Valsugana News n. 9/2021 Ottobre

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ANNO 7 - NR. 9 - OTTOBRE 2021

Periodico gratuito d’informazione e cultura

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Editoriale

di Franco Zadra

NON È VERO, MA CI CREDO

S

e proprio volete la vera verità, dei vaccini che ci stanno inoculando a spron battuto come se non ci fosse un domani, dovete sapere che possono generare gravi malattie poiché sono stati prodotti troppo velocemente e le uniche informazioni vengono dalle aziende. Sono vaccini sperimentali e noi siamo le cavie di questo laboratorio globale. Tra l’altro sono questi stessi vaccini che provocano l’infezione e i vaccinati continuano a diffondere il contagio. La regia del Nuovo Ordine mondiale, iniziato con Kissinger, predispone che vengano nascosti all’opinione pubblica gli effetti collaterali e i decessi post vaccino, ma è ormai evidente che siano la causa di infertilità e aborti, modifichino il nostro Dna, e provochino trombosi e miocarditi. Per questo i produttori di vaccini e i medici fanno firmare il consenso, per evitare responsabilità! E poi, dai 19/20 anni in giù per i soggetti sani è impossibile morire per Covid o manifestare sintomi gravi, ma noi, giù a vaccinare chiunque, e più vacciniamo, più escono nuove varianti, e continuiamo a farlo anche d’estate quando il virus scompare ed è inutile vaccinarsi o mettere le mascherine. Tranquilli, ora vi spiego... Quanto

avete letto fin qui è un piccolo rosario riassuntivo delle migliaia di Fake News che circolano in rete, tanto più insidiose quanto più si travestono di plausibilità. Per ciascuna di queste, l’Istituto Superiore di Sanità ha puntualmente ribattuto con dati e fatti concreti, forse divulgando troppo generosamente nozioni scientifiche e conoscenze di tecnica medica poco comprensibili per il volgo, ma sempre suffragando, al di là di ogni ragionevole dubbio, come sensata e necessaria la scelta vaccinale. Non ho spazio qui per riprendere i contenuti di ragione che, a mio avviso, potrebbero soddisfare anche il più riottoso dei No Vax, e anche, lo confesso, me ne manca il tempo e la voglia. Non tutti nascono con la vocazione del virologo e a me riesce più semplice il fidarmi di chi ha studiato e presiede l’ISS. So per altro che nelle persone, anche in me, vi è qualche invincibile ignoranza che non si arrende ad alcuna evidenza scientifica, soprattutto quando non si hanno tutte le informazioni necessarie per coglierne la validità. Non sono qui a dire che poche migliaia di fanatici stiano influenzando i dubbiosi, e ho pieno rispetto per quelle persone, sono qualche

milione, che per i motivi più diversi danno credito alle Fake di cui sopra, o per motivi legati alla propria salute, scelte alternative naturali, e altro ancora hanno scelto di non vaccinarsi. Se fossi al governo non avrei avuto “le palle” per imporre un obbligo vaccinale, vista anche l’oggettiva impossibilità di “stanare” chi, nelle fasce più a rischio, ha scelto di non vaccinarsi. Non invidio quindi Draghi e chiunque si trovi nella posizione di decidere per il bene collettivo, ma non per questo mi abbandono alla caciara dei Talk Show per trovare un qualche supporto al mio dubbio. Sarebbe come attraversare le sabbie mobili poiché per aggirarle ci vuole più tempo. Con tutto rispetto per chi dubita, spero che continui a farlo rinunciando però al proselitismo e a quel protagonismo di leone da tastiera, poiché fin dal 2015 ho incorniciato e appeso sopra la mia postazione, a mio monito, quanto disse il grande Umberto Eco: «I social media danno diritto di parola a legioni d’ imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli!».

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SOMMARIO ANNO 7 - OTTOBRE 2021 DIRETTORE RESPONSABILE Armando Munaò - 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com VICEDIRETTORE Chiara Paoli COORDINAMENTO EDITORIALE Enrico Coser COLLABORATORI Waimer Perinelli - Erica Zanghellini - Katia Cont Alessandro Caldera - Massimo Dalledonne Francesca Gottardi - Maurizio Cristini Elisa Corni - Laura Mansini - Alice Rovati Erica Vicentini - Laura Fratini - Patrizia Rapposelli Zeno Perinelli - Adelina Valcanover - Veronica Gianello Nicola Maschio - Giampaolo Rizzonelli - Mario Pacher CONSULENZA MEDICO - SCIENTIFICA Dott. Francesco D'Onghia - Dott. Alfonso Piazza Dott. Giovanni D'Onghia - Dott. Marco Rigo EDITORE - GRAFICA - STAMPA Grafiche Futura srl Via della Cooperazione, 33 - Mattarello (TN)

PER LA TUA PUBBLICITÀ cell. 333 28 15 103 direttore@valsugananews.com info@valsugananews.com Registrazione del Tribunale di Trento: nr. 4 del 16/04/2015 - Tiratura n° 7.000 copie Distribuzione: tutti i Comuni della Alta e Bassa Valsugana, Tesino, Pinetano e Vigolana compresi COPYRIGHT - Tutti i diritti di stampa riservati Tutti i testi, articoli, interviste, fotografie, disegni e pubblicità, pubblicati nella pagine di VALSUGANA NEWS e sugli Speciali di VALSUGANA NEWS sono coperti da copyright GRAFICHE FUTURA srl e quindi, senza l’autorizzazione scritta del Direttore, del Direttore Responsabile o dell’Editore è vietata la riproduzione o la pubblicazione, sia parziale che totale, su qualsiasi supporto o forma. Gli inserzionisti che volessero usufruire delle loro inserzioni, per altri giornali o altre pubblicazioni, possono farlo richiedendo l’autorizzazione scritta all’Editore, Direttore Responsabile o Direttore. Quanto sopra specificato non riguarda gli inserzionisti che, utilizzando propri studi o agenzie grafiche, hanno prodotto in proprio e quindi fatta pervenire, a GRAFICHE FUTURA srl, le loro pubblicità, le loro immagini, i loro testi o articoli. Per quanto sopra GRAFICHE FUTURA srl, si riserva il diritto di adire le vie legali per tutelare, nelle opportune sedi, i propri interessi e la propria immagine.

L’editoriale: Non è vero ma ci credo Sommario La giornata dell’Autonomia A parere mio: Occidente, popolo e scienza In morte di Aldo Moro Nel cuore delle bambine di Kabul Zahra Ahmadi: il sogno di una donna presidente Daniele Groff e la musica Le violenze sui minori Amistadi, Presidente MDGT La vera statura dell’essere umano Il colpo di Stato in Cile Il personaggio di casa nostra: Waimer Perinelli Liberi Comuni in libera Provincia Il personaggio fra la neve: Rolly Marchi USA: 11 settembre 2001 Buon compleanno SAT Tra storia e tradizioni: All Hallowen Eve Levico Terme in cronaca Tra musica, pittura e poesia: Fabio Recchia Conosciamo le aziende: La Bauexpert Confessa che ti passa Storia della Formula 1: Fernando Alonso Foliage, la magia dell’autunno La giornata dell’Euregio Paso Doble a Levico Terme Il personaggio di ieri: Giuseppe Degol Maddalena Boso, bellezza e semplicità Il personaggio di casa nostra: Nilo Piccoli Curiosità in cucina: 4 grilli in padella Ivan Fadanelli promosso Brigadiere I consigli di SAV Il concorso “Inquadra il quadrato” Vieni a prendere un caffè L’avvocato risponde: patente o carta d’identità Salute e benessere: pericolo obesità Locanda in Borgo Medicina & Salute: sei proprio bravo Fra storia e leggenda: I diavoli del Trentino Ieri avvenne: l’inizio della guerra aerea Tra passato e presente: ottobre in festa Novaledo in cronaca: la Chiesa e il Maso del Cuco Meteorologia oggi: l’iceberg A68 Tra passato e presente: Caldonazzo ieri avvenne

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Ieri avvenne Aldo Moro Pagina 10

Il personaggio Rolly Marchi Pagina 32

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Attualità di Nicola Maschio

La Giornata dell’Autonomia

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orreva l’anno 1946, il giorno era il 5 settembre. A Parigi, Karl Gruber e Alcide Degasperi firmano l’Accordo che, di fatto, getta le basi per la risoluzione della questione sudtirolese ed erige i pilastri sui quali, da quel momento, la nostra autonomia sarebbe stata riconosciuta a livello internazionale. Sono passati 75 anni da quello storico momento e da allora, ogni 5 settembre, il nostro territorio celebra la Giornata dell’Autonomia. Ed è successo anche quest’anno, al Palazzo della Provincia di piazza Dante, quando nella suggestiva sala Depero si sono alternati al microfono i rappresentanti della nostra realtà. «Quella dell’autonomia è ancora oggi una sfida complessa – ha esordito il presidente del Consiglio provinciale, Walter Kaswalder. – La storia è spesso sconosciuta ed è per questo che serve una forte azione culturale, che parta fin dalle più giovani generazioni, dalle scuole primarie alle superiori. Dal canto nostro, accogliamo costantemente i giovani nella sede del nostro Consiglio e, solo lo scorso anno, ne sono transitati più di duemila a dimostrazione della grande attenzione che riserviamo loro. Rispetto poi alla terza riforma dello Statuto regionale, sarà un passaggio necessario per adeguarsi ai tempi». Autonomia infatti, hanno ribadito tutti i partecipanti alla mattinata, significa responsabilità, confronto e collaborazione. Ed anche nel periodo più complesso della pandemia, rispetto alla quale ora finalmente si inizia ad intravedere la fine, le istituzioni hanno sottolineato con forza la necessità di proseguire su binari comuni, condivisi, in quella che dovrà necessariamente essere una sinergia

Giornata dell'Autonomia - Discorso del Presidente Maurizio Fugatti

di intenti anche e soprattutto alla luce delle ingenti risorse che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza porterà allo Stato italiano ed alla nostra provincia. «Abbiamo tutte le potenzialità per sfruttare al massimo gli aiuti del PNRR – ha aggiunto il presidente del Consiglio delle Autonomie locali, Paride Gianmoena. – Ma per portare avanti tutte le progettualità nel modo giusto, occorre che i cittadini si fidino dei propri amministratori e che ai Comuni vengano date responsabilità. Serve inoltre un patto di collaborazione tra Provincia e Comuni, con questi ultimi che non devono essere ascoltati per semplice cortesia ma devono invece vedere il confronto come un diritto, una necessità». Ad intervenire per ultimi sono stati i due presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano, Maurizio Fugatti ed Arno Kompatscher. «Essere autonomi significa puntare su collaborazioni e alleanze – ha spiegato Fugatti. - Il periodo della pandemia, tuttavia, ha seriamente

rischiato di minare il rapporto con lo Stato centrale. Soprattutto durante la fase più acuta, i rapporti con le istituzioni centrali sono stati difficili, ma abbiamo resistito e dimostrato che la nostra autonomia non ne è uscita indebolita. Ovviamente serve sempre che ci siano accordi e intese a regolare questi rapporti, così come il rispetto reciproco e la tutela delle minoranze che popolano il nostro territorio. Vogliamo caricare nuova energia rinnovabile nel motore della nostra autonomia». E Kompatscher invece ha concluso: «L’autonomia ha funzionato e funziona tutt’ora. Siamo un territorio che ha avuto uno sviluppo senza eguali, pur partendo molto povero. Continueremo a dare il nostro contributo nelle grandi sfide del mondo, dai flussi migratori al cambiamento climatico». Spazio infine alla lectio magistralis del professor Fulvio Cortese, che ha posto l’attenzione sulla “polarizzazione” dei tempi moderni e sulla difficoltà, nei diversi temi del mondo, di trovare un punto di equilibrio comune.

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A parere mio di Cesare Scotoni

Occidente, Popolo e Scienza

NON FACCIAMOCI RUBARE LE PAROLE

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on un certo dolore ci siamo abituati negli anni al progressivo scolorire del Significato riferito a fin troppo importanti Significanti senza renderci conto che l’equivoco semantico rappresenta una forma di sopruso. Anzi, prima da parte dei fin troppo diffusi “maghi della Comunicazione” ed infine nell’uso delle parole sui media mainstream, abbiamo assistito ad un autentico scippo dei Significati, a danno della Verità e della Creatività che sono proprio nella Parola per antichissima Tradizione. Spesso la pretesa del “neologismo” veicola l’inganno, basti ricordare

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come il negare l’evidenza della Prima Diversità (quella genetica, racchiusa nei cromosomi) fosse inizialmente veicolata come un “Rifiuto del Diverso” da parte di chi la sottolineava. Ora invece essa veste come “Orgoglio dell’Ambiguità”, ma resta nei fatti un rifiuto di quella diversità. Questa pratica, riconducibile forse ad una forma di dialettica, è divenuta Prassi ed ora permette di ridurre le Parole a Brand, sfruttando quell’attributo evocativo che artiglia comunque chi ascolta all’antico Significato per mistificare il Senso delle cose e la loro Verità. Pensiamo ad alcune parole, poche

visto lo spazio che abbiamo. Ad esempio: OCCIDENTE, POPOLO, SCIENZA. Parole che forse oggi meritano affetto per come sono bistrattate. L’Occidente è quello della tradizione greca della Polis e della Democrazia? O lo è quello, più lontano dai venti dell’Asia e che ci riporta alla tradizione di quella Repubblica Romana pre Imperiale e dell’Urbe universalistica cui si ispirarono i Padri Fondatori d’oltre Atlantico? La Siria dei cristiani è alle radici dell’Europa Cristiana? Il Rinascimento di quel “Particulare” che diviene Universale ne è parte essenziale? Il


A parere mio Corso Modernizzatore era Occidente nella sua avventura verso le steppe zariste? La Vienna degli Asburgo che perse la sfida con la Prussia e poi la Prima Guerra Mondiale era dunque Occidente? Cosa c’è di tutto quello nelle avventure della NATO in medio Oriente? Sono gli USA che han tradito la loro Costituzione e l’Occidente nel 1915 o è l’idea universalistica dell’Impero il connotato dell’Occidente nella Storia di cui quelli sono i custodi? Non sono domande oziose, l’Unione Europea voleva essere Occidente e non fu capace di darsi una Costituzione. Ci han scippato un’Idea o forse l’abbiamo regalata all’anglosassone per un piatto di lenticchie? Il saper definire quel Significato ed il condividerlo, mai come oggi è urgente, per capire se l’Occidente sta nell’antica ambizione di un’Europa dall’Atlantico agli Urali o se ha cambiato casa nel

1915. O se la casa è una o magari è più di una. E di conseguenza capire come ricongiungere significato e significante, pena l’eterno equivoco su Ruolo e Responsabilità che ci si assume usando le Parole. Popolo pure merita più attenzione. Rappresenta chi accetta l’esistenza di un Potere sovra ordinato, cui deve riconoscere Legittimità. Per millenni il il popolo era la cifra di Regni, Repubblica ed Imperi. Dal Senatus PopulusQue Romani, al popolo dei Comuni e delle Rivoluzioni a quello dei partiti popolari esso è stato sempre a fianco del potere. Legittimava il potere. Oggi qualcuno che finge essere elites pensa di governare facendone a meno. In nome di chi nega l’esigenza di dare al Potere quella Legittimità senza la quale esso si riduce a sopruso. Ed è la seconda volta che SOPRUSO emerge in questo appunto. E non può essere

un caso. Scienza un termine importante, difeso nella Storia dal Potere come Parte del Dogma, come Conoscenza Fondante e traduzione di un disegno cosmogonico nella realtà dell’esistenza e che con Bacone e Galileo si fa metodo e verifica ed apre la porta alla Modernità. Mai ci è toccato come in questi ultimi 18 mesi veder trattare i 4 secoli di Storia e di Progresso in cui abbiamo celebrato il Dubbio che del Metodo Scientifico è il Fondamento, come una parentesi da dimenticare. Da sacrificare nel Nome delle Verità Asserite su cui poi costruire un diverso bilanciamento di quei Poteri che il Popolo, in Occidente, ha voluto negli ultimi 250 anni, ricondurre a quei patti di Diritti e Doveri del Cittadino e degli Organi Statuali che ancora chiamiamo Costituzioni. E che l’Unione Europea dovrà pur darsi.

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Ieri avvenne di Waimer Perinelli

In morte di

ALDO MORO I

l corpo era nel portabagagli di una vettura Renault 4, rannicchiato con le le ginocchia verso il petto, come stanno seduti nel grembo materno i bimbi nascenti, ma era il corpo di un uomo di 61 anni; il suo nome Aldo Moro. Aldo Maria Luigi Moro era nato in Puglia, a Maglie, il 23 settembre del 1916 e in quel tragico 9 maggio del 1978 era il presidente della Democrazia Cristiana il partito di maggioranza relativa del Parlamento italiano, di cui era stato fondatore e rappresentante nella Costituente, poi segretario nel 1959. Un politico autorevole, colui che aveva ideato l’assurdo geometrico delle parallele convergenti giustificando la capriola con doppio salto in avanti per legare il partito Comunista Italiano al Governo della nazione e alla DC. Un salto mortale almeno per lui, visto che, una delle poche cose certe sulla sua morte è che venne assassinato per impedire, rallentare, frenare, il nascente governo, uno dei tanti, di Giulio Andreotti, nel quale entravano per la prima volta nella storia italiana i comunisti, guidati da Enrico Berlinguer. Era chiamato Compromesso Storico e rispondeva alle alla grave situazione socio-economica dell’Italia. Evidentemente a qualcuno non piaceva e il 16 marzo del 1968, lo stesso giorno in cui Andreotti avrebbe presentato al Parlamento i sui prescelti, l’auto che trasportava Aldo Moro dall’abitazione a Palazzo Montecitorio, fu intercettata da un nucleo armato, chiamato Brigate Rosse, che

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Aldo Moro

a colpi di mitraglietta, uccise due carabinieri, tre poliziotti di scorta per rapire il presidente della DC. Chi erano veramente le brigate rosse probabilmente non lo sapremo mai, forse direbbe John Le Carrè non lo sapevano nemmeno i membri;di certo sappiamo che a Trento si formò all’inizio degli anni 70 del 900 un gruppetto di estremisti rivoluzionari che trovarono a Milano l’humus e terreno per crescere e poi altrove, a Roma e stati stranieri, soldi e complicità. Fino a quel 1978 avevano sparato a destra, al centro, anche a sinistra, mica tutta la sinistra è buona, poi dopo il rapimento di Moro e la sua uccisione, qualcuno decise che non servivano più e, in poco tempo, lo Stato li imprigionò o costrinse alla fuga. Nel frattempo, il 5 giugno del 1975, la trentina Margherita Cagol, nome di battaglia Mara, annovera-

ta tra i fondatori delle BR, era stata uccisa in un scontro a fuoco con i carabinieri. Ma torniamo al rapimento di Moro e alla sua prigionia. In un carcere segreto rimase per 55 giorni. Venne istituito un tribunale del popolo e subì un processo politico. Aldo Moro si difese e più o meno volontariamente scrisse molte lettere, alla famiglia, al governo agli amici di partito. Supplicava lo Stato di aprirsi al dialogo con i brigatisti anche a costo di accettarne le rivendicazioni (per la liberazione chiedevano il rilascio di alcuni terroristi detenuti). Il 19 aprile scrisse al segretario della DC Benigno Zaccagnini , lanciando presagire il peggio: “Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul paese…”. Il messaggio non fu ascoltato, il processo celebrato, la condanna emessa. L’ultimo comunicato dei terroristi, il numero nove, arrivò il 5 maggio. Annunciava la conclusione del processo popolare a carico dello statista: “Concludiamo la battaglia cominciata il 16 marzo, eseguendo la sentenza”. Moro, con la scusa di un cambio di prigione, fu fatto accovacciare nel bagagliaio della vettura, poi gli fu gettata addosso una coperta e gli spararono 12 colpi di arma da fuoco. Egli sapeva della condanna e scrisse alla moglie : “Ora, improvvisamente, quando si profilava qualche esile speranza, giunse incomprensibilmente l’ordine di esecuzione”. Quattro giorni dopo il suo corpo sarà ritrovato a via Caetani. Una strada scelta con cura: situata ad identica distanza di 150 metri, dalle sedi del Pci e della Dc.


Ieri avvenne Lo Stato rinnova ogni anno il ricordo dei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro, la morte della sua scorta e le altre vittime del terrorismo e delle stragi sui cui autori e motivazioni la verità non è ancora completamente emersa. Lo ha detto anche quest’anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha constatato il fallimento del progetto eversivo e ha aggiunto: “.. ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità, non pienamente chiarite, l’esigenza di completa verità è molto sentita dai familiari. Ma è anche un’esigenza fondamentale per la Repubblica.” D’altra parte com’è stato più volte ricordato, s’indaga in un universo magmatico, di movimenti politici, di intrecci malavitosi che superarono fatalmente i confini con ruoli, mai fino in fondo chiariti, di alcuni apparati dello Stato. E non solo di quello italiano.

Nel 2008, le tesi di un coinvolgimento degli Stati Uniti, furono avvalorate dalle confessioni di un ex funzionario di Whashington, Steve Pieczenik, che lavorò agli ordini dei segretari di stato Henry Kissinger, Cyrus Vance e James Baker. L’uomo raccontò alla stampa americana di aver partecipato al sabotaggio dei negoziati con le Br, affermando come l’idea fosse di “sacrificare Aldo Moro per il mantenimento della stabilità politica in Italia”. Il Pontefice, Paolo VI, amico intimo del politico della Democrazia Cristiana, si rivolse a Dio con parole molto forti: ...”Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico, disse, ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita.” Nel frattempo la giustizia umana ha

Aldo Moro

lentamente, com’è consuetudine proseguito il cammino e a partire da quel 9 maggio, apogeo di una guerra civile strisciante, furono arrestati, processati e condannati alcune decine di brigatisti. Fra tutti Mario Moretti, all’epoca capo dell’organizzazione. I giudici hanno inflitto complessivamente 32 ergastoli e 316 anni di carcere.

Il ritrovamento di Aldo Moro (da Il Riformista

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Bambine, fede e religione di Franco Zadra

NEL CUORE DELLE BAMBINE DI KABUL Contro i Talebani di Kabul che hanno decretato per le donne il divieto di lavoro, tranne che per mansioni che non possono essere svolte da uomini, che impongono l’esclusione delle bambine dalle scuole superiori, inseguendo un progetto criminale che vuole le donne cancellate dalla storia, invisibili, ignoranti e sottomesse, non si protesta solo nelle piazze. Ho la pretesa di farlo anche raccontando un fatto insignificante, del tutto invisibile alla cronaca giornalistica, occorso a una bambina di 10 anni, non a Kabul, ma proprio qui dalle nostre parti.

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n fatto del quale all’occorrenza saprei fornire tutte le “pezze d’appoggio” sufficienti a suffragarne la veridicità, corrispondendo completamente a tutti i canoni giornalistici, ma che nell’immediata lettura potrà apparire forse per ciò che non è, fantasioso e apologetico. Un fatto della cui concretezza testimonio in prima persona e dalla veridicità verificata e verificabile, ma per ovvi motivi solo in seconda istanza. È accaduto a una mia vecchia amica che si accompagnava con la nipote decenne, Victoria, per una visita a una chiesa delle nostre, un pomeriggio di alcuni giorni or sono. Accolte dalla penombra dell’edificio sacro dov’erano entrate per una breve sosta di preghiera, la mia amica disse subito alla nipote: «È vuota! Non c’è nessuno!». Capita di solito che sia il vuoto la prima cosa che ci colpisce, della quale ci sorprendiamo nell’istante che ci incontra. Capita anche se siamo “religiosi” e il nostro vecchio sguardo cerca ancora un Volto nella notte. Ma Victoria ebbe subito a ribadire, con una luce brillante negli occhi: «Non vedi nonna? È piena! È piena dell’amore di Dio!». Che cosa è accaduto? Perché lo racconto? Quando la mia amica mi disse di questo fatto, un senso di meraviglia mi riempì e mi complimentai con lei

per la risposta della nipote. Poi, forse per il solito vizio che mi accompagna, di collegare i fatti, mi ricordai di quella preghiera che la Tradizione ci conserva, “Angelus Domini”, che coglie il nucleo pulsante dell’annuncio a Maria, con la quale possiamo partecipare di quell’abbandono al Mistero rappresentato dal “fiat” con cui Lei esprime la sua fede. «Nell’intimità impenetrabile di questo gesto di libera accettazione – scrive don Luigi Giussani – sta la chiave di volta per il misterioso incontro di Dio e di Maria, e la misura gigantesca di questa Donna «benedetta tra tutte», di questa viandante vittoriosa dell’umano cammino. Quale libertà ha avuto Maria di fronte al «fuori norma» assoluto che le stava accadendo, da cui è dipeso il destino di tutto il mondo!». Una bambina di 10 anni, in un contesto del tutto diverso da quello delle bambine di Kabul, ma con lo stesso cuore, gli stessi desideri di fondo, vede il pieno dove la nonna, come accade alla maggior parte di noi, vedeva il vuoto. E nello spazio di un soffio ha incontrato Dio. Collegando i fatti, mi ritrovo solidale con il mio collega, l’Evangelista Luca, che riporta un fatto della medesima concretezza di questo, accaduto duemila anni fa, che si ripropone oggi ai

miei occhi di giornalista, per mostrare come sia possibile e credibile anche ciò che è accaduto alla Madonna, poiché si ripete in tutti i rapporti che fissano la trama della vita degli uomini e la trama che è dentro la storia, cioè la storia di Dio dentro la storia del mondo. Che cos’è la fede se non proprio quella forza piena di attenzione con cui l’anima aderisce al segno di cui Dio si è servito, e sta a questo segno con fedeltà, nonostante tutto? Niente a che vedere con le violenze talebane! Comprensibile però a un cuore di bambina. Non dimentichiamo le bambine di Kabul, come Maria, dopo che “l’Angelo partì da Lei”, rischiano quella solitudine, anche psicologica, nella quale si è trovata, nelle condizioni nuove nelle quali il Signore l’aveva messa, con tutti gli altri ignari e con il niente cui appoggiarsi, senza alcuna apparente motivazione se non la lealtà con il ricordo di un incontro.

