IL PESCE
PERIODICO BIMESTRALE DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE
NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67
N. 1/2023
DALLA PRODUZIONE AL CONSUMOGruppo editoriale
Edizioni Pubblicità Italia Srl
PERIODICO BIMESTRALE DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE
NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67
N. 1/2023
DALLA PRODUZIONE AL CONSUMOGruppo editoriale
Edizioni Pubblicità Italia Srl
US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD
Direttore responsabile e editoriale
Elena Benedetti
Redazione
Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi
Segreteria di redazione
Gaia Borghi
Prestampa
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Fotografia
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Dr. Alessandro De Maddalena – Dr. Maurizio
Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio
Ghittino – Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli – Dr. Antonio Trincanato
Collaboratori scientifici esteri
Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele)
ANNUARIO del PESCE e della PESCA 2022/2023 N. 33
Annuario del Pesce e della Pesca
La banca dati internazionale del mercato ittico sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore acquacoltura, lavorazione, commercio e distribuzione.
Edizione 2022/2023
Copia cartacea: € 60,00
Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10%
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Reg. al Tribunale di Modena
n. 741 del 30-12-1983
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ISSN 0394-2929 – Iscritta nel ROC –Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 11256 del 14/6/2005
Stampa
15-16 febbraio 2023
Stand 12 – Pad. 5
«Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»
A pagina 40.
In copertina: come tutto il pesce azzurro, anche le acciughe sono ricche di nutrienti utili per la nostra salute.
Lo scorso novembre, l‘Osservatorio europeo del Mercato dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura (EUMOFA) ha divulgato il caso studio “Le cozze nell’UE. La struttura del prezzo nella catena di approvvigionamento. Focus su Spagna, Francia, Italia e Irlanda”. A pagina 68 trovate la prima parte del report.
Si fanno avanti anche nelle cucine degli Italiani le alghe marine, super food nutriente ma anche amico green per i carburanti. L’Italia s’è desta e pare dia corda a questo business, un’economia da costruire che nel Belpaese potrebbe valere tra non molto un miliardo di euro. Secondo gli esperti, infatti, l’utilizzo quotidiano di questo ingrediente, fino a poco tempo fa riservato ai ristoranti esotici, asiatici soprattutto, e agli chef stellati, serve a insaporire paste, risotti ma anche zuppe o insalate e come aromatizzanti per olio extravergine e burro: alcune specie sono antibatteriche, antimicotiche e antivirali, altre eliminano le tossine e danno energia. Rispetto agli ortaggi, sono molto più ricche di proteine, sali minerali e oligoelementi fra cui lo iodio. Secondo FEDAGRIPESCA-CONFCOOPERATIVE, l’algocoltura ha un alto valore potenziale. Il settore, dicono, oggi conta appena una decina di aziende che operano soprattutto nella trasformazione del prodotto ma ha davanti a sé un futuro luminoso, anche alla luce degli svariati impieghi delle alghe: dalla gastronomia alla mangimistica, ai biocarburanti, ai cosmetici, alla depurazione delle acque reflue, fino alla produzione di fertilizzanti e di fibre e tessuti anche per lettini da spiaggia (fonte: EFA News – European Food Agency).
Le alghe fanno sempre più tendenza in cucina.
Per Fedagripesca tra pochi anni il business collegato potrebbe valere un miliardo
Marca by BolognaFiere
Il salone internazionale della Marca del Distributore
Bologna, 18-19 gennaio
Organizzazione: BolognaFiere www.marca.bolognafiere.it
Taste
Firenze, 4-6 febbraio
Organizzazione: Pitti Immagine taste.pittimmagine.com
AquaFarm
Pordenone, 15-16 febbraio
Organizzazione: Pordenone Fiere aquafarm.show
iMEAT® by Ecod
Modena, 26-28 marzo
Organizzazione: Ecod Srl Unipersonale imeat.it
Cibus Connecting Italy
Parma, 29-30 marzo
Organizzazione: Fiere di Parma cibus.it
B/Open
Verona, 2-5 aprile
Organizzazione: Veronafiere b-opentrade.com
Tuttofood
TuttoSeafood
Milano, 8-11 maggio
Organizzazione: Fiera Milano tuttofood.it
HostMilano
Milano, 13-17 ottobre
Organizzazione: Fiera Milano host.fieramilano.it
Biofach
Norimberga (D), 14-17 febbraio
Organizzazione: NürnbergMesse – Biofach www.biofach.de
Winter Fancy Food Show
Las Vegas (USA), 15-17 febbraio
Organizzazione: SDA Specialty Food Association www.specialtyfood.com
Gulfood
Dubai (EAU), 20-24 febbraio
Organizzazione: Gulfood www.gulfood.com
Aquaculture America
New Orleans, Louisiana (USA) 23-26 febbraio
Organizzazione: WAS World Aquaculture Society was.org
AquaFuture Spain
Santiago de Compostela (E) 28-30 marzo
Organizzazione: AquaFuture it.aquafuturespain.com
SIAL America
Las Vegas (USA), 28-30 marzo
Organizzazione: Comexposium sial-network.com
Salon de la conchyliculture et des cultures marines
La Tremblade (F) 29-30 marzo
Organizzazione: Mairie de La Tremblade www.salon-conchyliculture.com
LAQUA 23 Latin American & Caribbean Aquaculture Panama City (Panama)
18-21 aprile
Cibus Tec
Parma, 24-27 ottobre
Organizzazione: Koeln Parma Exhibitions cibustec.it Refrigera
Bologna, 7-9 novembre
Organizzazione: A151 refrigera.show
Seafood Expo North America
Seafood Processing North America Boston (USA), 12-14 marzo
Organizzazione: Diversified Exhibitions www.seafoodexpo.com/north-america
Organizzazione: WAS World Aquaculture Society was.org
Seafood Expo Global Seafood Processing Global Barcellona (E) 25-27 aprile
Organizzazione: Diversified Exhibitions www.seafoodexpo.com
SEDE CENTRALE
DI GENOVA
Via Milano 162 M 16126 Genova Tel. +39 010 8599200 E-mail: verrini@verrini.com
Scopri le nostre filiali sul sito www.verrini.com
Interpack
Düsseldorf (D), 4-10 maggio
Organizzazione: Messe Düsseldorf Interpack.com
SIAL Canada
Toronto (CAN), 9-11 maggio
Organizzazione: Comexposium sialcanada.com
PLMA World Private Label
Amsterdam (NL)
23-24 maggio
Organizzazione: Private Label Manufacturers Association plmainternational.com
World Aquaculture
Darwin (AUS)
29 maggio – 1 giugno
Organizzazione: WAS World Aquaculture Society was.org
Summer Fancy Food Show
New York City (USA)
25-27 giugno
Organizzazione: Specialty Food Association, Inc. specialtyfood.com
Expo Pesca & Acuiperu
Lima (PE)
6-8 settembre
Organizzazione: Thais Corporation thaiscorp.com/expopesca
SeafoodExpo Asia
Singapore
11-13 settembre
Organizzazione: Diversified Exhibitions seafoodexpo.com/asia
Aquaculture Europe
Vienna (A)
18-21 settembre
Organizzazione: EAS European Aquaculture Society aquaeas.org
Conxemar
Vigo (E)
3-5 ottobre
Organizzazione: Conxemar conxemar.com
Anuga
Colonia (D), 7-11 ottobre
Organizzazione: Koelnmesse www.anuga.com
Crofish
Parenzo (HR), 24-26 novembre
Organizzazione: Camera di Commercio della Regione Istriana crofish.eu
AFRAQ23
African Aquaculture
Lusaka (Z), 13-16 novembre
Organizzazione: WAS World Aquaculture Society was.org
Le date e i luoghi delle fiere sono soggetti sempre a variazioni. Si consiglia chi è interessato a partecipare a una fiera ad accertarsi, presso gli organizzatori, del luogo e della data. Si declina pertanto ogni responsabilità per eventuali inesattezze.
Garantire sicurezza e salubrità delle produzioni alimentari è obiettivo comune delle istituzioni, ma non solo. Chi produce e trasforma alimenti è tenuto ad adeguarsi ad un sistema di regole che quotidianamente si incrementa. Sarebbe sufficiente attenersi alla normativa cogente che, tra livello europeo, nazionale e talvolta persino regionale, è tutt’altro che povera, ma esistono certificazioni volontarie che, con i relativi protocolli, possono aggiungere impegni e oneri per l’azienda. Una fatica in più — si potrebbe pensare — ma il tempo ha dimostrato che queste certificazioni sono invece, paradossalmente, un supporto prezioso e si possono trasformare in un eccellente biglietto da visita per il mercato, aprendo così a nuovi spazi di lavoro.
Tra quelle più diffuse si annoverano la BRC e la IFS. La prima, acronimo di British Retail Consortium, nasce nel 1998 per il mercato anglosassone. L’International Food Standard è, invece, di espressione tedesca e molto utilizzata anche in
Francia e Belgio. Sono dirette ad aziende che producono alimenti e bevande, che manipolano prodotti alimentari o ingredienti, pet food e mangimi. Impongono la verifica di condizioni tecniche delle strutture in cui sono realizzati i prodotti alimentari e l’applicazione del sistema HACCP. Verificano altresì l’attuazione di standard ambientali, del prodotto, del processo e del personale. In generale, dettano regole che, pur nella loro complessità e richiedendo un impegno specifico per essere applicate, forniscono un protocollo che conduce verso la produzione di alimenti sicuri, prodotti nel rispetto più completo delle norme
In sostanza, questi standard consentono di raggiungere con maggior facilità quella che viene comunemente defi nita la “soddisfazione del cliente”. Poiché certificano il rispetto delle regole, sono una garanzia per il consumatore finale, ma anche e soprattutto per gli operatori dell’industria alimentare, compresi
rivenditori e Distribuzione Moderna. Nascono infatti entrambe per garantire l’affidabilità dei produttori e dei prodotti di fornitori stranieri, per i quali sarebbero difficoltose e oltremodo costose altre forme di controllo e rispondono alle esigenze della Distribuzione Moderna di garantire sicurezza e qualità dei prodotti, in primo luogo per quelli a proprio marchio. Nel tempo hanno assunto un’importanza sempre maggiore e, attualmente, sono richieste o gradite dai retailer anche per alimenti non a marchio. Si sovrappongono per diversi aspetti e, pur avendo delle differenze, sono anche molto simili tra loro sotto diversi profili, al punto che moltissime imprese le acquisiscono entrambe e contestualmente.
Il raggiungimento delle certificazioni suddette, oltre ad accrescere la credibilità dell’azienda agli occhi della GDO, è anche una garanzia per il cliente finale e per gli organi ufficiali di controllo. È la dimostrazione dell’impegno dell’azienda al rispetto della normativa cogente in tutti i suoi
•Mangime per pesce prodotto da fonti sostenibili ed in conformità ai più alti standard ambientali
•Cura per il benessere degli animali allevati a bassa densità, a mare
•Salvaguardia dell’ecosistema e della biodiversità
•Responsabilità sociale verso i dipendenti e la comunità
aspetti, compresi quelli maggiormente critici, e permette di ridurre o addirittura evitare completamente le visite ispettive della GDO. Tutti e due gli standard richiedono infatti l’adozione di sistemi per la valutazione dei rischi biologici, chimici, fisici e radiologici e la loro effettiva applicazione è certificata da un ente terzo. Le imprese che vantano il bollino BRC e/o IFS migliorano la sicurezza alimentare, l’efficienza operativa, la crescita commerciale, la redditività e l’innovazione su larga scala. Molte di queste, pur lamentando la necessità di uno sforzo significativo dovuto all’aggiornamento continuo dei dati, ammette gli enormi vantaggi di avere in tempo reale l’evidenza dei propri flussi in entrata, in lavorazione e in uscita. Questo consente infatti di fare un bilancio, anche economico, e di avere sempre sotto controllo la situazione aziendale. Ed è così che, degli standard che nascono per la sicurezza alimentare, diventano nel contempo strumenti di controllo di gestione. Strumenti preziosi soprattutto per le piccole e medie imprese che non possono permettersi mezzi più sofisticati, da questo punto di vista.
Una leva importante per la crescita aziendale
Le certificazioni rappresentano un costo che normalmente impiega risorse, anche umane, quasi interamente dedicate, più eventuali consulenti esterni e gli oneri dell’ente terzo. Si tratta tuttavia di un’incidenza indirettamente proporzionale alle dimensioni dell’impresa ed è appena il caso di dire che queste certificazioni, pur non bastando da sole a decretare il successo nel mercato, di certo aiutano molto ad inserire il prodotto nello scaffale, essendo pertanto esse stesse una leva importante per la crescita aziendale.
Si tratta però di strumenti che ha un senso introdurre se non vengono considerati fini a sé stessi: devono, al contrario, generare un nuovo modus operandi aziendale che crei una ricaduta effettiva nell’operatività quotidiana. In alternativa, oltre a divenire un’occasione persa, saranno elementi sterili che rappre-
senteranno unicamente un aggravio nella routine aziendale.
In arrivo le nuove versioni
Le certificazioni BRC e IFS perseguono gli stessi macro-obiettivi, finalizzati a garantire la sicurezza dei prodotti attraverso tutta la filiera produttiva, eseguendo una puntuale valutazione e gestione del rischio.
Si integrano l’una con l’altra, poiché basate sulla standardizzazione dei processi e delle procedure aziendali, in un’ottica di miglioramento continuo e di aumento della fiducia e della fidelizzazione della clientela e, sebbene ci siano delle dissomiglianze tra loro, nel tempo e a seguito delle diverse revisioni sono diventate quasi sovrapponibili. Per questo motivo molte organizzazioni le implementano simultaneamente, potendo così godere di un certo risparmio, perché le verifiche integrate riducono le giornate uomo sia dei consulenti e del personale interno sia dell’ente terzo.
Entrambi gli standard vengono periodicamente modificati ed implementati sulla base dell’esperienza sul campo di operatori e imprese. La BRC è giunta alla versione 9 e la IFS alla versione 8. Per la prima, la pubblicazione definitiva è dell’agosto 2022 e l’entrata in vigore e la piena attuazione dal febbraio 2023. Per quanto concerne invece la versione 8 della IFS, si è già svolta la consultazione con gli stakeholder sulla bozza della nuova norma e, a seguito della discussione dei risultati, tra i comitati IFS verrà implementata. L’obiettivo era di completare lo standard e la documentazione di supporto entro la fine del 2022, in modo tale da arrivare alla pubblicazione all’inizio del 2023.
I requisiti nella versione finale della BRC rappresentano ovviamente un’evoluzione rispetto ai numeri precedenti e si basano principalmente sulla cultura della sicurezza del prodotto e le competenze chiave. Le novità sono riconducibili al capitolo sull’HACCP, che viene allineato al nuovo Codex Alimentarius.
Grande importanza viene data allo stabilimento di produzione. Il prodotto è infatti sicuro quando lo
stabilimento è sicuro. Il sito deve essere ubicato e mantenuto in condizioni da prevenire qualsiasi possibile contaminazione e stesso principio vale per le apparecchiature.
Anche in fase di studio e sviluppo dei prodotti, si devono identificare e valutare tutti i potenziali rischi per la sicurezza, separare i prodotti incompatibili, effettuare la rotazione di scorte, utilizzare il metal detector. Infine, il prodotto deve essere rilasciato unicamente quando si è certi della sua sicurezza. A questo proposito l’azienda deve dimostrare di controllare tutte le operazioni che effettua: check delle materie prime, degli intermedi e dei prodotti finiti, dei processi, dell’ambiente e di qualsiasi altro aspetto che può compromettere la sicurezza e la legalità del prodotto.
Si deve assicurare il rispetto degli standard igienici da parte del personale e dei visitatori, anche con l’uso di indumenti protettivi. Ma, soprattutto, sono basilari la formazione e la supervisione del personale. Non a caso è stata introdotta la formazione obbligatoria per il team di food defence e di food fraud. Maggior enfasi, inoltre, in questa nuova versione, è stata data all’analisi delle cause profonde nella gestione delle non conformità e alla possibilità di subire blended audit, cioè audit documentali da remoto e sul posto per la parte di buone pratiche di produzione.
La versione 8 della IFS ha anch’essa incorporato il nuovo Codex Alimentarius e la prossima ISO 22003. Per ciò che concerne gli standard di prodotto e di processo, ha riassegnato alcuni criteri per la realizzazione e la documentazione degli audit; ha rivisto il sistema dei punteggi; ha meglio specificato le modalità degli audit non annunciati, soprattutto nel caso in cui non venga superato; ha previsto un adeguamento del processo di certificazione per quanto riguarda la fornitura di un piano d’azione e di un punteggio preliminare al posto della relazione preliminare e in generale ha fornito maggiori specifiche in merito al report che l’auditor deve compilare.
Sebastiano CoronaÈ stato pubblicato lo scorso 30 dicembre, sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, il Regolamento delegato (UE) 2022/2587 della Commissione del 18 agosto 2022 che conferma la taglia minima della vongola di mare (Venus spp.) a 22 mm nelle acque territoriali italiane fino al 31 dicembre 2025. Ne ha dato notizia l’Alleanza delle Cooperative della pesca dell’Emilia-Romagna. «Si tratta di una misura introdotta dal 2017 sulla base di una complessa procedura fortemente voluta dalla categoria — dichiarano Massimo Bellavista, Patrizia Masetti e Vadis Paesanti — e sostenuta convintamente dal Governo italiano, che ha raccolto e condiviso da subito la proposta avanzata dall’Alleanza delle Cooperative». Sia il consiglio consultivo per il Mar Mediterraneo (MEDAC) che lo STECF (Comitato Tecnico Scientifico ed Economico della Pesca) hanno confermato, negli anni, e anche nel 2022, la piena sostenibilità della misura. Sulla base di queste valutazioni, la Commissione europea ha, quindi, ritenuto la sussistenza delle condizioni per un’ulteriore proroga triennale, fino al 31 dicembre 2025. “Il risultato odierno — recita la nota dell’Alleanza delle Cooperative della Pesca dell’Emilia-Romagna — è la riprova della concreta possibilità di ottenere risultati positivi per le marinerie, pur nel quadro di una disciplina europea molto articolata tesa a coniugare i vari aspetti della sostenibilità, interpretata in maniera non sempre equilibrata, lungo il cui percorso si scontrano in maniera talvolta poco leale le differenti posizioni dei vari Stati Membri”. Circostanza verificatasi anche in questo caso, durante l’esame del testo da parte del Parlamento europeo, che ha visto un Paese mediterraneo particolarmente agguerrito nel tentativo di bloccare una misura che, come ricordato, presentava tutti i crismi della sostenibilità. Tuttavia, il “sistema Paese” ha dato dimostrazione ancora una volta che con il gioco di squadra ogni risultato è possibile. Il quadro regolatorio europeo per la pesca ha introdotto una taglia minima per la pesca delle vongole del genere Venus di cui fa parte la specie Chamelea gallina, pescata dai due Consorzi di pesca presenti in Emilia-Romagna per una flotta complessiva di 54 imbarcazioni. Studi scientifici promossi dai Consorzi hanno evidenziato che nell’Adriatico settentrionale, per le mutate condizioni climatiche e ambientali, questa specie di vongola difficilmente raggiunge la taglia minima di pesca di 25 mm pur mantenendosi una popolazione abbondante di vongole di taglia inferiore. Gli stessi studi hanno infatti evidenziato che la fase riproduttiva, quella ritenuta critica ai fini della conservazione, viene raggiunta già con dimensioni di 16 e 17 mm mentre al di sopra dei 25 mm si assiste a diffuse morie. Sulla base di questi studi l’Italia, fin dall’entrata in vigore della legislazione europea, ha chiesto alla Commissione europea una deroga per ridurre a 22 millimetri la soglia minima delle vongole pescate nelle acque territoriali italiane. La Commissione ha già concesso la deroga per due volte per i periodi 2017-2019 e 2020-2022 e, dal 1o gennaio 2023, la proroga si protrarrà fino al 31 dicembre 2025 (fonte: Alleanza delle Cooperative della pesca dell’Emilia-Romagna, Legacoop Agroalimentare NI Emilia-Romagna, AGCI Agrital Emilia-Romagna, Confcooperative FedAgriPesca Emilia-Romagna).
La Giunta regionale del Veneto con due delibere, su proposta dell’assessore alla Pesca Cristiano Corazzari, ha approvato altrettanti progetti a favore del comparto. «Quello della pesca è un settore cui la Regione del Veneto guarda con grande attenzione» dichiara Corazzari. «È un settore che in Veneto fattura 158 milioni di euro l’anno e conta 3.137 aziende del tra pesca e acquacoltura. Il Veneto inoltre vanta diverse eccellenze e tra esse la produzione della vongola verace la cui tutela è al centro delle due ultime delibere approvate».
