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Punti di Vista
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Rachele Magro (a cura di)
Oltre le stelle Vissuti ed emozioni di Famiglie Militari Italiane
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Prima Edizione: 2014
ISBN 9788898037711 © 2014 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Settembre 2014 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)
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INDICE
Prefazione di Paola Casoli
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Premessa
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La famiglia militare La family stress and Coping Theory
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Sono una moglia in divisa Delia e l’essere moglie di un soldato operativo La resilience di Alessandra Monika: scelte differenti, destini differenti. Giorgia e il suo papà-eroe
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Le missioni La quotidianità della famiglia militare: la storia di Sonia Federica e luna
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Le giovani coppie nella missione della loro vita Sara e la paura di una telefonata Il mondo tra due divise: Elisa e il giovane Tenente
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Il soldato ferito Catia è sola Laura e il coraggio di volare
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La malattia Adele e i suoi figli. Sara e il DPTS dalla parte delle donne.
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I trasferimenti Gli inizi di carriera: i sacrifici e le delusioni Fabiana e il suo ritorno a casa La carriera o la famiglia: il dilemma di Simona
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E le stellette stanno a guardare
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L’altra metà della divisa
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Conclusioni
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Bibliografia
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PREFAZIONE
È difficile tornare a riguardar le stellette con gli stessi occhi dopo aver letto questo libro. Si tratta di una serie di testimonianze raccolte dall’Associazione L’Altra Metà della Divisa e poi rielaborate ed inserite da Rachele Magro in una cornice che ne inquadra e analizza in modo professionale la psicologia e la capacità di reazione agli eventi imprevisti, racconti personali rilasciati da mogli e compagne – c’è anche una figlia – di militari di ogni grado e forza armata. Storie profonde che molto spesso evocano più che descrivere, nel pudore prima umano che d’ordinanza, e che lasciano cogliere una quotidianità complessa e complicata dalle regole della vita militare. Regole del gioco chiare fin da principio per tutti i giocatori, ben s’intende, ma pur sempre difficili da gestire quando si intrecciano nella propria esistenza i classici imprevisti: dal trasferimento inaspettato della sede di lavoro del partner militare, all’impiego in teatro operativo per lunghi periodi; dalla gestione dei figli in ottica giocoforza monogenitoriale, ai traslochi chilometrici spesso affrontati per mantenere più unita la famiglia. Chi racconta, qui, sa sin dalla nascita della sua storia di coppia che non sarà sempre facile far fronte alla lontananza, alla solitudine, alla necessità fisica di stringere la mano del proprio caro nei momenti di minore serenità. Sono questi gli elementi in più che caratterizzano, e per certi versi diversificano e anche arricchiscono, la famiglia militare. Il
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mettere personalmente in conto, come affiora proprio da queste narrazioni personali, la necessità di costruire una solida autonomia per far fronte ai periodi di trasferta in cui ci sarà solo skype a far sentire visivamente vicino il proprio partner. Una autonomia costruita tutta in forma privata. Questo emerge dalle storie raccolte dall’Associazione, e rivisitate da Rachele in modo da cogliere e sottolineare in queste donne i diversi percorsi seguiti per arrivare a consolidare questa necessaria capacità di gestire da sole la propria quotidianità. Tutto da sole. Questo è davvero ciò che sgomenta leggendo le pagine di questo libro. Non un riferimento all’intervento delle istituzioni, non un accenno all’interessamento dei comandanti e dei capi, non un richiamo a iniziative che dall’alto sostengano e guidino le famiglie che con il loro militare affrontano e vivono completamente le regole militari. Spaventa questa assenza di programmi istituzionali di supporto per chi deve spostare i propri cari ogni paio d’anni pur di garantire e garantirsi una qualità della vita come famiglia comanda, per chi deve