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I marroni della vallata feltrina
Cibo di casa nostra di Alvise Tommaseo
MARRONI della VALLATA FELTRINA
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La storia del Marrone feltrino inizia nella notte dei tempi. Sicuramente era presente in tutta la vallata e nelle circostanti colline fin dai primi insediamenti romani. Durante il Medioevo il consumo di questo frutto autunnale aumentò a causa delle carestie, fino a diventare nel Quattrocento, sotto forma di farina, tra le consuetudini alimentari più diffuse in tutta la vallata. Ai tempi dell’annessione del Veneto all’Italia, le castagne ed i marroni erano consumati soprattutto dalle classi rurali più povere della popolazione, ma dalla seconda metà del Novecento hanno iniziato ad essere apprezzati anche nelle vicine città, fino ad essere considerati dei prodotti alimentari assolutamente rinomati. Del resto, nel corso dei secoli, castagne e marroni erano stati apprezzati anche da personaggi aristocratici, famosi e potenti come, ad esempio, Carlo Magno che li amava cotti nel vino. In quell’epoca si credeva, tra l’altro, che macerati e lessati nell’alcool avessero effetti afrodisiaci. Rimanendo nell’argomento, nel settecento era consuetudine regalare alle dame le castagne confezionate in dolcetti glassati, i moderni marron glacé. Si trattava di un dono dal significato malizioso, tenuto conto che la loro forma assomiglia a quella di un testicolo. I nostri nonni, fino alla metà del secolo scorso, raccontavano varie leggende su questo frutto, tra tutte, la più curiosa narra che un tempo lontano i marroni si lamentassero per essere continuamente prede indifese degli scoiattoli del bosco che divoravano, con voracità, la loro polpa chiara e dolce che, a quell’epoca, non aveva alcuna protezione. Fortunatamente un bel giorno arrivò un mago che, dopo avere recuperato lungo la strada alcuni ricci morti, li trasformò in cappottini ricoperti di spine che regalò a castagne e marroni. Una volta indossati, i prelibati frutti erano, finalmente, al riparo dalle scorribande dei golosi scoiattoli. Dalle favole alla realtà: ancora ai nostri giorni non a tutti appare chiaro come si faccia a distinguere i marroni dalle castagne. Che tra loro ci siano delle differenze lo sancì, addirittura, un Regio Decreto nel lontano 1939. Entrambi sono i prelibati frutti dell’albero di castagno, che è una pianta spontanea, elegante ed, allo stesso tempo, rustica, che può vivere anche per alcuni secoli ed assumere un aspetto imponente, a volte, addirittura, monumentale. Gli alberi selvatici, in cui le operazioni dell’uomo si riducono alla raccolta, producono le castagne, che si distinguono per essere piuttosto piccole e dalla forma schiacciata; quelli che, invece, vengono coltivati, regolarmente potati ed accuditi dall’uomo producono dei frutti più grossi ed omogenei chiamati marroni. A conferma di ciò, un riccio di castagna può contenere fino a sette
frutti, mentre quello del marrone non supera i tre. Questi ultimi sono più richiesti dal mercato, costano di più e sono considerati più pregiati anche perché la pellicola, che li riveste, è più liscia e sottile e si sbuccia molto più facilmente. Tra i vari tipi di marrone in commercio si distingue, per l’appunto, quello feltrino, che è rinomato per la dolcezza e la farinosità della pasta, che si presenta compatta e resistente alla cottura. Questa varietà si distingue per la forma ovaidale, per l’apice ricoperto da una pelosità vellutata, oltre che per avere una facciata laterale generalmente piatta e l’altra convessa. Le coltivazioni dei marroni sono prevalentemente concentrate nel territorio del basso bellunese ed è tipico nei comuni di Alano di Piave, Arsiè, Cesiomaggiore, Feltre, Fonzaso, Limana, Pedavena, Quero, Vas, San Gregorio nelle Alpi, Seren del Grappa e Sospirolo. Il periodo della raccolta inizia a fine settembre e prosegue, generalmente, fino al giorno di San Martino, che si festeggia l’11 novembre. Fino a qualche decina di anni fa, i marroni, in dialetto locale “moroni”, venivano raccolti in famiglia e riposti nelle caratteristiche gerle, o in panieri e ceste di vimini. Ogni comunità raccoglieva i frutti dei castagni, senza mai debordare sul terreno altrui, ma dopo l’11 novembre questa