Ti amo anima mia. Una storia di violenza

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A Tu per Tu



Najaa

Ti amo anima mia «Të dua shpirti im» Una storia di violenza


Prima Edizione: 2014

ISBN 9788898037537 © 2014 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Settembre 2014 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)


A mia madre e a mio padre che sono una grande coppia, quindi a tutte le Donne che non si arrendono e agli Uomini che le rispettano. Ma anche e soprattutto a me stessa.



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Prefazione Prologo I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV XVI XVII XVIII XIX XX Epilogo

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Ciao a tutti, mi chiamo Najaa e quella che segue è la mia storia. Sono una ragazza che ha subìto violenza, prima psicologica e poi fisica, a seguito di un tormentato amore. Ma sono anche cuore, anima, polmoni... Sono una ragazza che non ama arrendersi e se ho deciso di non lasciare solo dentro me le vicissitudini che seguono, è per vari motivi. Il primo, il più importante, è sicuramente quello terapeutico. Scrivere mi ha aiutata ad esorcizzare il male, nel momento in cui lo sentivo ancora forte e addosso, sopra e dentro alla pelle. Mi ha aiutata a fare chiarezza sulla mia sensibilità, sulle mie paure. È stato un lavoro di introspezione e di cura e credo pertanto, di poter essere orgogliosa, nell’averlo fatto e nell’essermi finalmente affrontata, nonostante non sia mai una cosa semplice da attuare. Quello che è arrivato in seguito è stato il valore aggiunto della pubblicazione. Avere avuto questa opportunità, per me, ha significato un ulteriore motivazione, un passo importante, per potermi in qualche modo avvicinare ad altre donne, sperando di stimolarle a reagire, portarle a riflettere, ad affinare i loro sensi, affinché non si sentano mai inferiori, da buttare via, né tantomeno si lascino rubare il cervello da chi sicuramente non le merita.

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Spero con le mie parole di poter arrivare ai vostri cuori e di sentire il vostro calore, in un abbraccio immaginario enorme e solidale. Guardatevi dentro e amatevi sempre, prima di amare gli altri. Solo così potrete provare a raggiungere la vostra serenità. Un grazie anticipato a chi mi leggerà e sosterrà. Najaa

Sito: www.najaa.it Facebook: Najaa

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La casa è avvolta dal silenzio. Un insolito, inquietante silenzio. La Tv è accesa ma è come se fosse priva di suoni e diventa impercettibile. Solo le lancette dell’orologio di vetro irrompono e scandiscono decise i battiti della mia angoscia. Mi è mancato questo rifugio, eppure, ora che è di nuovo mio, non riesco a viverlo. Giro per le stanze con gli occhi sbarrati, continuamente all’erta, tremo e fatico a stare ferma. Me l’avevi garantito che saresti stato la mia ombra per sempre, se ti avessi lasciato e ora la trovo scura e ingiusta incollata sulla mia. Mi pedina e anche il tuo respiro sul mio collo incombe. Penetra nelle mura che ingiustamente hai sporcato e le rende vive, una gabbia mobile intorno a me. La percezione di morire non si dimentica. Si insidia nelle vene per sempre e ti rende una persona diversa, consapevole che la morte è un rapidissimo secondo e che quello che la precede, se sai che sta per arrivare, è invece qualcosa di interminabile. Una dilaniante tortura. L’estate è qua fuori. Mi osserva come ad aspettarsi un cenno di gratitudine per essere arrivata. Ricambio lo sguardo attraverso i vetri, che hanno visto tutto, carichi di dolore, sporchi, e osservo la luce restando inespressiva. 11


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Non riesco a sorridere. Spargo di sale l’ingresso, poi inizio a bruciare incensi senza aroma. Voglio che la mia casa mi accolga, che l’aria torni ad essere pura, respirabile, che il tuo ricordo svanisca, ma non funziona. Tutto sa ancora troppo di te e tutte le mie cose sembrano maledette. Come hai potuto imbrogliarmi così, straniero? Sei stato indubbiamente molto bravo e all’improvviso sono diventata vecchia. Una ragazza passata e con gli occhi spenti. Tolgo le nostre foto sotto vetro appese al muro e inevitabilmente continuo a vedere noi. Il mio vestito a fiori, i sorrisi ingenui, il futuro che non esisteva. L’assuefazione che avevo di te, delle tue parole, delle tue labbra e non me lo perdono, perché ero cieca mentre abile muovevi i fili del mio cuore. Sei stato un Giuda nella mia vita. Sei entrato piano poi hai invaso tutto senza rispettare le barriere. Troppo passionale. Lacerante. Torno a casa oggi, dopo mesi di assenza, ma non sono guarita. Ho fasce di dolore attorno alle braccia e alle gambe. Schegge di vetro dentro agli occhi. Mi stendo sul divano, li chiudo e vedo gocce purpuree che dall’alto scendono giù. Questo accade adesso e si ripete. Prendo l’aria a piccolissime dosi perché involontariamente il respiro si blocca e ti sento. Allungo una mano e posso quasi toccarti. Sei sdraiato anche tu qui ma in maniera scomposta. Tieni una sigaretta tra l’indice e il medio della mano destra e le finestre chiuse, tanto per farmi un ennesimo dispetto. 12


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La Tv ti cerca ma non la guardi. La mia coperta blu copre un terzo del tuo corpo. È un’abitudine perché in realtà non hai mai freddo. C’è sporco ovunque: briciole sotto al tappeto, polvere sui mobili e uno sputo di Coca ormai appiccicosa vicino al tavolino di vetro. Un albero di Natale è ancora all’angolo, vestito con tutti i ninnoli che ho scelto con cura per agghindarlo. È elegante e malinconico. Scuro dietro ai colori vivi. Il rosso sa di sangue ora, non sa di festa. Accanto ad esso c’è ancora la cornice doppia che ho decorato per il nostro primo Natale insieme che ci inquadra abbracciati sereni. Siamo accucciati a terra esattamente accanto a quell’abete di plastica. Buffo è il destino. Mi alzo, tengo stretto fra le mani lo spray al peperoncino e mi dirigo verso la camera. Mi tocco il viso, non fa più male eppure nello specchio le ferite ci sono tutte. E ci sono anch’io, sul letto enorme, rannicchiata nel terrore sopra ad un cuscino. Non voglio stare più con te. Per questo sei alienato. Vuoi ribadire che il padrone sei tu e che io non posso decidere nulla, tantomeno di andarmene. Accade tutto in un attimo. Mi ti butti addosso con una forza inverosimile. Sento le tua dita dentro i miei occhi che premono forte. La tua mano aperta riesce a prendermi tutta la faccia e la tua violenza a sollevarmi come fossi di polvere. Credo di provare un grosso dolore ma subito di non accorgermene. 13


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Il cuore va a tremila. Ne sento i battiti impazziti e temo possa scoppiare, poi mi scaraventi sul letto e chiudi la porta, allora non lo percepisco più. Tutto diventa una nuvola di strazio. Qualcosa di veramente impossibile da spiegare. «Ora tu muori! Hai capito? Muori!» Mi dici questo e lo fai fissandomi con una follia incontrollata. Forse tremo. Divento pallida e di ghiaccio. Sento davvero che non uscirò viva da questa stanza. Ho un terrore mai avvertito così potente sotto alla pelle. Non so cosa fare. Continui a riempirmi di botte. Mi prendi la testa e me la sbatti in giù più volte. Mi afferri per i capelli per rialzarmela. Poi ancora e ancora. Urlo tanto come ho visto fare solo in certi orrendi film ma arrivi a tapparmi la bocca tempestivo e subdolo. «Non strillare! Zitta! Stai zitta o è peggio per te!» I vicini sentono, lo so, ma il silenzio aumenta e diventa asfissiante. Sono impotente e sola con la mia magrezza e il mio spavento. Stavolta non ti fermerai. Hai già commesso una cosa grave picchiandomi e per questo, arriverai fino in fondo e mi sgozzerai! Penso questo, non ho speranze e sono terrificata, ma smetto di gridare, tanto nessuno arriverà a salvarmi. Sto ferma e sono lucida. Scorrono deboli i minuti e realizzo che tutto sta accadendo realmente. Poi ti allontani poco da me ed inizi a camminare avanti e indietro per la stanza, ai piedi del letto. 14


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Ti tieni la testa fra le mani e farnetichi: «Perché mi hai fatto fare questo? Perché?» Sono io la colpevole. Come sempre, anche ora che siamo giunti alla fine. Sei irriconoscibile. Hai lo sguardo di un folle e l’agitazione pure. «Calmati! Ti prego calmati!» Cerco di farti ragionare ma tu insisti nel dirmi di non fiatare e di non toccarti. Sei in preda allo squilibrio. Non ti ho mai visto così. Continuo a stare immobile. Cerco una via d’uscita e non la trovo. Cerco un pensiero che possa deviare il tuo delirio ma la mente è vuota e il sapore del sangue arriva a riempirmi la bocca. Chiedo di poter andare in bagno a sciacquarmi il viso. Ti metti davanti alla porta. Pensi che voglia scappare. Con la mano mi tocco le ferite e ti mostro il sangue, come se non lo vedessi già, così ti decidi a farmi prendere un po’ d’acqua ma mi stai addosso e mi controlli. Vuoi che mi sbrighi e che torni in camera. Ho il viso tumefatto, i denti rossi, le gengive e il labbro spaccati, i capillari degli occhi lacerati ma tu non vedi niente e fulmineo mi riporti sul letto stavolta senza chiudere la porta. Dici frasi impastate tra i denti, poi inizi a piangere. Hai una crisi di nervi. «Io non ti ho mai detto bugie! Devi credermi! Io voglio una famillia con te, un figlio con te!» «Ti credo ma ora calmati. Ti credo!» Dici che le mie sono solo parole di paura. Hai ragione. Ho paura, una fottuta, disperata paura! 15


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Ti guardo e non ti riconosco. Non so più chi ho amato in tutti questi anni. Sei un mostro pieno di rabbia e di tristezza, trepidamente schizofrenico ed io non posso guarirti. Come esco da qui non lo so. So che ti prendo le mani e ti dico di guardarmi. Voglio che mi riconosci, che ti ricordi di noi come nelle foto più dolci. Ti dico di calmarti, mille volte. Voglio che fermi la testa e torni in te. Poi mi alzo e vado verso la mia borsa in salotto e non mi blocchi ma ti insospettisci. Me la togli di mano e cerchi dentro. «Voglio solo il telefono, chiamo a lavoro per dire che faccio ritardo.» Mi trema la voce. Temo di nuovo il peggio ma non trovi nulla di equivoco. Se l’avessi trovato, probabilmente, non sarei riuscita a scappare e mi avresti massacrata ancora. Ti chiedo di accompagnarmi fuori. Non so perché ti convinco ma so che mentre scendo le scale mi sembra un miracolo. Sei dietro di me e mi segui fino all’automobile poi entri dentro. Il tempo sembra infinito. Mi implori di perdonarti per quello schiaffo. Così lo chiami, uno schiaffo. Tanta brutalità ridotta ad un misero ceffone. Fai anche lo sguardo mite, non ti arrendi. Credi di potermi ancora raggirare ma non è così. Stavolta mi hai terrorizzata e se sono apparentemente calma, è solo per liberarmi di te. 16


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«Devo andare... » Scendi dalla vettura e mi lasci andare. Non so perché lo fai. Forse sei sicuro che tornerò, che ti perdonerò ancora e non andrò dalla polizia. Sei in piedi e continui a guardarmi con gli occhi pieni di disperazione a nascondere l’ennesima bugia. Farfugli le ultime frasi del copione, abusando della mia fragilità. Dici che ti ucciderai. Vuoi essere certo che tornerò. Non c’è nessuno. Improvvisamente le case intorno sono vuote. Le finestre chiuse. Siamo solo io e te, nonostante sia pieno giorno. Metto in moto e senza guardarti più, me ne vado, non so nemmeno dove. Poi inizio a piangere. Un pianto irruento, impaurito, estremo. Gli occhi venati di rosso, la faccia gonfia e un senso totale di abbandono. Non mi capacito di come riesco a guidare in questo stato, con la nebbia che dalle pupille si spande ovunque a confondermi la strada. Singhiozzo e parlo da sola, senza sapere che fare, poi chiamo mia madre, poi la polizia. Devo dire che sono stata aggredita, che sono scappata da casa mia, che sono in pericolo, che un uomo mi voleva tagliare la testa. Chiamo e dico che un uomo si vuole togliere la vita. Di fare presto. Di andare a controllare. Non mi credono. Insisto. 17


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«Andate a vedere, per favore!» Anche loro sanno delle tue falsità e sono convinti che non lo farai. Sono una maledetta stupida, fino all’ultima lacrima, a preoccuparmi per te invece di proteggere me stessa. Non avresti mai sacrificato la tua vita per nessuno. Unicamente la mia ed ora, in questa casa piena di tenebre, su questo divano disinfettato e sotto a questa coperta blu che mi avvolge, ne ho l’assoluta certezza.

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I

Se c’è un posto per ognuno dove ha l’inizio l’amore per me è sicuramente tra le pareti di un bar e se c’è un momento preciso, beh, quel momento è esattamente quando i suoi occhi verdi splendenti incrociano i miei. Se c’è un tempo, quel tempo è marzo. Un bancone ci divide e quel bancone rappresenta una distanza quasi sacrale dove tutto può prendere forma. Lui è un ragazzo molto attraente, si presenta a me con le poche parole che intende nella mia lingua ma il suo accento indimenticabile basta per colpirmi. «Ciao bella, come ti chiami? Io sono Sajmir.» Semplicemente dice una frase ma in me scatta qualcosa. Che cos’è un colpo di fulmine non lo so, ma credo sia molto simile a questo. Guardare la sua faccia straniera e trovarla assolutamente familiare. Non conoscerlo e non riuscire a distogliere l’attenzione dal suo sorriso. Voler rispondere con disinvoltura e non esserne capace. Pronunciare le lettere del mio nome in maniera timida dovendo abbassare lo sguardo. Tutto questo credo si possa definire un colpo di fulmine oppure non definire affatto. 19