continuare a servire il proprio paese con la serenità interiore che “a casa va tutto bene”. E per chi dall’altra parte della divisa deve offrirla autenticamente, questa serenità, assicurando di non avere mai, mai e poi mai, dei momenti di scarso rendimento: sempre al top, e con il sorriso a fior di labbra possibilmente, perché da lontano le difficoltà – sia pur solo il permesso di lavoro del partner che non coincide con la licenza del militare - sembrano ancora più insormontabili. Servire il paese, come ogni mestiere che richieda sentimento e consapevolezza, non è affare semplice. Non lo è per il militare né per la sua famiglia. Sono in gioco i valori e, molto spesso, anche i grandi ideali. Non è sempre divertente e facile; perlomeno, non è scontato. E qui il discorso si apre in mille rivoli. La prima obiezione, spesso ricordata nei racconti, è la questione del guadagno in termini economici che si prospetta al militare che va in missione. Certo, si potrebbe rispondere che in fondo nessuno si accontenta 8
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di lavorare gratis, soprattutto se mette in gioco la serenità personale e dei propri cari in luoghi che non sempre corrispondono ai tradizionali canoni di vacanza. In realtà non emerge una assoluta primaria importanza della questione economica: nella famiglia militare una delle prime cose che vengono tenute in conto appare essere invece la soddisfazione del militare per il suo lavoro. Meglio un partner soddisfatto, ci dicono queste storie in cui la famiglia decide di affrontare maggiori difficoltà di gestione, piuttosto di soffrire l’insoddisfazione lavorativa del proprio militare. Resta comunque il problema rappresentato dal fatto che, dopo anni di opinione pubblica avversa, di messa in discussione dei valori storici tradizionali, di freddezza da parte del settore politico (alla pubblicazione del libro rimane ancora irrisolto il caso dei due fucilieri della Marina Militare Italiana detenuti in India da due anni senza ancora un processo), il settore militare, e la vita dei militari con le loro famiglie, rimane confinato in un limbo distante, diverso e dunque vulnerabile a qualsiasi critica. Nessuno si sta preoccupando di avvicinarlo alla vita civile. Il disinteresse delle istituzioni che traspare da questi racconti viene subìto spesso in modo acritico da chi lo sperimenta. Come se questo orientamento fosse ormai consolidato e troppe volte accettato. Una china pericolosa nel nome del politicamente corretto, che il più delle volte corrisponde alla scelta irresponsabile di non prendere posizione da parte di chi invece dovrebbe decidere. Eppure stiamo parlando di persone che, insieme con i loro cari coinvolti nelle scelte, stanno costruendo giorno dopo giorno il proprio paese portandone avanti i valori e gli interessi sia sul territorio nazionale, che nei paesi dove l’Italia persegue i propri obiettivi di politica estera attraverso la partecipazione alle operazioni e alle missioni internazionali. È triste verificare che il paragone con quanto succede nelle forze armate di altri paesi si presenti alla mente in modo ultrarapido. Perché ciò significa che allora davvero alle famiglie militari italiane sta mancando qualcosa, se pensiamo che negli Stati Uniti la First Lady e il capo di stato maggiore della Difesa festeggiano Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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pubblicamente i bambini figli dei militari. Personalmente ritengo che non sia una differenza di tradizioni, ma una questione di rispetto per la persona e, parallelamente, di avvicinamento all’ambiente civile, per costruire una comprensione e un consenso che con la distanza non sono neppure immaginabili. In quest’ottica tutta italiana dell’aiutati che il ciel ti aiuta, nel deserto dell’interessamento istituzionale, è nata un’associazione che ha deciso di sostenere le famiglie militari. È L’Altra metà della Divisa, a cui le famiglie fanno riferimento come a una boa di salvataggio in un mare in tempesta. Convenzioni e promozioni, ma anche tanta disponibilità all’ascolto, oltre che l’organizzazione di mostre e momenti di incontro, hanno portato questa associazione a un rapido sviluppo su tutto il territorio nazionale. Per arrivare ovunque ci sia bisogno di sostegno di fronte all’inevitabile momento di smarrimento che arriva prima di una missione di sei mesi, o in preparazione di un rientro con tanto di reinserimento in famiglia e società, augurandoci che al militare sia andato nel frattempo tutto bene. Quella del rientro dei militari feriti, per non parlare dei caduti, invece, è tutta un’altra storia che sfuma pian piano dopo la sensazionalità della notizia.
