Feltrino News n. 1/2020 Ottobre

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Periodico GRATUITO di Informazione, Cultura, Turismo, Spettacolo, Cronaca, Attualità, Tradizioni, Storia, Arte.

Anno 1 - N° 1 - Ottobre 2020 - Supplemento del periodico Valsugana News

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L’ editoriale di Armando Munaò

Ed “ECCOCI QUA” Periodico GRATUITO

di Informazione, Cult ura, Turismo, Spettac Cronaca, Attualità, olo, Tradizioni, Storia, Arte .

2020 - Supplemento

del periodico Valsugana

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Anno 1 - N° 1 - Ottobre

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gniqualvolta che si presenta ai lettori un nuovo giornale, nell’editoriale del primo numero, si spendono molte parole per spiegare ai lettori il perché di questo nuovo progetto e le motivazioni che ne hanno determinato la pubblicazione. La nascita di un organo d’informazione, infatti, anche se gratuito e seppur a dimensione provinciale, assume sempre un particolare significato non solo per i giornalisti che al suo interno collaborano, ma anche e principalmente per i lettori. Nel 1989, permettetemi di ricordalo, ho dato vita a “LA FINESTRA” e poi, nel 2015, ho ideato il secondo mio giornale, quel VALSUGANA NEWS, ancora in stampa e distribuzione nei Comuni del Comprensorio C3 (Bassa Valsugana e Tesino) e C4 (Alta Valsugana). E ricordo ancora bene cosa scrissi nell’ editoriale, all’inizio di quella mia prima esperienza giornalistica come direttore responsabile. Ed oggi, per presentare FELTRINO NEWS, prendo a prestito, con una punta di vera nostalgia, le parole di quel mio primo scrivere quando presentai ai lettori uno dei primissimi giornali gratuiti del Trentino. “Ed eccoci qua”, allora scrissi, a raccontare i fatti di casa nostra…E oggi, a distanza di ben trentuno anni, ripeto quelle tre parole, a me tanto care. Sì, cari lettori, “eccoci qua” ,con questo nuovo periodico, ad osservare i fatti, gli avvenimenti e tutte le problematiche che direttamente o indirettamente interessano e coinvolgono la Vallata Feltrina. “Eccoci qua” con una pubblicazione gratuita che mi auguro e spero, possa essere

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da Voi apprezzata sia per la veste grafica, sia per il formato “magazine”, ma soprattutto per i contenuti giornalistici che, nell’intento di tutta la redazione, spazieranno a 360° cercando di attirare i vostri interessi e coinvolgerVi in una lettura piacevole e rilassante. Nelle nostre pagine, infatti, scriveremo di cultura, tradizioni, interviste, inchieste, medicina e salute, alimentazione, attualità, turismo, sport, spettacolo, storia, arte, solidarietà e volontariato, non tralasciando, però, i grandi universi del commercio, industria e artigianato e tutte quelle tematiche che non di rado fungono da polo accentratore nelle quotidiane discussioni. Ampio spazio sarà anche riservato agli aspetti socioeconomici con una informazione che evidenzierà tematiche e problematiche non solo locali o regionali, ma anche nazionali e internazionali. “Eccoci qua”, care lettrici, lettori e inserzionisti, non per puntare il facile dito accusatore verso questo o quel politico che ha forse deluso le nostre aspettative, o per criticare con “faciloneria” l’operato di tizio, caio o sempronio, bensì per evidenziare i fatti del nostro quotidiano

e dare una corretta informazione e giusta narrazione degli eventi e avvenimenti, siano essi sociali o economici o di altra natura. E cercheremo di contribuire, senza presunzione di sorta, per far si che quel precipuo compito informativo sul quale poggia e si regge tutta la struttura dei mass media, possa assolvere la sua precisa funzione ed essere un “piccolo stimolo” per coloro i quali sono chiamati alla gestione del pubblico bene. Certo, qualche volta saremo anche critici e forse toccheremo la sensibilità di qualcuno, amministratore o politico che sia, ma all’occorrenza- e ne saremo ben lieti – sapremo riconoscere il merito di un costruttivo impegno, di una positiva gestione o di una qualsiasi azione portata a felice compimento e per il benessere dei cittadini. Desideriamo, e speriamo di riuscirci, fare in modo che il nostro compito si avvicini alle esigenze dei lettori ed essere per loro un punto di comunione, un momento d’incontro che nel suo piccolo raggiunga tutti i residenti per trovarsi con loro e con loro dialogare “tra amici”, di tutti quegli argomenti e tematiche che fanno parte e caratterizzano il nostro vivere. Ovviamente le pagine di FELTRINO NEWS saranno sempre aperte, e senza censura alcuna, agli ospiti, ai suggerimenti, alle libere opinioni, alle vostre lettere, ai consigli e a tutto ciò che costruttivamente potrà migliorare e rendere più completo il nostro modo di scrivere e di fare giornalismo.

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Sommario DIRETTORE RESPONSABILE Prof. Armando Munaò - 333 2815103 Email: direttore@valsugananews.com CONDIRETTORE dott. Walter Waimer Perinelli - 335 128 9186 email: wperinelli@virgilio.it REDAZIONE E COLLABORATORI dott.ssa Katia Cont (Cultura, arte, cinema e teatro) dott.ssa Elisa Corni (Turismo, storia e tradizioni). dott. Maurizio Cristini (Enologo ed esperto in giochi ed enigmistica) dott.ssa Laura Fratini (Psicologa) Veronica Gianello (Storia, arte,cultura e tradizioni) dott.ssa Francesca Gottardi (Esteri- USA) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, tradizioni,attualità) dott. Nicola Maschio (attualità, politica, inchieste) Paolo Rossetti (Attualità, inchieste) - Patrizia Rapposelli (attualità, cronaca) dott.ssa Alice Rovati (Responsabile Altroconsumo) dott. ssa Chiara Paoli (storica dell’arte - ed. museale -cultura e tradizioni) dott. Zeno Perinelli (Avvocato) dott.ssa Laura Mansini (Cultura, arte, attualità) dott. Franco Zadra (politica, attualità) dott.ssa Erica Zanghellini (Psicologa) CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott. Francesco D’Onghia - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni D’Onghia - Dott. Marco Rigo- Dott. Francesco D’Onghia RESPONSABILE PUBBLICITÀ: Gianni Bertelle Cell. 340 302 0423 - email: gianni.bertelle@gmail.com IMPAGINAZIONE E GRAFICA : Punto e Linea di Alessandro Paleari - Fonzaso (BL) Cell. 347 277 0162 - email: alexpl@libero.it

L’editoriale Sommario Da Trento a Feltre e ritorno Il personaggio: Luca Zaia Movida fuori controllo Il silenziatore della camorra Prima l’italiano Eretici trentini e Vescovi di Feltre Eleonora Duse: la Divina Preoccupante la povertà in Italia Fatti& Misfatti: Le odiose accise Le fidanzate d’Italia Economia & Finanza UNPLI, ma che bella novità

SPECIALE ELEZIONI 2020

Ottobre 2020 3 5 7 9 11 12 18 20 22 24 35 39 40 42

E’ davvero finita tre a tre? La politica nel pallone Tutti i dati elettorali Chi governa non governa I governatori eletti In filagrana: il taglio parlamentari

44 46 48 50 51 53

La Mostra di Venezia

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Conosciamo le aziende: Lattebusche Il personaggio: Federico Fellini Conosciamo Altroconsumo Tra passato e presente: la fotografia La FENADORA: gusto per le cose buone e genuine Medicina & Salute: Il rapporto di coppia Medicina & Salute: la melatonina Medicina & Salute: il ritorno a scuola

CONOSCIAMO LE AZIENDE

58 60 62 64 67 68 73 74

CENTA STUFE: le detrazioni fiscali LIO’ OCCHIALI: storia degli occhiali LOCANDA PONTE SERRA: la buona cucina FABRIZIO SARTOR e il suo “Al Tabià”

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Quattro passi in tavola La guerra della polenta Gianni Bertelle: Quattro note in cronaca Quattro passi in tavola Quattro passi in tavola Gli additivi alimentari Curiosità in tavola Sport & salute Covid e società Giocherellando

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PROPOSTA PROPOSTA33 Giovannino Guareschi: Camillo e Beppone 56 EDITORE E STAMPA GRAFICHE FUTURA SRL- Via Della Cooperazione, 33- MATTARELLO (TN) FELTRINO NEWS Supplemento al numero di ottobre di VALSUGANA NEWS Valsugana News – Registrazione del Tribunale di Trento: n° 4 del 16/04/2015. COPYRIGHT -Tutti i diritti riservati Tutti i testi, articoli, intervista, fotografie, disegni, pubblicità e quant’altro PROPOSTA 33 su FELTRINO NEWS, sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA PROPOSTA pubblicato srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore Responsabile o dell’Editore, è vietata la riproduzione e la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni pubblicitarie, per altri giornali o pubblicazioni, posso farlo richiedendo l’autorizzazione al Direttore Responsabile o all’editore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno TRATTAMENTI PER BENESSERE PSICO FISICO TRATTAMENTI PER ILIL BENESSERE PSICO FISICO prodotto in proprio le loro grafiche e quindi fatto pervenire alla redazione o all’ufficio grafico di FELTRINO NEWS, le loro pubblicità, le loro immagini, i La pena di morte Passato e presente Attenzione ai loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritnegli USA Il Palio di Feltre farmaci online to di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi +39 392209123 +39 392209123 e la propria immagine. Pag. 15 Pag. 27 Pag. 70 riceve appuntamento SiSi riceve susu appuntamento dal Lunedì Sabato dal Lunedì al al Sabato dalle ore 9.30 alle ore 19.00 dalle ore 9.30 alle ore 19.00

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Da Trento a Feltre e ritorno di Waimer Perinelli

Quando FELTRINO faceva rima con TRENTINO

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na galleria ed una super strada collegano oggi velocemente Feltre e il Feltrino alla città di Trento e il Trentino. Per quanto si possano per questo considerare più vicini i due territori sono amministrativamente molto più lontani dei tempi in cui rivoli di sentieri e stradine conducevano alla Valsugana, Tesino, Vanoi. Erano strade percorse da soldati, mercanti, vescovi e pellegrini. Nel Milleduecento era di casa Ezzelino terzo da Romano, il crudele feudatario dell’imperatore Federico secondo di Svevia, signore della Marca Trevigiana, di Padova,Verona,Vicenza e Trento. Dopo di lui la dinastia vicentina dei Siccone conquistatori di Caldonazzo con le vie di accesso agli altipiani di Asiago e sia pure per poco tempo signori del Tesino il cui territorio si confondeva all’epoca con il Feltrino con il quale oggi mantiene stretti e costruttivi rapporti sociali e commerciali. Non è sufficiente infatti tracciare una riga sulla carta topografica per differenziare i territori, le popolazioni, la cultura. A superare ogni barriera è storicamente la Chiesa. Non ci sono confini che tengano per l’amministrazione ecclesiastica che fin dai primordi si è organizzata seguendo le Province romane sostituendo ai governatori, consoli e proconsoli, i vescovi. Feltre o meglio Feltria, con la valle Ausuganea, venne assegnata dai romani alla tribù Publicia e ottenne la costituzione a Municipium della X Regio fra il 49 ed il 42 avanti Cristo, durante il periodo in cui avvenne l’assassinio di Giulio Cesare (44 a.C.) che segnò la fine della Repubblica. E’ nello stesso periodo fra il 50 ed il 40 a.c. che l’accampamento militare romano di Tridentum diventa Municipium. Due storie parallele unite da una strada la Claudia

Augusta Altinate importantissima per gli scambi commerciali della Valle Padana particolarmente intensi nel terzo secolo dopo Cristo. Parliamoci chiaro, al tempo delle lotte fra vicentini, scaligeri, germani, Feltre aveva nel dodicesimo secolo qualche migliaio di abitanti, era poco più di un villaggio, che tuttavia veniva ad assumere una grande importanza strategica con la rocca costruita sul colle delle Capre. La Valsugana è strategicamente importantissima anche per la Chiesa e il Vescovo di Feltre si trovò ad amministrare nello spirito e nei beni, territori oggi considerati trentini. Pur avendo perso infatti, il potere temporale nel 1228, Feltre mantenne quello spirituale, con le diocesi del Tesino, di Borgo, il Cirè di Pergine, fino al 1786. La Valsugana, nodo stradale fondamentale per raggiungere la valle dell’Adige ha visto il passaggio di mercanti, pellegrini e soldati. Vi sono transitati eserciti imperiali d’Austria e Francia e altri, fino al 1866 quando, nella Terza guerra d’Indipendenza, le truppe del Regno d’Italia, guidate dal generale Giacomo Medici, attraverso questa valle salendo da Feltre, Bassano, Vattaro, arrivarono alle porte di Trento. La Valsugana fu infine teatro di battaglie nella Prima Guerra

Mondiale. Tra le più famose la Beffa di Carzano. Quello che va sottolineato è che le popolazioni del Feltrino e del Trentino non furono mai interamente passive in questi eventi storico sociali. Difesero sempre la propria autonomia rivendicando e pagando con il sangue gli Statuti delle comunità e la libertà di culto fino a sfiorare in qualche caso l’eresia. Ora Feltrino e Trentino hanno legami politici ed economici e due riviste gemelle Valsugana News e Feltrino News, con cui potranno ulteriormente comunicare. Ma questa è un’altra storia.

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Il personaggio di Waimer Perinelli

Luca Zaia il doge serenissimo

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uca Zaia 52 anni. “Il suo papà io lo conosco, dice Camilla Girardi, titolare di una concessionaria automobilistica, è uno che ancora va in giro con la tuta da meccanico operaio. Una persona semplice”. E’ così, una persona alla mano, anche Luca, nato a Conegliano Veneto, in provincia di Treviso, il 27 marzo del 1968. Nella terra del prosecco si è diplomato enologo e all’università di Udine si è laureato in Scienze della produzione animale. La sua carriera politica è esemplare. Inizia a 25 anni quando viene eletto consigliere comunale a Godega di Sant’Urbano, suo paese di origine. A trent’anni è già presidente, il più giovane d’Italia, della Provincia di Treviso, incarico lasciato nel 2005 per ricoprire fino al 2008, nell’Era di Giancarlo Galan, il ruolo di vicepresidente della Regione Veneto. A quarant’anni è ministro delle politiche agricole e ambientali del governo Berlusconi. Nel 2010 viene eletto presidente della Regione Veneto. Tutto questo fra la spada e il leone, la Lega nord e la Liga veneta. Due simboli, un solo cuore. Fino ad oggi almeno visto che Zaia, con il 47 per cento delle preferenze perso-

nali, ha superato nelle regionali di settembre la lega di Salvini, ferma al 16 per cento, raggiungendo tuttavia con gli alleati del centro destra il 76,79 % dei voti. “ Tutti i miei elettori sapevano che sono della Lega” dice Zaia chiudendo, almeno per ora, alle polemiche che lo vorrebbero contrapposto al leader nazionale del Carroccio. “ La politica, afferma, non è una partita di calcio dove ad ogni sconfitta o vittoria si vuole cambiare allenatore”. Luca Zaia è il nuovo Doge di una Regione che rivendica un glorioso passato e viene scelta da altri come modello nella lotta al Corona Virus, e dello sviluppo economico. Anche se, su certi capannoni diventati dinosauri abbandonati nella devastata pianura, qualcosa ci sarebbe da recriminare. I capannoni, ora in molta parte abbandonati, sono i testimoni della devastazione del territorio, di un’economia dal rapido sviluppo su cui i veneti si sono divisi ed ora troviamo ricompattati dall’identità politica che, più che all’economia, guarda al territorio attraverso la storia. Secoli di storia comune in una Repubblica avida e spesso arida, ma capace di lottare con-

tro i turchi, gli imperi di Francia, Austria, Spagna e il Papato, difendendo qualche eretico e molti ebrei, pur confinandoli nel ghetto. che dalla città lagunare prende il nome, non possono passare come acqua nel canale, Mille anni di storia sono come i pali di castano e rovere su cui è fondata la Serenissima; sono la forza di un popolo che ha combattuto a Lepanto nel 1571, commerciato nell’estremo Oriente con Marco Polo, divertito il mondo con le commedie di Goldoni, affascinato Shakespeare che vi ha voluto ambientare non a caso, “Il mercante di Venezia” . Una autentica secolare cultura. “Oggi, dice Zaia, quello che serve alla politica è una vera una rivoluzione culturale”. La cultura porta al cambiamento o almeno lo indirizza. Il referendum di settembre ha dimostrato che il processo di mutamento dello Stato è fortemente richiesto. Luca Zaia, da uomo forte in una Regione forte, lo ha capito. “Serve l’ autonomia regionale, dice, e un Senato delle Regioni, sul modello tedesco.” Ma non assomigliava molto a questa la proposta del rampante Matteo Renzi, bocciata nel referendum costituzionale del 2016?

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Giovani, contagi e vita notturna di Patrizia Rapposelli

Movida FUORI CONTROLLO?

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iovani nei guai. Le norme anti Covid-19 sembrano non riguardali. È movida fuori dalle regole e dall’inizio della pandemia i festaioli finiscono nel mirino. Infatti, la vita notturna torna ad essere al centro dell’occhio del ciclone. La polemica del divertimento irresponsabile è di vecchia data, ma tracciando un resoconto dell’estate 2020 lo stato di cose che ne emerge ha creato un polverone tra i misurati e i lascivi. Un numero importante di nuovi focolai sembra provenire da ambienti lavorativi e sanitari, ma le immagini impresse nella mente di chi ha visto, nel pubblico esercizio, nelle strade, sui social e nei report, raccontano bene come ora protagonista è l’incoscienza dei giovani in questa estate. L’epidemia è ripartita sulle gambe dei ragazzi, delle vacanze e della movida, lo conferma l’Organizzazione mondiale della sanità. I dati sono chiari. Nel primo momento di contagio l’età mediana dei positivi era di 60 anni, mentre nell’ultimo mese si è abbassata a 34 anni; il 15 per cento ha anche meno di 18 anni. Tra i 20-29 anni il 96 per cento non ha sintomi o ne ha di lievi, infine un 4 per cento riversa in condizioni severe. La voce semplice del Covid-19 che spesso si è sentita tra la gente, “è solo un problema degli anziani”, non è più convincente e l’estate sta finendo con un sentimento opposto. Naturale è stato additare i più giovani come colpevoli, ma forse sarebbe meglio parlare di concorso di colpe. Infatti, Il comportamento irresponsabile dei ragazzi è stato appoggiato dalla complicità dei locali, dei genitori e delle direttive politiche contrastanti tra loro. Emerge un non rispetto dei limiti imposti, l’idea che c’è un limite per tutto è un tema sociale antecedente al Covid-19

e anche la mancanza del senso di divieto per la nuova generazione. Lo sbandamento giovanile, come spiega il sociologo Ferrarotti, è da attribuire alla classe genitoriale; la società moderna è nota per la sua carenza di tempo formativo pedagogico e il retaggio della cultura degli anni precedenti ha fatto credere che il “vietato è vietare” corrisponda alla creatività. Ogni giorno i bersagli cambiano: generazione superficiale, esecutivo distratto, professionisti poco attenti e amministratori eccessivamente morbidi nelle riaperture. Appare chiara la decisione consapevole di far funzionare la vita notturna, coscienti che il distanziamento sociale non poteva essere gestibile per tutti i locali. Questo è un fatto. Esempio eclatante sono le discoteche. Le loro riaperture hanno creato polemiche e la loro chiusura altrettanto, così il dopo Ferragosto s’infiamma. Gli amanti della discoteca rimangono delusi, i gestori infuriati e i contagiati non mancano all’appello. Le sale da ballo rappresentano l’industria di divertimento più significativa sotto l’aspetto finanziario e ora delle polemiche di contagio; ogni anno genera, secondo una ricerca Fipe, un volume d’affari di 4 miliardi di euro, questo rappresenta il 20 per cento del

volume d’affari dell’intera economia della notte. Luogo di massima aggregazione e socialità non ha aiutato i giovani a comprendere e rispettare le norme anti Covid-19. Un noto Dj arriva a dire che il distanziamento sociale è l’opposto di quello che significa stare insieme quando si va a ballare; la regola è semplice, goditi l’attimo. Il suo consiglio. La dimensione del problema non è stata sottovalutata solo dal mondo puerile, come diversa per molti è stata la percezione del rischio da marzo ad oggi. La comunicazione è stata in questo arco di tempo discrepante da più versanti. Alla fine di questa estate resta un universo della notte sotto accusa, una poca responsabilità di più concorrenti e una fetta di nuova generazione ancora una volta poco ragionevole. Le polemiche sono molte ed emerge un quadro del rischio calcolato. Le scelte prese hanno dato respiro all’economia del divertimento, salvo poi sostenere questa posizione nel gioco vischioso della politica e degli impegni presi: aprire un po’ e poi chiudere, ma i responsabili sono molti. Vedremo come evolverà la situazione, ma ciò che è certo è che l’epidemia non si è mai fermata.

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Ieri avvenne di Chiara Paoli

Il silenziatore della camorra Il 23 settembre del 1985 viene ammazzato Giancarlo Siani, giornalista napoletano. La sua colpa è stata quella di aver sollevato un polverone, che la camorra voleva sepolto sotto un tappeto. In quella fatidica giornata, sono le 20.50 circa quando viene colpito al suo rientro a casa in via Vincenzo Romaniello mentre è ancora in auto, nella sua Citroën Méhari, 10 colpi di pistola sparati da due Beretta 7.65mm, lo raggiunsero alla testa.

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uesti i fatti che 35 anni fa scuotono il quartiere napoletano dell’Arenella, ponendo prematuramente fine alla vita di Giancarlo Siani, appena ventiseienne. Giancarlo nasce a Napoli, in una famiglia della media borghesia, il 19 settembre del 1959 i suoi studi lo portano ad ottenere nel 1978 la maturità classica con il massimo dei voti. Dall’anno precedente è entrato a far parte dei movimenti studenteschi e dopo la maturità si iscrive a Sociologia all’Università degli Studi Federico II. In questo periodo hanno inizio anche le sue collaborazioni con alcuni periodici locali che lo portano ad interessarsi e scrivere soprattutto di problemi di emarginazione e di disagio sociale, dove la criminalità organizzata si insidiava e reperiva i suoi “tirapiedi”. Con Gildo De Stefano, Antonio Franchini e altri giovani giornalisti Giancarlo fonda

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il Movimento Democratico per il Diritto all’Informazione, di cui si fece ambasciatore nei convegni nazionali dedicati alla libertà di stampa. Seguono i primi articoli per il periodico mensile “Il lavoro nel Sud”, testata promossa dalla CISL e la collaborazione con il quotidiano di Napoli “Il Mattino”, per cui operava come corrispondente da Torre Annunziata. Nel suo lavoro giornalistico si interessa per lo più alla cronaca nera, parlando anche di camorra e dedicandosi ai rapporti tra le famiglie che controllavano la zona. Inizia quindi a collaborare anche con l’Osservatorio sulla Camorra, periodico che ha come direttore il sociologo Amato Lamberti. Il suo sogno era poter ottenere un contratto per fare il praticantato e sostenere così l’esame da giornalista professionista e nel giro di un anno, grazie al suo impegno sempre in prima linea, ci riesce. Tra le sue rivelazioni anche quelle relative ai favoreggiamenti che seguono al terremoto dell’Irpinia e legano alcuni politici locali al clan di Valentino Gionta, un tempo pescivendolo e poi dedito all’illegalità, dal contrabbando di sigarette al controllo del mercato della droga. Quello che però porta alla sua sentenza di mor-

te è un articolo pubblicato il 10 giugno 1985, in questo scritto Giancarlo accusa il clan Nuvoletta di voler scalzare il boss Valentino Gionta, divenuto scomodo, denunciandolo alla polizia. Questa “soffiata” gli era arrivata da un amico carabiniere e si rivelerà vera, Gionta viene infatti arrestato proprio mentre si allontana dalla tenuta di Lorenzo Nuvoletta a Marano di Napoli. I Nuvoletta sono affiliati ai Corleonesi di Riina e al clan Bardellino, insieme costituiscono quella che è stata soprannominata la “Nuova Famiglia”. Gionta verrà rivelato in seguito fu il prezzo da pagare al clan Casalesi per stringere un accordo di pace. L’articolo scatena le ire dei fratelli Nuvoletta, diffamati nell’onore di uomini di mafia. A ferragosto la decisione di “eliminare” Siani è presa, si pensa inizialmente di ucciderlo al di fuori del circondario di Torre Annunziata per sviare così le indagini. I fatti andranno diversamente e si compiranno nella serata del 23 settembre. Dalla morte del giornalista passano ben 12 anni, prima che la giustizia faccia il suo corso. La sentenza di ergastolo per i mandanti, Lorenzo e Angelo Nuvoletta con Luigi Baccante e per gli assassini Ciro Cappuccio e Armando Del Core, viene pronunciata il 15 aprile del 1997. Tra i mandanti dell’omicidio presenzia anche Valentino Gionta, che condannato in Appello all’ergastolo, verrà poi scagionato in Cassazione. Tra i misteri legati a questa


Ieri avvenne

scomparsa, la telefonata per chiedere un incontro faccia a faccia ad Amato Lamberti, direttore dell’Osservatorio sulla Camorra

con cui aveva collaborato. Ignoto il tema del colloquio, ma secondo le testimonianze si sarebbe trattato di un argomento “scottan-

te” di cui parlare a voce, forse Siani temeva per la propria vita. Un libro-inchiesta pubblicato nel 2014 dal giornalista partenopeo Roberto Paolo, fa riemergere dubbi sulla sua morte, che hanno indotto Giovanni Melillo, coordinatore della Direzione antimafia della Procura di Napoli, a riaprire le indagini, affidate ai sostituti procuratori Enrica Parascandolo e Henry John Woodcock. Molte sono le scuole, le vie e le sale intitolate a Paolo Siani, oltre al cinema teatro di Marano di Napoli e a lui è dedicato il mensile “Narcomafie” del Gruppo Abele e Libera. Nel 2016 è stato svelato al pubblico un murales dedicato al giovane giornalista, l’opera compiuta dalla coppia di artisti italiani, noti come Orticanoodles è bicromatica, i colori sono: il verde della sua Citroën Mehari e il grigio seppia dell’inchiostro della Olivetti M80 con cui scriveva i suoi articoli.

