3 minute read

La nostra storia: Canòpi e le peste luterana

La nostra storia di Sergio Tazzer

CANÓPI E LA «PESTE LUTERANA»

Advertisement

Spieghiamo subito chi sono i canópi: si tratta dei minatori (dal tedesco Bergknappen) che giunsero dal mondo mitteleuropeo con scavare grobe (dal tedesco Graben, scavi) e stolli (sempre dal tedesco Stolle, galleria) nelle cecche o zecche (da Zeche, miniera) nelle nostre montagne, sia venete che trentine. Con loro giunsero esperti smelzer ( da Schmelzer, fonditore), addetti ai forni fusori e alle fucine. Fino a quando Venceslao II (1271-1305), re di Boemia e di Polonia, duca di Cracovia, non emanò lo Jus regale montanorum, il primo codice minerario apparso in Europa, redatto dal giuristica italiano alla corte di Praga, il notaio Gozzo da Orvieto, vigeva per i canópi il Freier Berg, l'uso libero della montagna. Forestieri anneriti dal fumo, acconciati in fogge diverse, che davano di sé alle tranquille comunità silvo-pastorali della montagna un'immagine fra lo stregonesco ed il diabolico; in più parlavano lingue diverse, dialetti tedeschi e slavi, provenendo per lo più dal Tirolo, dalla Sassonia, dalla Lusazia, dalla Missia, dalla Boemia … Il vescovo di Feltre era a capo di una contea che, oltre al Feltrino, comprendeva il Primiero, il Tesino e la Valsugana fino a Pergine, mentre quello di Belluno dominava praticamente sul resto dell'attuale provincia. Essendo le due diocesi bersaglio di scorrerie scatenate dal comune di Treviso, il papa statuì che pur restando indipendenti, pur aeque principaliter, ugualmente importanti, esse avrebbero avuto un unico vescovo. Unione formale che esistette fino al XV secolo, quando papa Pio II ripristinò le due diocesi nella loro autonomia. Ci si sofferma sull'amministrazione territoriale della chiesa cattolica poiché tutto filò liscio fino a quando apparve sulla scena Martin Lutero, che diede vita alla riforma protestante. La dottrina luterana fu combattuta dalla chiesa cattolica con ogni mezzo, messo in bella calligrafia teologica con il concilio tridentino. Dal dogado di Michele Steno (14001413) la montagna bellunese entrò a far parte dei territori della Serenissima, la quale attinse abbondantemente sia dai boschi che dalle miniere: l'Arsenale, e non solo, aveva bisogno del legna-

me per le navi e dei metalli per le sue artiglierie. Con il doge Niccolò Marcello (in carica per poco più di un anno) nel 1474 fu resa obbligatoria la bollatura dei manufatti e dei prodotti veneti con il sigillum dominii, il sigillo di San Marco, quello con il leone alata che garantiva della bona fide sine fraude. Se Venezia era insuperabile nel «coltivare le acque», era invece preparata a sfruttare le miniere, per cui favorì in ogni modo l'arrivo dei canópi centro-europei. La prima concessione mineraria, o investitura, fu data proprio ad uno proveniente dal mondo germanico, Heinrich von Heeslingen, cui seguirono molti altri, che si portarono appresso manodopera specializzata. Tutta zente nova, tedeschi, sorabi, boemi, gente molto reputata per la laboriosità, le competenze, l'ordine, che si ambientò rapidamente, formando famiglia con donne del posto. Un'immigrazione consistente si ebbe durante la devastante Guerra dei Trent'anni (1618-1648); molti protestanti si rifugiarono nella Repubblica del Leone per trovarvi salvezza. Le gerarchie ecclesiastiche prima si preoccuparono, poi si allarmarono. Il vescovo di Belluno Giulio Contarini nel 1548 chiamò nientemeno che il gesuita Alfonso Salmeron, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, a dare una mano per motivare e rincuorare i preti di montagna nella lotta alla «eresia lutherana», applicando con rigore la controriforma tridentina. Nell'Agordino venne distaccato addirittura il tribunale dell'inquisizione, e non pochi furono i processi per «delitti contro la fede». Non pochi furono anche i processi contro donne accusate di essere streghe. Per tagliare al testa al toro, i canópi furono obbligati a confessarsi dal sacerdote almeno una volta l'anno. La via segnata dal vescovo Contarini fu seguita anche dai successori Giovanni Battista Valier e Alvise Lollino. L'esempio bellunese fu seguito a punti anche nella diocesi di Feltre dai vescovi

Tommaso Campeggi, Filippo Maria Campeggi e Giacomo Rovelio, i quali non dimenticarono di suggerire la «combustio librorum», la distruzione con il fuoco dei libri degli autori elencati nell'Index Librorum Prohibitorum, il famigerato Indice Tridentino del 1564. L'Inquisizione ebbe campo libero soprattutto durante il dogado del religiosissimo Pasquale Cicogna, dal 1585 al 1595. Il territorio fu normalizzato talmente bene, da dare alla chiesa cattolica qualche secolo dopo un papa, Giovanni Paolo I, Albino Luciani, di Canale d'Agordo.

Sergio Tazzer* Già Direttore Rai sede di Venezia e Giornalista Caporedattore a Trento e Roma.

This article is from: