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Ricerche e Contributi in Psicologia
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Giovanni Garufi Bozza (a cura di)
La torre di Igea Psicosomatica e psicologia della salute
con scritti di: Vanessa Acciai, Margherita Antonielli, Giulia Citarelli, Samuele Bellagamba, Isabella Clemente, Cinzia Di Vito, Francesca Esposito, Giovanni Garufi Bozza, Antonietta Leonardo, Leira Muto, Cristina Rubano, Debora Sommella, Licia Spataro, Martina Vernamonte
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Ad Alice, Antonio, Niccolò, Cecilia e Filippo, figli della salute. A chi ha già percorso tanta strada, e tanta ne deve ancora percorrere.
La salute è il primo dovere della vita. Oscar Wilde
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Prima Edizione: 2015 ISBN 9788898037506 © 2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Aprile 2015 in Italia da Universal Book srl Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)
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INDICE
Diario di un gruppo in viaggio Francesca Esposito
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Introduzione Giovanni Garufi Bozza
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Parte 1 - Psicologia della salute
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Premessa alla prima parte Professor Mario Bertini
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Un dono per Igea Margherita Antonielli
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Il luogo di lavoro come contesto di promozione della salute Samuele Bellagamba
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Verso una nuova concettualizzazione della crisi: l’approccio della Psicologia della Salute Giulia Citarelli
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Nel territorio di Igea: Le emozioni “positive” Isabella Clemente
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RICERCHE E CONTRIBUTI IN PSICOLOGIA
Economia e ben-essere: un binomio possibile Cinzia Di Vito Quale potere per quale salute? Una proposta di rilettura della Psicologia della salute in ottica critica: professionisti della salute e/o agenti critici di cambiamento? Francesca Esposito
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Revisione del lapsus alla luce della Psicologia della Salute Giovanni Garufi Bozza
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Senso di coerenza e promozione della salute in comunità residenziale per tossicodipendenti Antonietta Leonardo
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“E vissero tutti felici e contenti?” La Psicologia della Salute e le concezioni di Salute e Ben-essere fra complessità e semplificazione nell’era del “Counseling” Cristina Rubano
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Promozione della salute nel percorso del malato terminale. Paradosso o realtà? Leira Muto
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Il diverso sei tu! Nuove parole per parlare di Disabilità Licia Spataro
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Dalla Pet-therapy alla Pet-promotion Martina Vernamonte
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LA TORRE DI IGEA
Parte 2 – Psicosomatica
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Premessa alla seconda parte Professor Luigi Solano
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Alessitimia e infertilità maschile Vanessa Acciai
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Relazione tra parto pretermine e variabili psicologiche e psicosociali: studio empirico su 50 soggetti a rischio Margherita Antonielli Aspetti della regolazione affettiva nell’obesità e nel sovrappeso Giulia Citarelli Effetto placebo: effetto relazione Cinzia Di Vito La tecnica della scrittura come strumento di promozione del benessere negli educatori di asilo nido Isabella Clemente L’omofobia e i suoi danni. Progetto di ricerca sull’applicazione della tecnica di scrittura di Pannebaker sulle vittime di omofobia verbale e fisica Giovanni Garufi Bozza
237
257 275
291
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Il ruolo dell’alessitimia nelle disfunzioni erettili Antonietta Leonardo
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L’intervento psicologico nel malato oncologico Leira Muto
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RICERCHE E CONTRIBUTI IN PSICOLOGIA
Effetti della tecnica della scrittura sullo stress dei bambini e il distress genitoriale in padri separati con diversi livelli di alessitimia Cristina Rubano
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È nata una nuova professione? La rappresentazione sociale dello psicologo di base Debora Sommella
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Coping e tecnica di scrittura nei genitori di figli con diagnosi di disabilità Licia Spataro
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Aspetti psicologici della pericardite virale Martina Vernamonte
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Conclusioni
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Biografia autori
417
Il disegno in copertina è di Licia Spataro
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DIARIO DI UN GRUPPO IN VIAGGIO Francesca Esposito
“Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti”. (Le città invisibili, I. Calvino)
Da diverse strade, con diverse partenze, attraverso diverse traiettorie, si trovarono lì, improvvisamente catapultate(i) in quel crocevia... Sguardi estranei, in corpi estranei… Affannate(i) si guardarono, e ignare(i) intrapresero quel nuovo viaggio, un viaggio verso la terra di Igea, alla ricerca dell’ agognata città della salute... Nessuna(o) di loro conosceva il cammino. Nessuna(o) possedeva mappe né bussole.
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RICERCHE E CONTRIBUTI IN PSICOLOGIA
Come gli antichi navigatori si misero a scrutare la volta stellata, alla ricerca della stella polare che potesse guidarle (i)… Ognuna(o) guardava il cielo, alla affannosa ricerca di un riferimento. Sperdute(i) nella vana ricerca, continuavano a girare su sé stesse(i)... Fu a questo punto, quasi in procinto di desistere, che ricordarono di non essere sole(i), che i loro sguardi, distanti e spersi, iniziarono timidamente a cercarsi… Fu così che finalmente si scoprirono. Prima con timidezza, poi con diffidente riserbo, infine con insolita curiosità... Divertitamente sorprese(i) scoprirono che stavano cercando nel posto sbagliato. Ciò che desideravano in realtà già era lì, tra di loro, bastava solo saperlo vedere... Fu allora che realmente cominciò il loro viaggio. Un viaggio in divenire, alla scoperta e riscoperta di sé stesse(i), dell’altra(o), della loro terra della salute... Tra uno stemma e una torre, 12
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LA TORRE DI IGEA
burrasche e bonacce, tracciarono possibili rotte, verso nuove città da conoscere e costuire assieme... Rotte che portano qui, a questo libro: prodotto vivente della potenza dell’incontro tra soggettività diverse, dell’incrocio, talvolta “per caso”, di traiettorie che improvvisamente passano ad essere cammini comuni. Un altro crocevia di una storia, un viaggio, ancora in divenire.
