Trovare lavoro e vivere per sempre felici

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Punti di Vista

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Luca Paolo Libanora

Trovare lavoro

e vivere per sempre felici

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Prima Edizione: 2014 ISBN 9788898037414 © 2014 Edizioni Psiconline - Francavilla al Mare Psiconline® Srl 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A Tel. 085 817699 - Fax 085 9432764 Sito web: www.edizioni-psiconline.it e-mail: redazione@edizioni-psiconline.it Psiconline - psicologia e psicologi in rete sito web: www.psiconline.it email: redazione@psiconline.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi. Finito di stampare nel mese di Gennaio 2014 in Italia da Digital Print Service srl - Segrate (MI) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconline® Srl)

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Dedico questo lavoro a Italo: è sempre stato e sarà sempre il giudice delle mie fatiche

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INDICE

Pඋൾൿൺඓංඈඇൾ Cඈආඉඋൾඇൽൾඋൾ ඉൾඋ ඈඋංൾඇඍൺඋඌං ඇൾඅඅ’ൺඍඍඎൺඅൾ ආൾඋർൺඍඈ ൽൾඅ අൺඏඈඋඈ Principi-guida: uno sguardo oltre i curricula e i colloqui di selezione Principi-guida: cosa cercano in realtà le aziende Come produrre in termini pratici e di opportunità questo principio? Orientarsi fra i paradossi del mercato del lavoro Paradosso dei paradossi: come sfruttarlo? Cൾඋർൺඋൾ ඈർർඎඉൺඓංඈඇൾ: ർඈඇඈඌർൾඋൾ ඉൾඋ ൽංඏൾඇඍൺඋൾ ൺൻංඅං ඌඍඋൺඍൾ඀ඁං Vince il candidato più “simpatico” L’euristica della simpatia: una dimostrazione empirica. Perché troppo spesso, dopo un colloquio positivo, si interrompono i contatti? Ricercare e ottenere informazioni sull’azienda e l’organizzazione Lo specchio dell’anima dell’organizzazione: l’annuncio di reclutamento Iඅ ർඎඋඋංർඎඅඎආ ඏංඍൺൾ ൾ ඀අං ൺඅඍඋං ൽඈർඎආൾඇඍං ඉൾඋ ඉඋൾඌൾඇඍൺඋൾ අൺ ඉඋඈඉඋංൺ ർൺඇൽංൽൺඍඎඋൺ Il Curriculum vitae: considerazioni generali Con che ordine inserire le esperienze ed il percorso Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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formativo? C’è curriculum e curriculum Le referenze Come ottenere una lettera di referenze La lettera di presentazione...

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Iඅ ർඈඅඅඈඊඎංඈ ൽං ඌൾඅൾඓංඈඇൾ Il colloquio di selezione: considerazioni generali Le domande ricorrenti nel colloquio di selezione: come rispondere? Cosa vuole quella persona così gentile ma un po’curiosa in sala d’aspetto? L’approccio generale all’intervista di selezione Vademecum di consigli e informazioni utili La griglia del colloquio di selezione: che domande aspettarsi? Come rispondere alle domande? Conoscere e descrivere se stessi per anticipare fasi critiche del colloquio Le domande intrusive ed indagatrici: come gestirle? Il faccia a faccia con il valutatore La comunicazione e il colloquio di selezione Comunicazione verbale Comunicazione non-verbale Comunicazione para-verbale Contatto visivo La “profezia che si autoavvera”: ottengo ciò che voglio (ma non so di volere) Le regole della “comunicazione assertiva” Incrociare i guantoni e battere l’avversario. Come sfruttare i bias del valutatore a proprio vantaggio? Come definire le caratteristiche di chi ci valuta? Incrociare i guantoni e… gestire la difesa Come è possibile aggirare i propri errori?

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Il modello del “public-speaking” per gestire le emozioni del colloquio Il ruolo delle emozioni nel parlare in pubblico Come le emozioni condizionano i nostri comportamenti Le emozioni collegate al parlare al giudice I metodi per superare l’emozione dell’impatto con il valutatore Come imparare a parlare in situazione di giudizio Vincere l’ansia… da colloquio La respirazione Esercizi di rilassamento La visualizzazione Lൺ උංർൾඋർൺ ඌർංൾඇඍංൿංർൺ ඇൾඅඅ’ൺආൻංඍඈ ൽൾඅඅ’ංඇඍൾඋൺඓංඈඇൾ ൽൾඅ ർඈඅඅඈඊඎංඈ ൽං අൺඏඈඋඈ La ricerca, cosa insegna? Alcuni spunti interessanti dai principali filoni di ricerca Mൺඇඍൾඇൾඋൾ ൾ ർඋൾൺඋൾ අ’ඈർർඎඉൺඓංඈඇൾ: ඉඈඌඌංൻංඅං ඌඍඋൺඍൾ඀ංൾ Felici sì ma… per sempre sempre? Avere un piano B sempre pronto nel cassetto Essere esperti nella ricerca di lavoro Studiare le opportunità che si aprono anche grazie alle condizioni di crisi del mercato economico e del lavoro Trovare lavoro o mantenere il lavoro: oggi, cos’é più difficile? E una volta entrati in azienda, è cosa fatta? La formazione continua per essere strategici in azienda Ma quale formazione? Cosa si intende per “competenza trasversale”? Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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Cඈ඀අංൾඋൾ අൾ ඈඉඉඈඋඍඎඇංඍඛ ൽൺඅඅൺ ർඋංඌං: 5 ඌඍඈඋංൾ ൽං ർඁං අ’ඁൺ ൿൺඍඍඈ Angelica Tiziano Rossella Alberto Gianpaolo

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PREFAZIONE

Trovare lavoro... e vivere felici per sempre Si può scherzare con la difficoltà di trovare e mantenere un lavoro, vista la fase poco felice che stiamo vivendo un po’ tutti, direttamente o indirettamente? In realtà, anche se può sembrare forzata, la metafora è più vicina a un piano di realtà, che a quello delle barzellette. Tutti noi conosciamo la difficoltà di creare, con il matrimonio, un’unione felice e soprattutto duratura. La stessa difficoltà è quella che rende difficile e complessa la promessa che le due parti, un lavoratore e un’azienda in questo caso, si scambiano reciprocamente: quella di soddisfare vicendevolmente le rispettive necessità (economiche, produttive, di trasferimento di competenze...), ma soprattutto quella di soddisfarle a lungo. Perché, se parliamo di confetti e bomboniere, un matrimonio che si chiude comporta gravi e lunghe sofferenze, soprattutto quando sono le parti ad imporsele decidendo di rimandare il momento effettivo della separazione. Allo stesso modo, molte persone sperimentano l’insoddisfazione lavorativa proprio perché non è stato ben gestito il processo di selezione e di socializzazione (l’ingresso, la formazione, l’integrazione nel gruppo di lavoro...) che è qualcosa ben più complesso rispetto al semplice incontro di domanda ed offerta. Questo libro è dedicato a tutti coloro che in questo momento stanno vivendo la difficoltà della mancanza di lavoro e Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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dell’insoddisfazione della propria occupazione. Da una parte ciò è dovuto ad evidenti difficoltà del mercato, ma anche ad una cultura (soprattutto nelle micro-imprese) che non dà adeguata dignità agli strumenti di reclutamento del personale; ma, ancora prima, è dovuto all’errata gestione della risorse umane, che produce “matrimoni infelici” e causa costi, non solo in termini economici, ai lavoratori e anche alle stesse imprese (come è dimostrato dall’alto tasso di turnover in un periodo di così evidente crisi occupazionale). Questo libro vuole essere soprattutto una guida: comprenderne i meccanismi, scoprirne i criteri, apprenderne i “trucchi”, consente di orientare al meglio la propria ricerca di lavoro, evitando molti errori che pregiudicano le opportunità ma soprattutto aumentando le possibilità di ottenere un’occupazione gratificante e duratura. Vi troverete, oltre a consigli, “riflessioni a voce alta” fatte da chi si trova spesso dall’altra parte della barricata ad interpretare le ansie e le incertezze di chi cerca un’occupazione o vuole migliorare la sua condizione lavorativa, così come strumenti utili ma, soprattutto, l’opportunità di ampliare il campo di conoscenze per poter orientare proficuamente la ricerca e creare opportunità. Troverete inoltre rivelati molti dei “trucchi” del mestiere di reclutatore. Può apparire curioso che il selezionatore spieghi “come si fa”: nessuno andrebbe allo spettacolo di un prestigiatore se ne conoscesse i trucchi. In realtà il ruolo che ci siamo ritagliati è quello del professionista che cerca di fare gli interessi di entrambe le categorie coinvolte nel processo di selezione (il candidato e l’azienda) poiché siamo convinti, ed i migliori risultati ci danno ragione, che la soddisfazione dei bisogni di una categoria non possa prescindere dalla soddisfazione dei bisogni dell’altra. Buona lettura.