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La stanza è piena di luci e di chiacchiere. La mia noia è la stessa di una qualunque altra sera passata nello squallore di questo posto. Le voci straniere si affollano incomprensibili poi pian piano si offuscano. Vorrebbe dirmi di più ma non lo fa. Si va a sedere sul divanetto di velluto verde dai contorni lisi. Gioca con il telefono e mi osserva come si fa con una preda. Improvvisamente ho un déjà-vu. Il bar è molto elegante. Signori e signore sono ben vestiti e sorseggiano i loro caffè ai tavolini, in maniera composta. Note di musica classica sono lievemente percettibili ed una splendida domenica di sole li attende. Sfogliano pagine già vecchie di giornali spiegazzati poi ordinano distrattamente pasticcini dipinti per allietare un giorno di festa. Nient’altro. Il déjà-vu finisce. Guardo fuori attraverso la porta di vetro un po’ sporca e trovo il buio. Sui tavolini da pochi soldi non c’è nulla. Tanti uomini dall’età indefinita con in mano i loro bicchieri alcolici fanno squadra senza nemmeno conoscersi. Ridono e mischiano le loro dense parole alle note balcaniche che pretendono ad alto volume. Cercano di sentirsi a casa, forse meno soli, ma lo fanno con un’arroganza estrema e mi intristiscono. Penso agli abitanti di questa città che avrebbero diritto di trovarsi a proprio agio nel loro storico bar e invece si sentono spodestati e si tengono in disparte. I miei sguardi tornano sul divanetto. Cercano una spiegazione nell’indigenza di questo contorno. Lui è sempre lì con la sua bellezza che ammalia, esattamente 20


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come un quadro d’autore dimenticato in un posto sbagliato. Sorrido un po’ ma lui lo fa di più ed è disarmante, poi si alza e torna verso di me. Mi chiede se sono italiana. «Si,si, italianissima!» Lo dico con una soddisfazione mista a dolcezza e questa cosa sembra piacergli. «Ti trovo qui domani?» Non rispondo. Sono i miei occhi a farlo al posto mio. È un flash questo momento eppure basterà per mettermi le catene. Certamente mi troverà. E mi troverà come una che non vuole cedere, che non vuole innamorarsi e che non ha bisogno di nessuno al proprio fianco. Una ragazza forte che si è posta dei limiti e che intende rispettarli per riprendere in mano la propria vita, per guardarsi bene dentro e non sbagliare ancora. Una che teme un uomo di una cultura così diversa e non si mischia, non per razzismo, semplicemente per paura o per scelta. Ma l’amore fa paura e non si sceglie mai. È la cosa più scontata del mondo e decisamente la più vera. Proprio per questo entrerà e mi troverà come una che aspetta di vederlo entrare dalla porta di vetro. E lo farà ogni giorno, con gli occhi pieni di sonno e la camminata disinibita di chi si è posto un obiettivo e intende raggiungerlo. Si siederà e ordinerà il suo caffè macchiato, ignorandone lo schifoso gusto. 21


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Lo berrà ma non dirà niente. Farà finta di apprezzarlo. Camufferà le smorfie, per non offendermi. Non si permetterà e si mostrerà sempre come un gentiluomo. Imparerà rapidamente parole e verbi nuovi, per potermi conoscere meglio. Gareggerà con gli altri e avrà la certezza, a differenza loro, di riuscire a prendere il mio numero di telefono. Io sarò molto attratta ma fingerò il contrario e non lo considererò mai come un truffatore. Gli altri offriranno soldi per veri matrimoni d’interesse, lui no. Lui non offrirà e non chiederà niente. Si limiterà a guardarmi in un modo indescrivibile e mi entrerà nell’anima, molto in fondo. Il modo in cui il suo viso si presenterà a me mentre mi parlerà, riuscirà a confondermi. Gli angoli della bocca, il sorriso di cui ne saranno pieni gli occhi. Non so come descriverlo. Ogni cosa sarà velata di incanto e mi rapirà al punto tale da farmi oltraggiare tutti i divieti. Vorrei tenermi la mia vita, la mia libertà, le mie idee e forse anche la mia solitudine. Vorrei capire cosa c’è in me che non va. Cosa non va negli altri. Perché ogni volta faccio in modo che le mie storie finiscano. Vorrei rispettare la distanza e tutto il resto ma questo è esattamente quello che non accadrà. Lui ammiccherà una volta di troppo ed io diventerò instabile. Le mie sicurezze cadranno una dopo l’altra con la velocità incontrollabile dell’amore e in breve mi perderò. C’è una pausa dopo questo incanto. Un momento di vuoto dove esco allo scoperto e affronto la 22


