6 minute read
Il turismo genealogico nel bellunese
Alla vigilia del Natale di 145 anni fa, più precisamente il 21 dicembre 1876,iniziava l’epopea dell’emigrazione bellunese verso le mitizzate, lontanissime “Meriche”. Dalla piccola ed, all’epoca, poverissima frazione di Fastro D’Arsiè partiva un gruppo di 58 persone, con destinazione la regione del Rio Grando Do Sul, nel sud del Brasile. In tutto 11 famiglie guidate dal parroco don Domenico Antonio Munari. Quel giorno le campane della locale chiesa suonarono ripetutamente a morto; tutti i 319 abitanti di quel borgo sapevano che si trattava di una partenza senza ritorno, l’addio a parenti ed amici era definitivo. Alle loro spalle, chi se ne andava, lasciava, malinconicamente, un paese stremato dalla miseria, dalle malattie, dalle calamità naturali. Il viaggio, durato quasi cinque mesi, fu una vera odissea che costò la vita a vari migranti. I superstiti sbarcarono a Porto Alegre il 10 maggio 1877. Da allora furono migliaia i Bellunesi, in particolare i residenti della vallata feltrina, a lasciare la loro terra. Fino all’epoca fascista le mete preferite furono Brasile, Argentina e Stati Uniti, a cui poi si aggiunsero Canada ed Australia; nel secondo dopo guerra l’emigrazione s’indirizzò verso Francia e Belgio, per poi, dagli anni ’60,virare verso Milano e Torino, dove le nascenti industrie cercavano mano d’opera di qualità. Quando si parla dell’emigrazione dei bellunesi non si può non menzionare la storia di Anna Rech, che recentemente ha,addirittura, preso vita in un fumetto storico pubblicato dall’Associazione Bellunesi nel mondo dal titolo “Oltre l’ignoto le avventure di Anna Rech e Jack Costa” scritto da Andrea Barattin. Il successo di Anna Rech rappresenta nel migliore dei modi quei seicento Feltrini
Advertisement
che lasciarono i loro paesi ed i loro borghi nel triennio tra il 1875 ed il 1878 per raggiungere l’America, di questi, quasi la metà, proveniva da Seren Del Grappa. E l’emigrazione da questo Comune proseguì in modo massiccio negli anni successivi, basti pensare che tra il 1876 e il 1897 vennero rilasciati ai residenti ben 1015 nulla – osta validi per l’espatrio. Molti di loro raggiungessero il Brasile in particolare la cittadina di Santa Caterina. Nell’epopea dell’emigrazione bellunese merita sicuramente un ricordo anche la storia di Giovanni Guido Conedera, giovane originario di Taibon Agordino che partì, alla volta del Sud America, nel 1879, ma che, per un imprevisto, sbarcò, suo malgrado, in Guatemala, dove, alla fine, decise di rimanere con il nome di Juan. E proprio quel nome venne dato ad un suo pronipote nato nel 1922 che, entrato giovanissimo nel seminario di Città di Guatemala, fu ordinato sacerdote nel 1946. Uomo di grande fede e di ottima cultura divenne vescovo e guidò, con grande carisma, varie diocesi del Paese centro americano. Sempre dalla parte degli ultimi, si schierò con coraggio a difesa dei diritti umani contro le violenze e le sopraffazioni messe in atto dai militari e dai guerriglieri. Monsignor Juan Conedera venne brutalmente assassinato il 26 aprile 1998 ed oggi, ad onorare questo discendente di emigrati bellunesi, è stato aperto il processo di beatificazione come
Viaggio nel futuro per conoscere il passato