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COMPRENDERE PER ORIENTARSI

NELL’ATTUALITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO

Principi-guida: uno sguardo oltre i curricula ed i colloqui di selezione Domanda e offerta di lavoro: questi due termini vengono spesso confusi. Chi è che offre? Il lavoratore che esibisce le proprie competenze, o l’azienda che dispone di un posto di lavoro? Chi domanda? Il lavoratore che chiede lavoro o l’azienda, che cerca un lavoratore? Non è un caso che ci sia confusione; non si tratta di una contesa semantica: la collusione deriva proprio dal fatto che la relazione “offerta-domanda” non è lineare, bensì circolare. Entrambe le parti (anche quando vi è la presenza di un mediatore come un’agenzia di lavoro interinale) offrono qualcosa e chiedono qualcosa. Quando un lavoratore si presenta al bancone di un’agenzia o presso l’ufficio personale dell’azienda non è un postulante che elemosina, ma una persona che ha delle competenze, delle capacità, delle attitudini che possono essere utilizzate proficuamente dall’azienda e per questo chiede in cambio una collocazione. Quando un’azienda riceve un curriculum o la visita di un candidato, allo stesso modo domanda competenze, abilità e capacità e le scambia con un contratto di lavoro. Anche se il rapporto di forza può sembrare decisamente sbilanciato, nel processo di selezione le parti hanno pari peso e dignità. Il processo di reclutamento e selezione non ha lo scopo di Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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fare gli interessi, soprattutto economici, di una parte a discapito dell’altra, ma di verificare se le reciproche richieste coincidono con quanto l’altro è disposto ad offrire. È possibile che questo principio (forse lo state già pensando) funzioni solo su Marte. Siamo consapevoli che sul pianeta Terra le cose sembrano andare diversamente ma, in realtà, anche se esistono paradossi e pregiudizi, sbilanciamenti di potere ed errori sistematici, domanda ed offerta si incrociano solamente se da una parte e dall’altra si accertano esistere, con metodi empirici o strumenti sofisticati, le reciproche soddisfazioni dei vicendevoli bisogni. Se le cose sembrano non andare così è perché, nella rappresentazione che i lavoratori fanno delle organizzazioni, i bisogni delle aziende non sono molto chiari. Non stupitevene: non sono chiari neanche alle aziende. Tant’è che la prima fase del processo di selezione è quello che i tecnici chiamano analisi della domanda. Si tratta di un’operazione, supportata da professionalità e strumenti dedicati, che analizza le caratteristiche della posizione per cui si ricerca il candidato e stabilisce i criteri per la selezione. L’azienda, anche quella più strutturata, quasi mai è in grado di definirli. Così ricorre a metodi che (nel nostro personale gergo), amiamo definire euristici perché, come nei processi cognitivi, la realtà non viene accertata in modo oggettivo, ma dedotta in modo intuitivo. Un esempio? Sicuramente vi siete chiesti (e se lo avete fatto subito dopo vi siete – a ragione – anche un po’ arrabbiati) perché negli annunci di ricerca personale compare costantemente la dicitura “con esperienza”. Cosa vuol dire avere esperienza? Con quali criteri si può accertare e dimostrare? E soprattutto, ogni esperienza può essere trasferita da un’azienda all’altra, da un ruolo all’altro, da una mansione all’altra? In realtà, quasi mai è così. Chiedere un periodo di frequentazione in un’attività pressoché simile a quella per cui si richiede la candidatura è un metodo 14

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molto poco sicuro per dedurre che il candidato sarà in grado di operare proficuamente in quella mansione. Ciò dimostra l’incapacità dell’offerente di definire dei criteri precisi di ricerca e selezione: è come se l’azienda scaricasse sul candidato la responsabilità non solo di definire di cosa l’organizzazione effettivamente ha bisogno, ma anche di dimostrare di possedere effettivamente le competenze necessarie. Metodo euristico, nel nostro glossario, significa dedurre – nel nostro caso – che da una lunga esperienza derivi la capacità da parte del lavoratore di soddisfare quello specifico bisogno, in quella specifica mansione. In realtà nessuna esperienza è replicabile poiché ogni organizzazione assomiglia solo a sé stessa: accertare una solida esperienza non significa affatto poter predire un ottimale adattamento; ciò che definisce questa possibilità sono le caratteristiche personali, attitudinali e, solo in parte, le competenze di base. Queste caratteristiche devono poi essere confrontate con i criteri emersi nella fase di “analisi della domanda”. Migliore è il “matching” (confronto fra stato desiderabile e la valutazione del candidato) maggiori sono le probabilità che si celebri un “matrimonio felice”. Le selezioni condotte con metodologie euristiche non possono che limitarsi ad aspetti superficiali, poiché quasi mai le aziende dispongono degli strumenti per fare analisi approfondite, temendo che questi siano eccessivamente costosi, e trovandosi poi a subire i costi del turnover, stress, conflittualità e demotivazione a causa del mancato adattamento del lavoratore ai processi produttivi, comunicativi e relazionali. La differenza - in termini di predittività dell’adattamento della persona all’organizzazione - fra un reclutamento condotto con metodi sistematici e strumenti professionali ed uno basato sulla deduzione, può essere riassunta in questa metafora: immaginiamo di organizzare una maratona, in cui i classici 42,195 km si sviluppano su un percorso lineare, ben segnalato e uguale per tutti, che prevede (come da prassi) una partenza contemporanea Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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per tutti i concorrenti. È ovvio che, in questo caso, salvo incidenti e imprevisti (che in effetti non si possono escludere anche nel miglior processo di selezione) chi transiterà per primo sotto il traguardo sarà sicuramente il migliore dei candidati, se abbiamo assunto come preciso criterio di valutazione la velocità del concorrente. Immaginiamo ora che, in un’altra versione di questa maratona, stabiliamo ugualmente il punto di partenza e il punto di arrivo, ma lasciamo i concorrenti liberi di interpretare il percorso. In altri termini non stabiliamo punti di controllo e non ci accertiamo che tutti i partecipanti utilizzino le stesse strade. Al traguardo, certamente, qualcuno arriverà prima degli altri ma a questo punto potremo solo ipotizzare che sia il migliore del lotto, poiché non sapremo mai se in realtà è il più veloce, il più fortunato, il più scaltro o addirittura il più scorretto. Non avendo un criterio standard per confrontare i candidati (il percorso), non possiamo neppure stabilire un criterio di valutazione (la velocità, la scaltrezza, la resistenza fisica...?). Insomma potremmo solamente dedurre che probabilmente, ma solo probabilmente, chi ha strappato il filo di lana è anche il migliore e, non avendo metodi per disconfermare questa ipotesi, dovremo accettarla per forza. Questa metafora si può traslare a tutti i criteri euristici di selezione: dedurre un buon adattamento alla mansione in base al numero di anni di esperienza è proprio come credere che il primo a passare sotto il traguardo sia sicuramente il migliore dei candidati alla vittoria. E soprattutto dimostra che chi si basa su questi criteri non conosce e non utilizza metodi in grado di limitare il margine di errore. Un annuncio di reclutamento che riporti la canonica espressione «con esperienza», «con almeno due anni di esperienza nella mansione», «con comprovata esperienza» ecc. dimostra solamente la poca professionalità del reclutatore e chi ne affronterà il percorso dovrà prepararsi ad una selezione condotta con metodi approssimativi. Il reclutamento basato su categorie ampie e poco controllabili, che non consentono di minimizzare i “falsi positivi” (cioé, in altri 16