Col primo atto è stato approvato lo schema di accordo con l’Università Ca’ Foscari Venezia dal titolo “Monitoraggio della distribuzione e abbondanza della specie alloctona Callinectes sapidus (c.d, granchio blu) nella laguna di Chioggia: impatti sulla pesca tradizionale ed indicazioni gestionali”. L’obiettivo è quello di fornire indicazioni utili per una gestione della pesca professionale in laguna e ridurre gli impatti negativi della specie. La finalità del progetto, finanziato al 50% dalla Regione per un valore di 20.000 euro, è quella di verificare la distribuzione, la struttura di popolazione e l’abbondanza del granchio blu oltre alle eventuali potenzialità per lo sfruttamento economico di tale risorsa, come già avviene nel sud del Delta del Po. Il granchio blu, specie aliena segnalata per la prima volta in laguna di Venezia nel 1950, negli ultimi anni è sempre più diffuso nelle acque lagunari venete, portando con sé un impatto pesante sui bivalvi sia in branchi e in allevamenti, dei quali è uno dei principali predatori. Il monitoraggio verrà condotto tra marzo e ottobre 2023 in collaborazione con le cooperative di pesca. Il progetto sarà inoltre l’occasione per valutare per questa specie l’efficienza degli attrezzi da pesca selettivi come le nasse da granchi con il fine di avere una prima valutazione dell’efficacia del prelievo alieutico per il contenimento delle popolazioni della specie invasiva.
Con una seconda delibera è stato stanziato un nuovo finanziamento di 275.000 euro, che si aggiunge ai 600.000 euro già finanziati — già previsto dal protocollo d’intesa tra la Regione del Veneto, l’Agenzia Veneta per l’Innovazione del Settore Primario “Veneto Agricoltura” e i Consorzi per la Gestione e la Tutela della Pesca dei Molluschi Bivalvi nei Compartimenti marittimi di Chioggia e Venezia approvato con DGR 976 del 13 luglio 2021 —, per il progetto di ripopolamento dei molluschi bivalvi tra Chioggia e Venezia reso necessario in seguito ai gravi impoverimenti causati dalla tempesta Vaia del 2018 e dall’Acqua granda del novembre 2019. La finalità è quella di garantire la tutela del patrimonio ittico mitigando i danni subiti dai popolamenti naturali di molluschi bivalvi in mare e riattivando la produttività delle aree colpite (in foto, pescatori nella laguna di Chioggia).
Ittico è il nome del Mercato telematico dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura che offre la possibilità di sviluppare nuove opportunità commerciali in modo semplice e gratuito. ittico.bmti.it è uno strumento on-line che consente di prenotare, vendere e comprare prodotti ittici, oltre che promuovere la propria impresa e consultare l’andamento dei prezzi e del mercato delle principali specie ittiche in commercio. Da seguire anche su instagram.com/bmti_it e sulla app Prezzi all’Ingrosso Ittico
Bello il sito web pescatori.it della Cooperativa Casa del Pescatore, punto di riferimento delle attività pescherecce e produttive della locale marineria di Cattolica e Gabicce Mare. L’attività principale è quella della vendita di prodotti ittici freschi e trasformati tramite il locale mercato ittico (photo © pescatori.it).
A Cesana Brianza (LC) Ittica Brianza è molto più della vendita di prodotti ittici super selezionati e sostenibili nella bella pescheria. “La passione per il lavoro insieme ai riconoscimenti dei clienti sono il nostro stimolo quotidiano” scrive Maurizio Vesentini su itticabrianza. com. Il sito offre un e-shop con un’ampia varietà di prodotti tra box, crudi, surgelati, pescato del giorno, gastronomia e anche vino! Completano la comunicazione l’area delle ricette (“Social wall”), la newsletter, il blog e i social facebook.com/ittica.brianza e instagram.com/ itticabrianza. Che dire? Complimenti!
Due informazioni utili dalla Redazione web di Il Pesce! Lo sapevate che su ilpesce-online.com è disponibile senza password la possibilità di fare ricerca nel nostro archivio di articoli pubblicati dal 1994 ad oggi? State cercando un contenuto pubblicato? Un nome? Un’azienda? Un prodotto? In pochi secondi avete accesso a tutto il nostro archivio. Facile e liberamente accessibile. Altra info: su pubblicitaitalia.com/it/pesce/news ogni giorno carichiamo le notizie del comparto ittico. Solo per voi!
Si allunga la black list dei nemici dei pescatori. Non solo cormorani, granchi blu e delfini ma anche le noci di mare adesso sono entrate nella lista dei predatori da combattere perché fanno razzie negli allevamenti ittici, in stagni e in mare. A dare l’allarme è FEDAGRIPESCA-CONFCOOPERATIVE, stimando che tra furti di pesce e novellame e danni alle reti da parte delle noci di mare, ma anche di cormorani, delfini e granchi blu, il conto ai danni della pesca professionale nell’ultimo decennio supera 5 milioni di euro.
Le noci di mare, le Mnemiopsis leidyi secondo il nome scientifico (in foto), sono simili per aspetto alle meduse per via del corpo gelatinoso e per la loro trasparenza: non sono urticanti per l’uomo ma fanno man bassa di novellame, mettendo in pericolo le produzioni ittiche tutto l’anno. Si tratta di una specie marina che ha iniziato a fare la spola tra America e Mar Nero a causa delle alte temperature del mare e proprio da lì sono uscite per raggiungere il Mediterraneo.
Sono una minaccia per l’ecosistema marino perché si nutrono di uova e di larve di pesce, tanto che l’OGS – Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – ha lanciato l’applicazione avvistAPP per partecipare in maniera attiva alla raccolta di informazioni sui loro avvistamenti. In particolare, le noci di mare sono una minaccia per le specie pelagiche come il pesce azzurro di cui l’Italia è un grande produttore. Di notte si illuminano e, quando si aggirano nei pressi degli attrezzi da pesca, come le nasse, in cerca di cibo, spaventano i pesci che così non vengono catturati. In prospettiva, una proliferazione massiccia di questi animali costituirebbe una grave minaccia per gli habitat marini autoctoni. L’ultimo avvistamento massiccio è di questi giorni e arriva dagli allevatori di vongole del Delta del Po: negli anni, però, la loro presenza si è fatta sentire lungo le coste di Friuli Venezia-Giulia, Marche e Toscana (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © www.lagunaproject.it).
Si allunga la black list dei predatori sgraditi ai pescatori: dopo cormorani e granchi blu, entrano in lista le noci di mare.
lancia una APP per partecipare agli avvistamenti
sicurpesca.eu:
Da poche settimane è attivo sicurpesca.eu, un nuovo portale dedicato alle imprese di pesca, contenente documentazione, normativa, approfondimenti e news in materia di salute e sicurezza nell’attività di pesca. Nato su iniziativa di FEDERPESCA (federpesca.it), è uno strumento utile per gli operatori del comparto ittico per rimanere sempre informati sulle novità e gli adempimenti necessari per garantire la sicurezza a bordo. «Il portale, realizzato in collaborazione con ASSOPESCA MOLFETTA, mira a creare le condizioni necessarie affinché si maturi una corretta percezione del rischio e pericolo e affinché gli operatori ittici si sentano protagonisti della sicurezza, partendo da una piena consapevolezza dei ruoli e delle rispettive competenze, da una rigorosa conoscenza dei loro diritti e doveri e dalla necessità di rispettarli e osservarli nel loro stesso interesse» dichiara Francesca Biondo, direttrice di Federpesca. Attraverso un processo informativo che passa proprio da Sicurpesca, l’operatore ittico potrà sviluppare le corrette procedure a bordo, una corretta gestione delle emergenze in mare ed esecuzione delle misure di prevenzione e gestione dei rischi, per evitare comportamenti e procedure contrari alla sicurezza e alla sua normativa.
Il percorso di uno dei principali operatori dell’acquacoltura nazionale
100% italiana, certificata e sempre più sostenibile
di Gaia Borghi
L’appuntamento con “Storie di acquacoltura sostenibile”, rubrica creata in collaborazione con API, Associazione Piscicoltori Italiani, lo dedichiamo alla maricoltura, il settore dell’acquacoltura che si occupa dell’allevamento di pesci, alghe, molluschi e crostacei in ambiente marino. E lo facciamo attraverso un’intervista a due rappresentanti — Ludovica Lococo e Federica Trepiccione — di una delle aziende italiane leader del comparto, il Gruppo Del Pesce, proprietario di sei siti produttivi sia a mare che a
terra dislocati in ben quattro regioni italiane (Lazio, Sicilia, Toscana e Liguria). Una filiera “corta”, controllata e completamente italiana, che occupa oltre 200 dipendenti e che ha nell’attenzione e nel rispetto dell’ambiente in cui opera e delle sue creature la propria forza e caratteristica distintiva. In proposito giova ricordare che, come riporta il sito di API, nel confronto con gli altri sistemi di produzione animale, “l’acquacoltura risulta il sistema più efficiente (FAO, 2018) per uso di risorse (acqua, suolo, energia), impatti
generati sull’ambiente e oggi rappresenta il sistema con la più bassa impronta ambientale”. Questo significa che l’acquacoltura, la maricoltura nello specifico, resta attualmente l’unica alternativa sostenibile alla pesca e all’impoverimento dei mari, una produzione agricola necessaria al sostentamento di una popolazione mondiale in crescita che ha “fame” e necessità di proteine di origine animale, macronutrienti di elevato valore, di grande importanza nella composizione di un’alimentazione sana e equilibrata.
A sinistra: il Gruppo Del Pesce opera con personale specializzato per la gestione degli impianti di itticoltura; operazioni di pesca e lavorazione sono effettuate in conformità delle indicazioni dell’EFSA per la riproduzione dello stress animale. A destra: all’interno degli impianti del Gruppo, l’alimentazione è somministrata giornalmente, in modo da controllare il benessere dei pesci in tutte le fasi della crescita.
Made in Italy, Animal Welfare, Antibiotic Free, Circular Economy: come ti declino la sostenibilità in acquacoltura
Il Gruppo Del Pesce trova nello splendido mare siciliano la sua origine e per la precisione a Licata, in provincia di Agrigento, con un allevamento off-shore di spigole e orate realizzato alla fine degli anni Ottanta. «Nel 2011 il Gruppo si è arricchito di un impianto a mare nel Golfo di Gaeta, al quale se ne sono via via aggiunti uno nel 2017 a Portovenere, uno nel 2018 a Follonica, uno a terra nel 2019 nella laguna di Orbetello e un altro nel 2020 a mare sempre nel Golfo di Follonica» mi dice Federica Trepiccione. «Nel 2016 abbiamo iniziato la costruzione di un’avannotteria a Petrosino, in provincia di Trapani, con la quale serviamo sia i nostri impianti che diversi impianti in Italia che all’estero, e, contestualmente, sempre a Petrosino, è stato costruito un impianto a terra».
«Nell’avannotteria, fin dalla sua nascita, il Gruppo ha investito fortemente nella ricerca relativa alla selezione genetica, al fine di aumentare il benessere animale e lo standard qualitativo delle produzioni» aggiunge Ludovica Lococo.
«Inoltre, nel 2022, l’azienda che si occupa della commercializzazione della produzione del Gruppo e della gestione della sua qualità
è diventata un’organizzazione di produttori (OP), il cui Disciplinare è stato riconosciuto dal Ministero».
Il Gruppo Del Pesce è quindi in grado di controllare internamente tutte le fasi produttive, dalla nascita fino alla commercializzazione del prodotto finito: spigole, orate e, dal 2020, anche ombrine, sia intere che eviscerate e sfilettate.
Oltre ad una filiera completamente italiana, il Gruppo Del Pesce garantisce il controllo dell’alimentazione dei propri pesci, con mangimi adatti alle diverse specie e alla stagionalità, contenenti sì farina e olio di pesce ma anche con progetti sperimentali come mangimi soia, insetti e altre proteine provenienti da produzioni sostenibili. «La nostra produzione è certificata Antibiotic Free» puntualizza Federica Trepiccione. «Questo significa che non solo non ci sono antibiotici nei mangimi (e naturalmente nemmeno ormoni della crescita), ma, grazie ad una doppia vaccinazione per migliorare le difese immunitarie delle specie marine, la prima effettuata in avannotteria e la seconda all’arrivo negli impianti, riusciamo ad evitare l’uso successivo di antibiotici sui pesci, tutelando al contempo il loro benessere e quello dei consumatori».
«Come Gruppo, e in linea con quella che prevede l’agenda ONU sul tema, abbiamo poi avviato un “percorso di sostenibilità” am-
bientale, sociale ed economica, sviluppando o mettendo in previsione azioni da intraprendere nel breve, medio e lungo periodo in ogni ambito della filiera produttiva» aggiunge Ludovica Lococo. «Pensiamo ad esempio al riciclo delle reti che già viene effettuato in diversi impianti o al riuso di alcuni materiali che, in un’ottica di “economia circolare”, vengono trasformati in poliammide PA utile all’industria automobilistica o a quella degli elettrodomestici, come le macchine del caffè».
Ma non solo, continua Ludovica, perché sostenibilità vuol dire anche tanto altro. «Dalla certificazione Global Gap — il cui protocollo definisce le buone pratiche agricole relative agli elementi essenziali per lo sviluppo della best practice applicabili agli allevamenti nei suoi aspetti ambientali, di prodotto, alla salute degli animali, alla salute e sicurezza dei lavoratori e le loro condizioni di lavoro e agli elementi relativi alla gestione aziendale —, al fotovoltaico, già attivo per il centro logistico di Guidonia e in funzione a breve nei vari impianti di produzione, ai corsi di formazione destinati ai dipendenti fino all’aumento delle figure professionali femminili in azienda, tecniche, biologhe e non ultime anche operatrici in stabilimento. Vorrei ricordare infine il sostegno all’associazione di Guidonia Cieli azzurri, che opera con ragazzi disabili».
Nelle produzioni di acquacoltura, la normativa richiede una particolare attenzione alla salute e al benessere dei pesci. A garanzia di tale normativa,il Gruppo Del Pesce utilizza metodologie di allevamento che assicurano acque di buona qualità e ben ossigenate, nonché l’utilizzo di ampi spazi marini che rispondono alle esigenze comportamentali e fisiologiche delle specie ittiche allevate. I siti riproducono dunque le condizioni di crescita “selvatica” grazie ad una bassa densità di animali, un’elevata concentrazione di ossigeno e un’alimentazione naturale.
La spinta propulsiva alla sostenibilità proviene anche dalla GDO, che costituisce il canale di commercializzazione dei prodotti del Gruppo, a marchio del distributore e a marchio privato, e in cui questo tema è divenuto sempre più centrale, anche in seguito alle richieste dei consumatori oggi più attenti e sensibili. «API sta facendo un ottimo lavoro di comunicazione su quella che è l’acquacoltura, un comparto molto piccolo nel mare magnum del settore agricolo, che ha bisogno di attenzione e sostegno a livello istituzionale, più che mai in un momento come quello attuale, tra le difficoltà normative e i rincari di materie prime ed energia elettrica».
Gaia BorghiAPI, che non ha fini di lucro, si propone come scopo la tutela, lo sviluppo ed il consolidamento di tutte le attività di allevamento ittico sia in acque interne che in acque marine e salmastre. Pertanto promuove tutti gli interventi in campo economico, scientifico, tecnico, assicurativo, professionale, sindacale e legale che sono necessari per conseguire tale obiettivo. L’assistenza in campo economico vuole incontrare le esigenze degli allevatori sulle possibilità di ottimizzazione delle proprie risorse, ed eventuali opportunità di finanziamenti pubblici. L’interesse dell’API in campo scientifico si concretizza attraverso la collaborazione con le diverse istituzioni scientifiche per arricchire le conoscenze da mettere a disposizione delle aziende, sia per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche che per l’eventuale assistenza veterinaria da fornire agli associati. La competenza e la professionalità dei consulenti sono caratteristiche che l’Associazione Piscicoltori Italiani ritiene necessarie per garantire agli associati un’adeguata assistenza. In campo sindacale e legale, API si impone come obiettivo un rapporto sempre più stretto con le istituzioni e gli organismi territoriali competenti in materia di acquacoltura concertando le esigenze istituzionali e quelle degli acquacoltori.
E-mail: info@gruppodelpesce.com Web: gruppodelpesce.com
>> Link: www.acquacoltura.org
Giò Mare è un’azienda con sede a Rimini e Cesenatico specializzata nella vendita di pesce e in particolare nella vendita di pesce fresco. La rapidità nelle consegne, la grande professionalità degli addetti Giò Mare e ovviamente l’altissima qualità del prodotto, hanno reso la nostra attività di vendita pesce un vero punto di riferimento per tutti coloro che cercano proveniente dai migliori mercati ittici.
L’acquacoltura è un’attività sostenibile dal punto di vista sociale, economico e ambientale. Puntare su questo comparto migliora l’autosufficienza alimentare nazionale per i prodotti ittici e contribuisce a colmare il divario tra consumo e produzione di piscicoltura sostenibile nell’Unione Europea. Lo ha messo in evidenza l’API (Associazione Piscicoltori Italiani) di CONFAGRICOLTURA intervenendo, prima di Natale, presso la Commissione Agricoltura della Camera dei deputati, all’Audizione informale. Nel 2021, l’acquacoltura ha prodotto 180.000 tonnellate di prodotti ittici tra pesci e molluschi, con un fatturato di circa 500 milioni di euro. Sono 850 i siti produttivi concentrati per il 60% al Nord, il 15% al centro e il 25% al Sud. «Il perdurare del conflitto russoucraino — ha affermato il vicepresidente API Marco Gilmozzi — ha acuito notevolmente i costi energetici per le nostre aziende, che hanno consumi estremamente elevati. Chiediamo di inserire nell’elenco delle imprese energivore quelle che svolgono l’attività di acquacoltura in impianti a terra utilizzando acqua dolce, salmastra o salata. Per raggiungere una maggiore efficienza energetica sarebbe anche necessario consentire impianti fotovoltaici innovativi su strutture come vasche o bacini d’allevamento».
In Italia si allevano, in grande biodiversità, 25 specie ittiche in ambienti diversi: acqua dolce, salmastra (lagune), mare. Il pesce più allevato è la trota; seguono orata e spigola. Si producono anche 130 milioni di avannotti di specie ittiche marine pregiate e siamo leader europei per il caviale di storione. «Proprio per questi motivi — ha aggiunto il direttore dei piscicoltori di Confagricoltura Andrea Fabris — occorre fornire una informazione chiara ai consumatori indicando l’origine (da pesca o allevamento) e il Paese di provenienza del pesce, alla stregua di quanto è già d’obbligo per la vendita al dettaglio nei supermercati o nelle pescherie. La trasparenza con l’etichettatura obbligatoria dei prodotti ittici, somministrati attraverso i canali Ho.Re.Ca., tutela il diritto del consumatore e le produzioni made in Italy».
È stato infine evidenziato il problema della durata delle concessioni per acquacoltura e delle procedure di assegnazione. Per i piscicoltori è necessario avviare, nel più breve tempo possibile, i bandi per l’utilizzo dei fondi residui del FEAMP di compensazione finanziaria per il mancato guadagno e per i costi aggiuntivi sostenuti a causa del conflitto russo-ucraino, attivando un’analoga procedura per l’utilizzo dei fondi FEAMPA relativi alla programmazione 2021-2027. L’API ha sottolineato la vitalità del comparto, il cui numero di addetti è in costante crescita. (fonte: Confagricoltura; in foto uno scatto presso l’allevamento di trote di Erede Rossi Silvio a Sefro, Macerata).
Anche il settore dell’acquacoltura, dall’allevamento alla macellazione, sarà interessato dalla revisione legislativa sul benessere animale entro il terzo trimestre del 2023. In una risposta scritta, la Commissione UE dichiara infatti di essere al lavoro per la revisione della legislazione europea in materia di benessere degli animali pubblicata nel 2021. Entro il terzo trimestre del 2023, la Commissione prevede di adottare proposte per aggiornare la legislazione attualmente vigente tenendo conto di elementi specifici per specie, come le operazioni di manipolazione dei pesci e i metodi di abbattimento. Le dichiarazioni sono giunte in risposta ad un’interrogazione avanzata da vari eurodeputati sulla macellazione dei pesci e ai metodi di stordimento prima della macellazione. Indagini recenti sul settore dell’acquacoltura rivelano che sono ancora utilizzati in Europa metodi di macellazione che l’EFSA e l’Organizzazione mondiale per la salute animale (WOAH) considerano da molto tempo inaccettabili per il benessere dei pesci. Tali indagini rivelano inoltre le sofferenze dovute al tempo trascorso fuori dall’acqua e alle pratiche di manipolazione connesse alla macellazione. Per questo gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione se intende introdurre requisiti per lo stordimento efficace dei pesci e se ha intenzione di proporre l’obbligo di seguire migliori pratiche di manipolazione in fase di macellazione per tutte le specie di pesci nel settore dell’acquacoltura. Gli eurodeputati hanno inoltre chiesto se la Commissione è disposta a proporre il divieto di utilizzare tecniche di macellazione dolorose come ad esempio, asfissia in aria o nel ghiaccio, bagni di sale, acqua satura di gas. La Commissione ha fatto sapere che prevede di aggiungere, alla revisione della legislazione in tema di benessere degli animali, disposizioni specifiche per specie per l’abbattimento di determinate specie ittiche d’allevamento. A tale scopo terrà conto dei pareri scientifici disponibili, delle norme internazionali applicabili nonché dei risultati della valutazione d’impatto in corso (fonte: A.N.M.V.I. Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani).
