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Storie di casa nostra :La famiglia Pilotto
Storie di casa nostra di Alice Vettorata
LA FAMIGLIA PILOTTO
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Il cognome Pilotto ha una storia con radici che si insediano forse già nell’anno 1133, periodo in cui venne annotato in un codice diplomatico della Lombardia Medioevale con la sua forma originaria, Pilottus. Altra teoria sulle sue origini è che il cognome risalga al 1560, anno di diffusione in Italia della nobile famiglia spagnola dei Pilo. Indipendentemente dalla sua genesi, ad oggi è possibile ritrovarlo nelle forme di
Pilotti o Pilotto e in questa circostanza, si tratteranno le vicende di un componente di una famiglia avente quest’ultimo come nome di famiglia.
Vissuta a Feltre nel corso dell’800 i componenti della famiglia Pilotto in questione si contraddistinsero per le doti creative e per il prestigio portati in città, sia da parte di Giovanni
Pilotto e Rosa Milani, sia da parte dei loro quattro figli. Ida, un’insegnante e dirigente scolastica, scrittrice di libri che divulgavano alcune teorie della formazione, Vittorio che di professione era una musicista, maestro di banda e anch’egli scrittore e Amalia, la quale sposò il maestro Bosio di
Verona. Il primogenito di Giovanni e Rosa fu Libero Pilotto, nome che è possibile ritrovare spostandosi tra le vie della sua cittadina natale, nei pressi del campo sportivo intitolato al suo omonimo Libero Zugni Tauro. Se i fratelli di Libero sono stati presentati in modo abbastanza didascalico, su di lui si parlerà in modo più dettagliato. Fu un bambino che iniziò precocemente a coltivare il proprio sogno e talento nel campo teatrale, debuttando a Belluno come giovane promessa in una compagnia locale. Da quest’esperienza venne incentivato e supportato affinché potesse trasferirsi a Firenze per frequentare la scuola biennale di declamazione gestita da Filippo Berti, la quale si basava sul modello della francese Comédie Française. Grazie alla dedizione e allo studio affrontati in questa circostanza, la sua carriera decollò, non senza problematiche, conducendolo a collaborare in futuro con nomi noti nella scena dello spettacolo. Nonostante la collaborazione con alcune compagnie, prima dell’affermazione professionale dovette affrontare la problematica della fame derivata dalla scarsità dei pagamenti adeguati al proprio lavoro, costringendolo a rubare cibo per poter esibirsi in modo ottimale. Aspetto positivo che invece riuscì a trarre dal periodo della formazione lavorativa fu la conoscenza di un’altra attrice, Antonietta Moro, con la quale nacque un sodalizio sia professionale che sentimentale. Si sposarono ed ebbero un figlio, Camillo, che già da ragazzo iniziò a seguire le orme artistiche dei genitori. La giovane coppia proseguì il proprio percorso in simbiosi anche nel momento in cui Libero divenne il direttore della Compagnia Nazio-
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nale, gruppo teatrale di spicco destinato però a sciogliersi nel 1888, a soli due anni dopo il subentro della direzione di Pilotto. L’imprevisto non fu un ostacolo ma anzi, Libero e Rosa proseguirono la loro carriera collaborando con altre compagnie, instaurando un ottimo legame con Ermete Zacconi, attore che introdusse il verismo nelle scene italiane e che coinvolse anche Pilotto in una linea innovativa di teatro. I due non furono completamente d’accordo sulle riforme da apportare nell’ambito della recitazione, tant’è che libero si proclamò un “tiepido innovatore” nei confronti della proposta di abolire i ruoli teatrali caldeggiata da Zacconi. Le loro divergenze ideologiche non li fermarono dal fondare nel 1894 la compagnia teatrale Pilotto-Zacconi, anche se fu un progetto della limitata durata di tre anni. Questa cesura dal collega lo condusse a prendere parte a nuove collaborazioni artistiche e compagnie fino al suo decesso avvenuto a soli quarantasei anni. Seppur breve, la sua carriera incise in modo significativo il mondo della recitazione, e colleghi e critici ne hanno tessuto le lodi. La capacità attoriale di dare ai personaggi un carattere ricco di sfumature comiche e allo stesso tempo drammatiche, lo rese memorabile. Come in scena, anche nella stesura dei testi teatrali riuscì ad ottenere ampio consenso. Utilizzando una commistione tra lingua e registro dialettale veneto, ispirandosi alle opere di Goldoni, si servì della sua arte per educare il popolo italiano, trattando temi della quotidianità e sociali. Una carriera che gli consentì di stringere sodalizi interessanti con colleghi noti al pubblico, come Eleonora Duse, iniziata nella sua città natale alla quale dedicò la sua prima opera in assoluto; “Un amoretto de Goldoni a Feltre”, riunendo nella stessa trama un suo maestro, Goldoni e la sua culla, Feltre.
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