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La donna e la libertà di Waimer Perinelli

ZAHARA AHMADI AFGHANA:

SOGNO UNA DONNA PRESIDENTE

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ella mia vita ho imparato che lamentarsi serve a poco. E’ necessario essere padroni della propria vita, prenderla in mano e guidarla verso obiettivi precisi”. Zahara Ahmani, 32 anni, imprenditrice afghana ha esordito con queste parole al Festival Religion Today, rassegna internazionale del cinema di religione, di scena a fine settembre a Trento. Zahara, è una bella ragazza di 32 anni, capelli neri raccolti, occhi scuri ed un sorriso gentile. Ma non lasciatevi ingannare dietro l’apparente fragilità si nasconde una donna forte, determinata. Per quattro giorni è stata nascosta a Kabul dove i talebani la cercavano accusandola di incitare alla rivolta contro la conquista del potere da parte degli studenti delle scuole islamiche. La donna in effetti, poco prima della conquista della capitale Kabul da parte dei fondamentalisti islamici, aveva partecipato, assieme a centinaia di altre donne, ad una ma-

Religion Today 2021 - Zahara Ahmadi, imprenditrice afgana premiata a Trento

nifestazione pubblica contraria alla loro avanzata. Le stesse donne che da molto tempo si battono in favore dei diritti femminili. “Le donne in Afghanistan, ricorda Zahara, hanno scarsa considerazione sociale e fra i talebani, ma non solo, c’è chi le vuole costringere in casa,

Religion Today 2021 - Zahara Ahmadi imprenditrice profuga afghana

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a svolgere mansioni di casalinga”. Un ruolo sociale che Zahara non ha accettato per sé. A Kabul dal 2017 ha infatti aperto due ristoranti svolgendo un’intensa attività economica senza trascurare l’impegno civile. Minacciata di morte si è dovuta nascondere fino a quando, aiutata da alcune amiche , è riuscita a salire, con altre 203 persone, sul mezzo dell’aeronautica italiana, diretto a Roma. “In Italia vive da tempo parte della mia famiglia , ricorda.” E’ il fratello Hamed ha fare da interprete. Lui abita da qualche anno a Venezia dove svolge l’attività di ristoratore ed è fra i fondatori della catena Orient Experience. “Non vedevo Zahara dal 2014 racconta Hamed, ma appena ho ricevuto alcune telefonate allarmanti, concitate nelle quali mia sorella si diceva disperata e di non sapere cosa fare né dove andare, mi sono mobilitato e sono riuscito a muovere la politica e la burocrazia”. Rapido ed efficiente l’intervento dell’Italia e dopo pochi giorni fratello e sorella si sono


La donna e la libertà incontrati a Roma e poi a Venezia dove Zahara ha ricevuto, durante la mostra internazionale del Cinema, il premio Women in Cinema Award, riservato alle persone coraggiose, intraprendenti, capaci di lottare per i propri ed altrui diritti. Lo hanno avuto, fra gli altri Liliana Cavani, Paola Cortellesi, la stilista Alberta Ferretti, Riccardo Milani, Donatella Palermo. Lasciata la Laguna, Zahara e Hamed, sono venuti fra i monti trentini per partecipare al Festival del film religioso, intitolato “Nomadi della Fede”, portando la loro esperienza. “Anch’io sono una nomade, dice Zahara. Non per nascita, nemmeno per scelta, ma obbligata dalla situazione

Religion Today 2021 - Inaugurazione

grave dell’Afghanistan, a girare il mondo per testimoniare la fede nel diritto delle donne a godere di privilegi e doveri come tutti i componenti della società”. Lo dice con rammarico abbandonando per un istante il naturale sorriso. Poi vola alto:” uguaglianza non solo sul

lavoro, nella scuola, ma anche nella politica e nel ruolo sociale. La mia speranza è che in un prossimo futuro l’Afghanistan possa avere una donna presidente dello Stato.” Una speranza che accomuna anche noi italiani che, con una democrazia affermata da 76 anni, abbiamo avuto solo uomini come presidenti della Repubblica. Certo in Italia, le donne possono studiare liberamente, non sono obbligate a coprire il viso e possono praticare sport dove, come dicono con scandalo i talebani, mostrano il corpo; ma la politica larga di parole è poco generosa nell’assegnare cariche. Insomma sull’uguaglianza fra i generi abbiamo poco da insegnare.

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ABBIGLIAMENTO E INTIMO DA 0 A 99 ANNI

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I nostri artisti di Gabriele Biancardi

DANIELE GROFF E LA MUSICA Il sogno che continua

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ono legato a Daniele Groff, tanto, fu grazie alla mia complicità che ebbi modo di fargli consegnare brevi manus Gianni Morandi la sua “cassetta”. Morandi, che è tutto tranne che impreparato, capì che il ragazzo aveva enormi potenzialità. Ma Daniele è stato artefice del suo successo. Effimero? Breve? Dipende da quale chiave di lettura si preferisce aprire il fascicolo che lo riguarda. Oramai il ragazzino si è fatto uomo e anche padre. A pensare che è vicino ai cinquanta anni, fa un pochino impressione. A Daniele non è mai mancato il coraggio, lo stesso che lo portò a girare prima Parigi e poi Londra, forte di un diploma al conservatorio in pianoforte, sì sa suonare, senza contare che suona abilmente chitarra, oboe e violoncello. La sua preparazione gli è servita nel comporre e nello stare a proprio agio su un palco suonando. Erano gli anni 90, dove il brit pop la faceva da padrone. Oasis in testa e lui non ha mai nascosto questa sua inclinazione. Daniele è una bella persona, lo dico sinceramente e credo che abbia avuto meno di quanto lui abbia dato a questo lavoro che può regalare momenti meravigliosi e crisi depressive subito dopo. Ricordo come un vecchio alpino, l’emozione di trovarmelo davanti al festival di Sanremo nel 1999 con “Adesso”, sembravamo due italiani che si trovano all’altro capo del mondo. Se andate a sbirciare sulla sua storia wikipediana, vi accorgerete che i nomi che hanno collaborato alla sua carriera sono tanti e importanti. Ma allora, cosa è successo? Perché non lo vediamo più in televisione?

Non gli è mai mancato nemmeno il fisique du role per poter apparire. Lo spessore dei suoi testi è innegabile. Magari non ha la voce di Bocelli, ma questo è un altro discorso che magari affronteremo. Daniele semplicemente ha perso qualche treno. Magari non ha saputo approfittare del momento magico, magari non voleva scendere a compromessi (come i Bastard, altri trentini doc), o semplicemente hanno deciso che non era più “spendibile”. Vuoi che non ha mai attizzato la voyeristica nazionale che vede Barbara D’Urso fiera conduttrice di polemiche e scandali, vuoi che magari ha attraversato un periodo di appannamento artistico. Fare un brano che scali le classifiche, magari non è nemmeno difficile, continuare a inanellare successi, è davvero una impresa, che spesso non è nemmeno collegata alle doti e capacità dell’artista. Oggi un cantautore, categoria vilipesa a quanto pare dalle nuove generazioni, ha vita difficile. Forse Daniele è apparso in un periodo storico artistico sbagliato, non si può nemmeno dire che le sue canzoni siano calate di intensità, anzi, gli ultimi due singoli del 2015 “Bellissima la verità” e del 2016 “Sempre nella mia testa”, sono di ottima fattura. Ricordo che pure Lucio Dalla ha lavorato con lui. Daniele suona ancora ovviamente, serate, convention, ma credo che non sia facile per lui. Fortunatamente ha la pelle spessa e disincantata. Ma se vostro figlio venisse a dirvi che da grande vuole fare l’artista. Come la prendereste? Io credo che i sogni vadano seguiti, sarebbe orrendo perdere le emozioni di un artista, solo

Daniele Groff (da All Music Italia)

perché gli è stato impedito di esprimersi. Non avendo figli non posso capire la grande responsabilità di essere padre e quindi di offrire il meglio per la progenie. Chiaro che è un cammino erto e veramente difficile da fare. Oggi le meteore da classifica sono più numerose delle stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Ma non perdiamoci d’animo! Non possiamo fare a meno di arte, di poesia, di musica. Senza saremmo tutti più poveri. Daniele ha scelto di continuare sui palchi di tutta Italia. Esiste un posto dove bluffare non si può, dove se non sei preparato fai figure meschine. Il palco. E su questo, Daniele non è secondo a nessuno tant’è che se segui i suoi social, ti accorgi che ha date, certo, non lo vediamo all’arena, ma nemmeno al “grande fratello vip”. Per lui la musica è una cosa seria, da trattare con rispetto e amore, oggi le teenager che sognavano con “Daisy” sono grandicelle, ma se ascoltano ancora questa canzone, è perché evidentemente ha saputo entrare nei cuori. Io aspetto sempre suo materiale nuovo, non sono schiavo delle mode, sono schiavo delle produzioni oneste. In questo, e non solo, Daniele è in testa.

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Le violenze sui minori di Patrizia Rapposelli

STATO DI EMERGENZA I bambini di cui non si parla

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o stato perenne di emergenza ha posto l’attenzione su temi ormai triti e ritriti. Oggi si parla di vaccinazioni, di prof no pass, dei guariti non vaccinati discriminati, della pressione sul cittadino medio e la piccola impresa. E molto di più. Conseguenze di una pandemia che sembra non avere fine sotto molti punti di vista. Poco spazio è stato dedicato ad un altro aspetto in tempo di Covid. È un anno segnato dall’incremento della violenza sui minori e della pedopornografia in rete. Il report del Servizio analisi criminale mostra come nel 2021 sono aumentati i reati di adescamento di minorenni (più 18 per cento), di violenza sessuale aggravata (più 11 per cento) e di violenza sessuale di gruppo (più 19 per cento). Drammatiche sorprese. Aumentano i reati consumati sulla pelle dei più piccoli. E, nel Paese dell’emergenza, si scopre che nell’ultimo biennio, tra i minori maggiormente colpiti ci sono le bambine. Purtroppo, si parla di 11 abusi sessuali al mese, 5 sono online. Proprio così, nonostante l’anno di relazioni interrotte fisicamente anche, in alcuni momenti, con la scuola, il ridotto incontro con altre persone, se non nel perimetro domestico, ha fatto registrare dei picchi significativi. La complessità del fenomeno rende difficile la rilevazione ed emersione, contribuendo a renderlo un vero e proprio problema sociale. Pensiamo all’impatto sul benessere fisico, mentale e collettivo del minore. Nel 2020 l’OMS, sulla base di dati di circa 151 Paesi, ha calcolato che ogni anno nel mondo un miliardo di bambini è vittima di violenza. Numeri da riflessione.

Piccoli tra i 2 e i 4 anni subisco punizioni violente da parte di genitori e ricordiamolo, uno su quattro assiste alle brutalità inflitte alla madre dal partner. È un grave e diffuso problema collettivo, sebbene poco conosciuto e scarsamente segnalato. Il fatto che milioni di minori sono stati costretti a rimanere chiusi in casa per un lungo periodo, ha drasticamente ristretto la cerchia di relazioni in contesti extrafamiliari, ha determinato da un lato l’aumento degli abusi (dalle violenze, ai maltrattamenti, alla trascuratezza) tra le mura domestica e dall’altra un accrescimento degli adescamenti online. Soffermandoci su quest’ultimo aspetto e confrontando i dati del 2019 con il 2020 emergono cifre inquietanti. Il numero dei video è più che raddoppiato, per capire, da 992.300 a 2.032.556, le chat sono aumentate da 323 a 456, così come le cartelle compresse da 325 a 692 e i link monitorati da 8.489 a 14.521.

Oltre internet di superfice, il problema comprende anche il deep web e il dark web (la parte più grande di internet che non viene indicizzata nei motori di ricerca). E per parlare di un mondo vicino al nostro, anche gruppi di WhatsApp e Telegram. Ci vorrebbe forse più responsabilità da parte degli internet provider, degli amministratori dei siti e delle piattaforme di file-sharing, o più in generale sulla libertà della rete. Chi controlla però i minori connessi e abbandonati online? E dall’altra parte, i servizi di prevenzione e contrasto della violenza minorile hanno subito forti interruzioni durante questa emergenza sanitaria, esponendo i minori a un maggior rischio in determinati contesti familiari. Le chiusure scolastiche in corso e le restrizioni di movimento hanno lasciato molti bambini bloccati in casa, alla mercé di soggetti abusanti e sempre più frustati. Una pandemia dall’impatto devastante davvero su più fronti sociali.

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Il personaggio di Waimer Perinelli

AMISTADI PRESIDENTE MDGT TRENTINI UN POPOLO LIBERO

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zio Amistadi ci riceve nell’ufficio più spazioso del palazzo di San Michele all’Adige, sede del prestigioso museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina. E’ presidente del Museo dal maggio del 2019 ma da soli quattro mesi, da quando c’è stato il cambio della direzione, ha preso possesso dell’ufficio. A parte Giuseppe Sebesta che del Museo è stato fondatore e direttore per più di vent’anni frequentando assiduamente le sale, i presidenti degli ultimi trent’anni sono transitati senza lasciare tracce profonde. Lui no, Ezio Amistadi vuole essere un presidente presente e partecipativo. Nato ad Arco nel 1950, residente nell’Alto Garda, è laureato in storia all’università Ca Foscari di Venezia e in giurisprudenza alla Statale di Milano. Presidente lo è diventato dice, inaspettatamente. “ A fine del 2018, racconta, mi hanno telefonato dalla Provincia e mi hanno chiesto se ero disponibile. Poi più nulla, fino a febbraio del 2019 quando mi hanno chiesto il documento antimafia ed è partita la pratica di nomina”. Con

Ezio Amistadi - Presidente MDCT

lui sono entrati nel Consiglio di amministrazione Iole Branz di Cles e Mauro Cecco nel Primiero. Le nomine hanno colto di sorpresa il mondo culturale trentino che generalmente ha guardato con indifferenza alla realtà di San Michele. “Male, dice Amsitadi, perché

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l’intero complesso ha un valore che supera gli undici milioni di euro e gestirlo comporta una spesa annua di un milione e duecentomila euro.” Molto male perché al di là del capitale investito, gli allestimenti delle sale raccontano la storia del popolo tentino. Ci sono falci e falcetti, martelli, carriole... attrezzi usati in agricoltura, nell’artigianato; ci sono i costumi della festa, le maschere dei carnevali, i burattini ideati da Sebesta, le divise degli armigeri e alcune sale sono allestite come le antiche cucine, salotti, camere da letto: l’arredamento di un intero appartamento traslocato nel Museo. Così vivevano i nostri nonni e padri. “Tutto questo però è solo una rappresentazione statica, dice Amistadi, noi dobbiamo uscire, collegarci al territorio, comunicare quello che potrebbe essere il futuro della nostra gente. Dobbiamo avere progetti e realizzarli. La nostra filosofia è quella di aprirsi a tutti, progettare con


Il personaggio tutti perché questo aggiunge valore al bene e alla cultura”. Ezio Amistadi ha in questo campo la vasta esperienza di consulente esperto in strategie e azioni per lo sviluppo dell’impresa e del territorio, con indagini, proposte e progetti realizzati in Trentino, a Milano e Trieste. In campo antropologico ha pubblicato, due anni fa, il volume “ “Montanari si diventa. Storia di un popolo libero. I Trentini” nel quale raccoglie studi ed approfondimenti. Strumenti utili per una svolta del Museo. Nel rispetto della cultura e dell’ambiente. “Non basta e non è efficace proclamarsi contro qualcosa, occorre assumersi la responsabilità del dialogo, del confronto con gli altri, dice, Se la consapevolezza non è un patrimonio diffuso e condiviso rimarremo tutti inchiodati alle enunciazioni di principio: chi sostiene la tutela dell’ambiente e per contro chi a questo assioma oppone la priorità del lavoro per tutti”. E quando dice tutti intende proprio chiunque abbia a cuore le sorti del patrimonio etnografico e antropologico del Trentino: le associazioni del volontariato senza scopo di lucro che in provincia raccolgono il 23 per cento della popolazione al personale. Il Museo ha attualmente tredici dipendenti, ma quattro nuovi sono in arrivo. Pochi per lo svolgimento delle attività ordinarie e didattiche destinate fra l’altro ad aumentare. Ci sono accordi con l’Università di Trento, facoltà di Let-

MUCGT-20 - Camera da letto

tere Sociologia, per lo sviluppo, anche, di un’antropologia turistica capace di raccogliere e rappresentare l’alimentazione, dal cibo al vino, al territorio, bene prezioso da preservare. “Il museo deve essere vivo, comunicare con il territorio, dice Amistadi, trasmettere un’etica di prospettiva, ossia una visione di lungo termine di come raggiungere l’obiettivo dell’equilibrio fra attività umane e cura del territorio”. A settembre sono state avviate alcune manifestazioni, dall’attività didattica un appuntamento tradizionale del Museo, al festival dei Burattini in musica diretto artisticamente da Luciano Gottardi e la giornata sulle Carte di Regola, ovvero gli antichi statuti che attraverso una serie di norme definivano modi e forme dello sfruttamento dei beni che appartenevano alle comunità tradizionali trentine. “Tutto questo va

bene ma bisogna veramente vivacizzare le proposte, dice Amistadi, coinvolgere la gente, invogliarla a vedere il passato pensando al futuro, a come saremo. In questo progetto dovremo utilizzare le moderne tecnologie; i nostri reperti devono vivere, coinvolgere”. Nelle sale del Museo sono esposti antichi strumenti musicali. Testimoniano la passione del popolo trentino per la musica, il canto, la danza. Nel campo etnomusicale da molti anni è impegnato Renato Morelli, che ha raccolto spartiti di tutto il Trentino e ogni parte d’Europa, soprattutto dell’est. E non si tratta solo di pentagrammi, Morelli, interpreta con successo le note antiche e moderne. “Una vera miniera di note, dice Amistadi, stiamo pensando seriamente ad una collaborazione”.

COMUNICATO AI LETTORI Chi desiderasse pubblicare un articolo o un qualsiasi testo su VALSUGANA NEWS può farlo inviando una email a: direttore@valsugananews.com Il testo (di massimo 30/35 righe) dovrà necessariamente contenere nome, cognome di chi lo ha scritto, nonché i dati anagrafici e di residenza integrati da un recapito telefonico per contatto e verifica. NON SI ACCETTANO ARTICOLI O SCRITTI ANONIMI E SENZA I DATI RICHIESTI. Il Direttore Responsabile si riserva la facoltà di approvare o meno la pubblicazione. Chi desiderasse non evidenziare il proprio nome e cognome dovrà richiederlo per iscritto e il suo articolo o testo sarà pubblicato con la dicitura “lettera firmata”. In questo caso l'articolo sarò conservato in archivio con tutti i dati richiesti.

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Il senso religioso di Franco Zadra

LA VERA STATURA DELL’ESSERE UMANO Nella lettura de “Il senso religioso” di Luigi Giussani, abbiamo visto come il volto umano, quella “scintilla” che accende l’esistenza, l’energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le etnie si rapportano con tutto, sia riscontrabile in una esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità che fa cogliere come conseguenza logica e razionale, per quella esperienza elementare di cui tutte le madri, di ogni tempo e latitudine e allo stesso modo, dotano i loro figli, che la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito. Un Infinito che si può amare, nell’accettazione di una realtà che ci è data, oppure bestemmiare, prigionieri di una illusione di se come soggetto autonomo, ma destinato a dissolversi nel nulla.

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i sono quindi due scelte radicalmente opposte che si presentano alla nostra esperienza: affermare noi stessi all’infinito o accettare l’infinito come significato di sé e, il senso religioso che andiamo riscoprendo, dice chiaramente che «l’uomo afferma veramente sé stesso solo accettando il reale, tanto è vero che comincia ad affermare sé stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è data da sé». Capita a proposito, una scelta che per un milione o quasi di sottoscrittori del referendum su l’eutanasia legale sembra divenuta del tutto ragionevole e “umana”. Con quel referendum - per il quale siamo in attesa di un pronunciamento sulla ammissibilità del quesito proposto che intende riformare in parte l’articolo 579 del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente prevedendo una pena da 6 a 15 anni -, si vorrebbe promuovere una sorta di diritto a morire, legalizzando di fatto l’eutanasia, affermando convintamente che il singolo uomo ha tutto il potere di determinare il suo significato ultimo e le azioni a esso tese. Una convinzione affascinante poiché sembra salvare

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interamente la statura dell’essere umano, che però si finisce per condividere solo nella dimenticanza di sé come creatura finita e senza alcuna consistenza permanente. È quindi dimostrazione di onestà intellettuale la precisazione del Giudice Costituzionale per dire che «non esiste un “diritto di morire” in quanto tale, dato che dall’art. 2 della Costituzione discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire». Risulta ingannevole, invece, invocare un “diritto” a l’eutanasia “attiva” - come ha fatto il Comitato promotore del Referendum -, appellandosi alla sentenza sul caso Cappato, il dj Fabo, travisando di fatto i limiti e i principi che quella sentenza ha fissato. Ma come posso, io qui, avere la spudoratezza di contrastare la volontà di un milione di sottoscrittori il Referendum, miei connazionali? Con quale coscienza lo posso fare? Scrive Giussani: «L’esigenza della bontà, della giustizia, del vero, della felicità, costituiscono il volto ultimo, l’esigenza profonda con cui gli uo-

mini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto, al punto che essi possono vivere tra loro un commercio di idee oltre che di cose, possono trasmettersi l’un l’altro ricchezze a distanza di secoli, e noi leggiamo con emozione frasi create migliaia di anni fa dagli antichi poeti con un’impressione di suggerimento al nostro presente, come talvolta non deriva dai rapporti quotidiani». Suggerisco in conclusione la lettura meditata (e perché no la memorizzazione?) del Salmo 87, «Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte...». Libro suggerito: La libertà dell’ordine, un sentiero aperto per il ritorno, Gustave Thibon.