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Qui USA di Francesca Gottardi Nostra corrispondente dagli USA

La pena di morte negli Stati Uniti Gli Stati Uniti sono uno dei 54 Paesi al mondo dove ancora si applica la pena capitale. Il tema rimane tra i più dibattuti nelle cronache. Questo in luce del numero progressivo di Stati al mondo che la hanno abolita, attualmente 120 su 196.

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nizialmente, la pena di morte più utilizzata in USA era quella per impiccagione, diffusasi per scelta degli inglesi. Era prevista per crimini allora considerati gravi come l’adulterio, la sodomia, la stregoneria e l’omicidio. La funzione della pena era quella di deterrenza e di esempio per la comunità, per questo veniva spesso portata a termine in luoghi pubblici. Con l’avvento dell’illuminismo del XIX secolo, prese piede la tesi abolizionista. Seguì un calo delle esecuzioni, che culminò con una temporanea de facto abolizione della pena di morte con lo storico caso Furman v. Georgia. La sentenza sollevò l’opinione pubblica, in un periodo nel quale la criminalità ed il tasso di omicidi erano in drammatica crescita. Si ritiene che tale aumento fosse attribuibile ai moti di protesta degli anni settanta e ad un tasso di disoccupazione particolarmente elevato. Con il caso Gregg v. Georgia venne quindi reintro-

dotta la pena capitale. Il dibattito continua ancora oggi. La legislazione federale prevede l’utilizzo della pena capitale per i crimini come alto tradimento, omicidio plurimo, aggravato o di agenti federali, spionaggio ed attentato alla sicurezza nazionale, terrorismo. In alcuni casi la pena è prevista per reati che implicano stupro o tortura, minorenni o il traffico di droga. Dal 1º marzo 2005, la Corte Suprema USA ha dichiarato la pena di morte incostituzionale nei confronti di chi è minorenne all’epoca del reato. La sentenza, considerata storica, ha avuto l’effetto di tramutare immediatamente la condanna a morte di 70 detenuti in ergastolo. Non sono inoltre giustiziabili i malati di mente, anche se vi sono dibattiti nel determinare chi sia affetto da una condizione mentale. Storicamente, i metodi di esecuzione più utilizzati erano la sedia elettrica, l’impiccagione, la fucilazione e la camera a gas. Oggi la maggior parte delle esecuzioni avviene per iniezione letale. In alcuni Stati al condannato viene data la possibilità di scegliere il metodo di esecuzione. A causa della resistenza dei produttori di farmaci a fornire i farmaci tipicamente utilizzati nelle iniezioni letali, alcuni Stati ora consentono l’uso di metodi alternativi se l’iniezione letale non può essere eseguita. Le controversie relative al metodo da utilizzare hanno avuto l’effetto di ritardare le esecuzioni in molti stati, contribuendo

a un declino generale nell’uso della pena di morte. Se a livello federale la pena di morte è legale, a livello statale vi sono notevoli differenze. In 21 Stati la pena capitale è stata formalmente abolita. Ad oggi, 29 su 50 sono gli Stati USA che ancora la prevedono, ma in 4 di questi è stata sospesa (vedi inciso). Lo Stato con il maggior numero di esecuzioni è il Texas, 565 dal 1982. Anche negli Stati abolizionisti, la pena di morte è comunque prevista per reati federali e militari. L’ultima esecuzione federale è stata quella di Timothy McVeigh, nel 2001, responsabile dell’attentato di Oklahoma City nel 1995. Il dibattito sulla pena di morte è tuttora molto acceso nell’opinione pubblica americana. Da anni organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch, e la World Coalition to Abolish the Death Penalty (WCADP) si battono per abolirne l’uso. La situazione è incerta. Chissà che le imminenti elezioni 2020 possano portare ad ulteriori cambiamenti in materia. 15


Qui USA

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A parere mio di Francesco Zadra

Prima l’ITALIANO? «Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani» affermava il conte di Cavour fin dai primi istanti di vita dell’impresa dei Mille. Non c’è dubbio, infatti, che la lingua faccia parte dell’identità di un popolo e sia un forte collante di unità nazionale. Lo sapeva bene anche Hitler con la sua utopia della “grande Germania” che nel corso del Novecento insanguinò l’Europa per tentare di cucire in un’unica “Heimat” le popolazioni teutoniche e dominare tutte le altre. Ma del potere unificatore della lingua comune era convinto, con ben altri scopi, anche Alberto Manzi, il celebre maestro che nei primi anni 60 impartiva lezioni via etere nel programma Rai “Non è mai troppo tardi”.

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on era sicuramente troppo tardi per le milioni di persone che in età avanzata tentavano, grazie a questa DAD ante litteram, di imparare quella che da poco più un secolo si fregiava del titolo di lingua nazionale. Oggi ci troviamo davanti a un vero e proprio analfabetismo di ritorno, soprattutto tra le giovani generazioni (anche i cinquantenni in rete non scherzano) che tra un “se io avrei” e un anglicismo all’ultimo grido, causano infarti quotidiani a centinaia di insegnanti di lettere, categoria ormai sottoposta all’egida del WWF come specie a rischio. Resisterà dunque la lingua di Dante e di Manzoni all’assalto della modernità e all’invasione dei vocaboli “british style”? Sapremo mantenere la nostra identità o siamo condannati a essere travolti dalla globalizzazione fino a diventare una colonia al servizio di Sua Maestà? Tutti gli opinionisti del Belpaese sono concordi, chi con entusiasmo e chi con ostracismo, sul fatto che stiamo subendo una vera e propria invasione di vocaboli ed espressioni anglofone nel nostro parlato quotidiano. C’è chi è preso dai propri “meeting” lavorativi e chi, al contrario, passa le giornate nel “relax” più totale. Senza nemmeno accorgercene stiamo subendo delle trasfusioni lessicali che rischiano di far cadere in disuso, pardon “far diventare out”, espressioni secolari della nostra

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A parere mio

lingua. Ma qual è la soluzione? Dobbiamo accogliere nelle nostre conversazioni qualsivoglia parola straniera per sentirci “cittadini del mondo”? O ci dobbiamo trincerare dietro a pile di “Zingarelli” al grido di “prima l’Italiano”? L’invasione d’oltremanica non è l’unica minaccia cui è esposto il nostro idioma: oggigiorno ci si “tagga” nelle foto di gruppo, si dispensano “like” a destra e manca e i manager dei più importanti tour operator si confrontano sul livello di “instagrammabilità” di una destinazione turistica. Insomma: sembra che l’italiano non sia immune nemmeno a quella che Manfred Spitzer, nel suo famoso saggio, definisce senza mezzi termini “demenza digitale”. Si parla sempre più spesso di “Italia” ma sarebbe più corretto parlare di “Italie” in quanto nella nostra penisola, forgiata nel corso dei secoli da contrade, rioni, città-stato, campanili e repubbliche marinare, esiste una piccola Italia a sè stante in ciascuna provincia. È quindi naturale che siano nati centinaia di dialetti, proverbi e accenti che hanno dato poi frutto a quella che viene considerata la più musicale e ricca delle lingue. Basta infatti valicare l’antica frontiera austro-ungarica che il

trentinissimo “bolognino” assume un’aura mistica e viene canonizzato in “sanpietrino”. Non c’è poi da stupirsi dell’alto grado d’ignoranza diffusa tra i nostri connazionali quando abbiamo più di cinquanta diverse espressioni per dire che abbiamo “bigiato” o “marinato” la scuola. Coincidenze? Io non credo. Il dialetto dovrebbe essere considerato una ricchezza poichè senza di esso non avremmo l’Italiano. Eppure frotte di pedagoghi e blogger improvvisati insistono nel ritenerlo una minaccia per il corretto apprendimento della lingua in tenera età, se non addirittura uno stigma di ignoranza e provincialismo. Mi permetto di dissentire! Per quanto poco o nulla possa valere, a fini statistici, la mia esperienza personale vuole che abbia appreso i rudimenti della lingua tricolore solo dopo i quattro anni di vita, grazie a una “full immersion” (a proposito di inglesizzazione...) dovuta alla scuola materna. Prima di allora il dialetto era il mio pane quotidiano e non mi pare che ciò mi abbia svantaggiato a livello linguistico. Anzi, la realtà dei fatti ci mostra come l’apprendimento del dialetto possa contribuire alla creazione di sinapsi nei

bambini, nonché sia un potente strumento di integrazione nelle nostre comunità. Come dimenticare il video, divenuto virale, dell’ambulante magrebino che, sotto gli sguardi attoniti e divertiti dei passanti, declamava panegirici in lingua trevigiana circa la qualità della sua merce? Per cui, a mio parere, gli illustri filologi da tastiera, laureati all’università della vita, possono benissimo, per usare un’espressione tanto cara alla gente trentina, “nar a farse onzer”. Insomma, che ci piaccia o no, la “lingua pura” non esiste e le influenze straniere ci sono sempre state: pensiamo alle nonne valsuganotte che ordinano un “plateau” di mele al mercato o ai contadini mocheni che “müss per forza” ogni mattina si alzano per arare i campi. Per questo trovo ridicolo vagliare col setaccio ogni espressione che non abbia il “pedigree”. Sono sicuro che, se sapremo valorizzare la nostra cultura e tenerci stretti i nostri “fatidici vati”, potremo assumere vocaboli d’oltre confine a piccole dosi senza che questi avvelenino le nostre conversazioni (Mitridate docet) e soprattutto senza che ci sia bisogno di andare con gli amici a una “dinner” o, peggio, a vedere un “filmo”.

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Tra passato e presente di Waimer Perinelli

ERETICI TRENTINI e VESCOVI di FELTRE È il 3 settembre del 1558 quando, rivolgendosi alla Curia di Feltre, l’allora curato di Bieno Giovanni Tommaso Amalfitano mette nero su bianco delle precise accuse contro quelli che definisce “i porci heretici e i cani rossi”. Accuse di eresia nei confronti dell’allora capitano del Castel d’Ivano Gasparo Genetti, il suo vicario a Strigno Zuane de Ripa, pre Thomio Boso et Joan Baptist, fratello del Vicario et lo Piovan de Roncigno oltre al frate predicatore de Grigno ed altri ancora “che in pubblico stanno latrando… cagnolini che biasimano la Chiesa et i suoi Ministri cum suoi Sacramenti”.

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l brano tratto dal libro“Strigno, i signori di Castelrotto “ di Adone Tomaselli e ricordato dal collega Fabio Dalledonne, certifica la vicinanza della Valsugana orientale al Feltrino. Che c’entra infatti il vescovo di Feltre con gli affari del Tesino? La verità è che in quella metà del sedicesimo secolo la diocesi di Feltre confermava come si era configurata in età longo-

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barda, con ampi territori della Valsugana, il Tesino ed il Primiero arrivando al Cirè alle porte di Trento. All’estensione spirituale molto ampia corrispondeva già dal sesto secolo dC un territorio minore ma non meno importante, tanto è vero che nel 579 il vescovo di Feltre, Fontejo, partecipò al sinodo di Grado e di Marano nel 591. Durante le Crociate i vescovi feltrini si rafforzarono e nel 1101

venne consacrato il santuario dove si conservano e spoglie dei martiri siriani Vittore e Corona patroni della Diocesi. Dopo alterne vicende le diocesi di Belluno e Feltre ebbero, per lungo tempo, un solo vescovo. Ma, quando si svolgono i drammatici fatti della caccia agli eretici, le due realtà hanno vescovi distinti da poco più di cento anni e a Feltre s’insedia la dinastia episcopale dei Campeggi. E’ il 1512 quando Lorenzo Campeggi o Campeggio viene insignito del titolo di vescovo di Feltre. Nato a Milano nel 1474 il cardinale Lorenzo è protetto dalla potenza di Giulio II della Rovere, il Papa soldato, il grande protettore di Michelangelo Buonarroti. Pensate che splendore di secolo dal lato artistico. Michelangelo, Leonardo da Vinci, Raffaello, Caravaggio...... il Rinascimento. E quanto buio con la Riforma, la Controriforma, con il Concilio di Trento, la “Santa” Inquisizione. E’ il secolo di Alessandro Sesto,il Papa spagnolo, con i figli Lucrezia e Valentino, alle cui gesta s’ispirò il Machiavelli. Feltre è un minuscolo puntino sulla carta geografica dell’Italia, politicamente è però molto importante e, al culmine di una carriera diplomatica significativa, Lorenzo fu nominato a capo della diocesi feltrina. Nel 1520 gli succede Tommaso Campeggio, noto, più tardi,


Tra passato e presente

per la conoscenza profonda della riforma luterana avendo partecipato al Concilio di Worms del 1540. Con lui la lotta all’eresia divenne una missione, ereditata da Filippo Maria Campeggio, morto nel 1584. Questa dinastia si confronta con amicizia e complicità con quella dei Ma-

PRATICHE VEICOLI

druzzo a Trento. In questa tempesta di fede ed eresia, sono immersi i citati valsuganotti e primierotti che, per citare le parole della denuncia, “latrano come cagnolini”. Qui affermano alcuni testimoni di Borgo Valsugana e Levico scrivendo al Vescovo di Feltre, si “annidano molti luterani.” Andò a finire che, a causa delle eresie circolanti e confermate in valle, capo espiatorio divenne préThomio, al secolo Tommaso Boso, nato a Castello Tesino tra il 1510 ed il 1517 che il 21 settembre del 1558 si reca a Feltre in quanto oggetto di inquisizione. Finisce in carcere, sotto processo, ma, dopo alterne vicende con scomunica e pentimenti, fu assolto.

Trasferimenti di proprietà e immatricolazioni Radiazione per esportszione veicoli Consulenze e pratiche per il trasporto di merci conto terzi e conto proprio Nazionalizzazione veicoli provenienti dall’estero

Fu fortunato perché altri finirono sul rogo, impiccati o decapitati. La storia della fine del 400 ci documenta il caso degli ebrei trentini accusati di infanticidio, giustiziati dopo che, contro di loro, aveva scaldato anime e menti il padre predicatore Bernardino da Feltre.

TASSE AUTOMOBILISTICHE

Riscossione bollo auto anche per prima immatricolazione Gestione pratiche di contenzioso bolli con la Regione Veneto Gestione domande di rimborso bollo auto

PATENTI

Rinnovo patenti con medico in sede Gestione pratiche rinnovo patenti presso Commissione Medica Locale Duplicati e pratiche patenti Visite mediche per rilascio patenti

SERVIZI VARI

Visure Pubblico Registro Automobilistico (PRA) per la verifica di eventuali gravami Pratiche di rinnovo e rilascio porto d’arma e patente nautica Gestione parchi veicoli e pagamento di bollettini postali

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Le grandi donne del teatro di Laura Mansini

Eleonora Duse: La Divina Considerata una delle più grandi attrici di tutti i tempi, fu il simbolo della nascita del Teatro Moderno. “Taci: su le soglie/ del bosco non odo / parole che dici / umane,/ ma odo parole più nuove / che parlano gocciole e foglie/ lontane./ Ascolta. Piove /Dalle nuvole sparse./Piove su le Tamerici / Salmastre ed arse…”

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i piace iniziare il piccolo ritratto di Eleonora Duse con questi primi versi de “La pioggia nel Pineto” che Gabriele D’Annunzio scrisse per la Divina ed inserita nella raccolta di poesie del suo terzo libro “Alcyone” (1902/1903). Le rime sono un inno alla passione amorosa che travolse i due artisti nelle torride estati trascorse in toscana, e rappresentano la miglior produzione poetica di D’Annunzio. Fra 22

queste ricordiamo “Sera Fiesolana” ed appunto la “Pioggia nel Pineto”, uno stupendo inno all’amore dedicata ad Ermione (ovvero Eleonora Duse) .I due innamorati si perdono nel bosco di mirto e di pino, quando sono colti da una pioggia improvvisa che li bagna “piove sui nostri volti silvani,/piove sulle nostre mani / ignude, sui nostri vestimenti leggieri…”. Immagini di grande sensualità nelle quali il poeta e la sua amata si fondono con la natura divenendone parte integrante ,il famoso “panismo dannunziano”. La Passione, non solo amorosa, ma una passione travolgente per il teatro, per la vita, può essere la chiave di lettura che ci aiuta a capire la grandezza di questa donna, nata in una compagnia di attori “girovaghi”. Figlia di Alessandro Vincenzo Duse, attore capocomico, originario di Chioggia e di Angelica Cappelletto, prima attrice della compagnia, nacque su una carrozza di un treno, vicino a Vigevano, il 21 Aprile del

1858. Per lei recitare era un fatto naturale, stava sempre dietro le scene imparando i testi a memoria. Fin da giovanissima, osservava le attrici, sapeva le loro parti, ed il teatro era la sua casa, il suo gioco ed alla fine la sua grande, unica vera passione. Si narra che a quattro anni fosse già di scena in piccole parti. A 12 anni sostituì con successo la madre ammalata, interpretando “Francesca da Rimini” di Silvio Pellico. Nel 1873, a soli 15 anni ottenne il suo primo ruolo stabile nella compagnia del padre e recitò nell’Arena di Verona una straordinaria “Giulietta” di Shakespeare . A 20 anni lasciò la famiglia, ed entrò nella compagnia “Pezzeri -Buratti” come “pima amorosa”. Iniziò così il s percorso teatrale professionistico, trovando negli studi, nella conoscenza, nella ricerca di nuove tecniche di recitazione un proprio modo di interpretare i ruoli femminili. Dirà Silvio D’Amico: “ La Duse, di media statura , di voce aerea, ma incomparabilmente espressiva, rivelò sulla scena una “verità nuova”, grazie ad una recitazione fuori d’ogni regola ed a una tecnica che sembrava consistere nell’assenza di ogni tecnica: con una tale veemenza, da stravolgere quanto fatto fino ad allora dai vari attori, per giungere ad una passione travolgente, ed a una stupenda nuova bellezza”. Il suo camminare nervosamente sulla scena, le sue larghe braccia sapevano abbracciare il pubblico. Nel 1879 interpretò in modo struggente “Teresa Raquin” di


Le grandi donne del teatro

Emile Zolà. A ventitrè anni diventa prima attrice e capocomica ed a 29 anni si occupa della produzione, del repertorio della Troupe, portando al successo autori come Verga con “Cavalleria Rusticana”, nel 1884 e poi “La signora delle Camelie” di Dumas. E’ proprio negli anni 80 che la Duse compie la scelta di un repertorio che mette in discussione i valori borghesi di una società apparentemente perbene, ma in realtà ipocrita, egemonizzata dal dio denaro. Recitò molto in Italia, ma anche

all’estero. Vastissimo il suo repertorio, da Giacosa ad Ibsen, a Shakespeare. L’incontro con il poeta Gabriele D’Annunzio, avvenuto quando lei era al massimo del successo e lui stava imponendosi con la propria scrittura intensa, fu la risposta alla ricerca dell’attrice. Egli infatti deve proprio alla Duse i suoi maggiori successi teatrali, come “La figlia di Iorio” che seppero superare il teatro realistico e borghese dell’800 per giungere alla sublime bellezza. Vissero anni di grande passione, di tormento per l’attrice che dovette combattere con la sensualità e l’infedeltà del poeta. Nell’ultimo periodo della sua via acquistò ad Asolo, ridente cittadina veneta, un elegante palazzetto nella splendida via Canova, dove visse per pochi anni perché dovette riprendere a recitare. L’attrice, infatti durante una tournee morì di polmonite a Pittsburg il 21 aprile 1924, e lasciò scritto di voler essere sepolta nel cimitero di Asolo, rivolta verso il Monte Grappa per amore dell’Italia e dei soldati che aveva assistito nella prima guerra mondiale. Sulla sua lapide D’Annunzio dettò l’epitaffio: “ Figlia ultimogenita di San Marco”

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Lo Stato Sociale di Paolo Rossetti

Preoccupante la povertà in Italia Diffuso il rapporto Istat sulla povertà assoluta e relativa nel nostro paese.

I dati Istat relativi alla povertà e riferiti alla fine del 2019 (pubblicati il 16 giugno 2020) hanno evidenziato che nel nostro paese sono 1,7 milioni di famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta (6,4% rispetto al 7% del 2018) per un numero complessivo di quasi 4,6 milioni gli italiani che vivono in povertà, (7,7%, dato questo più basso dell’ 8,4% del 2018). Stabile invece il numero di famiglie in condizioni di povertà relativa: nel 2019 sono state circa 3 milioni (11,5%) cui corrispondono quasi 9 milioni di persone. Dopo quattro anni di continuo aumento i dati ci confermano che per la prima volta si riduce la povertà assoluta che interessa sia le famiglie e sia le persone, mantenendosi però su livelli superiori a quelli precedenti la crisi del 2008-2009.

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’incidenza delle famiglie in povertà assoluta è prevalentemente nel Mezzogiorno (8,5%), al Sud e nelle isole (8,7%). Nel resto d’Italia, è invece inferiore ed esattamente, 5,8% nel Nord-Ovest, 6% nel Nord-Est e 4,5% al Centro. Per quanto riguarda la povertà individuale è del 10,5% nel Sud, 9,4% nelle Isole, ma è più bassa nel Centro (6,8%) e nel Nord (5,6%). Rispetto al 2018, invece, si riduce la quota di famiglie po-

vere nei comuni di area metropolitana, ed esattamente nel Centro (da 3,5% a 2,0%), nel Mezzogiorno (da 13,6% a 9,8%), e nelle Isole (da 11,3% a 6,4%). Tra gli individui in povertà assoluta si stima che le donne siano quasi 2milioni e 500mila, i giovani di 1834 anni, 1 milione e 100mila e gli anziani oltre 600mila. Nel 2019, la povertà assoluta in Italia ha interessato, purtroppo, 1 milione 130mila minori (11,4% rispetto al 7,7% degli individui a livello nazionale; 12,6%

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Lo Stato Sociale

nel 2018). L’incidenza varia dal 7,2% del Centro a quasi il 15% del Mezzogiorno. Dato positivo è che, rispetto al 2018, le condizioni dei minori quantificano un certo migliorano sia a livello nazionale sia al Centro (da 10,1% a 7,2%). I dati ci dicono anche che la povertà assoluta cresce nelle famiglie che hanno un figlio minore (6,5%) o più figli minori (20,2%) e si confermano le difficoltà per le famiglie di soli stranieri che vivono nel nostro paese. L’ISTAT precisa che sono oltre 1milione 400 mila, con un’incidenza pari al 26,9% rispetto al 5,9% ai cittadini italiani. Il rapporto sull’indigenza conferma anche che, come la povertà assoluta, la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (19,8%), o 5 componenti e più (30,2%), soprattutto tra quelle giovani: raggiunge il 16,3% se la persona di riferimento è un under35, mentre scende al 10,0% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. Anche la povertà relativa, che è sempre alta nel Mezzogiorno (21,2%) migliora nel 2019 rispetto ai dati al 2017-18. Oggi, le famiglie in povertà relativa sono circa 3 milioni per un totale di quasi 8 milioni di persone. Rispetto al 2018, la situazione è sostanzialmente stabile: nel Nord l’incidenza si attesta a 6,8% con valori simili sia nel Nord-Ovest sia nel Nord-Est

(rispettivamente 6,7% e 6,9%) mentre è pari a 21,1% nel Mezzogiorno che è la bandierina nera in Italia. Anche a livello individuale si registra stabilità sulla media nazionale (da 15,0% a 14,7%) mentre la Sicilia (24,3%), Calabria (23,4%) e Puglia (22,0%) sono le regioni italiane con la maggiore incidenza. Ma cosa s’intende per povertà assoluta e relativa? Per povertà assoluta s’intende quella situazione nella quale non si hanno le possibilità e le capacità economiche per acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo

accettabile nel contesto di appartenenza. E’ la concreta impossibilità di far fronte a una spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una famiglia con determinate caratteristiche, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Sono quindi considerate “povere assolute” quelle famiglie che hanno una spesa mensile inferiore alla soglia considerata “accettabile”, soglia che varia per dimensione e composizione, per età della famiglia, per ripartizione geografica e per tipo di comune di residenza. La povertà relativa invece è un parametro che esprime le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. Questo livello è individuato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio, ovvero il valore medio del reddito per abitante, quindi, la quantità di denaro di cui ogni cittadino può disporre in media ogni anno. E per quantificare la povertà relativa si fa riferimento a una soglia convenzionale, adottata in campo internazionale, che considera povera una famiglia di due persone adulte con un consumo inferiore a quello medio pro-capite nazionale.

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Tra passato e presente di Waimer Perinelli

IL PALIO DI FELTRE: STORIA, FOLCLORE TRADIZIONE Seicentoventi anni della cittadina veneta ricordati dalla rinnovata sfida dei quartieri. Il 2020 resterà nella memoria come l’anno del Covid.