Paola Casoli @Paola CasoliBlog
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PREMESSA
Quando abbiamo parlato per la prima volta di questo progetto, di mettere nero su bianco le storie delle donne che attraverso AMD avevamo conosciuto, e soprattutto di quelle che AMD l’hanno costruita e si stanno impegnando per vederla crescere, non sapevo dove questa strada mi avrebbe portato, né sapevo dove volevo arrivare. Di certo ero animata da un’intenzione: rendere palesi i disagi e le criticità della vita di una famiglia militare. Ho messo insieme le storie, intrecciandole. Alcune donne sono andata a cercarle nella speranza che volessero concedermi il privilegio di poter essere depositaria della loro grande ricchezza: qualcuna ha detto no, qualcuna ha dovuto pensarci a lungo, altre hanno provato a buttare giù qualcosa di scritto, ma non sono riuscite a continuare perchè i vissuti dolorosi hanno preso il sopravvento. E per alcune di loro é stato meglio tenere chiuso il cassetto, sperando non si riapra mai. Altre, invece, hanno accolto l’iniziativa di buon grado e con grande entusiasmo hanno partecipato a questo progetto. È il caso di Delia, Elena, Giorgia, Monika e le altre, le cui storie colorano queste pagine. I loro nomi sono di fantasia, le loro storie sono state private di elementi riconducibili alle loro identità, per tutelarne la privacy. I loro racconti sono un dono a tutte quelle famiglie che questo percorso di vita lo stanno intraprendendo adesso, a chi affronta un periodo di crisi e pensa di non riuscire a superarlo. Sono storie di speranza e di coraggio, sono storie di mogli e di figlie che sono riuscite a utilizzare le proprie risorse emotive e psicologiche per far fronte
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agli eventi critici, che hanno saputo guardarsi intorno e prendere da quello che le circondava ciò di cui avevano bisogno. Storie di donne che a volte, con sacrificio e dolore, hanno saputo stare accanto a una divisa riuscendo in qualche modo a completarla, divenendone una metà non proprio perfetta, ma che con testardaggine e audacia combaciava perfettamente con il loro vivere. Raccogliendo le storie e cercando in ognuna di essa di rintracciarne le linee principali, mi sono commossa, mi sono arrabbiata, ho sofferto con ciascuna delle protagoniste. Perché ognuna di esse rappresenta una vita vissuta pienamente, ognuna di esse rivela un cuore degno di essere ascoltato e ancor di più accarezzato. Questo libro nasce dall’intento di porre l’attenzione sulle problematiche delle famiglie militari che lungi, a mio modo di vedere, dall’essere simile alle altre, presentano un particolarissimo e specifico processo evolutivo che spesso, a oggi, deve confrontarsi e modellarsi sulle assenze, sulla ridistribuzione dei ruoli, su di una indipendenza affettiva e sociale precoce, imposta . Ci sono vissuti ed emozioni, che permeano ogni storia, che le hanno dipinte con medesima intensità e ne costituiscono un denominatore comune: la solitudine, la paura, a volte il dolore di ritrovare un soldato ferito, la necessità di ricercare nuove modalità di adattamento, la grande flessibilità. Ma, in particolar modo, emergono, in ognuna delle protagoniste, la forza, la necessità di appartenere, di sentirsi parte di qualcosa o di qualcuno per cui ogni giorno si combatte una battaglia di precarietà emotiva e sociale. Ho cercato di individuare un filo conduttore per comprenderle meglio e a mia volta mettere a fuoco nuovi strumenti e spunti per aprire ambiti di riflessione e di approfondimento. La prima parte di questo libro è un avvicinamento teorico, oltre che emotivo, all’area di interesse che ha caratterizzato e costituito uno dei punti focali dei miei studi in questi ultimi anni, volti al l’individuazione e alla messa a punto di nuovi concreti ed efficaci strumenti di sostegno, ma ancor più di una più pro12