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termini, pensare di aver individuato il candidato migliore quando in realtà non lo è) e i “falsi negativi” (farsi sfuggire il candidato migliore, perché non si è stati in grado di individuarlo) sono evidentemente una fabbrica di costi, in termini economici e in termini umani, sia per candidati ma, soprattutto, per le organizzazioni. Questi costi sono elevatissimi e rappresentano una parte della scarsa redditività e competitività delle nostre aziende, che stanno perdendo quote di mercato importanti proprio anche perché non vi è attenzione adeguata alla risorsa umana, in un’epoca di estrema terziarizzazione, in cui non si dà più attenzione al valore intrinseco al prodotto, ma ad aspetti di marketing, di creatività, di comunicazione, di relazione... Insomma, aspetti che sono fortemente ancorati agli uomini, e non alle macchine. Può sembrare che questa lunga riflessione sia indirizzata alla persona sbagliata, dato che i nostri lettori saranno sicuramente in maggior numero fra chi cerca un’occupazione, non fra chi la offre. In realtà è proprio il contrario: conoscere le debolezze del nostro antagonista consente di batterlo. I nostri antenati hanno invertito il ruolo preda-predatore, diventando essi stessi predatori, cacciando gli animali che per milioni di anni li avevano costretti a razzolare nel buio e passare gran parte dell’esistenza in tane umide. Una volta scoperto come abbattere i loro antagonisti, questi non hanno avuto uguale capacità di modificare i loro metodi di caccia e di difesa ed hanno iniziato a soccombere. Questa cruda metafora può sembrare fuori luogo, ma è coerente con un processo di selezione fortemente sbilanciato - questo avviene nelle maggior parte dei casi - in cui i giochi di forza propendono fortemente verso l’offerta e su meccanismi poco efficaci, che comportano l’impossibilità da parte dell’organizzazione di scegliere il candidato migliore e del candidato di dimostrare di esserlo. In questi casi la selezione si basa proprio sullo sbilanciamento di forze e su criteri di esclusione, più che di inclusione, nonché sul timore di individuare falsi positivi, allargando notevolmente il rischio di commettere l’errore opposto (individuare falsi neEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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gativi). Questo perché una ricerca sistematica richiede impegno, strumenti e professionalità su cui molte organizzazioni non sono disposte ad investire, proprio perché non sono in grado di pesare adeguatamente costi e benefici a breve e lungo termine. Insomma, le organizzazioni usano gli artigli ma nulla possono, in realtà, contro le lunghe lance di chi ne conosce i limiti ed è in grado di aggirarli. In altre parole, come recita Zigmunt Bauman: «per battere un sistema devi prima conoscerlo». Questo sarà un po’ il filo conduttore di questa nostra piacevole fatica: verranno svelate molte strategie e modalità che riteniamo corrette per affrontare un percorso di selezione con le maggiori possibilità di successo, ma con l’avvertenza (che rinnoveremo all’ossesso) di non accettare i nostri consigli in modo acritico. Ogni contesto è differente e nessuna regola è generalizzabile in termini assoluti. Quello che desideriamo è consentire a chi si appresta ad affrontare una ricerca di lavoro, o una migliore opportunità di carriera, di conoscere le regole che governano questo processo complesso, aggirandone i vincoli e sfruttandone le debolezze. Insomma, proprio come i nostri antenati, imparare ad usare le armi giuste e invertire i rapporti di forza, o per lo meno renderli meno diseguali. Probabilmente questo non sarà sufficiente per guadagnarvi un’occupazione (o un’occupazione più corrispondente alle vostre aspettative) ma sicuramente vi farà scendere in campo con maggior fiducia, anche grazie alla consapevolezza di non commettere i consueti errori che – troppo spesso – pregiudicano le possibilità di successo.

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Il valore delle regole (e delle strategie) Il primo errore che vi consigliamo di evitare è quello di affidarvi a regole e consigli che potete trovare in Internet, presso amici, opuscoli e libercoli che vogliono offrire uno spaccato pratico, ma non lo diventano affatto nel momento in cui hanno la pretesa che le regole siano applicabili in qualunque contesto. Anche i consigli che trovate di seguito valgono meno della carta su cui sono stampati, se li assumete acriticamente come regola assoluta. La regola è “scoprire cosa c’è dietro la regola”, in modo da essere in grado di applicare in maniera contestuale nuove regole, più coerenti con l’ambiente, la situazione e noi stessi.

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Principi-guida: cosa cercano in realtà le aziende? Da quanto riferito poc’anzi, deriva un principio cardine che è fondante per un selezionatore professionista, ma troppo spesso sfugge al candidato che si presenta per un posto di lavoro: l’azienda non cerca il “miglior candidato” in assoluto, ma quello che si avvicina maggiormente al “prototipo” di lavoratore che corrisponde, nella rappresentazione dell’azienda stessa, alla possibilità di soddisfare i bisogni dell’organizzazione. Le possibilità aumentano in relazione inversa al gap, la differenza “risultato desiderato–risultato accertato” del “matching” (confronto) fra ciò che il candidato presenta ed il prototipo di lavoratore che l’azienda si costruisce secondo criteri non sempre esplicitabili. Può sembrare una sottigliezza confinata nell’ambito cattedratico ma è tutt’altro che così; molto spesso i candidati falliscono perché cercano di dare un’immagine migliore di loro stessi sperando di prevalere sugli altri. In realtà non è il candidato migliore che prevale, ma quello più coerente con il “prototipo” stabilito dall’organizzazione. In una fase di estrema competitività del mercato (eccesso di domanda rispetto all’offerta), tener conto di questo principio cardinale può essere discriminante fra successo e insuccesso. La visione sposta non di poco l’angolo di visuale: ciò che cerchiamo, infatti, non è una pacca sulla spalla tipo «complimenti per i suoi successi scolastici, è veramente bravo ad aver concluso il suo master in ingegneria genetica; per quel posto da ciabattino le faremo sapere». Se mi presento per un posto di ciabattino, inserire sul curriculum la laurea a pieni voti ed il master alla Bocconi può portare più svantaggi che vantaggi (rispetto ad un candidato che non ha fatto altro, nella sua vita lavorativa, che piantare chiodi e limare cuoio), poiché allontana irrimediabilmente l’immagine del concorrente da quella del candidato prototipico dell’azienda. Se non è chiara l’importanza di questo principio, talvolta con20