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INTRODUZIONE Giovanni Garufi Bozza
Questo testo raccoglie le tesine d’esame del primo anno della scuola di Psicologia della Salute di Roma, con sede a Orvieto. Primo anno svoltosi nel corso del 2011. Esso vuole rappresentare in primo luogo un dono. Come psicologi della salute siamo convinti dell’importanza della progettualità, della formazione in itinere, della priorità del percorso, del processo e del progetto rispetto al prodotto. Ogni tanto, però, un prodotto finito e fruibile, può essere un utile spunto di riflessione su quanto si fatto fino a questo punto e su quanto ciascuno può ancora fare per sè stesso, per il colleghi, per la psicologia in generale. Ed ecco dunque un prodotto che, come accennavo poc’anzi, rappresenta per me un dono. Un dono per i miei colleghi che hanno scritto le loro tesine, un dono per i docenti che le hanno ispirate, un dono per i colleghi dei prossimi primi anni, che ripercorreranno il nostro cammino, scoprendo nuovi percorsi da noi lasciati inesplorati e sconvolgendo la loro mente, come è capitato a noi, nello scoprire la portata del modello salute, uscendo così dal senso comune del modello malattia. Nuovi figli di Igea, come saremo noi. Nei contributi riportati in questo scritto, c’è il frutto di un anno di formazione presso gli insegnamenti di Psicologia della Salute del Professor Bertini e di Psicosomatica del Professor Solano. Rappresentano per chi li ha scritti il punto di approdo di un anno di formazione e riflessione sulle tematiche del modello salute e Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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RICERCHE E CONTRIBUTI IN PSICOLOGIA
al contempo di partenza per altri anni di formazione e carriera professionale. Sono nodi di integrazione tra la biografia e bibliografia degli insegnamenti della scuola, tra la biografia e bibliografia del professor Solano e del professor Bertini, tra la biografia e bibliografia di ciascuno di noi, tra la biografia e bibliografia del nostro gruppo e delle sue molteplici interazione. Un gruppo a cui ognuno di noi ha contribuito, pezzo dopo pezzo, a costruire la torre di conoscenza comune, la nostra torre della salute, la torre di Igea (da qui il titolo). Sono infine gli spunti di chi, per dirla con una nostra docente, ha già fatto tanta strada e tanta deve ancora farne. E dunque a chi sta percorrendo questa strada, a chi l’ha percorsa prima di noi, a chi la percorrerà dopo di noi, auguro una buona e salutare lettura.
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PARTE 1 PSICOLOGIA DELLA SALUTE
I lavori presentati in questa prima parte del libro sono il frutto delle sollecitazioni ricevute nel corso delle lezioni del professor Bertini, che ci hanno permesso il passaggio dal modello malattia, tuttora prevalente e radicato nel senso comune e nella società, al modello salute. In senso mitologico possiamo definirlo un passaggio da Panacea, dea della cura, ad Igea, dea della salute. Igea è una figura della mitologia greca: figlia di Asclepio e di Lampeggia, era venerata come dea della salute. Veniva raffigurata ora sotto l’aspetto di una giovane donna prosperosa nell’atto di dissetare un serpente, ora seduta con la mano sinistra appoggiata a un’asta, mentre con l’altra mano porge una patera a un serpente che, lambendola, si innalza da un’ara posta davanti a lei. Il culto era associato a quello del padre e di Panacea, sua sorellastra. Oltre che dea della salute (o del risanamento in generale), era la divinità di ogni cosa pulita. A differenza del padre, direttamente e unicamente associato alla cura delle malattie, Igea veniva invece associata alla prevenzione dalle malattie e al mantenimento dello stato di salute. A cosa è dovuta la presenza del serpente? Gli antichi attribuivano al rettile intelligenza e sentimenti particolari: suscitava grande impressione per la vita misteriosa e sotterranea, per la capacità di secernere veleni mortali, per la grande velocità, nonché per l’abilità nell’ipnotizzare le prede. Il serpente è comunque legato da sempre al mondo della farmacologia: il suo veleno, in minime dosi, rappresentava spesso l’unico rimedio Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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contro moltissime malattie. Il modello salute apre a moltissime possibilità di studio, in primis dal punto di vista linguistico: seguendo Bertini abbiamo appreso come abbandonare l’idea che esista una sola forma di salute, e che siano presenti invece più salutìe, così come esistono tante malattie. Abbiamo altresì appreso come non sia così scontato lo stare bene (quando si incontra un conoscente alla domanda “come sta?” se questo risponde “male” siamo portati a chiedere come mai, non lo facciamo, forse erroneamente, se egli ci risponde di stare bene). Il modello salute, posto al pari del modello malattia, ci consente poi di approdare a un bipolarismo salute-malattia, a scapito di un monismo che ci fa riduttivamente vedere la salute come semplice “assenza di malattia”: salute e malattia possono convivere in una stessa persona; si può avere salute anche quando c’è presenza di malattia: chi ha detto che un persona con un handicap non sia in salute? E d’altronde lo stesso nascere ci rende dei malati terminali. Il modello salute permette di focalizzarsi sulla ricerca delle risorse, più che sulla cura della patologia, sulla promozione del ben-essere, sulla prevenzione, sull’active aging e su molto altro ancora. Comporta un cambio di paradigma profondo e apre a migliaia di rivisitazioni di teorie passate, a infinite possibilità di ricerca sulle aree più disparate della mente umana, alla scoperta di nuove teorie. Non dilungandomi oltre per ragioni di sintesi e rinviando a saggi più specifici sul modello salute e sulla sua evoluzione, lascio che siano le parole dei miei colleghi a far entrare il lettore nel vivo di questo nuovo paradigma.