FRY FEEDS
GROWER FEEDS
BROODSTOCK FEEDS
ORGANIC FEEDS
FINISHER FEEDS
FUNCTIONAL FEEDS
TEMPERATURE
ADAPTED FEEDS
Impatto del mangime sulla qualità delle acque di allevamento e sulle caratteristiche del filetto
nell’alimentazione della trota
iridea (Oncorhynchus mykiss)
di Elisa Fiordelmondo e Alessandra Roncarati
Il presente articolo è stato redatto con la finalità di inquadrare le scelte mangimistiche adottate da un’azienda specializzata nell’allevamento della trota iridea (Oncorhynchus mykiss), sita nell’entroterra marchigiano, a Sefro in provincia di Macerata, e valutarne la loro influenza sulla qualità delle acque di allevamento e sulle caratteristiche organolettiche del filetto che si ottiene dalla macellazione di questi pesci. Per tale valutazione sono stati presi in considerazione aspetti riguardanti le modalità produttive, la gestione dell’alimentazione e la qualità delle acque di allevamento. Lo studio vuole porre l’attenzione sulla connessione esistente in troticoltura tra l’utilizzo di un mangime e la qualità dell’acqua di allevamento. Questa, infatti, va intesa come l’habitat in cui gli animali vivono e crescono, che deve sempre rispondere ad elevati standard qualitativi per assicurare lo stato di benessere animale durante tutte le fasi di allevamento, oltre che garantire un’ottima qualità delle carni prodotte.
Per la stesura di tale lavoro è stata presa a riferimento la bibliografia disponibile in materia a livello nazionale e internazionale. In particolare, si è fatto riferimento ai rapporti della Commissione europea in materia di acquacoltura in acque dolci, oltre ad attingere alle fonti scientifiche più autorevoli su questa materia. Le determinazioni analitiche riferite alla composizione centesimale e al profilo in acidi grassi dei mangimi e dei filetti sono state condotte da UNICAM su campioni di trote iridee campionate nel corso di collaborazioni di ricerca che erano state attivate con l’azienda EREDE ROSSI SILVIO nel corso del biennio 2008-2009 e, più recentemente, nell’arco del 2019.
Per gli stessi anni, sono stati presi in considerazione i principali parametri fisico-chimici delle acque ottenuti dalla consultazione dei certificati analitici reperibili presso l’azienda per l’anno 2009, quando venivano impiegati mangimi di tipo pellettato. Sono stati analizzati i seguenti parametri: solidi sospesi totali, domanda chimica di ossigeno
(C.O.D.), domanda biochimica di ossigeno (B.O.D.), nitriti, nitrati, azoto ammoniacale, fosforo totale. Per ciascun parametro i dati si riferiscono alle medie annuali, calcolate a partire da rilevazioni mensili. Avvalendosi degli studi presenti nella recente letteratura sulla qualità delle acque (DALSGAARD et al., 2017; FIORDELMONDO et al., 2020; GALEZAN et al., 2020), i parametri sono stati comparati con le determinazioni analitiche più recenti (anno 2019), condotte da UNICAM sulle acque delle raceways in cui veniva e tuttora è impiegato mangime di tipo estruso.
Introduzione
In Europa la trota iridea è una delle principali specie di pesci d’acqua dolce allevate che richiede studi sempre innovativi per migliorare la sostenibilità ambientale, la gestione aziendale e il benessere dei pesci stessi. La costante espansione dell’acquacoltura deve necessariamente andare di pari passo con continui progressi nelle formulazioni di mangimi destinati alle specie acquatiche, la cui sfida primaria è quella di identificare ingredienti alternativi e complementari a farina di pesce e olio di pesce garantendo allo stesso tempo i benefici per la salute umana associati al consumo di questi prodotti. Infatti, la nota reputazione dell’acquacoltura è quella di essere la principale, oltre che affidabile, fonte di acidi grassi Omega-3 per l’uomo.
Un recentissimo studio pubblicato nella rivista NATURE FOOD (Rocker et al., 2022) ha calcolato come sia necessaria una riduzione di inclusione di farina di pesce e olio di pesce nella dieta dei pesci allevati del solo 3% per consentire di sostenere un tasso di crescita annua dell’acquacoltura del 2% fino alla fine del secolo, senza inficiare sulla qualità organolettica e nutrizionale delle carni prodotte dai pesci allevati.
Nel settore dell’acquacoltura, particolare attenzione viene inoltre posta allo stato sanitario dei corpi idrici e ad una corretta gestione dei bacini di allevamento, riducendo il rischio di esposizione dei soggetti allevati ad una qualità inadeguata
delle acque. Parlando di ambiente acquatico, come di seguito discusso, l’impiego di mangimi di qualità, oltre a ripercuotersi sul prodotto ittico finito, influenza direttamente le caratteristiche dell’ambiente acquatico in cui gli animali stessi vivono, poiché una quota parte del mangime assunto da parte dei pesci viene restituita all’ambiente sotto forma di metaboliti o come sottoprodotti solubili del metabolismo.
Nella formulazione dei mangimi, quindi, uno degli aspetti più importanti da considerare è la qualità delle materie prime impiegate. In particolare, in riferimento alla stesura del presente testo, sono stati approfonditi i seguenti aspetti:
1. alimentazione;
2. qualità delle acque di allevamento;
3. caratteristiche organolettiche delle carni prodotte.
A tal proposito, da più di un decennio l’azienda Erede Rossi Silvio si è posta l’obiettivo di curare gli aspetti legati al miglioramento del benessere animale in allevamento, adottando a tale scopo tecniche produttive innovative sul fronte mangimistico. Al fine di valutare l’adeguatezza degli alimenti impiegati nell’impianto di Sefro, sono state prese in esame le formulazioni mangimistiche e le materie prime impiegate per la produzione dei mangimi destinati all’alimentazione delle trote allevate nei bacini dell’azienda, nonché gli indici di conversione alimentare (ICA) e le tecniche mangimistiche adottate.
L’ICA è definito come il rapporto fra la quantità di alimento somministrato e la crescita in peso di un pesce. Dall’esame delle schede di alimentazione che Erede Rossi Silvio conserva in archivio informatico, è stato possibile riscontrare che negli
ultimi 12 anni l’ICA si è attestato sempre attorno al valore medio di 1.
Alimentazione animale e mangimi impiegati Nell’impianto di Sefro la distribuzione del mangime alle trote viene effettuata mediante carro semovente con un livello di razionamento pari al 70% della somministrazione ad libitum (alimentazione a volontà). Il raggiungimento di un livello vicino alla sazietà e mai in eccesso evita l’alimentazione forzata degli animali e riduce al minimo gli sprechi alimentari. I mangimi utilizzati nell’impianto di Sefro vengono prodotti mediante il processo di estrusione, le cui caratteristiche principali sono di seguito elencate, facendo un paragone con il mangime in pellet:
* elevata stabilità in acqua, consentendo all’alimento di rimanere maggiormente a disposizione dei pesci;
* migliore qualità del mangime, grazie al processo di estrusione stesso;
* elevata capacità di assorbimento dei grassi;
* controllo del peso specifico;
* assenza di formazione di polveri e di frammentazioni, riducendo gli sprechi, migliorando la disponibilità dei nutrienti e minimizzando l’impatto ambientale.
Il principale vantaggio del mangime estruso rispetto ad un mangime pellettato è quello di ottenere un mangime con una bassa velocità di sedimentazione. Tale parametro è una tra le proprietà fisiche di fondamentale importanza per un alimento in acquacoltura, poiché consente di rimanere per un lasso di tempo maggiore a disposizione dei pesci, che riescono così ad intercettare velocemente la presenza dell’alimento senza che questo vada disperso.
Nell’impianto di Sefro, mediante l’adozione di un mangime di tipo estruso, il cilindretto di mangime rimane per più tempo all’interno della colonna di acqua e precipita verso il fondo della vasca più lentamente,
aumentando il tempo di intercettazione da parte delle trote. In questo modo, si riduce drasticamente la quantità di mangime non ingerito che andrebbe invece a depositarsi sul fondo delle vasche, con conseguente perdita economica e inquinamento delle acque di allevamento.
Nell’impianto di Sefro, la granulometria delle particelle di mangime estruso aumenta con l’accrescimento delle trote; inoltre, i mangimi estrusi che vengono impiegati non necessitano di essere sfarinati né sbriciolati, poiché le trote in ingresso nelle raceways dell’impianto, che vengono allevate fino al raggiungimento della taglia commerciale di 300-350 grammi, hanno una pezzatura media di almeno 90 g, e sono perciò già di taglia idonea per assumere mangime sotto forma di cilindretti.
Un altro fondamentale aspetto da considerare è l’ottimizzazione delle diete, che è direttamente influenzata dalla qualità delle proteine delle materie prime impiegate, ed in particolare dalla composizione in aminoacidi, dalla relazione tra esigenze amminoacidiche dei pesci ed ingestione di proteine, dall’equilibrio tra aminoacidi e dalla biodisponibilità degli aminoacidi stessi. Da un corretto equilibrio della componente proteica della dieta dipendono:
• l’ottimizzazione dell’accrescimento e degli indici di conversione;
• la riduzione dell’impatto ambientale dovuto all’escrezione di azoto e fosforo e alla produzione di solidi sospesi;
• la riduzione dei costi di alimentazione;
• un miglioramento della qualità del prodotto finale.
A tal proposito, soddisfare le esigenze nutritive dei pesci allevati è fattore preliminare per il mantenimento del loro benessere, oltre a consentire la produzione di carni con caratteristiche qualitative più vicine possibili a quelle dei pesci selvatici, ottenendo un gusto più appagante per il consumatore finale. La qualità del mangime, inoltre, influisce direttamente anche sulla qualità delle acque di allevamento, perché, come già citato, una parte del mangime ingerito dai pesci viene restituita all’ambiente come metaboliti o come sottoprodotti solubili del metabolismo. La Tabella 1 mostra il bilancio di azoto (N) e fosforo (P) tra le acque di vasche di allevamento della trota iridea in cui si utilizza un mangime pellettato e le acque di vasche che ospitano invece trote alimentate con mangimi estrusi. Da notare la significativa differenza di carico di azoto e fosforo.
Materie prime utilizzate, formulazione delle diete e qualità del filetto Erede Rossi Silvio, attenta alla globale realtà economica e produttiva odierna, ha intrapreso scelte produttive che ben si sposano con i principi di sostenibilità ambientale. Infatti, la farina di pesce impiegata
è stata in parte sostituita con quella di farine vegetali di propria produzione. Nell’impianto di Sefro, la quota proteica di origine vegetale impiegata è pari al 25-30% della proteina totale; a tal proposito, si è potuto riscontrare che i mangimi utilizzati nell’azienda Erede Rossi Silvio contemplano il 30% delle materie prime, quali grano tenero, pisello, favino e colza che provengono dall’azienda agricola di proprietà del gruppo stesso.
Proprio al fine di assicurare la qualità delle materie prime impiegate, Erede Rossi Silvio ha intrapreso una propria produzione di mangimi aziendali, garantendo un accurato controllo di qualità su tutta la filiera produttiva e promuovendo un approccio sostenibile.
Nell’ambito dell’impiego di materie prime di origine vegetale destinate all’alimentazione di organismi acquatici, di fondamentale importanza è l’utilizzo dell’amido di frumento crudo, che permette di ottenere una elevata digeribilità del mangime, fino anche a raggiungere il 96%. Inoltre, poiché il grado di gelatinizzazione dell’amido influenza direttamente la consistenza delle feci prodotte dai pesci, le deiezioni degli animali si sedimentano facilmente sul fondo delle vasche e risultano
1 – Bilancio per azoto (N) e fosforo (P) nelle raceways di allevamento in cui ha avuto luogo l’utilizzo del mangime pellettato (1) e in quelle in cui è stato impiegato mangime estruso (2)
Il principale vantaggio del mangime estruso rispetto ad uno pellettato è la bassa velocità di sedimentazione. Un parametro, questo, di fondamentale importanza per un alimento in acquacoltura, poiché consente di rimanere per un lasso di tempo maggiore a disposizione dei pesci
perciò facilmente rimovibili. Quindi, l’impiego del mangime estruso gioca un importante ruolo anche in termini di sostenibilità ambientale: poiché aumenta la digeribilità del mangime e la sua stabilità in acqua, ne consegue una riduzione dei solidi sospesi e dei nutrienti dispersi nelle acque di allevamento. In Tabella 2 vengono riportati gli ingredienti di un mangime standard utilizzato nell’impianto di Sefro per l’alimentazione della trota iridea. La parziale sostituzione della farina di pesce con fonti proteiche di origine vegetale è stata condotta senza tralasciare gli aspetti connessi al benessere animale e alla qualità del prodotto finale.
Tabella 3 – Composizione centesimale (% s.t.q.), energia metabolizzabile e principali acidi grassi (g/100 g) della serie n-6 e della serie n-3 relativi al mangime utilizzato nell’impianto di Sefro
Estrema attenzione viene posta da parte della suddetta azienda nella formulazione di specifiche diete ben bilanciate, che devono sempre rispettare tutti i fabbisogni della specie ittica allevata. Va, infatti, tenuto in considerazione che le caratteristiche organolettiche e la qualità dell’alimento somministrato giocano un ruolo fondamentale, in quanto il mangime costituisce per la trota allevata l’unica fonte alimentare disponibile, ed è in grado di plasmare direttamente la composizione della carne. A tal proposito, va ricordato che il mangime estruso mostra una maggiore capacità di assorbimento dei grassi ed è possibile conoscerne il peso specifico. Risulta perciò facile controllare l’alimentazione del pesce e, di conseguenza, la composizione della carne ottenuta da questi animali.
Un altro obiettivo che Erede Rossi Silvio si è posta è quello di produrre carni salubri e ricche di nutrienti essenziali, tra cui gli acidi grassi polinsaturi della serie n-3. Come noto, l’assunzione degli Omega-3 esercita effetti benefici sulla salute umana, che riguardano principalmente la funzionalità cardiaca, il sistema circolatorio, l’efficienza del sistema immunitario, e la prevenzione di gravi malattie quali Alzheimer, artrite reumatoide e cancro. La Tabella 3 riguarda i valori della composizione centesimale e dei principali acidi grassi polinsaturi della serie n-6 e della serie n-3, di un mangime in uso nell’impianto di
Sefro e di uno, di tipo pellettato, che veniva somministrato per la fase di ingrasso fino all’anno 2009.
Le diete bilanciate attualmente impiegate presso Erede Rossi Silvio sono state messe a punto specificamente per soddisfare i fabbisogni
nutritivi della trota allevata in relazione al suo peso vivo, consentendo di ottenere ICA di 1,1:1 come valore medio annuale.
Tale valutazione è stata eseguita sulla base dei dati ottenuti dalle schede di alimentazione e di performance
di trote
produttive esibite nel corso degli ultimi 12 anni.
Nella Tabella 4 si pongono a confronto le principali caratteristiche qualitative delle carni di trote alimentate con la dieta estrusa attualmente in uso con quelle di trote
Tabella 4 – Composizione centesimale (% s.t.q.), totale in acidi grassi (AG) della serie n-3 e della serie n-6 (% sul totale AG) e rapporto n-3/n-6 in filetti
iridee, campionate al termine del ciclo produttivo e alimentate con mangime estruso, comparate con quelle analizzate nel corso del 2009 e riceventiDa oltre un decennio Erede Rossi Silvio si è posta l’obiettivo di curare gli aspetti legati al miglioramento del benessere animale in allevamento, adottando a tale scopo tecniche produttive innovative sul fronte mangimistico.
che ricevevano il mangime pellettato nel corso della fase di ingrasso fino all’anno 2009. In particolare, si riportano la composizione centesimale e il totale in acidi grassi della serie n-6 e della serie n-3 riferiti alle analisi condotte su pool di filetti di trote campionate al termine del ciclo produttivo, quando è raggiunta la pezzatura media di 350 grammi. Dai risultati riportati si può evidenziare come la qualità delle carni si sia mantenuta elevata, sia in termini di contenuti proteici che di acidi grassi Omega-3, a fronte di un moderato tenore in grassi.
Il controllo della qualità dell’acqua di allevamento è fondamentale per il benessere delle trote. Condizioni di allevamento inadeguate, come spazio insufficiente, densità eccessiva e cattiva alimentazione possono avere ripercussioni negative sulle specie ittiche allevate. Le pinne danneggiate, erose o emorragiche non sono solo
correlate ad eventi patologici, ma anche a fattori ambientali inadeguati, collegati ad aspetti legati allo stress come una densità di allevamento dei pesci troppo elevata in assenza di una qualità dell’acqua ottimale.
Per controllare la qualità delle acque di allevamento, Erede Rossi Silvio provvede ad effettuare analisi fisico-chimiche delle acque almeno ogni 6 mesi determinandone tutti i parametri necessari per una corretta gestione dell’allevamento.
Di tali controlli l’azienda incarica un centro di laboratori certificato e specializzato nelle analisi delle acque. Il monitoraggio per i livelli di ossigeno, temperatura, pH, ammoniaca, nitriti e nitrati avviene giornalmente.
Studi bibliografici hanno focalizzato la loro attenzione sul rapporto tra qualità dell’acqua di allevamento e gestione dell’alimento, mostrando come l’adozione di una moderna tipologia di mangime basata proprio sulla tecnica dell’estrusione comporti un signifi cativo miglio-
ramento della qualità dell’acqua di allevamento. Nello specifico, un lavoro pubblicato nel 2020 (FIORDELMONDO et al., 2020) mostra proprio come il tipo di mangime impiegato in acquacoltura impatti in maniera decisiva e diretta sulla qualità delle acque di allevamento. Sempre nello specifico, è stato dimostrato come in un allevamento di trota iridea il passaggio dall’impiego di un mangime di tipo pellettato a quello di tipo estruso abbia determinato nell’arco di 10 anni un netto miglioramento di tutti i parametri indici di qualità delle acque di allevamento, ovvero solidi sospesi totali, nitriti, nitrati, fosfati e ammoniaca.
Anche i parametri indici dell’ossigenazione delle acque hanno visto un netto miglioramento. Infatti, rispetto alla forma pellettata, come discusso, la tecnica di estrusione favorisce una maggiore stabilità in acqua, con tutti i benefici che ne conseguono.
Tali miglioramenti relativi alla qualità dell’ambiente acquatico si sono nettamente evidenziati nell’Im-
pianto di Sefro in seguito al passaggio dall’impiego di un mangime pellettato, in voga negli anni passati, alle moderne tecniche basate sull’utilizzo di un mangime estruso.
La Tabella 5 mette in luce i valori riferiti ai principali indici di qualità delle acque tra vasche ospitanti pesci alimentati con mangime pellettato, in uso presso Erede Rossi Silvio fino al 2009 e vasche ospitanti pesci alimentati con l’estruso, il cui impiego è iniziato successivamente.
Considerazioni conclusive
Il presente studio supporta l’idea che l’estrusione sia oggi la migliore tecnica di lavorazione dei mangimi in acquacoltura, come precedentemente dimostrato da altri studi. WELKER e collaboratori (2018) hanno confrontato la tecnica di estrusione con quella del pellet analizzando la stabilità dell’acqua, la durabilità fecale e la digeribilità, e trovando i migliori risultati con l’uso del mangime estruso. Gli stessi risultati
stati mostrati dal gruppo di ricerca di TYAPKOVA (2016). Inoltre, in acquacoltura la tecnica di estrusione influisce positivamente sulla qualità dell’acqua: si riducono gli sprechi alimentari dovuti a polvere, e rotture, migliorando la disponibilità di nutrienti per i pesci e minimizzando l’impatto ambientale.
Un altro elemento a favore del mangime estruso è la bassa velocità di sedimentazione all’interno della colonna d’acqua, rimanendo a lungo
disponibile per i pesci, che intercettano rapidamente la presenza di cibo senza che esso si disperda e produca scarti. D’altra parte, l’uso del mangime in pellet utilizzato in passato in troticoltura comportava uno sbriciolamento del mangime e una frammentazione dei cilindretti alimentari; di conseguenza, una parte di mangime, seppur ridotta, andava persa. Questa frammentazione causava un certo grado di inquinamento delle acque di allevamento per la dispersione di piccole quantità di polveri, le quali rimanevano sul fondo delle vasche, diventando una possibile fonte di inquinamento dell’acqua di allevamento oltre che causare una contaminazione microbica dell’ambiente acquatico.
Nonostante l’aumento dei costi delle materie prime, le difficoltà negli approvvigionamenti e l’impennata dei costi energetici, che stanno seriamente preoccupando tutti gli operatori della mangimistica, la tecnica di estrusione si conferma vantaggiosa per gli aspetti di maggior digeribilità, miglioramento delle conversioni e delle performances produttive.
Elisa Fiordelmondo Dottoranda di Ricerca in “Life and Health Science”, curriculum in “One Health” Università degli Studi di Camerino (UNICAM)
Alessandra Roncarati
Prof. ordinario di Acquacoltura Scuola di Bioscienze e Medicina Veterinaria Università degli Studi di Camerino (UNICAM)
Ringraziamenti
Si ringrazia Erede Rossi Silvio per la fattiva disponibilità prestata nel corso del progetto di dottorato EUREKA, “Research and study of innovative raw materials to be used in the feeding of the main fish species of interest to aquaculture in order to obtain a product of high nutritional quality and antibiotic-free”, di cui il Gruppo Erede Rossi Silvio è uno dei principali promotori.
