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Celebri evasioni: da Papillon a Casanova
Delitti, castighi ed evasioni di Alvise Tommaseo
Celebri evasioni da PAPILLON a CASANOVA
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Carcerati e galeotti, colpevoli o innocenti che siano, per un evidente istinto naturale, da sempre aspirano alla riconquista della libertà perduta. In molti attendono pazientemente l’agognata scarcerazione dopo avere scontato la pena, altri sperano di uscire anticipatamente grazie a qualche indulto o amnistia; i più audaci e spregiudicati aspirano di farsi un baffo della legge e dei secondini architettando la fuga. Molteplici sono state, nel corso dei secoli, le tecniche studiate e poi messe in pratica per il successo dell’evasione. Fantasiosi ed ingegnosi gli strumenti impiegati che sono andati dall’uso di lenzuola, allo scavo di tunnel, al taglio delle inferiate, ai fori nei muri e, perfino, allo spargimento sui sistemi di allarme del burro di arachidi. Ma spesso la soluzione più semplice, e meno pericolosa, è stata la corruzione dei carcerieri; il denaro, è cosa risaputa, da sempre, alletta l’indole umana e ciò in tutti in continenti e a tutte le latitudini. In ogni caso, per il successo della fuga dal carcere ci vuole anche una consistente dose di fortuna e di buona sorte. Tra le evasioni più celebri va sicuramente annoverata quella di Jack Sheppard, un ladro britannico, morto per impiccagione nel 1724, alla giovanissima età di 22 anni. Nella sua brevissima vita era riuscito a fuggire dalle carceri inglesi ben quattro volte, ma la quinta cattura gli fu fatale. Ai tempi della guerra civile americana, precisamente nel 1864, nello stato della Virginia, è passata alla storia una fuga di massa, che vide per protagonista un centinaio di detenuti. Riuscirono a conquistare la libertà strisciando nelle fognature infestate da grossi ratti, che si arrampicavano insistentemente sui loro corpi per poi scorrazzare indisturbati sulla schiena e sui capelli dei fuggiaschi. Il francese Henri Charriere, noto come Papillon per il tatuaggio di una farfalla che aveva impresso sul petto, fu arrestato nel 1831 per un omicidio di cui lui, però, si proclamò sempre innocente. Finì per questo in una colonia penale nella lontanissima isola del Diavolo, al largo della Guyana francese. Tentò molte volte la fuga ed alla fine centrò l’obiettivo. Grazie ad una barca, costruita con le noci di cocco, raggiunse, dopo una lunga ed avventurosa navigazione, le coste del Venezuela, nazione che non aveva sottoscritto con la Francia alcun trattato di estradizione. E come non menzionare l’evasione effettuata, nel 1962, da tre detenuti da Alcatraz, la prigione più famosa del mondo. Frank Morris ed i fratelli John e Clarence Anglin, tutti e tre pericolosi rapinatori, fuggirono dai condotti di areazione dello stabilimento penitenziario dopo avere collocato, tra le coperte dei loro letti, alcune teste di legno da loro perfettamente scolpite. Non riuscirono, però, a festeggiare la loro impresa perché sembra siano annegati nelle acque della baia di San Fransisco, che si trova a due chilometri di oceano da Alcatraz. Successo pieno ebbe, invece, la mitica evasione messa in atto due secoli prima da Giacomo Casanova che, nella notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre 1756, riuscì incredibilmente a lasciare la cella dove, da poco più di un anno, si trovava rinchiuso nella prigione dei “Piombi”, struttura penitenziaria ricavata nel sottotetto del Palazzo Ducale di Venezia, fino ad allora considerata inviolabile. Casanova era nato, nella città lagunare, nel 1725, figlio di un attore – ballerino parmigiano, di remote origini spagnole e di un’attrice veneziana. Ebbe una vita
Delitti, castighi ed evasioni
estremamente movimentata ed avventurosa nel corso della quale entrò in contatto con personaggi molto famosi, quali Jean Jacques Rousseau, Voltaire, Madame de Pompadur, Amadeus Mozart, Benjamin Franklin, Papa Benedetto XIV°, e Federico II° di Prussia. I motivi precisi del suo arresto non furono mai chiariti. Di certo era un personaggio scomodo per l’aristocratica società veneziana: conduceva una vita disordinata, beveva, giocava, barava ed aveva idee molto personali in materia religiosa. Aveva anche uno strano rapporto con l’alchimia e la stregoneria e, molto probabilmente, aveva avuto stretti contatti con la massoneria. Sicuramente era un
grande libertino, che non si faceva troppi problemi nel frequentare intimamente molte donne sposate anche con personaggi importanti ed influenti. Tra le tante ebbe una travolgente relazione con una bellissima monaca di un convento di Murano. Si trattava di una religiosa di origini aristocratiche che tra i suoi amanti poteva contare anche l’ambasciatore francese presso la Repubblica di Venezia. Il tetto dell’inospitale cella in cui Casanova venne rinchiuso era ricoperto da grandi lastre di piombo e, proprio per questo motivo, a quelle prigioni fu affibbiato il nome di “Piombi”. Ciò comportava temperature interne molto rigide d’inverno ed asfissianti d’estate. Le piccole celle, in cui di giorno entrava poca luce, ospitavano due soli condannati, che dovevano convivere con un soffitto basso, estremamente disagevole per un uomo come Casanova che sfiorava il metro e novanta di altezza. Giacomo si trovò come compagno di reclusione il frate Marino Balbi, religioso gaudente che aveva ingravidato tre donne. Insieme, lavorando nelle ore notturne, riuscirono a praticare un foro sul soffitto ed a raggiungere così il tetto delle prigioni, dal quale successivamente scesero all’interno del Palazzo Ducale. Attraversarono, quindi, alcune stanze fino a quando, nelle prime ore dell’alba, vennero scorti da un custode che li scambiò per dei visitatori rimasti inavvertitamente chiusi dentro il Palazzo il pomeriggio precedente. Fu lui ad aprire l’ultimo cancello ed a regalare all’ingegnosa e stravagante coppia l’agognata libertà. Raggiunta piazza San Marco, i due fuggiaschi si impadronirono di una gondola con la quale approdarono a Mestre. Da qui Giacomo Casanova ed il frate proseguirono la fuga in carrozza verso il bellunese. Arrivarono a Feltre il 4 novembre, quindi, attraversarono l’omonima vallata fino a raggiungere Pergine, Trento e poi, tre giorni dopo, Bolzano. La successiva meta fu Monaco di Baviera dove i due evasi decisero di separarsi. Giacomo Casanova concluse la fuga il 5 gennaio 1757 quando arrivò Parigi, città che ben conosceva avendoci soggiornato a lungo prima del suo sfortunato rientro a Venezia. Riconquistata la libertà riprese la sua vita avventurosa, costellata da molte conquiste femminili. Scrisse e pubblicò molti libri tra cui uno imponente dedicato alle Memorie della sua vita, dove naturalmente raccontò anche la rocambolesca evasione dai Piombi.