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trointuitivo (ma forse è l’unica cosa limpida in un mercato del lavoro che si basa sui molti paradossi) vale la pena riproporre la metafora dei fiori d’arancio: tutti noi, prima di incontrare il partner che poi sarebbe diventato il nostro compagno di vita, avevamo già in testa, ancora prima delle esperienze relazionali più precoci, un “modello” a cui (salvo percorsi di vita ed eventi che talvolta ci portano su strade diverse) ci siamo affidati per orientare la nostra ricerca. Siamo forse attratti da persone che hanno caratteristiche fisiche particolari, ma non ci sposeremmo mai con qualcuno con cui abbiamo iniziato a litigare dopo pochi attimi dal primo incontro perché non condividevamo niente nella nostra personale visione del mondo e della vita. Un partner - e un candidato ad una collocazione - devono sicuramente saper sedurre, fornendo una buona impressione iniziale, ma soprattutto devono saper persuadere il nostro futuro compagno così come il nostro futuro datore di lavoro. Come molti matrimoni falliscono perché la ricerca si ferma agli aspetti seduttivi (quelli superficiali che si possono accertare anche con metodi euristici), anche molti rapporti di lavoro naufragano nell’insoddisfazione reciproca. Un matrimonio, ed un rapporto di lavoro, generalmente funzionano perché sin dall’inizio i partner sono stati in grado di accertare che la loro unione garantisce la soddisfazione dei vicendevoli bisogni. È relativamente facile sedurre (libri e libretti, siti internet, esperienze riportate da amici e altri candidati... sono prodighi di consigli); la persuasione appartiene ad un piano di senso superiore. La capacità di persuasione non si definisce da come incrociamo gli occhi del nostro esaminatore o se lo “modelliamo” più o meno efficacemente - come insegnano le tecniche un po’ banalizzate della Programmazione Neuro-Linguistica - ma dimostrando in modo oggettivo che corrispondiamo, o ci avviciniamo più di altri, al prototipo di confronto. Il prototipo-guida è pertanto una rappresentazione cognitiva che include i bisogni organizzativi ed i relativi criteri di valutaEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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zione, oltre alle aspettative che tali bisogni vengano soddisfatti. Prima di procedere alla lettura della parte successiva vi preghiamo di fermarvi un attimo a pensare su quanto avete letto prima, per inquadrare gli argomenti successivi (decisamente più pragmatici), in una cornice che inglobi questa nuova visione che vi abbiamo fornito. Come produrre in termini pratici e di opportunità questo principio? Le difficoltà sono evidentemente due: 1. conoscere le aspettative dell’azienda 2. produrre argomenti oggettivi che avvicinino il più possibile l’immagine che noi forniamo al prototipo-guida. Iniziamo dal secondo aspetto: come l’azienda crea questa rappresentazione complessa (e in buona parte in modo svincolato sia da meccanismi logico-razionali sia da criteri efficientistici)? Tale rappresentazione è molto simile a quella che noi tutti utilizziamo quando dobbiamo effettuare una scelta che comporta una certa dose di rischio ed incertezza: per esempio, dobbiamo acquistare un’automobile, un viaggio, o affidarci ad una persona che risolva una nostra qualsiasi necessità. Quando andiamo dal concessionario per acquistare un’auto abbiamo in gran parte già una rappresentazione di ciò che vogliamo e l’acquisto si perfeziona solo se il concessionario ci presenta un prodotto che si avvicina molto (entro un certo grado di “fiducia” che non stabiliamo come gap accettabile per il confronto) al nostro prototipo.

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 Ipotesi

Criterio

Inclusione

Matching

Esclusione

Nella creazione del prototipo-guida che stabilisce il criterio di confronto nella selezione del candidato entrano aspetti emotivi (non è necessario razzolare nella letteratura scientifica per sapere che una candidata attraente ha un vantaggio in più rispetto ad una collega non proprio di bell’aspetto, almeno al cospetto di un selezionatore di sesso maschile e poco professionale), esperienze precedenti dirette e indirette, aspettative di tipo tecnico-pratiche, aspettative economiche e stereotipi-credenze, spesso distorti, che troppe volte prendono il sopravvento rispetto a criteri più oggettivi. Se l’organizzazione è complessa (cioé se il selezionatore riunisce e sintetizza le aspettative di più persone o comparti dell’organizzazione) nella rappresentazione entrano meccanismi di negoziazione di criteri e visioni differenti: ad esempio un’azienda può ricercare personale locale perché alcune competenze sono reperibili solo all’interno di un particolare distretto produttivo, ma far riferimento a criteri non coerenti con la cultura locale, poiché inglobata in una multinazionale con sede e management in tutt’altra parte del mondo. Ciascuno crea la propria rappresentazione secondo una serie di principi che si fondano su meccanismi culturali, sociali e personali ed ordina i criteri secondo una gerarchia che costituisce la guida per il matching (deve essere soddisfatto prima il criterio che sovra-ordina i criteri successivi) e secondo un “intervallo di fiducia” che costituisce un ulteriore criterio di scelta (quando il decisore è disposto ad allargare i confini dei criteri che egli stesso Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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ha definito). Facciamo alcuni esempi facendo riferimento a dinamiche che tutti noi conosciamo: in alcune culture, localizzazioni geografiche o distretti produttivi, per vari motivi uno dei criteri principali di scelta è l’appartenenza del candidato alla comunità locale. Questo criterio spesso sovra-ordina altri criteri come quelli economici e il livello di competenze. Tuttavia, se un selezionatore è disposto a scartare a priori un candidato che presenta le stesse caratteristiche di un altro, che però ha residenza nel luogo, è possibile che abbia un personale criterio di fiducia (ampiezza dell’accettazione) che lo porta ad invertire la gerarchia dei criteri, ciascuno dei quali costituisce un punto di confronto. Ad esempio il matching con il criterio “appartenenza alla comunità locale” risulta negativo (troppo ampio rispetto al criterio di fiducia), ma il criterio “competenze commerciali” ed il criterio “possibilità che questa persona aumenti il parco clienti ed il fatturato” sono soddisfatti appieno ed il decisore può optare per una scelta che non tenga conto del criterio precedente. Vedremo però che i criteri ed i confronti operano in maniera differente ed in tempi differenti nel processo di selezione (ad esempio durante l’esame dei curricula e durante il colloquio di selezione). Del resto anche noi, quando ci rechiamo dal concessionario per acquistare la nostra futura auto, possiamo desiderare - cioé ci siamo creati di essa una specifica rappresentazione - un’auto di una certa marca, con certe caratteristiche, con un certo prezzo ma siamo disposti a modificare le nostre aspettative (ad esempio il colore) se il criterio “prezzo” risulta soddisfatto in maniera positiva (l’intervallo di fiducia del criterio “colore” è perciò molto ampio). Alcuni meccanismi riducono la dissonanza cognitiva che emerge per giustificare eventualmente una scelta non coerente con le aspettative iniziali (es. «avevo deciso che avrei comprato una macchina familiare, tranquilla, ma sono arrivato a casa con 24

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una decappottabile sportiva perché il concessionario mi ha proposto un prezzo che non avrei potuto rifiutare»). L’esempio rischia di mercificare un po’ l’aspetto umano, preponderante nel contesto della selezione, ma dal punto di vista cognitivo il meccanismo è sovrapponibile e può essere meglio compreso grazie ad esperienze che tutti noi abbiamo sperimentato. L’aspetto più intrigante, ma anche più difficile da cogliere, è: poiché tale rappresentazione è così complessa e articolata e in parte neppure accessibile alla stessa persona (o organizzazione) che la produce, come posso definire o intuire i criteri su cui si basa il prototipo per sapere se la mia figura è coerente con essa e quali sono gli elementi che lo confermano e come produrli? Il compito, certamente, non è facile, ma è molto meno inaccessibile di quanto sembri. È comunque l’aspetto strategico e imprescindibile della ricerca di occupazione con esito finale positivo.