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PREMESSA ALLA PRIMA PARTE Prof. Mario Bertini
Qualche giorno fa, con grande sorpresa mi sono trovato fra le mani la bozza di questo libro con la richiesta di fare alcune righe di premessa. Mai nei miei lunghi anni di vita universitaria, mi è capitato di scrivere una prefazione come questa. Il libro, infatti, contiene semplicemente i compiti scritti che gli allievi del primo anno della scuola di “Specializzazione in Psicologia della Salute” hanno presentato come prova di esame alla fine del mio corso. Per capire la sorpresa, ma soprattutto il significato di questo libro, devo illustrare le caratteristiche del contesto da cui trae origine. Nella prima lezione del weekend orvietano, presento ogni anno una diapositiva orientata ad illustrare le caratteristiche particolari della Scuola, decisamente impegnata nella svolta di paradigma dal “modello malattia” al “modello salute”. Il tono in cui mi trattengo in questo primo incontro, ha il senso di una favola, di una narrazione, immaginando la Scuola come una bambina nel suo periodo d’incubazione, alla sua nascita, e nell’ambiente (la città salutare di Orvieto), dove si prepara a crescere. Chiusa la “favola” inizia il compito fondamentale della programmazione del corso. Come negli anni precedenti, sottopongo alla riflessione degli studenti alcuni punti programmatici: Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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Cercare di avvicinarci alla comprensione della “Psicologia della Salute”, attraverso l’analisi delle premesse teoriche e del contesto storico in cui la “Psicologia della Salute si sta affermando. Acquisire una conoscenza generale delle tematiche teoriche e applicative che, di fatto, sono oggi frequentate dagli psicologi della salute, in Italia e nel mondo. Compiere un’analisi sistematica e critica della letteratura all’interno di una bussola orientata verso la salute positiva e la sua promozione. Obiettivo di fondo: maturare una disponibilità a costruire, e aggiornare di continuo, il quadro dello sviluppo teorico e applicativo della psicologia della salute.
Dopo un’attenta discussione del programma si pone a fuoco il tema della condivisione non solo per quanto riguarda gli aspetti metodologici più idonei a facilitare l’apprendimento, ma anche il processo di valutazione. Con riferimento al concetto della “learning organization”, fondamentale nella Scuola, informo gli studenti di quanto si è fatto negli anni precedenti. Dopo un lavoro a piccoli gruppi e una discussione sulle varie ipotesi emerse, sono d’accordo con gli studenti di rinviare la decisione ad una riflessione più approfondita da effettuarsi nel prossimo “spazio autogestito”. A conclusione di questo percorso, ricevo la seguente proposta dagli studenti, per la mia approvazione finale. “Manuale di Riferimento: per una presa di conoscenza di carattere generale, la scelta cade sul: “Trattato di psicologia della salute” di Fisher, G.N. (2006) Ed. Borla, pp.576 Piano di lavoro e modalità di valutazione. Lavoro in piccoli gruppi di 3-4 studenti ciascuno. Ogni piccolo gruppo si interesserà ad una specifica area tematica trattata nel manuale di riferimento (esempio: Salute e contesti di lavoro) delineandone i principali costrutti teorici, le linee metodologiche e di ricerca, e gli ambiti applicativi. Ogni studen20
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te si implicherà nell’approfondimento di un argomento legato alla più ampia area individuata (esempio: Mobbing, Sicurezza nei luoghi di lavoro, Burn out, ecc.) attraverso l’integrazione di ulteriori contributi e recenti articoli di ricerca. Ciascun gruppo lavorerà insieme ad una presentazione in powerpoint dell’area tematica trattata, da resocontare in aula in plenaria, nel corso dell’anno. Ciascuna presentazione, di circa mezz’ora, prevederà una breve introduzione generale e, a seguire, l’esposizione da parte di ogni studente dello specifico aspetto da lui affrontato. Ai fini della valutazione finale da parte del docente, ogni studente produrrà inoltre una relazione di 5-10 cartelle, in cui esporrà una rilettura critica dell’argomento da lui approfondito, in relazione al “modello salute”, trattato nel corso delle lezioni.” Sulla base di queste premesse concordate, ogni studente mi ha inviato la sua tesina, frutto di una riflessione personale sul tema prescelto, con l’obiettivo di discuterlo alla luce delle conoscenze maturate nel Corso. La sessione finale di esame si è svolta alla presenza di tutti gli studenti disposti in circolo; a ciascuno di essi ho dato un feedback, rispetto al lavoro svolto, discutendo insieme pregi ed eventuali lacune. Come è successo in passato, questa modalità di apprendimento e di valutazione ha avuto un riscontro positivo sia da parte mia sia da parte degli studenti. Ma mentre in passato la sessione d’esame chiudeva il processo, per gli studenti di questo anno il processo è continuato in un modo del tutto originale. Come si può vedere, si è voluto valorizzare il lavoro svolto nel corso dell’anno, ricompattando le singole tesine in un autentico libro, a futura memoria… Naturalmente il fine dell’operazione non ha certo la presunzione di presentare un libro nella versione tradizionale di riferimento dottrinale. Scorrendo i vari contributi si possono apprezzare luci ed ombre di un percorso iniziale, con la ricerca di spazi di riflessione, talvolta decisamente pregevoli, nella linea innovaEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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tiva del modello salute. Al di là quindi dei contenuti, con questa iniziativa originale, non solo gli studenti, ma anche la Scuola può fare un passo avanti nel comune obiettivo dell’apprendimento. Sarebbe interessante, infatti, che questa iniziativa avesse un seguito così da estendere la traccia di un auspicabile progresso nei prossimi anni, fino alla tesi finale. Una traccia utile per ogni studente e per la Scuola, nel suo compito co-costruttivo di “Organizzazione che apprende”.