martire. A tenere viva la memoria ed il legame tra i discendenti degli emigrati e la loro terra di origine esiste oggi l’attivissima associazione dei Bellunesi nel mondo, promotrice di molte iniziative a livello storico – culturale. Fra queste a Castelfranco Veneto è nato un nuovo tipo di turismo, quello genealogico, ovvero il turismo delle radici, degli antenati, delle proprie origini. L’idea, che in Europa ha pochissimi precedenti, è di Catia Dal Molin, una ricercatrice italo – brasiliana di quarta generazione, nata nel sud del Brasile, con trisnonno di Castello di Godego e con progenitori anche nel bellunese, da 15 anni residente nel trevigiano. “Il turismo genealogico – spiega la studiosa – è una nicchia di quello culturale ed ha una sua interessante collocazione al fianco di quello religioso, patrimoniale, educativo, gastronomico ed antropologico. Ci sono milioni di persone nelle Americhe ed in Australia – aggiunge Catia Dal Molin - che discendono da immigrati Italiani e, in particolare Veneti. La stragrande maggioranza di loro non conosce nemmeno il nome dei paesi da cui partirono i loro antenati e, comunque, non ha mai visitato la terra delle proprie origini. Oggi, in molti, sentono l’esigenza di vedere con i propri occhi e di visitare questi luoghi.” La ricercatrice castellana a questi particolari turisti non propone, quindi, uscite guidate a piazza San Marco, a Rialto, all’Arena di Verona, alla cappella degli Scrovegni, e nemmeno a Cortina D’Ampezzo o ad Aquileia. Niente musei famosi o interessanti mostre di dipinti. “La mia
proposta culturale è ben diversa – ribadisce - si andranno, infatti, a visitare le chiese, dove gli antenati sono stati battezzati, i luoghi che, nella loro giovinezza hanno frequentato; se esistono ancora le case dove sono nati i progenitori, le campagne che hanno coltivato, insomma i posti dove hanno vissuto. E se le ricerche che effettuerò lo renderanno possibile i più fortunati potranno magari conoscere dei loro parenti lontani.” Questo modo di viaggiare vuole valorizzare luoghi e località meno turistiche e famose; le piccole realtà, i vecchi borghi, a volte semi abbandonati e dimenticati dal
Viaggio nel futuro per conoscere il passato
tempo. L’operatore turistico del settore genealogico, per forza di cose, deve avere la passione per la ricerca storica e grande conoscenza del territorio. Gli archivi parrocchiali, delle anagrafi comunali e quelli catastali sono sicuramente grandi fonti di notizie per Catia Dal Molin e per chiunque altro volesse immergersi in questo mondo del passato, che però diviene linfa vitale per tanti discendenti dei nostri emigrati sparsi in tanti Paesi del mondo. Ma il settore del turismo genealogico può avere anche un ulteriore sviluppo. Centinaia di migliaia di Veneti lasciarono, nel corso di un secolo e mezzo, le loro terre, le loro case in cerca di fortuna in continenti lontani. Molti, con grandi sacrifici, centrarono, almeno parzialmente, il loro obbiettivo e non tornarono più nella terra di origine; tanti altri, invece, dopo un’esperienza durata vari anni, furono vinti dalla nostalgia e rientrarono. “Ebbene – sottolinea la ricercatrice – alcuni dei loro discendenti
vorrebbero ora visitare le località dove emigrarono temporaneamente i loro nonni e bisnonni, molti dei quali avevano raggiunto all’inizio del Novecento il sud America, in particolare, l’Argentina ed il Brasile, ma anche gli Stati Uniti, il Canada e, nell’ultimo dopo – guerra, il Venezuela.” Il Paese che Catia Dal Molin conosce meglio è il Brasile, perché è lì che emigrarono i suoi progenitori. “Soprattutto nelle regioni del sud – sottolinea – la grande maggioranza della popolazione
discende da emigrati italiani, in particolari Veneti e, tra questi, la parte del leone la fanno trevigiani e bellunesi.” La ricercatrice di Castelfranco, che è laureata in Storia, ha insegnato all’università brasiliana di Santa Maria, ha collaborato con radio e giornali locali, oltre che con associazioni italiane fondate in quel lontano Paese. E’ autrice del libro “Senza ritorno: l’emigrazione italiana in Brasile” e curatrice di vari volumi quali “Ti tasi sempre, ti parli mai”, pubblicato in Italia e in Brasile.Inoltre ha partecipato dei volumi “Merica, Merica, Merica, basta de miseria”; “150 anni di immigrazione italiana in Rio Grande do Sul.”