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fonda e mirata capacità di comprensione. I primi capitoli introducono una stringata ma essenziale finestra sull’approccio della Stress Family Theory, che ritengo molto attraente e affascinante in quanto teoria dell’opportunità e non della patologia. Come intervenire con queste famiglie per far sì che la loro capacità di affrontare gli eventi stressanti non degeneri in una crisi? Fare in modo che la percezione di ciò che accade, di ciò che si vive, assuma un sapore di possibilità piuttosto che di declino. Questo è il punto di partenza per ciascuna di esse, che si traduce e moltiplica in una serie di percezioni e consapevolezze: essere coscienti della vita che le aspetta, avere l’opportunità di condividerla con altre persone, sentirsi parte di qualcosa che possa sostenere e consolare nei momenti di maggiore stress, renderle consapevoli delle risorse a disposizione e dar loro la possibilità di cumularne ulteriori, ravvisare l’occasione di creare qualcosa di nuovo a seguito di eventi che, in prima battuta, appaiono limitanti e pregiudizievoli. Ciascuna si è trovata in uno stato di stress generato dai periodi di missione, dalle malattie, dai trasferimenti. Ognuna di esse si è rimboccata le maniche e ha fatto scelte, trovato alternative, adottato strategie, costruito nuovi legami. Ognuna è riuscita a modificare la percezione degli eventi per giungere alla fine a un adattamento funzionale, che poi ha visto altri cambiamenti. E chissà ancora quanti ne vedrá negli anni a venire. Qualcuna è riuscita a ricucire le fila della propria vita tenendo unita la propria famiglia, qualcun’altra, invece, ha visto il proprio matrimonio sgretolarsi nel lacerante gioco delle relazioni. Narrando di loro, delle loro emozioni, dei loro sogni, delle risorse che le tengono in piedi, ho vissuto questo viaggio all’interno di una grande famiglia che oggi non ha confini, non è chiusa dentro le mura domestiche ma si amplifica sempre di più e, attraverso la rete, ha trovato una rotta lungo la quale navigare, per ricevere sostegno e affetto, per lottare per i propri riconoscimenti e i propri diritti. Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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L’ultima parte del libro è un omaggio all’Altra Metà della Divisa Rete Supporto Famiglie Militari, attraverso le parole di chi ne ha conosciuto le potenzialità e ne ha ricevuto fattivo aiuto e concreto sostegno psicologico. Una realtà tutta italiana dove mogli, fidanzate, compagne e figlie, si sono unite, strette, per poter realizzare un sogno: quello di non sentirsi né essere più sole.
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LA FAMIGLIA MILITARE
La famiglia militare non è come le altre. La famiglia militare è un universo a parte perché, oltre ad affrontare i periodi evolutivi tipici di una vita insieme, che a volte si caratterizzano come stressanti, è contrassegnata da assenze e da continui riassestamenti, partenze e ritorni, equilibri instabili. Sia che la scelta di sposare un soldato sia consapevole sia che la divisa arrivi in un secondo momento, il nucleo delle storie ritrova sempre un filo conduttore comune: una scelta che richiede determinazione e coraggio, spesso sacrifici e capacità di reinventarsi. La scelta di indossare una divisa richiede una dedizione quasi totalitaria alla vita, ai principi e alla mission che la vita militare richiede, determinando notevoli difficoltà nella conduzione dell’ usuale quotidianità associata di norma alla vita familiare, spesso legata a routine, sicurezza e stabilità. “Nella realtà della vita quotidiana i militari appartengono contemporaneamente a famiglie e all’Istituzione militare, e vivono dunque costantemente una condizione esistenziale di possibile contrasto tra le richieste dell’una e dell’altra, condizione che pone continuamente di fronte ad alternative psicologicamente gravose.” (Sertorio, Nuciari) Non possiamo pertanto attribuire a queste famiglie uno schema preciso, ma soltanto ravvisarne il percorso di vita come un continuo evolversi di eventi che, in maniera più o meno stressante, segnano la loro crescita ed evoluzione.