Si ringrazia inoltre il dott. Giorgio Bauce per aver messo a disposizione le formulazioni dei mangimi impiegati presso l’allevamento di Sefro.
Note
A pagina 40, il controllo della qualità dell’acqua di allevamento è fondamentale per il benessere delle trote; nella foto in questa pagina, una cascata naturale nell’allevamento di Erede Rossi Silvio a Sefro (MC).
Bibliografia consultata
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La Fusariosi è una malattia micotica causata da funghi filamentosi del genere Fusarium. Tra gli animali marini, sono state descritte infezioni cutanee e sistemiche sia in pinnipedi che in diverse specie di tartarughe marine, a vita libera e in cattività. In quest’ultimo caso, il rischio di infezione opportunistica è aumentato dalla presenza e accumulo di spore fungine nelle vasche e dall’immunodepressione dovuta allo stress da cattività. Nella maggior parte degli studi, Fusarium solani species complex è segnalato come il principale agente eziologico della fusariosi nelle tartarughe marine. In questo studio, abbiamo descritto i risultati preliminari del trattamento con olio essenziale (OE) per la Fusariosi superficiale nelle tartarughe Caretta caretta ospitate nel centro di recupero del CESTHA– Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat di Marina di Ravenna (RA).
Nel periodo dicembre–marzo 2022, 11 tartarughe marine, giovani e subadulte, di nuova ammissione o già ospitate nel centro, hanno presentato lesioni cutanee da erosive a ulcerative, su carapace, testa e/o arti, interessando fino al 50% della superficie corporea.
L’infezione fungina dovuta a Fusarium solani species complex è stata confermata dalla coltura micologica, identificazione molecolare e dai preparati istologici provenienti dalle lesioni cutanee. Per ridurre la crescita dei funghi, nell’acqua della vasca è stata aggiunta una miscela di oli essenziali e ingredienti vegetali (GreenVet APA-CT®) alla dose massima di 45 ml per 1.000 litri d’acqua. Inoltre, è stata effettuata giornalmente l’applicazione topica sulle lesioni cutanee per 30 giorni, lasciando gli animali fuori dall’acqua per un tempo di 30 minuti. Dopo 30 giorni, 8 animali su 11 erano clinicamente guariti, ad indicare che il trattamento era efficace, senza aver
individuato effetti collaterali. Questi risultati preliminari mostrano l’attività in vivo degli OE nei confronti di Fusarium solani species complex.
Le attività antifungine degli OE in miscela rappresentano una promettente alternativa per la terapia della Fusariosi, evitando la tossicità dei classici farmaci antifungini; pertanto sono in corso anche i test in vitro sulla loro efficacia. Al fine di limitare la diffusione dell’infezione fungina nei centri di soccorso, è consigliabile un trattamento tempestivo degli animali infetti in ingresso e la disinfezione dei filtri dei serbatoi e dell’acqua.
Sara Segati Simone D’Acunto Silvia Brandi
Linda AlbonettiCESTHA – Centro Sperimentale per la Tutela degli Habitat Federica Marcer
Elisa Marchiori
Dip. Medicina animale, produzioni e salute – MAPS, Università di Padova
Enea Tentoni Maurizio Scozzoli Centro sperimentale APA-CT
Patrizia Danesi
Sofia Sgubin
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Barbara Bacci
Dip. Scienze Mediche Veterinarie – DIMEVET Università di Bologna
in corso anche i test in vitro sulla loro efficacia
Le attività antifungine degli oli essenziali in miscela rappresentano una promettente alternativa per la terapia della Fusariosi solani species complex, evitando la tossicità dei classici farmaci antifungini. A questo proposito, sono infatti
L’azienda francese di biotecnologie inalve (inalve.com) ha sviluppato e brevettato un’innovativa tecnica di coltivazione delle microalghe che consente di commercializzare una soluzione concentrata in cellule viventi, ricca di molecole benefiche per la nutrizione e la salute animale, riducendo drasticamente l’impatto sull’ambiente. Essa risponde in particolare alle sfide degli incubatoi di acquacoltura, offrendo loro un mangime che semplifica la logistica e aumenta significativamente la produttività degli allevamenti. Le microalghe sono alla base della catena alimentare e producono più del 50% dell’ossigeno terrestre. Raddoppiando la loro massa ogni giorno, sono un formidabile serbatoio di CO2. Sono naturalmente ricchi di molecole benefiche per la salute e lo sviluppo delle specie viventi (proteine, Omega-3, vitamina E, antiossidanti, polisaccaridi, ecc.) La sfida consiste quindi nel produrli in modo efficiente per soddisfare le esigenze del mercato in termini di qualità, volumi e costo. inalve ha sviluppato una tecnica di coltivazione altamente innovativa in collaborazione con tre centri di ricerca francesi di fama internazionale: Inria, CNRS e Università della Sorbona. Questa innovazione si ispira alla natura sfruttando la capacità di alcune microalghe di svilupparsi sotto forma di biofilm. Rispetto ai metodi tradizionali di produzione delle microalghe, offre molti vantaggi. Il primo è una significativa riduzione dell’impatto ambientale grazie all’ottimizzazione del fabbisogno di acqua (–80%) e di energia (–30%) (studio LCA dell’INRIA effettuato nel 2019). Questo risparmio energetico è dovuto principalmente al fatto che il prodotto raccolto è naturalmente molto concentrato (dal 13 al 20% di massa secca) e quindi non richiede un processo per separare l’acqua dalla biomassa utile.
Questa è la seconda caratteristica di differenziazione: dopo la raccolta, il 100% delle cellule è intatto e quindi vivo. Inoltre, senza l’aggiunta di conservanti, i prodotti della gamma FEALÒ Fresh si conservano molto bene in celle frigorifere, con un tasso di vitalità cellulare superiore al 50% dopo 4 settimane. Il terzo vantaggio di questo metodo di coltura è la presenza di esopolisaccaridi solfati (EPS) in alte concentrazioni. Questi zuccheri complessi, noti per rafforzare il sistema immunitario, contribuiscono probabilmente alle ottime prestazioni presentate di seguito; inalve attribuisce grande importanza alla garanzia di biosicurezza degli allevamenti (vengono prese tutte le precauzioni per garantire l’assenza di contaminazione batterica della biomassa, a partire dall’acqua di mare ricostituita da acqua sterilizzata mediante filtrazione e UV) e a commercializzare un prodotto privo di metalli pesanti, pesticidi e antibiotici. Un prodotto 100% naturale. Dopo la raccolta, la biomassa è attualmente standardizzata al 5-6% della massa secca (~150 milioni di cellule per ml).
La società francese sta sviluppando un’intera gamma di prodotti arricchiti (vitamina B12, selenio, DHA, ecc…) adatti alle esigenze dei diversi mercati (larve di pesci, gamberi, bivalvi).
L’offerta di inalve è destinata a rivoluzionare il mercato dei mangimi per gli incubatoi di acquacoltura. In effetti, le microalghe vive sono la fonte nutrizionale naturale delle larve di gambero e dello zooplancton, ma finora nessuno le ha commercializzate con questo livello di vitalità cellulare e concentrazione di biomassa. Questa offerta offre molti vantaggi agli operatori dell’acquacoltura. Evita loro di gestire le stanze di coltivazione delle microalghe, aumentando al contempo in modo significativo la biosicurezza e la produttività dell’incubatoio. I primi clienti di inalve hanno registrato un aumento significativo del tasso di sopravvivenza delle larve e delle loro dimensioni prima della metamorfosi, una riduzione significativa del tempo necessario per la metamorfosi in giovane adulto e persino una riduzione del tasso di malformazioni per alcune specie. E una semplificazione della loro organizzazione interna su base giornaliera.
Produrre mangimi sostenibili per polli e pesci partendo dall’allevamento di un insetto, la mosca soldato nera. È l’obiettivo del progetto Win4Feed (Waste & Insect for Feed), sostenuto dal bando del PSR 2014-2022, che vede partecipare la Fondazione Edmund Mach e due aziende agricole trentine, Baolfly e Uova di Montagna. Si tratta di un modello innovativo di bioeconomia circolare che prevede di sfruttare gli scarti locali della trasformazione agroalimentare per produrre una dieta per la crescita delle larve della mosca soldato in uno specifico impianto pilota implementato dalla startup Baolfly, coordinatore del progetto; larve che poi diventano alimento per le galline ovaiole. Non è tutto, il cerchio si chiude con un ultimo passaggio: i sottoprodotti dell’allevamento dell’insetto, ovvero esuvie e insetti adulti, vengono riutilizzati come integratori nell’alimentazione delle trote nell’ottica di avere un allevamento zero rifiuti. In questo progetto di economia circolare, la FEM fornirà supporto tecnico-scientifico grazie alle competenze e strumentazioni dell’Unità acquacoltura e idrobiologia del Centro Trasferimento Tecnologico con la collaborazione dell’Unità biotecnologie dei prodotti naturali del Centro Ricerca e Innovazione per l’analisi del microbiota intestinale dei pesci. «La valorizzazione che farà FEM — evidenzia Filippo Faccenda, responsabile scientifico di progetto e referente della Fondazione — consiste nel nobilitare uno scarto della filiera dell’insetto in un ingrediente per la filiera del pesce, riducendo a sua volta l’impatto ecologico della produzione di acquacoltura. Il prodotto ottenuto dal ciclo dell’insetto verrà sperimentato come sostituto della soia nei mangimi per avicoli; l’insetto, infatti, risulta un ingrediente più sostenibile rispetto alla soia in termini consumo di suolo, acqua e impronta carbonica. Quindi la sua sostituzione con la larva di mosca soldato nera porta, di conseguenza, ad una produzione zootecnica più sostenibile e ad un alimento (uova) meno impattante sull’ambiente» (fonte: EFA News – European Food Agency).
Una delle più importanti rivoluzioni che l’uomo ha avviato nel settore delle produzioni agricole è stata senza dubbio il passaggio dall’aratro “chiodo” a quello con il “versoio”. Questa innovazione ha letteralmente “sovvertito” il mondo agricolo e non solo nel senso letterale del termine. Con questa invenzione, infatti, grazie alla ritrovata fertilità dei suoli, le produzioni furono in grado di fare quel salto qualitativo e quantitativo che consentì di far fronte al maggiore bisogno alimentare e creando le
premesse per il lungo cammino che l’agricoltura ha fatto fino ai nostri giorni.
Certo è che da allora, di innovazioni nel settore agricolo, ce ne sono state molte altre, alcune delle quali sicuramente di importanza rilevante, ma ciò a cui stiamo assistendo in questo periodo post-pandemico a proposito di nuove tecnologie agricole è davvero meritevole di menzione. Questi “anni pandemici”, infattti, ci hanno “obbligati” a prendere contatto sempre più attivo
con le nuove tecnologie e il mondo della rete e, seppure certi processi fossero già stati avviati da tempo, non c’è dubbio che la “clausura” abbia favorito l’adozione di una serie di sistemi che fanno dell’automazione e dell’intelligenza artificiale una delle nuove vie su cui si muoverà la società del futuro.
Contrari o favorevoli che si possa essere, è difficile non cogliere quanto certi processi abbiano determinato dei miglioramenti nel nostro quotidiano e, soprattutto, quale sia il
beneficio che se ne possa trarre: basti pensare alla scoperta del lavoro da casa, il cosiddetto “lavoro agile”, che ha portato ad enormi benefici per l’ambiente, meno gravato dall’ingente traffico che, non riversandosi sulle nostre strade, ha ridotto significativamente, almeno in quel periodo, l’inquinamento.
Abbiamo così “sperimentato” una possibile alternativa che ha portato a riorganizzare i processi produttivi, ma anche a renderci consapevoli, se ce ne fosse stato ancora il bisogno, di quanto siano fondamentali per il Paese le reti di comunicazione e di trasmissione dati, perché è anche su di esse che può viaggiare l’informazione ed il “lavoro” svolto da molte persone. Al contempo, ci ha fatto comprendere quanti siano ancora i passi da fare per ammodernare o addirittura costruire ex novo quelle “strade” su cui possono transitare gran parte dei processi produttivi odierni e del futuro, rendendo le produzioni più efficaci, meno dispersive e più sostenibili.
Tornando alle rivoluzioni agricole , possiamo dire che proprio grazie a queste nuove tecnologie oggi il mondo delle produzioni primarie sta vivendo un momento particolare. Mai come in questo periodo, infatti, le tecnologie digitali stanno avendo una forte diffusione anche nel settore agricolo, tanto che si parla di “Agricoltura 4.0” proprio per definire la gestione delle aziende agricole lungo tutta la filiera, attraverso varie modalità basate sull’Internet of Things (IoT o IdC), sull’ottimizzazione dei Big Data, sull’Intelligenza Artificiale e sulla robotica, nel tentativo di rendere più efficienti le varie attività che partono dalla produzione fino ad arrivare alla commercializzazione. L’agricoltura si fa così “più intelligente”, affidandosi a moderne tecnologie per svolgere attività di rilevamento, elaborazione, archiviazione, che vengono ad aiutare il produttore per gestire in maniera più efficace e maggiormente sostenibile i suoi processi produttivi.
Alla base di questa profonda innovazione tecnologica sta essenzial-
mente la possibilità di far “parlare” tra loro gli oggetti e “rielaborare” i dati rilevati, “confrontandoli” con data base di rete, per avere delle indicazioni che possono essere utilizzate nella gestione dei processi produttivi. In questo senso, l’Internet delle Cose rappresenta una possibile evoluzione nell’utilizzo della semplice rete internet: le “cose” si rendono riconoscibili e acquisiscono una loro intelligenza, comunicando dati ed accedendo ad informazioni aggregate da parte di altri grazie al collegamento web. L’oggetto o la “cosa”, intesa come dispositivo, apparecchiatura, impianto e sistema, materiale e macchina, connessa alla rete internet, diventa “intelligente”, permettendo al mondo elettronico di tracciare una mappa di quello reale, trasmessa a tutti i dispositivi elettronici in grado di “leggere” le informazioni. Questa lettura consente al produttore di organizzare meglio il suo lavoro e di gestire in maniera più efficiente la sua azienda.
La “rivoluzione” dell’IoT in agricoltura non riguarda, infatti, solo l’adozione di una moderna tecnologia di rete, ma, soprattutto, un diverso approccio alla produzione, teso a limitare gli interventi dell’uomo solo ai momenti in cui effettivamente servono, riducendo gli sprechi e capitalizzando un diverso modo di produrre per il produttore e l’ambiente. Con questa tecnologia la gestione dei campi e degli allevamenti diventa più “precisa”, grazie ai sensori IoT che possono collegare costantemente i vari processi della gestione del bestiame e della conduzione dei campi.
La parola chiave diventa il “monitoraggio preciso e continuo” che per gli allevamenti va ad esempio dalla distribuzione del mangime alla produzione di latte, identificando con precisione ed accuratezza, possibili cambiamenti di salute, di performance e di status riproduttivo degli animali oppure alla gestione oculata e mirata dei fertilizzanti e dei sistemi di irrigazioni dei seminativi, attraverso sensori che forniscono dati sullo stato delle colture e dei sistemi di produzione grazie ad
un’analisi precisa ed immediata della situazione, facendo in ultima analisi risparmiare tempo e denaro nel lungo periodo. Si razionalizza il processo produttivo, si evitano sprechi e si immettono meno sostanze inutili nell’ambiente, rendendo più razionali ed efficienti i sistemi di produzione.
È chiaro che l’adozione di tali sistemi con la nuova “filosofia produttiva” va ad incidere in maniera significativa sulla salvaguardia della qualità dell’agroecosistema, rafforzando il legame tra le peculiarità dell’alimento e il luogo in cui viene prodotto, del quale si vengono a conoscere costantemente i parametri fisici di aria, acqua e suolo grazie agli innovativi sensori collocati nel terreno di coltivazione. E, attraverso l’utilizzo di questi protocolli, sarà possibile certificare anche la qualità ambientale su piccola e
grande scala, rendendo i produttori i veri protagonisti della salvaguardia dell’ambiente produttivo.
Ovviamente l’IoT si può applicare a tutte le fasi del processo produttivo, soprattutto là dove il controllo va ad interessare punti di criticità che con questo sistema possono essere controllati automaticamente. È il caso, per esempio, della sicurezza in fase di stoccaggio, perché silos e ascensori a grani o mangimi talvolta possono avere dei percorsi poco accessibili e pericolosi, con nastri trasportatori che si potrebbero bloccare, così come rischiare di incendiarsi. Ecco, quindi, che l’utilizzo di sensori IoT per tenere traccia di potenziali rischi può essere di grande aiuto nella prevenzione di incidenti, attraverso opportune modalità di allarme.
Nel settore agricolo, diverse realtà si sono già adeguate all’Agricol-
tura 4.0, sulla spinta dei produttori di sistemi high-tech che propongono soluzione intelligenti sempre più adattabili alle esigenze produttive, ma anche grazie alle politiche dei governi che tendono a favorire il rinnovamento e la transizione verso nuovi modi di produrre, favorendo l’accesso al credito delle imprese interessate ad acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, software e tecnologie digitali per accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese. In particolare, il credito d’imposta per l’acquisto in beni strumentali materiali ed immateriali, che rientra nelle agevolazioni introdotte dal Piano Transizione 4.0, rappresenta l’opportunità ideale per rinnovare i processi produttivi. Come riportato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, questa
La Misura Beni strumentali (“Nuova Sabatini") è l’agevolazione messa a disposizione dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito delle imprese e accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese. L’agevolazione sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali. Possono beneficiare dell’agevolazione le micro, piccole e medie imprese (PMI) che alla data di presentazione della domanda:
• siano regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese o nel Registro delle imprese di pesca;
• siano nel pieno e libero esercizio dei propri diritti, non sono in liquidazione volontaria o sottoposte a procedure concorsuali;
• non rientrino tra i soggetti che hanno ricevuto e, successivamente, non rimborsato o depositato in un conto bloccato, gli aiuti considerati illegali o incompatibili dalla Commissione europea;
• non si trovino in condizioni tali da risultare imprese in difficoltà;
• siano residenti in un Paese estero purché provvedano all’apertura di una sede operativa in Italia entro il termine previsto per l’ultimazione dell’investimento.
Sono ammessi tutti i settori produttivi, inclusi agricoltura e pesca. Altri dettagli sul sito del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (www.mise.gov.it/it/).
misura ha l’obiettivo di “supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato”
Ma se gli esempi di Agricoltura 4.0 cominciano ad essere già significativi ed interessare diversi campi delle produzioni, dalla valutazione delle varietà di frumento con sensori remoti, alla messa in sicurezza dei sistemi di stoccaggio dei grani, dal monitoraggio e controllo del microclima delle piantagioni di tabacco alla mappatura dei terreni agricoli delle aziende mediate l’utilizzo di droni, viene da chiedersi come si stia relazionando con il 4.0 il mondo delle produzioni acquacolturali.
Non c’è dubbio che l’acquacoltura di oggi non sarebbe tale se non avesse fatto un massiccio ricorso alle moderne tecniche di produzione e all’utilizzo di soluzioni tecnologiche innovative che l’hanno aiutata a passare dai grandi sistemi estensivi delle valli e delle lagune alle attuali unità intensive off shore, passando per le tecniche di riproduzione artificiale che forse hanno rappresentato la punta più avanzata ed innovativa nella storia dei sistemi di produzione acquacolturale. Il feeling con la tecnologia di questa cenerentola
delle produzioni zootecniche è quindi provato da tempo, ma mai come in questo momento l’Acquacoltura 4.0 può rappresentare una grande opportunità per fare un ulteriore salto di qualità in grado di conciliare progresso e sostenibilità. Basti solo pensare a quanto sia importante e significativo il continuo monitoraggio e controllo dei parametri ambientali di allevamento e di benessere animale ed al fatto che in genere le gabbie a mare sono collocate ad alcune miglia dalla riva, raggiungibili solo con battelli di servizio, che devono tenere conto anche delle condizioni meteorologiche per uscire.
C’è poi il discorso della filiera di commercializzazione, pesantemente condizionata dalla catena del freddo e da una serie di protocolli operativi che impongono rigorosi momenti di monitoraggio e controllo, opportuni ai fini della qualità della produzione, ma anche necessari quando si parla della sua certificazione e di quella dell’ambiente in cui viene realizzata. Gli esempi di Acquacoltura 4.0 negli impianti sono già numerosi e tanti altri sono ancora in fase di studio da parte delle aziende che si interessano di alta tecnologia e di automazione, ma non c’è dubbio che una volta provati, il loro impiego non potrà che migliorare il lavoro degli operatori e dell’ambiente di produzione.