regola cadeva ed anche il bestiame poteva goderne, tenendo conto che, in questo periodo, sono generalmente più piccoli e meno sani. Dal 1996 i coltivatori del comprensorio si sono associati nel “Consorzio tutela Morone e Castagno del Feltrino”, che ha sede legale a Feltre e il centro di lavorazione a Fonzaso. Il suo scopo è quello di tutelare e valorizzare i castagneti ed il marrone della zona. Attualmente i 70 soci, che hanno scelto come Presidente Andrea Rusalen, coltivano una sessantina di ettari e conferiscono, ogni anno, tra i quaranta ed i cinquanta quintali di prodotto che, in gran parte, viene commercializzato in ambito locale, oltre che in Toscana dove viene trasformato in farina. “Il marrone feltrino – spiega Serena Turrin socia fondatrice del Consorzio e componente del consiglio direttivo dell’associazione nazionale Città del Castagno – è un frutto sano, genuino e salubre, tenendo conto che sulle piante non viene effettuato alcun trattamento con prodotti di sintesi.” Qualche anno fa anche i castagni del bellunese erano stati attaccati dal Cinipide galligeno, ma questo dannosissimo parassita è stato efficacemente combattuto naturalmente con lanci di insetti antagonisti. “La coltivazione dei castagni – aggiunge Serena Turrin – costituisce una risorsa importante per il territorio non solo da un punto di vista economico e storico - culturale, ma anche ambientale, in quanto il sottobosco viene curato e tenuto pulito, come si faceva una volta. Se così non fosse sarebbe ricoperto da sterpi, arbusti di ogni genere e non sarebbe più fruibile dall’uomo.” Il marrone Feltrino nasce, dunque, nei territori bellunesi lambiti dalle fresche e limpide acque del Piave, di quel fiume, che più di un secolo fa, fermò l’invasione teutonica guadagnandosi il prestigioso epiteto, passato alla storia, di “Sacro alla Patria.” E non è dunque un caso se molti e competenti enologi consiglino il consumo dei marroni della vallata feltrina accoppiato a quello dei vini del Piave. Di questo parere sono anche Renzo Lorenzon ed Alberto Vidotto, entrambi si sono diplomati presso la prestigiosa scuola enologica di Conegliano, risiedono sulla sinistra trevigiana del Piave e, con passione e professionalità, seguono molte cantine della zona dispensando sapienti consigli. “Per le caldarroste –
premettono – non ci sono dubbi che ci vogliono vini giovani, meglio se novelli ed, ancor meglio, se leggermente frizzanti. Vanno bene sia i bianchi che i rossi.” L’enologo Lorenzon in questo caso consiglierebbe “il Pinot bianco, ma soprattutto gli incroci Manzoni nelle tre versioni di bianco, rosato e rosso, che sono stati creati un secolo fa sulle colline trevigiane da professore Luigi Manzoni, prestigioso direttore della Regia Scuola Enologica di Conegliano.” A sua volta, il collega Vidotto a questi vini ne aggiungerebbe un altro, ricavato da una varietà autoctona, sebbene non molto conosciuta, del territorio di Zenson di Piave. “Si chiama Grapariol – precisa – e non è altro che una Rabosina bianca. A mio parere si accosterebbe benissimo a questi frutti autunnali, sia nella versione frizzante, che in quella spumante.” Con castagne e marroni si possono, inoltre, preparare varie pietanze, sia come primi che come secondi piatti. “Con gli gnocchi ed i vari tipi di pasta, come pure con il purè – sottolineano i due enologi - si dovrebbe bere un buon Merlot od un buon Cabernet Sauvignon del Piave. Si tratta di vini dal contenuto tannico elevato, che mitiga la succulenta pastosità tipica delle castagne e dei marroni.” Invece, la carne di maiale o i polpettoni di carni bianche, con il ripieno di polpa di marroni, con che bevanda sarebbe corretto accoppiarli? “Con queste pietanze non avrei dubbi – esordisce Renzo Lorenzon - di consigliare il Raboso, si tratta sicuramente del vino più appropriato sia nella versione classica, che in quella Malanotte, tenuto conto che quest’ultima contiene anche una piccola percentuale di passito.” Ed alla fine del pranzo e della cena arriva l’atteso momento del dolce, naturalmente a base di castagne e marroni. “Il mio consiglio – replica convinto l’enologo Alberto Vidotto – ricade sicuramente sui vari passiti: vanno benissimo quelli della zona del Piave e cioè di Manzoni e Raboso.”
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