Luigi Giussani


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Un altro 11 settembre di Guido Tommasini

Il Colpo di Stato in Cile nel 1973

40 MILA DESAPARECIDOS

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l Ministro della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto di recente l’estradizione di tre militari cileni Rafael Francisco Ahumada Valdarrama, Manuel Vasquez Chahuan e Orlando Moreno Basquez i quali avevano assassinato due persone di origine italiana: Omar Venturelli e Juan Josè Montiglio. Drammatici episodi di quasi cinquant’anni fa nell’ambito dell’Operacion Condor, un patto di collaborazione fra le dittature di Argentina, Cile, Uruguay, Paraguay e Bolivia per perseguire anche fuori dai confini nazionali di quei cinque paesi i dissidenti politici. In Cile c’era stato un altro 11 Settembre, quello del 1973, il giorno del colpo di stato contro un presidente eletto. In sintesi quanto segue fu il decorso degli eventi. Nel 1970 il socialista Salvador Allende, candidato di Unidad Popular, che

Marta Cartabia

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comprendeva cinque partiti di sinistra, era stato eletto presidente del Cile, una repubblica presidenziale dove il presidente veniva eletto direttamente dal corpo elettorale, ma nel caso in cui non fosse riuscito a raggiungere un certo quorum, era scelto dal congresso fra i candidati che avevano conseguito il numero più alto di voti. Questo meccanismo costituzionale comportava due conseguenze: in primo luogo che la scelta del presidente poteva risultare frutto di accordi successivi e secondariamente che il presidente poteva governare anche senza avere la maggioranza nel congresso stesso. Questo risultò proprio con Allende e fu alla base dei contrasti che emersero durante il suo mandato, senza contare le condizioni di marginalità strutturale dell’economia cilena dipendente in maggior parte dai paesi industrializzati. Allende si apprestava così a governare in condizioni complicate in quanto doveva spesso accordarsi con la sinistra democristiana per avere la maggioranza in congresso, però sotto certe condizioni godeva del potere esclusivo presidenziale di espropriare industrie inattive o produttrici di articoli di estrema necessità , nonché di attuare altre riforme fondamentali come l’eliminazio-

Salvador Allende

ne del latifondo con distribuzioni delle terre ai contadini, per cui egli ebbe subito la possibilità di iniziare la transizione verso un’economia di tipo socialista. Rebus sic stantibus, ad un certo punto si formò un bicefalismo di potere fra presidente e congresso e ciò favorì uno spazio politico per l’inserimento dei militari come garanti costituzionali. All’inizio le forze armate svolsero correttamente quel ruolo. Poi contestualmente ai boicottaggi delle corporazioni multinazionali( in particolare l’ ITT) e degli USA , ma anche di Stati europei come la Germania Ovest (che smise di comprare il rame cileno), le opposizioni guidate dalla destra DC, cominciarono a bloccare tutte le iniziative governative, potendo anche godere del sostegno


Un altro 11 settembre dei principali quotidiani come El Mercurio e La Tercera, nonché della completa proprietà dell’industria della carta che agiva a loro favore, mentre Allende contava solo sul quotidiano di partito(El Mundo). Anche l’informazione audio era a favore dell’opposizione in un rapporto di circa 130 stazioni radio contro 20 mentre l’unica TV governativa pativa i boicottaggi interni dei sindacati dell’opposizione e doveva competere con tutte le altre, gestite dalle Università, i cui rettori erano in maggioranza contrari ad Allende. L’ostruzionismo ed i sabotaggi in breve cominciarono a scalfire il sistema creando inflazione e caos economico. Come accade in tali casi, la popolazione invece di prendersela con le multinazionali e gli Stati che bloccavano l’invio dei generi di prima necessità e boicottavano i prodotti cileni, manifestava contro il governo. L’estrema conseguenza di questo processo fu il golpe del 11 Settembre 1973, preparato da una fazione di militari guidati da Augusto Pinochet , Capo di Stato Maggiore, che riuscì ad estromettere preventivamente dalle loro funzioni (ed anche in qualche caso ad eliminare fisicamente) tutti gli alti ufficiali lealisti per evitare lo scontro armato fra reparti dell’esercito. I golpisti s’impadronirono in breve del paese dato che i lealisti erano pressoché privi di armi. Bombardata la Moneda (palazzo presidenziale) e morto Allende( ucciso o suicidatosi secondo le differenti versioni ) i nuovi detentori del potere si accanirono contro i democratici con furore belluino, ma la gamma di barbarità commesse non conosceva limiti in tutte le dittature del Cono Sur di quel periodo: i gorilla argentini non stavano a distinguere le nazionalità ed uccidevano suore francesi mentre quelli cileni facevano altrettanto, come nel caso citato, con gli oriundi italiani. Non era facile sfuggire alle grinfie della DINA – Direccion de inteligencia nacional - (la polizia segreta di Pinochet) nascondendosi nelle “conchas” (appartamenti rifugio attrezzati) per poi fuggire dal paese. Si ricorda che solo in Cile fra morti accertati e desaparecidos ci furono almeno 40.000 vittime. La dittatura di Pinochet durò fino al 1989, quando a seguito di un referendum vennero indette libere elezioni. Attualmente in Cile, dopo diversi governi di sinistra c’è un governo di destra e sull’estradizione dei tre assassini si pronuncerà la Suprema Corte di Giustizia cilena.

Ubicazione delle carceri della dittatura cilena nel 1973

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Il personaggio di casa nostra di Renzo Francescotti

WAIMER PERINELLI

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aimer Perinelli: tanto lavoro culturale fatto, tante cose da dire. Da dove cominciare? Be’, cominciamo da una strada di Trento, via Grazioli, la più bella strada della città fuori del centro storico, una contrada lunga mezzo chilometro che partendo da Piazza Venezia va su al rione della Busa e al Fèrsina. Perché cominciare da una strada? Perché Waimer ci ha abitato per 24 anni in un palazzotto di fronte al Bar Sayonara, dove ha abitato anche don Mario Bebber, il grande poeta religioso che insegnava nel Vicino Tambosi, dove il suo primogenito ha uno studio di avvocato (Via Grazioli è la “Strada degli avvocati”) e dove da oltre mezzo secolo ci abito anch’io, che con Perinelli mi sono incrociato per anni, scambiando qualche battuta. Nato a Verona nel 1948, si iscrisse alla da poco nata Sociologia nel fatidico ’68. Suo padre, “uomo forte, coraggioso, generoso e fragile”, faceva il macchi-

Waimer Perinelli - Rai, primi incontri

nista: come il protagonista del film di Germi, che fece lacrimare Waimer quando lo vide la prima volta. Stava guidando un camion nella ritirata di Russia quando fu fermato da un tedesco che gli disse di caricarlo: avrebbe procurato lui la benzina. L’autocarro

Rai, alla scrivania inizio anni 2000

avrebbe potuto caricare al massimo una quarantina di persone. Ma i soldati in ritirata continuavano a salire aggrappandosi al camion. Faceva così freddo che dopo un po’ erano stecchiti, assiderati. Il padre di Waimer raccontava che ogni tanto si doveva fermare per scaricare i morti. Quel tedesco si chiamava Waimer: procurando la benzina all’italiano, probabilmente gli salvò la vita, così come ai sodati italiani che non morirono assiderati. Ed ecco perché Waimer si chiama così (anche se all’anagrafe, per via d’una legge fascista, dovettero battezzarlo Walter). Quando Waimer dopo essersi diplomato disse a suo padre che voleva proseguire gli studi: “Lo vidi sconcertato quando gli dissi che sarei venuto a Trento per l’Università: Sono contento - mi disse - ma tu sai che non abbiamo soldi…“. Così per mantenersi Waimer fece diversi lavori, di sera e di notte: vinse anche un concorso da macchinista ferroviario, come suo padre, e vi lavorò qualche tempo.

Scrive la tesi (1972)

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Il personaggio di casa nostra

Rai, intervista con autografo a Paolo Rossi

Nel 1971, a 23 anni sposò Laura Mansini, ragazza veronese, figlia di un affermato pittore, abilissimo restauratore di quadri e affreschi. Si chiamava Mario, era oriundo trentino perché sua madre era nonesa, di Smarano. Lui amava il Trentino; arrivava da Verona anche in bicicletta, almeno una volta all’anno, a trovare i parenti. Di cognome faceva ”Manzini”, ma quando lo avevano registrato all’anagrafe avevano scritto “Mansini”. Lui però continuava a firmarsi Manzini. Si sa che i veneti odiano la zeta e la sostituiscono con la esse (quando studiavo a Padova all’Università i miei amici veneti mi chiamavano ”Renso”). Waimer e Laura, una coppia molto affiatata e collaborativa, che ha messo al mondo due figli, Zeno e Marco Nicolò: il primo, nato il 28 febbraio 1973, mezz’ora prima che suo padre si laureasse in sociologia, abita a

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Rovereto, è avvocato a Trento, sposato con un’avvocata. Il secondo, Marco Nicolò, giornalista professionista e autore del romanzo Famagosta, è stato eletto sindaco di Tenna lo scorso anno. Ci sono anche due nipoti, Giulia e Azzurra, figlie di Marco Nicolò, che abitano nella stessa casa. Waimer aveva cominciato a scrivere su varie testate: la più nota era Tempo illustrato, settimanale pubblicato a Milano, su cui scriveva gente come Pier Paolo Pasolini e Giancarlo Vigorelli. Peccato che la rivista fallì e dovette chiudere nel 1976. Nel 1980, il Nostro divenne direttore giornalistico di Radio Dolomiti e addetto stampa del Teatro Stabile di Bolzano: begli anni in cui scoprì il teatro dal di dentro e conobbe gli attori dietro le quinte. Nel 1988, supportato dalla sua bella voce da speaker, fu assunto dalla Rai

di Trento, andando in pensione nel 2013 con l’incarico di vicecapo redattore. Oltre a innumerevoli articoli, ha pubblicato due ricerche sociologiche ed un libro sui duecento anni del Teatro Sociale di Trento. Nonostante questo dice di sé: “Scrivo molto, ma non pubblico nulla, perché ho paura di rivelare la mia fragilità…”. E che cosa gli è rimasto dell’esperienza di sociologia? “Sono un sociologo non rivoluzionario. Considero la rivoluzione studentesca del ‘68 un atto borghese che, come sta succedendo oggi per i top manager, spostò solo la competizione sociale fuori della scuola italiana e aprì varchi di mobilità sociale alla media borghesia. Rispetto la rivoluzione operaia del ’68, stroncata dal terrorismo rosso, nero e da pezzi deviati dello Stato… Avevo il privilegio di essere studente lavora-


Il personaggio di casa nostra

Vicecaporedattore Rai

tore e ritardai tre mesi la tesi di laurea perché quando dovevo sostenere l’ultimo esame, a novembre del 1972, la facoltà venne occupata. Solo dopo lunghe trattative riuscii a dare l’ultimo esame a dicembre”. Prima di scegliere Sociologia, aveva pensato di studiare Filosofia a Padova. Ma è anche appassionato di storia romana. Uno dei temi che più lo appassionano è quello della Provvidenza: “Credo fermamente nella Provvidenza; non nella manzoniana, ma la De Providentia di Lucio Seneca. Credo in Dio e nell’Ordine cosmico, temo il disordine umano”. Racconta accadimenti della sua vita: uno soprattutto. “Mia

Teatro Stabile di Bolzano con Valeria Ciangottini

madre, fervente cattolica, è morta a 93 anni. Non la vedevo da un mese ed ero in Val Rendena, dove avevo accompagnato mia moglie, sindaco di Caldonazzo, per un incontro fra amministratori. Mia madre stava bene, ma nel primo pomeriggio, senza alcun motivo, sentii che dovevo andare a trovarla. Quando arrivai nel suo appartamentino, in una casa protetta a Peschiera sul Garda, era a letto. Fiacca, mi disse, stanca. Poi si addormentò. Le rimasi accanto tenendole mano e polso. Le dissi quanto era stata brava e del bene che le volevamo. Sentivo

Marco si laurea in lettere a Padova, Waimer con la moglie Laura e la madre Antonia

il battito del suo cuore, lento, sempre più lento. Poi si spense…”. Waimer abita con Laura a Tenna, in località Terrazze, con una splendida vista sul più grande lago del Trentino. Ha acquistato una villetta, alzandola di un piano per farci stare la famiglia del suo secondogenito. Quando risiedeva a Caldonazzo, nel 2011, fu eletto presidente del Centro d’Arte La Fonte, dando nuovo impulso a questa associazione fondata dal pittore Luigi Prati Marzari, oltre mezzo secolo fa, soprattutto rilanciando gli artisti di Caldonazzo (paese ricchissimo di artisti quali i fratelli Eugenio e Giulio Cesare Prati, il nipote Romualdo, Angelico Dallabrida, Edmondo Prati, Marzari, esponendo inoltre artisti famosi come Schweizer, Winkler, Verdini, Aldo Pancheri, con cataloghi curati dallo stesso Waimer, ospitando mostre in cui hanno figurato un centinaio di artisti). Nel dicembre del 2011, Perinelli organizzò per Manzini, scomparso nel 1992, una bella mostra con catalogo Entrato nella “riserva giornalistica” collabora con diletto al mensile Valsugana News ed è condirettore del periodico Feltrino News. Insomma, dai tempi in cui era studente-lavoratore, gli anni ruggenti di Sociologia, di lavoro culturale Waimer Perinelli ne ha fatto un bel po’… (Su gentile concessione di Trentino Mese)

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L’Autonomia e i Comuni di Marco Nicolò Perinelli *

LIBERI COMUNI IN LIBERA PROVINCIA

U

na cosa è certa: alla battaglia di Legnano del 1176 i Comuni trentini non c’erano. Il Principato Vescovile emetteva i primi vagiti e le piccole Comunità trentine avevano ben altro da pensare. E anche oggi hanno altri pensieri e primo fra tutti quello di sopravvivere. Comuni grandi pensieri grandi; Comuni piccoli, pensieri ancora più grandi perché agli stessi problemi hanno risposte minori. Meno personale, meno soldi in cassa e da affrontare la gestione dei servizi, le strade comunali, i sentieri da ripristinare, i muretti di sostegno da ricostruire, il verde da curare e i monumenti da mantenere. Ma è proprio nei piccoli Comuni che risiede la vera essenza della nostra Autonomia, in quella cellula fondamentale che rappresenta la sua migliore espressione. Negli 845 anni che ci separano dalla Battaglia di Legnano, i Comuni trentini hanno imparato qualcosa che invece altrove è andato perduto, o comunque affievolito, ovvero la consapevolezza di essere parte di un sistema capace di autogovernarsi, facendo leva su un radico senso di appartenenza ereditato dalla storia e alimentato da quel principio di aiuto reciproco che caratterizza la gente di montagna, abituata da sempre a gestire le proprie risorse con oculatezza e a superare i lunghi inverni attraverso la collaborazione. Purtroppo oggi però i piccoli Comuni sono sempre più in difficoltà, di fronte a troppe incognite: ad oggi non sappiamo ancora, ad un anno dal Commissariamento, cosa sarà delle Comunità di Valle, un ente poco compreso ma che rappresenta per le realtà numerica-

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Strada chiusa, Tenna

mente ridotte la salvezza sotto molto aspetti, a partire dai servizi sociali. E ancora vi è ambiguità – e siamo ad ottobre – su quel fondo strategico previsto dal Protocollo d’Intesa di Finanza locale almeno fino allo scorso anno, noto come Ex FIM, che costituisce ossigeno nel bilancio di tutte le municipalità. E mentre vengono presentati, almeno a mezzo stampa, progetti anacronistici per infrastrutture che quasi certamente non vedranno mai la realizzazione, ma che sicuramente saranno oggetto del dibattito della prossima campagna elettorale, ci si dovrebbe invece ricordare quanto la nostra Autonomia ci permetta di sognare in grande, di avere una visione diversa del futuro, di aprire nuove piste con uno sguardo verso l’Europa, verso l’agenda 20-30 e la creazione di un territorio davvero capace di guardare al futuro con quello sguardo che dona la cima delle montagne e non quello del fondovalle riservato a chi non ha la capacità, la voglia o gli strumenti per arrivare fino alla cima. Ci vuole coraggio, certo, ma ci vuole capacità e competenza, valorizzando

quella classe dirigente che in Trentino c’è, ma che deve trovare stimoli per impegnarsi nell’amministrare. E questo si può fare valorizzando i Comuni, dando loro possibilità di portare avanti in autonomia i propri progetti, non costretti a recarsi a Trento con il cappello in mano, ma dando loro i mezzi per investire nel proprio futuro. Ora come ora i Comuni appaiono come “serbatoi” dove la Provincia può scaricare proprie responsabilità in periferia mentre accentra tutto il potere. Ma mentre Federico Barbarossa, nonostante la grande vittoria dei Comuni lombardi che si opposero alla spinta accentratrice, è passato alla storia come uno dei più grandi Imperatori del Medioevo e del Sacro Romano Impero, temo che il giudizio storico sarà meno clemente su questo nostro periodo. Fortunatamente oggi non abbiamo bisogno di Imperatori da sconfiggere e con la Provincia, dobbiamo dialogare, per dare ai 167 comuni trentini una nuova autonomia e libertà. *Marco Nicolò Perinelli è giornalista e sindaco di Tenna.


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Il personaggio fra la neve di Waimer Perinelli

ROLLY MARCHI UN TRENTINO DI CORTINA D’AMPEZZO I

ndro Montanelli ha scritto che una sera prese in mano il romanzo “Il silenzio delle cicale” con l’intento di: “leggerne alcune pagine, per vedere come cominciava, e poi non l’ho più lasciato fino alle tre di notte”. L’autore del romanzo è Rolly Marchi e quando inizi a scrivere della sua vita non sai da che parte iniziare perché le porte di accesso sono tante, varie, mutabili come i tornelli. Rolando Marchi, Rolly per chi gli ha voluto bene, nasce a Lavis, un paese a 8 chiloetri da Trento, il 31 maggio del 1921 e muore a Milano il 14 ottobre del 2013 a 92 anni. Due date certe, in mezzo una vita attiva, quasi frenetica, con al centro lo sport, la passione per la montagna per Cortina d’Ampezzo e tutta la provincia di Belluno dove ha scalato la Croda

Rolly Marchi (da Sciatori d'Epoca)

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Rolly Marchi (da Sciatori d'Epoca)

Da Lago in cordata con l’amico Dino Buzzati nel 1966 e fu l’ultima ascensione del romanziere bellunese. Rolly aveva in comune con il romanziere la professione di giornalista e un buon successo di un romanzo “Ride la luna” finalista al premio Campiello di Venezia nel 1979. Entrambi partecipavano alle feste in laguna e raccontavano episodi divertenti della società letteraria e frivola. Entrambi hanno lavorato a Milano ma Rolly era un irrequieto e non sostava a lungo nemmeno all’ombra delle Dolomiti ampezzane, fassane o di Campiglio. Personalmente l’ho conosciuto bene ad Agordo nel 1994 dove, da inviato della Rai regionale, seguivo la finale del premio Agordino

d’oro, ideato dallo stesso Rolly con l’intento di premiare persone con notevoli meriti ma “discrete”. Fra di loro, non per caso, Reinold Messner, Tone Valeruz, Manuela di Centa. Rolly, era come loro ma contemporaneamente, esuberante, spigliato presentatore, amichevole, poteva ingannare, sembrare diverso. In realtà era molto riservato, parlava volentieri soprattutto degli amici, delle persone care. Raccontava volentieri dell’iniziazione allo sci. Era il 1934 e con il padre era salito fino ad un rifugio in Paganella, la montagna sovrastante la casa natale, e guardava gli adulti sciare. Il gestore del rifugio gli prestò gli sci del figliolo e Rolly cominciò con una serie di cadute fino a che qualcuno gli suggerì di adottare la tecnica di una ragazzina spigliata che faceva parte del gruppo:. “ E’ lo spazzaneve, gli dissero, devi solo guardare le punte degli sci che a valle quasi s’incrociano” La cosa non funzionava perfettamente, perciò il giovane Rolly, per spiegare il suo handicap


Il personaggio fra la neve rispetto alla rivale disse: “ A lei riesce bene perché è strabica”. Risero tutti ed egli comprese così quanto poteva essere facile, con l’ironia, sdrammatizzare le difficoltà della vita. Questa è stata l’arma vincente della sua lunga esistenza. Oltre all’ironia possedeva fantasia e intuizione. Fra il 1957 e il 58 assieme agli amici Gigi Panei, guida alpina e maestro di sci, all’esordiente ,ma già famoso, Mike Buongiorno, fondò il Trofeo Topolino, la manifestazione che per molti decenni ha portato migliaia di giovani di tante nazioni a gareggiare sulle piste innevate. La sua alta figura ed il cappello ampio impostogli da Wat Disney ai giochi olimpici di Sqauw Valley del 1966, gli valsero il soprannome di Cow Boy delle nevi. Ne rideva soddisfatto come uno dei ragazzini che portava sulla neve, come l’immagine di Topolino stampata sui pettorali degli atleti, piccoli, ma molto competitivi. Portava il cappello da Cow Boy anche fra i grandi della Tre-Tre la competizione mondiale fra le più rinomate delle Dolomiti. Poi smise, all’improvviso, senza una spiegazione. Ma non mancò mai al suoi impegni. Né di frequentare l’amata Cortina dov’era arrivato nel 1956 come speaker ufficiale delle Olimpiadi. Qui rimase per libera scelta. “In altri luoghi, ricordava, mi hanno offerto gratuitamente il terreno per

Rolly Marchi con Ferruccio De Bortoli (da Televignole)

costruire la casa e anche la legna per scaldarla, ma io ho preferito queste montagne e la gente ampezzana”. In Trentino era sempre presente per seguire da cronista lo sport invernale, organizzare nuovi eventi, per ritrovare gli amici, la madre presso la cui tomba aveva scelto di essere sepolto a Centa San Nicolò, un paesino che dalla Vigolana si affaccia sulla Valsugana. Per Rolly trentino, un po’ orso e molto aquila, il tributo più forte è venuto in occasione della morte dalla provincia di Belluno, dall’ampezzano. “Cortina è in lutto, titolavano i giornali, quel 14 ottobre di nove anni fa, è morto infatti all’età di 92 anni, Rolly Marchi, giorna-

lista e scrittore trentino, ma grande e assiduo frequentatore di Cortina. Uno di quei personaggi che hanno segnato la storia della Conca, dove era conosciuto assolutamente da tutti. Uomo di sport, letteratura, fotografia, giornalista, scrittore, e molto altro.” Veramente molto altro ma e soprattutto un uomo gentile e sorridente. Noi lo ricordiamo ancora, con il viso illuminato dalla fiamma del camino, nella saletta dell’ albergo di Agordo, raccontare gli incontri con Franco Nones, Walter Bonatti, Reinold Messner, Dino Buzzati... le arrampicate, le escursioni; non per vantarsene ma per descrivere quanto erano bravi i suoi amici.

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USA: 11 settembre 2001

di Francesca Gottardi

Vent’anni dal giorno che ha cambiato l’America

L’attacco Alle 9 del mattino dell’11 settembre 2001 due aerei dirottati nel cielo di Manhattan colpivano le iconiche Torri Gemelle nel cuore di New York. Un terzo aereo colpisce il Pentagono. Il Volo 93, che si pensa fosse diretto alla Casa Bianca o al Campidoglio, si schianta invece in Pennsylvania dopo che i passeggeri si ribellano ai dirottatori. Quello dell’11 settembre è il primo attacco terroristico di tali proporzioni sul suolo americano. Responsabili sono 19 terroristi di Al Qaeda. Sono quasi 3000 le vittime di quel tragico giorno, 6000 i feriti. Questo senza contare le 2000 persone che si stima siano decedute negli ultimi 20 anni a seguito delle conseguenze derivanti dall’inspirazione di polveri tossiche disseminate dall’attacco e

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dal crollo delle Torri, quali tumori e problemi respiratori. Le conseguenze L’attacco alle Torri Gemelle non ha avuto solo immense conseguenze nell’immediato, con centinaia di famiglie per sempre segnate dalla perdita di un loro caro. A seguito degli attacchi terroristici gli Stati Uniti sancirono una vera e propria guerra al terrorismo jihadista. Gli USA iniziarono dapprima un conflitto in Afghanistan e poi in Iraq, accusandoli di aver aiutato i militanti di Al Qaeda. Tali conflitti hanno contribuito ad aumentare l’instabilità geopolitica della regione ed alcuni ritengono che l’invasione abbia incentivato il nascere di nuovi gruppi terroristici. A livello domestico, a seguito degli attacchi gli USA

hanno introdotto leggi severissime in materia di terrorismo ed immigrazione. Oggi emigrare e viaggiare negli USA significa passare attraverso un laborioso screening fisico e burocratico prima di poter varcare il confine. Il trattamento da parte delle autorità USA di individui sospetti di esser coinvolti in atti di terrorismo è stato ampiamente criticato da varie organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Per esempio, controversa fu la pratica interrogatoria del waterboarding (annegamento simulato), in seguito bandita. Le commemorazioni In occasione del ventesimo anniversario si sono svolte numerose cerimonie commemorative, tra cui nel luogo dove un giorno sorgevano


USA: 11 settembre 2001 le Torri, al Pentagono e presso il sito dello schianto del Volo 93. Delle Torri oggi rimangono due ampie fontane nere che tracciano il perimetro dove un tempo sorgevano gli edifici. Il luogo è stato chiamato “Ground Zero” ovvero punto di impatto. Il Presidente Americano Biden ha presenziato alla cerimonia, assieme alla First Lady Jill Biden ed agli ex presidenti Barack Obama e Bill Clinton. Assente l’ex presidente Donald Trump, che non ha preso parte a nessuna cerimonia ufficiale ma che ha visitato Ground Zero in privato. Le cerimonie sono iniziate con l’inno USA, seguite da momenti di silenzio in corrispondenza dell’ora degli attentati e del crollo delle Torri. I parenti delle vittime hanno poi ricordato i loro cari elencandone i nomi. È impossibile dimenticare. A distanza di 20 anni il ricordo di quel fatidico giorno è ancora vivido: tra le 8:46 e le

10:27 dell’11 settembre 2001 l’occidente fu messo in ginocchio in meno di due ore. Le ultime frasi delle vittime Molti dei passeggeri sugli aerei dirottati hanno lasciato diretta testimonianza dei loro ultimi minuti prima dei fatali schianti. “Stanno accoltellando le mie colleghe davanti ai miei occhi”, dice disperata una hostess in una chiamata al suo supervisore. Un passeggero lascia un messaggio vocale ai suoi cari: “L’aereo è sotto il controllo di persone armate di bombe, ci stanno dirottando, vi voglio bene.” Barbara Olson, a bordo di uno degli aerei, chiama il marito descrivendo come i dirottatori, armati, stessero costringendo i passeggeri a spostarsi verso il fondo dell’aereomobile. Gli chiede disperatamente: “cosa devo fare?” Poi lo schianto. Quando

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Sean Rooney, che lavorava in una delle Torri, chiamò la moglie Beverly Eckert lei subito gli chiese dove si trovasse. Sean rispose “al 105 piano.” Beverly sapeva che Sean non sarebbe mai tornato a casa. “C’era un edificio in fiamme sotto di lui, ma Sean non perse mai la compostezza; neanche quando tutto attorno a lui c’era fumo e le finestre attorno a lui erano talmente calde che non si potevano nemmeno toccare. Avevamo smesso di parlare di vie di fuga. Sean mi ha disse di dire alla sua famiglia che gli voleva bene, e poi abbiamo iniziato a parlare di tutta la felicità che abbiamo condiviso, di quanto siamo stati fortunati ad avere l’altro. […] Alla fine, mentre il fumo diventava più denso, Sean continuava a sussurrare, “Ti amo”. Poi, all’improvviso, ho sentito per telefono l’edificio crollare con l’assordante suono di una valanga.