RICCARDO BEDINI, amministratore delegato della ditta CIVITA ITTICA che alleva spigole ed orate nel Golfo di Follonica, sostiene che la realtà 4.0 in acquacoltura stia prendendo
sempre più piede e che oggi sarebbe impensabile organizzare una moderna programmazione aziendale senza di essa. «Una delle innovazioni maggiormente significative avute in questi ultimi anni — ricorda Bedini — è rappresenta da un apparecchio (Vicass High Definition) che, immerso nella vasca, raccoglie una serie di immagini dei pesci presenti nell’unità produttiva ed è in grado di restituire una stima del loro numero, taglia e peso medio. Uno strumento fondamentale per la programmazione e la gestione produttiva dell’allevamento.
Ci sono poi le sonde in grado di rilevare temperatura ed ossigeno e di trasmettere a riva tali parametri, che sono essenziali per la gestione dell’alimentazione dei pesci e per il benessere animale. Sapere in anticipo cosa sta succedendo nelle acque di allevamento può far prendere delle decisioni operative in grado di compensare le variazioni ambientali, senza compromettere ulteriormente le condizioni di allevamento», ma è di grande auto anche nella programmazione dei piani di razionamento dei mangimi, rendendo più efficaci e senza sprechi le fasi di alimentazione. Senza contare poi che grazie a questi sistemi, e alla capacità di immagazzinare e rielaborare i dati, possiamo avere un monitoraggio
dell’ambiente costante e storico, mai avuto in precedenza, certificativo della condizione ambientale nella quale si esercita l’attività di allevamento, con riflessi importanti per chi alleva e per il territorio.
«Se poi consideriamo la fase di lavorazione — prosegue Bedini — gli esempi di Acquacoltura 4.0 si moltiplicano. Dal selezionatore delle taglie all’incassettamento e alla copertura con ghiaccio, alla fasciabancali e alla cella frigorifera, la possibilità di far parlare le macchine (gli oggetti) tra di loro è essenziale. Solo attraverso questo dialogo, dettato dalle rispettive operosità, ovviamente impostate dall’uomo, è possibile realizzare una catena di produzione efficiente in grado di far risparmiare tempo e denaro a chi la controlla, nella sicurezza di mantenere un’eccellente qualità della produzione, ma soprattutto nella certezza di ottenere i quantitativi richiesti nei tempi e nei modi concordati per la consegna».
Un altro interessante esempio di utilizzo di moderna tecnologia 4.0 da applicare al settore ittico, al momento ancora allo studio dal PROF. PAOLO NEGRETTI di West Systems Srl, dalla DOTT.SSA GIOVANNA BIANCONI del CRF – Cooperativa Ricerca Finalizzata e del DOTT. NICOLA BARTUCCA di Orisha, è l’utilizzo
della Visual Image Analysis per calibrare un’immagine acquisita da una fotocamera al fine di eseguire su di essa una serie di misurazioni dei parametri morfologici lineari, angolari e di superficie. Tale tecnica, già utilizzata per la valutazione degli animali di interesse zootecnico con un apparecchio che si chiama Zoometer, potrebbe essere utilizzata per l’immediata riconoscibilità delle specie ittiche allo sbarco, ma anche nei mercati, restituendo con un’opportuna percentuale di sicurezza, le caratteristiche somatiche dell’esemplare oggetto di valutazione.
In effetti dalla morfologia e dai parametri che ne scaturiscono si possono trarre molte informazioni che riguardano la forma e il colore dell’intero pesce e delle sue singole parti. Ma confrontare queste immagini con un data base ci può permettere anche di individuare con un ragionevole margine di certezza, alcune preziose informazioni sul soggetto rilevato, al fine di riscostruirne l’identità e la provenienza.
In un comparto dove abbiamo un’ampia movimentazioni dei prodotti e dove la difficoltà di identificazione e tracciabilità possono dare adito a frodi con finalità lucrative, uno strumento del genere può essere di grande aiuto per gli operatori di filiera, fornendo significativi elementi aggiuntivi di valutazione e orientamento.
Di non minore rilevanza è anche l’utilizzo dello Zoometer in fase di ricerca ai fini del miglioramento genetico degli animali acquatici di interesse zootecnico, dove morfologia e aspetto somatico sono elementi di valutazione qualitativa essenziali per produrre esemplari che rispondono agli standard maggiormente richiesti dal mercato.
Insomma, forse il futuro è ancora più a portata di mano di quanto ce lo possiamo immaginare, ma con la tecnologia 4.0 anche l’acquacoltura si prepara al mondo del domani con produzioni di maggiore qualità, rinnovando la sua filosofia produttiva, ma soprattutto aiutandoci a gestire meglio la vita e l’ambiente che ci ospiterà.
Maurizio Dell’AgnelloLo scorso 21 gennaio si è svolto a Bussolengo (VR) l’evento “L’acquacoltura quale futuro tra sostenibilità e progettualità”, organizzato da Verona Mercato in collaborazione con CIA PESCAGRI VENETO, AIPO e VRM Prodotti Ittici Freschi e moderato da MARILENA FUSCO, segretario nazionale PESCAGRI. Tra i diversi interventi ci sono stati quelli di MARCO DALLAMANO e PAOLO MERCI, rispettivamente presidente e direttore di VERONAMERCATO, e FRANCESCA PEROTTI, AD di CENTRO AGROALIMENTARE PICENO. Il programma ufficiale della giornata
La giornata ha visto un susseguirsi di testimonianze di esperti del comparto: un’occasione per approfondire e promuovere l’acquacoltura italiana attraverso una serie di interventi mirati a rafforzarne la sostenibilità
ha visto un susseguirsi di autorevoli testimonianze di esperti del comparto: un’occasione per approfondire e promuovere l’acquacoltura italiana attraverso una serie di interventi
mirati a rafforzare quest’attività nel segno della sostenibilità. In questo scenario, si è affrontato un concetto di qualità: la filiera integrata VRM, che garantisce un
Foto di gruppo per la giornata dedicata alla sostenibilità in acquacoltura. In questo scenario, VRM Srl ha approfondito il tema della qualità e della filiera integrata. Quest’ultima assicura un controllo unico dell’intero processo, garanzia del percorso che parte dal mare e arriva sulle tavole dei consumatori. L’impegno è quello di distribuire prodotti sani, sicuri, di qualità superiore, e di agire secondo buone pratiche di allevamento, verso la costruzione di una performance aziendale sostenibile.
controllo unico dell’intero processo, ovvero a garanzia dell’itinerario che parte dal mare e arriva sulle tavole. Sempre di più l’impegno è quello di distribuire prodotti sani, sicuri, di qualità superiore e di agire secondo buone pratiche di allevamento, verso la costruzione di una performance aziendale sostenibile.
In un panorama in cui sostenibilità vuol dire certificazione di qualità e filiera corta, viene da sé quanto sia fondamentale promuovere un’attività volta alla tutela del consumatore. Obiettivo dell’acquacoltura è un elemento di altissima tracciabilità, una forza che arriva alla grande distribuzione e, allo stesso tempo, uno strumento con una valenza a livello di commercializzazione. VRM Srl, in questo, è fiore all’occhiello.
Pesca e acquacoltura? Un sistema integrato per sopperire a delle carenze, dove la seconda vuol essere un controllo calibrato sulla base della richiesta, un sostegno che integra laddove, dall’altra parte, c’è sofferenza. Ecco che allora l’acquacoltura necessiterà sempre più di risorse e dovrà avere la capacità di incidere nel sistema europeo.
Sostenibilità e progettualità diventano unica parola durante l’evento anche grazie a progetti virtuosi che volgono all’economia marittima. Ne è esempio SAN BENEDETTO BLU ECONOMY con l’utilizzo degli scarti della pesca e il recupero del sottomisura.
È stato un appuntamento tra conoscenza, condivisione e assaggio, per una conclusione all’insegna del gusto ed esplicativa del lavoro dietro la filiera integrata VRM, che controlla tutti gli aspetti, modularli e gestirli per arrivare all’obiettivo: un prodotto di qualità e dall’eccezionale freschezza.
L’acquacoltura norvegese si conferma ai primi posti dell’Indice Coller FAIRR: sono tre le aziende norvegesi di acquacoltura incoronate tra i migliori produttori di proteine sostenibili al mondo
L’acquacoltura norvegese si conferma per il 2022 al vertice della classifica internazionale per la produzione di proteine animali più sostenibili al mondo secondo le valutazioni espresse dall’Indice Coller FAIRR (www.fairr. org/index). L’indice, che rappresenta l’unica valutazione completa al mondo relativa alla produzione di proteine animali, prende in esame una serie di fattori che contribuiscono al punteggio complessivo: dalle emissioni di gas serra, all’uso dell’acqua, dalla biodiversità al benessere animale e all’uso di antibiotici, fino alle condizioni di lavoro e alla governance. La metodologia FAIRR, tra l’altro, continua a evolversi: le aziende sono, infatti, tenute a fornire maggiori informazioni e a mostrare i progressi compiuti su un numero superiore di metriche rispetto a quando il rating è iniziato 5 anni fa, per cui diventa sempre più difficile classificarsi ai primi posti.
Delle sole 4 aziende identificate dall’indice come “a basso rischio” rispetto ad una serie di fattori dimostrativi della sostenibilità, ben 3 sono aziende norvegesi di acquacoltura: Mowi, il più grande allevatore di salmone al mondo, ha conquistato ancora una volta il primo posto, seguito da Grieg Seafood, al secondo, e da Lerøy Seafood, al quarto, confermando così i risultati del 2021.
«L’acquacoltura norvegese continua ad essere il settore leader per i produttori di proteine sostenibili a livello globale» afferma Christian Chramer, CEO del Norwegian Seafood Council. «Questo a testimoniare il duro lavoro e l’impegno incessante di queste aziende e di tutta l’industria ittica, riconosciuta e premiata dall’Indice Coller
FAIRR ancora una volta».
«La Norvegia sa quanto sia essenziale prendersi cura delle proprie risorse che sono preziose per il presente e per il futuro. Grazie al suo approccio sostenibile, all’essere trasparenti e alla gestione della pesca e dell’acquacoltura attraverso severe normative che proteggono le specie presenti nelle acque norvegesi, si conferma essere una nazione ittica responsabile, assicurandosi così che i prodotti ittici che produce abbiano il minor impatto possibile sul pianeta. «L’acquacoltura norvegese è da sempre all’avanguardia in tema di sostenibilità» dichiara Gunvar
Lenhard Wie, direttore Italia del Norwegian Seafood Council. «Siamo davvero orgogliosi che l’industria ittica norvegese, una vera pioniera in questo campo, viene riconosciuta e premiata per il suo impegno, le innovazioni e il suo sviluppo a livello internazionale».
Lo scorso dicembre il Food Hub tour, alla sua sesta tappa, è arrivato al Mercato Comunale Isola di Milano (www.mercatoisola.it), luogo di incontro tra produttori e consumatori completamente rinnovato e inaugurato nel febbraio 2022. L’iniziativa del Food Hub tour è stata realizzata dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (MASAF) e da UNIONCAMERE, nell’ambito del PO FEAMP 2014-2020, con la collaborazione tecnico-scientifica di BMTI e ITALMERCATI
Lo scopo del progetto è avvicinare e tutelare l’intera filiera ittica nel segno della sostenibilità, favorendo il raccordo tra produzione, ingrosso e vendita al dettaglio. Il progetto,
inoltre, mira a riconoscere ai mercati all’ingrosso il ruolo di hub alimentari e a favorire la creazione di nuovi accordi commerciali tra gli operatori della filiera, valorizzando i prodotti che rispettano determinati criteri di sostenibilità.
Il Mercato ittico di Milano ha gestito nel solo 2021 un giro d’affari di oltre 90 milioni di euro, per un totale di più di 10.000 tonnellate di pesce vendute. Ottimi anche i dati parziali relativi al 2022, con quasi 8 mila tonnellate di pesce vendute al 30 ottobre.
Milano si conferma dunque un centro di approvvigionamento di livello internazionale, con quasi il 60% del pesce trattato proveniente dall’e-
stero (43% da UE, 7% da Centro e Sud America, 5% dall’Africa, 2% dall’Asia e solo 1% da Nord America e Oceania). All’interno dell’UE, la Spagna rappresenta il primo partner commerciale, fornendo il 14% del totale delle merci che raggiungono il Mercato milanese.
Tra i mari di provenienza spiccano l’Atlantico, con il 44% del pescato, e il Mediterraneo, con il 40%, mentre tra le specie ittiche più vendute si segnalano le cozze, seguite da specie quali spigola o branzino, salmone, orata e vongole veraci, quindi il polpo, il pesce spada e le acciughe.
Nel corso dei vari interventi della giornata il presidente di Foody – Mercato Agroalimentare Milano, CESARE FERRERO, ha ricordato che «i mercati agroalimentari all’ingrosso rappresentano un anello fondamentale della filiera: snodi necessari per garantire qualità e sicurezza alimentare, a maggior ragione nell’ittico, che sappiamo essere un prodotto particolarmente sensibile.
I numeri del nostro mercato ci dicono che il commercio internazionale del pesce è in continua trasformazione, le merci che raggiungono Milano provengono sempre più dall’estero, prevalentemente dall’UE, da Paesi mediterranei come la Spagna e la Grecia ma anche dal Nord Europa.
Osserviamo anche una crescita di prodotti allevati, sempre più importanti per soddisfare in modo sostenibile il fabbisogno crescente di pesce. Sostenibilità che ha certamente una declinazione strettamente ambientale, legata alle modalità di pesca e allevamento, ma anche un significato più ampio se pensiamo alla distribuzione urbana, al consumo
Milano si conferma una delle realtà più importanti della filiera ittica italianaCesare Ferrero, presidente di Foody – Mercato Agroalimentare Milano.
energetico legato alla conservazione, e una sostenibilità sociale se pensiamo ai costi e alla accessibilità del pesce».
«Milano ospita il più moderno mercato ittico di tutto il Paese», ha dichiarato il presidente di Italmercati FABIO MASSIMO PALLOTTINI. «Si tratta di un luogo di incontro tra produttori, mercati all’ingrosso e consumatori che, grazie alla qualità e alla quantità dei propri prodotti, si posiziona tra i migliori in Italia. Attraverso questo progetto vogliamo sensibilizzare i consumatori e valorizzare il ruolo dei numerosi produttori che si impegnano ogni giorno per assicurare prodotti freschi e di alta qualità».
«Sostenibilità e qualità sono due aspetti che oggi non possono più essere trascurati, sia per la nostra salute che per quella del nostro ambiente, e guidare il consumatore verso prodotti con un ottimo rapporto qualitàprezzo diventa sempre più rilevante tanto più in un contesto inflazionistico» ha commentato RICCARDO CUOMO, direttore di Borsa Merci Telematica Italiana. «Grazie a Food Hub, stiamo portando avanti questo percorso che come obiettivo ha l’attivazione della piattaforma che metteremo a disposizione dei produttori italiani di prodotti sostenibili.
I produttori avranno, quindi, anche la possibilità di poter commercializzare i propri prodotti nei grandi mercati all’ingrosso presenti su tutto il territorio nazionale».
Numerose le specialità protagoniste della degustazione che si è svolta a margine dell’evento, tra le quali murici, cefali e orate. La sostenibilità di questi prodotti deriva dai sistemi di cattura utilizzati: i murici e i cefali, ad esempio, vengono pescati rispettivamente con le nasse e le reti da posta che, oltre a non danneggiare il fondale marino e l’ambiente circostante, catturano solo esemplari già cresciuti, lasciando in acqua i più piccoli. E sono prodotti che, essendo poco consumati, presentano altresì un ottimo rapporto qualitàprezzo.
>> Link: foodhubittico.it
I PARTE
Produzione mondiale
A livello globale la produzione di cozze nel 2020 è stata di 2,2 milioni di tonnellate , provenienti principalmente dall’acquacoltura (2,1 milioni di tonnellate, pari al
97% del totale). Tra il 2011 e il 2020 la produzione mondiale di mitili è aumentata del 7%, sospinta principalmente dall’aumento della produzione cinese e cilena. Nel 2020 la metà della produzione mondiale
era costituita da altri mitilidi (50% della produzione a livello globale). Nello stesso anno, il 18% della produzione era rappresentata dalla cozza cilena, mentre le cozze atlantiche e quelle mediterranee, entrambe
prodotte in Europa, costituivano rispettivamente il 18% e il 4% della produzione globale. La Cina, che è il principale produttore, nel 2020 ha fornito il 43% della produzione mondiale di mitili. Dietro la Cina seguono i Paesi dell’UE-27 e il Cile, che nello stesso anno hanno apportato rispettivamente il 20% e il 19% della produzione mondiale. Mentre tra il 2011 e il 2020 la produzione cinese e cilena è aumentata rispettivamente del 24% e del 38%, la produzione dell’UE-27 è diminuita del 12%.
La produzione nell’UE Nel 2020 la produzione di mitili nell’UE si è attestata su 430.748 tonnellate, di cui 406.970 tonnellate,
pari al 94% del totale, provenienti dall’acquacoltura. Tra il 2011 e il 2020 la produzione dell’UE ha avuto un andamento oscillante caratterizzato dalla tendenza al ribasso (del 13%8). Questa tendenza generale alla contrazione si riscontra in quasi tutti gli Stati membri dell’UE (ad eccezione della Grecia e di altri Stati Membri dai volumi ridotti, come Svezia, Bulgaria e Portogallo). Italia, Irlanda e Germania hanno registrato il calo più significativo (rispettivamente del –36% per l’Italia e del –35% per Irlanda e Germania). Tra il 2011 e il 2020 la produzione sia della pesca sia dell’acquacoltura è diminuita nel suo complesso, registrando un calo rispettivamente dell’11% e del 39%.
La riduzione della produzione ittica può essere attribuita alla diminuzione della produzione danese, a cui si ascrive quasi tutta la pesca di mitili nell’UE (il 95% della pesca dell’UE nel 2020). La Spagna è di gran lunga il principale Paese produttore dell’UE, con una produzione nel 2020 di 204.492 tonnellate, pari a quasi la metà (47%) della produzione di mitili dell’UE. Seguono la Francia (con 61.378 tonnellate, 14% della produzione di cozze dell’UE), l’Italia (con 50.913 tonnellate, 12%), i Paesi Bassi (con 32.420 tonnellate, 8%), la Danimarca (con 28.548 tonnellate, 7%), la Grecia (con 19.155 tonnellate, 4%) e l’Irlanda (con 14.729 tonnellate, 3%).
Prodotto oggetto del caso studio
Nome:
* Cozza atlantica (Mytilus edulis). Codice FAO: MUS
* Cozza mediterranea (Mytilus galloprovincialis). Codice FAO: MSM
Presentazione: fresco; conservato.
Altre principali specie di mitili allevate:
* Cozza verde (Perna viridis);
* Cozza cilena (Mytilus chilensis);
* Cozza verde della Nuova Zelanda (Perna canaliculus);
* Cozza coreana (Mytilus coruscus).
Codici di riferimento nella nomenclatura dei prodotti (COMEXT/ EUROSTAT)
Nella Nomenclatura Combinata (NC) i mitili sono identificati attraverso i seguenti codici:
• Mitili vivi, freschi o refrigerati – Fattore di conversione: 1,00
03073110: Mytilus spp.;
03073190: Perna spp.
• Congelati: i codici sono stati modificati nel 2017. L’elenco seguente fornisce i codici usati prima e dopo il 2017 – Fattore di conversione: 4,5
03073210: Mitili Mytilus spp. congelati, anche con la conchiglia (dal 2017);
03073290: Mitili Perna spp. congelati, anche con la conchiglia (dal 2017);
03073910: altri mitili Mytilus spp. congelati, secchi, salati o in salamoia, anche con la conchiglia (escl. affumicati) (fino al 2016);
03073990: altri mitili Perna spp. congelati, secchi, salati o in salamoia, anche con la conchiglia (escl. affumicati) (fino al 2016).
• Affumicati
03073905: Affumicati, con o senza conchiglia, anche cotti prima o durante l’affumicatura, ma non altrimenti preparati. Fattore di conversione: 2,61;
03073980: Cozze Perna spp. affumicate, secche, salate o in salamoia, anche con la conchiglia. Fattore di conversione: 4,5.
• Preparazioni e conserve di mitili – Fattore di conversione: 2,61
16055310: Preparazioni e conserve di mitili, in recipienti ermeticamente chiusi (escl. semplicemente affumicati);
16055390: Preparazioni e conserve di mitili (escl. in recipienti ermeticamente chiusi e semplicemente affumicati).
Temperatura
5-20 °C per la specie Mytilus edulis e 10-20°C per la specie Mytilus galloprovincialis.
Habitat
Le cozze sono presenti in una grande varietà di habitat, dalle zone di marea alle zone completamente sommerse, caratterizzati da una vasta gamma di temperature e salinità.
Alimentazione allo stato selvatico e all’interno degli allevamenti
Le cozze si nutrono di fitoplancton e materia organica che ricavano dalla filtrazione continua dell’acqua di mare.
Fase giovanile
Tra marzo e ottobre, a seconda della latitudine, la cozza dà vita a larve che sono sospinte dalle correnti. In meno di 72 ore le larve si accrescono e raggiungono uno stadio in cui non possono più rimanere in sospensione. Diventano quindi stanziali e si depositano su supporti diversi. A differenza delle ostriche, le larve non si fissano al supporto direttamente, ma attraverso filamenti detti bissi. Il mezzo più utilizzato per la raccolta del seme (larve) è una corda collocata in un punto scelto in funzione delle correnti e della disponibilità di microrganismi. Fra maggio e luglio queste corde sono prelevate e trasferite negli allevamenti di cozze. La cattura di seme non può essere praticata in acque fredde, quindi il novellame di cozze viene prelevato da giacimenti naturali.