H

o incontrato Feltre la prima volta di notte. Era la fine degli anni Ottanta del Novecento e per la Rai dovevo realizzare un servizio della partita dell’Hockey club cittadino con il Fassa Hockey. Palaghiaccio scaldato da un folto pubblico e squadra forte. Sono tornato più volte sempre di notte e mi dispiace perché questa cittadina di poco più di ventimila abitanti è un gioiello incastonato nel lussureggiante Veneto. Di giorno è un’altra cosa: il sole illumina piazze e palazzi, chiese e monumenti. Il Castello di Alboino, del VI secolo dC, più volte distrutto e ricostruito, la piazza del Duomo, i palazzi rinascimentali, le belle case veneziane in stile gotico-rinascimentale con tracce di affreschi, la chiesa di San Rocco, la colonna con il leone di San Marco. Perle e parole con cui si racconta la storia di questa città terra dei paleoveneti, poi dei Reti e Municipium romano,

dominio dei da Carrara, dei Visconti ed infine parte della Repubblica di Venezia. Il passaggio della dominazione dai milanesi alla Serenissima non fu senza traumi. Era il 7 dicembre del 1363 quando Giangaleazzo Visconti, duca di Milano, sconfisse i nobili da Carrara, di origine Longobarda, e la comunità feltrina conobbe il dominio meneghino. Dopo 25 anni i feltrini a cui i duchi padovani non erano simpatici, evidentemente soddisfatti dei lombardi, decisero che il giorno 7 dicembre di ogni anno andava festeggiato con una solenne funzione in Cattedrale o nella chiesa di Ognissanti e con la corsa dei cavalli: un Palio il cui premio era di 15 ducati d’oro. Una bella somma, capace di attirare i cavalieri più abili. Come accadeva da almeno cento anni a Siena, cavalli e fantini, avrebbero rappresentato i quartieri o contrade della città i cui abitanti avrebbero avuto l’occasione per sfogare “pacificamente”

invidie, rancori e, si spera, migliorare la reciproca conoscenza. La festa piacque molto a Giangaleazzo Visconti che però nel 1402 morì di peste e la città di Feltre divenne nuovamente preda contesa da padovani e milanesi. Si riaccese la guerra fino a quando i Visconti lasciaro il campo alla Repubblica di Venezia, capace di intimorire i due contendenti, e il 15 giugno del 1404 Feltre ed il Feltrino conobbero a pax del Leone di San Marco. Racconta lo storico Antonio Cambruzzi che l’Atto ufficiale di donazione di Feltre a Venezia avvenne sulla pubblica piazza dinanzi a tutti gli ordini della città. Scrive il Cambruzzi, “Vittore Muffoni a nome di tutta la cittadinanza, consegnò Feltre a Bartolomeo Nani (ambasciatore), ribadendo che l’atto avveniva per volontà unanime di tutti feltrini e che Venezia si sarebbe impegnata a rispettare tutti i cittadini nei loro gradi, onori e prerogative, accettando al tempo stesso gli statuti della Città. Il 27


Tra passato e presente atto notarile che venne allegato agli Statuti di Feltre. Come periodo della manifestazione venne fissata la prima settimana d’agosto e come campo della contesa fu scelta l’arena di Pra’ del Moro. Qui, la domenica, si danno convegno i rappresentanti dei quattro quartieri, Castello, Duomo, Port’Oria e Santo Stefano per la corsa dei cavalli che conclude in realtà una tre giorni di festeggiamenti. S’inizia infatti il venerdì sera con le cene dei quartieri, una vera gara culinaria, un’abbuffata, che riunisce nelle vie piazze della città, centinaia di commensali, rappresentanti dei quartieri. Dal giorno dopo iniziano e gare. Sono quattro: staffetta, tiro con l’arco, tiro alla fune e corsa equestre. Grande interesse sportivo suscitano il tiro alla fune, disputata in Pra’ del Moro, alla quale partecipano atleti di caratura nazionale e la staffetta che si corre nell’anello interno della cittadina murata, tra Porta Imperiale e Piazza Maggiore. In questa piazza si svolge il tiro con l’arco, gara in cui sono impegnati due arcieri per quartiere. Gli archi sono moderni e per tradizione si ritiene questa competizione come la seconda per importanza della manifestazione. La domenica è il giorno del Palio ma anche della sfilata in costume. Per comprendere l’importanza

Nani promise, in nome della Repubblica, di rispettare gli accordi presi e ricevette da Vittore Muffoni le chiavi della Città ed il bastone bianco, segno del dominio.” L’avvenimento andava festeggiato e soprattutto ricordato e così fu deciso che il 15 di agosto di ogni anno si svolgesse una processione di tutti gli ordini della città e si corresse il palio per il quale fu confermato il premio di 15 ducati d’oro. E così fu fino all’arrivo nel 1797 di Napoleone Bonaparte, non ancora imperatore, intenzionato a cancellare storia e tradizioni dei territori occupati: Venezia perse l’indipendenza e Fèltre il suo Palio. Il NUOVO PALIO 28

Ci sono voluti 180 anni perché Feltre riscoprisse questa importante tradizione. Nel 1979, in occasione del sesto centenario della nascita di Vittorino da Feltre, grazie all’impegno di tanti volontari appassionati di storia, folclore e tradizione, si decise di ricordare con parole e fatti, l’antica competizione. Fu steso alla presenza del notaio Sandio de’Muffoni, un “pubblico istrumento”, un


Tra passato e presente orientale della città da Piazza Maggiore al Castello di Alboino, è attribuito ai nobili Gazza e la sua arma è“d’Azzurro al leone d’oro”.

Duomo, “Arma d’Azzurro con fascia d’oro, caricata in punto d’onore di una stella a otto punte d’oro e di tre bande dello stesso colore in punta”, comprende

di questo corteo è bene ricordare che Feltre fu divisa in quartieri nel XIV secolo, quattro in tutto, ognuno controllato da una famiglia patrizia, ciascuno con i propri simboli e colori.

I QUATTRO QUARTIERI:

Castello, comprende la parte nord

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Tra passato e presente dal contributo di centinaia di volontari. Realizzato dai feltrini e ben radicato nel territorio e nella storia della città, il Palio è oggi una manifestazione di grande richiamo anche oltre i confini locali. Colpisce lo sfarzo dei costumi del corteo, di una nobiltà che guardava alla “moda” veneziana. I tessuti rispecchiano in parte la tradizione tessile di Feltre favorita dall’abbondanza della materia prima (su tutte la lana) e dall’altra dalla possibilità di usare l’energia idraulica per la lavorazione.

IL CORTEO STORICO

la parte sud occidentale di Feltre dalle mura di porta Pusterla al borgo attorno alla Cattedrale di San Pietro. Port’Oria, ha l’ Arma d’oro all’aquila spiegata bicipite di nero dell’Impero. Il quartiere prende il nome dall’antica porta cittadina che guarda ad oriente. Nel suo territorio,sullo sperone roccioso del monte Miesna, si erge il santuario, eretto dai crociati nell’XI secolo, dei santi Vittore e Corona martiri, patroni della città. Santo Stefano, della famiglia Dal Corno, che possedeva un palazzo in via Mez30

zaterra, ha l’Arma di “rosso al corno da caccia d’oro”. Prende il nome dall’antica chiesa demolita nel 1800.

LA MANIFESTAZIONE

Non è una semplice rievocazione storica. Il premio non è un semplice drappo. Non è per un pezzo di stoffa che i quattro Quartieri della città si sfidano in prove di abilità per le quali si preparano per un anno intero. Il Palio di Feltre, che dal 1986 viene realizzato da artisti di fama internazionale, è un simbolo pregno di significati, un evento fortemente vissuto che nasce

La città di Feltre si veste d’antico. Il corteo del Quartiere è composto da portinsegna, alfieri, armigeri, paggetti, popolani e cavalieri; il tutto scandito dal rullo dei tamburi. L’attenzione di quanti guardano i figuranti del corteo storico, tende tuttavia ad accentrarsi sui costumi dei nobili del Maggior Consiglio della Città, che salgono con passo elegante per via Mezzaterra, che divide a metà la cittadella del centro storico. La nobiltà privilegiata che governava la Città di Feltre era composta di 70 rappresentanti di alto lignaggio; ogni Quartiere annovera tra le proprie fila quelli che storicamente hanno avuto la “residenza” nel centro cittadino del Quartiere o nei Rioni della Contrada. Lo studio di questi archetipi storici viene costantemente portato avanti dalle sarte dei singoli Quartieri, così come – per conto dell’Ente Palio – da Luisa Dalle Grave, che da tempo si occupa di confezionare gli splendidi abiti che poi fanno bella mostra di sé durante la sfilata. I primi studi sulla costumeria storica, ed il loro relativo confezionamento, vennero portati avanti agli albori del Palio dalla pittrice feltrina Marula Tarricone, che si ispirò alle iconografie locali per i vestiti dei rappresentanti della città dolomitica e ad esemplari veneziani per i delegati della Serenissima Repubblica di Venezia.


Tra passato e presente

IL PALIO DEI XV DUCATI D’ORO L’oggetto del desiderio, il tanto bramato e conteso premio dai Quattro Quartieri

di Feltrè è il “Palio”, quel drappo che dà il nome alla manifestazione storica agostana. PALIO, dal latino palium, è un panno,

ovvero una parte di tessuto pregiato e ornato, che già in epoca romana veniva dato come premio al vincitore di una gara. Il Palio di Feltre fu cucito nel 1979 dalla sarta Luigia Zaetta, assumendo questa forma sobria a fascia lunga verticale, voluta per una comoda ed armoniosa apposizione sia del disco lavorato in ottone, sia dei quindici ducati d’oro. La sua forma è rettangolare in verticale, misura in altezza mt.2,40 e cm.92 di larghezza, sul bordo superiore scorre un tondino in legno dalle cui estremità dipartono due cordoni che si agganciano alla lunga asta portante. Fu ideato e disegnato dall’artista feltrina Marula Tarricone, la stessa che ha operato precise ed attente ricerche storiche disegnando poi i primi costumi dei figuranti, le insegne di quartiere e bandiere. La scelta della stoffa del Palio si orientò al “broccato a disegno chiuso”, classico nel colore e fattura dell’epoca quattrocen-

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Tra passato e presente tesca, una stoffa solida nella trama e molto consistente. Sul Palio nella parte superiore, centralmente, è apposto un pregevole tondo in lamina di rame su supporto ligneo di cm.45,5 di diametro; lo sbalzo operato a mano, è opera dell’artista feltrina Fulvia Celli, pittrice e ceramista di fama internazionale. Riproduce lo stemma della Città di Feltre, ripreso dal testo antico della“Istoria della Città di Feltre” di Girolamo Bertondelli(1653). L’emblema civico riporta su cartiglio il motto della Città in latino: «QUAE SIMILIS HUIC OPPUGNATA FORTIOR DEPOPULATA PLENIOR ET LAURI “. A scaglione, sono disposti i “quindici ducati d’oro del premio ”come vuole l’evento storico. Per il conio dei ducati, si incaricò all’epoca il geometra Romano Nascimbene di Feltre, noto esperto e consulente di numismatica, il quale elaborò il conio

(solo per il recto) che rispecchia nel tondo centrale l’originale classica raffigurazione quattrocentesca del ducato veneziano: “San Marco che da l’investitura ducale al Doge”. La riproduzione del ducato misura mm.32 di diametro e mm.2 di spessore. I primi Palii dal 1980 al 1985 si svolgevano senza la gara dei cavalli, perché non vi era ancora una un sito adatto per la compe-

tizione equestre: nel 1985 venne attrezzata l’area verde in Prà del Moro e dall’anno successivo si corre la gara con i cavalli. Il Palio è stato in questo 2020 una vittima illustre dell’epidemia di Corona Virus. Sarebbe stato rischioso svolgere la manifestazione. Tutto era pronto e tutto sarà pronto il prossimo anno. Nel frattempo Feltre accoglie turisti ed amici. Meglio di giorno per ammirare le bellezze; la notte ha il suo fascino fatto però di mistero e sogni. Per lo sport non c’è solo l’hockey. Un sentito ringraziamento all’Ass. Palio di Feltre per la gentile e completa concessione delle fotografie.

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Fatti e misfatti di Armando Munaò

Le ODIOSE ACCISE

...“da una tantum a una semper” È oramai risaputo che le tasse sono le più odiose “gabelle” che quasi sempre, anzi senza il quasi, sono accettate solo “obtorto collo” dagli italiani. Se poi ci riferiamo ad alcune di esse, allora la cosa diventa un qualcosa di veramente fastidioso, illogico e per certi aspetti incomprensibile. Il voluto riferimento e per le “famigerate” accise che senza tema di smentita sono le tasse più odiate dai consumatori.

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e accise, per una definizione più precisa e descrittiva, comprendono sia le imposte di fabbricazione e sia quelle di consumo. Le prime scattano quando il prodotto ha completato il ciclo produttivo ed è pronto per essere messo in commercio. Le seconde si applicano dal momento in cui il prodotto viene effettivamente messo in vendita. Quindi, nel primo caso si tassa il prodotto, nel secondo l’uso del prodotto. In dettaglio, e nello specifico, le accise riguardano la fabbricazione o la vendita di carburanti (benzina, gasolio, GLP e metano, utilizzati e per l’autotrazione), oli minerali e derivati, tabacchi, alcolici, fiam-

miferi, energia elettrica, gas metano e oli lubrificanti. E’ utile però sottolineare che questa particolare tassazione non è una esclusiva italiana, ma esiste in tutto il mondo, specialmente in quei paesi non produttori di petrolio e affini. E anche in questi paesi, come nel nostro, si tratta di balzelli che ogni Stato utilizza per fare fronte a particolari esigenze ed emergenze di ogni genere e tipo. Tornando alla incidenza che esse hanno sul prezzo del carburante, va detto che in Italia il costo finale si compone di tre parti: il costo netto (che include anche il guadagno del gestore della pompa), l’Iva (22%) che viene calcolata non solo

sul prezzo netto ma anche sui vari balzelli, e infine, appunto, le accise. Ma quanto incidono queste particolari “gabelle” sul costo finale dei carburanti? Rifacendoci ad alcuni dati forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico, sia ha la seguente quantificazione: 1) benzina 728,40 euro ogni 1000 litri; 2) gasolio 617,40 euro per ogni litro; 3) GLP 267,77 euro per ogni litro; 4) metano 4,4 euro per ogni 1000 litri. Il calcolo percentuale delle accise ci specifica che attualmente incidono per circa due terzi del valore del carburante che acquistiamo (per la precisione, qualcosa in più per la benzina e qualcosa in meno per il diesel). Secondo gli ultimi dati riferiti alla fine del 2017 il totale delle accise, applicate ai vari carburanti, ha portato nella casse dello Stato una somma di poco inferiore ai 26 miliardi di euro alla quale deve essere aggiunta l’IVA. E sempre analizzando i numeri conosciuti, si evidenza che, negli ultimi 10 anni, le accise hanno visto un loro incremento di circa 5,5 miliardi ovvero il 27% in più che in precedenza. Ecco perché tutti i governi, nessuno escluso, hanno fatto, fanno e faranno certamente “fatica”, ad eliminare dal bilancio queste “inaccettabili”, ma facili entrate. Tornando all’origine delle accise, forse non molti sono a conoscenza che la prima di queste tasse sui carburanti, fu 35


Fatti e misfatti introdotta dal Regno d’Italia nel 1935 e serviva per finanziare la guerra in Etiopia. Nel maggio del 1936 la guerra è finita ma da allora e a distanza di 84 anni tutti noi la stiamo ancora pagando! E cosa dire di quella per il finanziamento della crisi di Suez del 1953? E il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze e a tutte le altre? Il ricorso a questo strumento, che sembrava essere “una tantum” ma che di fatto è diventato “una semper” ha visto un’accelerazione nel corso degli anni : in sessant’anni – tra il 1936 e il 1966 – sono state introdotte nove accise, le altre dieci in soli dieci anni ( tra il 2004 e il 2014). Nel solo 2011 ne sono state introdotte altre quattro e due nel 2014. Sommando poi il fatto che alle Regioni è concesso applicare ulteriori accise, è ancora da imputare l’imposta di fabbricazione sui carburanti e che va inoltre applicata l’IVA, si arriva a un importo totale di 85 centesimi per ogni litro di benzina acquistato. Ricordo bene, quando il 23 maggio 2014, il nostro presidente del consiglio Matteo Renzi aveva dichiarato che tutte le vecchie accise, specialmente quelle più ridicole, sarebbero state eliminate. Eppure a oggi, le accise sono ancora presenti, ci fanno l’occhiolino e, purtroppo per noi, incidono per oltre il 50% sul prezzo della benzina Certo, si può anche essere d’accordo sul fatto di stanziare alcune accise per le calamità naturali degli ultimi anni, ma farci ancora finanziare le guerre del 1935 o la crisi di Suez del 1956 a me pare una logica da fantascienza. La promessa “da marinaio, però non è stata fatta solo da Renzi bensì da tutti i governi che lo hanno preceduto. Per la cronaca e per quanto riguarda l’Unione Europea, l’Italia si attesta al secondo posto per il “caro accise” (solo i Paesi Bassi le hanno più elevate), mentre a livello mondiale siamo al quinto posto a parità con la Grecia. In conclusione c’è da precisare, per dovere d’informazione, che da quando è stato istituito il Testo Unico 36


Fatti e misfatti delle Accise (negli anni Novanta), le vecchie imposte di fabbricazione utilizzate per finanziare specifiche iniziative (guerre, ricostruzioni ed emergenza varie) sono state inglobate in una unica accisa indifferenziata, entrata nella fiscalità generale, senza più riferimenti agli scopi originali per cui erano state istituite. È quindi è letteralmente improprio affermare che stiamo ancora finanziando alcune vecchie decisioni governative (come la guerra d’Etiopia, la crisi di Suez e tutte le altre), ma di fatto, anche se hanno cambiato nome, sono costi che dal 1936 gravano ancora sugli italiani.

QUESTO L’ELENCO DELLE NOSTRE ACCISE 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9) 10) 11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19)

0,000981 euro: finanziamento per la guerra d’Etiopia (1935-1936); 0,00723 euro: finanziamento della crisi di Suez (1956); 0,00516 euro: ricostruzione dopo il disastro del Vajont (1963); 0,00516 euro: ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze (1966); 0,00516 euro: ricostruzione dopo il terremoto del Belice (1968); 0,0511 euro: ricostruzione dopo il terremoto del Friuli (1976); 0,0387 euro: ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia (1980); 0,106 euro: finanziamento per la missione del Libano (1983); 0,0114 euro: finanziamento per la missione in Bosnia (1996); 0,02 euro: rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004); 0,005 euro: acquisto di autobus ecologici (2005); 0,0051 euro: terremoto dell’Aquila (2009); da 0,0071 a 0,0055 euro: finanziamento alla cultura (2011); 0,04 euro: emergenza immigrati dopo la crisi libica (2011); 0,0089 euro: alluvione in Liguria e Toscana (2011); 0,082 euro (0,113 sul diesel): decreto “Salva Italia” (2011); 0,024 euro: terremoto in Emilia (2012) 0,005 euro finanziamento del “Bonus gestori” (2014) 0,0024 euro finanziamento del “Decreto fare” (2014) 37


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Storie di casa nostra di Waimer Perinelli

Le FIDANZATE d’ITALIA

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olitici importanti hanno spesso una vita affettiva tormentata. Amori segreti o volti noti, belle donne, desiderabili, da podio nei concorsi di bellezza. Non è possibile conoscere tutti gli amori della politica, ma alcuni non possono essere ignorati. Un posto in prima fila spetta a Benito Mussoli i cui occhi “erano di fuoco, fosforescenti” come li descrisse Rachele, la prima moglie, appena diciottenne, quando Benito la portò a vivere poco prima di partire per Milano a dirigere l’Avanti. Gelosissimo di Rachele, tanto da chiuderla a chiave in casa, la tradì ripetutamente. Nella città della Madonnina conosce e ama, Angelica Balabanof. Poi è a Trento dove ama ed è riamato Ida Dalser, che gli darà un figlio. Seguono, Margherita Sarfatti l’amante intellettuale, che avrebbe pagato il biglietto del treno con cui il futuro Duce, compì la “marcia su Roma”. Il gossip ci racconta poi di numerose donne, prese e lasciate. Ma a segnare il suo destino sarà Claretta Petacci fucilata assieme a lui a Dongo. Storie d’amore, passione e potere, sono anche quelle di Silvio Berlusconi. Come

ignorare i disinvolti amori del leader di Forza Italia. Tralasciamo le avventure sentimentali in qualche caso con escort e parliamo solo dei più significativi amori. La prima moglie Carla Elvira Dall’ Oglio da cui divorzia nel 1985 quando da almeno 5 anni “frequenta” Veronica Lario che sposa nel 1990. La loro unione, fra alti e bassi, dura fino al 2009. L’anno dopo conosce Francesca Pascale, lei 24 anni lui 73, da cui ufficialmente si è separato quest’anno. Ora, 83 anni, scampato al Covid, i più accreditati lo dicono fidanzato con la trentenne deputata Marta Fascina. Tra donne famose e passeggere, Berlusconi è senza dubbio il più ricco di “fidanzate” d’Italia. Il quotidiano Libero nel 2013 ne indicò approssimativamente 130. Ben lontani da questi record due protagonisti oggi della vita politica e dei giornali specializzati. Il primo piano nella classifica, non per numero ma per importanza, merita il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il Capo del Governo è uomo molto riservato e conduce vita irreprensibile. Ama le donne giovani e le sposa. La prima moglie è stata Valentina Fico, appartenente alla Roma “bene “, figlia direttore del Conservatorio Santa Cecilia. La compagna attuale è Olivia Paladino, di 15 anni più giovane, e figlia di Cesare Paladino, proprietario dell’Hotel 5 stelle Plaza di via del Corso, e di Ewa Aulin, attrice e cantante svedese. Conte ha avuto con Valentina Fico un ragazzo che oggi ha 11 anni. Olivia dal precedente matrimonio una figlia di 12 anni. Nelle riunioni di classe dei due ragazzi sarebbe sbocciato l’amore. Valentina e Olivia hanno in comune la giovane età e i capelli biondi. Amano vestirsi alla

moda e frequentano gli ambienti giusti. Un altro personaggio, ancora giovane e irreprensibile è Luigi Di Maio, “Giggino” per gli amici, ministro degli Esteri del governo Conte e già leader del Movimento Cinque Stelle. Nato ad Avellino il 6 luglio del 1986, è probabilmente il più giovane ministro passato dalla Farnesina. La sua vita sentimentale appare tutto il contrario di quella politica che inizia al liceo nel 2004. La storia d’amore è invece fresca della passata estate. Un fulmine a ciel sereno rivelato da Virginia Saba, giornalista ed assistente parlamentare della deputata pentastellata Emanuela Corda. La coppia Luigi-Virginia è stata immortalata poco tempo fa in Spagna. Del tutto casualmente dicono, scarsamente creduti, i due interessati. Virginia, nata nel 1982 a Selargius in Sardegna, intervistata da un settimanale nazionale, ha confessato di avere manifestato a Luigi il desiderio di diventare mamma. Il fidanzamento sarebbe ufficiale e smentirebbe ogni altra indiscrezione.

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Economia e finanza di Cesare Scotoni

RISTRUTTURARE: pubblico o privato ma TRASPARENTE

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ascio a chi legge il rispondere e sollevo tre questioni. 1) il Monopolio su alcuni beni è un modo per garantire delle Entrate ed un Controllo sulla presenza, prezzi e distribuzione di alcuni beni e quindi una forma di Sovranità che lo Stato esercita e, dopo decenni che si discute senza successo di “costi standard” in quella Sanità che prevede una gratuità delle prestazioni per il cittadino. Un servizio di equità di cui si dovrebbe rivalutare l’importanza visto che CONSIP ha mostrato su quello limiti evidenti ed i costi degli acquisti sono ancora oggi dei fattori di disparità. 2) gli oligopoli hanno ormai una dimensione sovranazionale e sono tradizionalmente legati a settori ad elevata intensità di capitale e, piuttosto che avere dei regolatori nazionali che rincorrono

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singole contestualità, sarebbe preferibile che il quadro normativo fosse uniformato a livello continentale, per evitare che i singoli players possano sfruttare, oltre ad un vantaggio dimensionale, le pieghe dei regolamenti e la debolezza già mostrata dai tanti oligopolisti nostrani. 3) il Cittadino è altra cosa dal Consumatore ed i suoi Diritti non rientrano solo tra quelli regolati in modo privatistico, per cui nel caso del Libero Mercato esso dovrebbe portare beneficio ai cittadini, attivi o già inattivi, lavoratori o imprenditori. E ciò prevede che vi sia una Convergenza tra ciò che è beneficio e ciò che è un vantaggio. Questa premessa, pur lunga, per sottolineare che lo spreco di Risorse Pubbliche ha un valore che va sempre ben oltre il danno erariale e che il Libero Mercato

Quante volte abbiamo sentito spiegare, fin dalla Scuola, l’organizzazione dei “mercati” distinguendo tra Monopolio, Oligopolio e Libero Mercato con un accento fin dall’inizio degli anni ‘80 su come quest’ultimo sia quello che riserva maggiori benefici? E più recentemente con la Crisi “da Deregulation” messa a nudo nel 2008 dalla vicenda Lehman Brothers, sentiamo invocare una sua maggiore regolamentazione? (che poi così libero non è) per poter esercitare quella “funzione regolatrice” che nasce dalla Concorrenza e che non può essere auto regolatomentativa, richiede alcuni attributi, primo dei quali la Trasparenza dei Meccanismi che lo rendono contendibile e pari opportunità di accesso alle Informazioni che lo determinano. Un esempio facile, stando la contingenza della detrazione al 110% sulle spese per l’efficienza energetica che è stata introdotta sull’esempio del precedente super ammortamento sugli investimenti. Una Pubblica Amministrazione, godendo magari di uno sconto sulle forniture dalla multiutility che poi lo girerà come costo su altri utenti, spreca acqua, luce e gas, con un impatto a bilancio che, pur con lo sconto rispetto ad un utente ordina-


Economia e finanza rio, non riduce il valore dello spreco di Risorse Naturali che sono Pubbliche. Vista la crisi ed una contrazione del gettito in una situazione del Debito Nazionale già compromessa, se non vi sono risorse il debito potrebbe essere una strada. Se però il mondo del Credito ha interesse a gestire il finanziamento ai privati e l’Amministrazione intende offrire quella opportunità al Libero Mercato perché l’Economia possa sfruttare l’abbrivio legato alla detrazione ed al “mercato” degli sconti in fattura e delle cessioni di credito, si può “creare” un Mercato che ieri non c’era. Purché questo sia però Libero, ovvero Trasparente e Contendibile. La Pubblica Amministrazione dovrà offrire alle Imprese e Professionisti tutte le informazioni tecniche necessarie ad individuare al meglio le opportunità più consone a ciascuno ed un processo trasparente per favorire e standardizzare

le Collaborazioni tra Pubblico e Privato. Importante poi è il valutare se in alcune proprietà pubbliche, i costi legati agli ammortamenti, in assenza di utilizzo di un bene e quindi come assets generatori di una perdita, non siano già una buona ragione per cercare occasioni di partnership per “muovere” un mercato dell’Edilizia. Si crea così quel Mercato Trasparente e Contendibile degli interventi sui Beni Pubblici in Collaborazione tra Pubblico e Privato come leva per far partire un’Economia in affanno. Dimenticando una volta

per tutte, la “Via Italiana” alle Dismissioni per fare cassa. L’ Ingegnere Cesare Scotoni è Consigliere di Amministrazione della Patrimonio Trentino spa.