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Orientarsi fra i paradossi del mercato del lavoro Il mercato del lavoro, soprattutto in questa fase di fibrillazione che lo rende ulteriormente complesso e poco comprensibile, è animato da paradossi reali e realtà che sembrano paradossali. È paradossale che in questo momento le figure deboli, nel senso che vengono escluse dal mercato e faticano a rientrare, siano anche quelle più pregiate: giovani e persone esperte (anche se per queste, almeno parzialmente, sembra essersi attenuata la tendenza). Il mercato preferisce rinunciare all’apporto di forze “fresche” di competenze attuali e di esperienza, assumendo criteri di mera immediata convenienza. L’effetto contribuisce pesantemente a far perdere competitività alle nostre imprese, che sono in evidente sofferenza. Il nostro è un mercato del lavoro con regole (scritte e non scritte) decisamente “vecchie”, che faticano ad adeguarsi – soprattutto a causa di vincoli economici ed ideologici - e risultano perdenti rispetto ad un mercato ormai globalizzato: un tempo i giovani trovavano forme di occupazione che consentivano loro un ingresso progressivo anche se da questo sono nate esasperazioni che hanno costituito, loro stesse, situazioni di paradosso. Oggi le forme di c.d. “lavoro atipico” sono state ristrette per legge, ma non si è potuto, per legge, imporre alle aziende di modificare i loro criteri di scelta. I giovani sono pertanto le figure più esposte ad incertezze e difficoltà del mercato del lavoro e paradossalmente (contrariamente a quanto avviene in altri Paesi europei) sono anche quelle meno protette dal nostro welfare-state. Da problema occupazionale, pertanto, questo sta assumendo a tinte sempre più vivide i contorni di problema sociale. Altrettanto si può dire per i lavoratori più anziani che perdono il lavoro uscendo, per vari motivi, dal mercato (che sta progressivamente riducendo i suoi numeri) non riuscendo a rientrarvi perché eccessivamente onerosi. Paradossalmente, il sistema-stato continua a proteggere un 26

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prototipo di lavoratore attualissimo negli anni ’60-’70 (quando si sono poste le basi del sistema attuale) e molto meno oggi, in cui si spinge verso una visione differente dall’occupazione fissa per tutta la vita, ma non si creano alternative appetibili a questa. Non è un problema solo culturale ma i vincoli psicologici sono quasi insormontabili senza un evento che favorisca in maniera decisa un’inversione di tendenza. Il mercato viaggia pertanto a velocità diverse, nei suoi vari livelli, creando i già citati paradossi. Dal punto di vista delle aziende (che sono le uniche che possono decidere di assumere o meno) mancano le condizioni di certezza che sono indispensabili per progettare qualsiasi investimento, non solo nel campo delle R.U. In condizioni di incertezza (come dimostrano studi consolidati in campo di psicologia economica - vedi quelle del premio Nobel Daniel Khaneman - che solo in Italia sono pressoché ignorate) le persone restringono il campo di possibilità e stabiliscono confini molto rigidi nelle categorie di pensiero. In altre parole, in condizioni di scarse certezze o con poche possibilità di controllo (e ogni scelta organizzativa comporta un certo rischio) si preferisce ricorrere a condizioni conosciute e incanalate in procedure rassicuranti, anche se possono risultare, ma solo ad un osservatore esterno, antieconomiche e per questo paradossali. Ed è proprio ciò che accade attualmente in molte organizzazioni che, piuttosto che assumere personale anche se il mercato dei prodotti lo richiederebbe, preferiscono agire in condizioni di sottodimensionamento chiedendo agli occupati di “fare da cuscinetto”, aumentando la loro produttività (ad esempio con orari di lavoro dilatati). Infatti, chi lavora, oggi non se la passa poi tanto meglio di chi non lavora, anche se può apparire impietoso esprimere giudizi che prevaricano le opinioni dei diretti interessati. Questa lunga premessa per introdurre quello che è, a nostro avviso, una regola fondamentale che bisogna considerare in ogni fase della nostra carriera lavorativa, sia che ci troviamo inoccupati in attesa di rientrare nel mercato, sia che nel mercato ci Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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siamo già, e dobbiamo agire per non perdere questa condizione. Le aziende cercano una sola cosa: poter assumere i lavoratori quando vogliono e poterli licenziare quando vogliono. Non quando decide il lavoratore o il legislatore. Possiamo passare molto del nostro tempo a discutere se questo sia giusto o sbagliato, quanto questa condizione pesi effettivamente nel mercato della domanda e offerta di lavoro, ma è (paradossalmente) la realtà. E che nessuna disposizione può modificare per legge. Del resto, vista dalla parte dell’azienda, questa visione appare più comprensibile: ogni scelta organizzativa è incerta e ogni persona, soprattutto un imprenditore, tenta di rendere più determinabile l’ambiente. Se questo non è possibile perché chi dovrebbe garantire le certezze – a livello istituzionale – non riesce a farlo, le aziende e le persone si creano le certezze attraverso strategie che, con occhi di osservatori esterni, possono apparire paradossali. Ma non è possibile intervenire in queste logiche, tantomeno grazie all’attività parlamentare: esistono infatti assunti culturali e ordinatori psichici che sovraordinano altre regole e altre convenzioni. Sarebbe, infatti, come se per legge si cercasse di imporre alle persone di non soffrire più la fame o la sete. Può apparire una visione parossistica più che paradossale, ma non tenerne conto e fare riferimento ad una visione del mondo irreale (il nostro sistema cognitivo ci fornisce sempre una visione più ottimistica della realtà – il “bias del mondo giusto”) rischia di metterci in difficoltà. E lo fa ogni volta che ci stupiamo di come, nonostante il nostro impegno, le nostre prestazioni, le nostre competenze, il fatto di aver disseminato curricula in tutto il mondo, nessuno alza il telefono per offrirci un lavoro. Sul piano pratico, non far riferimento a questo principio rischia di farci cadere inesorabilmente di fronte al reclutatore, il quale fa inevitabilmente (sia nel caso si tratti di un opeatore interno che di un consulente esterno) gli interessi di chi gli paga lo stipendio o la fattura. La classica domanda volta ad indagare la storia di vita del 28

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candidato può produrre una risposta (assolutamente reale nell’esempio) di questo tipo: «mio marito è militare, negli ultimi anni abbiamo dovuto cambiare spesso residenza». Il messaggio involontariamente fornito è: «è possibile che – fra un mese, un anno, chissà? – preferisca salutarvi per seguire i trasferimenti di mio marito». Nessuna azienda investirebbe tempo e denaro, nonostante le vostre rassicurazioni, in una condizione di sostanziale incertezza, preferendo rivolgersi ad opzioni (leggasi: candidati) che garantiscono una maggiore possibilità di controllo. Poche aziende sono in grado di definire l’onere esatto del turnover e per questo agiscono restringendo i gradi di controllo, ad esempio preferendo non modificare le condizioni organizzative o affidandosi alla rete di conoscenze dirette secondo modelli “euristici” (ad esempio: “se il mio dipendente Mario è un bravo ragazzo, l’amico di suo cugino lo sarà altrettanto…”) che solo apparentemente garantiscono certezze; in realtà sono solo più rassicuranti perché conferiscono l’impressione di poter agire un controllo diretto. E allora? E allora persone che non sono in grado di offrire condizioni di certezza a basso costo rischiano di rimanere ai margini. I numeri dimostrano che è proprio ciò che avviene. Come più volte troverete riportato in altre parti della dispensa, non esiste mai, pertanto, una risposta giusta ed una sbagliata, un modo di proporsi corretto ed uno sbagliato, un modo di comportarsi giusto ed uno sbagliato: ma sarebbe sbagliato ignorare questi principi, per quanto paradossali, in ogni fase della nostra carriera lavorativa.