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Borgo Valsugana in cronaca di Massimo Dalledonne

BUON COMPLEANNO SAT

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re giorni di festa. Con un anno di ritardo e ben tre rinvii, la Sat di Borgo ha festeggiato, nelle scorse settimane, il secolo di vita. Oggi la sezione, presieduta da Andrea Divina, conta quasi 500 iscritti sui 28 mila satini presenti in Trentino. Soci che sono la linfa vitale di questa centenaria associazione del paese. Uno di loro è il dottore Elio Alberini. Sulle spalle 92 primavere ma tanta voglia ancora di emozionarsi, camminando ogni giorno tra i boschi e le sue montagne. “Ai giovani dico di apprezzare ogni giorno le bellezze di cui godiamo, sono uniche e ti riempiono il cuore. Io ho iniziato a camminare con don Cesare Refatti, grazie a lui ho iniziato a vedere i nostri luoghi con occhi sempre più diversi”. Un centenario arricchito dalla realizzazione di un volume-album fotografico, “una raccolta suddivisa in cinque

ripartizioni temporali – ha ricordato nel suo intervento Franco Gioppi in occasione della presentazione - che racconta la storia della nostra famiglia satina attraverso immagini, documenti, apparati custoditi nell’archivio sezionale oppure tratti dalle raccolte dei satini don Cesare Refatti, Gigi Cerbaro e Franzi Vitlacil, ma anche dal numeroso materiale iconografico messo a disposizione dai soci”. Tre giorni di festa, con il Coro Valsella che, finalmente, dopo molti mesi, è tornato ad esibirsi in pubblico. Con un bellissimo concerto nella chiesa di S. Anna e, domenica mattina, accompagnando la Messa nella chiesa arcipretale celebrata da don Franco Torresani. Per l’occasione si è svolta anche la premiazione del

concorso di disegno “i 100 anni della Sat” riservato ai bambini delle scuole elementari e realizzato nell’anno scolastico 2020-2021. Ben 130 i lavori realizzati, coinvolte tutte le classi del plesso con gli organizzatori che hanno scelto i lavori di Beatrice Bettega (classe seconda), Gloria Orsingher (terza), Vanessa Sartori e Giovanni

100 anni SAT Borgo

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Borgo Valsugana in cronaca Galvan (quarta) e Sofia Panato della classe quinta. Era il 16 aprile del 1920 allorquando la direzione della SAT di Trento deliberava e comunicava “… l’ammissione in massa dei soci della Sezione di Borgo”. E un decennio più tardi nasceva la locale sottosezione dello Sci Club Sat, promossa dal dott. Giovanni Toller. “Gli appunti dell’epoca – prosegue Franco Gioppi - lasciatici dai reggenti della sezione Ruggero Lenzi, Annibale Moggio e Armando Pagnusat riferiscono, infatti, sulla prima gita sociale effettuata al Tombolin de Caldenave nel maggio del 1920, sulle escursioni compiute a Porta Manazzo - Piz di Levico, Cima Dodici, Cima d’Asta, Fravort e Sasso Rotto ma anche delle prime sci alpinistiche effettuate alla Montagnola di Sella, alla Trenca e alla Capanna Cinque Croci”. Alla celebrazione del centenario, svoltosi in piazza Degasperi, c’era anche la vicepresidente della Sat regionale Iole Manica. Parole di stima e apprezzamento sono arrivate anche dal sindaco di Borgo Enrico Galvan, dall’onorevole Mauro Sutto e dal presidente della Cassa Rurale Valsugana e Tesino Arnaldo Dandrea. Ancora Franco Gioppi. “Alla fine del secondo conflitto mondiale i soci della Sezione sono solamente sette e si rende quindi necessario provvedere a una sorta di ricostituzione che si materializza la sera del 17 ottobre 1945 in una saletta del Bar Milano affollata da un numerosissimo stuolo di giovani d’ambo i sessi. Nel 1948 nasce il forte gruppo segnavia che pone le basi per l’estesa rete sentieristica attuale e un lustro più tardi (1953) vede la luce la locale stazione del Corpo Soccorso Alpino. Accanto all’ordinario, negli anni a seguire la sezione contribuisce alla realizzazione del villaggio SAT di Celado e della baita don Cesare Refatti alla Lanzola, accoglie al suo interno il prestigioso Gruppo Gotte Selva e nel 1966 ospita il 72° Congresso della SAT. Tre anni dopo chiude i battenti la consorella sezione di Olle e numerosi soci

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100 anni SAT Borgo (foto circolo fotografico Gigi Cerbaro)

100 anni SAT Borgo (foto circolo fotografico Gigi Cerbaro)

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Borgo Valsugana in cronaca della frazione confluiscono in quella di Borgo ove sono presenti anche gli amici della cessata sezione di Strigno. Contemporaneamente viene eretta l’imponente croce sulla vetta di Cima Dodici e nel 1976 diversi soci partecipano alla costruzione del bivacco Buse delle Dodese e sono tra i fondatori del prestigioso Meeting dei Lagorai. La riapertura del sentiero don Cesare occorsa nel 1980 apre la strada per la costituzione del locale Gruppo Giovanile e dà avvio a una lunga serie di iniziative didattiche, espositive, tecniche, editoriali e di tutela dell’ambiente montano attuate nel corso degli anni novanta”. Un volume, dal titolo “SAT Borgo Cento anni e non sentirli”, dove trovano posto, accanto e bravi commenti storici, diversi scatti che raccontano la storia della sezione. Un album fotografico realizzato grazie alla per-

spicacia del presidente Andrea Divina e al lavoro degli ex presidenti Franco Gioppi, Carlo Galvan, Luca Alberini e Riccardo Segnana unitamente alla collaborazione di Massimo Libardi e di Maria Elisa Galvan. “Enumerare quanti si sono adoperati per accompagnare la sezione di Borgo verso il traguardo delle cento candeline porterebbe, inevitabilmente, a tralasciare qualche nominativo. Piace invece – conclude Gioppi - ringraziare tutti gli associati protagonisti non solo di centinaia di iniziative ammirevoli che hanno contribuito a creare la storia recente della nostra comunità ma anche e soprattutto tutti i satini costruttori di rapporti d’amicizia e di solidarietà all’interno di un sentimento d’affetto comune per le nostre vette. Quegli stessi volontari che hanno insegnato ai Valsuganotti ad andare in

100 anni SAT Borgo (foto circolo fotografico Gigi Cerbaro)

montagna per assaporarne le bellezze naturali e le peculiarità ambientali, disciplina pressoché sconosciuta prima dell’avvento della SAT in ambito vallivo”. Fino al 10 ottobre, presso lo Spazio Klien in piazza Degasperi, è rimasta aperta una mostra fotografica con tanti scatti, sia in bianco e nero che a colori, dedicati alla storia di ieri e di oggi della sezione Sat di Borgo Valsugana.

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Tra storia e tradizioni di Chiara Paoli

All Hallowed Eve

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ll Hallowed Eve, questa l’origine di Hallowee che sta a significare proprio “vigilia di tutti i santi”. Questa festa, ormai celebre in tutto il mondo, ha origini celtico pagane e in particolare si trattava della festa di fine estate detta Samhain, che cadeva il primo di novembre. Un tempo i diavoli venivano intimiditi appiccando grandi fuochi sulle colline, anche in funzione del rientro delle bestie nelle stalle e ai fini del rinnovamento del manto erboso. Passano gli anni e inizia a prevalere l’aspetto più esoterico e spaventoso della celebrazione, si inizia a pensare che le anime dei morti sarebbero tornate dall’aldilà e prendono così piede i tipici personaggi come fantasmi, streghe e scheletri. Se oggi giorno il simbolo indiscusso di Halloween è la zucca intagliata, dobbiamo pensare che un tempo gli irlandesi incidevano i volti demoniaci nella rapa, che a sua volta era incavata per contenere una candela che la illuminasse, il tutto con funzione di protezione dell’abitazione. In America le rape non si trovano, ma in compenso si cominciano ad intagliare le zucche al suo posto.

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La tradizione della rapa intagliata deriva dalla famosa leggenda di Jack o’ lantern, fabbro irlandese alcolizzato e avaro, che nella notte di Ognissanti incontra il diavolo al pub; fingendo di vendere la sua anima per un’ultima bevuta, quando Satana muta la sua forma in una moneta, l’ubriacone la intasca mettendola vicino ad una croce d’argento. Il diavolo a causa dell’oggetto simbolico non può tornare alla sua forma e Jack lo costringe a stringere un patto che gli concedeva altri 10 anni di vita. Trascorso questo tempo il signore degli inferi ritorna, ma viene nuovamente beffato dall’irlandese al quale è costretto a promettere che non sarebbe più tornato a cercarlo. Quando Jack muore non viene accettato in Paradiso ed è costretto a bussare alle porte dell’inferno; qui viene cacciato dal diavolo che gli tira addosso braci, che l’uomo prende e infila nella rapa che stava mangiando affinché non si spegnessero e potessero guidarlo nelle tenebre in attesa del giorno del Giudizio. La lanterna

diviene così il simbolo delle anime tormentate ed erranti. L’usanza di mascherarsi risale al 1585 ed è testimoniata per la prima volta in Scozia; vi è poi la consuetudine di decorare le case in maniera spaventosa e tutto ciò sarebbe dovuto al fatto che la popolazione dei vivi voleva rendere le case inospitali e spaventare gli spiriti dei morti, che avrebbero potuto altrimenti impossessarsi dei loro corpi. I travestimenti non sono


Tra storia e tradizioni sovrapponibili con quelli del nostro carnevale, hanno una connotazione marcatamente spaventosa e lugubre. Il più zuccheroso “dolcetto o scherzetto” ha invece radici cristiane e deriva dall’usanza dei poveri di girare per le case a chiedere cibo in cambio di preghiere per i morti. La frase inglese “Trick or treat?” sembra in realtà sottendere una “velata” minaccia ai padroni di casa che potrebbero subire “rappresaglie” se non hanno dolcetti da consegnare ai piccoli mascherati. La notte di Halloween viene celebrata anche in Sudamerica e in particolare in Messico come ben esemplificato dal film di animazione Coco (2017), in questo caso il personaggio per eccellenza è detto Calavera Catrina o lo scheletro elegante, ideata dall’illustratore messicano José Guadalupe Posada, nel secondo decennio del

‘900. Anche in Italia si riscontrano tradizioni similari in molti paesi come il “Coccalu di muortu” a Serra San Bruno, in Calabria, dove i giovani girano con la zucca intagliata e la frase muta in “Mi lu pagati lu coccalu?”, cioè “Me lo pagate il teschio?” In Puglia, a Orsara, l’usanza prevede di accendere fuochi davanti casa per illuminare la strada agli spiriti che vagano in cerca dei parenti rimasti in vita, su questi falò si cucina la carne che viene consumata per strada con vicini e passanti. Il giorno di Ognissanti nella piazza del paese si tiene la gara di “cocce priatorje”, cioè le teste del purgatorio che sarebbero le zucche intagliate. Anche nei più vicini Friuli e Veneto si fanno tradizionalmente le lumère, dette anche suche baruche o suche dei morti, cioè le zucche con sem-

bianze di teschio. A Reggio Emilia i festeggiamenti prevedono di mangiare le ossa dei morti o favette, dolci tipici realizzati con pasta di mandorla e di zucchero a forma di ossa. Anche nelle città della Daunia in provincia di Foggia Ognissanti viene festeggiato in dolcezza, regalando ai bambini calze piene di caramelle e dolcetti che, attaccate vicino al letto, vengono benedette dagli anime dei familiari defunti nella notte tra il primo e il 2 novembre. Molte altre sono le testimonianze in Italia, con diverse usanze e sfaccettature, rimane una festa amata da giovani e bambini, un carnevale anticipato, dolcetti che riempiono le case e quella sensazione di paura mista a magia che l’incontro di due mondi, quello dei vivi e quello dei morti porta con sé.

LEVICO TERME IN CRONACA

Istantanee del Quotidiano L'estate di via Garibaldi, la più antica del centro termale, è stata animata da una curiosa iniziativa. Portano il nome di "Istantanee del Quotidiano" le sagome dislocate negli angoli più caratteristici di Levico, per la gioia dei tanti curiosi che vi sono attratti tornando così a frequentare una via da sempre abbandonata a sè stessa. Il progetto, partito interamente dal basso, è compreso in una serie di creativi interventi volti alla valorizzazione di Via Garibaldi. Tra questi ricordiamo il "presepio anti-covid" dello scorso dicembre, ideato da Tiziana Romanelli, artista levicense, e alcuni giovani della via, i quali sperano di poterlo riproporre e ampliare in occasione del Natale 2021. Stavolta dalle mani d'oro dell'artista Romanelli sono uscite delle simpatiche figure realizzate con materiali di recupero che impersonano personaggi realmente residenti nella Via: bimbi che riparano la bici, artigiani all'opera, giovani che trastullano col cellulare, eleganti signore intente a fare la tintarella e operosi commercianti che si concedono la meritata siesta nei pressi della rispettiva "bottega". L'idea era inizialmente concepita come una "macchina del tempo" con cui far fare ai passanti un salto nel passato di Via Garibaldi, tra le sue cantine, ex monasteri, portici contadini e storici palazzi signorili. Ma Tiziana ci ha ripensato: “Ho rinunciato a progettare facendo riferimento a un tempo lontano dal nostro, preferendo rappresentare il nostro problematico ma unico, e speciale, PRESENTE.” Un prezioso invito, insomma, a gustare pienamente la vita hic et nunc, qui ed ora, vivendo ogni battito del nostro cuore come una pittoresca e mai banale "Istantanea del Quotidiano". (Francesco Zadra)

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Tra musica, pittura e poesia di Laura Mansini

FABIO RECCHIA Incontro col dottor Fabio Recchia, farmacista a Levico e poeta, pittore, musicista.

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o voluto mettere questa bella definizione che apre l’ultimo libro scritto da Fabio Recchia : “Immagini dell’Infinito” (Una scala tra Poesie ed acquerelli, per salire dalla terra al cielo) per raccontare la sua storia di vita intensamente vissuta in tutte le sue sfaccettature. Se si incontra Fabio Recchia viene spontaneo chiamarlo dottore, perché lo abbiamo conosciuto nell’antica farmacia Romanese di Levico. Sempre gentile e sorridente il dottor Recchia, direttore della Farmacia dal 2001 al 2019, è certamente uno dei personaggi più conosciuti ed apprezzati a Levico, ma non solo. Laureato in Farmacia presso l’Università di Padova nel 1978, Cavaliere al merito della Repubblica Italiana ed inoltre cittadino onorario della città di Hausham in Baviera (Germania), sono i primi elementi sufficienti per fare un bozzetto del personaggio. Il curriculum vitae del dottor Recchia è decisamente importante e dimostra la ecletticità di questo interessante personaggio che si è distinto tanto nella vita pubblica, che in quella sociale; è stato, infatti, Consigliere Comunale a Levico dal 1990 al 1995, ha rivestito moltissimi ruoli tra i quali Consigliere della Casa di riposo di Levico Terme, Revisore dei conti della Piccola opera dal 1995 al 1998, Consigliere e poi Assessore della Comunità di Valle Alta Valsugana....è inoltre presidente del Centro Auser di Levico Terme dal 1995 e molto altro ancora . Leggendo il suo copioso

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“Un poeta è un uomo che mette una scala su una stella e vi sale mentre suona un violino” (Edmondi de Goncourt)

curriculum mi sono incuriosita e la prima cosa che mi è sorta spontanea chiedergli è stata, “Ma con tutte queste attività svolte e che ancora sta facendo. come trovi il tempo di dipingere e scrivere ? ”Un sorriso sereno e una risposta davvero inattesa. “Io scrivo ogni

giorno una poesia, , a volte solo un pensiero , solitamente di mattina presto, ci sono delle notti in cui mi sveglio e getto sul foglio la risposta a mie inquietudini. La pittura mi chiede maggior tempo, ma anche questa nasce osservando la natura che mi circonda, il lago, le montagne e per me è davvero importante dipingere, è un momento davvero rasserenante”. Lo abbiamo incontrato al suo ritorno da Roma, dove ha esposto i suoi ultimi quadri in una galleria di Via Margutta. “E’ stata una bellissima esperienze, tornare a Roma ed incontrare vecchi e nuovi amici è davvero rigenerante”. Parla con entusiasmo il dottor Recchia e , sapendo che è andato in pensione gli chiedo se il lavoro non gli manca “Certamente no, risponde sorridendo, è stato importante costruttivo, ma appena raggiunta l’età pensionabile ho preferito dedicarmi alle mie passioni. Dipinge ma anche pubblica libri, ed è proprio la sua ultima fatica letteraria ad averlo portato a Roma. “ Immagini dall’infinito” è una “Raffinata raccolta dell’intenso autore Fabio Recchia, che nasce dall’armoniosa unione di pittura e poesia, dal felice abbraccio del logos con l’eikona” scrive Massimo Gherardini nella bella prefazione del volumetto edito da Dantebus S.R.I Roma, la società che organizza gli eventi “Per me è stato davvero importante quest’incontro con altri cinque pittori; quando la mia casa editrice mi ha proposto questa mostra mi sono molto impegnato nel trovare i colle-


Tra musica, pittura e poesia gamenti tra i miei dipinti e le parole . A proposito di parole eccone alcune di una sua poesia. “Ho rubato all’orizzonte le immagini dell’infinito, mi sono vestito di vento per portare con me il ricordo dei colori e ho posato le ali sul bianco foglio. Pagine su pagine scrivo la vita, uno ad uno si raccolgono le storie,le immagini per non dimenticare, per lasciare sulla sabbia della vita, la mia orma” Con queste belle e profonde riflessioni, si apre il bel volumetto di Gherardini che commenta “ Per le sue immagini di infinito Fabio predilige la pregevole tecnica dell’acquerello” infatti tutte le poesie vengono commentate da deliziosi dipinti. Sono poesie brevi, intense che in pochi versi sanno raccontare grandi emozioni. Salire la scala sulla stella suonando il violino diventa con loro una bella composizione.

Le ali degli angeli Non si vedono le ali degli angeli, sono mani piumate che ci accomagnano senza voce, come una carezza. Nel silenzio del sogno iole vorrei, nella notte, Per volare su di te Hausham Hütte - Acquerello, 35x50 cm

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Conosciamo le aziende di Armando Munao’

BAUEXPERT ESPERTI IN EDILIZIA Tradizione e innovazione

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uando si parla di edilizia nella nostra regione non si può trascurare la bauexpert, un’azienda che, con i suoi 100 milioni di fatturato, si pone ai primi posti anche a livello nazionale. La sede principale è a Brunico e ha sul territorio regionale ben tredici punti vendita, quattro in Trentino: Borgo Valsugana, Pergine Valsugana, Rovereto, Mori e nove in Alto Adige Sudtirol, Bolzano, Laives, Laces, Bressanone, San Lorenzo, Appiano, Campo Tures, Marlengo e naturalmente Brunico. Con circa 300 collaboratori, 50 camion e diecimila prodotti in pronta consegna, garantisce un servizio rapido ed efficiente su tutto il ter-

Da sinistra Rigo Michele (filiale Pergine Valsugana), Gianluca Vanzo (filiale Borgo Valsugana) e Roberto Molinari (Domus Bauexpert Borgo Valsugana)

ritorio in un settore colpito pesantemente dal Covid, ma ora in netta ripresa. E’ così?

Domus Bauexpert (Borgo Valsugana)

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Bernhard Zingerle, vicepresidente del CDA bauexpert La pandemia Covid ha di certo cambiato il modo di operare di moltissime realtà industriali. E la bauexpert? La pandemia ha colpito molto anche il nostro settore. Prima di tutto le varie restrizioni rendono difficile lavorare, ma soprattutto la pandemia ha portato a una carenza di vari materiali edili, necessari per costruire. E questo per varie ragioni. Per esempio, la materia prima del materiale isolante EPS (Polistirolo) un derivato del cherosene, combustibile che serve principalmente agli aerei. Ma poiché il traffico aereo è stato fortemente ridotto, questo materiale di base manca. La carenza di materiali ha portato a un aumento della domanda


Conosciamo le aziende

Domus Bauexpert (Borgo Valsugana)

al di fuori della regione e dell’Italia, eppure noi abbiamo cercato di servire solo i nostri clienti locali nel miglior modo possibile. La bauexpert fornisce attualmente anche la consulenza per l’utilizzo funzionale della legge con cui si consente la detrazione del 110 per cento nelle costruzioni. Funziona? E come? Inizialmente, la domanda era piuttosto moderata a causa della burocrazia e leggi poco chiare, ma recentemente gli incentivi fiscali hanno incoraggiato molti costruttori ad effettuare una ristrutturazione sul loro edificio esistente. E’ una legge che si può migliorare e per quanto tempo, a suo avviso, potrebbe rimanere in vigore? La legge sul risanamento termico ha certamente senso, dato che ci sono molte strutture vecchie da risanare e impedisce la designazione di nuovi terreni edificabili. Tuttavia, la sovvenzione non dovrebbe finire bruscamente il 30 giugno 2022 (con qualche eccezione il 30.6.23), ma la percentuale di sovvenzione dovrebbe essere ridotta gradualmente per evitare un vuoto di costruzione dopo. Tra le vostre offerte: costruzione a secco, edilizia grezza e sottosuolo, sistema di isolamento termico

qual’è il settore di punta attualmente? Il nostro slogan è: bauexpert - tutto per costruire meglio. Oltre ai materiali da costruzione da lei menzionati, la nostra gamma di prodotti comprende anche piastrelle, pavimenti in legno e porte. Vendiamo questa gamma di prodotti sotto la divisione Domus bauexpert e forniamo anche un servizio a 360 gradi che copre tutto, dallo showroom alla misurazione e alla posa o installazione (con artigiani locali). Cerchiamo di fare del nostro meglio in tutti i settori per soddisfare le esigenze dei nostri clienti.

Funziona bene? I nostri showroom sono molto importanti, soprattutto per il costruttore privato, in modo che possa avere un’idea chiara di come potrebbe essere la sua casa dei sogni domani. Questo è sempre accompagnato dall’esperienza e dai consigli del nostro personale qualificato. Quale ritiene sia il vostro punto di forza? I nostri punti di forza sono la disponibilità di materiali da costruzione, la nostra logistica, il servizio, gli showroom, ma soprattutto i nostri 300 dipendenti che si sforzano ogni giorno di servire i clienti in modo onesto e coscienzioso.

Uno degli elementi che caratterizzano il mercato della compra-vendita è la concorrenza, specialmente sui prezzi. Ci sono difficoltà sul mercato? E come le affrontate? Al momento, la carenza di offerta e i grandi aumenti di prezzo sono il grande problema. Attualmente stiamo solo cercando di servire i mercati locali e i nostri clienti abituali e di trovare insieme una soluzione. La bauexpert compie ventidue anni. E’ nata infatti nel 1999 dalla fusione di due imprese e dal 2015 ha iniziato una forte azione di avvicinamento al pubblico con gli showroom nei quali presenta tutti i materiali da costruzione.

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La religione in cronaca di Franco Zadra

Confessa che ti passa...