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L’intervista di Franco Zadra

Unpli, ma che bella novità! Se c’è una cosa difficile da imparare – lo è sempre stata, ma in tempo di coronavirus è ancora più importante saperlo – è il distinguere tra due tipi di attesa. L’attesa che passi il brutto momento perché torni tutto come prima, e l’attesa aperta alla sorprendente novità di vita che si manifesta nell’affrontare proprio questo brutto momento. La differenza sta nello scegliere di vivere di nostalgia dei bei tempi che furono, o rimanere disponibili alla realtà che cambia senza arretrare di un passo nella propria disposizione a dare il meglio di se per continuare a esserci, comunque.

U

na lezione che Davide Praloran, da più di un anno presidente del Comitato Pro Loco Unpli Belluno, che annovera tra i suoi associati 56 Pro Loco e 7 Consorzi di Pro Loco, inserite in una realtà nazionale di oltre 6000 pro loco delle quali 548 sono in Veneto, successore di Espedito Pagnussat rimasto in carica per ben 18 anni, dimostra, nella più genuina modestia, di aver appreso.

42

Vale la pena di ricordare le sue prime parole da presidente. «Intraprendo questo incarico – aveva detto Praloran all’assemblea elettiva del 11 gennaio 2019 - con stimolo e come una sfida che richiede rinnovato impegno per le tante esigenze che hanno le nostre Pro loco. Continueremo nei progetti già intrapresi, ma vi sono anche molte novità. Intendo, con i tanti volontari, portare avanti le

convenzioni con i soci delle Pro loco bellunesi, la collaborazione con i Consorzi e anche fare visita ai vari sodalizi sui diversi territori per capire le necessità di ognuno. Ci interesseremo in prima persona al progetto della Dmo, ente designato per la gestione del turismo in provincia, egregiamente rappresentato per noi da Stefano Merlin». Dopo alcuni anni come vicepresidente delle Pro loco Bellunesi e presidente della Pro loco di Limana, in questo nuovo incarico Praloran è affiancato dal vice presidente, Daniele Cecchin (Pro loco Busche), da Elvio Cecchet (Pro loco Pedavena), e dalla riconfermata segretaria, Cinzia Bardin. «In Veneto siamo riconosciuti – dice Praloran – come il principale motore del turismo, nell’accoglienza del turista, nel promuovere e valorizzare i luoghi e i prodotti locali». Che questa promozione, pur con diverse modalità, continui comunque, anche in questo anno particolare, lo dimostrano gli eventi che le pro loco non smettono di riproporre, come, per esempio, Spettacoli di Mistero della Unpli Veneto, il festival culturale, giunto alla dodicesima edizione, dedicato ai luoghi, ai personaggi, alle storie, e alle tradizioni leggendarie e misteriose della regione, realizzato con il supporto e il sostegno della Regione del Veneto. Il direttore Artistico di Spettacoli di Mistero, Alberto Toso Fei, insieme al


L’intervista Gruppo di Lavoro recentemente rafforzato con nuove personalità del settore, ha reinterpretato il Festival, conformandolo con le recenti normative legate all’emergenza sanitaria e saputo riformulare gli eventi di questo Festival di novembre così da non perdere l’opportunità per trasmettere a quanti partecipano, una maggiore conoscenza e consapevolezza del territorio, attraverso la grande eredità della tradizione, parte importante del patrimonio culturale regionale, alla riscoperta dell’immaginario collettivo. A dicembre ci sarà poi Boschi di Natale, un’iniziativa ormai consolidata, promossa dalla Regione e da Unpli Veneto che, attraverso le visite guidate nei Parchi, Oasi Naturalistiche, Aree Boschive e Zone di pregio ambientale del territorio regionale, con degustazione di prodotti tipici, conduce i visitatori alla scoperta di luoghi affascinanti dal punto di vista naturalistico

e paesaggistico a ridosso del Natale, periodo in cui la natura si presenta davvero affascinante. Ancora, Identità Veneta è un concorso riservato alle scuole, giunto alla decima edizione, che si prefigge la «Tutela, Valorizzazione e Promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto», e che proprio durante il lock down ha dimostrato di saper conservare, immutato, lo spirito di appartenenza e la voglia di condivisione. Per le iniziative locali, vale la pena visitare il sito www.prolocobellunesi.it, attraverso il quale, il Comitato Pro Loco Unpli Belluno che, vale sottolinearlo, è una

libera associazione fondata sul volontariato, apartitica, indipendente da qualsiasi ideologia, e dotata di propria autonomia patrimoniale, aggiorna costantemente sulle iniziative che promuove in campo turistico, culturale, folcloristico, linguistico, enogastronomico, ambientale, ecologico, naturalistico, sportivo, e sociale.

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Pelo e contropelo di Armando Munaò

E’ davvero finita tre a tre? P

arafrasando un termine calcistico, le elezioni regionali hanno documentato che tra Centro Destra e Sinistra è finita con un pareggio: 3 a 3. Questo dicono le bandierine sistemate nelle sei Regioni chiamate al voto per eleggere o confermare i nuovi governatori.

Certo, sembrerebbe un pareggio, ma in realtà non lo è perché all’inizio della tornata elettorale le Regioni governate dalla Sinistra erano 4 contro le due della Destra. Ora i risultati ci dicono che una di queste, le Marche, per decenni della Sinistra, è passata al Centro Destra. E quindi pareggio non c’è stato. È finita 3 a 3 e la Sinistra, per “cantare” vittoria, una motivata ragione potrebbe anche avercela perché, prima del voto, in molti pensavano che il risultato elettorale

sarebbe finito 4/2, 5/1 se non addirittura con un 6/0 tennistico a favore di Salvini, Meloni & C.. Così non è stato e la Sinistra a ragione festeggia, ma non per una reale vittoria bensì per lo scampato pericolo che avrebbe causato uno sconquasso politico dentro le stanze del Governo e del PD. Per la verità, una vera e indiscussa vincitrice c’è stata: Giorgia Meloni che ha ottenuto un successo senza precedenti, Nicola Zingaretti impensabile alla vigilia. E, per la cronaca e secondo gli ultimi sondaggi, Fratelli d’Italia, è diventato il terzo partito in Italia, rado, “ondivago” e, per i più, incoerente dopo PD e Lega, accreditato di circa il comportamento. 16% di consensi elettorali. Apprendiamo “Ce l’abbiamo fatta”, ha detto Di Maio anche che Giorgia Meloni è stata eletta commentando il risultato del SI e del NO presidente dei Conservatori e riformisti referendario. Poco o niente dice, però, europei. È la prima italiana a guidare un sul fatto che in due anni circa i 5 Stelle partito europeo. Succede al ceco Jan hanno perso molti, moltissimi milioni di Zahradil, che è stato in carica per ben 11 voti. E se ciò è avvenuto sono del parere anni che i massimi esponenti dovrebbero Il Movimento 5 Stelle invece merita un chiederselo, con umiltà e onestà, con discorso a parte perchè per i grillini si è concretizzato un indiscutibile disastro elettorale che in alcune regioni ha di fatto quantificato il loro più che dimezzamento in termini percentuali, in altre addirittura ridotti ai minimi termini. Un risultato che dovrebbe fare riflettere i “grandi” capi del Movimento affinchè capiscano che gli elettori forse, e Centrosinistra magari senza forse, si sono stufati Centrodestra del loro, non di

2014

Matteo Salvini

Giorgia Meloni

44


Pelo e contropelo

2020

2020

Prima del voto

Centrodestra

Centrodestra

Centrosinistra

Centrosinistra

un serio, dovuto e accurato esame di coscienza, e magari anche con un sonante “mea culpa”. Predicare bene con i “vaffa” di “Grillina” memoria è facile, ma se poi si razzola male, questi sono i risultati che si ottengono nel tempo. Mi preme anche sottolineare che nel corso della lunga campagna elettorale, che ha preceduto il voto del 20 e 21 settembre, le posizioni di numerosi esponente del PD e del Centro Sinistra (e per la verità anche moltissimi giornalisti schierati) quasi sempre miravano non tanto ad un confronto su loro programmi e progetti specifici e su quelli del Centro Destra, quanto alla demonizzazione di questo schieramento e in particolare di

Luigi Di Maio

Dopo il voto

Salvini, Giorgia Meloni & C.. Su tutti, però, mi ha veramente colpito una delle tantissime frasi dette dal segretario PD Zingaretti quando ha urlato: “Noi siamo e saremo il vero baluardo all’avanzata delle Destre. E quindi italiani pensate bene a come voterete”. Rispetto l’opinione di Zingaretti, mi permetto, però, solo un piccola considerazione a lui rivolta e che certifica, al di la di ogni ragionevole dubbio, che non sono le Destre che avanzano bensì le Sinistre che indietreggiano e che i loro elettori, ad ogni tornata elettorale, fanno veramente fatica a sostenerli. Ne è d’esempio la Toscana, terra rossa per eccellenza, dove la candidata della Lega, Susanna Ceccardi, supportata da Forza Italia e Fratelli d’Italia ha chiuso con un 40,46%, una percentuale politicamente straordinaria in una terra da sempre governata dai “compagni” di ieri e di oggi. E, a conferma del mio scrivere, vorrei ricordare che nel 2014 il PD e tutta la Sinistra governava ben 16 regioni su 19 e la Destra soltanto 3. Dopo circa 6 anni la situazione si è completamente ribaltata a vantaggio delle Destre con una quantificazione che poco spazio lascia

alle discussioni: 13 a 6 prima del voto. E ora, dopo la tornata di settembre, 14 a 5 sempre per il Centro Destra. E allora mi domando e vi domando: sono le Destre che avanzano oppure è la Sinistra che continuamente perde terreno e posizioni politiche strategiche? Sono le Destre che per merito loro conquistano Regioni oppure è La Sinistra che perde continuamente consensi ed elettori, magari a causa del suo malgoverno? Vorrei ricordare, al segretario Zingaretti, che da sempre le partite e i confronti, di qualsiasi tipo e a qualsiasi livello, si possono vincere solo in due casi: per merito proprio o per demerito dell’avversario. La risposta al giudizio dei lettori.

Silvio Berlusconi

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A ciascuno il suo di Waimer Perinelli

Il pallone nel sacco: la politica nel pallone Caro direttore leggo il tuo editoriale elettorale contenente tanti riferimenti ai risultati calcistici e confermo l’impressione che i due mondi siano più vicini di quanto normalmente si pensi e si tema.

T

re a tre il risultato parziale della partita nazionale di settembre con il referendum ai tempi supplementari. Quattordici a cinque la classifica generale. Già il 22 settembre è iniziato il girone di ritorno e sono state aperte le scommesse sulla legge elettorale, nuove regole con la soglia percentuale del fuorigioco. Il Parlamento, il Governo: tutte partite da giocare. Speriamo con maggiore correttezza e civiltà di quanto accaduto prima e durante i giorni 20 e 21 settembre scorsi.. La disfida di fine estate, in particolare alle elezioni comunali, ha registrato una serie di scorrettezze, con insulti al limite della diffamazione, e in qualche caso, collaterali scontri fisici: prove muscolari e scarso utilizzo dei muscoli del cervello. Tutto questo mi ha ricordato il mitico Nereo Rocco, triestino, classe 1912, centrocampista ed attaccante della Triestina subito dopo la seconda Guerra Mondiale, poi allenatore della stessa squadra, del Padova e del Milan. Fu Rocco ad impor-

46

tare dalla Svizzera all’Italia il “catenaccio” ovvero la scelta difensiva estrema “Perché, diceva el Paron, primo obiettivo è non prendere gol, poi con un po’ di fortuna centrare la rete avversaria. In fondo, concludeva, el balon l’è tondo e rugola”. La sua regola era la modestia senza negare l’ambizione. Fu lui da allenatore del Milan a regalare ai meneghini due scudetti, tre Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, due Coppe delle Coppe, una Coppa Intercontinentale. Una sua battuta ha fatto sorridere almeno due generazioni di appassionati di calcio. Era il 1955 e, dopo varie esperienze Nereo era approdato in serie A con il Padova. Una squadra compatta, agguerrita, ma inferiore alle blasonate. E fra queste c’era il Milan. Una domenica, da non dimenticare, i padovani scendevano in campo contro i nero rossi. Lungo il corridoio che porta dagli spogliatoi al campo di gioco, una schiera di giornalisti e uno di loro, tifoso del Padova, disse

a Rocco “ In bocca al lupo! e aggiunse con enfasi: Vinca il migliore”. Nereo si fermò, lo guardò e borbottò: “Eh no, speremo de no!”. Un auspicio che nel calcio ci sta tutto, allo stadio siamo pronti ad accettare pur brontolando, che non vinca il migliore. Ma in politica dobbiamo essere più esigenti, maggiormente severi. La cosa giusta è che vinca sempre il migliore, dotato di senso civico, onestà intellettuale e morale, capacità di sintesi e dialogo. I tifosi stiano in curva, sostengano civilmente i preferiti, ma poi alla fine sappiano dialogare fra di loro deponendo le armi e riconoscendo, facendo ammenda, quando hanno superato i limiti imposti dal vivere civile. Solo così a vincere sarà tutta l’Italia e inizierà la difficile ma non impossibile partita amministrativa. Altrimenti la politica sarà nel “pallone” e la democrazia rischierà il cul de sac.


Pantone 484 C C M Y K

25,29 88,89 96,63 21,91

Pantone 484 C C 25,29 M 88,89 Y 96,63 K 21,91


SPECIALE ELEZIONI DATI ELETTORALI REGIONALI ANNO 2015 PARTITO

VENETO

AFFLUENZA

PUGLIA

TOSCANA

MARCHE

LIGURIA

CAMPANIA

57,15%

51,15%

48,28%

49,78%

50,68%

51,93%

VOTI

329,966

38.661

214.430

69.065

109.209

NP

PERCENTUALE

17,82

2.29

16,15

13.02

20,25

VOTI

308.438

316.876

614.869

186.357

138.257

443.879

PERCENTUALE

16,66

18,81

46,34

35.13

25,63

19,49

VOTI

192.630

275.114

200,771

100.202

120.219

387.546

PERCENTUALE

10,40

16,33

15,13

18,89

22.29

17,01

VOTI

110.573

181.896

112.658

69.884

68.286

405,773

PERCENTUALE

5,97

10.80

8,49

9.40

12,66

17,81

48.163

39.164

51.152

34.538

16.562

124,543

3.07

5,46

LEGA NORD

PARTITO DEMOCRATICO

MOVIMENTO 5 STELLE

FORZA ITALIA

FRATELLI D'ITALIA

VOTI PERCENTUALE

2,60

2,32 PAG

3,86

6.51

1

DATI ELETTORALI REGIONI ANNO 2018

CAMERA DEI DEPUTATI

PARTITO

VENETO

AFFLUENZA

PUGLIA

TOSCANA

MARCHE

LIGURIA

CAMPANIA

79,04%

69,01%

77,05%

77,03%

72,01%

71,03%

VOTI

560.625

135.125

371.396

153.742

171.352

85.162

PERCENTUALE

32,3

6,2

17,4

17,3

19,9

5,8

VOTI

280.283

298.710

632.507

189.724

169.766

209.939

PERCENTUALE

16,1

13,7

29,6

21,3

19,7

14,2

VOTI

414.990

981.580

577.013

316.417

259,264

659.143

PERCENTUALE

23,9

44,9

24,7

35,5

30,1

44,5

VOTI

186.956

409.401

212.281

88.163

108.907

272.779

PERCENTUALE

10,8

18,7

9,9

9,9

12,6

18,4

VOTI

77.926

82.098

89.093

43.431

32.517

65.823

PERCENTUALE

4,5

3,8 PAG

4,2

4,9

3,8

4,4

LEGA NORD

PARTITO DEMOCRATICO

MOVIMENTO 5 STELLE

FORZA ITALIA

FRATELLI D'ITALIA

48

1

VALLE D'AOSTA


SPECIALE ELEZIONI DATI ELETTORALI EUROPEE ANNO 2019 PARTITO

VENETO

AFFLUENZA

PUGLIA

TOSCANA

MARCHE

LIGURIA

CAMPANIA

VALLE D'AOSTA

63,70%

49,80%

65,80%

62,10%

58,50%

47,60%

51,91%

VOTI

1.234,610

403.424

588.727

291.061

251.696

419.623

18.525

PERCENTUALE

49,88

25,29

31,48

37,98

33,88

19,21

37,17

VOTI

468.789

265.412

622.934

170.596

185.260

417.396

8.083

PERCENTUALE

18,94

16,64

33,31

22,26

24,94

19,11

16,22

VOTI

220.429

419.344

237.109

141.239

122,536

739.542

4.830

PERCENTUALE

9,91

26,29%

12,68

18,43

16,49

33.85

9,69

VOTI

149.636

177.303

108.793

42.381

57.887

298.254

2.684

PERCENTUALE

6,05

11,11

5,82

5,53

7,79

13,65

5,38

167.394

141.865

92.233

44.644

42.118

127.254

1.618

8,89 PAG

4,93

5,67

5,82

3,25

LEGA NORD

PARTITO DEMOCRATICO

MOVIMENTO 5 STELLE

FORZA ITALIA

FRATELLI D'ITALIA

VOTI PERCENTUALE

6,76

5,83

1

DATI ELETTORALI REGIONALI ANNO 2020 PARTITO

VENETO

AFFLUENZA

PUGLIA

TOSCANA

MARCHE

LIGURIA

CAMPANIA

VALLE D'AOSTA

61,14%

56,43%

62,64%

59,69%

53,46%

55,54%

68,38%

VOTI

348.187

160.507

351.976

139.414

107.371

132.999

15.837

PERCENTUALE

16,95

9,57

21,78

22,38

17,14

5,64

23,9

VOTI

244.769

289.188

560.981

156.358

124.586

398.382

10.106

PERCENTUALE

11,91

17,25

34,71

25,10

19,89

16,91

15,24

VOTI

55.240

165.243

113.386

44.325

48.722

233.875

2.589

PERCENTUALE

2,69

9,86

7,02

8,6

7,78

9,92

3,91

LEGA NORD

PARTITO DEMOCRATICO

SANSA+ARTUNO

MOVIMENTO 5 STELLE

FORZA ITALIA

con

con UDC

VOTI

73.224

149.399

69.216

36.709

33.040

121.657 Fratelli

PERCENTUALE

3,56

8,91

4,28

5,89

5,27

5,16 d'Italia

FRATELLI D'ITALIA

VOTI PERCENTUALE

FORZA ITALIA

196.261 9,60

211.693

218.161

116.196

12,63 PAG

13.50

18,66

1

68.062

140.836

3.761

10,87

5,98

5,68

49


Elezioni Regionali 2020 di Nicola Maschio

Chi governa, non governa: ecco il quadro italiano completo dopo le elezioni regionali 2020

P

er semplificare, in un primo momento potremmo dire che il conteggio finale è di 3 a 3. Centro-destra e Centro-sinistra si distribuiscono uniformemente le elezioni regionali 2020, con alcune vittorie scontate ed altre che invece, almeno sulla carta, non lo erano affatto. Partiamo dal risultato che più di tutti ha sentenziato una vittoria senza appelli: Luca Zaia stravince e (stra) convince, con quasi due milioni di voti a favore (1.883.959 per la precisione) ed una percentuale di consensi pari al 76,79%. A nulla sono valsi i tentativi di Arturo Lorenzoni (centro-sinistra, 15,72%) ed Enrico Cappelletti (Movimento 5 Stelle, 3,25%) di recare un qualche “disturbo” alla cavalcata trionfale di Zaia, il quale ha per l’appunto raggiunto un risultato che non ammette repliche. Anche in Campania, con la vittoria di Vincenza De Luca, il centro-sinistra ha confermato le sensazioni pre-elettorali: quasi il 70% dei cittadini ha infatti premiato l’attuale governatore campano (un totale di 1.789.017 voti), numeri in grado di abbattere la concorrenza di Stefano Caldoro (centro-destra, 18,06%) e della pentastellata Valeria Ciarambino (9,93% di consensi). Cambiando nuovamente sponda, Giovanni Toti si conferma alla guida della Regione Liguria, affermando la supremazia del centro-destra grazie al 56,13% di voti riscossi (383.053 complessivamente), staccando Ferruccio Sansa (centro-sinistra e Movimento 5 Stelle, fermatosi al 38,90%) e Aristide Massardo (2,24%). Riconferme anche in terra pugliese, con Michele Emiliano del centro-sinistra abile nel portare a casa un 46,78% che, al netto dei primi sondaggi che lo davano sconfitto, ha ribaltato la

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situazione a proprio vantaggio staccando di otto punti percentuali il rivale Raffaele Fitto del centro-destra (38,93%); risultato arrivato non senza qualche sorpresa, tant’è che lo stesso Emiliano ha confessato di “Aver avuto paura di perdere” terminata la tornata elettorale. Tuttavia, il risultato più eclatante della nostra Penisola arriva dalle Marche, dove il candidato di centro-destra Francesco Acquaroli è stato eletto primo presidente di tale orientamento politico alla guida della Regione. Sono serviti ben 361.186 voti per proclamare Acquaroli vincitore, numero che gli ha permesso di terminare la propria volata con un discreto vantaggio sul diretto rivale di centro-sinistra, Maurizio Mangialardi (37,29% ovvero 274.152 voti). Un’elezione già passata alla storia per il proprio risultato, nonostante il Partito Democratico si sia attestato come maggiore forza della Regione (25%), seguito però a ruota dalla Lega (22%) e dalla percentuale record di Fratelli d’Italia (18%), sempre più ago della bilancia in termini di coalizioni. Merito comunque anche del lavoro svol-

to dal Carroccio di Matteo Salvini, che in appena cinque anni (dal 2015 al 2020) ha visto aumentare la propria percentuali di consensi dal 13,2% al 22,38%, limitando la concorrenza del Partito Democratico (dal 35,13% al 25,10%) ed affossando quasi completamente la presenza dei 5 Stelle (dal 18,89% del 2015 all’8,9% del 2020), senza dimenticare l’incredibile apporto di Fratelli d’Italia che dal 6,51% ha addirittura triplicato il proprio elettorato (18,66%). È tuttavia un quadro alquanto insolito quello che si delinea oggi, al termine di questo nuovo appuntamento elettorale: nonostante infatti la spinta del centro-sinistra proveniente dal Governo nazionale, quest’ultimo vede i propri rappresentanti al vertice in sole cinque Regioni nel nostro Paese (precisamente Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Puglia), mentre sono ben 14 le realtà governate dal centro-destra (ultimi in ordine cronologico i passaggi, tra il 2018 ed il 2019, di Molise, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e le due Province Autonome di Trento e Bolzano).


SPECIALE ELEZIONI

o

I GOVERNATORI ELETTI GOVERNATORE

2020

SECONDO

TERZO

STEFANO CALDORO

VALERIA CIARAMBINO

CENTRO DESTRA

M 5 STELLE

VOTI 1789017

464.921

255.714

69,48%

18,06%

9,93%

LIGURIA

FERRUCCIO SANSA

ARISTIDE MASSARDO

GIOVANNI TOTI (CENTRO DESTRA

CENTRO SINISTRA+ M5S

PSI+EUROPA+IV

VOTI: 383053

265.506

16.546

56,13%

38,90%

2,42%

MAURIZIO MANGIALARDI

GIANMARIO MERCORELLI

CENTRO SINISTRA

CIVICA+M5S

VOTI: 361.186

274.152

63.355

49,13%

37,29%

8,62

RAFFAELE FITTO

ANTONELLA LARICCHIA

CENTRO DESTRA

M 5 STELLE

VOTI: 871028

724.928

207.038

46,78%

38,93%

11,12%

SUSANNA CECCARDI

IRENE GALLETTI

CENTRO DESTRA

M 5 STELLE

VOTI: 863.611

718.605

113.692

48,62%

40,46%

6,40%

VENETO

ARTURO LORENZONI

ENRICO CAPPELLETTI

(CENTRO DESTRA)

CENTRO SINISTRA

M 5 STELLE

VOTI: 1.883.959

385.768

79.662

76,79%

15,72%

3,25%

CAMPANIA VINCENZO DE LUCA

(CENT. SINI.)