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Paradosso dei paradossi: come sfruttarlo? Il mercato si restringe ma (paradossalmente) il turnover non si restringe con la stessa proporzione. Cosa significa? Che molti vengono progressivamente espulsi dal mercato perché escono dalle aziende e non trovano più occasione per rientrarvi, ma le opportunità sono in realtà molto maggiori rispetto a quelle rintracciabili nel mercato ufficiale della domanda e dell’offerta. Si calcola che circa l’80-60% delle opportunità - secondo un osservatore previlegiato come Nicola Giaconi - non finiscano nelle rubriche dei giornali o sulle vetrine delle agenzie di lavoro interinale (su queste, poi, varrebbe la pena spendere qualche pagina, ma lo spazio non lo consente), ma si disperda nella “rete informale” di conoscenze più o meno dirette. Citando come fonte l’Associazione Italiana Operatori e Consulenti di Orientamento, su come avvengano i contatti fra domanda ed offerta, emergono queste cifre: contatti personali 68% società di selezione 15% annunci di lavoro 9% curriculum e lettera 8% La fonte è di qualche anno fa e secondo la nostra opinione i dati si sono ulteriormente modificati (del resto, il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato nell’ultimo biennio e le società di selezione dichiarano diminuzioni drastiche delle missioni). Ma la sostanza cambia poco: i canali che utilizzano generalmente le persone che cercano lavoro sono proprio quelli meno frequentati dalle aziende, soprattutto quelle medio piccole. Ricordiamo che in Italia il 70% degli occupati lavora in imprese con meno di 100 dipendenti. Secondo dati recenti dell’ISTAT, il 96% delle aziende italiane ha meno di 10 occupati, la maggior parte 30

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delle quali non ricorre a sistemi di recluting professionale: questo significa che (a differenza delle grandi aziende che costituiscono però solo una percentuale minimale del panorama) non pianificano il recluting ma cercano gli addetti solo quando si apre una posizione, quasi sempre per uscita di un altro lavoratore (più raramente perché si crea una nuova mansione). Questo significa che se ci presentiamo alla porta di queste aziende per proporre la nostra candidatura, quasi sempre ci sentiremo rispondere: «grazie, ma in questo momento non abbiamo bisogno». Come sfruttare questa situazione, invece di farsene travolgere? Cercando il più possibile di inserirsi, a nostra volta, nella rete di conoscenze, arrivando alle aziende attraverso gli stessi canali con cui queste arrivano ai lavoratori. Ciò non significa non proporsi affatto alle agenzie di lavoro interinale (le quali però, vivono principalmente sul sur-plus di lavoro che, ultimamente, è una condizione piuttosto infrequente) oppure non candidarsi direttamente nelle aziende: significa non sottovalutare anche altre possibilità anche se in questo momento possono apparire quantomeno incerte e indefinibili, complesse e poco favorevoli. Non è assurdo o inutile proporsi direttamente alle aziende, anche se ci vedremo sistematicamente negare il loro interesse. Se un’azienda ci dice che nel momento in cui ci presentiamo non ha aperto una ricerca di personale (e questo è probabilmente vero), se consideriamo i dati del turnover la apriranno molto presto: il tasso di rotazione annuo dichiarato dall’ISTAT (definito come somma dei tassi annui di entrata e uscita) era 236,2 nel 2010. In pratica, ogni 1000 lavoratori, circa 236 hanno cambiato occupazione. Facendo un rapido conto - per quanto approssimativo - e ipotizzando che per ogni lavoratore che esce, uno entra (anche se evidentemente non sempre è così), circa il 10% dei lavoratori di

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quell’azienda, che al momento dichiara di non ricercare personale, uscirà entro un anno e per questo l’azienda sarà costretta a sostituirlo. Il fatto di esserci presentati, di aver portato a mano il nostro c.v. ed aver fornito una buona impressione, ci potrebbe mettere in pole-position, soprattutto se siamo in grado di accomunare anche il fatto che in questa azienda, anche indirettamente, vantiamo qualche conoscenza. In questo caso può essere utile sfruttare tale conoscenza chiedendo di anticipare la nostra presentazione e sulla lettera di presentazione (vedi il capitolo dedicato) riportare: “come d’accordo con il signor XX, dell’ufficio tecnico, mi propongo come candidato per la posizione di YY”. In questo modo forniremo all’azienda una “sponda” di conoscenza (il signor XX) ma, probabilmente, riceveremo anche risposte meno secche (“l’amico dell’amico è un nostro amico”, è la regola di qualsiasi ambiente sociale ristretto). Soprattutto, questa pur breve interazione con l’azienda ci fornirà ulteriori e preziose informazioni: oltre a come viene accolta la nostra candidatura, di come funziona l’ambiente e molto altro, potremmo avere notizie del tipo: «in questo momento non stiamo cercando personale, ma fra qualche tempo apriremo una nuova sede a ZZ…». Con gentilezza potremmo incalzare il nostro interlocutore: «fra quanto pensa che sia meglio che ripassi?». Se la risposta è «ripassi fra…» suona già come una sorta di impegno, per lo meno per un colloquio e una verifica di corrispondenza delle reciproche aspettative. Se la risposta è la classica «la richiamiamo noi…» ciò ci autorizza ad indirizzare le nostre speranze altrove e non disperdere energie per questa azienda. Insomma, per individuare e sfruttare appieno tutte le opportunità bisogna essere abili “strateghi” ed avere il coraggio di esplorare anche canali non tradizionali, anche se inizialmente possono essere fonte di cocenti delusioni. 32

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L’impressione personale, suffragata tuttavia da molte statistiche oltre che da osservazioni dirette riportate da altri esperti, è che in molti fatichino a reperire e sfruttare occasioni di occupazione (ora che le opportunità si sono alquanto ristrette) anche perché giocoforza ancorati a modelli tradizionali di contatto domanda-offerta che purtroppo non funzionano più, o non funzionano più come fino a non molto tempo fa. Del resto ciò è comprensibile, poichè non è facile adeguarsi a cambiamenti così repentini e drastici: mentre scriviamo ci arrivano sotto occhio i nuovi report sui dati della disoccupazione di una provincia del Nord-Est (Belluno, in cui esiste un importante – per quanto sofferente - distretto manifatturiero, quello dell’occhiale) che fino a pochissimi anni fa poteva vantare un tasso del 3,7%, addirittura inferiore al tasso fisiologico, che si ritiene attorno al 4% (per tasso fisiologico si intende quello relativo ai lavoratori che vengono intercettati dall’ISTAT nel momento del passaggio da un’azienda all’altra). Nell’aprile 2012 i dati riportano un tasso di disoccupazione del 12% e il commento a margine degli osservatori è che, in realtà, sia ancora maggiore e soprattutto lo sia per alcune fasce cosiddette “deboli”, vale a dire giovani e lavoratori “anziani” (in questo caso parliamo di quaranta-cinquantenni, non certo di prepensionati) espulsi dal mercato. Purtroppo, va detto che se si può ascrivere alle persone in cerca di occupazione una comprensibile e giustificata impreparazione ad adeguarsi a nuovi modelli di occupazione e di reperimento di occasioni di carriera, altrettanto si può dire della risposta istituzionale alla crisi del mercato del lavoro che non è stata ancora in grado di creare forme di supporto, meccanismi e professionalità adeguate per fronteggiare questa che in molti ritengono non sia solo una contingenza ma sia, al contrario, una nuova fase storica e dunque destinata a perdurare. Naturalmente ci auguriamo tutti che queste previsioni si invertano a breve, nel frattempo cogliamo questa ultima occasione per proporre un conclusivo (per quanto attiene a queste note preliminari) e fondamentale consiglio, che vorremmo rimanesse Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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come augurio per tutti voi di riuscire a trovare un’occupazione che soddisfi appieno le vostre aspettative: “Trovare un lavoro è un lavoro”. Come in tutti i lavori, non sono sufficienti impegno e disponibilità: occorrono strategie, pianificazione, creatività, capacità di differenziarsi e sfruttare tutte le occasioni senza arrendersi se i risultati non arrivano subito ma senza, nel contempo, disperdere eccessivamente energie. In pratica, se la fortuna non si accorge di noi, facciamo di tutto per sollecitare la sua attenzione.