Mario Bertini
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UN DONO PER IGEA Margherita Antonielli
“Verso l’alba, Cadmo fu risvegliato da strani suoni. Pelli risonanti di tamburi, passi cadenzati, stormire di querce, voci dietro le foglie. Si addentrò nell’interno. Avvicinandosi alla città, incontrava lavandaie che calpestavano nell’acqua i panni sporchi e cantavano. Cadmo guardava, curioso, svagato, come non avesse voglia di arrivare troppo presto alla città.” Nella prima lezione del corso di Psicologia della Salute ci venne mostrato un lucido che ripercorreva brevemente le principali tappe che hanno caratterizzato la scuola alla quale ci stavamo affacciando. Si parlava di quello spazio germinale in cui ha preso forma l’idea di fondare la scuola come di una vera e propria gravidanza; dell’inaugurazione della scuola nell’ormai lontano 1998 come di una nascita; dei primi anni della scuola come di anni determinanti per la sua crescita, sia sul piano formale che strutturale; di una vera e propria fase di latenza negli anni successivi, proprio come di uno sviluppo che segua di pari passo gli stadi principali dello sviluppo infantile. E lì, dinnanzi a quelle parole, in un fresco e soleggiato pomeriggio di Febbraio, fummo iniziati ad un segreto, investiti di una magnifica responsabilità: ora, a dodici anni di distanza, stava cominciando il periodo più bello, turbolento, mutevole, incerto… Si stavano varcando i confini. Stava iniziando l’incauta, insieme Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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misteriosa e febbrile1, adolescenza della scuola. E lì dinnanzi, c’eravamo noi. Noi, che eravamo, anzi siamo, l’adolescenza della scuola. Traggo spunto dalle mie reminescenze psicodinamiche: Blos (1979) parla dell’adolescenza come di un momento in cui vi è una riedizione delle principali tematiche infantili; in particolare l’autore, sviluppando i concetti di Margaret Mahler (1975) sullo sviluppo del rapporto madre-bambino, sostiene che il passaggio dall’infanzia all’adolescenza comporti un secondo processo di separazione-individuazione. Dapprima la separazione, dunque, il distacco, fisico e psichico, dalle figure genitoriali, che consente di muoversi verso la ricerca di una propria autonomia, e poi l’individuazione che, con l’accesso al pensiero autonomo e alla capacità di rappresentazione, conduce all’acquisizione di una propria, personale identità. Blos (1979) scrive che il processo di separazione-individuazione implica una riorganizzazione interna, strutturale, che può verificarsi solo a condizione che il soggetto sia in grado di rappresentarsi e pensare a se stesso con confini propri, come entità separata nel mondo degli altri e, in ogni modo, capace di relazionarsi al mondo. Questa analogia mi fa pensare alla nascita e allo sviluppo, così travagliato, della psicologia: la sua estrema dipendenza dalle figure genitoriali, la medicina e la filosofia, e l’incapacità che tale disciplina ha avuto per lungo tempo di costruire una propria, personale identità. Così come pensare a questo momento come fase adolescenziale della scuola, mi fa venire in mente che potrebbe essere l’occasione buona per considerare e riconsiderare alcuni aspetti del cambiamento di paradigma2, per discutere della possibilità della 1 Giacinto Spagnoletti, 1999 (cit. in Rossi Precerutti, R. Raymond Radiguet, Poesia, anno XII, n. 126, marzo 1999, Crocetti Editore). 2 cfr. Bertini (2008). Dal modello malattia al modello salute: difficoltà del passaggio e insufficienza delle parole.