MARCHE FRANCESCO ACQUAROLI (CENTRO DESTRA)

PUGLIA MICHELE EMILIANO (CENT. SINI.)

TOSCANA EUGENIO GIANI (CENTRO SINISTRA)

LUCA ZAIA

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FELTRINO NEWS - Mensile d’informazione distribuito in tutti i comuni del Feltrino

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In “filigrana” di Nicola Maccagnan

Referendum sul taglio dei parlamentari, gli Italiani dicono “sì”. Sarà vera gloria (ovvero riforma)? I numeri, si sa, contano. Almeno quelli non sono, in teoria, opinabili. E in una consultazione popolare, un’elezione diretta o un referendum contano ancora di più. Che cosa ci dicono dunque, questi numeri, del referendum costituzionale degli scorsi 20 e 21 settembre?

I

“sì”, ovvero i favorevoli alla riforma costituzionale sul taglio dei parlamentari, si sono imposti a larga maggioranza, quasi il 70% dei votanti, ma questo era ampiamente prevedibile, visto che quasi tutto lo scacchiere politico, almeno nei proclami ufficiali della vigilia, si era detto a favore. Per quanto riguarda casa nostra, la provincia di Belluno, dove la percentuale dei favorevoli - pur superiore al 50% - è stata la più bassa d’Italia, il risultato è stato assai meno plebiscitario. La Camera dei Deputati passerà quindi da 630 a 400 esponenti; il Senato della Repubblica da 315 a 200. Meno 345 teste o meglio, come ha sostenuto in questi mesi una fetta dei promotori del “taglio”, di pance da riempire. Risparmio totale per le casse dello Stato, ovvero per i contribuenti italiani? Circa 100 milioni di euro all’anno secondo alcuni promotori del referendum, poco più della metà secondo l’Osservatorio di Carlo Cottarelli, uno che di “numeri” se ne intente abbastanza. Cottarelli fa infatti riferimento ai soli introiti netti dei parlamentari e non già al lordo (in cui sono ricompresi tasse e contributi previdenziali che costituiscono per le casse statali quella che si definisce una partita di giro). Insomma, secondo sempre il nostro Cottarelli, il risparmio effettivo finale per

gli italici costi della politica, e quindi per le casse statali, sarebbe pari allo 0,007% della spesa pubblica nazionale. “Poca roba, propaganda a buon mercato”, secondo i detrattori della riforma, che si chiedono: “Non sarebbe ad esempio molto più incisivo - sia sul piano economico che della qualità finale dei lavori – riparametrare le retribuzioni dei parlamentari in base alle loro effettive presenze in aula e alla quantità e qualità del loro operato?”. “Comunque, finalmente, un taglio ed un risparmio, un inizio e l’avvio di un percorso virtuoso”, secondo invece i sostenitori del referendum, che brindano alla caduta della prima pietra di un totem monolitico. Sin qui i numeri che si vedono. Ci sono però anche delle cifre che occorre guardare in controluce, o…in filigrana se preferite, soprattutto in ordine agli effetti che la riforma produrrà. I sostenitori del “sì” sbandierano da tempo il fatto che un numero di parlamentari ridotto di oltre un terzo darà ai lavori d’aula un ritmo più snello e veloce, organismi più agili, inutili ridondanze. I contrari ribattono che in verità, restando immutato il bicameralismo “perfetto” (ovvero quello per cui entrambi i rami del Parlamento fanno sostanzialmente le stesse cose) cambierà molto poco. Anzi, aggiungo

questi ultimi, si profilano alcuni rischi di non poco conto per l’effettiva rappresentanza democratica, con i territori marginali (come quello Bellunese) destinati a “contare” ancora e sempre meno. Guardando un poco oltre, volendo, si scorgono altre insidie, ad esempio quella data dal fatto che le segreterie di partito, già potentissime, potranno così controllare ancora più facilmente (con o senza listini bloccati) i “loro” parlamentari, oramai spesso lontani da un rapporto di relazione con le comunità dei territori. Si starebbe insomma instaurando, secondo i detrattori della riforma, una sorta di cortocircuito della casta per alimentare se stessa. Staremo a vedere, potremmo concludere con formula non proprio originalissima. Che questo sia un inizio è auspicabilmente vero; che sia una riformina (o riformicchia, sostengono i più salaci) dagli esiti tutti da valutare, probabilmente altrettanto. Sul fatto che questo Paese abbia bisogno di riforme radicali, vere, concrete, coraggiose e profonde a parole sono tutti d’accordo, da decenni. E allora speriamo che, una volta tanto, la montagna non partorisca il topolino. Tutto tricolore, naturalmente.

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Tra passato e presente di Katia Cont

LA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA COMPIE 77 ANNI

O

rganizzata tradizionalmente tra la fine del mese di agosto e l’inizio di settembre, la Mostra del Cinema di Venezia è giunta quest’anno alla sua 77esima edizione. Primo tra i festival di prestigio (e seconda manifestazione cinematografica dopo gli Oscar), la Mostra nacque nel 1932 nell’ambito della XVIII Biennale d’arte, con la denominazione di “Esposizione internazionale d’arte cinematografica”. La prima edizione, non competitiva, si svolse dal 6 al 21 agosto sulla terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia, ma il concorso (con Coppa Mussolini per il miglior film della kermesse) fu introdotto a partire da quella successiva, organizzata nel 1934. Diventata manifestazione annuale l’anno seguente, nel 1936 la Mostra del Cinema di Venezia vide un’altra ‘prima volta’, quella della giuria internazionale. Nella storia della manifestazione non sono però mancati periodi di crisi, come quello dal 1969 al 1972, e successivamente nel 1979, anno nel quale l’edizione tornò ad essere nuovamente una rassegna non competitiva, mentre dal 1973 al 1978 non fu nemmeno organizzata. I premi tornarono solo nel 1980, con la vittoria ex aequo per “Atlantic City, U.S.A.” e “Una notte d’estate – Gloria”. Da allora sono passati 40 anni: oggi il premio che viene assegnato al Lido, il Leone d’Oro, è considerato uno dei più importanti dal punto di vista della critica cinematografica, al pari di quelli delle altre due principali rassegne cinematografiche europee, la Palma d’Oro di

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Tra passato e presente

Cate Blanchett (da Wikipedia.it)

Alessandro Gassman (da Wikipedia.it)

Pierfrancesco Favino (da Wikipedia.it)

Cannes e l’Orso d’Oro di Berlino. Fino al 1942, il massimo riconoscimento della rassegna era la Coppa Mussolini, destinata sia al miglior film italiano che a quello straniero. Attualmente, invece, i principali riconoscimenti assegnati al termine della Mostra del Cinema di Venezia sono il già citato Leone d’Oro, assegnato per il miglior film, il Leone d’Argento (Gran premio della giuria e Premio speciale per la regia) e la Coppa Volpi per il miglior attore e attrice. La 77 esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia si è svolta al Lido dal 2 al 12 settembre scorso, nello storico Palazzo del Cinema sul lungomare Marconi e in altri edifici della città lagunare. Le padrone di casa, Cate Blanchett (presidente della giuria internazionale) e Anna Foglietta (presentatrice), hanno accompagnato il pubblico tra il film d’apertura, “Lacci” di Daniele Luchetti, e quello di chiusura, “Lasciami andare” di Stefano Mordini. Come ogni manifestazione che si rispetti, anche quella di quest’anno ha suscitato non poche polemiche, tra i giurati e i critici cinematografici, tanto da essere stata addirittura definita come l’edizione che ha riservato uno dei verdetti più sgangherati e disarmanti della storia. Non è infatti piaciuta l’assegnazione del Leone d’Oro al film “Nomadland” della regista cinese trasferita a quindici anni negli Usa, Chloé Zhao, che ha come protagonista Frances McDormand, famosa tra le altre cose per “Fargo” e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Tratto da un libro di Jessica Bruder, il film è ambientato nel Nevada e racconta il mondo dei nomadi, viaggiatori per scelta o per necessità, che sui loro camper o van attrezzati attraversano il Paese. Il film è stato in seguito criticato dalla stampa e dai cineasti come un qualunque filmetto occidentale d’essai, ottimamente recitato ma diretto da una regista che sembra chiedersi solo se è meglio inquadrare un tramonto oppure scegliere l’alba. Viene da pensare che le critiche non han-

no tenuto conto delle reali motivazioni che stanno alla base di questi premi. Se analizziamo i 2 premi più importanti sono stati assegnati forse non a caso, a due film pieni delle ombre del presente come Nomadland appunto e, e Nuevo Orden di Michel Franco (Leone D’Argento - Gran Premio della Giuria) che più che un film distopico sembra un’opera sul domani, sui possibili scenari del dopo-Covid. Una guerra tra ricchi e poveri piena di sangue. Per quanto riguarda il nostro Paese, l’Italia, esce da questo festival stringendo due premi importanti: il primo a Pietro Castellitto, regista esordiente per “I predatori”, come premio per la miglior sceneggiatura nella sezione Orizzonti, e il secondo a Pierfrancesco Favino, attore e produttore di “Padrenostro”, in cui è l’alter ego del padre del regista Claudio Noce, che si è ispirato all’attentato subito da suo padre, il vicequestore Alfonso Noce negli Anni di piombo. A Favino una Coppa Volpi decisamente meritata. Altri riconoscimenti sono andati ad Emma Dante, in concorso con Le Sorelle Macaluso, film premiato per l’intero cast al femminile, e ad Alessandro Gassman per la migliore interpretazione maschile nell’opera prima di Mario Mancino, “Non Odiare”, in occasione della Settimana internazionale della Critica, che accompagna il Festival. Si può dire che un mare di critiche è piovuto addosso alla giuria di questo Festival del Cinema, che ha però funzionato dal punto di vista organizzativo, in un periodo caratterizzato dal distanziamento sociale e dalla presenza dei vip in mascherina sul red carpet. Ci si potrebbe però fermare a riflettere sulle ragioni che spingono i giurati a privilegiare il glamour al posto delle competenze e delle tematiche trattate, togliendo di fatto al cinema la sua funzione principale, ossia quella di far riflettere.

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Risate senza tempo di Veronica Gianello

GUARESCHI

Il “Don Camillo e Peppone” “Le dittature fanno apparire grandi le piccole cose, l’umorismo fa l’esatto contrario”, affermò in un’intervista Guareschi, perfetto ritratto di un genio libero da vincoli, schieramenti e risentimento post-bellico. In questo pensiero risiede la forza più grande di quest’uomo: il suo essere provinciale per nascita ma soprattutto per scelta e al contempo aperto al mondo. Solo da una visione ampia e approfondita di ciò che sta fuori dai nostri confini si può creare il cambiamento. Guareschi fu innovatore e visionario. Fu tante cose, ma soprattutto fu, in maniera naturale e vera, un grande umorista.

F

u grande perché il suo “regime della risata” era fatto di sostanza e quotidiano, era un umorismo utile alla comunità. Egli stesso ha sempre affermato che il compito dell’umorista dev’essere innanzitutto quello di porsi nel presente ma con uno sguardo al futuro poiché proprio a lui spetta il compito di mettere in guardia le persone. L’umorista deve avere una funzione civile e una responsabilità che non sempre è scontata in chi di mestiere fa ridere la gente. Parlare di Guareschi solo in questi termini tuttavia sarebbe riduttivo. Lui, uomo libero che mai accettò compromessi, e che per questa sua indipendenza fu soggetto di diverse condanne, tra cui l’internamento militare nei campi tedeschi e polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma Guareschi fu anche scrittore e da questa esperienza regalò al mondo piccole perle letterarie tra cui su tutte va ricordata La Favola di Natale. “Non abbiamo vissuto come i bruti”—racconta l’autore in un intervista dopo il suo rilascio—“Noi prigionieri non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo. La fame, la sporcizia, il freddo, le malattie, la disperata nostalgia delle nostre mamme e dei nostri figli, il cupo dolore per l’infelicità della nostra terra non ci hanno sconfitti. Non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, con un passato e un avvenire”. Proprio

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da questa fede nell’avvenire e dalle solide radici, Guareschi riesce a ricostruirsi una vita, fatta, da quel momento in poi, soprattutto di giornalismo, ma ancora di più: fu fatta di un’idea messa su carta, diventata poi un successo. Quell’idea si intitolava Don Camillo. Dice l’autore: “Così vi ho detto, amici miei, come sono nati il mio pretone e il mio grosso sindaco della Bassa emiliana. [...] Chi li ha creati è la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto.” La naturalezza nella stesura di questa serie di racconti è dichiarata dall’autore che, come molti altri, ha bisogno dell’arte e delle parole per ridare ordine e coraggio alla dura vita del dopoguerra. Siamo nel 1948, e I racconti di Don Camillo segnano l’inizio del ciclo di Mondo Piccolo, ambientato

in un paesino di campagna indecifrato in quella Bassa pianura emiliana che si stende ai lati del fiume Po, un microcosmo dove Guareschi incentra le vicende sui due protagonisti: don Camillo, il parroco, e il sindaco comunista (nonché meccanico del paese), Peppone, amici-nemici nell’Italia segnata dai


Risate senza tempo conflitti del primo dopoguerra. La storia si costituisce di tanti episodi, pubblicati prima sul settimanale umoristico Candido, fondato, insieme a Giovanni Mosca, dallo stesso Guareschi. Successivamente vennero raccolti in otto libri, dei quali solo i primi tre pubblicati quando l’autore era ancora in vita. È subito un grande successo, che troverà la consacrazione definitiva con la trasposizione cinematografica del 1952 che, grazie ai volti dei noti attori Fernandel e Gino Cervi, farà entrare, con affetto, Don Camillo e Peppone nell’immaginario collettivo. Politica e Chiesa si intrecciano tra le pagine e sullo schermo in maniera unica e, ancora una volta innovativa. Le sfaccettature di un paese, che potrebbe essere uno qualunque, raccontano l’eterna lotta tra le due parti che spesso sono complementari: Don Camillo è un prete grande e grosso, poco incline ad essere inquadrato negli stereotipi del prete di provincia, molto incline invece all’uso della forza fisica e di un linguaggio diretto. Un prete che possiamo definire in qualche modo “politicizzato”, che esce dalle mura sicure dalla sua Chiesa per consigliare e guidare “quel testone del sindaco”. Il sindaco Peppo-

ne, a sua volta, non è quasi mai descritto solo come primo cittadino. Certo, la sua ammirazione per il comunismo è cosa nota, ed è ciò che più di tutte preoccupa e infastidisce Don Camillo, eppure dietro al politico, all’istituzione, a quei baffi folti e allo sguardo burbero, c’è un uomo con una grande fede, che rispetta il Signore e ad egli si affida per

essere uomo, padre e sindaco migliore. Il rapporto con Dio che passa attraverso fedeli e ministri terreni è completamente nuovo: spesso vengono eliminati filtri e barriere, e lo stesso Signore interviene nella quotidianità di Don Camillo rompendo quel sacro confine tra cielo e terra. Il sacerdote infatti parla con Dio attraverso il crocefisso della chiesa. Lo fa sempre con grande rispetto e umiltà, tuttavia l’intimità e l’esclusività di questo rapporto riporta a un ambiente amicale. Questo particolare infastidì parecchio una parte della comunità cristiana che additò Guareschi come peccatore e paragonò i dialoghi con Dio alle bestemmie. Anche questa critica non toccò minimamente l’autore, ormai affermato e tradotto in tutto il mondo, che continuò a farsi compagnia con i suoi due amici e compaesani fino alla morte. Non avrebbe potuto immaginare, forse, che la grandezza che risiede nell’unicità, nella semplicità e nell’onestà della sua arte avrebbero continuato a vivere e ad essere riproposte con invariato affetto anche nelle generazioni future.

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Conosciamo le aziende di Armando Munaò

Lattebusche fonte di vita Dalla nascita al Bar Bianco

E

ra il 1962 quando Federico Fellini diresse l’episodio “Le tentazioni del signor Antonio” nel film Boccaccio Settanta. I diversamente giovani ricordano certamente Anita Ekberg, procace attrice svedese, provocare il povero Antonio e promuovere indirettamente il latte. Diceva la canzoncina, con musiche di Nino Rota: “Bevete più latte, il latte fa bene, il latte conviene a tutte le età.....” A Busche, in provincia di Belluno, ai piedi del Parco delle Dolomiti Bellunesi, alla Latteria Sociale Cooperativa della Vallata

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Feltrina di Cesiomaggiore(nata nel 1954 su iniziativa di 36 soci), già conoscevano il valore del latte, che raccoglievano e lavoravano. Da quella positiva esperienza nasce Lattebusche, il cui primo presidente è stato Mario Domenico Turrin (oggi è Augusto Guerriero). Attualmente Lattebusche opera in sei unità produttive localizzate nel Veneto: Busche (BL), Chioggia (VE), Sandrigo (VI), San Pietro in Gù (PD), Camazzole (PD) e Padola (BL).I punti vendita denominati “Bar Bianco” sono visitati da oltre 1 milioni di clienti l’anno. Trecento gli addetti e 6stabilimenti. Gode di ottima salute. Ne parliamo con il dott. Antonio Bortoli, che da 46 anni (con 3 presidenti) è direttore di Lattebusche. Direttore, dal 1954 Lattebusche ha fatto decisamente una inarrestabile crescita quantitativa e qualitativa. A Suo avviso quali sono stati gli elementi propulsivi che hanno determinato questa evoluzione?

Quando questa struttura, soprattutto a metà degli anni settanta ha incominciato a crescere poteva farlo solamente in due modi: qualità e innovazione. Intanto essendo piccolissima non poteva pensare a economie di scala e quindi alle grandi quantità. Noi siamo stati la prima azienda in Italia a pagare il latte ai produttori in base alla qualità con parametri ben definiti. Di poi l’innovazione: i colori, per esempio, con i quali abbiamo contraddistinto alcuni nostri prodotti, la trasformazione del marchio aziendale, nel 1980 l’azzurro e il viola nel latte sino a quel momento era impensabile. E saranno questi due colori che caratterizzeranno la storia di Lattebusche. Tornando all’innovazione mi preme sottolineare che ha coinvolto tutta la movimentazione interna all’azienda, negli impianti, nella tecnologia, nella volontà di fare acquisizioni. Con il passare degli anni abbiamo fatto 23 fusioni e incorporazioni, ma sempre mantenendo il marchio Lattebusche e per


Conosciamo le aziende

uscire dai nostri confini abbiamo comprato un’azienda privata, il Latte Monte di Montebelluna. Allora avevamo cominciato con una piccola produzione arrivando poi con prodotti innovativi, quali il gelato, prodotti DOP come il grana, l’asiago, il montasio e così via. A suo parere quanto sono importanti la formazione del personale e la competenza specifica per ottenere un prodotto di ottima qualità e gusto? La formazione e la competenza a volte sono sinonimo di operare non solo nella conoscenza del proprio mestiere, ma anche nella tradizione del luogo dove l’azienda s’insedia. Mi ricordo che in nostro primo casaro era del Comelico e aveva la vera concezione della produzione casearia di montagna e poi, insieme con mio padre che proveniva da altra zona, hanno messo assieme le due esperienze e sono riusciti a fare un formaggio assolutamente innovativo con le caratteristiche di sapore e gusto come possono essere altri stagionati, ma senza il piccante. E quindi veramente appetibile. Direttore, si sta riferendo al prodotto della tradizione bellunese?

Sì. Mi riferisco al Piave DOP. E’ un prodotto che da 10 anni, ha ottenuto la DOP a livello comunitario, anche se questo formaggio è nato a metà degli anni ‘60 tant’è che alla fine di quegli anni veniva esportato in Svizzera dove vivevano i nostri emigranti: il formaggio era caratterizzato da un cappello di alpino stilizzato e dal colore rosso. Prodotto, territorio-ambiente quale relazione con Lattebusche? Per quanto riguarda il discorso ambientale, mi permetta di sottolineare, che siamo la prima azienda in Italia nel settore lattiero-caseario a farsi certificare con l’ISO 14.000 quindi con norme più stringenti della normativa vigente che riguardano l’ambiente, ovvero emettendo e scaricando di meno e utilizzando fonti rinnovabili. Ed è anche per questo che non solo siamo sempre alla ricerca di soluzioni e innovazioni tecnologiche e gestionali utili a migliorare i processi produttivi, ma anche di ottimizzare i nostri consumi per preservare e mantenere l’ambiente naturale che ci circonda. Di poi, essendo noi parte di questo territorio, siamo concretamente impegnati a supportare iniziative sportive, culturali, di solidarietà e volontariato che promuovano una crescita comune. Lattebusche raccoglie giornalmente il latte che utilizza poi per la produzione dei vari prodotti? Sì è vero. Noi utilizziamo esclusivamente il latte dei nostri soci (circa 400 per la cronaca) perché abbiamo creato delle filiere tutte protette e certificate che nello specifico riguardano il latte alta qualità, il distretto del biologico, il disciplinare del formaggio Piave, Asiago, del Grana Padano e del Montasio. E tutto il latte fresco viene lavorato vicino all’azienda agricola di raccolta osservando tutti i

parametri chimico-fisici e igenico-sanitari di legge. Gli ultimi studi economici dicono che il Covid ha penalizzato circa il 90% delle aziende nei diversi settori. Lattebusche come ha vissuto questo periodo? In maniera traumatica, sia sotto l’aspetto emotivo e sia sotto quello economico. Noi ci siamo sentiti una grossa responsabilità essendo produttori di alimenti. Prima che venissero certe imposizioni governative abbiamo in pratica sigillato gli stabilimenti, mantenendo la manutenzione degli impianti e la vendita nel rispetto delle norme. Lattebusche cosa ha nel suo futuro? Noi siamo cresciuti facendo delle acquisizioni e quindi, nella nostra logica aziendale, crediamo molto nelle fusioni o collaborazioni, magari con strutture più grosse, ma sempre nel rispetto delle piccola realtà produttive. Che sono i nostri soci e cioè la nostra proprietà: perché la cooperativa è loro e va gestita nel loro interesse. (P.R.)

Nel 1960 la Latte ria Sociale Coope rativa della Vallata Feltrin a produce un formaggio tipico della tradizione bellune se che identifica co n il marchio “Piave e nel 1969 apre il su o primo punto ve nd ita “Bar Bianco”. Nel 1 980 nasce il march io “Lattebusche” che oggi è conosciuta pe r la produzione di formaggi tipici ve ne ti, in particolare per il formaggio bellune se Piave DOP. A oggi La ttebusche può co ntare su 380 soci confer enti, 6 unità prod ut tive ed 11 punti ve ndita. Si stima che le produzioni di form aggi DOP assorban o l’80% del latte racc olto presso i soci. Lattebusche risulta , inoltre, il principa le produttore di form aggio con circa 35 0 mila forme all’ann o, il primo produtt ore di Grana Padano d el Veneto con il 44 ,5% e la seconda aziend a di tutto il Triven eto per quota di m ercato in termini di latte raccolto.

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Il personaggio di Veronica Gianello

FELLINI: IMMORTALE GENIO VISIONARIO

C

i sono storie di uomini che difficilmente dimentichiamo, ci sono parole, colori e sapori che sono solo nostri, che ci danno forma e radici e dichiarano al mondo chi siamo. Capita, a volte, che queste immagini che ci portiamo dentro diventino bagagli di immagini di una nazione intera, capaci di trascendere tempo e spazio. Perché ciò accada c’è bisogno di una mente permeabile, aperta e affamata: una mente come quella di Federico Fellini. Il suo mondo onirico e assolutamente originale ha creato immagini che sono entrate naturalmente a far parte dell’immaginario non più del singolo, ma di una collettività che supera anche i confini del Paese, diventando universalmente note e riconoscibili fino a meritare l’invenzione di un apposito aggettivo per descriverle: felliniano. “Mia madre voleva che facessi l’ingegnere… E invece sono diventato un aggettivo.” scherzò in un intervista lo stesso Fellini. Eppure la sua arte riporta il cinema a un mondo che si tocca con mano, non c’è più una patina finta a creare distanza tra il pubblico e l’attore: il cinema di Fellini racconta la verità di una nazione. Sul vocabolario Treccani leggiamo infatti sotto la voce felliniano che essa è “caratterizzata da un forte autobiografismo, dalla rievocazione della vita di provincia con toni grotteschi e caricaturali, da visioni oniriche di grande suggestione”. Federico Fellini, sceneggiatore, regista, fumettista, attore, scrittore, e soprattutto visionario, nasce a Rimini il 20 gennaio 1920 e proprio in occasione del centenario dalla sua nascita, la sua città

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Il personaggio

gli ha dedicato una mostra che ha girato il mondo e che tornerà nella sua Rimini per prendere posto in maniera permanente negli spazi del neonato Museo Fellini, che aprirà al pubblico a gennaio 2021. Figlio di Urbano Fellini, rappresentante di liquori e generi alimentari e di Ida Barbiani (1896-1984), una casalinga originaria di Roma, Federico trascorre un’infanzia tranquilla tra Rimini e la vicina campagna dove vivevano i nonni e che influenzò fortemente l’immaginario delle sue pellicole successive. Altra grande influenza del giovane Fellini fu il disegno. Iscritto al Liceo classico “Giulio Cesare” passava molte lezioni creando vignette e caricature di compagni e professori. Attentissimo a chi gli stava intorno, spesso ne imitava i gesti.