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CERCARE OCCUPAZIONE:

CONOSCERE PER DIVENTARE ABILI STRATEGHI

Vince il candidato più “simpatico” Ma non pensiate che stiamo banalizzando il processo di reclutamento e selezione al punto di ricondurre tutto ad una questione di simpatia. Se così fosse, nelle aziende ci entrerebbero solo comici e saltimbanchi, o candidati che dimostrano di avere la battuta pronta. La faccenda è ben più complessa, come è facile presupporre. Per capire quanto, è necessario prima intenderci sul concetto di “simpatia”. Perché una persona è simpatica e l’altra no? Perché possiamo risultare simpatici a qualcuno e del tutto antipatici a qualcun altro? In altri termini, cos’è la simpatia e come entra nei criteri di discriminazione delle candidature? Si possono dare molte definizioni di simpatia; per i nostri scopi possiamo definirla come “quel meccanismo inconscio che ci informa – tramite specifici segnali psico-fisici – che chi sta di fronte a noi è una persona che condivide il nostro modo di vedere e su cui possiamo riversare la nostra fiducia”. Il nostro cervello è una specie di “macchina per prevedere il futuro”: come si svolgeranno gli eventi, come si comporteranno le persone e come si comporteranno le persone in relazione ai nostri comportamenti… Per questo è dotato di sofisticati meccanismi che rilevano, anche senza che ce ne rendiamo conto, se nel Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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complesso mondo relazionale, fatto di rapporti a differenti gradi di intimità con i nostri simili, ci sono fra questi persone a cui possiamo affidarci con fiducia. Nel nostro mondo evolutivo (che è quello della savana, non delle scrivanie e delle linee di montaggio) questo poteva significare la nostra sopravvivenza o una fine al fianco dell’insalata di rinforzo nel banchetto di qualche predatore. Su chi riversiamo, preferibilmente, la nostra fiducia? Sulle persone più prevedibili, poiché è molto faticoso dover modificare ogni volta i nostri schemi di comprensione e azione. Inoltre, commettere errori può essere pericoloso e per questo tendiamo irrimediabilmente a considerare ipotesi che ci appaiono certe (o che il nostro sistema nervoso ci fa considerare tale). Per questo preferiamo affidarci a persone che conosciamo, poiché possiamo agevolmente anticipare come si comporteranno. Se queste persone non le conosciamo - come un qualsiasi candidato che si presenta per la prima volta - ci affidiamo a meccanismi automatici, che fanno riferimento alla sfera emotiva, i quali ci informano che questa persona presenta tali caratteristiche. Lo stato emotivo che ci fornisce questa informazione è la “simpatia”. Ne consegue uno stato psico-fisico universale: sorridiamo di fronte alle persone simpatiche, anche prima che aprano bocca; ci crucciamo e facciamo uno sguardo indagatore verso le persone che non ci convincono, perché cerchiamo di cogliere segnali che risolvano eventuali ambiguità. Se non ci riusciamo, preferiamo generalmente lasciar perdere; in un mondo sociale molto competitivo non è il caso di rischiare. Tuttavia, non possediamo un parametro standard (o meglio, il nostro agglomerato di neuroni non lo possiede) per definire quando una persona è simpatica e quando non lo è, e come in tutti i casi in cui manca un riferimento assoluto, lo cerchiamo nella nostra esperienza fra i modelli più disponibili e accessibili alla memoria. 36

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Il modello più disponibile? Noi stessi. Cosa esiste, infatti, di più accessibile della persona che possiamo incontrare semplicemente guardando uno specchio? Così finiamo per fare riferimento a noi stessi come standard di confronto: in pratica ci risulta più simpatica - perché più prevedibile - la persona più simile a noi. Come, del resto, avvertiva Protagora nella sua celebre sentenza: “l’uomo è la misura di tutte le cose”. Anche in questo caso si tratta di un meccanismo “euristico” (gli psicologi cognitivisti lo chiamano “euristica del Sé”), quindi potenzialmente fallace. Infatti può trarci in inganno: non è assolutamente detto che chi mi suscita simpatia sia in grado di ricoprire proficuamente il ruolo per cui sto selezionando dei candidati. Eppure, nella maggior parte dei casi, reclutatori non professionali si affidano proprio a questi meccanismi incappando in errori sistematici (in questo caso il cosiddetto “bias del simile a me”). Il reclutatore professionista è formato per superare questi corto-circuiti mentali, poiché è conscio che il suo castello di valori, convinzioni ed esperienze non può essere un metro attendibile per prevedere l’adattabilità del candidato al ruolo per cui si propone e, pertanto, non può garantire il successo del processo di selezione. Eppure, come anticipato, nella maggioranza dei casi il processo non prevede strumenti rigorosi: non viene effettuata la fase preliminare della già citata “analisi della domanda” che serve per stabilire uno standard interno all’organizzazione e allo stesso modo non vengono utilizzati strumenti standardizzati per valutare il candidato con metodi indipendenti dalla visione soggettiva dello stesso selezionatore. Detta così, può apparire una mera disdetta. In realtà, anche in questo caso, la criticità del sistema apre a opportunità che possono essere adeguatamente sfruttate, se se ne comprendono i meccanismi. In che modo? Apparendo più simpatici. Non certo vestendosi da clown o raccontando barzellette, ma studiando l’organizzazione per offrire a questa un’immagine di sé coerente con la Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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cultura della stessa organizzazione. In altra parte di questa dispensa si parla di come assumere informazioni dell’azienda a cui presentiamo la nostra candidatura. Queste informazioni sono estremamente utili non solo per redigere il curriculum e sapere come presentarci, ma anche per gestire le fasi successive della selezione. Se il reclutatore non è un professionista addestrato e proveniente - come spesso accade - da una società esterna di consulenza, il meccanismo su cui si giocherà la nostra possibilità di collocazione sarà, per una parte non trascurabile, proprio la simpatia. Naturalmente questo non significa che la valutazione delle competenze e delle esperienze vada in secondo piano, ma va detto che anche le informazioni più oggettive possono essere distorte, i significati essere direzionati in maniera del tutto opposta, se tali informazioni vengono accolte in una cornice di aspettative che chi valuta - e questo accade non solo nel processo di selezione - si è creato sulla persona che deve valutare. Ne abbiamo un esempio quotidiano semplicemente aprendo i giornali: un evento politico o calcistico (su questi argomenti, fra noi, generalmente si discute di più) è interpretato in maniera del tutto opposta da differenti fazioni politiche o sportive, al di là dei dati oggettivi (i risultati elettorali o lo scoring di una squadra). Questi meccanismi sono disponibili nel nostro patrimonio genetico ed operano autonomamente dalla nostra volontà: non possiamo né spegnerli né accenderli quando vogliamo, neppure di fronte all’evidenza che ci stanno fuorviando. Sono quindi meccanismi molto potenti: l’impressione di chi ci sta davanti la creiamo per il 95% nei primissimi secondi (2-3 al massimo) di interazione, poco di più se la persona sta al telefono e sfugge alla nostra visuale. Nella successiva mezz’ora assumiamo informazioni per stabilire un’immagine dell’astante che ci consente di conoscerla (ma sempre secondo i nostri parametri) fino al 97-98%. Per il restante 1-2% occorrono molti anni di frequentazione e spesso non si arriva mai al 100% (anche fra le coppie intime ci sono infatti “segreti” a cui il partner non ha 38

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accesso). Le prime informazioni che assumiamo, e che assume il valutatore, orientano la ricerca di quelle successive: quelle ottenute rinforzano l’impressione iniziale e quelle non coerenti con quelle iniziali vengono ignorate. Nella quotidianità si dice infatti comunemente «la prima impressione è quella che conta». Forniamo pertanto al nostro valutatore, secondo segnali che non siamo in grado di gestire, degli “indizi cognitivi” che gli consentano di acquisire informazioni utili per stabilire un confronto positivo con i suoi standard, che derivano dal suo mondo interno.