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LA TORRE DI IGEA
psicologia della salute di individuarsi e, se occorre, re-individuarsi. Tale processo, così come il periodo adolescenziale, richiede tempo ed energia e passa per lo sviluppo di un nuovo modo di pensare e per la sperimentazione di una nuova forma di linguaggio. A questo punto, accorre in mio aiuto Jean Piaget (1964) il quale, teorizzando il percorso dall’infanzia all’età adulta come un’evoluzione attraverso una serie di stadi, colloca nel periodo adolescenziale (dai 12 anni in poi), il passaggio da un pensiero operatorio di tipo concreto ad un pensiero operatorio di tipo formale e, pertanto, attribuisce a quest’età la capacità dell’individuo di rappresentazione e lo sviluppo di un nuovo linguaggio, di tipo ipotetico-deduttivo. Alla luce di queste considerazioni, ecco che tale lavoro si propone come contributo, sia pur parziale e circoscritto, allo sviluppo di una nuova identità, in particolare sul piano formale, della psicologia della salute. Mi accingo a presentare la mia proposta, nella convinzione che le provocazioni presenti in questo lavoro verranno considerate come tali e guardate con la giusta benevolenza.
Salute e benessere: da stato a processo Forse ridondante ma mai pleonastico aprire questo paragrafo, riportando la definizione di salute elaborata nel 1948 dall’OMS, all’atto della sua costituzione, come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto assenza di malattia”. Voglio sottolineare che quanto verrà scritto successivamente, non ha alcuna intenzione di mettere in discussione il carattere assolutamente rivoluzionario che tale affermazione assume, contemplando per la prima volta la possibilità che anche la salute, al pari della malattia, possa essere considerata una presenza, e non
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soltanto un’assenza di- (Bertini, 2008). Volendo tuttavia azzardare subito alcune considerazioni etimologiche, va evidenziato come tale definizione, oramai correntemente accettata, riveli tuttavia alcune ambiguità: nella prima parte infatti, la salute viene ricondotta, in positivo, ad uno stato, cioè ad una condizione di stabilità, ulteriormente specificata dal termine benessere e dagli aggettivi fisico, mentale e sociale. In questo modo, dunque, il participio passato del verbo essere (stato) viene accostato, in modo quasi tautologico, all’espressione ben-essere. Analizzando più approfonditamente il senso delle parole, si nota inoltre che lo stato è per definizione qualcosa di statico, di dato a priori, qualcosa verso cui tendere ma che rimane immutato, qualcosa che non vira al mutare della persona. Mentre, i costrutti di benessere e di salute sembrano essere più facilmente assimilabili all’idea di un processo, ovvero di qualcosa che si intenda come l’insieme di fatti e fenomeni aventi fra loro un nesso, la “manifestazione, lo sviluppo nel tempo di un insieme di fatti e fenomeni che hanno connessione tra loro e che danno luogo a un’evoluzione organica” (L’Enciclopedia, 2006). Questa nuova visione, di salute e benessere più come processo che come stato, trapela, anche se non in maniera del tutto esplicita, dal documento presentato, quasi quarant’anni dopo la costituzione dell’OMS, alla prima conferenza internazionale sulla promozione della salute (Ottawa, 1986): “Per promozione della salute si intende il processo che consente alla gente di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per conseguire uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, l’individuo o il gruppo devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o di adattarvisi. La salute vista, dunque, come risorsa di vita quotidiana, non come obiettivo di vita: un concetto positivo, che insiste sulle risorse sociali e personali, oltre che sulle capacità fisiche. Di conseguenza, la promozione della salute non è responsabilità 26
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esclusiva del settore sanitario, ma supera anche la mera proposta di modelli di vita più sani, per aspirare al benessere”(WHO, 1986). Da tale affermazione, notiamo come la salute venga vista non come obiettivo di vita, ma come risorsa di vita quotidiana: in tal senso, la salute ed il benessere non possono che essere considerati entità dinamiche, in movimento, che evolvono con l’evolvere della vita di ciascun individuo. Tale assunto va ulteriormente a sostanziare la visione di salute come processo, concetto, quest’ultimo, che rende maggiormente ragione della dinamicità e della dimensionalità del costrutto. Pertanto, non più salute e benessere intesi come stato, ma come processo. A sostegno di questa ipotesi, accorrono le parole di Carol Ryff (1998), che scrive: “La salute positiva umana si legge meglio come un processo multidimensionale dinamico che come uno stato finale discreto. In altri termini, il benessere umano è sostanzialmente una questione d’impegno nel vivere, che coinvolge l’espressione di una vasta gamma di potenzialità umane: intellettuali, sociali, emotive e fisiche.”
Benessere fisico, psichico e sociale “Ora Cadmo doveva fondare la sua città. Al centro sarebbe stato il letto di Armonia. E intorno tutto doveva modellarsi sulla geometria dei cieli. Il ferro incideva il terreno, il calcolo fissava i punti. Si ammucchiavano pietre di vario colore, come le segnature dei pianeti, dal Citerone, dall’Elicona, dal Teumesso. Alle sette fasce dei cieli corrispondevano sette porte,ciascuna dedicata ad un dio. Cadmo guardò la città compiuta come un giocattolo nuovo e pensò che ormai si potevano celebrare le nozze”.
