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Il personaggio: Federico Fellini

Il personaggio

Fellini: immortale genio visionario

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Ci sono storie di uomini che difficilmente dimentichiamo, ci sono parole, colori e sapori che sono solo nostri, che ci danno forma e radici e dichiarano al mondo chi siamo. Capita, a volte, che queste immagini che ci portiamo dentro diventino bagagli di immagini di una nazione intera, capaci di trascendere tempo e spazio. Perché ciò accada c’è bisogno di una mente permeabile, aperta e affamata: una mente come quella di Federico Fellini. Il suo mondo onirico e assolutamente originale ha creato immagini che sono entrate naturalmente a far parte dell’immaginario non più del singolo, ma di una collettività che supera anche i confini del Paese, diventando universalmente note e riconoscibili fino a meritare l’invenzione di un apposito aggettivo per descriverle: felliniano. “Mia madre voleva che facessi l’ingegnere… E invece sono diventato un aggettivo.” scherzò in un intervista lo stesso Fellini. Eppure la sua arte riporta il cinema a un mondo che si tocca con mano, non c’è più una patina finta a creare distanza tra il pubblico e l’attore: il cinema di Fellini racconta la verità di una nazione. Sul vocabolario Treccani leggiamo infatti sotto la voce felliniano che essa è “caratterizzata da un forte autobiografismo, dalla rievocazione della vita di provincia con toni grotteschi e caricaturali, da visioni oniriche di grande suggestione”. Federico Fellini, sceneggiatore, regista, fumettista, attore, scrittore, e soprattutto visionario, nasce a Rimini il 20 gennaio 1920 e proprio in occasione del centenario dalla sua nascita, la sua città gli ha dedicato una mostra

Federico Fellini

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Sandra Milo e Marcello Mastroianni - 8 ½

che ha girato il mondo e che tornerà nella sua Rimini per prendere posto in maniera permanente negli spazi del neonato Museo Fellini, che aprirà al pubblico a gennaio 2021. Figlio di Urbano Fellini, rappresentante di liquori e generi alimentari e di Ida Barbiani (1896-1984), una casalinga originaria di Roma, Federico trascorre un’infanzia tranquilla tra Rimini e la vicina campagna dove vivevano i nonni e che influenzò fortemente l’immaginario delle sue pellicole successive. Altra grande influenza del giovane Fellini fu il disegno. Iscritto al Liceo classico “Giulio Cesare” passava molte lezioni creando vignette e caricature di compagni e professori. Attentissimo a chi gli stava intorno, spesso ne imitava i gesti. Nella sua camera da letto aveva costruito con la fantasia un mondo inventato, nel quale immaginava di ambientare le storie che voleva raccontare e vedere al cinema. Ai quattro montanti del letto aveva dato i nomi dei quattro cinema di Rimini: da lì, prima di addormentarsi, prendevano forma le sue storie immaginifiche. Fellini, fin dall’età di sedici anni, mostrava una grande attrazione per il cinema: usciva di casa senza permesso dei genitori ed entrava nei cinema nella sua città. Già prima di terminare la scuola, nel 1938, Fellini invia le proprie creazioni ai giornali. La prestigiosa Domenica del Corriere gli pubblica una quindicina di vignette nella rubrica “Cartoline del pubblico”. Nel 1939 Fellini si trasferisce a Roma con la scusa di frequentare l’Università: non darà mai un singolo esame a Giurisprudenza, ma inizierà invece le prime collaborazioni con giornali e riviste, collaborazioni che si riveleranno fondamentali per il suo futuro nel cinema. Di lì a poco infatti, Fellini verrà chiamato per collaborare alla stesura di alcune sceneggiature e copioni che apriranno la grande stagione del Neorealismo. Nel 1950 decide che è tempo di esordire come regista. La sua prima produzione Luci del Varietà è un

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fiasco. Due anni più tardi ci riprova con Lo sceicco bianco in cui l’attore protagonista è il giovane Alberto Sordi. Di nuovo, gli incassi al botteghino si rivelano un insuccesso. La critica lo stronca e mette in dubbio le sue capacità artistiche, ma Fellini non si scoraggia e fa bene. Il 1954 vedrà nascere La Strada che, con i viaggi strampalati di Gelsomina e Zampanò nell’Italia del primo dopoguerra, lo porterà per la prima volta ad essere riconosciuto come stella del cinema fino a vincere l’ambito Oscar come miglior film in lingua straniera. Seguono anni difficili, in cui i suoi lavori sembrano non essere apprezzati proprio nella sua patria. Tutto cambia negli anni ’60, quando la creatività e il genio felliniano toccano i punti più alti della carriera del Maestro. Sono gli anni de La Dolce Vita e di 8 ½. Chi non ricorda le celebre scena di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi che invita Marcello Mastroianni a raggiungerla? È probabilmente con Amarcord però che scopriamo davvero l’uomo dietro all’artista. Fellini in questa produzione torna con la memoria alla sua Rimini, alle sue bellezze ma soprattutto ai suoi contrasti, a un amore difficile da vivere e da raccontare. Un amore che richiama quel radicamento alla Romagna che rimarrà sempre e comunque la più forte spinta creativa del regista. Un amore amaro e nostalgico come suggerisce il titolo, preso proprio dal dialetto “A m’arcord”, mi ricordo, diventato poi neologismo della lingua italiana. Da qui in avanti nessuno metterà più in dubbio la grandezza del Maestro Fellini, che dopo La Strada, oltre a molti altri riconoscimenti, vincerà nella sua carriera altri quattro Oscar. Nel 1993 in seguito a complicazioni dovute a due ictus che lo colpirono nello stesso anno, morì. L’eredità che ha lasciato è inestimabile e lega ancora oggi indissolubilmente fondamenta e futuro del cinema ben fatto.

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