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verità dentro di me senza giudicarmi. Lui non entra, non c’è nessun momento del caffè e improvvisamente quelle che sono semplici giornate di lavoro diventano ore pesanti alle quali non riesco a trovare nessun senso. Mille volte con l’attenzione verso quella porta malconcia e nessun sorriso. Torno a casa e mi sento triste e mi manca qualcosa. Mi manca lui. Interi giorni come questo e non riesco a dimenticarlo eppure basterebbe semplicemente lasciar fluire questo tempo. Se si potesse prevedere la sofferenza nel nostro destino, sarebbe tutto più semplice. Invece gli eventi ci travolgono. Le persone entrano a far parte della nostra vita, a volte per caso, senza il nostro volere e non si riesce a mandarle via. I sentimenti non si riescono a controllare. Ci vorrebbe un cuore di metallo per arrivare ad essere indifferenti nel momento più opportuno ma il mio è tutto tranne che metallico. Lo cercherò. Chiederò di lui come una ragazzina alle prime armi e mi agiterò quando tornerà. E lui lo farà una mattina prima del solito e prima di tutti e da quel momento nulla potrà più essere lo stesso ed io non potrò più fare finta di niente. Mi colpirà profondamente come nessun altro mai. Terrà un’unica rosa rossa fra le mani. Verrà verso di me e il mio sorriso si farà esorbitante. Avrò pure gli occhi un po’ lucidi e arrossirò. Mi avvicinerò al suo viso e lo ringrazierò con due baci sulle guance che si avvicineranno troppo alla sua bocca e mi emozionerò ancora, poi lui se ne andrà. Prenderò la rosa e la conserverò in un bicchiere grande da 23


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cocktail riempito d’acqua fresca. Gelosa, la nasconderò a terra, sotto al bancone inviolabile, lontana dagli sguardi impiccioni di tutti. Perderò la concentrazione sul lavoro e probabilmente molto di più, il controllo totale della mia vita. Resterò rapita da quel gesto, attonita e sognante quella mattina e lui mi lascerà esattamente così, con un fiore, un biglietto ed un cuore abilmente manipolato. Rimarrò titubante solo per poche ore, poi avrà il mio numero e molto ancora di me. Sono stata una stupida. Non ho mai gradito i fiori come regalo, li ho sempre trovati banali e superflui e proprio da una rosa mi sono lasciata adescare. Ancora adesso la guardo, appoggiata sui miei libri, rigida ma fragile, scura, dove solo il rosso del nastro che la lega è rimasto acceso e rivivo quei momenti e sorrido, poi divento triste e l’amore diventa un laccio stretto al mio collo.

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II

I rintocchi delle campane sono precisi, puntuali, complici. La nostra location è una casa pesta, con le pareti scrostate e umide. Il bagno fa schifo, la cucina è inagibile e nella camera ci sono solamente un letto piccolo disfatto e un mobile vecchio con sopra una tv altrettanto antica e mal funzionante. Io sono come Cappuccetto Rosso che non riconosce il lupo cattivo. Sono una bambina sognante che non si accontenta e va alla ricerca di un sentimento estremo. Sono una bambina molto curiosa e non provo paura. Rischio perché so che non può accadermi niente. Cose malvagie capitano agli altri, non a me. Sono un’ingenua e non so perché mi nutro di queste convinzioni, ma resto qui, in questo posto gelidamente estraneo e vorrei solo stringermi perché trasmetto davvero molta tenerezza con due occhioni scuri incapaci di nascondere un pensiero come di mantenere un segreto. Sono qui. È un errore ma lo vedo come l’inizio di una delle storie d’amore più belle e forti in assoluto. Sono abbracciata stretta a lui, il mio uomo inesplicabile, che con le mani grandi scova i tratti nudi della mia pelle. 25