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La definizione di salute come “stato di benessere” esorta le varie discipline ad interrogarsi sul significato di tale termine: che cos’è davvero il benessere? Quali sono le sue dimensioni? Cosa lo avvicina o lo differenzia dal concetto, di matrice filosofica, ma parimenti centrale nella vita di ciascuno, di felicità? La domanda è sintatticamente semplice, eppure ci si accorge che, entrando nei meandri dell’argomento, è difficile trovare una risposta esaustiva, ancor di più se ci si auspica di trovare una definizione onnicomprensiva del concetto. Tale difficoltà di definizione riguarda il fatto che il benessere “non è […] un’entità unitaria semplice e non riguarda un singolo costrutto specifico” (Aureli, 1999): vediamo anzi come tenda ad essere sempre declinato in più macrodimensioni - benessere fisico, psichico e sociale -, che pur tuttavia non possono non essere considerate interagenti ed interdipendenti. Sul piano formale, tali diversi aspetti possono tuttavia essere trattati in maniera legittima separatamente tra loro, ma sempre e soltanto a patto che ciò venga fatto seguendo un’ottica che rimanda ad un riduzionismo di tipo metodologico (Agazzi, 1977), e nella consapevolezza che ogni scissione che si opera, nella delimitazione del livello di analisi scientifica, è del tutto arbitraria. Sulla base di queste premesse, vediamo come in ambito psicologico, possono essere rilevate due linee generali di tendenza: da una parte, il richiamo al benessere contenuto nella definizione del 1948 ha condotto gli psicologi ad occuparsi istintivamente della ricerca di indicatori soggettivi dello star bene; dall’altra, si è delineato invece il tentativo di individuare le dimensioni oggettive di quello che si potrebbe definire un buon funzionamento psicologico. Queste due linee di tendenza possono essere schematicamente definite come ricerca del benessere soggettivo la prima, e ricerca del benessere psicologico, la seconda (Bertini, 2008).
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Benessere soggettivo Lo studio del benessere soggettivo, inteso come tentativo di identificare standards soggettivi dello star bene, ha beneficiato della comparsa del vasto e sfaccettato movimento della psicologia positiva (Seligman, Csikszentmihalyi, 2000), le cui attività si sono sviluppate fondamentalmente a partire da due prospettive di base: I paradigmi di riferimento della maggior parte degli studi e delle ricerche sviluppati si possono infatti ricondurre, da una parte, all’edonismo (Kahneman, Diener, Schwarz, 1999), in base al quale il benessere consiste nel raggiungimento del piacere o nella felicità, dall’altra all’eudaimonia, secondo cui il benessere rappresenta qualcosa di più della felicità, ovvero la realizzazione delle potenzialità umane e dell’autentica natura personale (Ryan, Deci, 2001).
La prospettiva edonistica “Benessere, qualità della vita, star bene, allegria, “benestare” o star bene, felicità, gioia. Sono tutti sinonimi di quello che comunemente si chiama piacere” (Spaltro, 1995, p.17). Le basi della tradizione edonista possono essere individuate nell’antica Grecia, laddove Aristippo, fondatore della scuola cirenaica, esortava a sperimentare il massimo piacere possibile e sosteneva che la felicità e la qualità della vita fossero il risultato della somma dei singoli momenti edonici. Hobbes (1637) proseguì sostenendo che la felicità era l’esito del soddisfacimento degli appetiti umani e De Sade (1768) che l’obiettivo ultimo della vita fosse perseguire il piacere. L’utilitarismo, con Bentham (1789), riteneva che massimizzare il piacere individuale potesse portare vantaggio all’intera società. Gli psicologi hanno tratto spunto da tali visioni filosofiche,
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parlando di piaceri del corpo e della mente e definendo il benessere come felicità soggettiva, legata alle esperienze di piacere versus dispiacere, comprendenti tutte le valutazioni degli elementi positivi e negativi di vita. La psicologia edonistica si occupa di ciò che rende piacevoli e spiacevoli le esperienze e la vita (Kahneman, Diener, Schwarz, 1999): in questa prospettiva, il benessere e l’edonismo si equivalgono. Così come si equivalgono il benessere, inteso in senso edonistico, e la felicità3. Non a caso, dal punto di vista etimologico, il termine felicità racchiude la quanto mai edonistica radice fel-, che sta a significare abbondanza, ricchezza, prosperità: fatto questo, che sottolinea come, provocatoriamente, il concetto di felicità sia più correlato al concetto di bene-stare che a quello di ben-essere. Il pensiero va, per libera associazione, al Prodotto Interno Lordo, misura della produzione destinata al mercato, spesso erroneamente utilizzato per quantificare il grado di benessere oggettivo della collettività. A sfatare l’ingenua associazione tra Pil e benessere, interviene nel 1974 il cosiddetto Paradosso di Easterlin 4 (o Paradosso della Felicità), che evidenzia come la valutazione che le persone fanno della propria felicità non sembra essere correlata con l’aumento del reddito. Più tardi, le ricerche presentate da Kahneman (2007, 2010), mostrano che l’indice di benessere soggettivo medio (SWB) utilizzato, non aumenta con l’aumentare del reddito procapite ma tende a restare costante e, in alcuni casi, persino a diminuire. Da sottolineare in tal senso come, nell’ultimo decennio, siano stati proposti altri indici complementari o alternativi che, seppur perfettibili e suscettibili di critiche, rappresentano comunque il 3 Cfr. Bradburn (1969) cit. in Bertini (2001). Da Panagea a Igea: verso il delinearsi di un cambiamento di paradigma nel panorama della salute umana. 4 Easterlin, R. A. (1974) “Does Economic Growth Improve the Human Lot?” in Paul A. D. and M. W. Reder, eds., Nations and Households in Economic Growth: Essays in Honor of Moses Abramovitz, New York: Academic Press, Inc.