È

raro di questi tempi leggere un articolo sulla confessione, ma qui dove vogliamo parlare anche di benessere e salute ci è parso opportuno affrontare l’argomento, sorvolando sul fatto, ormai sotto gli occhi di tutti, che si tratti ormai di una pratica quasi scomparsa, riservata anche nelle parrocchie a quei gruppetti sempre più esigui di catechesi della seconda elementare e ai loro genitori, nel esasperato tentativo pastorale, fallito da decenni, di farne un momento solenne, titolato con “la prima confessione”, mai assurta ai fasti solenni della prima comunione o della cresima. Pur se di confessione dei peccati si dovrebbe trattare in campo religioso e sotto una prospettiva di fede, considerando l’aspetto teologico del sacramento che altro non è se non un incontro con il Signore risorto, ne vogliamo parlare qui solo per un suo aspetto secondario, quello della salute e del benessere, inteso in senso laico, che ne può derivare. Non è questo che può motivare una pratica religiosa, ma ne rappresenta comunque un effetto collaterale importante che è andato perduto per la nostra società e che non sappiamo più recuperare. Si pensi solo a quanto benessere ha portato nella vita di Agostino d’Ippona, lo scrivere quel bestseller mondiale intramontabile, conosciuto come Le Confessioni. Un’opera autobiografica in 13 libri, scritta intorno al 400, unanimemente ritenuta tra i massimi capolavori della letteratura cristiana. Sant’Agostino, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e in particolare la storia della sua conversione al Cristianesimo. Si tratta di un continuo discorso che Agostino rivolge a Dio, da qui il termine confessione, che inizia con una

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Agostino d'Ippona

Invocatio Dei (invocazione di Dio), e una narrazione, interrotta frequentemente da ampie e profonde riflessioni, della sua infanzia, vissuta a Tagaste, e degli anni dei suoi studi e poi di professione come retore nella città di Cartagine. Una confessione che ha stravolto una vita improntata alla più sfenata dissolutezza e libertinaggio morale. Possiamo ben credere che proprio quell’esercizio di scavo nella propria memoria, quel suo confidarsi, affidarsi a Dio, gli abbia salvato la vita oltre che l’anima. Oggi tutto questo è scomparso dal nostro orizzonte sociale e il motivo si potrebbe ricercare in quel sospetto di “controllo sociale” che dalla rivoluzione francese in poi ha segnato la pratica religiosa agli occhi dei laici ormai prossimi a svincolarsi totalmente dalle “paturnie medievali” che li volevano soggetti e intrappolati in una divisione del lavoro per caste e una rigida e immobile scala sociale. Un pallido riverbero del concetto di confessione lo ritroviamo nell’espressione inglese “coming out”, utilizzata, per esempio, per indicare

una dichiarazione di omosessualità volontaria e su iniziativa personale. Diversa da “outing”, usato quando uno è “outed”, cioè viene scoperto, esposto, quindi si rivela l’inclinazione sessuale di una persona senza il suo consenso. L’outing è dunque spesso associato a un’accezione negativa, a una situazione spiacevole che viola la privacy di una persona che si trova quindi a subire una rivelazione senza il proprio benestare. Se però Coming Out è tutto ciò che ci resta della confessione, possiamo scordarci per sempre gli effetti terapeutici che essa poteva rappresentare, anche se si è tuttavia convinti, sempre per rimanere in tema di omosessualità, che un gay dichiarato, per amore o per forza, scoperto o autorivelatosi, sia più felice di chi invece vive, e può continuare a vivere, nella riservatezza il proprio orientamento sessuale. Tutta un’altra storia dal confidare in Dio, dal trovare un gancio in mezzo al cielo. Su quel tipo di salute è calato un definitivo Amen… e così sia!

Confessionale


IL TRENTINO SI VACCINA

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I vaccini sono sicuri per le donne in gravidanza e anche per l’allattamento. Non esistono controindicazioni alla vaccinazione diverse dal resto della popolazione e il vaccino non incide sulla fertilità. Al contrario, il Covid-19 può rivelarsi una malattia potenzialmente molto grave se contratta in gravidanza.

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Storia della Formula 1 di Alessandro Caldera

FERNANDO ALONSO L’emblema spagnolo della Formula 1

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ella storia della Formula 1 ogni scuderia ha avuto il proprio periodo d’oro che può essere stato quasi impercettibile, come avvenuto di recente con la Brawn Gp, oppure memorabile e con un lascito notevole. In merito al secondo caso possiamo registrare diversi esempi: Mclaren (1988-1991), Williams (1992-1994), Ferrari (20002004) oppure più recentemente, monopolizzando di fatto l’era ibrida, Mercedes (2014-2020), in attesa comunque dell’esito di questa stagione. Il protagonista di oggi è un asturiano

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classe 1981, quindi non un rookie, tristemente noto a Maranello, almeno prima del suo arrivo nel 2010 in Emilia, per aver posto fine all’egemonia di Schumacher con la Rossa. Una descrizione che non lascia spazio a troppi fraintendimenti, poiché la F1, a differenza della MotoGP, non pullula di spagnoli, ragione per la quale il soggetto in questione non può essere che uno: Fernando Alonso. “In Spagna – ha spiegato quest’ultimo a SportWeek il 6 marzo 2004 – tutti legano la Formula 1 a me: ho tutto il peso sulle mie spalle”.

Il campione iberico si avvicina al mondo dei motori all’età di sette anni, un ambiente esclusivo nel quale come sappiamo i soldi non sono propriamente una componente indifferente, grazie agli sforzi del padre, Josè Luis, che svolgeva per lui il ruolo di meccanico. Il papà vedeva in lui un talento e lo spronava affinché si dilettasse con i kart, consapevole che con prestazioni di livello il figlio si sarebbe fatto notare da qualche esperto del settore. L’auspicio e soprattutto il desiderio di Josè trovarono un riscontro nella figura di Genis Marcò,


Storia della Formula 1

un importatore di telai e motori, che vide Alonso, non ancora dodicenne, nel campionato catalano. Fernando riuscì così ad imporsi nel ’93 a livello nazionale, il primo traguardo di una grande carriera fatta di memorabili alti e sciagurati bassi. Per quanto riguarda il primo approccio con una vettura del Mondiale, dobbiamo arrivare al ’98, quando Campos, ex pilota Minardi, gli diede l’opportunità di salire in macchina. L’asturiano dopo tre giorni di test eguagliò il record stabilito da un altro pilota, Marc Genè, oggi commentatore tecnico per l’emittente sportiva Sky, dando prova di grande qualità e costanza, elementi che portarono poi la Minardi a sceglierlo l’anno seguente come tester. Alla casa di Faenza il pilota spagnolo deve molto, visto che sarà quest’ultima a consentirgli di esordire in F1, in occasione del Gp di apertura in Australia del 2001. L’anno seguente Flavio Briatore, con il quale nascerà un legame fortissimo, lo ingaggia come collaudatore per la stagione 2002 garantendogli, di fatto, un sedile per la stagione ventura, dove avrebbe affiancato il nostro Jarno Trulli

alla guida della Renault che aveva rilevato da poco la storica Benetton. Il 2003 è finalmente il momento nel quale Fernando può consacrarsi: a fine anno ottiene infatti quattro podi e una meravigliosa vittoria nella gara in terra ungherese. Della militanza del pilota presso la “casa” francese sono però ovviamente ricordati i due mondiali vinti consecutivamente nel 2005 e nel 2006 che, come anticipato, misero la parola fine al dominio Ferrari e lo proiettarono direttamente nella leggenda di questo sport. Dopo la conquista del secondo titolo iridato, nel 2007 decise di accettare le avances di McLaren, che a fine anno si sarebbe trovata invischiata insieme a Ferrari e Renault nella famosa Spy Story, dove si trovò compagno di squadra di Lewis Hamilton con il quale la convivenza fu tutt’altro che pacifica e priva di colpi di scena. In virtù di questo decise di fare ritorno per due stagioni nella scuderia dove si era consacrato, prima di approdare alla Ferrari. In Italia fu amatissimo, sfiorò in due occasioni il titolo, soprattutto nel 2010, dovendo però piegarsi sempre allo strapotere di Red Bull,

vincitrice di tutti i campionati durante i quali Alonso corse per il team italiano (2010-2014). Dopo la parentesi a Maranello il “Principe delle Asturie”, titolo conferitogli in occasione del successo del 2005, tornò in McLaren ma purtroppo il progetto della casa inglese fu fallimentare e dopo tre anni alla guida di una vettura disastrosa, nel 2018 decise di ritirarsi. L’addio al mondo dei motori non fu però definitivo e, come spesso accade a piloti con una simile tempra, si cimentò infatti in svariate competizioni, come le 24 ore di Le Mans, prima di comunicare nel 2020 la decisione di tornare a correre in F1 con Alpine (ex Renault) per la stagione 2021. Il talento e la velocità a Fernando non sono mai mancati, quello che gli si può rimproverare, forse, è un atteggiamento non sempre costruttivo e questa mancanza di freni inibitori che non sempre risulta positiva. Ecco, questo è l’unico motivo per il quale Alonso ha raccolto molto meno di quello che con il suo prodigioso talento avrebbe potuto ottenere, anche se nel 2022 con i nuovi regolamenti, nulla è ancora scritto.

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Girovagando in Trentino

di Chiara Paoli

FOLIAGE La magia dell’autunno L

a magia del foliage invita tutti a uscire per una passeggiata autunnale che offre alla nostra vista paesaggi incantati caratterizzati dai colori caldi che virano dal giallo al rosso intenso. Le foglie si colorano e cadono, la natura si trasforma, ci invita a osservarla e a cogliere tutte le sue splendide sfumature. Per fare questa esperienza, rimanendo in provincia, visittrentino.info propone 10 itinerari con scenari spettacolari da immortalare in questa stagione di caldarroste e novello. Il primo percorso si snoda nel Parco Naturale del Monte Baldo, si tratta del sentiero dei castagneti che parte dall’altopiano di Brentonico per condurci al caratteristico borgo medievale di Castione, incastonato tra il lago di Garda e il fiume Adige. Qui ovviamente si celebra la festa del marrone che solitamente ha luogo nel mese di ottobre per onorare queste castagne di ottima qualità garantite dal marchio dell’Associazione tutela Marroni di Castione. La seconda proposta ci porta alla scoperta del Monte Corona, con partenza

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località Ville di Giovo e tappa obbligata al belvedere del Doss Paion, che offre una splendida visuale sui terrazzamenti a vite della vallata. In centro paese parte il percorso che passa vicino alle rovine del Castello della Rosa e sale poi verso il bosco di faggi, pini e abeti, al bivio ci si dirige verso il già citato belvedere, sulla cima è presente una croce metallica a protezione dei viaggiatori. Un pochino più impegnativo è il trekking che porta da Canale di Tenno, borgo medievale tra i più Belli d’Italia, al rifugio San Pietro. Il percorso tra andata e ritorno impegna circa 4 ore di camminata, ma lì è possibile mangiare e ammirare dall’alto il lago benacense. La vista vale la candela, quindi partendo dal centro abitato ci si dirige verso il monte Calino, località Bastiani e quindi al rifugio. Il ritorno conduce al lago di Tenno, altro luogo incantevole grazie all’azzurro che contraddistingue le sue acque. Anche la Val di Fumo nel Gruppo Adamello – Presanella merita di essere esplorata in autunno. Proseguendo dalla Valle di Daone entrerete in que-

sto paesaggio da cartolina che con una passeggiata interamente pianeggiante vi permetterà di ammirare il foliage. Al quinto posto troviamo L’Alpe Cimbra con la sua forra del Lupo, splendido trekking che si snoda nella gola rocciosa (mi raccomando: attenzione a possibili cadute di sassi), consentendo una spettacolare vista sull’alta valle di Terragnolo e sul Pasubio. Attraverso questo percorso è possibile osservare trincee e ripari risalenti al primo conflitto mondiale, nota anche come Grande Guerra. Partendo dalla località Cogola di Serrada, si sale verso Terragnolo e si raggiunge il Forte Dosso delle Somme. Altra metà consigliata in questo periodo sono le cascate del Saènt in val di Sole generate dal torrente Rabbies; in questo caso si tratta di un sentiero ad anello che si snoda nel Parco Nazionale dello Stelvio. Questo percorso è parte integrante del progetto Uno Di Un Milione cui è dedicato un sito internet consultabile per ulteriori informazioni e per approfondire. Altro must di ottobre-inizio


Girovagando in Trentino novembre è il lago di Tovel in val di Non, che se non diventa più rosso per la presenza dell’alga, si tinge comunque dei riflessi dei colori autunnali. Il giro attorno al lago è pianeggiante, non presenta alcuna difficoltà ed è adatto a tutti. Più impegnativo è il trekking in val Canali, che vi invita a percorrere in circa 4 ore 13 km di panorami incantati con vista sulle maestose Pale di San Martino e la Catena del Lagorai. Partenza dall’alta Val Canali in Primiero, più precisamente dal parcheggio di

Fosna, proseguendo verso ovest si potranno osservare le conche detritiche dette “Fosne” con le “casere” e i “tabiadi”, cioè i fienili riuniti vicino a un grosso blocco di pietra. Si segue quindi il sentiero CAI 731 per tornare su strada forestale fino al prato di Costa, si seguono poi le indicazioni per Ronzi-San Martino che ci porta ad ammirare la massiccia Lasta del Sol (2100 metri). Giunti ai prati Ronzi, si rientra seguendo il sentiero CAI numero 724, direzione località Dagnoli, si prosegue verso Piereni per rientrare al parcheg-

gio in località Fosna. Meritano una “capatina” anche le cascate di Vallesinella, poco distanti dal centro di Madonna di Campiglio in Val di Brenta. Si tratta di una meta molto panoramica e percorribile anche da famiglie con bambini. Molto apprezzata nella mezza stagione che si è da poco aperta anche la facile passeggiata che conduce dal paese di Fai della Paganella in circa una ventina di minuti alla Terrazza Belvedere; si consiglia una sosta nell’ Arena delle Stelle, anfiteatro nel bosco.

Delegazione trentina (e valsuganotta) alla giornata dell’Euregio Una delegazione composta da una ventina di studenti e giovani lavoratori provenienti da tutto l’Euregio - l’euroregione che comprende Trentino, Alto Adige e Tirolo austriaco - ha preso parte alla Giornata del Tirolo, svoltasi domenica 22 agosto nel ridente villaggio austriaco di Alpbach, vicino ad Innsbruck. Evento inserito nel palinsesto annuale del prestigioso Forum Europeo di Alpbach ma che, nell’edizione 2021, era caratterizzato dalla sottoscrizione dei trattati per la riforma istituzionale dell’Euregio, alla presenza dei governatori Kompatscher, Platter e Fugatti, che a quest’autunno assumerà la presidenza di turno dell’euroregione per il prossimo biennio. Nei 3 giorni che precedevano la manifestazione i giovani hanno preso parte a un ricchissimo programma denominato “Accademia dell’Euregio”, costituito da conferenze, dibattiti su temi di stretta attualità politica ed economica, laboratori culturali, escursioni in montagna e momenti di svago. La lingua in uso era prevalentemente il tedesco ma ciò non è stato un problema poiché lo spirito di collaborazione tra i giovani ha permesso di superare qualsiasi barriera linguistica. L’ultimo giorno, dopo la S.Messa celebrata dal vescovo di Innsbruck e il tradizionale ricevimento degli Schuetzen, i componenti trentini della comitiva hanno ricevuto la visita del vicepresidente del consiglio regionale Roberto Paccher che si è intrattenuto con loro per un saluto. Prima di ripartire i ragazzi hanno potuto partecipare a un “faccia a faccia” con il governatore sudtirolese Arno Kompatscher, organizzato appositamente per loro.

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Amore e musica di Giulio Mazzardi

PASO DOBLE A LEVICO TERME

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i erano incontrati l’anno scorso, durante la stagione termale a Levico Terme, ed era stata un’attrazione di fuoco. Tutta una stagione di passione, si erano promessi di non dimenticarsi, di ritrovarsi allo stesso posto dopo un anno; ecco perché Walter è alla stazione, in attesa del Diretto del Brenta delle 18.54, da cui scenderà Ester. Dopo dodici mesi. Senza conoscersi ancora si trovavano sulla pista da ballo delle terme, la musica aveva attaccato un paso doble e nessuno scendeva in pista perché troppo impegnativo per ballerini dilettanti. Poi il motivo divenne meno impetuoso, anche se ugualmente trascinante ed era scesa in pista lei ad affrontare il ritmo, Ester, coraggiosa, spavalda, leggera e superba come una rapida di fiume. Trovò il coraggio anche Walter ad affrontare il paso doble e raggiunse la pista facendo coppia con Ester. Mai conosciuti, mai ballato assieme, ma entrambi posseduti dalla passione del ballo, e di colpo si trovarono affiatati, travolti da una prodigiosa comunione dovuta non solo alla magia della musica ma anche all’esplosione dei sentimenti. Finirono il ballo tra gli applausi delle altre coppie che facevano cerchio attorno alla pista. Erano ansimanti, raggiunsero i posti a sedere tenendosi per mano. E anche per il resto della serata si tennero per mano, coppia fissa, non si lasciarono più. Galeotto era stato il basso per questo incontro felice, quando Walter dopo un matrimonio sbagliato non ci contava più. Anche Ester aveva un fallimento alle spalle; un’esperienza in comune che li aveva avvicinati e fatti sentire sullo stesso piano. Addirittura

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avevano prolungato il soggiorno alle terme per vivere più a lungo possibile la passione che li aveva travolti. Con le loro storie di fallimento alle

spalle entrambi volevano credere, convincersi, e viverlo, che quello fosse l’incontro e la volta giusta per essere felici e non dovevano lasciar-


Amore e musica sela scappare. Per tutto il tempo del soggiorno ballarono tutte le sere, ogni sera una pista da ballo diversa, il ballo li aveva fatti incontrare e ballando giuravano di voler vivere tutta la vita. Walter aveva scoperto il tango a Riva del Garda. Quando sua moglie lo aveva lasciato per seguire un imbianchino, aveva cominciato a frequentare una scuola di ballo latino americano. L’aveva chiamato lui quell’imbianchino, per tinteggiare le stanze di casa, e quello ne aveva approfittato per sedurre sua moglie. Allora aveva scoperto il ballo. Ester era stata abbandonata dal marito, scappato con una brasiliana. Due figli piccoli che vivevano coi nonni. Però Ester li aveva affrontati i fedifraghi, in malo modo, esagerando forse, e poi l’aveva pagata lei; ma doveva farlo, diceva, non sono riuscita a ingoiarla. «Ma come li hai affrontati, e come l’hai pagata?» Aveva chiesto Walter. «Ti ho detto quanto basta, con te sto rinascendo, ma non farmi altre domande.» Talmente categorica che Walter non aveva chiesto altro. Così anche Ester aveva scoperto il ballo, al suo paese, Castelfranco Veneto; nel tango sfogava amarezze e delusioni, riscopriva ardori e chimere. É un mercante di sogni il ballo, così si dicevano entrambi. Si erano ripromessi amore eterno, di rivedersi l’anno prossimo all’apertura della stagione termale. Walter in verità, preso dalla foga, le aveva proposto di convivere dal giorno dopo. Ester era stata più cauta, l’aveva frenato, ti prometto l’anno prossimo, io devo sistemare tante cose, questo tempo ci aiuterà a convincerci meglio. A Walter queste promesse - mentre andava su e giù per la stazione - risuonavano fresche, convincenti, vere, come se le avesse sentite un momento prima. Il treno delle 18.54 è l’ultimo che arriva a Levico Terme, dopo non ce ne sono altri. È chiamato Diretto del Brenta, è un treno locale, parte da Castelfranco Veneto, il paese di Ester, prosegua via Padova, poi Cittadella, Bassano, Levico Terme. Si erano sentiti il giorno prima per telefono, ci vediamo domani arrivo col treno delle 18.54, ci sarò, non sto nella pelle di rivederti. Se non arrivo non aspettarmi più. Aveva chiuso con questa battuta spiritosa, ma la voce era calda e affettuosa. Walter per l’ansia aveva il cuore in gola, finalmente, rivedersi dopo dodici mesi, perché lui ci contava. Ester avrebbe cambiato la sua vita. Quando arrivò il treno, non vedendo Ester che scendeva, avvertì un brivido di gelo addosso. Come se si fosse fermato il battito. Facendosi forza attese ancora che il treno ripartisse, Ester poteva essere scesa sul marciapiede sbagliato. Ma non c’era nessuno sul marciapiede sbagliato, tutto vuoto, desolato quel marciapiede vuoto. E anche l’animo di Walter.

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Il personaggio di ieri di Massimo Dalledonne

GIUSEPPE DEGOL

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alla sua morte sono trascorsi 107 anni. Era, infatti, il 17 ottobre del 1915 quando, all’età di 33 anni, sull’Altissimo, venne ucciso Giuseppe Degol. Un nome che non passa inosservato, che in tanti avranno sentito perché in sua memoria venne intitolata la caserma militare di Strigno. Proprio lì, il 30 agosto del 1882 era nato e quando, nel 1914, in Australia, dove si trovava con moglie e figlia per gestire il commercio di metalli preziosi e perle, gli giunge la notizia dello scoppio della Grande Guerra, decide di ritornare in patria, Lo fece, come si legge nel volume “Alpini, una famiglia” edito dalla sezione Ana di Trento ”ubbidendo all’imperativo dell’amor patrio e convinto che era giunto il momento propizio per la redenzione della sua terra trentina”. Di classe anziana ma ancora vincolato al servizio militare nell’esercito austriaco, decise di mollare lavoro e affetti per venire a combattere da volontario quella che può anche essere definita come “l’ultima guerra d’indipendenza”. Una volta in Italia, Giuseppe Degol si arruola nel corpo degli alpini frequentando il corso allievi ufficiali e, successivamente, viene assegnato, con il grado di aspirante, al VI Reggimento Battaglione Verona. “Si distinse sempre per audaci imprese di ricognizione – si legge ancora nel volume – condotte a termine con felice risultati e nelle quali catturò diverse pattuglie avversarie. Ai primi di ottobre del 1915 raggiunge il suo battaglione operante nel settore dell’Altissimo”. Pochi giorni dopo, il 19 ottobre, Giuseppe Degol viene invitato a compiere un colpo di mano a quota 461 metri. Parte notte tempo e nelle prime ore del giorno giunge a qualche centinaio di metri dalle linee nemiche.

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Giuseppe Degol

“Comandante di una grossa pattuglia scelta, si slanciava alla testa dei suoi uomini all’attacco di un nucleo di nemici in forte posizione. Con le fasce ai piedi – si legge ancora – per evitare ogni tipo di rumore, la pattuglia taglia un primo reticolato, poi un secondo e quindi parte all’assalto. Gli austriaci, sorpresi dall’inattesa azione e storditi dagli scoppi, lasciano la postazione aprendo un fuoco intenso”. Il coman-

dante Degol viene ferito mortalmente al petto ma continuò ad incitare i suoi uomini a perseverare nell’azione. “Con il suo esempio eroico – si legge in una relazione datata 14 novembre 1915 redatta a Corna Calda e servita per la concessione della medaglia d’oro al valor militare – e con le sue parole seppe infondere nei suoi soldati tanto slancio ed ardire che essi, sebbene di gran lunga inferiori di numero, in un nuovo e più furioso assalto, riuscirono a sloggiare il nemico ed a volgerlo in fuga”. Allora, e solo allora, esausto, Giuseppe Degol esalava l’ultimo respiro al grido di “Viva l’Italia”. Il suo corpo viene sepolto a quota 461 sull’Altissimo. Alla sua memoria, oltre all’edificio militare da tempo dismesso, è stato intitolato anche il gruppo Ana di Strigno. Costituito nel 1927, inaugurato dieci anni dopo con madrina del gagliardetto Maria Danieli e, infine, ricostituito il 31 agosto del 1952 con la nuova madrina Giannina Luise, sorella di Manlio Luise caduto da combattente sul fronte greco-albanese durante la Seconda Guerra Mondiale.

Una vecchia cartolina della caserma Degol di Strigno


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EWS

ANNO 6 - AGOSTO 2020

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La ragazza copertina di Armando Munao’

MADDALENA BOSO,

bellezza e semplicità

“Una persona è davvero bella quando ispira e suscita sensazioni positive e piacevoli in chi la circonda”.