Fase di accrescimento
L’allevamento fino al momento della raccolta dura all’incirca un anno.
Distribuzione allo stato selvatico
L’elevata fecondità e una fase larvale mobile, che ne consente la distribuzione su ampi territori, costituiscono caratteristiche specifiche delle cozze. La specie Mytilus edulis è ampiamente diffusa nelle acque europee, con un’estensione che va dal Mar Bianco (Russia) fino alla costa atlantica della Francia meridionale. La specie Mytilus galloprovincialis si trova nell’area mediterranea e viene prodotta nella parte settentrionale della Spagna, in Sudafrica ed in Cina.
Catture
La pesca avviene tutto l’anno, raggiungendo l’apice nei periodi di marzo-giugno e settembre-dicembre.
Sistemi di allevamento
Sul litorale europeo sono impiegati quattro metodi:
1. in piano o per spandimento (prevalentemente nei Paesi Bassi e in Germania), metodo in cui il novellame è sparso su banchi poco profondi. La raccolta è effettuata per dragaggio con navi attrezzate in modo specifico;
2. su pali (denominati “bouchots”, cioè filari, in Francia). Questa coltura ricorre a file di pali di legno infissi nella zona intertidale;
3. su corda (in Spagna e nel Mediterraneo): Le cozze sono fissate su corde sospese verticalmente nell’acqua da una struttura fissa o flottante. Questa tecnica è adatta ai mari con maree deboli, come il Mediterraneo, ma viene ampiamente impiegata anche nelle baie protette dell’oceano Atlantico. Si ricorre a questa tecnica anche per la mitilicoltura al largo;
4. su tavola (in Francia, soprattutto in Bretagna e nella laguna di Thau): le cozze sono allevate come le ostriche, in sacche a rete poste su tavole fissate nella zona intertidale o direttamente al suolo.
Le importazioni di mitili dai Paesi terzi riguardano principalmente le conserve di mitili, nel 2021 che hanno rappresentato il 91% delle importazioni extra-UE in volume e l’87% in valore. Si tratta di circa 43.000 tonnellate, per un valore di oltre 114 milioni di euro. Quasi tutte le preparazioni a base di cozze importate nell’UE provengono dal Cile e corrispondono probabilmente a cozze cotte. Tra il 2012 e il 2021 il valore delle importazioni è aumentato del 27% (13% in termini reali), mentre il loro volume è diminuito del 7%. Il calo del volume è dovuto alla riduzione delle importazioni di mitili freschi e congelati (rispettivamente –85% e –50%). Per contro, le importazioni di conserve di mitili sono aumentate in volume del 25%.
Anche i prezzi delle conserve di mitili d’importazione sono cresciuti del 21% in termini nominali (del 7% in termini reali). Mentre tra il 2012 e il 2021 le importazioni di mitili congelati sono diminuite del 50%, i prezzi sono aumentati del 48% in termini nominali (del 31% in termini reali).
Esportazioni extra-UE
Nel 2021 le esportazioni extra-UE di mitili ammontavano a 6.770 tonnellate, per 26,3 milioni di euro. Le esportazioni extra-UE sono costituite principalmente da mitili freschi (47% del volume delle esportazioni e 33% del loro valore), dietro a cui seguono le preparazioni e conserve a base di mitili (42% del volume delle esportazioni e 57% del loro valore). La Spagna e il Belgio sono stati i principali Stati Membri ad esportare preparazioni di mitili verso Paesi Terzi (48% e 15% del valore delle esportazioni di preparazioni a base di mitili nel 2021), mentre l’Italia e la Francia sono stati i principali esportatori di mitili vivi verso Paesi Terzi (con il 40% e il 27% rispettivamente del valore delle esportazioni di mitili vivi). Le principali destinazioni erano la Svizzera e il Regno Unito (rispettivamente per il 30% e il 20% del valore delle esportazioni extra-UE). Tra il 2012 e il 2021 le esportazioni extra-UE
c oz z e , Vo n g o l e e lu p i n i cozze, Vongole e lupini
Il fresco del mare! Il fresco del mare!
Frutti di mare freschissimi, allevati nel Delta del Po, conservati in vaschette sottovuoto. SCANSIONAMI
Frutti di mare freschissim nelDeltadelPoconserv
Nel 2020 la produzione di cozze a livello globale ammontava a 2,2 milioni di tonnellate, prevalentemente ottenute in acquacoltura (97% del totale). Il più grande produttore è la Cina, che nel 2020 ha fornito il 43% della produzione mondiale di cozze, seguita dai Paesi dell’UE-27 e dal Cile rispettivamente con il 20% e il 19%. Tra il 2011 e il 2020 la produzione globale è aumentata del 7%, grazie soprattutto agli incrementi registrati da Cina e Cile.
sono aumentate del 9% in volume e del 15% in valore in termini nominali (dell’1% in termini reali). Tra il 2012 e il 2021 il volume delle esportazioni extra-UE di preparazioni e conserve a base di mitili ha oscillato, segnando una diminuzione complessiva del 10%. Nello stesso periodo, i prezzi delle preparazioni di mitili esportate sono aumentati costantemente del 18% in termini nominali (5% in termini reali). Nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021 il volume delle esportazioni di mitili freschi è stato molto variabile, determinando una ripercussione sui prezzi.
All’interno dell’UE, i Paesi Bassi sono stati di gran lunga il principale esportatore di cozze (principalmente mitili freschi) con un valore nel 2021 di oltre 131 milioni di euro. Con circa 77 milioni di euro, la Spagna è stata il secondo esportatore (e il principale esportatore di preparazioni e conserve a base di mitili). Tra gli altri principali esportatori dell’UE figurano Danimarca, Germania, Irlanda, Francia e Italia. In misura minore il Portogallo è stato uno dei principali esportatori di cozze congelate (oltre 8 milioni di euro).
Nel 2020 i 27 Stati Membri UE hanno prodotto 430.748 t di cozze, principalmente da acquacoltura (94% del totale).
La produzione legata alla pesca è solo in Danimarca, con marcata tendenza al ribasso. La Spagna è di gran lunga il principale produttore, seguita nel 2020 da Francia, Italia, Paesi Bassi, Danimarca, Grecia e Irlanda
Importazioni intra-UE
Nel 2021 il Belgio è stato il principale importatore all’interno dell’UE con oltre 83 milioni di euro, seguito da Francia e Paesi Bassi con circa 55 milioni di euro ciascuno. Tra gli altri importatori principali figurano l’Italia e la Germania (oltre 25 milioni di euro). I mitili sono commercializzati prevalentemente freschi (75% del valore commerciale intra-UE nel 2021). Il Belgio è stato il principale importatore di mitili freschi, provenienti quasi tutti dai Paesi Bassi.
Consumo apparente per Stato Membro
Nel 2020 l’offerta complessiva di mitili (produzione + importazioni) nei 27 Paesi UE è stata di 552.636 tonnellate di peso vivo. L’approvvigionamento di cozze dell’UE si basava principalmente sulla produzione interna, che costituiva il 78% dell’offerta nell’UE e, in misura minore, sulle importazioni, che ne rappresentavano il 22%. Poiché le esportazioni ammontavano a 15.424 tonnellate di peso vivo, il consumo
Nel 2020 il consumo apparente di cozze nell’UE è stato stimato in 537.212 tonnellate di peso vivo (LWE), il consumo pro capite è stato calcolato in 1,20 kg. Il mercato più grande è stato quello spagnolo, con un consumo apparente di 167.403 tonnellate peso vivo e 3,54 kg pro capite. A seguire vengono la Francia, con un consumo apparente di 127.337 tonnellate peso vivo (1,89 kg/pro capite), e l’Italia, con 103.328 tonnellate peso vivo (1,73 kg/pro capite). Il mercato irlandese delle cozze è invece di modeste dimensioni: 1.890 tonnellate di peso vivo (0,38 kg pro capite).
apparente a livello dei Paesi UE-27 (produzione + importazioni – esportazioni) è stato stimato in 537.212 tonnellate di peso vivo.
Nel 2020 i principali Stati Membri in termini di consumo apparente sono stati la Spagna, la Francia e l’Italia (consumo apparente superiore alle 100.000 tonnellate di peso vivo). Il consumo apparente in ciascuno degli altri Stati Membri era inferiore a 25.000 tonnellate di peso vivo.
Consumo e zone di raccolta
Il consumo di molluschi bivalvi vivi (compresi i mitili) può comportare dei rischi per la salute umana, poiché si tratta di organismi filtranti in grado di accumulare i contaminanti presenti nell’ambiente acquatico, come batteri patogeni, virus, tossine algali, ecc… Per ridurre il rischio legato a microrganismi con trasmissione oro-fecale, le aree di raccolta dei molluschi sono classificate in base ai risultati di un piano di monitoraggio dei batteri indicatori di contaminazione fecale. Nell’UE, con l’adozione del Regolamento (CE) n. 853/2004, l’Unione ha stabilito i criteri per la classificazione delle
zone di raccolta dei molluschi e ha determinato il livello di trattamento post-raccolta necessario prima che i molluschi possano essere considerati idonei al consumo umano.
Le zone di raccolta sono classificate in tre livelli sanitari:
• i molluschi (comprese le cozze) provenienti dalle zone di classe A possono essere immessi sul mercato direttamente, senza ulteriori trattamenti successivi alla raccolta;
• quelli provenienti dalle zone di classe B devono essere sottoposti a trattamento di depurazione;
• i molluschi provenienti dalle zone di classe C devono essere sottoposti a un trattamento prolungato di stabulazione o cucinati con un metodo riconosciuto per garantirne la conformità allo standard di categoria “A”.
I molluschi provenienti da zone non classificate non possono essere immessi sul mercato.
• La Spagna produce solo la cozza mediterranea (Mytilus galloprovincialis) e la maggior parte della
sua produzione è concentrata in Galizia (97% della produzione spagnola nel 2020). A livello dell’UE la Spagna è il maggiore produttore di cozze e anche il loro principale consumatore. La Spagna dispone inoltre di una sviluppata industria di trasformazione delle cozze. La produzione di mitili avviene con l’impiego di due metodi: la coltura a corde sospese (che è quello predominante) e la coltura di fondo.
• La Francia, che è il secondo produttore e consumatore, produce sia cozze atlantiche, sia cozze mediterranee. Una quota significativa della produzione di cozze viene commercializzata nell’ambito di programmi di qualità. Vengono utilizzati diversi metodi di produzione, tra cui quello predominante è il bouchot (che nel 2020 copriva l’83% della produzione francese di cozze).
• L’Italia è al terzo posto in termini di produzione e consumo, ma negli ultimi anni ha fatto registrare un calo significativo della produzione. La maggior parte della produzione italiana di mi-
tili (Mytilus galloprovincialis) si concentra sulle coste adriatiche. I metodi di produzione utilizzati sono tre: la coltura di fondo (tipica delle aree lagunari del Delta del Po), il metodo su pali fissi (che è quello più antico, diffuso nelle aree lagunari e zone costiere riparate delle regioni meridionali) e il sistema, ora prevalente, che utilizza longline sospese (o filari flottanti) in mare aperto
• Nel 2020 l’Irlanda si è classificata al settimo posto a livello UE. Si tratta di un mercato relativamente limitato, con un consumo apparente ridotto rispetto agli altri principali produttori1. Vi vengono praticati due metodi di produzione: il sistema della coltivazione in corda e quello della coltivazione di fondo, di cui il primo è quello maggiormente diffuso.
• Le importazioni nell’UE di cozze provenienti da Paesi Terzi superano le esportazioni. Nel 2021 il deficit commerciale dell’UE ammontava a 104,4 milioni di euro. Le importazioni nell’UE da Paesi Terzi riguardano principalmente i prodotti conservati, di cui il Cile è il principale fornitore. Per contro, l’UE esporta prevalentemente cozze fresche (soprattutto da Francia e Italia) e preparazioni e conserve a base di mitili (soprattutto da Spagna e Belgio). Fra le principali destinazioni della produzione dell’UE figurano Svizzera e Regno Unito.
Il commercio intra-UE coinvolge diversi Paesi che sono sia primari produttori, sia consumatori. Fa eccezione il Belgio, che, pur non avendo una produzione acquicola, è un importante consumatore di cozze. Il mercato belga, quindi, dipende fortemente dalle importazioni dagli altri Stati Membri, e difatti nel 2021 il Belgio è stato il più grande importatore all’interno dell’UE, con importazioni provenienti principalmente dai Paesi Bassi.
• L’analisi della struttura del prezzo affrontata in questo rapporto si concentra sulle seguenti catene del valore:
* le cozze fresche di pezzatura normale vendute nei supermercati e nei negozi specializzati in Spagna, sulla base delle analisi effettuate dall’Osservatorio dei prezzi e degli alimenti del MAPA sulla catena del valore e sulla formazione del prezzo delle cozze fresche di acquacoltura2;
* le cozze fresche allevate su bouchot in Francia e le cozze a marchio Specialità Tradizionale Garantita (STG) Moule de bouchot vendute dal produttore a una centrale d’acquisto della grande distribuzione;
* le cozze fresche standard (prive di certificazione) allevate su longline in Francia e vendute direttamente dal produttore a ristoranti locali in Francia;
* le cozze fresche in corda prodotte in Italia e vendute in sacchetti di rete nella Grande Distribuzione italiana;
* le cozze fresche in corda prodotte in Irlanda ed esportate alla rinfusa sul mercato francese, per essere lavorate e confezionate da un acquirente francese (confezionatore).
• I principali risultati di questa analisi possono essere riassunti nel modo seguente:
* i prezzi di prima vendita variano da 0,70 €/kg a 1,70 €/kg a seconda della specie, della qualità del mitilo e del Paese di origine (i prezzi più alti franco allevamento si riscontrano in Francia per le cozze bouchot), nonché dell’impegno di segmentazione sostenuto dal produttore (ad esempio, la certificazione);
* il prezzo al dettaglio (IVA esclusa) delle cozze era diverso sui mercati italiano, spagnolo e francese: ammontava a circa 2,65 €/kg in Italia, 2,82 €/kg in Spagna e 3,60 €/kg in Francia. La materia prima incide per il 26% del prezzo finale al dettaglio sia in Spagna, sia in Italia, mentre rappresenta il 44% del prezzo finale in Francia; o sul mercato francese la cozza irlandese si vende al dettaglio a 3,91 €/kg.
Fonte: EUMOFA, European Market Observatory for Fisheries and Aquaculture Products. Caso studio: le cozze nell’UE, novembre 2022
1. Consumo apparente = catture + acquacoltura + importazioni –esportazioni
2. www.mapa.gob.es/es/alimentacion/temas/observatorio-cadena/Estudio%20 Mejill%C3%B3n%20acuicultura_tcm30-128411.pdf
* Sul prossimo numero della rivista, IL PESCE n. 2/2023, sarà riportata la sezione dedicata all’analisi del mercato italiano.
A Milano lo chef Giorgio Locatelli ha realizzato uno showcooking presso il ristorante Mi View, presentando a buyer e ospiti della GDO alcuni piatti tra cui il branzino Cromaris, rigorosamente bio!
Lo scorso fine dicembre a Milano, presso il ristorante Mi View, CROMARIS ITALIA ha organizzato un evento dedicato ai clienti della GDO che ha visto protagonisti assoluti i branzini, le orate, le ombrine, le ricciole ed i dentici allevati nell’Adriatico dalla casa madre croata e valorizzati nella preparazione da uno showcooking d’eccezione realizzato dall’Ambassador chef Giorgio Locatelli, che tutti seguiamo anche su Masterchef Italia (sulla piattaforma YouTube youtube.com/user/CromarisCroatia c’è il video della serata).
Tra Davide Furlan, AD di Cromaris Italia, e chef Locatelli c’è grande stima e quella stessa passione di chi fa le cose con entusiasmo e cura. I due padroni di casa hanno scambiato qualche parola coi parte-
In alto: Giorgio Locatelli, chef Ambassador di Cromaris Italia, a dicembre è stato protagonista di uno showcooking dedicato ai clienti della GDO presso il Mi View di Milano. Una bella (e buona) occasione per parlare di sostenibilità e futuro.
In basso: un momento della serata che ha visto un bel confronto e scambio di vedute e riflessioni tra l’AD di Cromaris Italia, Davide Furlan, e chef Locatelli. A pagina 78: spettacolare branzino bio Cromaris preparato da Giorgio Locatelli all’evento milanese.
È del 2022 l’annuncio della collaborazione tra Cromaris Italia e lo chef Giorgio Locatelli, una delle più famose star mediatiche culinarie in Europa, gestore di diversi ristoranti di prestigio titolari di stelle Michelin nonché, dal 2017, membro della giuria del format italiano di Masterchef. Giorgio Locatelli è anche il protagonista principale dello spot televisivo di Cromaris, in onda sulle reti dei principali network televisivi italiani.
Giorgio è cresciuto in Italia, sulle rive del Lago Maggiore, in un paesino di nome Corgeno. La sua famiglia conduceva un ristorante pluristellato Michelin insegnandogli ad apprezzare e capire il cibo sin dalla sua tenera età. Dopo una breve esperienza lavorativa nei ristoranti locali nell’Italia del Nord e in Svizzera, nel 1986 Giorgio si sposta in Inghilterra per unirsi ad Anton Edelmann nelle sue cucine dell’hotel The Savoy. Quattro anni più tardi, Giorgio si trasferisce a Parigi per lavorare al ristorante Laurent e La Tour D’Argent. Nel 2002, precisamente il 14 di febbraio, Giorgio e sua moglie Plaxy aprono il suo primo ristorante autonomo, Locanda Locatelli, all’indirizzo Seymour Street. Il ristorante è stato premiato con una stella Michelin nel 2003 che da allora ha sempre mantenuto.
>> Link: cromaris.com/it/cromaris-by-giorgio-locatelli
cipanti condividendo temi legati al mondo della cucina, ripercorrendo la prestigiosa carriera dello chef, per poi arrivare alle impressioni di Locatelli sulla sua recente visita agli allevamenti Cromaris nel mare Adriatico. Lo chef è nato e cresciuto sul lago Maggiore da una famiglia di ristoratori pluristellati e poi formatosi professionalmente attraverso varie esperienze in Europa, Londra in particolare. Chissà, forse la sua passione per l’utilizzo del pesce in cucina viene dalle sue origini. Certo è che il suo entusiasmo per i prodotti Cromaris è ben visibile.
Le specie allevate da Cromaris (branzino, orata, dentice, ricciola e ombrina bocca d’oro) sono riconosciute per la loro qualità ed eccellenza, testimoniata anche dai Superior Taste Award 2022 e Crystal Awards 2022
Ma cosa rende così speciali i prodotti Cromaris? Le acque cristalline dell’Adriatico sono un elemento fondamentale, ma non bisogna trascurare il tipo di alimentazione (una formula segreta ad alto valore nutrizionale creata dalla divisione R&D dell’azienda) e la selezione
delle aree in cui vengono posizionati gli allevamenti, lontano da zone abitate e adiacenti al Parco Nazionale delle Isole Incoronate, patrimonio UNESCO, dato che la sostenibilità ambientale è una delle priorità di Cromaris a tutti livelli dell’attività.
Ci sono poi le tempistiche e un’ effi ciente rete logistica , che in 36 ore garantiscono la consegna dei prodotti Cromaris presso tutti i clienti dal Nord al Sud Italia: praticamente, il giorno dopo la cattura, orate, branzini e ombrine sono sulle tavole degli Italiani.
I prodotti degli allevamenti Cromaris, la tutela delle acque e il continuo sviluppo di quella sostenibilità ambientale e di prodotto che oggi è alla base delle strategie di medio e lungo periodo di Cromaris si ritrovano tutti nella linea di orate, branzini e ombrine biologici.
I numeri registrati dal Gruppo croato in termini di biologico sono i primi in Europa e la tendenza è quella di rafforzare volumi e presenza in questo mercato, che punta dritto a consolidare l’impegno di Cromaris verso la sostenibilità.
Durante lo stesso evento di Milano, chef Locatelli ha lavorato branzini e orate bio e, nel corso della serata, in uno scambio di domande e risposte tra lo chef e Davide Furlan, si è approfondito il tema del biologico. «Compito di Cromaris non è solo quello di potenziare l’assortimento della linea bio — che comprende già branzini, orate e ombrine — con un’offerta che già da quest’anno sarà in grado di soddisfare ampi volumi di domanda a livello internazionale» ha detto Davide Furlan. «Con il potenziamento dell’offerta di prodotti certificati biologici, Cromaris si impegna anche a creare un livello di consapevolezza nel consumatore verso temi profondamente legati alla sostenibilità e, di conseguenza, al nostro futuro».