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Cerco di non cadere dallo spazio gramo dove siamo distesi, ascolto il silenzio e mi sento, seppur confusa, decisamente viva. Sento i suoi battiti, il desiderio che ha di me e mi trovo bella. Sento la mia anima riempirsi e questo sembra bastarmi per non andarmene. Ho bisogno che qualcuno mi illuda di nuovo sui sentimenti, mi faccia credere che il destino esiste e unisce le persone anche se provenienti da mondi diversi e lontani. Che qualcuno mi dia ancora fiducia e mi faccia sentire importante. Le labbra si fondono e sono burro, poi si staccano. «Ti amo. Io ti amo. Ti amo.» Sono irreali quei suoi Ti amo ma hanno il tono forte della droga. Non mi conosce quindi non può amarmi lo so, ma so anche che quello è il suo modo per farmi sapere che sta bene. Sono le parole più semplici da usare dopo il silenzio, per non farmi indietreggiare. E funziona. Gli resto accanto totalmente persa in un sogno nitido dove non ho la benché minima lucidità. Sono infatuata dai suoi occhi, dalla sua dolcezza, dalle carezze che mi regala. A malapena riusciamo a comunicare ma ci diciamo tutto e questo riesce a stregarmi. Questo tempo non tornerà. Questo senso dell’amore. Questo coinvolgimento impossibile da spiegare, come da prestare a qualcun altro. Questa melodia di campane che ravvisano lo scorrere delle ore e ci sembrano incredibili. Nulla di tutto questo tornerà. 26


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Questa è una notte speciale. Una notte senza sonno dove sono cullata dal suo calore intenso e mi sento protetta. «Io non ho paura di te.» Non so perché glielo dico ma mi sento al sicuro fra le sue braccia estranee. Anche i suoi respiri sono parole che non riesce a dire ma di fatto si fanno spazio dentro di me e ci albergano. Li accolgo insieme al suo tormentato affetto. Li diluisco goccia a goccia, per farli durare a lungo ed averli ancora con me, una volta lontana da qui. Non dormirò con lui. Non resterò nella tana e non asseconderò tutte le sue voglie. Ad un certo punto, prenderò la mia pelle chiara e il mio corpo magro e li porterò via, in un diverso spazio. Ma sarà solo per un altro frammento di notte e poco più, poi sarò di nuovo persa nel suo magnetismo inspiegabile. Non dovevo correre troppo. Non sapevo niente di lui. Niente della sua terra. Non sapevo perché vivesse come un vagabondo, senza vestiti, senza soldi, senza un presente, né perché si trovasse nella mia città, lontano dalla sua famiglia. Poteva essere chiunque. Un malato di mente. Un poveraccio. Un assassino. Poteva essere chiunque eppure non ci pensavo. Pensavo a come aiutarlo. Al giorno dopo quando l’avrei rivisto. Al cibo che gli avrei portato. Ai vestiti che gli avrei regalato insieme ad un nuovo presente, accanto a me. Ero una crocerossina. Volevo prendermi cura totalmente di lui 27


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e portarlo a casa con me, senza domande inutili che non avrebbero trovato risposte. Mi compiacevo semplicemente dei miei nuovi battiti e sorridevo. Ero felice. Ero smarrita. Ero in pericolo.

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III

«Ciao amore mia finalmente!» Mi aspetta disteso sul divano, decisamente annoiato e forse anche un po’ invaso di malinconia, ma alla vista di me, i suoi occhi riprendono colore ed è magnifico. Vederlo così preso e ascoltare quella sua pronuncia singolare sa di dolcezza e mi fa sorridere. Adoro il suo italiano imperfetto. Gli ho dato una vera casa dove stare. Una sera col buio abbiamo preso le poche cose che aveva nel suo alloggio e siamo arrivati da me ridendo come matti. Ubriachi di noi e del nostro amore. Le nostre giornate sono semplici. Io rientro ogni sera, dopo il lavoro, più che stanca ma con un esagerato entusiasmo di rivederlo. Trovo quasi sempre i piatti, le posate, i bicchieri, ogni cosa, sul tavolo e mentre cucino, lui si mette accanto a me e mi osserva. Non si lamenta mai. Non ha pretese. È umile e qualsiasi pietanza, elaborata o meno, la ritiene perfetta. Mangiamo insieme tranquilli, con i sorrisi che cadono nei nostri piatti e gli occhi che si specchiano facendo del marrone e del verde un’unica tinta. Lui finisce quasi sempre prima di me ma resta seduto ad aspettarmi e mi dice: «Fai con calma, non ti preoccupare.» 29