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ncontrando per strada Maddalena si è subito attratti dalla sua bellezza e dai lineamenti del volto che istintivamente ti coinvolgono e che, senza alcun dubbio, rispecchiano i tradizionali canoni della nostra italianità. Poi, quando la conosci e conversi piacevolmente con lei, ti accorgi che la sua non è solo bellezza, ma è un insieme di semplicità, genuinità e grande voglia di vivere. All’inizio forse è un pochino timida, ma, poi, con il passare del tempo, si dimostra socievole e particolarmente simpatica con un sorriso spontaneo, smagliate e accattivante che non solo riesce a trasmettere allegria e buonumore, ma anche quella particolare empatia che non è facile trovare. Come tutte le sue coetanee anche Maddalena ha molti sogni nel casset-

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to che in cuor suo, desidera vedere realizzati, anche se, come lei stessa sottolinea nell’intervista, rimane con i

“piedi ben piantati per terra” e quindi non si lascia facilmente coinvolgere da ciò che potrebbe essere di non facile realizzazione. Nel dialogo, la “nostra” esprime una particolare predisposizione per i contatti umani che non sempre si trova nei ragazzi e ragazze della sua età, ma che in lei si concretizzano con il fatto che facilmente riesce a diventare amica e buona conoscente con le persone, che per i più ovvi motivi, la circondano e con le quali intraprende buone e costruttive relazioni. Una cosa, però, Maddalena, ci tiene a sottolineare ovvero il “fantastico” rapporto che ha con la sua famiglia, che ama tantissimo e che è l’unico e vero concreto punto di riferimento del suo vivere, grazie e per effetto di quei sani principi, morali e di educazione, che i genitori le hanno saputo infondere.


La ragazza copertina mia crescita e formazione. Credo che poter contare su una “bella” famiglia e un buon rapporto con tutti i componenti, sia fondamentale per avere una buona visione della vita. Quando si ha la famiglia si ha tutto. In questa nostra società sembrerebbe che molte ragazze abbiano perso il concetto del valore morale. A tuo avviso, per il raggiungimento di alcuni obiettivi è più facile dire SI’ oppure NO a una proposta particolare in cambio dell’ottenimento di qualche lavoro? A mio avviso per dare una giusta risposta a questa domanda è necessario considerare sia la personale concezione L’INTERVISTA Maddalena, quanto conta la bellezza per una ragazza? Credo che oggi, in questa nostra società e secondo gli attuali canoni, la bellezza e l’aspetto fisico, non solo nella nostra quotidianità, ma anche in moltissimi campi sono importanti e molto considerati. Ed è indiscutibile, infatti, che “essere belli” quasi sempre aiuta il percorso di vita lavorativa anche se, purtroppo, e non di rado, per alcune ragazze e in tanti campi può o potrebbe essere una scorciatoia per percorrere la tradizionale “strada” e ottenere quindi particolari risultati altrimenti difficilmente raggiungibili. Aggiungo che essendo la

bellezza una considerazione soggettiva credo sia veramente difficile stabilire cosa è bello e cosa non lo è. Quanto sono importanti i valori della famiglia nella crescita e nella formazione, anche morale, di una ragazza? Per me la famiglia conta tantissimo. E’ un vero punto di riferimento. E sono i miei genitori che con il loro esempio, i loro insegnamenti anche educativi hanno contribuito e contribuiscono alla di morale che si ha e sia gli insegnamenti che si sono ricevuti. Sono del parere che nell’accettare o rifiutare la proposta, entrano in gioco non solo gli elementi prima citati, ma anche e credo principalmente la dignità e l’onesta della ragazza stessa. Non desidero fare la moralista, ma sono fermamente convinta che se tutti questi elementi fanno parte del suo DNA, la risposta deve essere una e una sola: NO. Maddalena, hai mai partecipato a sfilate o a concorsi di bellezza? No. Non ho mai sfilato ne partecipato ai concorsi. Magari in futuro se capi-

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La ragazza copertina tasse l’occasione…chissà. Tuttavia, se lo facessi, mi piacerebbe avere alle spalle una persona esperta, non solo di supporto e d’incoraggiamento ma anche per ricevere i necessari consigli onde evitare di cadere nei facili errori che potrebbero capitare. Si’, credo che un giorno potrei anche provarci. A tuo avviso l’esibizionismo può essere considerato un pregio o un difetto? Secondo me entrambe le cose. Se è moderato ed espresso con una certa classe, quindi non volgare, credo possa andare bene. Se invece non rientra in questi canoni ed è fatto solo e solamente per attirare sguardi, attenzione e apprezzamenti allora non lo approvo. Personalmente non amo l’esibizionismo, anche se qualche complimento piacevole e “carino” può essere accettato. Sono del parere che chi decide di esibirsi e quindi farlo anche in maniera sfacciata, è una scelta dettata dalla personalità di ognuno, che non mi sento mai di condannare o criticare. Magari non lo approvo, ma rispetto le idee e i comportamenti altrui. In questi ultimi anni la nostra società e il nostro modo di vivere sempre di più sono condizionati dalla presenza del social, di internet e del Web in genere. A tuo avviso i comportamenti delle ragazze e dei ragazzi appaiono sempre più disinibiti, spesso anche con l’esposizione dei propri corpi con foto e video a volte osè? Personalmente, e lo so che sarà difficile crederlo, sono una persona anti social. A mio parere i social hanno creato e purtroppo creano personaggi che quasi sempre non rappresentano la realtà. Le ragazze e i ragazzi che usano i social sono accomunati da un “idem

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sentire” e se per caso non rispetti alcuni canoni o non sei d’accordo con la maggioranza, diventi subito il soggetto di derisione, di commenti negativi e offese che non raramente rasentano la più spinta volgarità. Ecco perché, a mio modestissimo avviso, molte ragazze e ragazzi scelgono di omologarsi ai canoni richiesti per fare parte “dei più”. E capita anche, e non di rado, che molti, nascondendosi nell’anonimato, sfogano le loro frustrazioni attaccando e offendendo gli altri. Quindi, in merito a quello che hai detto, le ragazze e i ragazzi concretizzano più l’apparire che l’essere? Assolutamente sì. L’apparire è di facile costruzione perchè si possono creare canoni e aspetti inesistenti, ma che spesso trovano riscontri positivi. L’essere invece mette in mostra la propria personalità, la propria educazione, i propri

comportamenti e i propri valori. Capita infatti che molte ragazze per ottenere parere positivi si fanno fotografare in pose sex, magari in ambienti particolarmente accattivanti, facendo vedere oggetti di valore o usando altri accorgimenti che attirano l’attenzione. Poi alla fine scopri che è tutto un quadro falso volto al solo ottenimento dei famosi like. Capita anche che in occasione di una cena in compagnia, invece di riprendere l’allegria e la gioiosità dei partecipanti, si preferisce riprendere i piatti oppure il vino che si sta bevendo o l’ambiente circostante. Quando una ragazza assume atteggiamenti non educati e non ortodossi e che, a volte, anche nel linguaggio, possono rasentare la volgarità credi che questo modo di fare sia imputabile in primis alla famiglia che forse non ha saputo dare i giusti insegnamenti e poi alla nostra società? La maleducazione e il linguaggio triviale sono cose che decisamente non tollero. Una ragazza può essere la più bella del mondo ma se manca dei principi educativi e di moralità e assume comportamenti volgari credo che debba rivedere


La ragazza copertina

il suo modo di vivere e di essere. E’ mia opinione che su tutto questo la famiglia possa avere inciso, perché magari, per i più svariati motivi, che non condanno, non è stata in grado di imprimere nella mente dei propri figli i concetti fondamentali di vita. Come ho detto prima la famiglia è e deve essere un vero punto di riferimento. Spetta ai genitori dare l’impronta di vita. E se ciò non accade allora, non di rado, si piò crescere nel non rispetto della vita altrui e concretizzando valori e comportamenti decisamente errati. Maddalena, entriamo nel privato: sei fidanzata? Sì, sono fidanzata e ho una stupenda

relazione che va avanti da oltre nove anni. Io e questo ragazzo ci siamo conosciuti quando eravamo molto piccoli e la nostra storia sta continuando in maniera veramente meravigliosa. Purtroppo ci vediamo poco perchè lui studia all’estero, ma questa lontananza non sminuisce per niente il nostro volerci bene. Anzi lo cementa e lo rafforza perchè non è solo il sentimento che ci unisce o il grande reciproco rispetto o la sincerità, ma anche il fatto che condividiamo molti ideali e molti aspetti della vita tra i quali, e in maniera prioritaria i valori della famiglia e dell’educazione.

Questo sentimento è uno degli elementi portanti e fondamentali del mio essere anche se mi preme sottolineare che le vere amicizie devono essere decisamente poche che non devono essere confuse con le conoscenze, gli amici delle feste, delle ricorrenze e dei divertimenti. Le faccio una piccola ma vera confidenza: i miei amici si contano sulle dita di una mano. Siamo cresciti insieme dall’asilo a oggi. E a distanza di anni il nostro legame è più solido che mai. E anche in questa domanda mi permetta di citare due vecchi adagi: il primo dice che: “ I veri amici si vedono nel bisogno”. Il secondo: “I veri amici sono come le stelle, non sempre si vedono ma sai che ci sono e sono presenti”.

Che cosa pensi dell’amicizia. Di quella vera ovviamente.

Maddalena con mamma Betty

E qual è il tuo piccolo o grande sogno nel cassetto? Sogni e desideri tanti, ma siccome credo di essere una ragazza con i piedi per terra cerco di vedere la vita e il mio futuro con gli occhi della realtà. Ci sono sogni che a volte si possono avverare e si tenta di farlo, ma ci sono anche desideri che non di rado rimangano nel cassetto di ciò che poteva essere, ma non è stato. Al momento sono felice di dare una mano alla mia famiglia. Poi se potrò rendere concreto qualche mio sogno di certo non mi tirerò indietro e m’impegnerò con tutta me stessa per realizzarlo nel migliore modo possibile.

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Il personaggio di casa nostra di Massimo Dalledonne

NILO PICCOLI

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a sua famiglia abitava in fondo a via Maggiore, a Borgo, a quel tempo meglio conosciuta come via Giamaor. Più che Nilo, tanti lettori, di certo, conoscono il fratello Flaminio. Parliamo della famiglia Piccoli e di quando, esattamente il 10 settembre del 1911, quindi 110 anni fa, a Borgo venne alla luce Nilo Piccoli, un personaggio molto conosciuto a Trento e in Trentino. Infatti, dal 13 giugno del 1951 e per tre mandati consecutivi venne eletto sindaco del capoluogo della Provincia. Come ci racconta don Armando Costa nel suo ultimo libro “Cives Burgi Ausugui memoria digni”, il piccolo Nilo nasce il 10 settembre da papà Bennone, a quell’epoca segretario distrettuale, e mamma Teresina Rigo. A soli quattro anni, poco dopo lo scoppio della Grande Guerra e la

dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, l’intera famiglia raggiunse, assieme a tanti altri profughi del paese, il comune austriaco di Kirchbichi, nel distretto di Kufstein, nel Tirolo. Qui, il 28 dicembre del 1915 nacque Flaminio Piccoli. “Una volta finita la guerra – ricorda don Costa – la famiglia rientrò in Trentino e si spostò da Borgo Valsugana nel capoluogo di Trento dove Nilo frequenta il liceo Prati e, poco dopo, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza all’Università di Pavia. Negli anni a seguire divenne presidente degli universitari cattolici trentino. Di orientamento antifascista, nell’autunno del 1944 decide di partecipare, assieme al fratello Flaminio, al Comitato di liberazione nazionale provinciale in rappresentanza dei cattolici trentini”. Nilo Piccolo divenne successivamente un dirigente

Nilo Piccoli

delle Poste e dei Telegrafi e, come esponente della Democrazia Cristiana, come già ricordato, ricoprì per tantissimi anni il prestigioso incarico di primo cittadino di Trento. Ancora don Armando Costa. “Fu quello il periodo del boom edilizio, dello sviluppo turistico del monte Bondone ma anche di investimenti nell’industria del comune e della realizzazione della casa di riposo”. Nilo Piccoli viene ancora oggi ricordato in quanto diede il via al primo piano regolatore generale, contribuì alla ricostruzione legata all’assistenza ospedaliera e per i suoi ripetuti interventi in difesa dei tanti posti di lavoro nelle aziende che chiudevano in città. Come riporta ancora don Costa “nel 1953 riuscì a far anticipare, previsto per il 1956-57, l’arrivo della televisione in Trentino con l’installazione di un ripetitore sulla Paganella. Nel 1963, durante il suo ultimo mandato da sindaco, sostenne ed appoggiò convintamente la nascita del Villaggio Sos del Fanciullo”. Il volume riporta anche una piccola curiosità. “Quando era sindaco di Trento, in occasione di una trasferta romana, Nilo Piccoli venne colto da un attacco di appendicite. Ricoverato in una clinica, venne curato con ogni premura. Qualche settimana arriva la fattura per l’operazione e la degenza, non a Trento ma al comune di Borgo dove era nato nel 1911”. Nilo Piccoli muore a Trento il 18 dicembre del 1996 all’età di 85 anni.

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Curiosità in cucina di Francesco Zadra

4 GRILLI IN PADELLA

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avide Rizzoli è un giovane chef Perginese, classe ‘97, ideatore della start-up “Mini’s Food”, una cucina alquanto curiosa... Davide, come diamine t’è venuto in mente di cucinare insetti? Terminata la scuola alberghiera e due anni di lavoro in cucina, mi sono diplomato per poter proseguire gli studi in ambito universitario. A novembre mi laureerò in “tecniche della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”, un corso che mi ha permesso di acquisire competenze anche in ambito di igiene e sicurezza degli alimenti e grazie al quale ho sentito parlare per la prima volta di insetti commestibili. Un mondo davvero innovativo e poco conosciuto, ma che in futuro prenderà sempre più piede (nel 2027 raggiungerà un valore di mercato di 4,5 miliardi). Essendo una persona curiosa per natura mi sono detto: so cucinare e studio igiene alimentare, uniamo queste due competenze! Così è nato Mini’s Food. In famiglia come l’hanno presa? Mio padre e una mia sorella mangiano tranquillamente cavallette; mia mamma e la sorella più piccola ancora non sono riuscito a convincerle, ma pur tenendosi alla larga da larve e grilli (per ora) mi appoggiano comunque nella mia iniziativa imprenditoriale. Di cosa si occupa la tua start-up? Sto proponendo un servizio di personal chef con serate a domicilio in cui cucino e intrattengo gli ospiti con aneddoti legati al mondo degli insetti. Il menù si compone di 4 por-

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Davide Rizzoli - Mini's 2

con un notevole risparmio di suolo poiché allevati in piccole vasche poco ingombranti e con alta redditività, circa 100 Kg di proteine al mese. Se tu fossi un insetto cosa saresti? Pensandoci bene direi il grillo, agile e scattante e, a sentire i commenti dei clienti, è l’insetto che dà più soddisfazione a tavola, e se poi non ti viene l’acquolina in bocca, alla peggio ti darà qualche buon consiglio, come quello di Pinocchio...

tate, 3 salate e un dolce, tutte a base di insetti. Per venire incontro ai palati più “cauti” stiamo pensando di organizzare anche degli apericena a base di insetti, con un brand tutto mio di pasta o biscotti con farina di insetto! Qual è il principale pregio di questa cucina? Il più importante a mio avviso è la sostenibilità, ma gli insetti hanno degli incredibili valori nutrizionali, sono super ricchi di proteine e hanno un’efficienza nella produzione proteica altissima rispetto agli altri animali d’allevamento. Una cucina green, dunque? Infatti, vi è un indice di conversione di massa che indica quanto mangime devono assumere gli animali in generale per aumentare di 1 kg. Per le mucche questo indice è di circa 10, cioè deve mangiare 10 kg di mangime per aumentare di un chilo. I grilli, invece, hanno un indice di 2,5, quindi vuol dire che (diversi grilli) devono mangiare 2,5 kg e mezzo di mangime per aumentare di un chilo, cioè sono 4 volte più efficienti delle mucche, e

Da pioniere, come ti sei documentato per avviare la tua impresa? Impossibile trovare altri “colleghi” a cui chiedere consiglio. Mi sono dovuto arrangiare leggendo pubblicazioni scientifiche per capire quanto siano sostenibili gli insetti, riguardo a tematiche quali la deforestazione, il consumo di suolo, la produzione di gas serra e CO2 negli allevamenti. A livello culinario, dovevo capire come realizzare ricette a base di insetti. Questa è stata la parte più difficile perchè , nonostante i diversi blog dedicati all’entomofagia (il cibarsi di insetti, ndr.), si trovavano ben pochi tutorial pratici per cucinarli. Ho deciso quindi di crearli io e caricarli sulle mie pagine youtube e instagram. Ma veramente preferisci un piatto di cavallette a ‘na bella carbonara? Ciò che spaventa le persone, quando sentono dire che gli insetti sono il cibo del futuro, è pensare che saranno la nostra unica dieta, ma secondo me è sbagliato. Potrà succedere di trovare alimenti a base di farina di insetti, molto ricchi di proteine, come è già per la pizza a base di canapa o carbone vegetale;


Curiosità in cucina gli insetti saranno qualcosa che si potrà integrare o affiancare alla nostra cucina, non sostituirla. Non sarò mai che mangeremo la carbonara coi grilli. Ma che sapore hanno gli insetti? Nella mia cucina utilizzo larve, grilli e cavallette. Le prime hanno meno sapore, poiché si cibano esclusivamente di cereali e verdure, molto versatili e adatte a qualsiasi genere di piatto, dolce o salato che sia. Le cavallette invece hanno un sapore che spazia dalla noce con retrogusto amarognolo fino al gusto rosolato simil pelle di pollo, se fatte saltare in padella. I grilli richiamano il barbecue affumicato, ma in genere tendiamo ad associarli a gusti già conosciuti; il fatto che siano essiccati, toglie loro parte del sapore. Che reazioni stai riscontrando da parte dei tuoi commensali? Molto entusiasmo e curiosità, a giudicare dalle 25 cene fatte finora (130140 persone circa), in media giovani attorno ai 25-30 anni, ma anche più grandi. Alcuni fanno più fatica di altri all’inizio, ma dopo l’antipasto solitamen-

Risotto, rapa rossa, albicocca e grilli in agrodolce

te abbandonano i pregiudizi e si lasciano andare. Alcuni si lamentano perchè si aspettavano di vedere più insetti a tavola, anche se penso che l’ostacolo principale al consumo di insetti sia la vista, per questo ho studiato anche un menù più soft per chi non se la sente di trovarsi subito un insetto intero nel piatto. Dunque quello del consumatore di insetti è un target piuttosto giovanile? La nostra generazione grazie ai social è più abituata a vedere cose nuove, ma in generale si tratta di persone

curiose, non schizzinose. Un certo interesse viene dai vegani e vegetariani, che non mangiano carne per via dell’impatto ambientale degli allevamenti intensivi; consumare questo tipo di alimenti, poi, compenserebbe la carenza proteica di quelle diete. Il piatto “insettoso” che preferisci? Il mio cavallo di battaglia è un risotto “gourmet” in cui combino la rapa rossa con la confettura di albicocche in agrodolce, che ne esalta il sapore. Il tutto accompagnato da grilli croccanti rosolati. Un’esplosione di gusto!

IVAN FADANELLI PROMOSSO BRIGADIERE Promosso a Brigadiere per i meriti ottenuti durante il suo servizio reso allo Stato. È quanto ha deciso il comando regionale della Guardia di Finanza a Ivan Fadanelli, finanziere deceduto nel 2018 a soli 48 anni. Il documento ufficiale è stato consegnato ai genitori. Renzo Fadanelli e Cristine Deghenart hanno poi voluto condividere la gioia di questo riconoscimento con il vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Paccher che li ha ricevuti nel palazzo della Regione. “Non posso che condividere l'emozione dei coniugi Fadanelli per questa importante e significativa promozione che viene assegnata al figlio Ivan che con il suo senso del dovere, la sua dedizione al lavoro e con il suo spirito di sacrificio ha dato lustro al corpo della Guardia di Finanza. Provo grande ammirazione e spero possa essere un esempio concreto per le generazioni future e che ha dato lustro e onore al corpo della Guardia di Finanza”.

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I consigli di

agricoltura orticoltura giardinaggio

Migliora la qualità della produzione con la concimazione autunnale

Inquadra il codice con lo smartphone e guarda il video

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a concimazione autunnale o frazionata è una tecnica ancora poco utilizzata nel nostro territorio. SAV da tempo ne promuove la diffusione con convinzione, perché apporta numerosi vantaggi alla produzione: aumenta la qualità dei frutti, ne aumenta la resa, previene l’invecchiamento del frutteto o del vigneto. La concimazione autunnale permette di coprire le esigenze nutritive delle piante fino alla fioritura inoltrata, in modo tale che possano affrontare la ripresa primaverile con un adeguato livello di elementi nutritivi, migliorandone il risultato produttivo. In particolare il vigneto, terminata la vendemmia, necessita di nutrienti per reintegrare gli elementi chimici persi. In media, una pianta consuma 87 kg di Azoto, 46 kg di Fosforo e 128 kg di

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Potassio per produrre 150 quintali di uva, motivo per cui la concimazione autunnale diventa fondamentale per il raccolto futuro. Per conoscere le quantità di concime da distribuire è opportuno richiedere un’analisi del suolo, con la quale potremo regolare il dosaggio: questo procedimento viene eseguito da appositi laboratori. Con i dati alla mano, successivamente, si potrà procedere con la concimazione in modo più preciso. Il terreno necessita di elementi nutritivi e ammendanti, che vanno interrati per integrarsi al suolo e fornire nutrimento alla pianta fino all’arrivo della primavera, quando inizierà a fiorire. Una buona integrazione di ammendante organico pellettato con 2% di Azoto si aggira intorno ai 10 quintali/ ettaro. Elementi come il Fosforo e l’Azoto

vengono assorbiti in autunno per poi venire utilizzati in primavera, mentre il Potassio ha un assorbimento più omogeneo. Un altro fattore importante è la cura dell’apparato fogliare, che deve essere sano e senza peronospora, un fungo infestante che attacca le foglie e gli acini d’uva, compromettendo il raccolto. Tutti questi accorgimenti fortificano la pianta e apportano un miglioramento qualitativo dei frutti in gusto e aromi. Nei punti vendita SAV trovi tecnici esperti che potranno aiutarti nella scelta di prodotti per il tuo vigneto e frutteto e sapranno consigliarti sulle modalità di distribuzione. Inoltre, nel nostro canale YouTube è disponibile l’intervista all’esperto agronomo Ermanno Murari sul tema della concimazione autunnale. (P.R.)


I premiati del concorso fotografico di Massimo Dalledonne

“INQUADRA IL QUADRATO”

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a cerimonia di premiazione si è svolta nella piazza di Olle. Un concorso, quello promosso dal Circolo Fotografico Gigi Cerbaro di Borgo, che, nei mesi di luglio e agosto, ha coinvolto diverse persone ed appassionati in una serie di scatti ed istantanee per immortalare i tantissimi lavori che, in questi ultimi mesi, abbelliscono la frazione. Una iniziativa, quest’ultima, promossa dalle donne volontarie del progetto “Speranza al quadrato” e che, in questi ultimi anni, ha coinvolto tantissime persone sia della Valsugana che di tutta Italia. Durante i giorni di reclusione forzata, a causa dell’emergenza sanitaria, hanno lavorato stoffa, lana, ferri e uncinetto per I premiati passare il tempo e, soprattutto, mantenere i contatti. Ognuna nelle proprie case con le tecniche più diverse. Ma con una sola regola da rispettare: i quadrati dovevano avere tutti la stessa misura 13x13 centimetri. Nei mesi scorsi, tutto il materiale prodotto è stato utilizzato per realizzare diversi lavori. Su tutti un bellissimo albero di Natale, esposto durante le feste in piazza a Olle. Con tante decorazioni che hanno abbellito i muri delle case ed i luoghi pubblici della frazione. È stato davvero un bel modo per mantenere viva la comunità in tempo di quarantena. Ora gran parte del lavoro prodotto è stato immortalato con il concorso “Inquadra il quadrato”. Nei giorni scorsi, in piazza a Olle, la cerimonia di premiazione alla presenza del presidente del Circolo Cerbaro Emilio Marzaroli, Wilma Dandrea, Rosanna Compagno e Lorenza Denicolò del progetto “Speranza al quadrato”. Il primo premio è stato assegnato a Daniela Ferronato, seguita nell’ordine da Barbara Pascolini, Gianni Abolis, Lucia Furlan e Walter Tomio. Ai vincitori è stata consegnata una targa ricordo. Il concorso è stato organizzato in collaborazione con Valsugana Web Tv, la rivista Valsugana News, Speranza al Quadrato, il Museo Casa Andriollo di Olle e la Cassa Rurale Valsugana e Tesino. Al termine della premiazione, per tutti i presenti, un piccolo rinfresco presso il Molinari’s bar di Olle.

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Momenti “rilassanti” di Laura Mansini

Vieni a prendere un caffè?