>> Link: cromaris.com
youtube.com/@CromarisCroatia
youtube.com/watch?v=3djcBIHuuQA
L’interesse di Mare Gioioso nel rifacimento dei nuovi impianti di depurazione molluschi e ristrutturazione e apertura di ristoranti
è quello di scegliere l’expertise e professionalità di Adriatic Sea International, leader nella progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti per il mantenimento di crostacei e molluschi, impianti di depurazione, banchi pesce, acquari e realizzazioni per pescherie e ristorazione
di Elena BenedettiIn queste due pagine l’impianto di depurazione del nuovo stabilimento dell’azienda Mare Gioioso a Torre Canne di Fasano (BR) realizzato da Adriatic Sea International.
Prodotti di eccellenza, una visione chiara e pragmatica del mercato e delle sue dinamiche e una propensione all’innovazione tecnologica che si traduce nella scelta dei giusti partner. Ecco, se volessimo condensare in poche parole la collaborazione che si è creata tra Mare Gioioso e Adriatic Sea International potremmo riassumerle così: grande professionalità, prodotti d’eccellenza e la scelta delle migliori tecnologie negli impianti che devono conservare e preservare la bontà e qualità del pesce.
Ci troviamo in Puglia, più precisamente a Monopoli, in provincia di Bari. Qui dal 2016 opera la Mare Gioioso di Sebastiano, un’azienda ittica che è esempio virtuoso di visione strategica del suo fondatore e ammi-
nistratore, SEBASTIANO GIOIOSO, da sempre orientato all’innovazione dei prodotti e all’adozione di sistemi a ridotto impatto ambientale.
Grazie anche alla posizione strategica che permette l’approvvigionamento dei prodotti dai principali porti del Sud Italia, l’azienda rappresenta una realtà moderna e innovativa che garantisce sicurezza, freschezza e qualità dei propri prodotti che comprendono pesce fresco, decongelato e lavorato e, non ultimi, i preparati, garantendo così un’ampia scelta che soddisfa ogni necessità.
Impianto di depurazione molluschi
Nel corso del 2020, Mare Gioioso ha creato un nuovo centro di spedizione
di molluschi all’interno di uno stabilimento ubicato a Torre Canne di Fasano (BR). Per la sua realizzazione l’azienda pugliese si è avvalsa delle tecnologie e dell’esperienze della romagnola Adriatic Sea International, leader europea e mondiale nella progettazione, costruzione, installazione e manutenzione di impianti per mantenimento di crostacei vivi, oltre a pesci e molluschi, impianti di depurazione per molluschi eduli con approvazione del Ministero della Salute.
Composta da 51 bins per la rifinitura di cozze, e di altri impianti indipendenti per la depurazione e rifinitura di vongole, ostriche, fasolari e altre tipologie di frutti di mare, la nuova struttura è stata dotata di
Oltre all’import-export di pescato e prodotti ittici e alla lavorazione e commercializzazione, l’azienda Mare Gioioso ha investito nella ristorazione. È il caso ad esempio del ristorante Yorokobi Sushi Bar and Restaurant di Fasano (BR), oggetto di ristrutturazione con la collaborazione di Adriatic Sea International.
In alto: l’esterno, con esposizione del pesce al ristorante Gaudium di Torre Canne (BR). In basso: arredamento allestito da Adritic Sea International nei locali di Porta de Mä, che rappresenta l’investimento più recente di Mare Gioioso. Il locale innovativo si trova a Monopoli (BA).
macchinari di ultima generazione per il confezionamento dei prodotti. Qui la Adriatic Sea International ha realizzato un impianto da 10.000 kg per il ciclo di depurazione CDM (Centro Depurazione Molluschi) e due impianti da 2.000 kg cadauno per la rifinitura e il mantenimento CSM (Centro Spedizione Molluschi).
Ristorazione, ristrutturazioni e una nuova apertura
Mare Gioioso, oltre all’importexport di pescato e prodotti ittici dal mondo e alla lavorazione e commercializzazione, ha investito nella ristorazione. Nel corso del 2021 e del 2022 il ristorante Yorokobi
Sushi Bar and Restaurant (ristoranteyorokobi.com) a Fasano (BR) e il Gaudium (ristorantegaudium.it) a
Torre Canne (BR) sono stati oggetto di ristrutturazione con la collaborazione di Adriatic Sea International.
Per Gaudium , attraverso il proprio staff tecnico, Adriatic Sea International ha realizzato e implementato una linea acquari per crostacei e molluschi oltre a banchi espositivi e di preparazione realizzati in acciaio inox 316 e la zona bar customizzata in base alle richieste del cliente. Per Yorokobi Sushi Bar and Restaurant è stata invece realizzata una fornitura di linea acquari per
crostacei e molluschi oltre a banchi sushi ed espositivi e di preparazione realizzati in acciaio inox 316.
L’investimento più recente di Mare Gioioso è stato a Monopoli (BA) con l’apertura di Porta de Mä (portadema.it), un locale innovativo pensato per offrire un nuovo modo di porsi nei confronti della cucina di mare grazie all’estro creativo del suo chef ANGELO SABATELLI. Qui Adriatic Sea International ha realizzato un acquario circolare per meduse, un corner per la preparazione a vista con l’acquario per crostacei, una cucina e linea di lavaggio e preparazione su misura realizzata in acciaio inossidabile AISI 316L.
Ecco un esempio vincente di collaborazione tra due leader nel settore ittico: da una parte c’è il prodotto, delicatissimo per sua natura e richiedente un’attenzione e cura costanti e continue lungo tutto il processo.
Dall’altra c’è la tecnologia che si sposa a competenza, esperienza e garanzia di affidabilità. Mare Gioioso e Adriatic Sea International sono due realtà italiane che hanno scelto di lavorare in un processo di innovazione continua e che scelgono solo il meglio per i propri business e per il mercato. Un esempio virtuoso per il comparto ittico.
Elena BenedettiMare Gioioso di Sebastiano Srl a socio unico
Contrada Baione
70043 Monopoli (BA)
E-mail: info@maregioioso.it
Web: maregioioso.it
Adriatic Sea International Srl Via Tavoleto 93/P
47832 San Clemente (RN)
E-mail: info@adriasea.com
Web: adriasea.com
Un fenomeno noto e ricorrente nella moderna società quale è l’ambiziosa ricerca del benessere personale pone il focus su un’accezione ormai assodata, il “vivere sani e belli”, tanto mentalmente quanto fisicamente. Il periodo pandemico è sì stato responsabile di profonde crisi, ma anche di una rinascita culturale, dove limiti e restrizioni hanno forgiato più disciplina e amore verso se stessi, con influenze determinanti sulle abitudini alimentari. Si decide di cambiare la dieta in favore di un migliore stile di vita personale, ma le scelte alimentari mutano anche per contribuire alla salvaguardia dell’ecosistema e nel rispetto della sostenibilità ambientale.
Alle diverse esigenze e ai nuovi approcci, nella piena considerazione dell’uomo e del pianeta, si è adeguata la moderna macchina della comunicazione del settore food, intercettando e reinterpretando stilemi superati. In questa sostanziale metamorfosi, hanno avuto un ruolo fondamentale i social media, permettendo l’incontro e il confronto aperto fra le necessità del pubblico e il parere competente di esperti professionisti, generando moderni food-trend, fino ad arrivare a nominare il pesce alimento di tendenza del 2023
Dati ufficiali segnalano un consistente aumento nel consumo di crudité. Principali artefici di questo aumento sono diversi fattori: impiattamenti dai colori vivaci e accattivanti, abbinamenti dalle evidenti influenze orientali, il servizio tempestivo che incontra le esigenze di ritmi sempre più frenetici ma, soprattutto, l’uso di tecnologia sicura che garantisce e scongiura le più gravi patologie veicolate dal pesce crudo. Questa pregiata e delicata materia
prima merita particolare attenzione perché, nelle diverse fasi della filiera, che inizia dal mare e finisce in tavola, è soggetta ad un’alta percentuale di scarto. Nascono così nuovi progetti di sostenibilità e valorizzazione del pescato volti ad elaborare soluzioni intelligenti che mirano ad incentivare un consumo responsabile
Questo obiettivo passa necessariamente da un approfondito studio delle proposte gastronomiche, affinché aumenti la scelta a disposizione del consumatore, ma tenendo altrettanto conto dei processi di filiera, conformi nel minimizzare gli scarti, a tutto vantaggio di sapore e salubrità. Un processo non procrastinabile in chiave ambientale, gastronomica, nutrizionale e reddituale.
Intere realtà imprenditoriali hanno investito in ricerca, promuovendo il mercato di alimenti che coniugassero l’ottimizzazione della materia prima e il gusto, dando vita a vere e proprie filosofie di trasformazione alimentare come il Cuomo Method®.
A dare testimonianza di questo pionieristico progetto di Alessandro Cuomo sarà ANDREA SERRAINO, professore universitario dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie. «Sono anni che condi-
vido e sostengo la vision dell’azienda Stagionello® Factory, ossia tutelare ed incentivare le produzioni ed i consumi di alimenti tipici e tradizionali. Lo studio condotto si propone di ridurre significativamente gli sprechi nel settore alimentare tramite sistemi intelligenti di trasformazione che si ispirano a quelli già noti nel settore delle carni (maturazione, fermentazione, affumicatura). Ciò consente la messa a punto di sistemi di semplice utilizzo ma che garantiscano il controllo di un intero processo, nel pieno rispetto dei canoni di sicurezza alimentare».
Il contenuto innovativo è di duplice valenza: da una parte tutela gli interessi degli operatori del settore, offrendo uno strumento basato sul governo in continuo del pH, garanzia di qualità, sicurezza ma, soprattutto, riproducibilità e ripetibilità nel tempo; dall’altra, pone l’attenzione sull’importanza di una dieta variegata e bilanciata, possibile grazie all’assunzione di alimenti più ricchi, ma sempre di matrice artigianale e tradizionale, offrendo un modo economico e appetitoso di assimilare importanti valori nutritivi come gli Omega 3. Studi scientifici hanno infatti dimostrato che, diversi valori nutritivi del pesce curato con l’impianto brevettato Stagionello Fish Curing Device, indispensabili per un ottimale funzionamento dell’organismo, aumentano fino ad oltre il 30% rispetto al pesce fresco.
Dunque, proporre gli squisiti salumi di mare, come il prosciutto di orata o la mortadella di tonno, conferisce alla materia prima iniziale maggiore originalità e appetibilità, grazie a forme e sapori più invitanti, attraendo anche la fascia di età infantile che va dai 5 ai 13 anni, statisticamente la più avversa al consumo di pesce ma, al contempo, la più bisognosa dei suoi insostituibili valori nutrizionali.
>> Link: stagionellostore.com
Regione Calabria
Finanziamenti a fondo perduto del 50% settore ittico
Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca (FEAMP) 2014-2020
Bando misura 5.69
Trasformazione e commercializzazione prodotti ittici
È operativo fino al 26 gennaio 2023 il bando per richiedere un contributo a Fondo perduto del 50% per gli investimenti già realizzati e da realizzarsi entro il 30 settembre 2023, per:
1. acquisto, costruzione e ristrutturazione di fabbricati legati al
progetto;
2. acquisto di terreni legati all’iniziativa per un costo non superiore al 10% dell’investimento;
3. acquisto di impianti e macchinari di lavorazione, confezionamento, refrigerazione, ecc…;
4. investimenti diretti al miglioramento dell’efficienza energetica ed ambientale, all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile prodotta e reimpiegata in azienda;
5. spese per il miglioramento delle condizioni d’igiene e sanitarie e dei sistemi di produzione;
6. acquisto di contenitori coibentati posti su camion con assemblato l’impianto frigorifero e autoveicoli “VAN” dotati di coibentazione e gruppo frigorifero non
amovibile dalla motrice;
7. acquisto di hardware e software dedicati ai processi produttivi;
8. spese generali, spese tecniche, spese di progettazione, ecc…
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Fare squadra. E cioè favorire sempre più la collaborazione tra mondo della pesca e mercati centrali. Ma anche puntare all’innovazione, creando spazi ad hoc per la trasformazione del prodotto. Queste le future missioni dei mercati ittici. Parola di FABIO
MASSIMO PALLOTTINI, direttore generale Car – Centro Agroalimentare Roma e presidente di Italmercati: che in occasione della manifestazione Pesce in Piazza di Roma, ha fatto il punto con EFA News sul ruolo dei
grandi mercati nella filiera ittica e nella promozione del consumo. «Io sono un grande teorico del lavoro comune — spiega Pallottini — e a mio parere occorre superare la diffidenza storica che da sempre il pescatore nutre nei confronti del commerciante, insieme ad una certa idea, sbagliata, di autosufficienza coltivata da entrambe le parti. No, il pescato italiano va valorizzato e promosso da professionisti. La gran parte passa del resto per i mercati
centrali, con una diversità di provenienza e di prodotto tal quale che non ha paragoni altrove».
I numeri parlano chiaro: per i 19.000 m2 del mercato ittico del Car di Roma (quest’ultimo, coi suoi 145 ettari, il più grande d’Italia e il terzo in Europa), transitano ogni anno 80.000 tonnellate di prodotto, il 42% delle quali di cattura, proveniente per il ben 65% dal territorio nazionale e solo il restante 35% dall’estero. Seguito a ruota da un
28% di allevato e 20% di congelato. Il tutto per un volume d’affari pari agli 800 milioni di euro. Fortissimi i legami con tutte le marinerie dell’Italia centrale e meridionale. Ma altrettanto importante il rapporto con il commercio di vicinato: visto che il Centro è fornitore pressoché esclusivo di pescherie e mercati rionali, a garanzia per il cliente di una totale tracciabilità. Dati questi che dovrebbero far riflettere molti ristoratori, per i quali è spesso più smart vantarsi di “avere una barca” di cui servirsi per approvvigionarsi di pesce fresco.
«La vera filiera corta è la nostra», chiarisce Pallottini. «L’altra sera al Centro, grazie anche al mare calmo, c’era una quantità incredibile di prodotto proveniente da Civitavecchia, Anzio e Fiumicino pescato nel pomeriggio e pronto per partire, in una sequenza velocissima. E anche da noi operano armatori con contratti con piccole barche.
Se ci sono più passaggi? Il nostro è un polo con funzioni di servizio, non di passaggi. Servizi di valorizzazione, commercializzazione, distribuzione e di controllo: non a caso presso il mercato pubblico opera un presidio veterinario che fa anche buttare il prodotto in caso di irregolarità. E una garanzia simile per un alimento sensibile come il pesce è difficile trovarla da altri parti. Interessa avere un servizio di questo genere? Io penso proprio di sì. Ci sarà un minimo costo
in più, ma motivato per l’appunto da questa serie di servizi».
Ma anche sul fronte dei prezzi i mercati centrali possono giocare un ruolo fondamentale. Quanto può incidere il Car per calmierare i prezzi? «Moltissimo», spiega ancora Pallottini. «Le 35 aziende operanti presso il mercato non avranno tutte lo stesso prodotto comparabile (e questo è un pregio). Ma se in 30, alla stessa ora, avranno tutti delle spigole è inevitabile che scatterà la concorrenza e sarà possibile spuntare prezzi più bassi. La concorrenza è il sale del commercio: e questo con la barchetta singola o il magazzino non può certo avvenire: il prezzo che fanno è quello e non si discute. Ecco perché è importante, e per questo sto lavorando con ITALMERCATI, promuovere il ruolo strategico e la vera immagine dei mercati pubblici».
Se non sono previste nell’immediato futuro ulteriori aperture al pubblico del CAR, a parte quella consueta del sabato mattina (ideata per consentire al grossista di smaltire le eccedenze e al consumatore di acquistare pesce a prezzi molto convenienti), si profila invece la nascita di nuove aree di trasformazione, una volta ottenuto il via libera da parte delle autorità sanitarie. Il tutto per venire incontro alle richieste della ristorazione e del mercato, in cerca sempre più di semilavorati, e conferire valore
innovativa che dovrà affiancare quella tradizionale del mercato come polo di vendita del prodotto tal quale. A Madrid, il più grande mercato del pesce d’Europa, avviene da tempo così. In Spagna peraltro quasi tutto il pescato nazionale transita per i mercati centrali. E la mia idea è che in Italia dovrebbe avvenire la stessa cosa, magari creando un marchio di tutela» conclude il direttore (fonte: EFA News – European Food Agency).
Fabio Massimo Pallottini.L’Unione Europea si è impegnata a stanziare 1 milione di euro per il meccanismo di finanziamento della pesca che fa parte dell’accordo dell’OMC (Organizzazione mondiale del commercio) raggiunto l’anno scorso. Istituito nel novembre 2022, questo nuovo meccanismo di finanziamento della pesca ha l’obiettivo di sostenere la sostenibilità: fornirà sovvenzioni ai Paesi in via di sviluppo e a quelli meno sviluppati affinché possano beneficiare dell’assistenza tecnica e del rafforzamento delle capacità per l’attuazione dell’accordo OMC. Le sovvenzioni faranno leva su altri aiuti già disponibili per la pesca sostenibile.
L’annuncio è stato dato dal vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis a Davos, in occasione del suo incontro con il direttore generale dell’OMC Ngozi Okonjo-Iweala. In occasione della 12a conferenza ministeriale dell’OMC del giugno 2022, l’organizzazione ha introdotto nuove regole che consentono di ridurre le sovvenzioni che possono portare ad una pesca eccessiva. Questo appena ratificato è il primo accordo multilaterale dell’OMC a sostegno della sostenibilità: affinché diventi operativo, i due terzi dei membri devono notificarne l’accettazione. In seno all’organizzazione, inoltre, sono in corso negoziati su questioni ancora aperte in materia di sussidi alla pesca, anche per quanto riguarda ulteriori miglioramenti dell’accordo. «L’accordo sulle sovvenzioni alla pesca è un importante passo avanti per la sostenibilità degli oceani» spiega Dombrovskis. «Vieta i sussidi alla pesca dannosi, che sono un fattore chiave del diffuso impoverimento degli stock ittici mondiali. È fondamentale che tutti i membri dell’OMC attuino questo accordo in modo efficace e il prima possibile. Impegnando un milione di euro, l’UE sta aiutando coloro che attualmente non possiedono il know-how tecnico o le capacità sufficienti per farlo. Incoraggiamo anche gli altri membri impegnarsi a dare il loro sostegno: insieme, possiamo rendere la pesca più sostenibile in tutto il mondo» (fonte: EFA News – European Food Agency).
Food delivery non è solo consegna a domicilio dal tuo ristorante preferito. Non dimentichiamoci infatti della spesa on-line Dopo un 2020 in cui la spesa alimentare on-line degli Italiani ha raggiunto i 2,9 miliardi di euro — con una crescita del +84% —, anche il 2021 ha garantito un balzo in avanti ulteriore. Il solo comparto del grocery alimentare (i prodotti da supermercato) è cresciuto durante l’ultimo anno del 39%. Un giro d’affari da 1,4 miliardi di euro, secondo i dati dell’Osservatorio Netcomm-Politecnico di Milano. E il 2022 non ha fatto eccezione. Secondo Retex, società specializzata nell’innovazione per il retail, è fondamentale evolversi in una direzione che offra le migliori condizioni tecnologiche e allo stesso tempo rispecchi i nuovi valori dei consumatori.
Una tendenza da tenere a mente nel macro-settore del food delivery è il Grocery Delivery o semplicemente “spesa a domicilio”. La pandemia e post-pandemia hanno portato un aumento del quantitativo di persone che sceglie di farsi recapitare la spesa a casa. Infatti, anche la spesa è ora qualcosa che molti sono soliti fare on-line. La domanda è cresciuta esponenzialmente e la possibilità di fare la spesa dal proprio smartphone ha portato molti benefici per i supermercati e market del territorio (info: comuniadomicilio.it).
Lungo la costa degli Etruschi, da Livorno a Piombino, e ancora più giù, in Maremma, fino a Porto S. Stefano, il Libeccio spazza senza sosta, increspando il mare e creando un’atmosfera che agita le pinete. Si intrufola tra le antiche mura dei borghi di mare, soffia indisturbato per giorni, mentre le barche da pesca rimangono ancorate a riva. Oltre al vento, questa striscia di terra si distingue per luoghi di grande fascino,
parchi archeologici, riserve naturali e spiagge battute da un mare pescoso. A Orbetello, in particolare, viene portata avanti da secoli l’arte della pesca e di conservare il pesce. Andiamo, dunque, alla scoperta di un presidio Slow Food di grande valore storico-culturale: la pesca tradizionale della laguna di Orbetello.
Le prime testimonianze relative alla lavorazione del pesce sulle coste della laguna toscana sono attribui-
bili al XVI secolo. Gli Spagnoli, che all’epoca dominavano queste terre, affumicavano le anguille e marinavano i pesci con l’escabece, una salsa calda a base di aceto, rosmarino, aglio e peperone. Da allora si è portata avanti nei secoli la pratica di affumicare il pesce puntando sull’attività marinara dell’antico Granducato. L’affumicamento è praticato non solo a scopo conservativo, ma anche, e soprattutto, per
trasformare il pesce in una raffinata golosità, piacevolmente morbida e dall’aroma ricco, ma equilibrato, rispettoso del gusto originario. Oggi i pescatori che si occupano della valorizzazione del pescato orbetellano sono un centinaio e sono riuniti nella Cooperativa “I pescatori di Orbetello” (ipescatoriorbetello.it).