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tentativo di affiancare al solo parametro economico, anche altre dimensioni, che tengono più conto della complessità del benessere individuale e collettivo. A titolo di esempio, basti citare il BIL5 (Benessere Interno Lordo) o il BES6 (Benessere Equo e Sostenibile), un indice proposto di recente, che contempla dodici parametri, tra cui anche il benessere soggettivo, la salute e le relazioni sociali.
La prospettiva eudaimonica Il riferimento è all’etica Nicomacea, in cui Aristotele denigrava il soddisfacimento dei piaceri in sé e per sé, ed affermava che la felicità si basasse sull’espressione della virtù, cioè nel fare ciò che si ritiene importante. Erich Fromm (1981) è tra coloro che portano avanti tale concezione, sostenendo che il benessere è il risultato della realizzazione di quei bisogni che conducono allo sviluppo della natura umana. L’eudaimonia considera ben distinti il benessere e la felicità in sé e per sé, perché solo il soddisfacimento di alcuni desideri è in grado di promuovere il benessere. Ad esempio, Waterman (1993) ritiene che sia possibile raggiungere l’eudaimonia vivendo secondo il proprio vero sé, svolgendo attività congruenti con la propria natura e in grado di impegnare e coinvolgere l’individuo in modo olistico: in questo senso egli parla di espressività personale (Personal Expressiveness, PE). Nel commentare i contributi della psicologia in riferimento al benessere soggettivo, Ryff e Singer (1998) scrivono che “se la concezione aristotelica di eudaimonia, come il più alto di tutti i 5 Indicatore individuato dalla commissione incaricata a livello europeo nel Febbraio 2008 e coordinata dal premio Nobel 2001 Joseph Stiglitz. 6 Indicatore individuato nel 2011 grazie ad un’iniziativa congiunta di ISTAT e Consiglio Nazionale di Economia e Lavoro (Cnel).
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beni, fosse stata tradotta nel senso di realizzazione del proprio vero potenziale, anziché come “happiness”, -tradendo una chiara matrice edonistica-, gli ultimi 20 anni di ricerca sul benessere avrebbero potuto prendere direzioni differenti.” Eudaimonia andrebbe pertanto definita come “il sentimento che accompagna il comportamento nella direzione e nella coerenza con le proprie autentiche potenzialità” (Bertini, 2001). Nonostante questa suddivisione tra prospettiva edonistica ed eudaimonica, sembra essere più sensato considerare il benessere come un concetto multidimensionale e composito, che include sia aspetti edonistici, sia eudaimonici: inteso in questo senso, anche il benessere soggettivo potrebbe essere a buona ragione considerato oggetto di studio e riflessione della psicologia della salute.
Benessere psicologico Una seconda linea di tendenza, anziché sulla qualità del benessere soggettivamente percepito, si sofferma sull’individuazione delle caratteristiche positive di un buon funzionamento psicologico. Ryff e Singer (1998) sostengono che il benessere costituisce il tentativo di raggiungere la perfezione, con la realizzazione delle proprie potenzialità: essi parlano di benessere psicologico (PWB), che si differenzia dal benessere soggettivo (SWB), trattandosi di un costrutto multidimensionale che comprende diversi aspetti relativi all’autorealizzazione. Secondo tali autori, per affrontare il tema della salute come “stato di benessere psicologico” (anche se, alla luce di quanto affermato in precedenza, sarebbe più appropriato parlare di processo di benessere), occorre distaccarsi in maniera radicale dal modello medico ed attingere ispirazione alle fonti umanistiche della filosofia e dell’etica: da queste fonti si possono trarre i “cri32
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terial goods”, cioè le dimensioni che qualificano un buon funzionamento mentale (Bertini, 2008). Attraverso un’approfondita analisi della letteratura filosofica e di quella psicologica, Carol Ryff e collaboratori hanno pertanto individuato alcuni tra i principali indicatori del buon funzionamento psicologico, nella consapevolezza che si tratta di una lista non definitiva e certamente suscettibile di ampliamenti e modifiche: • Scopo nella vita (Purpose in life); • Sviluppo personale (Personal growth); • Relazioni positive con gli altri (Positive relations with others); • Controllo ambientale (Environmental mastering); • Accettazione di sé (Self-acceptance); • Autonomia (Autonomy) Altre prospettive, come la teoria dell’autodeterminazione (Ryan e Deci, 2001), individuano tre bisogni psicologici di base (autonomia, competenza, relazioni sociali), il cui soddisfacimento è essenziale per la crescita psicologica, l’integrità, il benessere e la congruenza con se stessi. Tale teoria si focalizza sulle condizioni e i fattori che facilitano o minacciano il benessere in vari contesti e periodi. Da tale prospettiva, il benessere è un costrutto che viene analizzato a livello intra- e interpersonale, con un’influenza reciproca tra i vari livelli. Secondo la Ryff, dopo aver individuato le dimensioni che qualificano un buon funzionamento mentale, averle sottoposte al vaglio della traduzione empirica e quindi operazionalizzate in una serie di scale e applicate in molteplici contesti operativi, il passo successivo potrebbe essere quello di individuare il substrato fisiologico di queste dimensioni: ciò potrebbe favorire, secondo l’autrice, un importante progresso nella comprensione integrata del concetto di benessere e di salute positiva (Bertini, 2001, 2008).