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In Italia la professionalizzazione delle Forze Armate ha determinato progressivamente un rafforzamento della sua presenza nel nostro quotidiano. Molti dei nostri giovani hanno scelto questa carriera e in alcune città, prettamente a connotazione militare, non c’è una famiglia in cui non ci sia un marito, un figlio, un cugino, o genero, o moglie, o figlia, che non indossi una divisa. Spesso sono i militari stessi a creare un divario enorme tra la propria famiglia e l’istituzione militare presso cui prestano servizio, coinvolgendo i coniugi, o chi per loro, solo in occasione di eventi eccezionali, e soprattutto solo se strettamente necessario. D’altra parte le stesse famiglie giocano il loro quotidiano tra notizie celate e disagi ridimensionati: soprattutto durante i periodi di missioni all’estero, le problematiche vengono taciute dalle famiglie stesse per non gravare ulteriormente sulla condizione psicologica di chi deve svolgere il proprio lavoro. Così sembra che paradossalmente tutto fili liscio se la famiglia, che spesso è lontana dal luogo d’origine, riesce a costituire il proprio supporto sulla capacità di costruire relazioni individuali funzionali in maniera autonoma e se possiede buone capacità di resilience. È condotta tipica dell’italiano medio confinare tra le mura domestiche le proprie criticità a difesa di se stessi, avvalendosi della propria maschera. Il tentativo delle famiglie militari di separazione dei due contesti ha pertanto l’unico scopo di proteggere. Ciò vincola i due mondi in un isolamento di cui nessuno dei due può trovare giovamento: sordi alle esigenze reciproche, spesso il militare si trova nella condizione di essere imbrigliato e strattonato in egual modo e con egual forza da entrambi. Tale condizione di contrasto, nel desiderio di soddisfare le richieste di entrambe le realtà , pone il militare di fronte a scelte a volte psicologicamente gravose, favorendo in lui terreno fertile allo stress. Poco abbiamo imparato dalle atroci esperienze di guerra e, come Paese, con l’aria che tira in questo periodo, non siamo stati capaci di costruire una rete capillare di supporto alle famiglie militari, neanche dopo i lutti che ci hanno colpito e continuano a colpirci. 16
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È una questione di cultura, forse anche economica e sociale. Sarebbe sufficiente guardare all’esperienza delle altre Nazioni e prendere spunti sufficienti a creare per noi qualcosa di simile, anzi, migliorativo. Basterebbe varcare i nostri confini. Potremmo, ad esempio, rubare all’esperienza statunitense una realtà che testimonia una maggiore integrazione tra l’Istituzione militare e la Famiglia, soggetto fondamentale che nelle storie, qui raccontate, fa da protagonista. I media non ci sono molto di aiuto e le critiche nei confronti delle missioni incidono sull’opinione pubblica, ampliando la spaccatura tra mondo militare e mondo civile. È difficile comprendere da parte di quest’ultimo la complessità e la difficile quotidianità di una vita da militare, soprattutto se chi te la racconta ha lo scopo di evidenziarne le implicazioni politiche. Togliamo questo filtro e proviamo a starci dentro, cercando per una volta di scovare un comune senso di unione e partecipazione. L’uomo o la donna in divisa sono una parte degli attori della nostra storia, le cui azioni hanno un’influenza fondamentale sulle scelte familiari intraprese, soprattutto in balia di un sistema che spesso chiede e poco si pone in ascolto. Queste situazioni, ad oggi, sono sempre più frequenti in quanto, per alcuni reparti, le missioni sono diventate una routine. Oggi diversi uomini sono impiegati all’estero, in un turn over continuo, e con loro anche le famiglie, che rimangono in attesa mentre la vita continua a scorrere. “Se scegli un uomo in divisa, scegli anche il suo lavoro”. Lo sento dire spesso dalle mogli dei militari, “il problema è che il suo lavoro non ha scelto te”. Ci sono coniugi che affrontano con forza d’animo e determinazione i disagi derivanti da numerosi trasferimenti, soprattutto nelle fasi iniziali di una carriera militare. Trasferimenti ancor più pesanti quando a lavorare sono entrambi e il coniuge spesso è costretto a reinventarsi un nuovo impiego o, nella peggiore e più comune delle ipotesi, a rinunciarvi, pur di tenere unita la famiglia. Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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È questo il senso di un supporto concreto: semplicemente dare ascolto e comprendere un sistema familiare e lavorativo che può vivere periodi di forte stress, non determinabile necessariamente da un possibile lutto. Oggi la ribalta della cronaca ci parla di queste famiglie solo quando avviene un lutto o un sequestro, perché i sacrifici giornalieri non fanno notizia. La vita di una famiglia accanto al suo soldato è costellata da un quotidiano e continuo reinventarsi di fronte a tante perdite, spesso di tempo insieme, altre volte determinate dai cambiamenti di città, molto più spesso semplicemente dalle lunghe assenze. A queste famiglie è dato il compito di accoglienza e di guida, di sostegno materiale e di ricerca e creazione di un gruppo in cui ci si riconosca e si identifichi. Spesso però il desiderio di protezione nei confronti dei propri legami familiari va a danno della capacità di associarsi nell’interesse collettivo. Si cerca così di massimizzare unicamente i vantaggi della propria famiglia nucleare con l’idea che tutti facciano in egual modo, perdendo e rimanendo privi, così, del senso dell’appartenenza a una comunità. È evidente, ai giorni nostri, l’assenza di ethos comunitario, di relazioni sociali e morali tra famiglie e individui all’esterno della famiglia, realtá che penalizza pesantemente la possibilità di attivare un supporto utile e fondamentale a nuclei familiari sottoposti a costante stress. Le storie di queste donne, che qui si raccontano, sono una chiara testimonianza delle difficoltà che queste famiglie ogni giorno affrontano e come tutto il loro percorso di vita possa avere un senso diverso solo se riusciamo a fare in modo che la percezione degli eventi sia più funzionale a un buon adattamento.
La family stress and Coping Theory Le principali teorie che studiano le dinamiche familiari, ri18
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spetto alle reazioni a eventi critici, pongono il focus sui cambiamenti che in esse si possono verificare e di conseguenza sui possibili adattamenti che la famiglia mette in atto. In particolare, nel tentativo di costruire sia il telaio che un continuum di significato per le storie delle famiglie che ho incontrato, ho scelto di appoggiarmi, e pertanto utilizzare, la teoria della Family Stress and Coping Theory che si concentra sugli eventi critici e imprevisti che la famiglia può incontrare nel suo percorso di vita, inserendo in essa anche eventi che possono essere annoverati come prevedibili e naturali ma che, in un contesto di disequilibrio e disadattamento, possono trasformarsi in elementi di criticità aggiunta, come ad esempio la nascita di un figlio. La teoria originale dello stress familiare fu sviluppata da Reuben Hill (1949), che studiò le risposte familiari alla guerra, la separazione a causa della guerra e i possibili ricongiungimenti dopo la II Guerra Mondiale. Quando l’Approccio definito Family Stress and Coping Theory, iniziò a prendere piede, si concentrò principalmente sulle crisi familiari e sulle reazioni agli eventi stressanti che incidono sul normale funzionamento della famiglia. Successivamente i teorici, sviluppando questo approccio, approfondirono le abilità adattative della famiglia e le sue capacità di fronteggiamento, e analizzarono pertanto tutte le modalità che la famiglia utilizza per affrontare gli eventi stressanti che si presentano. Ogni famiglia è quindi attrezzata, attraverso le sue risorse interne, per fronteggiare totalmente o parzialmente gli eventi stressanti che incontra; tali risorse si ampliano con il contributo degli interventi sociali, e pertanto esterni,che possono derivare dai legami affettivi e relazionali costruiti dalla famiglia stessa, o dall’appoggio della comunità presente. Hill propose un modello, il Modello ABCX in cui considera come i tre fattori (i cosiddetti componenti ABC), cioè rispettivamente l’evento stressante , la percezione dello stress da parte della famiglia e le risorse familiari, interagiscano tra di loro, allo scopo di predire la probabilità di verificarsi di una crisi nel conEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata
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testo familiare. Ciò non toglie che ogni nucleo familiare possa affrontare eventi stressanti che richiedono l’attivazione di vecchie e nuove risorse, ma tali eventi non necessariamente determinano uno stato di crisi. Se la famiglia riesce in qualche modo ad avvalersi delle sue risorse interne ed esterne per affrontarlo in maniera efficace, lo stressor può essere superato creando anzi nuove opportunità di crescita e di ampliamento delle risorse stesse. Non è detto che periodi di vita caratterizzati da diversi livelli di stress giungano necessariamente a una crisi, ma tale situazione può essere affrontata in maniera funzionale in modo che la famiglia possa, in qualche modo, conviverci. Una “crisi”, infatti, è data dalla inabilità della famiglia ad attingere alle risorse, cosa che, di conseguenza, determina la disorganizzazione del sistema. Se e quanto un evento stressante possa portare alla crisi dipende dalla percezione dello stesso, da parte di una famiglia, in modo positivo o negativo. In buona sostanza, quindi, la crisi produce un suo effetto, più o meno devastante, la cui portata dipende dalla capacità della famiglia di reperire risorse e, in egual modo, dalla percezione che la famiglia ha dell’evento stesso. Hill (1958) disse che la definizione soggettiva che la famiglia faceva dell’evento era determinante nel definire l’interpretazione dell’evento e il disagio che lo avrebbe accompagnato. La considerazione di tali eventi , in maniera critica e negativa piuttosto che foriera di stimoli, rendeva la famiglia più propensa alla crisi. Il modello ABCX è però limitato, e alcuni dei maggiori critici ne individuano la fragilità nel fatto che si limiti a studiare solo variabili di precrisi e di crisi. I sociologi McCubbin e Patterson nel 1983 svilupparono “the Double ABCX Model”, che aggiunse variabili post-critiche (ad esempio meccanismi di coping) per spiegare come le famiglie si riprendevano dalle crisi e raggiungevano l’adattamento nel tempo. Affinché la famiglia possa in quale modo giungere a un adattamento che sia un buon adattamento o un maladattamento, si prevede attraversi tre periodi: la disorganizzazione, la ricerca di 20
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soluzioni, e infine una nuova organizzazione. Nel 1949 Hill definì situazioni stressanti per le famiglie militari eventi come: l’“inadeguatezza degli alloggi, la convivenza forzata con i suoceri o altri parenti, la malattia della moglie o del figlio, il lavoro della moglie e la necessità da parte sua di assumere entrambi i ruoli parentali, e i problemi di educazione dei bambini derivanti dall’assenza del padre”. Da questi eventi vogliamo partire per fare un viaggio tra le difficoltà e i disagi delle famiglie militari italiane soprattutto alla volta e nell’intento di scoprire le risorse che queste donne ogni giorno hanno messo in campo per ritrovare un nuovo adattamento quotidiano alla complessità della loro vita. Vivere lontani dalle proprie famiglie d’origine, soprattutto quando le famiglie si ampliano per la presenza di bambini, è un’aggravante rispetto all’economia non solo monetaria del nucleo ma anche organizzativa e soprattutto affettiva. I nonni sono una risorsa fondamentale nella gestione della quotidianità o rappresentano comunque un supporto emotivo importante. Affinchè i genitori possano lavorare entrambi, a volte la figura dei nonni viene sostituita da baby-sitter che diventano carta fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio familiare. I trasferimenti, altro nodo cruciale tra i disagi maggiori di queste famiglie, determinano continui adattamenti da parte dell’altro coniuge che a sua volta deve reinventarsi una nuova vita non solo sociale ma anche professionale al fianco del proprio soldato, qualora ne abbia le opportunità. Incontriamo pertanto donne che nella loro vita hanno imparato a gestire di tutto per far in modo che, al ritorno del soldato, la famiglia sia serenamente pronta a riaccoglierlo. Donne che hanno saputo costruire e mantenere solidi legami nonostante le distanze, che hanno attivato il lato materno e paterno, dentro di loro, per sopperire alle assenze educative, mantenendo solidi i legami padre-figli.
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