Nella sua camera da letto aveva costruito con la fantasia un mondo inventato, nel quale immaginava di ambientare le storie che voleva raccontare e vedere al cinema. Ai quattro montanti del letto aveva dato i nomi dei quattro cinema di Rimini: da lì, prima di addormentarsi, prendevano forma le sue storie immaginifiche. Fellini, fin dall’età di sedici anni, mostrava una grande attrazione per il cinema: usciva di casa senza permesso dei genitori ed entrava nei cinema nella sua città. Già prima di terminare la scuola, nel 1938, Fellini invia le proprie creazioni ai giornali. La prestigiosa Domenica del Corriere gli pubblica una quindicina di vignette nella rubrica “Cartoline del pubblico”. Nel 1939 Fellini si trasferisce a Roma con la scusa di frequentare l’Università: non darà mai un singolo esame a Giurisprudenza, ma inizierà invece le prime collaborazioni con giornali e riviste, collaborazioni che si riveleranno fondamentali per il suo futuro nel cinema. Di lì a poco infatti, Fellini verrà chiamato per collaborare alla stesura di alcune sceneggiature e copioni che apriranno la grande stagione del Neorealismo. Nel 1950 decide che è tempo di esordire come regista. La sua prima produzione Luci del Varietà è un fiasco.

Due anni più tardi ci riprova con Lo sceicco bianco in cui l’attore protagonista è il giovane Alberto Sordi. Di nuovo, gli incassi al botteghino si rivelano un insuccesso. La critica lo stronca e mette in dubbio le sue capacità artistiche, ma Fellini non si scoraggia e fa bene. Il 1954 vedrà nascere La Strada che, con i viaggi strampalati di Gelsomina e Zampanò nell’Italia del primo dopoguerra, lo porterà per la prima volta ad essere riconosciuto come stella del cinema fino a vincere l’ambito Oscar come miglior film in lingua straniera. Seguono anni difficili, in cui i suoi lavori sembrano non essere apprezzati proprio nella sua patria. Tutto cambia negli anni ’60, quando la creatività e il genio felliniano toccano i punti più alti della carriera del Maestro. Sono gli anni de La Dolce Vita e di 8 ½. Chi non ricorda le celebre scena di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi che invita Marcello Mastroianni a raggiungerla? È probabilmente con Amarcord però che scopriamo davvero l’uomo dietro all’artista. Fellini in questa produzione torna con la memoria alla sua Rimini, alle sue bellezze ma soprattutto ai suoi contrasti, a un amore difficile da vivere e da raccontare. Un amore che richiama quel radicamento alla Romagna che rimarrà sempre e comunque la più forte spinta creativa del regista. Un amore amaro e nostalgico come suggerisce il titolo, preso proprio dal dialetto “A m’arcord”, mi ricordo, diventato poi neologismo della lingua italiana. Da qui in avanti nessuno metterà più in dubbio la grandezza del Maestro Fellini, che dopo La Strada, oltre a molti altri riconoscimenti, vincerà nella sua carriera altri quattro Oscar. Nel 1993 in seguito a complicazioni dovute a due ictus che lo colpirono nello stesso anno, morì. L’eredità che ha lasciato è inestimabile e lega ancora oggi indissolubilmente fondamenta e futuro del cinema ben fatto.

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A tutela dei consumatori di Alice Rovati

Conosciamo

Altroconsumo imprese, consumatori per diffondere formazione, informazione e competenze. La multidisciplinarità è lo strumento che Altroconsumo mette a disposizione, la consapevolezza di tutti gli attori del mercato è l’obiettivo in cui crede.

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on i suoi 345mila soci Altroconsumo è la più grande organizzazione indipendente per la tutela e difesa dei consumatori in Italia. Dal 1973 è il punto di riferimento per i cittadini, ne interpreta i bisogni, offre piccole e grandi risposte a portata di mano. Con oltre 300 professionisti al servizio delle persone ogni giorno anticipa le istanze dei consumatori, offrendo strumenti innovativi per scelte sicure e convenienti. Informa con autorevolezza e indipendenza attraverso sistemi e piattaforme online, il sito, le riviste. Si impegna a difendere i diritti collettivi attraverso l’istituto della class action. Rappresenta le istanze dei cittadini nelle sedi istituzionali, anche in Europa. Interviene nelle dinamiche di mercato, condizionandole a favore dello sviluppo e dell’innovazione Per meglio conoscere Altroconsumo, abbiamo intervistato la dott.ssa Alice Rovati, rappresentante provinciale di Altroconsumo, che risponderà, nei prossimi mesi,

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Qual è la “mission” di Altroconsumo e quali sono gli obiettivi dell’Organizzazione? Altroconsumo semplifica la vita con competenza e indipendenza: offre tutela, conoscenza e servizi dedicati, perché i consumatori siano più consapevoli, liberi e sicuri delle loro scelte. Diffonde la cultura dei diritti perché tutti siano più forti, informati e protagonisti di un consumo più responsabile. ai quesiti dei nostri lettori nella rubrica “ Altrocunsumo risponde” Dott.ssa Rovati, quale ruolo giocano le associazioni di consumatori (e Altroconsumo) a livello italiano? Le associazioni dei consumatori si configurano quali enti esponenziali che difendono i diritti dei consumatori e rappresentano i loro interessi. Recepiscono le istanze della società civile, amplificando le singole vicende, proiettandole nei “palazzi del potere”. Le associazioni dei consumatori sono poi legittimate ad agire in giudizio nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi e dei diritti individuali dei consumatori. Altroconsumo si impegna nei confronti dei consumatori, mettendo a loro disposizione indipendenza, scientificità, il senso critico del consumo, la volontà di difendere sempre i diritti delle persone. Informa, consiglia, difende e fa risparmiare con azioni che si fanno sentire. Altroconsumo collabora con istituzioni,

Come può essere d’aiuto ai cittadini Altroconsumo? Quando i diritti del consumatore vengono calpestati, Altroconsumo interviene per difendere e far risarcire le persone coinvolte. Per farlo, il principale strumento di cui si avvale è la class action. Altroconsumo, però, non è solo class action, ma è anche audizioni e consultazioni: presso le istituzioni rappresenta le giuste cause, mentre con diffide e petizioni cerca di far rispettare i diritti lesi. Altroconsumo segnala condotte scorrette delle aziende presso le autorità competenti. Ai propri soci offre la consulenza gratuita e vantaggi esclusivi (sconti su prodotti e servizi con partner affidabili). Incoraggia un consumo più efficace e consapevole grazie ai risultati dei test sui prodotti; fa risparmiare con la forza dei gruppi di acquisto. Come si concretizzano i servizi di


A tutela dei consumatori consulenza di Altroconsumo Per usufruire della maggior parte dei servizi e delle consulenze di Altroconsumo è necessario essere soci, perché finanziamo tutte le nostre attività con le quote associative. Ogni socio ha la possibilità di usufruire, a portata di un click www.altroconsumo.it o di telefono, di professionisti che forniscono consulenze legali e strumenti concreti per informarsi e risparmiare nell’ambito: fiscale, economico, finanziario, miglior acquisto, assicurativo (RC auto, RC moto), farmaci (mediante le banche dati), tariffe telefoniche. Nel mese di marzo 2020 Altroconsumo ha attivato un servizio di consulenza gratuita aperto a tutti “Assistenza coronavirus” per dare ai cittadini risposte ai piccoli e grandi problemi legati all’emergenza Covid-19. Com’ è organizzata sul territorio nazionale? In Italia la sede nazionale di Altroconsumo è a Milano. La presenza territoriale è articolata su diverse regioni con rappresentanti locali. Attualmente Altroconsumo è presente in Trentino, Alto Adige, Lombardia, Puglia, Lazio, Campania, Sardegna, Sicilia, Cala-

bria, Basilicata e Toscana. Altroconsumo opera anche all’interno della Unione Europea? Altroconsumo ha una dimensione internazionale che ci permette di essere presenti dove le decisioni vengono prese. E’ membro di Ci (Consumers’ international), ICRT (International Consumers’ Research and Testing) e del Beuc (l’organizzazione europea delle associazioni dei consumatori). Altroconsumo collabora, inoltre, con altre associazioni indipendenti di

consumatori in Belgio, Spagna, Portogallo, Brasile. Per concludere: quale consiglio ai nostri lettori? Partendo dagli spunti che invierete alla redazione, cercherò di privilegiare le richieste che possano risultare di interesse generale. Saranno gradite anche tutte le curiosità legate all’ambito consumeristico: campagne, segnalazioni, proposte e informazioni su azioni intraprese dall’Organizzazione. L’invito è quello di leggere i miei interventi periodici e di seguire Altroconsumo sul sito www.altroconsumo.it e sui vari canali You Tube e social dell’Organizzazione. ALTROCONSU MO RISPOND E La dott.ssa Alice Rovati, docente di diritto, rapprese ntante provincia le di Altroconsumo. Laur eata in Giurispru denza presso l’Univers ità degli Studi d i Trento, con una tesi sui diritti umani. Ha fr equentato diversi cors i di specializzazi one in materia consum eristica ed ha par tecipato, in qualità di rela trice, a numeros i incontri informativi e a p rogetti dedicati alla tutela del consumat ore. Dal 2016 è membro del Consiglio di Altroconsumo 63


Tra passato e presente di Elisa Corni

La fotografia, dal dagherrotipo allo smartphone

Il 9 luglio del 1839, quasi due secoli fa, nasceva uno strumento che avrebbe cambiato il rapporto che abbiamo con l’immagine: il dagherrotipo. Oggi lo conosciamo con un altro nome, macchina fotografica.

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uel giorno così lontano Louis Jacque Mandè Daguerre (17871851), scenografo e creatore di diorami francese,riuscì a brevettare all’Accademia delle Scienze di Parigi il metodo di sviluppo fotografico che aveva elaborato con lo scienziato Joseph Nicéphore Niepce (1765-1833). Si trattava di una lastra ricoperta d’argento che, era esposta ai vapori dello iodio (ioduro d’argento), poi messa in camera oscura e posizionata infine davanti al soggetto da riprendere. Solamente dopo una posa decisamente lunga e un lavaggio in sale marino e mercurio ecco la magia: sulla lastra compariva l’immagine ripresa durante l’esposizione. Tutto ciò rivoluzionò, in primo luogo, l’arte del ritratto. Oggi siamo sovraesposti alle nostre immagini, che siano selfie o

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scatti fatti da altri, ma all’epoca la maggior parte delle persone non possedeva nessuna immagine di sé. Solo le fasce più ricche della popolazione potevano permettersi un ritrattista. Questo fu il primo grande cambiamento sociale introdotto dallo strumento di Daguerre. Ma questa possibilità era nell’aria: contemporaneamente altri scienziati come William Henry Fox Talbot (1801-1877) e Sir John F.W. Herschel (1738-1822) sperimentano altri sistemi di fissaggio dell’immagine anche attraverso dei primitivi negativi. In particolare questi si cimentano nella stampa, che avveniva per contatto e non per proiezione, come oggi, con il grosso limite che il positivo aveva sempre le stesse dimensioni del negativo. Altro scoglio era la carta, spesso opaca,

aveva una resa qualitativa molto bassa. Con la carta all’albumina (1850–1885ca.), inventata da Blanquart-Evrard (18021872), si ha un passaggio fondamentale: grazie alle chiare d’uovo si aveva una finitura lucida e compatta e poteva essere conservata per molto tempo prima dell’uso. Stampa e negativi rimangono inalterati fino alla fine dell’Ottocento quando tecniche più moderne soppiantano materiali e sistemi delicati e di bassa resa. Nella seconda metà di quel secolo le lastre di vetro sono sostituite da infrangibili lastre di ferro e le macchine diventano più piccole e quindi più facili da trasportare. Così il fotografo può iniziare a viaggiare, testimoniando importanti momenti storici come le guerre. È il caso a esempio di


Tra passato e presente

Roger Fenton (1829-1869) che seguì la guerra in Crimea. Altro ambito d’azione dei moderni fotografi sono le campagne scientifiche o le ricerche geografiche. Il Mediterraneo, l’Europa e tutti gli altri continenti sono esplorati e immortalati in modo sistematico al punto che oggi possiamo vedere come era il mondo più

di un secolo fa. La fotografia inizia a rivestire un’importanza capitale come documentazione geografica, etnografica e sociologica; monumenti, chiese, palazzi o paesaggi sono immortalate in scatti per i turisti. Nascono associazioni fotografiche, premi, riviste dedicate. Per tutto il Novecento, mentre le tecniche si susseguono e le macchine diventano sempre più compatte e definite dalla prima fotografia a colori di Gabriel Jonas Lippmann (1845-1921) nel 1891 che gli valse il premio nobel nel 1908; il primo rullino brevettato nel 1921; la prima fotografia istantanea negli anni Settanta; la prima macchina fotografica digitale nel 1981 con il suo supporto di floppy disk. E così l’immagine, lo scatto, il flash hanno pervaso la nostra vita quotidiana. Oggi

dalla riva

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Paola Antoniol

è quasi impensabile passare un’intera giornata senza che una fotografia (ormai quasi esclusivamente digitale) fissi noi o il nostro vissuto sotto forma di pixel e codici. Alcuni sociologi e fotografi ritengono che il nostro modo di vivere la fotografia sia cambiato al punto che in realtà le immagini rappresentano per noi degli “appunti visivi quotidiani”. Questo perché gli smartphone che quasi tutti possediamo hanno integrati apparecchi fotografici che sono costantemente alla nostra portata. Pensate che nel 2018, ormai due anni fa, ogni giorno erano condivise sul popolare social network per giovani Instagram oltre novantacinque milioni di fotografie; secondo alcune recenti stime, ogni anno sono scattate oltre 1.000 miliardi di immagini. Insomma, nel tempo che avete impiegato a leggere questo articolo nel mondo ci sono stati molti più scatti di quelli realizzati nei primi decenni del Novecento.

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FELTRINO NEWS è un periodico mensile distribuito gratuitamente in tutti i comuni della Vallata Feltrina È stampato in 5mila copie con una foliazione di 96/104 pagine tutto a colori e su carta patinata con formato 23cm x 31cm.

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del periodico Valsugana

News

News

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La redazione di FELTRINO NEWS è formata da 18 collaboratori di cui 1 avvocato, 2 psicologhe e una corrispondente dagli USA. La consulenza medico-scientifica è garantita da 4 medici.

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Anno 1 - N° 1 - Ottobre

FELTRINO NEWS è un free-press non schierato politicamente e quindi suo precipuo compito è quello di dare una corretta informazione e giusta narrazione dei fatti, degli eventi e degli avvenimenti, siano essi politici, sociali, culturali o economici.

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Quattro passi in tavola

LA FENADORA... gusto per le cose buone e genuine

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el corso degli anni, noi della FENADORA, ci siamo specializzati, con continui aggiornamenti, sull’uso dei vari impasti per offrire e proporre quanto di meglio le esigenze del buon mangiare e gustare la pizza, richiedono e offrono. Le nostre farine, classica, integrale, alla canapa bio, al farro integrale al Kamut al grano “Khorasan”, ci permettono, infatti, di soddisfare tutte le richieste anche le più esigenti per un mangiare sano, nutriente e

genuino. E sono anche le numerose birre che rendono veramente appetitose le nostre pizze. Birre per tutti i gusti e desideri in un perfetto abbinamento con tutti nostri appetitosi piatti e manicaretti. Birre alla spina differenziata per tipologia, oppure birre speciali delle più rinomate aziende del settore quali la Furstenberg, Chiemseer Hell, Corsendonk blanche, Lagunitas American Ipa, Leffe Rouge e la Landbier Zwick’l non filtrata. La FENADORA, però, non è solo pizzeria, ma presenta e offre anche un completo menu non solo tipico della buona e moderna cucina, ma anche di ciò che “una volta” si preparava con competenza e professionalità e dove la bontà e genuinità dei prodotti erano elementi portanti. E a proposito di prodotti e alimenti ga-

rantiti, ci piace anche sottolineare che noi della FENADORA ci serviamo di fornitori selezionati con la certezza e la consapevolezza di offrire prodotti unici e genuini che nel tempo e con il tempo hanno fatto, sin dal 1997, il nostro punto di forza. E parlando di menu non potevamo non citare le paste fatte in casa ( bigoli, pappardelle,tagliatelle, gnocchi, strangolapreti, lasagne ,canederli conditi e resi appetitosi dalla diversità di sughi per un gusto unico, originale e appetitoso. E I dolci? C’è solo la voglia di scegliere tra il tiramisù, la crema catalana, lo strudel,la panna cotta, i semifreddi... Da noi, alla FENADORA il gusto per le cose buone e genuine si sposano in un perfetto binomio con la qualità e il “voluto” desiderio di soddisfare le voglie della nostra clientela. ”Provare per credere”

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Medicina e salute di Erica Zanghellini

Il RAPPORTO di COPPIA Il rapporto di coppia è una delle relazioni più desiderate ma, anche quella che più può metterci alla prova. All’inizio nella fase di innamoramento tutto sembra perfetto, il partner ci sembra il migliore, non sembra aver nessun tipo di difetto, ma è una gran illusione, nessuno è impeccabile, per cui qualunque sia il vostro partner anche lui/lei avrà delle mancanze, o farà delle cose che vi daranno fastidio. Solo le coppie che riusciranno a resistere a questo disincanto, inizieranno una storia duratura.

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on può essere tutto “rosa e fiori”, le storie sono fatte anche di momenti difficili, e non per questo devono essere visti come avvenimenti negativi, anzi, sono delle occasioni per crescere assieme, per capirsi di più. Ma, quali sono gli “errori ” più comuni che invece, potrebbero causare o consolidare i momenti di crisi e che inevitabilmente potrebbero far chiudere la relazione? Il primo, forse il più frequente, è quello di cercare di modificare il partner. Alcune volte non si è nemmeno consapevoli di cercare di cambiarlo, ma se continuiamo a litigare sempre su alcuni comportamenti, o la mancanza di alcuni condotte che noi desideriamo siamo entrati in questa trappola. Dobbiamo cercare di ricordarci che

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la perfezione non esiste e accettare il fatto che possa comportarsi in modo diverso da quello che desideriamo. Solo questo passaggio ci libererà da questo tranello. D’altro canto proviamo a metterci nei panni di chi dovrebbe cambiare, continui litigi, continui malumori e magari sensi di colpa per non riuscire, di certo non sono dei buoni presupposti per vivere una storia d’amore serena. Logicamente sto parlando comunque di comportamenti comunemente accettabili, se si è vittima di condotte violente il discorso cambia. Il secondo errore in cui si può incappare è il non riuscire a comunicare apertamente. La comunicazione è una delle fondamenta di qualsiasi relazione, figuriamoci in quella di coppia. Riuscire adesprimere

pensieri, paure e desideri è l’unica maniera per farsi conoscere e far in modo che l’altro ci capisca. Se la nostra storia sta affrontando un periodo complicato, il tenersi dentro quello che pensiamo e i nostri bisogni non farà altro che aumentare la possibilità che ad un certo punto la persona riversi tutto d’un tratto quanto trattenuto. E la conseguenza diretta, non sarà altro che sconvolgere ancora di più le dinamiche. Sempre all’interno di problemi comunicativi rientrano la tendenza a nascondere le cose o ancora non ammettere di essere in torto oppure esprimersi in modo brusco. Questi sono tutti esempi di atteggiamenti che potranno mettere ancora più squilibrio. Anche se non è semplice, soprattutto all’inizio è impor-


Medicina e salute tante cambiare rotta, appena si diventa consapevoli di queste dinamiche per far si, che il rapporto cresca in un contesto sano e costruttivo. Il terzo errore è avere delle aspettative irrealistiche: aver riposto troppe aspettative non farà altro che farvi vedere il vostro rapporto sempre mancante di qualcosa. Il “..e vissero felici e contenti” fa parte solo delle storie fantastiche, non esiste una rapporto perfetto. Le storie vere, sono fatte anche di incombenze o fasi di vita, come per esempio quando nasce un figlio che matematicamente destabilizzano la coppia. E’ inevitabile, e ci vuote tanta costanza e impegno per riuscire a costruire un nuovo bilanciamento e andare avanti. D’altra parte prima si era in due e poi in tre, per cui cambiano i compiti, le priorità ecc ecc.. non può essere più come prima, per forza la coppia deve cambiare e così di nuovo se dovesse arrivare un ulteriore pargolo.

E ancora.. essere continuamente criticati può far mettere in crisi il rapporto.La fase di innamoramento, come accennato prima è la periodo in cui si idealizza il partner, da fuori può addirittura sembrare un “delirio”, vengono attribuite qualità anche non per forza veritiere. Il problema viene dopo, finito questo momento, può emergere invece un lato ipercritico di uno dei due e questo può portare irrimediabilmente alla fine dell’amore. Soprattutto le critiche mirate sulla persona e non sul comportamento che ci da fastidio fanno arrivare all’altro senso di inadeguatezza, il pensiero di essere sbagliato o addirittura cattivo. Ed infine: cedere alla monotonia. All’inizio è tutto facile, si vuole fare mille cose con l’altro, ma basta il passare di un po’ di anni che tutto quell’entusiasmo finisce. È difficile, ma è necessario trovare ogni tot qualche attività che rianimi il rapporto. Logico non deve essere una forzatura,

ma l’obiettivo da perseguire sarà trovare delle attività divertenti o accattivanti da condividere. Cerchiamo di non pianificare tutto, di dare spazio alle sfumature, ai dettagli. Risulta essere importante anche prendersi cura di se, per se stessi ma anche per l’altro. Cerchiamo di tenere sempre attiva l’intimità e cerchiamo di condividere con l’altro i nostri pensieri, le nostre paure e i nostri desideri. Le relazioni sono come le piante, hanno bisogno di continua cura altrimenti un giorno potremmo essere travolti da qualcosa di più grande di noi. Come si dice, l’amore da solo non è sufficiente per tenere legate due persone per la vita, ci vuole impegno e determinazione.

Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675

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Salute e benessere di Armando Munaò

Attenzione ai farmaci online... Sono MOLTO pericolosi

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uando si parla di farmaci contraffatti, secondo la più appropriata definizione, si intendono tutti quei medicinali che sono stati prodotti cambiando e variando le originarie indicazioni e che presentano una etichettatura volutamente falsa e fraudolenta all’interno della quale ci sono informazioni ingannevoli circa il contenuto, le dosi nonché l’origine del prodotto. Ecco perché è necessario stare attenti a quello che si compra in internet perché vi è la concreta possibilità di acquistare medicinali che contengono diverse quantità del principio attivo se non addirittura farmaci scaduti o contenenti sostanza decisamente nocive alla salute. Una recentissima indagine ci dice che circa il 20% dei 25 milioni di italiani tra i 18 e i 64 anni che va su internet almeno un’ora alla settimana ha comprato e purtroppo ancora compra medicinali

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online. Il 3% lo fa spesso. Stiamo parlando di oltre 5milioni di persone che con vera e pericolosa superficialità si affidano ai siti per acquistare prodotti e medicine che nulla di garantito hanno. E sebbene le campagne informative e l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), cercano di contrastare il problema dell’acquisto online di prodotti e medicinali, questa abitudine non accenna affatto a diminuire. E a nulla servono. L’indagine infatti documenta che, ad oggi, sono oltre 40mila i siti che vendono medicinali e solamente lo 0,6% è in regola con le normative e le leggi del nostro paese. E questi siti continuano a crescere quantificando ingenti profitti. Purtroppo non ci si rende conto che tutti i prodotti online (anabolizzanti, pillole contro l’impotenza (viagra e simili), anabolizzanti, anoressizzanti e antidepressivi sfuggono al controllo degli enti ed istituti preposti a tale scopo, ma cosa molto

pericolosa è che questi medicinali quasi sempre sono o taroccati o realizzati non elementi non garantiti e quindi contrastano con le normali indicazioni terapeutiche che, conviene sottolinearlo, spettano solo e solamente al medico stabilirle. A tal proposito è bene sottolineare che i siti mettono in commercio farmaci contraffatti oppure rubati. I primi sono pericolosi perché non si sa bene come sono stati fatti e con cosa. A volte sono state sequestrate confezioni di medicinali con una piccolissima parte di principio attivo e a volte tagliati o realizzati con sostanze tossiche. Un procedimento simile a quello usato con la droga. Gli acquisti pericolosi, però, non si fanno solo in internet perché da particolari segnalazioni e controlli è ormai accertato che in moltissime palestre e sex shop sono posti in vendita prodotti contraffatti sia per quanto riguarda le disfunzioni


Salute e benessere erettili sia per gli integratori e anabolizzanti vari. E questo tipo di vendita viene anche concretizzato in molti centri estetici che sono uso fare iniezioni con botulino ottenuto illegalmente e di conseguenza non garantito. Le spiegazioni e le informazioni che ci provengono da IMPACT Italia che è un qualificato gruppo di lavoro per la lotta alla contraffazione dei farmaci, ci dice che ci sono almeno quattro categorie differenti di falso con crescente pericolosità: 1) Prodotti che contengono gli stessi principi attivi (ottenuti legalmente o illegalmente) e gli stessi eccipienti, nella giusta quantità; 2) Prodotti che contengono le giuste componenti, ma non nelle quantità esatte, e/o le cui formulazioni farmaceutiche non rispettano i requisiti richiesti in relazione, per esempio, all’origine delle materie prime, o alla scadenza e alla biodisponibilità

del prodotto finito; 3) Prodotti che esteriormente appaiono simili a quelli autentici, ma che contengono principi non attivi o contengono altre sostanze in sé non nocive; 4) Prodotti che esteriormente appaiono simili a quelli autentici, ma che non possiedono gli stessi principi attivi e contengono addirittura sostanze nocive. E’ bene sapere che moltissime farmacie e parafarmacie italiane, in conformità alla Direttive europee, hanno ottenuto, da parte del Ministero della Salute, la licenza e quindi l’autorizzazione alla vendita online dei farmaci senza obbligo di ricetta medica. E ciò per combattere la falsificazione e la vendita illegale dei medicinali. Per quanto sopra l’acquisto dei medicinali online è assolutamente sicuro solo tramite le farmacie a condizione che queste riportino sulla homepage l’apposito marchio europeo che permette l’accesso

alla lista ufficiale del Ministero della Salute di tutte le farmacie online certificate. Le farmacie online che operano legalmente sul territorio Italiano garantiscono l’autenticità e la lecita tracciabilità del medicinale e la piena tutela dei dati personali. Da ricordare anche che è vietata la vendita sul web dei farmaci che necessitano di ricetta medica e che la farmacia può vendere online solo i farmaci acquistati dalla stessa con il proprio codice univoco e conservati presso il proprio magazzino, cioè quelli di cui sia già in possesso. E’ quindi utile sottolineare che per qualsiasi informazione sulla salute è importante rivolgersi al proprio farmacista, che potrà aiutarvi a risolvere i problemi legati alla vostra salute o indirizzarvi al medico di famiglia, laddove necessario. Da evitare, dunque, il fai da te, le autodiagnosi via internet o, peggio ancora, l’acquisto dei farmaci online attraverso siti non sicuri.

