaia di donne si sottopongono ad intervento di mastoplastica additiva e sono soddisfatte dei risultati. L’utilizzo di protesi mammarie è una tecnica efficace e sicura. Le numerose ricerche effettuate escludono l’esistenza di un rapporto tra impianti mammari in silicone e cancro al seno. Le allergie al silicone sono rarissime ed è questa una delle ragioni per cui si utilizza tale materiale. Le protesi mammarie inoltre non influenzano un’eventuale gravidanza o la capacità di allattare. Come tutti gli interventi però anche la mastoplastica additiva è soggetta a rischi e complicanze. La più frequente(10% circa) è la contrattura capsulare. La capsula fibrosa che normalmente l’organismo forma attorno alla protesi in questo caso è esuberante e va incontro a retrazione con incarceramento della protesi stessa, aspetto innaturale fissità e talvolta dolore.

MEDICAL CENTER Dott. Massimo Ladisi Corso Torino, 1/18 Genova Tel. 010 565546 Fax 010 565546 www.massimoladisi.it massimoladisi@gmail.com

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P O ST S CRI PTUM

NEANCHE A FARLO

apposta. Si parlava qualche mese fa del bisogno disperato di metafore nutrito da questo paese – bisogno che nella vicenda della Concordia aveva trovato uno straordinario filone ad usum di editorialisti e commentatori – ed ecco che Genova torna sulla traiettoria della gigantesca carcassa galleggiante. Stavolta c’è di che gioirne. Battuta la concorrenza della Toscana e della Turchia, sarà qui che la Concordia verrà letteralmente fatta a pezzi per recuperare metalli e materiali utili. Trabocca di nuovo, irresistibile, l’impulso lirico: Genova che per rinascere deve pascersi delle carni della nave-cadavere, mors tua, vita mea, e il viaggio che finisce proprio dove era iniziato otto anni fa. Dal punto di vista narrativo non fa una piega. Rimanendo su termini più concreti, l’operazione si preannuncia effettivamente impressionante, tanto che chi non ha il polso del porto e della sua situazione può avere l’istinto di minimizzarne la portata. E invece sono numeri importanti, soprattutto in tempi di crisi: un contratto da cento milioni di euro per il pool di imprese San Giorgio, Mariotti, Saipem, e un anno e mezzo di lavoro assicurato che arriva come un balsamo su una situazione molto, molto difficile. Un risultato talmente positivo per la città che le massime autorità coinvolte a livello locale – Burlando, Merlo, Doria – hanno fatto fatica per non lasciarsi andare a festeggiamenti a rischio di sembrare irriguardosi per una vicenda che, malgrado i contorni grotteschi che le hanno dato da subito un’aria surreale (tra le moldave imbucate sul ponte di comando e le telefonate da commedia dell’Arte) ha visto morire trentadue persone. Ma l’aria dell’evento c’era tutta, a partire da uno dei classici coup de théâtre renziani: l’sms con scritto solo “Genova” inviato al Presidente della Regione al termine del Consiglio dei Ministri che ha sancito la scelta.

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Eppure il genovese anche in questi casi è ombroso. Lo si sente sussurrare a mezza voce, anche in questi giorni di soddisfazione: quella nave prima ci deve arrivare, al porto. Non sarà facile. Cinque giorni di tragitto, duecento miglia nautiche per un percorso che partirà dal Giglio, punterà verso la Corsica, sfiorerà Giannutri e Montecristo e poi su, nel corridoio tra Capraia e il “dito” dell’isola francese. Infine dritti verso Genova – passando proprio sopra il Santuario dei Cetacei, come hanno già fatto notare imbufaliti gli ambientalisti. La proposta concorrente, quella di Piombino, avrebbe richiesto un solo giorno, anche se privati e Governo in realtà non hanno avuto dubbi sulle capacità ben superiori della Lanterna nell’amministrare un colosso del genere. Le prossime settimane saranno decisive per un trasporto delicatissimo: due rimorchiatori a prua, due a poppa, cinque mezzi navali di supporto, compreso uno con una gru che dovrà occuparsi di rimediare agli eventuali residui oleosi lasciati dal relitto. A dita incrociate tutta Italia seguirà il lentissimo ultimo viaggio del gigante di quasi trecento metri di lunghezza per trentacinque di larghezza e settanta di altezza. All’arrivo a Genova, secondo il progetto della Costa la Concordia verrà posizionata lungo la diga foranea del terminal Vte, a Voltri. Prima verranno rimossi gli arredi nei ponti ancora al di sopra della linea di galleggiamento e il materiale non ferroso (stripping), poi la nave finirà in banchina ex superbacino e infine al bacino di carenaggio numero 4, dove si compierà il suo destino: smantellamento finale e riciclaggio completo. Genova fa e disfa, e già la Cgil prospetta una nuova vocazione per la città, grazie allo sviluppo di una filiera nel settore delle demolizioni navali. Per la metafora, è vero, rimane ancora un leggero senso d’inquietudine; per i portafogli, è tutto un leccarsi le dita. Giordano Rodda giordano.rodda@gmail.com

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