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uon giorno Direttore, con questa mia lettera vorrei invitarti a bere un caffè assieme al presidente del WWF Trentino Aaron Iemma. Vi inviterei in un piccolo, delizioso, Bar della spiaggia di Tenna che oltre ad una bella vista sul lago di Caldonazzo offre squisiti caffè e cappuccini, ottime brioche, e volendo anche aperitivi notevoli. A questo si aggiunge la gentilezza del personale, ma, come in tutte le belle cose, vi è un punto nero: fra il Bar e la spiaggia di Tenna scorre la Strada Statale 47. Premetto il Bar non è mio e neanche di amici, tuttavia questo non è un invito disinteressato; vorrei solo farvi toccare con mano o meglio vedere e sentire che cosa accade ogni giorno, ogni ora, su questa strada, pericolosissima, a due corsie, così forse sarà chiaro, osservando le targhe e le iscrizioni sulle centinaia di camion che la percorrono ininterrottamente,

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che non si tratta di traffico “stanziale”, come qualcuno sostiene. Certamente se venite fra le sette e le otto del mattino, avete l’idea di che cosa sia il traffico stanziale; migliaia di automobili che si dirigono verso Trento o verso Borgo o il Veneto, però a quell’ora il Bar è chiuso, apre alle nove, per ovvi motivi. Ancora uno volta, noiosamente, scrivo di questa strada, che va messa in sicurezza, questo si, ma non voglio si pensi che denunciando tale situazione si sponsorizzi la Valdastico. Non credo che se costruissero la famosa Valdastico le cose per la Valsugana migliorerebbero molto. Migliorerebbero se si pensasse seriamente a togliere la strada dal lago, a potenziare mezzi elettrici di collegamento fra Trento ed i paesi della vallata. Progetti ce ne sono, l’importante è realizzarli. L’invito è valido e sarebbe bello trovarci anche con chi ama il Trentino e la nostra bellissima Valle.

Chiaro se si è in troppi si paga alla romana. ara Laura, accetto molto volentieri il tuo invito e non solo perché sono un vero amante del caffè, ma anche e principalmente per il piacere di stare in vostra compagnia e dialogare, con Voi, del più e del meno. Certo, sarebbe un gradito incontro, ma da quello che hai scritto, ho idea che il nostro dialogare sarà sicuramente disturbato dai rumori dei motori di questi camion che scorrazzano su e giù e l’aroma della nostra “tazzulilla e cafè”, come dicono i napoletani, sarà imbevuta dai disgustosi gas di scarico che riempiono la salubre aria dei dintorni. Io avrei un’idea: cosa ne dici se invitassimo Fugatti, Presidente della Giunta provinciale e Stefania Segnana, Assessora alla Sanità trentina? Cosa ne dici se facessimo vivere anche a loro un piacevole e spensierato momento di vero relax tra gas di scarico, fumi e rumori vari?

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L’avvocato risponde di Erica Vicentini *

PATENTE o CARTA d’IDENTITÀ Altra domanda molto interessante di un lettore, che pone una questione inerente i poteri di accertamento della Polizia Municipale e, più in generale, sull’obbligo di fornire i documenti di riconoscimento a richiesta delle Forze dell’Ordine.

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i tratta di una domanda per nulla banale che mi permetto di riassumere come segue: il nostro lettore aveva parcheggiato la propria vettura e, al suo ritorno dopo aver fatto delle commissioni, notava un addetto della Polizia Locale mentre gli esponeva una contravvenzione per aver parcheggiato la vettura fuori dalle righe che delimitano i posteggi. L’operante della Polizia Locale dapprima chiedeva al lettore se l’automobile ivi parcheggiata fosse effettivamente di sua proprietà e, dopo aver ricevuto risposta affermativa, chiedeva l’esibizione di patente e libretto: il lettore opponeva un rifiuto, sostenendo di non essere obbligato

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a fornire i documenti di circolazione, penso sulla base del fatto che non stava, appunto, circolando. Il lettore, solo a fini identificativi, si rendeva disponibile a fornire il proprio documento di identità ma l’addetto della Polizia Locale insisteva nel richiedere i documenti di circolazione. Il buon senso di entrambi ha condotto poi a risolvere bonariamente la questione ma il dubbio al nostro lettore è rimasto. Dal punto di vista giuridico, è opportuno comprendere preliminarmente i poteri degli addetti della Polizia Locale. La Polizia locale (o municipale) indica

un corpo o servizio di polizia prettamente territoriale, nel caso di specie comunale, che si occupa di assicurare il rispetto delle leggi, regolamenti e norme in genere nel territorio di prossimità: la prima disciplina organica nazionale si rinviene nella Legge 7 marzo 1986, n. 65, che rinvia poi alle normative di settore e locale per la specificazione delle attività e competenze. Può assolvere a compiti di polizia amministrativa, di pubblica sicurezza, di polizia giudiziaria quando delegata nell’ambito delle indagini afferenti ad un procedimento penale ma anche del mantenimento dell’ordine pubblico, a seconda delle specifiche


L’avvocato risponde

attribuzioni dell’ente cui dipende il corpo e dei vari reparti di cui si compone l’organo di Polizia locale. In sostanza, di regola svolge le attività che assicurano la vigilanza, la prevenzione, l’accertamento e la repressione degli illeciti amministrativi, comminando le sanzioni che comunemente chiamiamo “multe”. Esercita, inoltre, la funzione di vigilanza e controllo sulle materie delegate all’ente territoriale di appartenenza, da parte delle vigenti leggi nazionali e regionali. Quando gli operanti della Polizia locale fanno perlustrazione sul territorio, ovviamente possono essere chiamati a svolgere funzioni di polizia stradale, amministrativa, d’ordine pubblico a seconda delle esigenze concrete e dei comandi ricevuti. Nello stretto esercizio delle funzioni di polizia stradale, che ineriscono cioè il rispetto delle norme disciplinanti la circolazione stradale, effettivamente la Polizia locale non può chiedere – senza che sussistano altri e diversi elementi, come ad esempio il fondato sospetto di reato – l’esibizione del documento di identità, che infatti nel caso di specie l’operante non ha richiesto: l’identificazione avviene in primo luogo attraverso il mezzo guidato e in funzione di esso. Ciò in quanto, a differenza di Polizia e Carabinieri, gli addetti della Polizia

locale non sono in c.d. servizio permanente. La disciplina dell’esibizione di “patente e libretto” si ritrova all’art. 192 Codice della Strada, che espressamente stabilisce come “1. coloro che circolano sulle strade sono tenuti a fermarsi all’invito dei funzionari, ufficiali ed agenti ai quali spetta l’espletamento dei servizi di polizia stradale, quando siano in uniforme o muniti dell’apposito segnale distintivo; 2. i conducenti dei veicoli sono tenuti ad esibire, a richiesta dei funzionari, ufficiali e agenti indicati nel comma 1, il documento di circolazione e la patente di guida, se prescritti, e ogni altro documento che, ai sensi delle norme in materia di circolazione stradale, devono avere con sé […]”. L’ordine di esibizione di patente e libretto di cui al comma 2 dell’art. 192 C.d.S. deve, a parere di chi scrive, essere letto in rapporto al comma 1, sede ove è previsto l’obbligo di fermarsi ad intimazione dell’ALT degli operanti. Qui infatti è circoscritta la categoria di destinatari dell’obbligo a coloro i quali “circolano sulle strade”. Ma chi sono coloro che “circolano sulle strade”? L’interpretazione di tale concetto non è univoca, anche se potrebbe sembrarlo: la nozione di circolazione stradale, da un lato, può essere intesa in senso stretto come momento nel quale siamo alla guida di un veicolo in movimento sulla pubblica via; dall’altro, può essere inteso in senso più lato, abbracciando non solo il momento della guida in senso stretto ma anche le circostanze accessorie come la sosta, il parcheggio sulla pubblica via (che

si assume avvenire durante la circolazione, appunto) e tutti gli eventi connessi. In effetti, un’interpretazione troppo letterale potrebbe condurre, per assurdo, a ritenere che le norme del Codice della strada non si applicherebbero quando i veicoli sono fermi, pur sulla pubblica via: e ciò ovviamente non può accadere, dato che esistono le norme che regolano la sosta, la fermata, il parcheggio. Ne deriva la necessità di aderire ad un’interpretazione più estesa, nell’ambito della quale anche la condotta di chi parcheggia la vettura lungo la pubblica via sta comunque “circolando”; quindi la richiesta di documenti al nostro lettore, che aveva dapprima confermato di essere il proprietario dell’auto in sosta, può ritenersi legittima nei modi e nei termini in cui è stata effettuata. Diverso sarebbe stato se, ad esempio, l’automobile fosse stata parcheggiata in un posteggio privato, ove chiaramente l’addetto della Polizia locale non avrebbe potuto constatare violazioni al Codice della Strada.

*Avvocato Erica Vicentini, del Foro di Trento, Studio legale in Pergine Valsugana, Via Francesco Petrarca n. 84)

Chi desiderasse avere un parere su un problema o tematica giuridica oppure una risposta su un particolare quesito, può indirizzare la richiesta a: direttore@valsugananews.com

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Per vivere bene e in salute

di Nicola Maschio

Salute: pericolo obesità, tra rischi concreti e stili di vita

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no stile di vita sano, equilibrato e senza eccessi è fondamentale. Uno strappo alla regola ogni tanto, va inteso, è concesso; tuttavia, quando mangiare male e senza freni diventa una scomoda abitudine, ecco che possono insorgere problemi legati al sovrappeso o all’obesità. Ma quali sono i numeri nel nostro Paese? E soprattutto, quali rischi corrono le persone che rientrano in questa particolare categoria? Partiamo innanzitutto da un dato non italiano, non europeo ma addirittura globale: l’obesità tra bambini e ragazzi, stima l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguarda oltre 340 milioni di individui con età compresa tra 5 e 19 anni. I dati, aggiornati alla fine del 2019, vengono evidenziati con particolare enfasi dall’ISTAT, che

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prosegue: “Nei paesi dell’Ue, in media, è obeso quasi un bambino su otto tra i 7 e gli 8 anni. Cipro (20%), Italia (18%), Spagna (18%), Grecia e Malta (17%) mostrano i valori più elevati; Danimarca (5%), Norvegia (6%) e Irlanda (7%) quelli più bassi”. Insomma, nel nostro Paese la problematica è presente in modo decisamente importante. Ma l’Istituto di ricerca continua nell’analisi dei propri dati statistici: “Nel biennio 2017-2018, in Italia si stimano circa 2 milioni e 130 mila bambini e adolescenti in eccesso di peso, pari al 25,2% della popolazione di 3-17 anni (28,5% nel 2010-2011). Emergono forti differenze di genere con una più ampia diffusione tra i maschi (27,8% contro 22,4%). L’eccesso di peso tra i minori aumenta significativamente passando da Nord a Sud (18,8% Nord-ovest,

22,5% Nord-est, 24,2% Centro, 29,9% Isole e 32,7% Sud). Le percentuali sono particolarmente elevate in Campania (35,4%), Calabria (33,8%), Sicilia (32,5%) e Molise (31,8%)”. Elemento particolarmente interessante riguarda dunque la diffusione dell’obesità nel nostro Paese: se infatti nell’area del Nord le percentuali tendono a restare mediamente attorno al 20%, sono ben dieci (o più) i punti percentuali in meno rispetto a quanto registrato in alcune zone del meridione, dove il culmine lo tocca sicuramente la regione campana. Ma cosa fare quindi per contrastare la crescita di questo fenomeno? Le strade sono diverse, ma alcune più sicure delle altre. In primis, il consumo di frutta e verdura che, come evidenziato ulteriormente dall’ISTAT, spesso è associato ad un più eleva-


Per vivere bene e in salute to grado di istruzione: “Anche con riferimento alle abitudini alimentari appare evidente l’influenza delle caratteristiche socioculturali dell’ambiente familiare: più elevato è il titolo di studio conseguito dai genitori più accurato è l’aspetto nutrizionale dei bambini in termini sia di consumo quotidiano di frutta e verdura e sia di adeguatezza nelle quantità consumate giornalmente. Nel periodo 2016-2017, il 74,2% dei bambini e degli adolescenti consuma frutta e/o verdura ogni giorno, ma solo il 12,6% arriva a consumarne 4 o più porzioni (11,4% nel 2010-2011)”. Sostanzialmente, ad un titolo di studio elevato sembra corrispondere una maggiore consapevolezza del “mangiare sano”. In secondo luogo, l’attività sportiva: in questo caso, l’ISTAT evidenzia come siano diversi i ragazzi impegnati nel praticare sport di qualsiasi tipo, spiegando che “Nel 2017-2018 sono circa 5 milioni 30 mila i ragazzi di 3-17 anni che praticano nel tempo libero uno o più sport (59,4% della popolazione di riferimento). Il 52,5% lo fa con continuità e il 6,9% saltuariamente”. A testimonianza di quanto sia importante seguire uno stile di vita sano, è il Centro per la Cura e Chirurgia dell’Obesità dell’Istituto per la Sicurezza Speciale italiano a dare qualche ulteriore dato rispetto ai rischi legati all’obesità. Sono diverse infatti le situazioni che, a causa dell’eccesso di peso, possono comportare pericoli nei confronti della persona interessata. “Se consideriamo le patologie e i rischi per la salute che si associano all’obesità – scrive il sopra citato CCCO, – appare chiaro che l’obesità possa costituire un importante fattore di mortalità. Secondo le stime effettuate, ogni anno in Europa 320.000 persone muoiono per cause legate direttamente all’obesità; la mortalità correlabile all’eccesso di peso rappresenta pertanto un serio problema di salute pubblica in Europa dove circa il 7,7% di tutte le cause di morte

sono riconducibili all’eccesso di peso. L’aspettativa di vita nella popolazione severamente obesa è ridotta (si parla di un accorciamento dell’aspettativa di vita di 7-10 anni) con un rischio di morte che cresce all’aumentare dell’indice di massa corporea e della circonferenza addominale”. Il rischio concreto di perdere la vita, legato all’obesità, è dunque da tenere in assoluta considerazione. Ma sono anche altri i fattori che possono portare ad una grave difficoltà nell’affrontare la quotidianità e la vita di tutti i giorni: “Il rischio di sviluppare malattie cresce all’aumentare dell’indice di massa corporea – prosegue il

Centro. – In particolare, i pazienti con obesità grave presentano spesso severe malattie cardiocircolatorie (ipertensione, malattie cardiovascolari) e respiratorie quali dispnea, cioè mancanza di respiro, per sforzi anche modesti, la sindrome di Pickwick (facilità ad addormentarsi durante le comuni attività giornaliere), le apnee notturne (Sleep Apnea Sindrome). Infine, è bene sottolineare il problema dell’obesità nei bambini e negli adolescenti: sono infatti esposti fin dall’età infantile a difficoltà respiratorie, problemi articolari, mobilità ridotta, ma anche disturbi dell’apparato digerente e di carattere psicologico”.

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Poesia dedicata alla “ LOCANDA IN BORGO”

“Borgo belo Borgo bon vegnè qua che ste benon!” A Borgo, oltre a la Brenta gh'è na Locanda la è tanto bela, la è tanto granda, e so per el Corso l'è sempre quela tuti i la varda disendo: “Che Bela!”.

El dì dopo via 'naltra volta, bisogna ‘ndar cambiando strada stavolta, ma sempre sognar perchè i deve aprofitarne chi vol veder de tuto e via con slancio, sia col belo che col bruto.

In Valsugana, de cossì no ten trovi gnanca da paragonar a quele coi travi le è rusteghe e bele, ma senza pretese sta qua l'è stupenda, no i ha badà a spese!

Del personale oltre al Dennis gh’è papa e mamma perché aver sti doi per lu l’è na vera manna podemo definirli el so braccio sinistro e destro in quanto i è sempre attivi e de gran estro!!

Ben dosentoesinquanta anni presto l’a g’ha anca l’ocio la so parte el la vol, quelo sel sa, gestia da un gran signore molto cortese e gentile che con i so genitori se è trattai in gran stile!

El babbo Renzo sempre con la batua pronta la mamma brava e gentile, la colasion l’è pronta, la è bona, ben presentada con leccornie a balon tanto che quasi per tutto el dì te ste benon!

Pensè che quando Napoleone l'è da Borgo passà lù el voleva dormir tanto ben e proprio là ma purtroppo in quei giorni la era serada perchè i era drio farla bela, i l'ha sbiachesada. Magari la nostra fortuna quela la è anca stada perché, a me parer, se pol dir la monada che se el “piccoletto” là el so lettin l’avesse trovà magari morto, ma el begarolo el saria ancor qua. Ma della Locanda torneremo a parlar bison ancor tante robe specificar: i ve offre i biglietti per “Arte Sella” con comodi sentieri te na valle “assia bella” I ve indica le escursion ai monti e al lago dove veder el mondo e goder ogni svago e le robe più bele che el paese el por darve sti bravi gestori i sa ben sa consigliarve. La Valsugana la offre posti mai visti su sta terra meravigliosi castei, musei e luoghi de guerra e co l’è sera se sempre visini alla Locanda rivar na bona sauna per ritemprarse e in forma tornar.

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SERGIO


Medicina & Salute di Erica Zanghellini

Sei proprio bravo!

Non ti si sente nemmeno.

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uanti genitori non desidererebbero avere un figlio accomodante, che non protesti, che ubbidisca immediatamente a quello che in quel momento gli diciamo? Spesso e volentieri è anche la nostra società che rinforzerebbe dei comportamenti così, ma veramente sono “sani”? Veramente un bambino che non dice mai di no, che non fa capricci sta seguendo uno sviluppo che gli permetterà sicuramente di essere un adulto felice? Ebbene sappiate che non è così, quei comportamenti che tanto ci mettono alla prova sono in realtà dei comportamenti che alimentano l’autodeterminazione che in futuro sarà una capacità fondamentale per nostro figlio. Come definito da Wehmeyer Michael l’autodeterminazione è la capacità di sentirsi agente della propria vita, di poter prendere decisioni riguardanti la propria esistenza al di là di possibili interferenze come le influenze esterne. Una persona autodeterminata spesso e volentieri sarà una persona che riuscirà a dire la propria opinione, i propri bisogni e non accettare passivamente quello che l’altro ci chiede. Questo si traduce in una abilità che ci protegge da possibili soprusi indipendentemente dalla fase di vita in cui avvengono. Capite perché è importante cercare di sviluppare questa attitudine? Le preoccupazioni dei genitori di bambini remissivi di solito si manifestano con l’ingresso del proprio figlio in un ambiente sociale extra-famigliare ovvero scuola, attività sportiva o ancora gruppi extra-scolastici. Bambini che non riescono a far fronte

alle offese dei compagni, che non riescono a esprimere i propri bisogni e che come conseguenza, magari si isolano, o diventano il compagno di classe del quale tutti si approfittano. Questi sono bambini e ragazzi che spesso soffrono in silenzio, che magari mostrano qualche malessere fisico, difficoltà nel sonno o con l’alimentazione ma, anche che apparentemente sembrano non aver problemi pervasivi. La prima cosa da fare dopo aver capito che c’è un problema di remissione è capire cosa possiamo modificare del sistema che ruota attorno al bambino e come promuovere il cambiamento anche in lui. Per esempio bisogna chiedersi se ci possono essere degli stili genitoriali che facilitano oppure no questo tipo di caratteristiche, oppure monitorare e capire se la problematicità risiede nella difficoltà di gestione emozionale. Il bambino non sa come gestire situazioni di contrasto per cui cerca di evitare qualsiasi tipo di litigio e quindi diventa accondiscendente in tutto e per tutto. O ancora verificare il clima famigliare. Un clima particolarmente teso per i più svariati motivi può portare a convincere il bambino a provare di “aggiustare” la situazione cercando di essere il più remissivo e servizievole possibile. Si convincerà che se non crea problemi i suoi genitori potrebbero beneficiarne, essere più tranquilli e quindi ristabilire la tranquillità famigliare. Capite bene che solo il capire la motivazione per cui il nostro bambino mette in atto questo tipo di comportamento stabilirà il tipo di intervento,

ma al di là dell’eventuale provvedimento specialistico, posso indicare qualche suggerimento ai genitori da applicare nella quotidianità. Prima cosa, cercate di evitare qualsiasi intromissione da parte vostra se il bambino sta avendo un litigio. Questo perché anche se la prima reazione di quasi tutti noi genitori sarebbe quello di difendere il proprio bambino, se interveniamo noi adulti il rimando che arriva a nostro figlio potrebbe essere quello che se non c’è l’adulto lui non può cavarsela da solo. Questo a sua volta non farà altro che far sviluppare un’idea di inadeguatezza del sé. Inoltre potrebbe far arrivare anche ai bulletti che effettivamente il bambino da solo non riesce a cavarsela e quindi affermeranno ancora di più il loro atteggiamento da prepotenti. Cercate di spronarlo a manifestare le sue opinioni, emozioni e bisogni. Cercate di accogliere qualsiasi intervento di questo tipo e rinforzatelo, incoraggiatelo. Attenzione alle critiche, il bambino deve poter contare sulla comprensione dei genitori e anche se ha sbagliato o non ha gestito il contrasto con un compagno correttamente, cercate sempre di rinforzarlo per il fatto di essersi esposto e poi delicatamente cercate un comportamento alternativo più funzionale per la prossima volta.

* Dott.ssa Erica Zanghellini Psicologa-Psicoterapeuta Riceve su appuntamento Tel- 3884828675

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Fra storia e leggenda

di Walter Laurana

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er condanna divina Lucifero, il più splendente degli Arcangeli fu cacciato da Dio , dal Paradiso perché reso superbo dalla sua stessa bellezza. Alla cacciata provvide il suo pari grado Arcangelo Michele. Ma Lucifero, il cui nome significa portatore di Luce, non ne fu certo contento e per vendetta o maledizione da allora cerca di sottrarre al Creatore le anime di noi poveri mortali. Non è un collezionista, se ho capito bene, lo fa per dispetto a Dio e il suo è un lavoro relativamente facile visto che la sua forza si basa sulla nostra debolezza ovvero la trasgressione e gli uomini sono molto inclini a trasgredire i Comandamenti, regole di vita piuttosto strette, tese a limitare molti piaceri. Qualche volta tuttavia il demonio, nei Vangeli lo si chiama anche con questo nome, per conquistare anime importanti e particolarmente savie deve offrire una contropartita, quali la scienza, l’arricchimento senza fatica, la bellezza e la giovinezza. La letteratura su queste tentazioni è vasta. L’esempio più classico e noto è sicuramente il Faust, dramma in versi scritto nel 1808 da Wolfgang von Ghoethe, al quale Mefistofele, quanti nomi per il demonio, fece la promes-

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sa di un viaggio dono fra i piaceri e le bellezze del mondo. Il dottor Faust, scettico ed annoiato dalla vita, dirà a Mefistofele “Se all’attimo dirò resta sei bello, allora ti sarà concesso precipitarmi... all’inferno”, in pratica fammi vedere qualcosa di veramente importante, irrinunciabile e io ti darò la mia anima. La carne è debole e il diavolo vincitore, esige il pagamento del pegno. Non si sfugge all’Arcangelo maledetto che pur si era presentato con terribili parole: “Sono lo spirito che tutto nega, aveva detto a Faust e poi aggiunto una severa, blasfema riflessione, meglio sarebbe se nulla al mondo venisse al mondo e tutto quanto nasce merita solo di venire a fondo.” In sintesi estrema, la vita è solo un passaggio verso l’inferno e la creazione una pura, amara, dolorosa illusione. Lo stesso concetto è presente in Dorian Gray, pittore di chiara fama ideato da Oscar Wilde, pronto a cedere l’anima in cambio dell’eterna giovinezza e bellezza. Detto fatto il suo aspetto giovanile diventerà immutabile e sarà il quadro, un suo ritratto, a cambiare con il trascorrere del tempo. La triste fine è nota.