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Medicina e salute di Paolo Rossetti

La MELATONINA La melatonina è un ormone naturale prodotto dalla nostra epifisi che è una piccolissima ghiandola del cervello che influenza il rapporto sonno-sveglia ovvero aiuta il sonno favorendo un riposo tranquillo e di qualità. Indicata per chi soffre d’insonnia o ha problemi nell’addormentarsi. La sua insufficienza può causare disturbi al sonno leggeri o gravi come la tanto temuta insonnia. Da qui la necessità di integrarla con prodotti da banco venduti in farmacia o nelle erboristerie.

S

econdo la scienza medica più di un terzo della popolazione ha problemi di sonno dovuti a molteplici cause siano esse di origine patologica che motivate da stress, abuso di farmaci, preoccupazioni del quotidiano, menopausa, stile di vita condotto e non ultimo tutto ciò che determina disordini nel riposo notturno quali obesità, sindrome metabolica, alcune patologie cardiovascolari e le fastidiosissime cefalee. Secondo quanto indicato dall’Associazione Italiana di medicina del sonno l’assunzione di 1 mg di melatonina, meglio se potenziata con estratti vegetali specifici, non solo contribuisce alla riduzione del tempo richiesto per prendere sonno, ma aiuta un buon e rilassante riposo.

Importante è anche il fatto che la melatonina non provoca assuefazione nè effetti collaterali e non origina quella stanchezza mattutina tipica di chi assume farmaci ipnotici o sonniferi di varia natura. La melatonina è indicata per combattere i disturbi di addormentamento, i risvegli notturni e il sonno “agitato”. E’ bene anche sapere che la melatonina deve essere assunta almeno mezz’ora prima di coricarsi (meglio 1 ora) in quanto la concentrazione dell’ormone necessita di tempo affinchè possa raggiungere la giusta concentrazione nel sangue e quindi il sonno può ritardare in quanto l’organismo non ha avuto il giusto tempo per assimilare la sostanza.

In merito alla sua somministrazione è bene precisare che essendo prodotti da banco, ovvero che si possono trovare in moltissimi negozi (anche via internet) bisogna fare attenzione a dove si acquistano. Bene ed opportuno è presso le farmacie, le erboristerie o i supermercati autorizzati. Non solo, ma la melatonina, affinchè mantenga le sue prerogative deve essere pura e quindi è necessario stare attenti alle melatonine in commercio in quanto non sono tutte uguali sia per il processo produttivo che per gli eccipienti usati. Ed è necessario anche sapere che in commercio esistono diverse formulazioni indicate ed adatte ai vari tipi di sonno e sebbene per l’acquisto non sia necessaria la ricetta è consigliabile rivolgersi al proprio medico sia per il tipo, sia per il dosaggio che per il tempo d’uso, specialmente se quest’ultimo è o deve essere prolungato. Come è bene chiedere consiglio al proprio medico se si hanno particolari patologie quali quelle renali, epatiche o autoimmuni.

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Medicina e salute di Laura Fratini

Il ritorno a scuola

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’anno scolastico è appena iniziato e i dubbi che attanagliano grandi e piccini sono numerosi. Tante informazioni, a volte troppe, e la confusione che si viene a creare tra le persone è inevitabile, così come sono molteplici le reazioni . Il COVID-19 ha aperto al mondo uno scenario incerto, ciò ha fatto entrare in crisi molte persone che inevitabilmente si sono trovate a fare i conti per la loro prima volta con emozioni forti e molto intrusive difficili da gestire. La scuola in primis è stata quella più colpita dalla chiusura di marzo e migliaia tra ragazzi e bambini si sono ritrovati in una bolla di incertezza, a settembre gli istituti hanno riaperto le porte con regole e protocolli abbastanza rigidi che hanno messo in un frullatore tutti: studenti, genitori e insegnanti. La categoria dei bambini è quella che più riesce ad adattarsi alle novità ma allo stesso modo quella che fa fatica a mantenere un trend costante. Possiamo dividere le categorie in “trepidanti’’ del rientro a scuola e i “gli indifferenti’’, che addirittura stavano meglio con la didattica online, sicuramente ciò che a lungo andare unisce tutti è la voglia di ritorno alla normalità. Molte paure sono apprese dai nostri modelli di riferimento: la nostra capacità di rassicurazione è pari al sentirsi al sicuro, ovvero non possiamo darci ciò che noi stessi non possediamo. Se non ho mai imparato la rassicurazione perché i miei cargiver a loro volta non hanno saputo rassicurarmi, non sarò capace di mettere limiti alle mie emozioni negative. È

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importante quindi lasciare i bambini liberi di parlare, di chiedere e di esprimere emozioni, anche in modo ripetitivo. Il loro cervello ha bisogno di lavorare sulle informazioni e di comprendere bene ciò che accade. Una fase di assestamento transitoria è fisiologica. I bambini possono avere comportamenti regressivi, ovvero fare i capricci “da bambino piccolo”, come, per esempio, richiedere di venire vestito e imboccato. Se le difficoltà permangono, bisogna intervenire cercando di capire con il bambino o con il ragazzo come si senta e tornare a essere più autorevoli nel ripristino delle regole precedenti alla chiusura delle scuole. Se non ci sono problemi sottostanti, questo può bastare, altrimenti bisogna ricorrere all’aiuto dell’esperto. La scuola di per sè ha un ruolo importante soprattutto in questa fase di ripresa e di novità, Il ruolo degli insegnanti sarà determinante nella ripresa delle attività didattiche. A loro spetterà anche il compito di spiegare le regole che si dovranno seguire in classe per abbassare il rischio di contrarre il virus. Fortunatamente il cervello dei bambini è flessibile. Per loro sarà facile adattarsi dopo un periodo iniziale di confusione. La situazione deve sempre

considerare l’età e la capacità del bambino di integrare le regole e di farle sue. Agli insegnanti spetterà anche il difficile compito di rassicurare i genitori più ansiosi? No! Il ruolo degli insegnanti è di seguire il processo di apprendimento degli studenti. Non possono assumersi anche il ruolo di rassicurare i genitori più ansiosi. Saranno madri e padri a dover dare maggior significato al motivo del loro allarme o delle loro paure e, laddove non riuscissero ad autoregolarsi, a farsi aiutare o dall’altro genitore o da uno psicoterapeuta qualora non ci riuscisse da solo. A fronte di questo, Sulla base di una Convenzione tra Ministero dell’Istruzione e il Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi, si promuove così un sostegno psicologico per fronteggiare situazioni di insicurezza, stress, ansia dovuta ad eccessiva responsabilità, timore di contagio, rientro al lavoro in “presenza”, difficoltà di concentrazione, situazione di isolamento vissuta. La figura dello psicologo nelle scuole ha da sempre avuto la funzione di aiutare gli studenti e gli insegnati nelle difficoltà riscontrate, rivolgersi in ogni caso ad uno psicoterapeuta è importante per tutti qualora si riscontrasse un forte disagio che condiziona la nostra quotidianità.

* Dott.ssa Laura Fratini Psicologa-Psicoterapeuta Studio, Piazzale Europa, 7-Trento Tel. 339 2365808



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DETRAZIONI FISCALI: il Conto Termico 2.0

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re le misure che il governo ha messo in essere per il rilancio della nostra economia sia per le imprese e sia privati vi è il Conto Termico 2.0, ovvero un particolare provvedimento che incentiva, potenzia e semplifica, gli interventi per l’incremento dell’efficienza energetica, la produzione di energia termica da fonti rinnovabili anche per impianti di piccole dimensioni e che prevede dei bonus economici equivalenti al 65% della spesa sostenuta. Il Conto Termico 2.0, oltre ai soggetti prima citati (edifici e abitazioni) può essere usufruito usufruire anche dalle aziende del settore agricolo in funzione dell’abbattimento dei costi per l’approvvigionamento energetico. E quindi, in base alla specifica normativa, possono accedere al Conto Termico 2.0 e quindi alle agevolazioni previste sia i

soggetti privati, sia come persone fisiche, condomini e titolari di reddito d’impresa per: a) installazione di impianti solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria e/o ad integrazione dell’impianto di climatizzazione invernale; b) sostituzione di impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti di climatizzazione invernale dotati di pompe di calore c) sostituzione di scaldacqua elettrici con scaldacqua a pompa di calore.

E’ importante ed utile sapere che il decreto sugli incentivi previsti dal Conto Termico 2.0 possono essere utilizzabili fino al 1021 e quindi entro quella data è possibile effettuare le richiesta per gli interventi di efficientamento energetico.

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BREVE STORIA DEGLI OCCHIALI DALLO SMERALDO AL BIFOCALE

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rano occhiali molto costosi quelli degli antichi romani. E’ accertato che almeno i ricchi potevano usare come lente d’ingrandimento uno smeraldo. Si vedeva un po’ verde ma si vedeva. Fra i primi ad usare l’ occhiale di smeraldo pare ci sia stato l’imperatore Nerone. E’ solo nel XII secolo ch’è stata fatta giustizia fornendo ai meno ricchi lenti levigate convesse o concave secondo l’occorrenza, con il difetto però di distorcere parecchio i contorni degli oggetti osservati. Ci sono voluti altri cento anni e l’arte di artigiani accorti per ottenere lenti correttive raffinate con le quali i frati amanuensi copiavano antichi manoscritti. In questo periodo le lenti ebbero grande diffusione a partire da Venezia, maestra nella lavorazione di vetro e lenti, ma custode gelosissima del segreto della fabbricazione

La prima descrizione di questo lavoro si deve al filoso e alchimista inglese Roger Bacon (1214-1294) che, protetto da Papa Clemente IV, compì interessanti studi sull’ottica e rifrazione. Sfortunatamente, con la morte di Papa Clemente, Roger Bacon perse la protezione, fu accusato di eresia e sbattuto in prigione. Quando finalmente uscì dal carcere, continuò i suoi studi e, dopo circa venti anni, grazie anche al genio di Alessandro Della Spina, frate Domenicano del Monastero di S. Caterina di Pisa, gli occhiali “videro” la luce. L’uso degli occhiali ebbe dapprima una grande diffusione in Inghilterra, durante il XVII secolo. Risalgono a questo periodo varie pubblicazioni in cui l’astronomo e matematico tedesco Johannes Kepler (1571-1630), spiegava il corretto uso che si doveva fare delle lenti in vetro, in parti-

colare spiegò la differenza tra lenti concave e lenti convesse. Fu nel 1780 che uno dei padri fondatori dei moderni Stati Uniti e grande scienziato, Benjamin Franklin (1706-1790) inventò le lenti bifocali, mentre verso la fine dell’800 furono inventate le prime lenti a contatto per opera del tedesco Adolf Eugen Fick (1852-1937). I primi occhiali erano costituiti da due lenti unite insieme e venivano tenute vicino agli occhi con le mani e non si portavano in modo continuativo. Oggi gli occhiali sono di uso corrente e di varie fogge. Sono perfino oggetti di prestigio sociale. Grandi, piccoli, stretti...., gli occhiali restano strumenti ortopedici, indispensabili per leggere e capire meglio la storia, il presente e chi ci sta attorno.

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Tra passato e presente... La buona cucina

La LOCANDA PONTE SERRA Tre leoni dalla regione Nel piccolo paradiso veneto ai confini tra Lamon, Fonzaso e Sovramonte, è tornata alla vita un’antica locanda. Il restauro accurato e l’ottima cucina premiati dalla Regione.

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uesto scriveva nel 1578 Giulio Garzoni, Podesta di Feltre. Oggi Lamon ha quasi tremila abitanti, ha un territorio di 54 kmq con pascoli, torrenti, boschi monti. Paesaggi bellissimi e alberghi.Uno in particolare, la Locanda Ponte Serra, non può sfuggire al viaggiatore. Per chi percorre la strada regionale del Grappa, la romana via Paolina che dal Passo Rolle porta in Primiero, a San Mar-

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tino di Castrozza, è impossibile resistere all’originalità dell’edificio ottocentesco posto al confine fra i comuni di Sovramonte e Lamon. La struttura, tipicamente dolomitica, edificata nel 1860, da tempo trascurata, sta ora riacquistando l’antica bellezza grazie al restauro accurato di Davide Pante e della moglie Debora. Due imprenditori e sognatori. “Avevamo il sogno di prendere il vecchio albergo di Ponte Serra in passato punto di ritrovo del commercio del legname, e ristrutturarlo per farlo tornare agli antichi splendori.“ dicono Davide e Debora. Il sogno, già in buona parte realizzato ha riportato la Locanda Ponte Serra all’antico splendore, ad essere punto d’incontro di turisti ed appassionati della montagna. I coniugi Pante hanno acquistato l’edificio, diventato bar Hosteria e semi abbandonato, nel 2017 e già l’anno successivo hanno riaperto il ristorante, dopo 40 anni

di chiusura. Nel 2019 sono iniziati i lavori di restauro ed oggi la Locanda, classificata con tre Leoni dalla Regione Veneto, dispone di otto confortevoli camere rimodernate ed arredate con lo stile che mantiene l’identità di un tempo. «Abbiamo seguito le indicazioni della Soprintendenza sul restauro delle parti estetiche, dice Davide, esperto restauratore, e siamo riusciti a ripristinare il decoro originale, ritrovando i vecchi colori della facciata. Abbiamo levigato le varie parti, riuscendo a recuperare il primo strato di pittura.» Il bar, grazie alla posizione strategica, alla presenza di un ampio parcheggio e di un parco-terrazzo che ospita nel corso dell’anno diverse iniziative, attira avventori di passaggio e clienti fissi provenienti dall’intero circondario. Nel periodo estivo, all’interno del parco, vengono inoltre aperti un chiosco con gelateria artigianale, una pizzeria con tavolini all’aperto e una zona relax. E’ aperto tutti i giorni, a partire dalle 5.15. Vivace e informale offre un servizio a partire dalla colazione, all’aperitivo al dopo cena. All’interno del bar è stato ricavato uno spazio per l’esposizione di prodotti tipici, disponibili per la vendita, provenienti da aziende del territorio. Sul fronte turistico ci sono segnali positivi: «Quest’anno sta andando molto bene», commenta Davide Pante, «Eccetto i mesi del Covid e i primi quindici giorni post lockdown, stiamo lavorando


Tra passato e presente... La buona cucina la fortuna che quando abbiamo programmato la ristrutturazione, abbiamo studiato spazi grandi all’interno e all’esterno, che ci permettono di accogliere la gente anche in questo periodo e questo aiuta. Anche con la creazione dell’Associazione turistica di Lamon abbiamo messo in piedi un punto informativo e

veramente bene. Siamo ai livelli dell’anno scorso, addirittura nei fine settimana si lavora un po’ di più. Un trend dettato dalla riscoperta della montagna da parte degli italiani. Se nel 2019 avevamo un 70 per cento di turismo straniero, quest’anno è al 99 per cento italiano. Abbiamo anche

una serie di proposte di passeggiate e di riscoperta della meraviglia del nostro territorio. Tutto il comprensorio sta trovando giovamento». L’obiettivo principale è che la Locanda Ponte Serra abbia entro due anni 21 camere e un innovativo centro benessere dove il fisico si tempri così come accade alla mente davanti alla bellezza di questo piccolo paradiso veneto ai confini delle Dolomiti. (P.R.)

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L’esperienza internazionale di Fabrizio Sartor di Armando Munaò

FABRIZIO SARTOR e il “SUO” AL TABIÀ

Ristorante, pizzeria, steak house

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olti l’hanno etichettato il “Marco Polo” della cucina. E nel caso del nostro Fabrizio, mai etichetta è stata più azzeccata. Ed è la sua storia professionale, il suo percorso culinario, la sua grandissima passione per la ristorazione, che ci confermano, a chiare lettere e senza tema di smentita, la veridicità di questa nomea. Dopo la scuola alberghiera e la naturale dovuta gavetta, Sartor, a soli 25 anni, inaugura il suo ristorante “Al Porton” che, per la prelibatezza dei suoi piatti e l’eccellenza culinaria, riceve, dopo pochi anni, le “2 forchette” della famosa Guida Michelin. Un attestato che indiscutibilmente lo proietta nell’universo dei grandi chef e che fa crescere in lui la voglia di progredire tra i fornelli di “alto livello”. Un desiderio inarrestabile, quello di Fabrizio, tant’è che nel tempo e con il tempo gestisce ristoranti in moltissime regioni italiane. Toscana, Liguria, Alto Adige lo vedono prim’attore in strutture ricettive sopra media. Al nostro Fabrizio, però, oramai diventato un “nome” nella cucina italiana, i confini del nostro paese sono decisamente stretti

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e forse non consoni alla sua voglia di dare una particolare impronta e svolta al suo modo di essere “cuoco”. E così inizia il suo viaggiare. Dapprima si sposta in Germania dove, a riconoscimento delle sue indiscusse capacità, viene chiamato a organizzare e curare il rinfresco per 700 persone per l’inaugurazione della stagione dell’orchestra Filarmonica di Berlino, una delle più prestigiose al mondo. Di poi, emulando Marco Polo, anche perchè spinto dalla voglia di conoscere nuovi mondi, decide di visitare l’oriente e, in quel mondo, cimentarsi con la sua arte culinaria. Prima in Cambogia a Phnom Penh dove diventa titolare del ristorante italiano Luna d’Autunno, poi in Cina, a Pechino dove inaugura il “Fiorentina”, poi ancora in Cambogia dove battezza “Il Forno”, un altro dei suoi locali di successo. Ma la dinamicità di Fabrizio Sartor non è ancora doma. Il suo viaggiare è veramente inarrestabile e, parafrasando un vecchio adagio, “dove arriva lui, lascia il segno”. Un’etichetta inconfondibile che è prerogativa dei grandi della cucina sia italiana sia internazionale. Ora, dopo tanto viaggiare, si presenta per lui anche la sfida italiana “Al Tabià”, un locale storico del Feltrino anni ‘60, che per lungo tempo, da padre in figlio, è stato gestito della famiglia Piol, Oggi arriva “lui”, Fabrizio Sartor, uno chef

e gestore dalle indiscusse capacità e documentata esperienza con la decisa voglia di fare di questa struttura ricettiva un vero punto di riferimento per i buongustai. Ristruttura completamente il “Al Tabia’”, sia nell’arredamento sia nei servizi, ma soprattutto dalle appetitose offerte “mangerecce” dove la carne diventa l’elemento portante e unico. Per la cronaca è stato rifatto camino creato apposta per cucinare alla brace, e nella più alta tradizione, le succulente fiorentine di diversa provenienza. E c’è anche da sottolineare la presenza Al Tabià di particolare e unico frigorifero, “Lo Stagionatore” il quale, attraverso l’emissione di Ozono, abbatte al 100% tutta la carica batterica della carne, per la certezza di un prodotto garantito e nel rispetto delle prerogative igienico sanitarie. E quindi permette una giusta e ottimale frollatura della carne. Ovviamente anche le pizze (è stato mantenuto il forno a legna) faranno parte del menu’ e che saranno proposte sia nella versione classica sia stagionali, anche con farine biologiche e integrali. (p.r.)


Quattro passi in tavola

BIANCO o ROSSO? Da sempre l’abbinamento vino-cibo richiama l’attenzione di esperti e amanti della buona cucina. E non di rado le diverse idee, se abbinare il vino bianco con il pesce o quello rosso con la carne, creano lunghi e a volte non polemici dibattiti. E alla fine, come sempre, ognuno rimane sulle proprie posizioni e argomentazioni iniziali. Indubbiamente si tratta di un argomento tra i più complessi del mondo enogastronomico perché non solo è legato ai gusti soggettivi della persona, ma anche alle preparazione e specifica conoscenza. I più grandi e competenti sommelier e i famosi cuochi “stellati” hanno, a tal proposito, le ide ben chiare che provengono e

supportate dalle varie scuole legate a questo grande universo. Per quanto riguarda l’abbinamento vino-pesce a parere di Aldo Sohm, uno dei migliori sommelier al mondo, il tutto dipende da come il pesce è cotto e dal suo condimento. Normalmente, sottolinea, un gusto delicato richiede un vino bianco “fermo” anche se, a suo parere, un buon frizzante potrebbe essere consigliato. Nessuno infatti vieta di abbinare vini rossi col pesce, a condizione, però, di farlo quando si ha una buona conoscenza e una certa dimestichezza. Per non fare errori o se non si è esperti, un Verdicchio, un Soave, uno Chardonnay possono andare. E’ vietato invece usare vini rossi corposi al posto di quelli delicati quali il Grignolino o Bardolino, quest’ ultimi buoni anche utili per grigliate o zuppe. Se invece il pesce prevede una cottura piccante, molto saporita con salsa

e condimenti forti allora è consigliabile abbinare vino dal tenore alcoolico importante e anche con un residuo zuccherino come il Primitivo, l’Amarone e similari. Molti per questi piatti consigliano anche i rosee o i rossi “gentili”. Ma come detto ciò dipende da come si serve in tavola il pesce.

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Tra passato e presente di Waimer Perinelli

La GUERRA della POLENTA tra FELTRE e TRENTO

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uest’anno i Feltrini resteranno senza polenta. Quest’anno causa Covid, non si è svolta infatti in piazza a Trento la tradizionale disfida dei Ciusi e dei Gobj che vede, da trentasei anni, i feltrini assalire le mura, simboliche, della città dell’aquila per impossessarsi della farina gialla. La disfida ha storia antica anche se fino al 1984 era rappresentata solo come mascherata, una forma carnevalesca spostata dall’ inverno al 26 di giugno nel giorno della celebrazione di San Vigilio patrono della città e del Trentino. Un modo per rendere omaggio al santo evangelizzatore del territorio i cui abitanti pagani, siamo nel 405 dopo Cristo, anziché ringraziarlo preferirono lapidarlo. Alla mascherata tradizionale, di cui si ricordano in particolare le edizioni del 1875 e del 1902, i feltrini partecipavano simbolicamente indossando vestiti ideati dai trentini che, generalmente preferivano affollare il Teatro Oseli alla fine del Settecento e il Sociale dal 1819, per assistere alle opere di Rossini, Verdi, Mascagni.... e, se possibile, fare quattro salti con le danze dette Cavalline. Nel 1984 il Comune di Trento, con felice intuizione, decise di rievocare una guerra

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tra feltrini e trentini che sarebbe avvenuta nel 493 dopo Cristo: un conflitto tra poveri per la disputa di un po’ di pane, farina ed altro cibo, sicuramente non di granoturco per la cui comparsa nella nostra cultura dovremo aspettare altri mille anni. Dice la leggenda, suffragata da un po’ di storia che fu Re Teodorico, il condottiero dei Goti, a invitare i feltrini a Trento per impiegarli nella costruzione delle mura cittadine. I veneti sfruttati ed affamati un bel giorno si ribellarono. Non è noto come finì lo scontro ma ogni anno grazie al Gruppo storico della Confrater-

nita dei Ciusi e dei Gobj, esso si rinnova in Piazza Fiera, davanti al palazzo del Principe Vescovo. “Una guerra simbolica”, chiarisce Sandro Bottura che al 2010 al 2014, è stato presidente della Confraternita. I feltrini o Ciusi indossano una divisa giallo-rossa con bolli neri; i Gobj trentini una tuta grigia e nera. Le due squadre si affrontano davanti alla polenta fumante che gli uni difendono e gli altri assalgono. Le due schiere si contendono la polenta preparata dalle strozzere, disponendosi nel seguente modo: i Gobj formano un cerchio a difesa del paiolo tenendosi vicendevolmente alle corde saldamente cinte attorno alla loro vita, volgendo la schiena al paiolo stesso. Al centro del cerchio prendono posto le strozzere, armate di grandi ramazze che servono per difendere la loro polenta dagli assalti. I Ciusi devono disporsi in fila indiana a gruppetti di cinque, per cercare, nel rispetto delle regole del gioco, di rompere la catena degli avversari spezzando il cerchio e conquistando così la polenta. “Un regolamento particolare, dice Bottura, impedisce che i contendenti


Tra passato e presente si facciano del male e alla fine una fetta di polenta c’ è per tutti”. Tutti affamati però quest’anno, pubblico, sempre numeroso, e contendenti, rimasti a bocca asciutta a causa del Covid mentre le celebrazioni si sono svolte, in forma ridotta ed elegante, nell’austero castello cittadino. In verità i feltrini la polenta

di Trento non l’hanno mai assaporata perché non hanno mai partecipato alla disfida. Sono stati sempre i convitati di pietra e il loro ruolo è stato affidato a figuranti locali. La rappresentazione è entrata a far parte di un circuito di feste medievali folcloristiche, da noi ancora rare, ma molto praticate in Germania e

in Sud Tirolo, in Val Venosta, a Glorenza in particolare. “Uno spettacolo in forma ridotta, ricorda Bottura, l’abbiamo portato a Milano ed è stato un successo”. Probabilmente lo gradirebbero anche nel Feltrino, protagonista, suo malgrado, di un pezzo di storia trentina.

