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Storie di guerra: Val Tosella e Prassolan

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Il Fojarol

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Storie di guerra di Davide Pegoraro

Val Tosella e Prassolan

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Gli echi della guerra si perdono ancora tra le cime dei tanti colli di cui è composto il Grappa. Esplorando gli anfratti più remoti del massiccio si possono ancora fare delle importanti scoperte di carattere storico; i resti di un passato così doloroso emergono dal terreno e paiono volerci lanciare un monito, un avvertimento sul pericolo che una guerra non smette di rappresentare. Questi sono ormai rottami rugginosi dispersi tra le felci del sottobosco, sono profonde trincee scavate col sudore di fronti inscurite da un sole malato, soffocato dai gas e dai fumi delle granate, sepolte come il ricordo di chi, lì, ha lottato per sopravvivere. La montagna riserva a chi la vive le emozioni più vere e sincere, spettacoli infiniti di albe e tramonti ai quali hanno assistito milioni di soldati che si trovavano quassù. Quegli uomini oggi non ci sono più e il loro sacrificio viene compreso a fatica da una società opulenta e frenetica come quella in cui viviamo. Basta a volte fare un passo in più, oltre le nostre distrazioni, le nostre chiusure, per accorgersi la loro memoria non è persa per sempre; occasioni di approfondimento come conferenze, mostre e convegni si affiancano a migliaia di testi, libri e documenti di ogni tipo, filmografia e documentari. E poi tantissimi musei sparsi nel territorio, spesso al centro di quelli che furono terribili campi di battaglia, come quelli del monte Grappa nel settore del monte Pertica. Col della Martina, Col di Buratto, Prassolan, Fredina e Cima Val Tosella, questi sono solo alcuni dei luoghi che lo compongono e che nel corso delle varie fasi degli scontri armati, sono stati protagonisti di quei tragici eventi. Proprio in prossimità dell’omonima cima, è possibile visitare un piccolo ma fornitissimo museo, all’interno del rifugio Val Tosella. Nelle vetrine sono esposti migliaia di oggetti appartenuti ai soldati degli opposti schieramenti, italiani ed austroungarici da un lato, ma anche germanici, francesi, inglesi ed americani. Pugnali, baionette, cinturoni, bombe a mano, distintivi, pipe, ma anche gavette, cucchiai, fotografie, oggetti di sanità o funerari e ancora lettere, elmetti, medaglie ed anelli. Sono le piccole cose che riempivano la giornata dei Franz, dei Matthew, dei Joule, dei Battista; ragazzi di meno di vent’anni scagliati all’inferno tra fuoco e fiamme. Proprio frugando in un cassetto tanti anni or sono era venuta alla luce la foto del bisnonno Battista, Gamba Battista. Grazie ai racconti della figlia, mia nonna Bruna è nata in me la voglia di saperne di più e, già forte della mia precoce passione per l’argomento, ho iniziato a cercare di capire dove lui avesse combattuto e quali avventure gli fosse toccato di vivere. Sapevo che aveva combattuto sul monte Grappa, ma non dove di preciso; grazie al foglio matricolare (recuperato presso l’archivio di stato a Padova) e ad altre ricerche ho finalmente dato una risposta alle tante domande e dopo qualche anno ho deciso di realizzare il museo e di dedicarlo proprio a lui e all’altro bisnonno, Emanuele Vignoli, combattente sul Carso e sull’Altopiano con la Brigata Liguria. Attorno al rifugio sono presenti e ben visibili i segni dei bombardamenti e le postazioni dell’artiglieria austroungarica nel fitto del bosco. Piazzole, camminamenti e gallerie sono ovunque; tra le tante, una è davvero speciale e si trova sul vicino Prassolan, raggiungibile a piedi in pochi minuti lungo la provinciale Cadorna.

Storie di guerra

Il monte era stato scelto fin da subito come perfetto osservatorio per dirigere i tiri dell’artiglieria; in effetti il panorama che si gode dalla sua cima è qualcosa di stupefacente, con la dorsale dei Solaroli a chiudere la corona di cime dal Pertica al Grappa e prima tutto ciò che sormonta il Brenta con le principali batterie imperiali. Da quel punto era possibile sparare a 360 gradi sulle linee italiane di Valpore, sul Casonet, dietro il Pertica, sul col Farine, Coston, Rivon, di controbatteria oltre la cima (per scovare i cannoni nemici) e giù in fondo nella Val del Termine. Una importante galleria ospitava il comando d’artiglieria asburgico, ben protetto da una struttura in cemento armato dalla tipica forma tedesca. Una grande lapide sormontava l’ingresso con la scritta “1918”, oggi rovesciata dopo la probabile esplosione di una carica all’interno del ricovero durante la ritirata. Dagli occhi degli stimatori di distanze, agli apparecchi telefonici sprofondati nelle buche sotto la pelle del monte, dove orecchi e bocche aspettavano impazienti di lanciare coordinate ai pezzi, secchi comandi e poi un uragano di fuoco si abbatteva sui camminamenti, i prati, le baracche, le teorie di muli, di uomini, di giorno e di notte, tra bagliori ed esplosioni, quei paesaggi sono stati visti anche dai nostri nonni, da quelli dei nostri avversari. Le loro mani hanno sparato, scavato, pregato, tutte alla stessa maniera. L’immensità dei gesti compiuti al fronte, con le parole pronunciate in tutte le lingue del mondo sono andati perlopiù perduti, ma non la voglia di tenerli in vita, grazie soprattutto a chi non smette di visitare questi luoghi onorando la memoria di chi non vuole essere dimenticato, come Battista ed Emanuele.

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