Il Ponte dell'Orco - Ospedaletto, Valsugana (da Magico Veneto)

DIAVOLI DEL TRENTINO


Fra storia e leggenda Il tema della vendita dell’anima è parte integrante della vita umana e in letteratura si è presentato in forme diverse. Anche in Trentino. Due esempi fra tutti. Il primo intervento del diavolo in cambio dell’anima accade proprio in Valsugana, vicino ad Ospedaletto, dove troviamo il Ponte dell’Orco. Si tratta di un importante manufatto, un arco perfetto di oltre 40 metri di luce, completamente staccato dalla parete rocciosa. Il ponte ha un piano parabolico superiore di oltre 70 metri, larghezza di 4 metri, spessore di 12 metri e arco interno di 60 metri con un salto sottostante di 50 metri. E’ probabile che ancor oggi gli ingegneri incaricati della progettazione e costruzione del ponte sullo stretto di Messina potrebbero ispirarsi al ponte dell’Orco e certi politici venderebbero l’anima pur di vederlo costruito. Ma forse il diavolo ha già la loro anima. Pare che il ponte di Ospedaletto si sia formato in seguito a crolli successivi della volta di un covolon, o grotta aperta, verso l’esterno dovuta a fenomeni carsici. Non potendo verificare l’autenticità scientifica ci accontentiamo, per il momento, delle credenza popolare e della leggenda il cui protagonista è un pastorello. Un giovane dall’anima semplice, il quale, mentre scendeva con il gregge, dalle balze del monte Lefre, si trovò la strada bloccata e invocò l’aiuto dell’Orco, ancora lui il demonio, per raggiungere sano e salvo il paese. Il suo desiderio fu esaudito ma nulla sappiamo di cosa offrì in cambio e se rispettò il patto. L’astuzia e l’intelligenza salvarono l’anima del banchiere tedesco Georg Fugger quando patteggiò con il diavolo la costruzione dell’enorme

palazzo di via Manci a Trento. La leggenda è nota ed è raccontata nel 1786 anche dal grande poeta Goethe. Il giovane Fugger invaghito della bella e nobile Elena Madruzzo la chiese in sposa ma, i genitori appartenenti alla potente famiglia di cardinali, avevano per lei programmi ambiziosi. Chiesero perciò al pretendente sposo di costruire in tempi brevissimi una dimora degna del Cardinale, Principe Vescovo, Madruzzo. Poteva essere una beffa ma il banchiere innamorato promise al diavolo la propria anima se in cambio gli fosse stato costruito, in tempi brevi, il palazzo. Evidentemente il Fugger aveva un’anima di valore perché il demonio volle accontentarlo ma, per essere certo che la promessa fosse mantenuta, volle la firma di un contratto. E così fu, in appena una notte il palazzo Fugger, diventato poi Galasso, fu costruito. Lucifero chiese il premio pattuito ma il banchiere, che appartiene a una categoria che, come si dice, ne sa una più del diavolo, lo

invitò a leggere tutte le clausole. Nel contratto era previsto che il diavolo raccogliesse tutti i chicchi di grano sparsi dal Fugger nella casa. Finita la raccolta ne mancava solo uno, messo volontariamente sotto un crocifisso e dunque irraggiungibile per il genio del male. La storia è altrettanto nota. Siamo nel 1602 e su disegno dell’architetto bresciano Pietro Maria Bagnadore fu costruito il grande palazzo, in stile classico. La dimora venne acquistata più tardi dal maresciallo imperiale Mattia Galasso. Si interessò del palazzo nel 1816 anche il pasticcere Felice Mazzurana alla ricerca di luogo per edificare il teatro, costruito poi in Palazzo Festi e oggi chiamato Sociale. All’interno del palazzo Fugger, nel 1607 fu edificata una piccola cappella dedicata ai santi martiri Anauniesi e siamo convinti che il demonio, se mai avesse avuto losche intenzioni, dovette, a quel punto, abbandonarle tutte.

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Ieri avvenne di Andrea Casna

L’inizio della GUERRA AEREA e il Campo di aviazione al Cirè di Pergine

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orreva l’anno 1903 e a Kitty Hawk, in North Carolina, (USA), due fratelli, esattamente due ingegneri di professione e produttori di biciclette, Wilbur e Orville Wright stavano per cambiare, in un certo senso, il mondo. Il 7 dicembre del 1903 fecero alzare in volo, per pochi secondi, il primo aereo della storia. La notizia si diffuse, ma nell’opinione pubblica regnava molta diffidenza. Anche in Trentino giunse sui giornali del tempo la notizia di questo primo esperimento destinato a dare una svolta alla storia dell’umanità. La Voce Cattolica, (l’organo di stampa della chiesa trentina), nell’edizione de 1906, pubblicò un articolo dal titolo «La macchina per volare. Una grande invenzione o una americanata?». L’articolo, infatti, riporta la cronaca di un corrispondente, un certo “Enrico Weaner”, il quale scrive di non aver «potuto assistere ad alcun esperimento perché i Wright

avevano esaurito la provvista di benzina». Per sgombrare ogni dubbio Orville e Wilbur decisero di ripetere la sfida. Questa volta nel vecchio continente a Le Mans, in Francia, su una pista per automobili. Lì l’8 agosto del 1908 il loro aeromobile si alzò in volo per un minuto e 45 secondi, dando inizio, così, ad una nuova era per l’umanità: la conquista dell’aria. L’aeronautica era agli albori ma già nel 1911 l’aereo fu utilizzato in operazioni belliche. Fu in Libia, durante la guerra Italo-Turca del 1911-1912 che l’Italia utilizzò per la prima volta nella storia l’aereo per scopi bellici. Nel 1911, con la dichiarazione di guerra alla Turchia, furono inviati in Libia anche mezzi aerei di vario tipo che andarono a costituire il primo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. Ricognizioni aeree furono effettuate in Tripolitania e in Cirenaica contribuendo, con i rilievi fotografici, a una

Bleriot usato nella guerra di Libia

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maggiore conoscenza del territorio e alla compilazione di carte topografiche precise e sempre aggiornate. L’osservazione aerea, inoltre, consentì di acquisire informazioni utili sulle posizioni nemiche: un aspetto che contribuì a limitare le perdite fra i soldati e fornire migliore conoscenza del campo di battaglia. I piloti degli aerei, inoltre, svolsero anche piccole azioni di bombardamento contro campi e posizioni nemiche, tramite il lancio da parte del pilota di granate a mano di vario tipo. Per esempio, fra i velivoli usati in Libia troviamo il Bleriot: lunghezza 7,05/8,40 m; apertura alare 7,81/10,30 m; altezza; 2,52/2,60 m; superficie alare; 14,00/20,33 m²; peso a vuoto 345 kg; peso massimo al decollo 320/585 kg; velocità max 74/95 km/h; autonomia 3,30 ore; altezza di volo 1.000 m (3.300 piedi). Durante la Grande Guerra (19141918), le nazioni coinvolte si dotarono di reparti di aviazione. Con lo scoppio del primo conflitto mondiale, l’aviazione infatti entrò effettivamente a far parte dello scenario bellico. Grazie alla ricognizione area, infatti, era possibile studiare meglio le posizioni nemiche. Vi furono anche i primi bombardamenti. Verona, per esempio, subì un bombardamento aereo nel novembre del 1915: un’incursione austriaca colpì infatti il cuore della città, piazza Erbe, in pieno giorno, con il mercato affollato. Le vittime furono 37 e 48 i feriti. Anche Riva


Ieri avvenne del Garda fu più volte bombardata dall’aviazione italiana nel 1915: il 23 e il 31 di luglio, il 2 e il 25 di agosto e il 25 di ottobre. In Trentino, durante la prima guerra mondiale, vi furono fra i principali campi di aviazione dell’Impero di Francesco Giuseppe d’Austria. Romagnano, Gardolo e Cirè di Pergine sono forse fra i principali aeroporti militari dai quali, fra il 1915 e il 1918, si alzarono in volo caccia da combattimento, bombardieri e caccia per la ricognizione. Nelle immediate retrovie della zona degli altipiani, infatti, in Valsugana, esattamente nella località Cirè di Pergine, l’Imperial-Regia Aviazione (k.u.k. Luftfahrtruppen) costruì uno dei suoi più importanti aeroporti. Si trattava di un’area collocata in posizione strategica, quasi al centro del fronte su cui operare. Negli hangar dell’aero-

La visita dell'Imperatore al campo di Ciré di Pergine

porto militare austro-ungarico di Cirè stazionavano 42 aerei da guerra usati per la ricognizione o per bombardare le linee italiane dell’altopiano di Vezzena, Vicenza, Verona e Bassano del Grappa. Nell’aeroporto di Cirè di Pergine operarono due famose squadriglie: la Flik 24 e la Flik 55J, in cui furono destinati

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a incontrarsi tre dei più famosi assi,: Josef von Maier e Julius Arigi e Josef Kiss. Il campo militare, infine, fu incendiato nel 1918 nel corso della ritirata. L’ultimo decollo di un aereo dal campo di aviazione del Cirè fu nel 1985, usando come pista di decollo l’asfalto della Strada statale 47 della Valsugana, non ancora aperta al traffico.

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Tra passato e presente di Chiara Paoli

Ottobre in festa

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i è conclusa il 12 settembre scorso la nona edizione di “Trento e la baviera”, nota anche come “Oktoberfest Trento”, evento sorto per celebrare Andrea Michele Dall’Armi, banchiere di origini trentine, ma trasferitosi in giovane età in Germania, considerato l’ideatore della famosissima Oktoberfest di Monaco di Baviera. La manifestazione ebbe origine tra il 12 e il 17 ottobre 1810, per onorare il matrimonio del principe ereditario Ludovico I di Baviera Baviera con la principessa Teresa di Sassonia Hildburghausen; il programma prevedeva a quel tempo una corsa di cavalli al Theresienwiese, prato “ribattezzato” con questo nome in onore della sposa. Per questo motivo nel 1824 ricevette la Medaglia d’oro al valore civile. La festa venne riproposta poi negli anni successivi, prevedendo la gara equestre fino al 1960, ma apportando in ogni edizione leggere modifiche. Già l’anno seguente venne proposta anche una fiera agricola, chiamata “Festa centrale dell’agricoltura”, che ora si svolge solamente una volta ogni quattro anni. Le prime altalene sono state costruite nel 1818, all’epoca la birra veniva servita in piccole baracche. La statua della Baviera trova collocazione nella piazza a partire dal 1850, mentre il bicchiere super capiente da un litro, detto Mass è stato introdotto nel 1892. Leggenda vuole che i camerieri debbano essere capaci di portarne ben dieci contemporaneamente. Nel 1896 ha avuto inizio il cambiamento più radicale, quando un gruppo di osti e produttori di birra vollero sostituire le vecchie baracche pericolanti, con i primi tendoni. La prima metà del ventesimo secolo

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è un periodo scandito da guerre, crisi economica e indigenza, non è tempo di festeggiare. l’Oktoberfest si ferma, come avviene anche quest’anno a causa della pandemia. Nel 1950 si aggiunge un nuovo tassello con “O’ Zapft is!”; il primo cittadino in carica in quell’anno, Thomas Wimmer, propose la principale tradizione giunta sino ai giorni nostri: a mezzogiorno in apertura della festa, il sindaco stappa con l’ausilio di un martello il primo barile e i fiumi di birra iniziano a scorrere. Le celebrazioni solitamente prevedono una sfilata ed un corteo di persone vestite con i tipici abiti tradizionali, chiamati Lederhosen quello maschile e Dirndl quello femminile. La birra che viene servita è di varietà Maerzen e prodotta seguendo rigorosi standard che risalgono al 1516; i quattro ingredienti utili alla produzione sono: orzo, luppolo, malto e lievito. Soltanto sei fabbriche di birra possono servire altre quelità: Augustiner, Hacker Pschorr, Hofbräu, Loewenbraeu, Paulauner, Spaten. Questa del 2021 è la seconda edizione che salta a causa della pandemia, ma l’organizzazione ha già fissato le date per il 2022 e se tutto va bene, potremo celebrare il 187° Oktoberfest a partire dal 17 settembre e fino al 3 ottobre

2022. Le date prevedono solitamente che la manifestazione prenda il via il sabato che segue il 15 settembre e si prolunga sino alla prima domenica di ottobre, ma se questa cade l’1 o il 2 del mese, viene prorogata al 3, giorno di festività nazionale. La birra si può degustare fino alle 22.30, dopo quell’ora il servizio rimane attivo solo al “Käfer Wies’n-Schänke” e al “Kufflers Weinzelt”. Bancarelle e giostre chiudono più tardi, molti sono gli oggetti caratteristici di questa festa che vengono proposti ai turisti, perché possano portare a casa qualcosa a ricordo di questa esperienza. I più caratteristici e amati sono sicuramente i cuori di pan di zenzero, conosciuti con il termine tedesco di Lebkuchen decorati con glassa, fiori e iscrizioni per tutti i gusti. Gli innamorati (schatz) esibiscono il loro dolcetto, grazie alla confezione con i caratteristici nastri che permettono di tenere il biscotto al collo. Ovviamente per “asciugare” tutta la birra che si beve e per godere al meglio della giornata, sotto i tendoni si possono degustare le immancabili salsicce affumicate, carni arrosto, crauti e pretzel. E se rotolate a terra, a causa di una pinta di troppo, nessun problema, a salvarvi ci pensano loro: i “corpi della birra” o “Bierleichen”.


Novaledo in cronaca di Mario Pacher

LA CHIESA E IL MASO DEL CUCO

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ino al secolo scorso, le comunità religiose per poter essere “promosse” Parrocchia, dovevano dimostrare di avere un certo beneficio, una proprietà cioè in grado di garantire il sostentamento del sacerdote e tutte le spese per una buona gestione della chiesa. Fra quelle “povere” che non potevano aspirare a questo ambìto titolo, c’era anche quella di Novaledo. Ma un fortunato giorno, ecco la persona, quasi inviata dalla Provvidenza, che ben pensò di alienare un suo bene che possedeva proprio qui a Novaledo, per aiutare, con il ricavato, la nostra comunità religiosa perché potesse divenire “Parrocchia”. Siamo nell’anno 1730 e questo buon uomo, del quale non è ricordato il nome, pensò di vendere con questo preciso intento, casa e campagna che costituivano il “ Maso del Cuco “, situati a mezza montagna nella parte Nord del paese. Il ricavato sarebbe stato donato alla nostra comunità religiosa che poté così divenire Parrocchia. Il Maso sarebbe stato acquistato, come ci ha raccontato lo storico “Minico” da un certo signor Gozzer di San Francesco di Fierozzo, che dopo l’acquisto

Ezio Amistadi - Maso Del Cuco

Ezio Amistadi - Presidente MDCT

si stabilì a Torcegno. Si conosce che questo signore aveva una figlia che diede poi in sposa ad un giovanotto di cognome Oberosler proveniente da Fierozzo e la coppia andò ad abitare questo Maso. All’epoca il fabbricato aveva dimensioni molto più contenute di quelle che molti ancora ricordano quando, qualche decennio fa, si poteva vedere in distanza fra i vigneti all’epoca coltivati, dal centro abitato di Novaledo. Verso l’anno 1850 a quella casa sarebbero state fatte, nella parte est, due aggiunte strutturali a cura dei proprietari di terreni adiacenti, legati fra loro da vincoli di stretta parentela. Negli anni successivi la parte vecchia dell’edificio sarebbe stata abitata da Daniele, Abramo e Francesco Oberosler: quest’ultimo era il padre di Luigi Oberosler, da tutti conosciuto come il “Gigio Cuco”. Nella parte verso mattina abitava la famiglia di Domenico Oberosler con i

figli: Maria, classe 1883, conosciuta in paese come la “cappellana”; Angelo del 1882, Clementina della classe 1884 e Giuseppe nato nel 1892. Dopo il 1900 e fino all’anno 1938 il “ Maso del Cuco “ continuò ad essere abitato dai discendenti Oberosler ma solo durante il periodo dell’alpeggio del bestiame i quali, tutti agricoltori, scendevano giornalmente in paese, a piedi, per conferire il latte al caseificio tournario. Ma dopo la seconda guerra mondiale quel fabbricato fu usato solo come stalla per ospitare le pecore che Federico Gozzer portava al pascolo. Occasionalmente fu utilizzato anche dagli altri figli di Clementina e da alcuni discendenti di Guglielmo Gozzer. Da qualche decennio quell’immobile si trova in stato di totale abbandono, il tetto è crollato e della sua lunga storia è rimasto un mucchio di sassi in mezzo alle sterpaglie e, fra i più anziani, qualche lontano ricordo.

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Meteorologia oggi di Gianpaolo Rizzonelli

L’iceberg A68 (il più grande del mondo) si è sciolto quasi del tutto

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acciamo un passo indietro tra il 10 e il 12 luglio 2017, quando l’iceberg A68 si era staccato dalla piattaforma antartica e precisamente dalla penisola antartica Larsen C (nome questo legato al navigatore norvegese Carl Larsen che a fine ‘800 raggiunse questo ramo del continente), aveva una superficie di 5.180 chilometri quadrati, circa le dimensioni della Liguria, insieme ad A68 si erano staccati anche altri 11 “piccoli iceberg” che in realtà erano lunghi più di 10 km. Questo singolo evento ha modificato per sempre la ‘forma’ di quella regione (Larsen C) dell’Antartide che, con questo distacco, ha perso circa il 9/12% della sua estensione.

pante perché legato al ciclo vitale di luoghi estremi come l’Antartide. Senza gli iceberg, per intenderci, l’Antartide non farebbe altro che espandersi riportandoci all’era glaciale. D’altra parte, l’aumento della formazione di iceberg registrato negli ultimi decenni da ricercatori e scienziati è correlato al cambiamento climatico in atto. Casi simili riguardano non soltanto il Polo Sud, ma anche i ghiacciai di Groenlandia, Patagonia e Alaska, tuttavia va detto che all’epoca del distacco di A68 non tutti gli scienziati hanno legato il distacco al cambiamento climatico, ad esempio il prof. Adrian Luckman, professore di glaciologia alla Swansea University era convinto che fosse “troppo presto per spiegare

Fig. 1 - Iceberg A68

Il processo che porta alla formazione degli iceberg, dovuto allo scioglimento dei ghiacci, è noto come “calving”, un fenomeno di per sé non preoccu-

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la formazione dell’iceberg A68 puntando il dito contro il cambiamento climatico”. Larsen A e Larsen B sono le altre aree

della stessa penisola antartica interessate dal fenomeno degli iceberg. All’epoca il professor Valter Maggi, docente di “Cambiamenti climatici” e “Geografia fisica” all’Università Bicocca di Milano, testimoniò a StartupItalia (da cui è stata estrapolata parte di questa intervista) l’importanza della ricerca in ambienti simili, soprattutto perché è da qui che si legge la storia del clima sul pianeta. Maggi vanta 10 spedizioni in Antartide tra gli anni ’90 e il 2008, con periodi di permanenza che si potevano spingere fino a tre mesi. «In Antartide è molto complesso stabilire il cosiddetto bilancio di massa – spiegava il professore – perché si tratta di confrontare il livello di precipitazioni, e quindi di nuova acqua, con la quantità di quella che si stacca con gli iceberg. Parliamo di analisi su un continente che è grande una volta e mezzo l’Europa». Restano i satelliti come strumenti a disposizione della ricerca per monitorare la geomorfologia di questi luoghi. «È vero però che il processo di calving ha subito una accelerazione negli ultimi trent’anni». Secondo il professore Valter Maggi la situazione più critica riguarda proprio la regione da cui si è formato l’iceberg A68 nel 2017. «Larsen A, B e C sono già di per sé regioni più “calde” rispetto a quelle interne dell’Antartide, ma dietro gli iceberg che qui si formano c’è anche l’aumento delle temperature degli ultimi decenni». Riassumendo, pareri non proprio allineati tra gli studiosi. Dopo il distacco l’iceberg per circa un


Meteorologia oggi anno rimase quasi fermo, galleggiando nelle acque del Mare di Weddell, allontanandosi di soli 200 chilometri dal luogo di “nascita”, le correnti marine e i venti hanno poi iniziato a spingere con maggior vigore questa gigantesca piattaforma di ghiaccio sempre più a nord e a febbraio 2020 si era ormai spostato di 900 km, a luglio 2020 era a 1050 km dal punto di distacco come evidenziato dall’immagine satellitare in fig. 2 (Copernicus Sentinel-1)

distacco a luglio 2017 e luglio 2020 Dopo il luglio 2020 l’iceberg ha preso definitivamente il largo verso l’Oceano Atlantico in direzione della Georgia del Sud attirando l’attenzione del pubblico mondiale, in quanto il passaggio di un iceberg di quelle proporzioni avreb-

Fig. 2 - Iceberg A68 a luglio 2020

Va detto che l’iceberg ha perso un pezzo di ghiaccio quasi immediatamente dopo essere stato generato, con il risultato che è stato ribattezzato A-68A, e la sua “prole” è diventata A-68B. In seguito nell’aprile 2020, A-68A ha perso un altro pezzo: A-68C. In modo piuttosto poco romantico, gli iceberg antartici prendono il nome dal quadrante antartico in cui erano stati originariamente avvistati, quindi un numero sequenziale, pertanto se l’iceberg si rompe si aggiunge una lettera sequenziale. La figura n. 3 è molto interessante in quanto mostra il percorso dell’iceberg nei tre anni intercorsi tra il

be messo a rischio le aree dove si nutrono le locali colonie di pinguini. Fu quello il momento in cui milioni

Fig. 3 percorso Iceberg luglio 2017 – luglio 2020.

di persone, preoccupate per la sorte degli animali, iniziarono a seguire il percorso dell’iceberg attraverso i satelliti. Dal punto di vista scientifico, il viaggio di A68 ha consentito invece agli scienziati di studiare meglio la struttura delle piattaforme di ghiaccio e i processi, come l’idrofrattura, attraverso i quali l’innalzamento della temperatura distrugge il ghiaccio. In questa occasione il professor Adrian Luckman dell’Università di Swansea ha ribadito che il distacco di A68 non è stato legato ai cambiamenti climatici ma il risultato del normale processo con il quale le piattaforme di ghiaccio si mantengono in equilibrio, liberandosi della massa in eccesso in seguito alle nevicate o all’ispessimento del ghiaccio, affermando tra l’altro che “è durato quattro anni ma alla fine si è spezzato in quattro o cinque pezzi che poi si sono frantumati a loro volta» ed è incredibile che A68 sia durato così tanto».

Ultim’ora

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Agenzia Spaziale Europea (ESA) in una nota del 20 maggio 2021 informa che un enorme iceberg, il più grande del mondo, si è staccato da una piattaforma di ghiaccio in Antartide e sta galleggiando attraverso il Mare di Weddell. L’iceberg, chiamato A-76, è lungo circa 170 chilometri e largo 25, con un’area di 4.320 chilometri quadrati, leggermente più grande dell’isola spagnola di Maiorca. Le immagini del distacco sono state riprese dai satelliti, riferisce ancora l’Esa.

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Tra passato e presente di Mario Pacher

CALDONAZZO... ieri avvenne

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a nostra affezionata collaboratrice maestra Agnese Agostini, anche per questo mese di ottobre ha trovato per noi una simpatica storia che riportiamo con grande piacere: “Siamo ai Sadleri, frazione di Centa San Nicolò, piccolo nucleo di abitazioni, poche persone, una vecchia strada comunale che sale verso i Menegoi e si immette nella statale della Fricca dopo aver costeggiato l’orto forestale e aver salutato quell’antico capitello protagonista di momenti importanti durante la Grande Guerra. Dai Sadleri un sentiero fra i boschi mi porta in pochi minuti al “Doss del Poster”, una vasta balconata, coltivata, che si affaccia sul vallone del Centa, balconata collegata al greto del torrente da un viottolo agibile. La tradizione, avvallata anche dal ritrovamento in loco di certi oggetti preistorici come un’ascia serpentino, una lancia in ferro ed altri oggetti da lavoro in selce indicavano il Poster come sede di un “castelliere” ossia una dimora stabile fatta da rozze capanne e recinzione circolare in pietra squadrata. Trascorrono gli anni, tanti anni, e la zona viene inglobata in quella giurisdizione “feudale” della quale i Sicconi prima, e i conti Trapp poi, erano i proprietari assoluti. Ai Sicconi si deve la costruzione di

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Il casale come si presenta oggi.

quello stabile seminascosto fra le piante ai margini del prato. Raccontano che i signori se ne servissero per i loro momenti liberi. Nella seconda metà dell’800 la casa abitata dalla famiglia di Sadler Pietro ammoliato con prole. Nel 1870 nasceva il figlio Giovanni che fattosi adulto e rimasto solo mal sopportava la vita al Poster. I nostri vecchi raccontavano che un giorno sistemò

una candela accesa nel fienile e poi si allontanò. Riferì una signora del posto: io l’ho visto camminare svelto, fermarsi, osservare la casa avvolta nel fuoco per nulla preoccupato. -Sono stato io - confessò e continuò per la sua strada. Poco dopo emigrò in America e di lui non si seppe più nulla. (..) Durante la seconda guerra mondiale quando si doveva allontanarsi dalla città per i continui bombardamenti e cercare posti più tranquilli il signor Emilio Parolari da Trento si trasferì con la famiglia, moglie e 3 bambini piccoli, proprio al Poster, ristrutturò alla meglio la casa e costruì una strada per accedervi con la vetuura. Ha raccontato la Marcellina dei Sadleri che li aiutava nelle faccende domestiche la moglie Italia, mentre il marito si nascondeva negli anfratti del vallone vicino. Per molti anni anche dopo si videro i parolari soggiornare al Poster. Verso gli anni ‘70 la proprietà venne acquistata dal signor Mario Gasperi da Caldonazzo (Perlon) che provvide a sistemare tutta la zona compresa una sommaria ristrutturazione del casale facendo intervenire Tecilla Gioacchino e Martinelli Rino con i loro uomini. Ora Mario Gasperi è scomparso ma c’è la moglie americana dell’Oregon Caroline che ogni tanto si fa vederre. Chi si reca oggi al Poster trova la zona coltivata e il casale deteriorato sì, ma ancora in grado di raccontare la sua storia millenaria a chi la sa ascoltare.



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