Indizio (es. vesƟto del candidato)

Formazione dell’impressione (confronto con informazioni in memoria)

Ricerca informazioni che confermano l’impressione

Non solo il modo di vestirsi ma soprattutto il modo di atteggiarsi, la costruzione verbale, l’espressione dei propri valori e della propria cultura, fanno riferimento a come una persona vede le cose, vede se stesso e vede gli altri, ma anche come ritiene che gli altri vedano lui stesso o come vorrebbe che gli altri lo vedessero. Derivano dal contesto culturale, dal mondo sociale e dalla personale costruzione di credenze. Spesso queste presentano differenze sostanziali anche all’interno del medesimo comparto socio-economico. Sono meccanismi impliciti e per questo poco conosciuti o forse, più semplicemente i candidati se ne dimenticano o non conferiscono loro adeguato valore. Troppo spesso ci è capitato di ricevere candidati con atteggiamenti che segnalano l’appartenenza a categorie di pensiero del tutto incoerenti con l’azienda a cui stavamo prestando la nostra consulenza. È vero che nell’adEdizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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destramento del reclutatore viene data importanza alla capacità di superare indizi fuorvianti, ma è anche vero che la scelta finale la compie comunque il titolare dell’azienda (che si affida a meccanismi euristici) e, per questioni di etica professionale, il valutatore non può parteggiare per un candidato a svantaggio di altri, al punto da offrirgli consigli utili su come comportarsi, comunicare, vestirsi ecc. Proprio come quando corteggiamo il nostro futuro partner in un gioco di seduzioni, ci vestiamo come lui, dichiariamo gli stessi gusti in tema di cibi, vacanze, modo di arredare il salotto… allo stesso modo dobbiamo assomigliare a chi ci valuta se vogliamo risultargli “simpatico”. Non è chiaramente né semplicemente un gioco a svuotare il guardaroba, né a cercare di scimmiottare il selezionatore nel colloquio di selezione. Si tratta di rimanere certamente coerenti con l’immagine che abbiamo di noi stessi ma, contemporaneamente, fra le mille sfaccettature che la nostra personalità possiede, adottarne una più coerente con l’immagine che il nostro giudice ha in mente (il famoso “prototipo” a cui abbiamo già fatto accenno). Cosa che comunque saremo costretti a fare una volta che avremo ottenuto l’occupazione. Basta infatti osservare l’uscita degli addetti da una banca, da una fabbrica, da un ufficio commerciale per scoprire come, almeno nei comportamenti e negli aspetti visibili della comunicazione, sembrano tutti confezionati con un unico stampo. L’euristica della simpatia: una dimostrazione empirica. Come detto, nessuna organizzazione è uguale a se stessa: più volte abbiamo invitato i nostri corsisti a visitare aziende dello stesso settore, con location anche adiacenti, per scoprire come, già nelle prime interazioni, i segnali siano completamente differenti. Un’azienda può essere giovanile, dinamica, le persone proattive, che ci accolgono non appena ne varchiamo la soglia, 40

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oppure un po’ “vecchio stampo”, e in questo caso il cliente può sperimentare un’ospitalità un po’ distaccata. Sono le impressioni riportate proprio dai nostri sperimentatori, alcuni corsisti a cui abbiamo chiesto di valutare la differenza fra aziende dello stesso settore e della stessa zona, una sorta di esperimento sul campo per il quale abbiamo chiesto di simulare una richiesta di informazioni per una trattativa commerciale (l’acquisto di un’automobile). Così, può accadere che l’eloquio di chi ci riceve può essere veloce e raffinato e la persona può inizialmente sperimentare accoglimento. Dopo qualche tempo però, probabilmente, può avvertire un clima che tradisce la ricerca di fiducia: le persone sono sì in giacca e cravatta, accoglienti e con fare raffinato, ma dietro questa facciata non vi sono elementi coerenti con il nostro modo personale di vedere le cose. Noi la giacca non l’abbiamo mai indossata e la cravatta ce l’hanno annodata – contro voglia - solo il giorno del matrimonio; in questo ambiente non ci troveremmo a nostro agio. La valutazione (per una volta scambiamoci i panni) è negativa. La stessa impressione la riceverebbe di noi l’organizzazione, se ci presentassimo in modo coerente con il nostro consueto “atteggiamento” (lo stato cognitivo che anticipa il comportamento). L’azienda vicina, invece, ha uno stile diverso: vende sempre gli stessi prodotti, ma l’ambiente è più tradizionale. Il venditore non ci accoglie subito, poi arriva ed è vestito in modo ordinario, sembra poco interessato a noi, quasi come sia lì per “farci un piacere” (sono le parole esatte riportate da chi ha compiuto questo esperimento, ideato proprio per dimostrare, in termini di realtà, quanto predicavamo). La persona che ci avvicina - dopo un po’ di tempo che scorazzavamo per il salone - appare meno curata, meno professionale nell’eloquio, con sorrisi più contenuti e non cerca subito di venderci l’automobile per cui chiedevano informazioni. Però ci appare più “simpatica”: infatti noi preferiamo frequentare ambienti in cui i metodi di persuasione sono differenti da quelli che Edizioni Psiconline © 2015 - Riproduzione vietata

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riteniamo, secondo la nostra cultura, “artificiosi” e poco concreti. Insomma, il nostro mondo personale appare più simile al secondo, piuttosto che al primo caso. Dopo che abbiamo fatto sperimentare ad alcuni corsisti questa interazione, abbiamo chiesto loro quale delle due aziende visitate risultasse loro più “simpatica”; i pareri si sono ovviamente distribuiti secondo le disposizioni di ciascuno. La domanda successiva «chi vi fornisce maggiormente un’impressione di affidabilità e fiducia?» ha trovato risposte coerenti con le prime: chi appare più “simpatico” (nell’interpretazione del termine illustrata sopra) risulta anche più affidabile. L’ultima domanda «quale parametro oggettivo avete utilizzato per stabilire chi è degno di fiducia e chi no?», non solo ha colto impreparati i nostri sperimentatori, ma ha ottenuto solo risposte che replicavano quanto già riferito. Nel corso dell’interazione, infatti, nessuno aveva pensato di raccogliere elementi certi (oggettivi) dell’affidabilità di chi stava loro di fronte, nonostante si trattasse di una interazione commerciale. Nessuno, in pratica, disponeva di alcun elemento, visto che in tutti e due i casi non si è arrivati a produrre un preventivo e non era pertanto possibile operare confronti sul piano economico. Le opinioni si erano materializzate sulla base di meccanismi euristici in pochi minuti di interazione, non solo con le persone, ma con l’intero ambiente (più caldo e denso di segnali di accoglienza da una parte, più freddo e meno comunicativo dall’altra). La stessa impressione che abbiamo ricavato noi, e con gli stessi meccanismi, l’avranno ricavata i nostri interlocutori. Se ci fossimo recati in quelle aziende per una ricerca di occupazione (come poi qualcuno ha fatto, con successo, sfruttando queste informazioni) chi ci avesse valutato sarebbe stato fuorviato proprio dagli stessi meccanismi. Non esiste un modo giusto di vestire, di atteggiarsi, di comportarsi, di parlare... Falso credere che una stretta di mano energica ed un sorriso che va da un orecchio all’altro siano sufficienti per suscitare simpatia nei confronti delle altre persone. In 42

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