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Le mutilazioni genitali femminili
Speciale Pianeta Donna
di Elisa Rodari Mutilazioni genitali femminili: una piaga ancora aperta nel mondo femminile
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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce le mutilazioni genitali femminili “pratiche di rimozione o modifica di parti esterne dei genitali femminili compiute per ragioni non terapeutiche e per questo considerate una violazione dei diritti umani”. Sempre l’OMS stima che ammontano a quasi 200 milioni il numero di donne vittime di questa atroce pratica nei Paesi dove risulta maggiormente diffusa. Le mutilazioni genitali femminili sono diffuse in circa 30 Paesi, Africa e Medio Oriente, seguiti da alcuni Paesi in Asia e America latina. Per effetto poi dei flussi migratori, si conta che anche in Europa circa 600 mila donne sono state sottoposte a questa pratica. Le mutilazioni genitali femminili, abbreviate con la sigla MGF, non vengono però identificate così dai popoli che le praticano perché contrari all’accezione negativa che la parola “mutilazione” porta con sé. Ogni popolo utilizza indubbiamente il termine tramandato nel tempo di generazione in generazione ma in generale preferendo il termine “circoncisione”. Un termine neutro, usato anzi in maniera impropria, per assimilare le mutilazioni genitali femminili alla circoncisione maschile, mitigando il carattere devastante che le mutilazioni hanno sul corpo della donna rispetto alla circoncisione maschile, meno invasiva. Esistono quattro diversi tipi di mutilazioni. Il primo tipo denominato “Sunna” che consiste nell’asportazione parziale o totale del clitoride e/o del cappuccio clitorideo. Il secondo tipo detto “escissione”, prevede l’asportazione totale o parziale delle piccole labbra con anche l’eventuale rimozione delle grandi labbra. Il terzo tipo, infibulazione o “circoncisione faraonica” è la forma d’intervento più cruenta in cui si procede addirittura alla cucitura dell’apertura vaginale ridotta alla grandezza di un chicco di riso per permettere la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale. La quarta tipologia di mutilazione genitale comprende un insieme di procedure tra cui anche l’introduzione di sostanze corrosive per restringere la vagina e renderla asciutta. Chi effettua le MGF sono vere e proprie ostetriche spesso remunerate con alti compensi per il servizio di elevato valore che compiono. Nell’immediato le complicazioni che possono sorgere dalla pratica di questa atrocità è sicuramente il dolore intenso, seguito da sanguinamento, problemi urinari, infezioni secondarie ad esempio causate da tetano fino al decesso. Le complicazioni
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nel lungo termine sono invece le infezioni del tratto urinario e problemi vaginali vari, mestruazioni dolorose, difficoltà nei rapporti sessuali con anche una diminuzione del piacere, complicazioni al momento del parto con la possibile morte del neonato e problemi a livello psicologico quali depressione ed ansia. I motivi per i quali si effettua questa atrocità sono molteplici. Tra questi la paura di essere esclusi dalla società se non si viene sottoposti a questa pratica. Infatti, la pressione sociale alla quale le donne sono sottoposte le spinge a doversi conformare al resto della comunità, favorendo il perpetuarsi di questa usanza. Simboleggia inoltre il passaggio all’età adulta, permettendo ad una donna di essere presa in sposa. Un motivo per cui si tramanda questa pratica è proprio la concezione che le mutilazioni siano utili per asportare la parte considerata “maschile” dell’organo genitale femminile, ovvero il clitoride assimilato a un piccolo pene, cancellando così la potenziale bisessualità dell’apparato riproduttivo femminile. A volte, le mutilazioni genitali sono anche tramandate per motivi religiosi o sono gli stessi membri del personale sociosanitario che incoraggiano le ragazze a sostenere tale pratica. Secondo alcune teorie, l’escissione nasce in Egitto ma fonti confermano la presenza anche nell’antica Roma dove la pratica era effettuata sulle schiave. In generale si tende a pensare che sia per motivi religiosi che le donne devono subire tale pratica. Da specificare come non sia stato l’Islam a diffondere questa pratica in Africa ma si tratta del semplice tramandamento di usanze indigene radicate nella società ormai da secoli. Le mutilazioni genitali femminili continueranno ad esistere finché non ci sarà una presa di coscienza da parte dei popoli che ancora effettuano questa pratica. Sta poi alle nuove generazioni, con gli strumenti a loro disposizione come social media ed Internet, a far capire come un’usanza del genere vada solamente a segnare una piaga profonda nell’animo della donna causando danni difficilmente curabili.
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