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Quattro note in cronaca di Paolo Rossetti

Jean & Pierrette Ensemble: un’orchestra, una storia E’ iniziata diciassette anni anni fa al Grand Hotel di Trento la storia dell’orchestra Jean & Pierrette Ensemble. Un’avventura! “Era dicembre, ricorda Gianni Bertelle, leader e voce solista del gruppo, eravamo in quattro nelle sale dell’albergo più grande della città, affacciato su Piazza Dante: Era l’ultima sera dell’anno 2003 e tutto sembrava di buon auspico”.

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così è stato! Per Gianni, Piera, voce solista, Paolo, fisarmonica e tastiere, Amleto, basso e percussioni, fu l’inizio di una bella avventura nella musica e fra la gente. Un quartetto ben affiatato in cerca d’autore, a cui si aggiungeva, quando poteva, Lino virtuoso del sax e clarino. Il complesso suona e canta musica popolare, valzer, mazurka, tango, liscio, note d’autore, che adatta ai diversi avvenimenti dal matrimonio alla festa privata, al ristorante e pizzeria, bar, ritrovi di associazioni. Cinque anni di inviti ad ogni tipo di festa e poi la voglia di cambiare ampliando il gruppo fino a portarlo alla dimensione di vera e completa orchestra live. Il quartetto si amplia con l’obiettivo di inserirsi nelle sale da ballo, e nelle grandi feste di piazza. Viene per questo aggiunta la sezione ritmica live con Renato alla chitarra e voce, Paolo Batteria e percussioni,

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Gregorio, sax e flauto, Davide, fisarmonica e chitarra ed Alberto alla Batteria. Un cambio radicale che si modifica ancora a causa della morte di Renato e Paolo. Nel mondo dello spettacolo, con amarezza, si dice “show goes on”, una legge severa del palcoscenico che vale anche sulla pedana della musica. E così l’orchestra continua a crescere con la voce solista di Paola apprezzata anche come promoter. La full band, con l’ arrivo di Renzo, voce e percussioni, e di Vinicio, showman, cabarettista e comico, sale a otto elementi e dopo un lungo periodo trascorso in Veneto ritorna anche in

Trentino dove ha avuto il battesimo della fondazione. “ Il nostro segreto, dice Gianni, è la flessibilità. Ancora prima dell’arrivo del Covid abbiamo adottato la formula del duo-trio e quartetto, dividendo la band secondo le diverse esigenze. Possiamo partecipare a grandi eventi come ai matrimoni, alle feste minori per le quali ci siamo specializzati” Con il successo arriva la collaborazione con la Edizioni Caramba con la quale viene prodotto il Cd dal titolo “Non ci lasceremo mai”, e con varie televisioni, in particolare con Canale Italia, che trasmettono i video clip.


Quattro note in cronaca

Gianni Bertelle con l’arrivo del Covid conferma di avere doti di manager imprenditoriale. Tutti i gruppi musicali subiscono un grave contraccolpo. Locali chiuse, piste da ballo tristemente deserte: tutta la programmazione saltata. Per Gianni le difficoltà si trasformano, almeno in parte, in occasioni e, pur non abbandonando l’orchestra, proprio in ottobre ha debuttato al Tabià, locale pizzeria del Feltrino, con una nuova formazione la Jean Music Star un duo composto con la cantante Stella, professionista di Treviso. Il repertorio pesca nelle musiche degli anni 70 e nelle più recenti con nuovi arrangiamenti. Gianni,poi, quando deve esibirsi da solo, con la tastiera di accompagnamento, affronta alcuni brani di Vasco Rossi e fra questi “Alba Chiara”in versione baciata e poi Guccini e altri cantautori. “Questo per esserci, dice Gianni, in questi tempi di crisi in cui lentamente torna la vita sociale. Con prudenza e precauzione: noi speriamo con il giusto divertimento. La musica rende più bella la vita” JEAN: NUOVO PROGETTO DI MUSICA E SPETTACOLO Dopo anni di esperienza con l’orchestra Jean & Pierrette Ensemble che ha fondato e che sta continuando il suo percorso, Gianni ha ritenuto necessario affiancare un nuovo progetto flessibile ed articola-

to con accanto nuovi collaboratori. Il fulcro del progetto parte dalla sua persona come musicista e cantante singolo con il brend: GIANNI MUSIC LIVE I COLLABORATORI STELLA - Vocalist professionista con vasto repertorio di musica d’ascolto e da ballo a 360° sia nazionale che internazionale. Specializzata in intrattenimenti musicali soft e dan-

repertorio italiano revival e repertorio da ballo liscio. VINICIO CORRENT -Musicista, pianista, cantante, cabarettista in arte Showman Viny adatto per eventi e serate dove alla musica si abbina lo spettacolo e l’animazione. VALENTINO GRIMALDI -Promoter del progetto, fotografo e videomaker. (P.R.)

zanti, Animazione e Dj Set. Con Stella stà nascendo un progetto avanzato nel quale metteremo assieme le nostre esperienze e i nostri repertori che si integrano in modo efficace. VALERIA SACCOMANNO Voce femminile con repertorio nazionale e internazionale di musica d’ascolto e di musica da ballo anni 70-80. MICHELA ORZES - Voce femminile con 85


Quattro passi in tavola

La Birra...

non solo con la pizza Per moltissimi anni la birra è sempre stata considerata la migliore bevanda da abbinare alla pizza. E questa tradizione culinaria tutt’ora vive nella mente dei tantissimi clienti che amano frequentare le pizzeria. Sempre di più,però, si sta sviluppando e crescendo la tendenza a bere la birra, bionda, scura o rossa, a tutto pasto e con cibi e piatti di vario genere e gusto. Una cosa, però, è importante sapere: che mentre la pizza richiamo tutte le birre, ovviamente a secondo, del proprio desiderio, così non è con gli altri cibi. Occorre infatti non solo avere una certa propensione a farlo, ma sopratutto è necessario provare materialmente se tale abbinamento rientra nei propri gusti.

Una delle ultime tendenza di abbinamento della birra con i vari cibi è quella di farlo con i crudi, siano essi di carne o di pesce. Oppure utilizzarla quando si vuole assaggiare un buon formaggio alle erbe oppure grasso e corposo perchè la birra con la sue effervescenza e il gusto “amaro” del luppolo è particolarmente indicata per ripulire la bocca. Alcuni chef stellati consigliano l’abbinamento della birra quando si desidera gustare un piatto di carni untuose oppure cibi succulenti e speziati ricordandosi che a piatto “forte” e saporito deve essere abbinata una birra corposa e piena. Mentre cibi delicati richiamano birre con minore carattere,con particolare aromaticità,meg-

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lio se profumate. Se poi si desidera fare un pasto completo con l’abbinamento di diverse birre è bene procedere dal basso vero l’alto ovvero cominciare con quella di minore intensità gustativa. Lo stesso dicasi per gli alimenti: prima quelli delicati e poi quelli più corposi, speziati e grassi. Conviene quindi sapere che il gusto della birra si base su tre percezioni gustative: quelle acide, le amare ed infine le dolci.

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Quattro passi in tavola

Il FAST FOOD ...Buon appetito! Letteralmente significa “cibo o mangiare veloce” e secondo alcuni studiosi sembra essere nato nel 1860 quando in Inghilterra è stato aperto il primo “fish & chips”. E’ una particolare ristorazione di derivazione anglosassone non solo da cucinare o consumare in maniera rapida ma anche a prezzi economicamente convenienti. Negli ultimi tempi il fast food, che in moltissimi paesi veniva consumato anche per strada, si è potenziato perché numerosi locali sono in grado di offrirlo ai loro clienti. Questa particolare cucina o modo di mangiare è costituita principalmente da hot dog, hamburger, cotolette, sandwich e patatine fritte. Con il passare del tempo a questi alimenti si sono aggiunti anche

altri cibi derivati da cucine etniche, kebab e il massiccio utilizzo di particolare salse. Il fast food è in genere caratterizzato da un costo relativamente modesto anche perché i maggiori consumatori sono i giovani ai quali oggi, e sempre di più, si aggiungono gli adulti che per motivi essenziali legati al tran tran quotidiano, al lavoro e anche all’economicità, si avvicinano a questo modo originalissimo di cibarsi. Una cosa però deve essere evidenziata e che riguarda appunto il rapporto -qualità-prezzo. Molti, infatti, abbinano al basso costo e ai contenuti di principi nutritivi una scarsa qualità dei cibi. Forse potrebbe essere così quando si consuma

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a maggior parte dei prodotti alimentari industriali contiene uno o più additivi naturali o artificiali. Queste sostanze vengono aggiunte per ragioni tecnologiche o commerciali e non hanno alcun valore nutritivo.

Gli additivi possono essere utilizzati allo scopo di rendere l’alimento più colorato, di mantenere l’aspetto e la consistenza originari fino al momento del consumo, di prolungare la durata di conservazione e, spesso, anche di mascherare l’assenza di alcuni ingredienti di valore o l’uso di materie prime di qualità scadente. Quando un prodotto contiene additivi, l’etichetta deve riportare: - la categoria, che identifica la funzione svolta dall’additivo nell’alimento (coloranti, conservanti, antiossidanti) - il nome dell’additivo (acido sorbico, lecitina, cera d’api) o il codice europeo (E

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220, E 322, E 901) Gli additivi alimentari sono considerati veri e propri ingredienti e vengono pertanto elencati assieme agli altri ingredienti dell’alimento in ordine decrescente, in funzione delle quantità contenute nel prodotto. A seconda della loro funzione, sono suddivisi in categorie (coloranti, conservanti, edulcoranti, antiossidanti e regolatori di acidità, emulsionanti e addensanti, esaltatori di sapidità) e a ognuno è associato un codice, generalmente composto da una E seguita da 3 o 4 cifre. Il codice è valido in tutta Europa. Al seguente link trovate una breve descrizione dei principali additivi: https://www. altroconsumo.it/alimentazione/sicurezza-alimentare/calcola-risparmia/banca-dati-additivi-alimentari/risultati L’utilizzo di additivi è regolato dal Regolamento CE N° 1333/2008, che stabilisce i criteri di utilizzo e la lista degli additivi autorizzati in tutta Europa. Ma sono solo bei principi. Anche se considerati innocui, gli additivi non dovrebbero essere utiliz-

zati se non nei casi in cui sono veramente indispensabili. Che cosa si può fare per limitarne l’uso? - Leggere le etichette e scegliere sistematicamente i prodotti che contengono meno additivi. In questo modo, faremo capire ai produttori che preferiamo, prima di tutto, prodotti di qualità e che non presentano rischi per la salute. - Evitare i prodotti con un colore troppo appariscente, che rivela chiaramente la presenza di coloranti. - Imparare ad apprezzare gli alimenti semplici e possibilmente non pronti, poiché la maggior parte di questi ultimi contiene molti additivi, tra cui glutammati e conservanti. Consumando molti prodotti pronti si assumerà con ogni probabilità dosi massicce di additivi. Inoltre, alcuni conservanti, tra cui soprattutto i benzoati (E210 - 213), sono consentiti in un numero decisamente troppo elevato di prodotti alimentari: ne deriva che i livelli d’assunzione tollerati giornalmente, solo per queI conservanti, possono essere facilmente superati anche con una dieta varia.


La buona e sana alimentazione II contenuto è stato realizzato nell’ambito del progetto La Spesa Che Sfida finanziato dal Ministero dello sviluppo economico (DM 7 febbraio 2018). La Spesa che sfida è un progetto che vede protagonista Altroconsumo, in sinergia con Asso-Consum e Casa del consumatore, con lo scopo di sensibilizzare il consumatore verso una spesa consapevole per preservare la salute, l’ambiente e il portafoglio.

Sul sito https://www.altroconsumo.it/ alimentazione/la-spesa-che-sfida

troverete la web series dedicata all’importanza delle scelte alimentari consapevoli, un pratico calendario stagionale di frutta e verdura, da scaricare, stampare e tenere sempre in vista quando decidiamo di fare la spesa, il calcolatore per scoprire tutto quello che c’è da sapere sugli additivi alimentari e tanti consigli pratici per compiere ogni giorno scelte responsabili in ambito alimentare.

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Curiosità in tavola di Elisa Corni

Birra e Vino

lo sapevate che... Mastri birraioli ed estimatori di vini state pronti, ecco sedici curiosità sulle vostre bevande preferite! … ogni anno nel nostro paese si produce tanto vino da riempire più di duemila piscine olimpiche (circa cinquanta milioni di ettolitri). … uno tsunami di birra colpì la città di Londra nell’Ottocento. Era il 16 ottobre 1814 e la cisterna di un birrificio si ruppe, rovesciando sulla città un milione e mezzo di litri di birra. A causa dell’incidente nove persone persero la vita. … non temete più il sommelier: l’etimologia della parola deriva dal ruolo che queste figure ricoprivano nell’esercito di Napoleone: condurre (da lier, legare) gli asini (somme, bestie da soma) carichi di botti! … la birra ha origini antiche. Alcuni tra i ritrovamenti archeologici più antichi che testimoniano la produzione di birra si trovano in quella che all’epoca era la Mesopotamia, e sono databili circa settemila anni fa. Ma il destino è beffardo: oggi gli abitanti di quella regione, di religione musulmana, non possono consumarla perchè proibita come tutte le altre sostanze alcoliche.

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… il brindisi ha origini antiche: nella Grecia dei filosofi e delle Polis il padrone di casa alzava il calice e ne beveva il primo sorso per rassicurare i commensali sul fatto che non fosse avvelenato. Cin cin! … a Gelsenkirche, nella Renania settentrionale, sono state costruite delle condutture apposite per portare la birra direttamente dai luoghi di produzione ai bar nei pressi dello stadio. … le bottiglie di vino non sono da litro, ma da 75 cl perchè, a quanto pare, la capacità polmonare dei soffiatori di bottiglie non


Curiosità in tavola supera quella quantità… … e perché le tasse portuali della Gran Bretagna limitavano il trasporto di casse di vino da 2 galloni massimo, ovvero da dodici bottiglie da 75 cl l’una. … il paese in cui si consuma più birra è la Cina (490 milioni di ettolitri), mentre il record pro capite lo detiene la Repubblica Ceca, dove spesso la birra costa meno dell’acqua e dove ogni cittadino consuma annualmente 143 litri di questa spumosa bevanda. … l’Italia è il paese con il numero maggiore di varietà di vitis vinifera: ben 350 tipi differenti. Pensate a quante varietà di vino trovate sugli scaffali dei nostri supermercati… … e le birre nel mondo sarebbero oltre 400 tra Weissen, bionde, rosse, non filtrate e via discorrendo. Il paese che ne produce più varietà è il Belgio.

… il birrificio più antico al mondo e ancora operativo si trova in Baviera. Il Bayerische Staatsbrauerei Weihenstephan ha aperto i battenti nel 1040!

… nel Medioevo la birra si consumava più dell’acqua e la si beveva anche a colazione. Nutriente e ricca di calorie forniva un supplemento alla dieta che spesso era povera. Inoltre era sicuramente pulita, mentre spesso l’acqua non lo era.

… la birra spaziale! Nel 2008 il marchio giapponese Sapporo produsse cento litri di birra con orzo… spaziale! ll cereale era infatti coltivato sulla Stazione Spaziale Internazionale, a 408 chilometri dalla superficie terrestre.

… l’archeologia ci racconta che la testimonianza di coltivazione della vite più antica risale a circa due milioni di anni fa.

… il Cabernet Sauvignon è il vitigno più diffuso al mondo, seguito a ruota dal Merlot.

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Sport & Salute di Annamaria D’Onghia

L’arco e il cancro

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n Spagna si sta sviluppando una nuova terapia dedicata alle donne operate di tumore al seno: il tiro con l’arco.

Alle donne con un tumore al seno in stadio avanzato vengono spesso rimossi i linfonodi ascellari perché c’è il rischio che le cellule tumorali, attraverso i vasi linfatici, arrivino fin lì, con possibili metastasi in altri organi. La linfa, che dovrebbe essere filtrata dai linfonodi, tende così ad accumularsi nei tessuti del braccio, provocando un gonfiore invalidante e dolore. Per trovare sollievo, queste donne sono quindi costrette ad utilizzare una fascia

elastica che favorisce il drenaggio dei liquidi. Due medici spagnoli amanti del tiro con l’arco hanno pensato di utilizzare questo sport per sollevare l’umore nelle loro pazienti oncologiche. Con grande sorpresa, le pazienti che avevano subito mastectomia con l’asportazione dei linfonodi hanno riscontrato non solo un beneficio psicologico, ma anche una notevole riduzione dell’edema (gonfiore) e dei sintomi associati. La reazione è dovuta alle vibrazioni prodotte dallo scoccare della freccia, che

fungono da massaggio drenante. La cosa interessante è che proprio questo effetto collaterale che si verifica a seguito del rilascio della corda è nemico dei tiratori di alto livello, che cercano di eliminarlo il più possibile. In Spagna, i risultati sono così incoraggianti che l’Associazione spagnola contro il cancro (AECC) ha incentivato i centri sportivi di tiro con l’arco a promuovere questo sport alle donne con una storia di tumore al seno.

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Covid e società di Annamaria D’Onghia

Il distanziamento dei mondi:

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la fortuna di nascere in Occidente

ome Occidente e terzo mondo reagiscono all’emergenza Covid 19 in corso: il divario tra la sanità dei paesi ricchi e di quelli poveri. Nei confronti della pandemia, la sanità occidentale o dei paesi ricchi utilizza un approccio orientato alla prevenzione. Si cerca di limitare al massimo la diffusione del virus attraverso il distanziamento sociale, il lavaggio delle mani assieme all’utilizzo di mascherine e guanti, la sanificazione dell’ambiente e con test per la diagnosi precoce, in modo da isolare i pazienti. L’Occidente mira a vaccinare tutta la popolazione, ma ci saranno le risorse per

farlo anche con i paesi più poveri? Nei paesi a bassissimo reddito e con condizioni economiche, sociali e politiche particolarmente gravi, il distanziamento sociale è considerato un lusso. Infatti, migliaia di persone vivono in baraccopoli talmente ammassate che la protezione dal droplet dei vicini di baracca è impraticabile. In questi paesi manca anche l’assistenza sanitaria più elementare e addirittura risorse come acqua incontaminata o cibo ben conservato non sono da dare per scontate. I loro abitanti non hanno quindi altro da fare che sottomettersi al virus. Purtroppo, anche di fronte ad un’emer-

genza umanitaria come la pandemia da Covid 19, nascere in Occidente rispetto che in un paese sottosviluppato vuol dire avere la possibilità di curarsi o meno. A questo spesso non pensiamo, ma non possiamo far sì che la distribuzione così iniqua delle risorse passi inosservata anche oggi.

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o d n a l l e r e h ioc

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CATENA DI PAROLE Ricollegate la prima parola con l’ultima elencata, disponendo, a destra, nel giusto ordine le parole (date alla rinfusa nella colonna a sinistra) e ricordando che ognuna di esse: A - può essere l’anagramma della parola precedente; B - può essere ricavata aggiungendo/togliendo/cambiando/spostando una lettera della parola precedente; C - può essere un sinonimo o un contrario della parola precedente; D - può essere unita alla parola precedente in una similitudine, in una metafora, in un modo di dire, per associazione di idee; E - unita alla precedente, può formare il nome di una persona celebre, di un luogo famoso, reale o fantastico; F - può trovarsi associata nel titolo, nella trama di un libro, di un lavoro letterario o cine-teatrale o in altri componimenti comunque celebri di qualunque genere essi siano. Per Vs. promemoria segnate tra parentesi, accanto ad ogni parola inserita, la lettera (da A ad F) che spiega quale tra le regole suddette avete applicato nel procedere. Ad esempio: MOLARE -> DENTE (C) -> DANTE (B) -> TENDA (A), ecc. 1. FROSINONE 2. ALT 3. CORRIDA 4. DISNEY 5. BRUTTA 6. CAMOMILLO 7. PISCINA 8. BAMBI 9. FRUTTA 10. ALTO 11. SPINACI 12. TORERO 13. SONNIFERO 14. BIMBA 15. WALT 16. VERDURA 17. PICCINA 18. CAMOMILLA 19. ORRIDA 20. BASSO

1. FROSINONE 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. BASSO

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21. La capitale francese del vino Champagne - 22. La sigla che in Fisica indica un miliardo di elettronvolt - 23. Bevanda alcoolica derivata dalle mele - 25. Letto due volte... diventa un navigatore - 26. Ha scritto Il nome della rosa - 27. Il più

ORIZZONTALI: 1. Il mese Levico Terme 8. ... Stato e così - 12. alto Comune della Valsugana - 28. Ildella fallo diStrozegada rete nel tennis -a30. Per superficie è il -settimo dellasia! Terra - 33. Dura e faticosa come dai la salita ciclistica del Bondone - 36. Nel grappolo sono pochi - -38. Spesso sono le calze Sono adorati pagani - 13. Una persona comespàrgolo San Romedio 15. La lopiccola usate dai bambini per giocare sui pavimenti in casa - 42. Ne' miei, ne' tuoi - 43. La Provincia piemontese del vino valle trentina percorsasul dalluogo torrente Moggio - 16. Nota del redattore (sigla) - 17. Moscato - 45. Precipitarsi dell'incidente - 49. Eccessiva produzione di saliva nell'assaggiare vini Ètroppo aciduli. da almeno sei games vinti - 18. Una struttura come l’INPS - 19. Creatori, formato inventori - 20.1.Alta Tensione La capitale del vino Champagne - 22.- 4 . La VERTICALI: Il significato della-D21. nel termine COVID francese - 2. Simili, uguali - 3 . Un'arma da film western ne ha in quattro - 5. La Martini... mi appartiene 6. Chi l'ha garantita ci può anche vivere - 7. Un laghetto La libellula sigla che Fisica indica unchemiliardo di -elettronvolt - 23. Bevanda alcoolica vicino al 27 orizzontale - 8. Aeronautica Militare - 9 . Hanno caratteri maschilisti - 1 0 . Un liquido dall'odore derivata dalle mele - 25.ospedaliero Letto due diventa un -navigatore - 26. Ha scritto caratteristico usato nell'ambito - 11. volte... La rappresenta il Presepe 14. Un Programma didattico riservato agli studentidella universitari Si ripetono ischemie - 21. La della provincia polesana (sigla) - 24. AIDO e AVIS ne contano Il nome rosa- 19. - 27. Il piùnelle alto Comune Valsugana - 28. Il fallo di rete tanti - 27. L'erba brusca (o acetosa) in Valsugana - 29. La valuta non materiale da cui derivò l'euro - 31. Seicento due nelromani tennis 30. Per superficie è il settimo Stato della Terra 33. Dura e faticosa - 32. Istituto d'Istruzione Superiore (sigla) - 34. Un camice o una vestaglia da casa... a Pergine - 35. Con Lona è come la salita ciclistica del Bondone - 36. Nel spàrgolo sono pochi 38.Spinto, la Capitale trentina del porfido - 37. L'ultimo Giovanni Paolograppolo - 39. La provincia col Gennargentu (sigla) -- 40. ma nonlo osceno - 41. perusate oche e galline - 44. Tante per sono giocare le Grazie - 45. - 46.in Il calciatore numero 7 Spesso sono leSpazi calze dai bambini suiAlessandria pavimenti casa - 42. Nè miei, nè tuoi - 43. La Provincia piemontese del vino Moscato - 45. Precipitarsi sul luogo dell’incidente - 49. Eccessiva produzione di saliva nell’assaggiare vini troppo aciduli. VERTICALI: 1. Il significato della D nel termine COVID - 2. Simili, uguali - 3. Un’arma da film western - 4. La libellula ne ha quattro - 5. La Martini... che mi appartiene - 6. Chi l’ha garantita ci può anche vivere - 7. Un laghetto vicino al 27 orizzontale - 8. Aeronautica Militare - 9. Hanno caratteri maschilisti - 10. Un liquido dall’odore caratteristico usato nell’ambito ospedaliero - 11. La rappresenta il Presepe - 14. Un Programma didattico riservato agli studenti universitari - 19. Si ripetono nelle ischemie - 21. La provincia polesana (sigla) - 24. AIDO e AVIS ne contano tanti - 27. L’erba brusca (o acetosa) in Valsugana - 29. La valuta non materiale da cui derivò l’euro - 31. Seicento due romani - 32. Istituto d’Istruzione Superiore (sigla) - 34. Un camice o una vestaglia da casa... a Pergine - 35. Con Lona è la Capitale trentina del porfido - 37. L’ultimo Giovanni Paolo - 39. La provincia col Gennargentu (sigla) - 40. Spinto, ma non osceno - 41. Spazi per oche e galline - 44. Tante sono le Grazie - 45. Alessandria - 46. Il calciatore numero 7 più famoso (iniz.) - 47. Adesso... in breve - 48. Fra do e mi.

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Il numero di ottobre di Feltrino News è stato chiuso in redazione il 7 ottobre 2020


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