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È pieno di premure e ci tiene che mi riposi, così appena abbiamo entrambi finito, io mi sdraio sul divano e lui si alza e riordina tutto poi arriva ad adagiarsi accanto a me. La sua pelle è un fuoco, lui è irresistibile e non aspetta a farmi sentire quanto gli sono mancata tutto il giorno. Facciamo l’amore a lungo e la stanchezza scappa via, poi restiamo abbracciati per un tempo infinito. Mi addormento così mentre mi sussurra: «Dormi amore mia» e mi accarezza la pelle. Incontrare la persona giusta spesso è difficile ma vivere di momenti pieni di batticuori speciali è altrettanto raro ed impagabile. Quando si provano emozioni così forti non si ha veramente bisogno di nient’altro. Si può finire la vita e non accorgersene, senza provare dolore. Ringraziavo il cielo per averlo incontrato e lui faceva lo stesso. Diceva «Oh, Zot, Zot... »1, in un modo che solo lui riusciva a rendere esclusivo, poi scuoteva la testa e iniziava a dirmi che non aveva mai provato qualcosa di così intenso con nessuna. «Tutte le altre donne avevano dentro il freddo, tu no, tu sei calda, tu sei sthriga2, mi hai fatto una magia.» E rideva. Nessun incantesimo. Erano i cuori a cercarsi, i corpi a voler stare appiccicati e sarebbe dovuto essere per sempre. Ero andata contro tutte le convenzioni per averlo. Senza ascoltare i giudizi malvagi delle persone, anche se notavo come 1 2 30

Zot nella lingua albanese significa Dio Strega


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lo guardavano semplicemente perché non era italiano e di conseguenza notavo come guardavano anche me che l’avevo ospitato a casa. Non so chi realmente si sarebbe dovuto sentire in colpa, se io, lui o gli altri che avevano concepito figli senza sapere nulla sull’amore e si limitavano a guardare storto. Non mi importava. L’averlo incontrato colmava ogni vuoto. Non mi serviva l’appoggio di nessuno. Non c’è un modo attinente alla verità per spiegare quello che si ha dentro e che è unicamente nostro. A me bastava chiudere la porta di casa per sentirmi invincibile perché il mondo era davvero fatto di noi e di nessun’altro e che ci poteva essere di altrettanto sublime? Quando lo portai a conoscere la mia famiglia, ricordo l’imbarazzo di tutti. Lui stava silenzioso, a testa bassa seduto in un angolo e non sapeva cosa dire. Si vergognava della sua pronuncia maldestra ed evitava il dialogo. Sembrava quasi timido. Io mi sentivo semplicemente una che irrompeva nel presente. «Bevi qualcosa? Ti va una birra?» Mia madre provava ad essere disinvolta ma era totalmente disorientata perché oltre a trovarsi davanti un estraneo si trovava a dover affrontare molto di più e forse non era affatto preparata. Si faceva andare bene la situazione solo per non fare un torto a sua figlia. Non voleva responsabilità sulle mie scelte ed io lo apprezzavo anche se percepivo ogni suo timore. Si sarebbe abituata e come lei tutti gli altri e le stranezze sarebbero diventate cose normali senza dubbio o almeno speravo che fosse così, ma più di tanto non me ne curavo. 31


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Ogni mia attenzione era verso di lui. Lo volevo far sentire a suo agio. Volevo che capisse bene la mia lingua e che potesse essere indipendente anche senza la mia presenza, senza sentirsi in difetto mai. Parlare della nostra quotidianità non è importante. Stavamo bene e i giorni scorrevano quasi tutti allo stesso modo. Io mi alzavo al mattino cercando di fare piano e di non svegliarlo. Mi preparavo ed uscivo. Lui restava a casa cercando di ingannare il tempo come poteva, spesso con lunghissime conversazioni telefoniche ed io lo lasciavo fare. Credevo si sentisse solo. Gli mancavano i parenti e gli amici e sicuramente io ero troppo piccola per riuscire a riempire quei vuoti. Gli regalavo tutto il mio tempo non lavorativo, interamente le pause pranzo, tutte le notti e ogni domenica che avevo libera anche se ad un certo punto non bastava più. Lui si sentiva insofferente perché tutto il giorno ero fuori, perché non poteva aiutarmi economicamente e invece avrebbe voluto. «Amore non è un problema. Ce la faremo ad andare avanti, non ti preoccupare.» Lo rassicuravo anche se di difficoltà ne accusavo parecchie. I soldi mancavano e non potevo permettermi nella maniera più assoluta di mantenere oltre a me un’altra persona, ma lo amavo e non volevo perderlo. Non volevo si sentisse un peso. Non era colpa sua se ci trovavamo in quella situazione. Senza documenti italiani non avrebbe mai trovato un lavoro. 32


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Aveva chiesto un po’ in giro ma nessuno era disposto a rischiare. Se non potevano assumerlo regolarmente allora lo mandavano via con un bel mi dispiace. Per avere i documenti non c’erano tante speranze, avevamo fatto richieste su richieste ma di fatto di stranieri come lui ne era piena l’Italia e le leggi non offrivano niente se non ospitalità provvisoria. Io non ci capivo niente di tutte quelle regole, lo vedevo solamente che si innervosiva per aver subìto altre volte questa prassi inutile ma senza darmi troppe spiegazioni. Si limitava a dare calci all’aria ed ad incupire lo sguardo. Io lo lasciavo sfogare, poi lo tranquillizzavo: «Calmati. Tutto si aggiusterà. Ci penserò io, non preoccuparti.» Le mie parole placavano poco la sua ira poi inevitabilmente tornava sereno e si andava avanti. Seguiranno mesi di attese, di speranze, di cene romantiche nei ristoranti dove leggerò i menù per lui. Di tè caldi sorseggiati nei bar sempre con gli occhi negli occhi. Di passeggiate e sigarette respirate profondamente mentre il cielo ci osserverà e saprà già tutto di noi. Mentre sognerò e cadrò giù, nell’immensità dell’oceano.

