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Le incisioni rupestri della Valcamonica
Conosciamo i territori di Monica Argenta
Le incisioni di arte rupestre della Valcamonica: testimonianze di un lontano passato ancora da decifrare
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Le incisioni di arte rupestre della Valcamonica suscitano l’interesse di turisti, curiosi e studiosi che, a seconda della propria estrazione culturale e storica, cercano di affrontare il difficile compito di contestualizzare e soprattutto capirne il significato da oltre un secolo. Ma partiamo dall'inizio. A Giovanni Marro si deve, se non la scoperta, certamente la valorizzazione de "il grandioso monumento paletnologico di Valcamonica", secondo il titolo della memoria presentata dallo stesso alla Reale Accademia delle Scienze di Torino nella Seduta del 12 Giugno 1932. Giovanni Marro era un medico e antropologo di Limone Piemonte e giunse in Valcamonica a partire dagli anni 20 del secolo scorso attratto proprio dal ritrovamento di alcune incisioni di arte rupestre ad opera dell’alpinista Walther Laeng. Marro, collega e amico di Lombroso, individuò nella natura di questi segni lasciati dagli antichi la testimonianza del “pensiero primitivo” ben lontano dal “pensiero razionale” dell’uomo moderno. La ripetitività dei segni presenti nelle incisioni erano paragonabili a quella dei disegni dei malati di mente raccolti nella collezione del museo di psichiatria criminale di Torino. Secondo le teorie dell’epoca, infatti, i pazzi e i criminali altro non erano che la manifestazione in epoca moderna di “atavismi” giunti da un lontano passato e il parallelismo tra l’arte rupestre e “l’arte dei pazzi” era data per scontata. Di conseguenza, la metodologia e le interpretazioni fornite dal Marro risultarono più incentrate nel voler sostenere le teorie in auge in quell’epoca più che una reale indagine a fini conoscitivi. Si deve infatti arrivare agli anni ‘60 affinché gli studi in Valcamonica assumessero caratteristiche scientifiche più convincenti ed attuali. In quegli anni, Emmanuel Anati antropologo italiano di origini israeliane, fresco di un dottorato conseguito presso la Sorbona di Parigi, inizia un lavoro di sistematica classificazione delle incisioni della Valcamonica. Insieme ad un gruppo di colleghi e volontari, classifica migliaia di incisioni e avanza una sua teoria interpretativa, favorendone gli aspetti simbolici, frutto di una corrispondenza tra produzione materiale di un popolo e rappresentazioni artistiche. I paradigmi metodologici e interpretativi di Anati sono tutt’ora considerati fra i più completi e autorevoli in materia. Tuttavia, da qualche anno si son fatti sempre più strada nuovi approcci, grazie anche all’introduzione di nuove metodologie e “influssi” di studiosi provenienti da discipline non umanistiche quali ad esempio l' astronomia. Fatto sta che le incisioni, di cui si mette ancora in dubbio la precisa datazione, rappresentano tutt'ora un monumento sparso su ambedue le pendici montuose del corso dell’Oglio, fino all’altitudine di circa mille metri – con centro principale nella località di Capo di Ponte e conducenti a sinistra al massiccio della Concarena e a destra a Pizzo del Badile. Maestose montagne alberganti antiche divinità, come vorrebbero alcune leggende locali e capaci di influenzare anche il nostro presente. Ricordiamo infatti che le incisioni di arte rupestre della Valcamonica sono state il primo sito italiano ad essere entrate nella lista UNESCO tutelate come Patrimonio dell'Umanità. Inoltre, Regione Lombardia ha scelto a metà degli anni '70 come proprio simbolo la “Rosa Camuna”, pittogramma rappresentato in un centinaio di esemplari dal popolo Camuno, abitante della Valcamonica dell'età del Ferro. L'interpretazione della “Rosa Camuna”, così come quelle del resto delle incisioni e delle relazioni tra esse e l'ambiente, è ancora motivo di dibattito ed è forse proprio questo loro mistero a renderle così popolari e intramontabili.