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Benessere, benesseri “Nelle sale numerose del palazzo di Tebe si sentiva un chiacchiericcio insistente, un fremito di piedi leggeri, un incrociarsi canoro. Tutti gli dei erano discesi dall’olimpo per le nozze di Cadmo e Armonia. Vagavano fra quelle stanze, indaffarati e loquaci. […]. Alla fine si presentarono gli sposi: eretti come statue, su un carro trainato da un leone e da un cinghiale. Verso il crepuscolo, divamparono migliaia di fiaccole. Zeus camminava per le strade di Tebe. Quella città gli piaceva. Gli ricordava il cielo.” Tra i principi che Ryff e Singer (1998) indicano alla base del loro tentativo di andare oltre il modello di salute fortemente ancorato al modello della patologia, vi è l’affermazione secondo cui “il benessere riguarda allo stesso tempo, la mente, il corpo e le loro interconnessioni. Pertanto, una valutazione comprensiva della salute positiva deve includere sia le componenti mentali e fisiche, sia i modi in cui esse reciprocamente si influenzano”. Una visione questa che ribadisce una concezione pluralistica del benessere, inteso come realtà complessa e multisfaccettata, che fa riferimento ad una cornice più integrata ed olistica. Una visione auspicabile, il cui raggiungimento richiede di dismettere i vecchi panni ed arrivare ad un nuovo modus pensandi, anche all’interno della stessa psicologia della salute, ancora troppo ancorata al modello bio-medico. Questa svolta passa anche per il linguaggio, non sempre appropriato, non sempre all’altezza di un modello così innovativo e rivoluzionario quale è il modello salute, nella consapevolezza dell’importanza che ha elaborare parole più idonee a rappresentare concetti nuovi (Bertini, 2008). Pertanto, accanto alla introduzione di termini nuovi e più appropriati come salutia e salutie (Bertini, 2008), propongo di utilizzare anche il plurale di benessere, che finora viene utilizzato nella lingua corrente soltanto come singularia tantum. Non solo benessere quindi, ma benesseri, termine che rende meglio ragione della multidimensionalità e della complessità del 34
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costrutto, vivificando e reificando la coesistenza di una pluralità di dimensioni (fisica, psichica, sociale ma non solo), tra di loro interagenti ed interdipendenti. Così come esiste una miriade di esseri viventi sulla faccia della Terra, esiste anche una miriade di ben-esseri, che si differenziano l’uno dall’altro in base alle diverse componenti chiamate in gioco. Componenti che, in una visione il più possibile onnicomprensiva, rispettosa della complessità che siamo chiamati a trattare, possono interagire reciprocamente tra di loro in maniera multiforme, dando luogo ad una concezione multivariata, che consideri anche il malessere come movimento verso la salute. Percorso a cui, azzardo, potrebbe essere dato il nome di vivessere... qualcosa che contempli la coesistenza di dimensioni di benessere e malessere nel percorso di ciascuno verso la salute. O, per dirla in un linguaggio nuovo, qualcosa che contempli la coesistenza di benesseri e malesseri7 nel percorso di ciascuno verso la salutia. In questo quadro, la definizione del 1948 vale ancora e può essere ancora presa a modello, a patto che però riacquisisca il suo valore intrinseco e venga inserita, dal punto di vista teorico e metodologico, in una coltura che renda ragione della nuova concezione del concetto di benessere. Occorre ripartire dalle parole, dunque. Pensare un nuovo alfabeto. Per un nuovo linguaggio. Un linguaggio che, finalmente, ci appartenga. Che sia profondamente, sensatamente, più che mai, nostro. “Mentre guidava il carro verso Occidente, annodato alla sua sposa, come un emigrante testardo che cerca la sua città anche se ormai è troppo tardi, Cadmo rifletteva sul passato. Che cosa 7 Da notare che, così come avviene per il termine malattia, per cui esiste un plurale, anche in questo caso, a fronte di un vuoto sul versante del benessere, la lingua italiana contempla invece l’esistenza di una forma plurale del termine malessere.
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ne rimaneva? Qualche balla di oggetti sul carro e dietro di loro una città che Dioniso aveva appena squassato con il terremoto. […] Armonia era al suo fianco, vecchio serpente. Si sentiva come quando era sbarcato a Samotracia: uomo senza doni, perché tutto quello che possedeva stava su un carro. Ma il suo dono era impalpabile. Un altro re venuto dall’Egitto, Danao con le sue cinquanta figlie sanguinarie, aveva portato alla Grecia il dono dell’acqua. Cadmo aveva portato doni provvisti di mente: vocali e consonanti aggiornate in segni minuscoli, modello inciso di un silenzio che non tace: l’alfabeto. […] Pensò al suo regno disfatto: figli e nipoti sbranati, sbrananti, piagati dall’acqua bollente, trafitti, sprofondati nel mare. Anche Tebe era un cumulo di rovine. Ma nessuno ormai avrebbe potuto cancellare quelle piccole lettere, quelle zampe di mosca che Cadmo il fenicio aveva sparpagliato sulla terra greca, dove i venti lo avevano spinto alla ricerca di Europa rapita da un toro emerso dal mare” R. Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia
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