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IV

A dare movimento alle cose è la stagione che cambia. È forse una domenica di maggio. Siamo in un posto speciale fatto di prato e cielo limpido. Io indosso lenti scure e vestiti leggeri, lui semplicemente se stesso. Farfalle rare colorano il nostro sfondo e il vociare lontano dei bambini ogni tanto ci distrae. Un plaid accoglie i nostri corpi, distesi ancora una volta uno accanto all’altra. Le note sono i nostri respiri, la vita è tutto ciò che ci circonda. L’amore sono le sue parole e i miei fremiti. «Tesoro io voglio scrivere di noi, qui... » Mi prende la mano sinistra e indica l’anulare poi lo sfiora e mi guarda. Vuole una condivisione fatta di inchiostro indelebile sotto pelle. Chiede un patto intimo. Chiede me per sempre e mi commuove. Mi spiega la vita e la semplicità del senso profondo che noi tanto cerchiamo. Mi parla di famiglia, di cuori che si cercano e che non possono stare lontani. 35


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Di figli da lasciare al mondo al posto nostro. Di insegnamenti e affetto. Fisso il cielo e dentro mi sento tremare, poi divento infelice. Mi sento di colpo, una persona inutile, una che ha sprecato troppa vita, una che ha sciupato anni a fare cose da ragazzina invece di costruirsi un futuro. Così provo a giustificare a lui il mio vissuto già andato via, ma in realtà è a me stessa che lo giustifico. «Tutto quello che ho fatto, giusto o sbagliato che sia, mi ha resa quella che sono adesso. Altrimenti non sarei così e forse nemmeno ti piacerei. E poi non mi avresti conosciuta.» Butto queste frasi lì, un po’ agitata e senza riflettere. «Non è vero. Tante cose che hai fatto sono state inutili. Senza quelle saresti stata la stessa e poi se era scritto magari ci incontravamo in un posto diverso ma ci incontravamo lo stesso.» Si riferisce agli ex che ho avuto, alle serate in discoteca senza un perché dove ho fatto scorrere la notte, agli studi che ho lasciato per inseguire un’amica frivola. Si riferisce a tutte le cose che gli ho raccontato di me e che non gli sono piaciute. Mi parla come un prete che assolve i peccati ed entra in profondità. Mi destabilizza. Anche la frase più scontata diventa la più saggia per me e appare come citazione di una Bibbia letta distrattamente e poi dimenticata. Di discorsi me ne fa tanti poi arriva a dirmi, con una tenerezza nuova: «Io e te siamo già una famiglia, lo sai?» Ed aggiunge di volere tanti figli con me, come non ha mai 36


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desiderato con nessun’altra. «Guarda quei bambini che giocano, che belli. Io li adoro.» Forse ha studiato il modo di fare colpo su di me in ogni particolare ma io non penso ad una sua manovra. Indirizzo lo sguardo verso i bambini degli altri, che si litigano un pallone e sono innocenti. Sono tutto quello che lui mi ha spiegato. Sono l’amore e forse il senso di certe vite. Mi perdo così, nelle sue frasi, come qualsiasi altra donna innamorata avrebbe potuto fare. Lo credo troppo e sono fuori controllo. Credo al nostro futuro e a quel tatuaggio mai inciso. Credo in lui e di aver finalmente ritrovato me stessa ed il mio tempo. Credo di aver annullato il sapore leggero dell’inutilità che mi pesava addosso. Questo accade in un giardino speciale, in un giorno qualunque, poi il sole scende, l’aria fresca arriva sui miei capelli e sale all’apice la voglia di noi. Prendiamo rapidi le nostre cose e scappiamo via, a rincorrerci nel nostro privato. Rientriamo a casa e facciamo l’amore più volte, con la passione assoluta che scorre nelle sue vene e io mi lascio percorrere e vincere. Do a lui ogni pezzo di me, senza divieti, potendogli dare di più: un figlio in questo momento, poi il giorno finisce e finisco anch’io. Divento quasi invisibile, impercettibile. Riesco quasi a scomparire, totalmente persa dentro al suo potere.

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