Spigole, orate, cefali, anguille, calcinelli, mazzancolle, femminelle sono le specie più diffuse in questo tratto di mare. La pesca è di tipo tradizionale, effettuata “vagando” con le classiche imbarcazioni di legno; i pescatori usano con orgoglio ancora il lavoriero, i martavelli e i tramagli. Tecniche tradizionali che, però, hanno mantenuto la loro caratteristica più ricercata: la sostenibilità. Il pescato, infatti, arriva spontaneamente nelle reti secondo la stagionalità e le maree, senza alcun uso di mangimi esca.
Una volta in trappola il pesce, ancora vivo e in acqua, viene selezionato per taglia e, a seconda dei casi, issato con le reti oppure rilasciato in mare.
Il lavoriero è un metodo che consiste in uno sbarramento, un tempo in legno oggi meccanizzato, posizionato in prossimità dei canali, che permette lo scambio d’acqua tra la laguna e il mare aperto. Con questa tecnica vengono pescate tutte le diverse specie ittiche della laguna. L’alta marea è la condizione ideale per questa pratica: l’ingresso dell’acqua del mare in laguna attira i pesci verso il lavoriero e li spinge in una serie di camere degli inganni, che li incanala alla cassa di cattura. In alcuni periodi dell’anno, oltre all’alta marea, è l’istinto riproduttivo a spingere il pesce verso l’uscita dalla laguna. Gli esemplari più maturi sessualmente sono lasciati passare affinché raggiungano il mare della costa per riprodursi: di qui, i giovani esemplari, grazie alla bassa marea, potranno rientrare in laguna.
Il tramaglio, più nota tra le reti da posa, è costituito da tre strati di maglie sovrapposte ed è un sistema utilizzato prevalentemente in estate e nei mesi di novembre, dicembre e gennaio.
I martavelli e le nasse sono metodi selettivi, capaci di catturare solo alcune tipicità: anguille, feminelle (granchi invernali), mazzancolle e bavose. In inverno i martavelli, che presentano una tipica rete a imbuto con camera finale, sono adagiati in strutture di inganno realizzate con reti, canne e pali; in estate, invece, vengono inseriti in strutture meno complicate, i cosiddetti crocioni, e possono essere spostati con facilità, anche quotidianamente.
Il presidio tutela una doppia tradizione storica orbetellana, di pesca e di trasformazione del pesce. Nasce con l’intento di sostenere i pescatori e il loro prezioso lavoro, che si estende su un’area di circa 27 chilometri quadrati. La gestione di questo immenso specchio d’acqua, però, è sempre più complessa per diversi fattori: pressioni antropiche, cicliche calamità naturali con effetti disastrosi sulla fauna marina, cattiva manutenzione di un ecosistema delicatissimo.
Slow Food ha coinvolto i pescatori nella gestione della laguna, invitan-
doli a recuperare e a mantenere in buona salute questa zona di mare; li sostiene nell’uso delle tecniche tradizionali per la pesca di specie selvatiche e valorizza i prodotti che il mare offre.
Il pescato a Orbetello è disponibile nel corso dell’anno a seconda della stagionalità: mazzancolle in inverno e primavera, femminelle e calcinelli solo in inverno, cefali, anguille e spigole durante tutto l’anno.
Versatili in cucina, anche nella versione affumicata, offrono molte possibilità di utilizzo, sia al naturale, come antipasti, sia accostati ad altri ingredienti per la preparazione di primi e secondi di mare. I pescatori del presidio hanno saputo integrare pesca ed allevamento, vendita del prodotto fresco e preparazione dei trasformati, turismo e ristorazione. Un lavoro a 360 gradi, garanzia di qualità su tutta la produzione della laguna di Orbetello.
Chiara PapottiVongoplà prende forma dalla necessità di trovare un confezionamento capace di mantenere vivo e fresco il mollusco il più a lungo possibile e di garantire il massimo dell’igiene, offrendo un prodotto pronto da mangiare e privo di sabbia.
Confezione sottovuoto con l’aggiunta di condimenti semplici e genuini, come vuole la tradizione.
Nell’ultimo decennio, la pesca eccessiva si è ridotta drasticamente nel Mediterraneo e nel Mar Nero. E questa è la buona notizia; la cattiva è che lo sfruttamento delle specie più commerciali è ancora lungi dall’essere sostenibile. È quanto si legge in un rapporto della GFCM (General Fisheries Commission for the Mediterranean), la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo che fa capo alla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.
L’ultima edizione del Rapporto “Stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero” registra, infatti, una diminuzione dello sfruttamento eccessivo delle risorse nell’area, soprattutto con riferimento alle specie più importanti, dalla sogliola dell’Adriatico al nasello europeo, che sono oggetto di piani di gestione multilaterali.
Nonostante ciò, il 73% delle specie commerciali è ancora interessato da una pesca eccessiva, mentre la pressione della pesca, pur essendo diminuita nel tempo, continua a essere doppia rispetto al volume considerato sostenibile.
«Nella Strategia per il 2030 i membri della GFCM hanno fissato nuovi obiettivi per far fronte a tale criticità» spiega Miguel Bernal, segretario esecutivo della GFCM di recente nomina. Sono consapevoli che è fondamentale invertire la tendenza al declino delle risorse acquatiche, così come indispensabile è collegare i risultati afferenti alla redditività con quelli relativi alla sostenibilità. La nuova strategia offre una visione ambiziosa e richiede un impegno collettivo più coraggioso rispetto al passato. Nel Mediterraneo e nel Mar Nero la pesca genera introiti annui per 2,9 miliardi di dollari e si stima crei mezzo milione di posti di lavoro lungo tutta la catena di valore. In media, uno ogni 1 000 abitanti delle zone costiere della regione è un pescatore: in alcune zone costiere, il dato può essere fino a dieci volte maggiore. Tuttavia, la forza lavoro sta invecchiando. Nel 2020 più della metà di tutti gli equipaggi aveva più di 40 anni, mentre i giovani di età inferiore ai 25 anni erano soltanto il 10%. Stando ai più recenti dati contenuti nel rapporto, il fenomeno si sta aggravando» (in foto, sbarco del pesce a Marsiglia, photo © ducgiang1206; fonte: EFA News – European Food Agency, efanews.eu).
MSC-Marine Stewardship Council pubblica la terza edizione di “Ricette per l’oceano” 2023, per ricordare che la salvaguardia delle risorse marine inizia da cosa decidiamo di cucinare
È uscita a fine gennaio la terza e nuova edizione di “Ricette per l’oceano”, il ricettario di MSC Marine Stewardship Council, organizzazione non profit internazionale. Il ricettario ha l’obiettivo di ricordare a tutti che la salvaguardia dell’oceano inizia dalla nostra cucina o, meglio, dal nostro carrello della spesa. Scegliere prodotti ittici certificati sostenibili, infatti, è un’azione semplice e a disposizione di tutti per promuovere una pesca che mantenga in salute le risorse ittiche e riduca il proprio impatto sulla flora e la fauna marina. Il marchio blu di pesca sostenibile e certificata MSC aiuta i consumatori a identificare i prodotti ittici provenienti da una pesca rispettosa di mari e oceani.
10 ricette al sapore d’Oriente “Ricette per l’oceano” 2023 è composto da 10 ricette create da chef e esperti di cucina per MSC con prodotti ittici sostenibili e ingredienti esotici e poco conosciuti, ma facilmente reperibili nei negozi etnici di tutte le città italiane. Tra le ricette spicca quella del Boribap di merluzzo certificato MSC: un piatto sud-coreano a base di orzo, merluzzo e gochujang (una pasta di peperoncino piccante) creato per MSC da FABRIZIO FERRARI, chef stellato cresciuto tra i fornelli del ristorante di famiglia Al Porticciolo 84 a Lecco, appassionato di cucina coreana e proprio per questo trasferitosi con la famiglia in Corea del Sud. «In Italia come in Corea i prodotti del mare sono il mio ingrediente preferito” afferma lo chef Ferrari. «Sono estremamente affascinato dalla grande varietà esistente di pesci, crostacei e molluschi; il pensiero che possano scomparire mi sprona a impegnarmi per proteggerli: è una battaglia che voglio intraprendere insieme a MSC e a quante più persone possibile, perché sono convinto che tutti insieme possiamo proteggere la salute dei nostri mari». Il ricettario è gratuito e disponibile per chiunque voglia sperimentare una cucina speziata, semplice e sostenibile all’indirizzo www.msc.org/it/i-nostri-ricettari, dove è possibile reperire anche le precedenti edizioni.
>> Link: www.msc.org/it/i-nostri-ricettari
“La regione di Casamance in Senegal è una delle ultime regioni dell’Africa occidentale in cui si pratica la pesca tradizionale. Nonostante la crescente minaccia delle grandi industrie della pesca e le condizioni di lavoro durissime, i pescatori della zona producono pesce per molti Paesi africani. Ma per quanto ancora?”. Questa è la presentazione in sintesi di Golden Fish, African fish, coproduzione franco-senegalese del 2018 di THOMAS GRAND e MOUSSA DIOP. Impossibile raccontare a parole la forza e la fatica degli uomini e delle donne del piccolo villaggio di pescatori di Kafountine e la sua lussureggiante vegetazione tropicale, i rumori e le cantilene, i colori vivaci dei costumi e delle pirogue, il ritmo sfrenato per non perdere tempo. Il documentario mostra attraverso straordinarie immagini il lavoro di una quantità sempre più crescente di pescatori “artigianali” e di addetti
alla lavorazione del pesce, spesso immigrati africani impiegati per ogni fase che riguarda la filiera della pesca: portatori, affumicatori, essiccatori, autisti, operai per i conservifici e le fabbriche di farina di pesce e concime... Un vero melting pot che rappresenta l’Africa in miniatura!
Kafountine si trova nella regione meridionale della Casamance, nota anche come la “piccola Giamaica”, nella Provincia di Ziguinchor, racchiusa tra il Gambia e la GuineaBissau. Una regione particolarmente fertile e ricca di risorse, su tutte legname e petrolio, grazie al clima più favorevole alle coltivazioni rispetto al resto del Paese. La gentilezza e la generosità dei suoi abitanti è sorprendente e non ci si può sottrarre alla cerimonia dei 3 tè quotidiani: il primo, “nero come la morte”, amaro, destinato agli uomini, è il tè dei potenti; il secondo “dell’amicizia” invita ad aprirsi agli altri, a conver-
sare, a stare insieme; il terzo, chiaro e molto dolce, come “l’amore”, è destinato a tutti.
Con le sue tradizioni gastronomiche e culturali, tutta questa zona rischia adesso di soffrire dello sviluppo della globalizzazione e dell’ingerenza della grande industria straniera che mette in pericolo la pesca prevalentemente alla sardina che nutre tanti Paesi africani. La Cina soprattutto, l’Europa e gli USA stanno tentando una penetrazione industriale in questa zona di rifugio dell’Africa occidentale, dove donne e uomini cercano di resistere al declino della pesca tradizionale senegalese che per anni ha dato e sostenuto la vita in loco. Le condizioni di lavoro sono durissime ma l’intera filiera della pesca a Kafoutine, molto organizzata nella divisione del lavoro e con principi rigidi, ha permesso per secoli ai Senagalesi di vivere e anche di condividere questa manna
del mare. Qui si concentra infatti la più grande produzione alieutica della zona: il prodotto fresco pescato annualmente rappresenta 35.000 tonnellate, delle quali oltre un quarto viene trasformato dalle donne che operano nel settore.
Sempre di donne si tratta accennando alla tribù Diola, comunità che vive essenzialmente sul lavoro delle raccoglitrici di ostriche delle mangrovie di Casamance. Questi bivalvi vivono in acque tiepide non troppo salate e vengono raccolte con la bassa marea, lavoro lungo e faticoso con una resa di circa 100 chili per ettaro.
Da oltre 40 anni un movimento di ribelli ha generato una guerra a bassa intensità tra il governo senegalese e il MFDC, sfruttando delle sacche di povertà rurale e di degrado sociale. Ne ha risentito lo sviluppo economico della zona ma soprattutto è difficile pensare all’emancipazione delle donne in un tale contesto. La Regione Emilia-Romagna finanzia dal 2017 la Onlus COSPE per permettere alle
donne di accedere equamente alle opportunità economiche attraverso un miglioramento delle unità di produzione, l’utilizzo di energie rinnovabili e di tecnologie appropriate, nonché di rafforzare il proprio ruolo all’interno della comunità.
Condividiamo pienamente questa iniziativa che ha l’obiettivo di investire sulle donne di Kafountine, veri pilastri, come tutte le africane, della loro società. Dando loro sostegno e aiuto, è tutta un’economia basata sulla pesca che viene rafforzata e non radicalmente trasformata come lo vorrebbero le potenze straniere. Kafountine diventa così il simbolo di tante lotte, contro il mare spesso difficile da affrontare e che sta divorando la costa ma che nutre e arricchisce, contro il progresso che ci obbliga a rinunciare ad abitudini secolari ma che potrebbe semplificare la vita, contro “l’invasione” e la prepotenza delle compagnie straniere che pretendono migliorare la situazione ma solo per fini economici propri.
Josette Baverez Blanco
Golden fish, African fish (2018, 60', v.o. francese), diretto da Thomas Grand, produttore e regista francese, e Moussa Diop, ingegnere del suono e regista senegalese, ha vinto il Fiorenzo Serra Film Festival 2020 per la sezione lungometraggi. Insieme i due hanno fondato il centro di produzione audiovisiva Zideoprod e hanno co-diretto Diogué, a Threatened Fishing Island (2016).
La spesa domestica ai tempi dell’inflazione nei primi 9 mesi del 2022
Secondo le stime preliminari ISTAT, nel mese di settembre 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dell’8,9% su base annua (da +8,4% del mese precedente). È necessario risalire a luglio 1983 (quando registrarono una variazione tendenziale del +12,2%) per trovare una crescita dei prezzi del “carrello della spesa”, su base annua, superiore a quella di settembre 2022 (+11,1%).
Nel tentativo di contenere la spesa totale, il pesce sembra che per alcuni consumatori sia la “vittima sacrificale”: è infatti l’unica categoria in cui le rinunce in termini di volume hanno determinato una flessione dell’esborso finale. Una scelta “percettiva” più che ragionata. Cedono fresco, affumicato e surgelato. Tiene il tonno in scatola, i cui volumi di vendita sono invece addirittura in crescita
Se finora si poteva parlare di scarsa propensione degli Italiani al risparmio nell’acquisto di beni alimentari, da settembre la situazione comincia a farsi più pesante: la continua corsa dei prezzi causata dall’aumento del costo di energia e delle materie prime ha portato l’inflazione a pesare ancor di più sul bilancio delle famiglie italiane.
Gli Italiani, compressi tra i prezzi che aumentano e i salari che rimangono inchiodati a un +0,8%, vedono scivolare in basso il loro potere d’acquisto e cercano vie d’uscita che impattano anche sull’approvvigionamento alimentare.
Su questo fronte, recenti elaborazioni dell’I STAT ribadiscono quantitativamente come l’inflazione trainata da alimentari e prodotti energetici abbia i connotati di una tassa fortemente asimmetrica che colpisce maggiormente le famiglie dal reddito più basso e meno quelle dal reddito più alto.
Il carrello della spesa, secondo i dati dell’Osservatorio sui consumi alimentari Ismea-NielsenIQ, nel periodo cumulato da gennaio a settembre 2022 sta costando agli Italiani il 4,4% in più rispetto allo scorso anno, con dinamiche che si acuiscono nei mesi di agosto e settembre (+10,4%). Tale valore percentuale, inferiore all’inflazione, è frutto della composizione merceologica del carrello della spesa che si modifica in conseguenza proprio delle strategie messe in atto da parte dei consumatori per ridurre l’impatto dell’inflazione.
Gli incrementi della spesa coinvolgono tutto il territorio nazionale, con un’intensità leggermente superiore al Nord, dove superano il 5,3%. Gli incrementi di prezzo al consumo sono frutto non solo dell’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli ma, lungo la filiera, si caricano dei vari aumenti che interessano anche gli step intermedi come la logistica e il confezionamento.
In questo senso appare quanto mai interessante il fatto che l’aumento dei prezzi al dettaglio sia più evidente sui prodotti confezionati (+5% vs il +3,2% dello sfuso). Tale dinamica potrebbe influire non poco sul processo di orientamento verso il prodotto confezionato che da anni caratterizza la spesa agroalimentare (Grafico 1).
Tra i canali distributivi il supermercato resta il canale predominante, con il 40% di share e con una performance positiva che, rispetto al pre-Covid, gli fa guadagnare 2 punti percentuali. Il Discount, con il 22% di share, guadagna 4 punti percentuali rispetto al 2019, con fatturati incrementati quasi del 25%. Secondo l’osservatorio sull’inflazione di Nielsen, però, il Discount è anche il canale dove l’inflazione è più alta: sfiora il 20% a inizio ottobre.
Scende il numero di famiglie che per fare acquisti alimentari utilizza il
Grafico 1 – Ripartizione e dinamica dei canali di vendita
Fonte: elaborazione Ismea su dati NielsenIQ – Consumer Panel.
Grafico 2 – Il peso dei comparti sullo scontrino medio 2022: dinamica della spesa su base annua per comparto
Fonte: elaborazione Ismea su dati NielsenIQ.
canale digitale, dopo il boom del 2020 e 2021, infatti, la scelta del canale fisico torna a prevalere su quasi un milione di famiglie che nell’anno precedente avevano provato il digitale.
Di fatto, però, gli acquisti attraverso i canali digitali restano supe-
riori dell’80% al periodo pre-Covid, ma sono il 6% in meno le famiglie che lo hanno fatto nel 2022 rispetto al 2021.
Tra le tipologie di famiglie acquirenti sono quelle giovani con figli molto piccoli (le cosiddette new
families) ad incontrare le maggiori difficoltà economiche e a dover introdurre strategie di risparmio volte a contenere gli aumenti di spesa e addirittura a contrarla (–13,7% rispetto al pre-Covid). Bollette, baby-sitter, mutui o affitti assorbono buona parte
1. Dinamiche di vendita dei canali distributivi
* +4,4% su base annua la spesa per i consumi alimentari domestici nei primi nove mesi 2022.
* Il supermercato resta il canale predominante con il 40% di share e con una performance positiva che, rispetto al pre-Covid, gli fa guadagnare 2 punti percentuali.
* Il Discount, con il 22% di share, guadagna 4 punti percentuali rispetto al 2019, con fatturati incrementati quasi del 25%.
* Parziale ritorno al punto di vendita fisico: –6% le famiglie che acquistano su canale digitale nel 2022.
2. Le famiglie che più sentono la crisi
Sono le famiglie più giovani e con figli piccoli quelle che più di altre sentono la crisi e contraggono la spesa per i consumi in casa (–13% vs 2019). Le famiglie mature sono meno sensibili alla crisi, mantengono il carrello quasi inalterato assorbendo un incremento della spesa.
3. Come cambia lo scontrino
* Aumento della spesa per tutti i comparti ad eccezione di quello dei prodotti ittici e del vino. In netto aumento la spesa per gli oli (+15,5%), seguito da quello per bevande analcoliche (+11,2%) e derivati dei cereali (+8,9%).
* Importanti anche gli incrementi di spesa per le carni (+7,7%).
4. Alimenti proteici di origine animale
L’aumento della spesa del 7,7% per i prodotti carnei e del 4,1% per i lattiero-caseari riflette un pesante aumento dei prezzi e una sostanziale contrazione dei volumi acquistati. Contrazioni in volume più evidenti sulle bovine (–7%), mentre sono in controtendenza gli acquisti delle carni suine per le quali i volumi sono cresciuti del 4,4% anche a fronte di un aumento dei prezzi (+4%)
5. Prodotti ittici
È l’unico segmento tra tutti a segnare una concreta riduzione della spesa a fronte di volumi con flessioni fino al 30%. Una dinamica legata forse più alla percezione che ad una scelta ragionata.
degli stipendi costringendo a rinunce che investono anche l’alimentare (Grafico 2)
Volumi, spesa e prezzi medi nei primi 9 mesi del 2022
Per tutte le categorie, ad eccezione di vino e prodotti ittici, si registra, nei primi nove mesi del 2022, un incremento di spesa rispetto all’analogo periodo dello scorso anno. In evidenza tra tutte le categorie merceologiche quella degli oli e grassi vegetali, per i quali la spesa è cresciuta del 15%, trainata da un aumento dei prezzi degli oli di semi legato alle carenze di offerta dovute al conflitto tra Russia-Ucraina e quella delle bevande analcoliche (+11%), presumibilmente favorita da un’estate molto calda che ne ha favorito i consumi.
Il cibo a cui non si intende rinunciare sembra essere soprattutto quello più sobrio e basico e, qualora si intenda individuare qualche elemento driver italianità e sostenibilità, continuano ad essere considerati
elementi di priorità. Dunque, sulle tavole si riducono i cibi etnici e le varie tipologie di “senza” (senza glutine, senza lattosio, senza sale, ecc…) e anche cibi pronti e bio paiono subire una battuta d’arresto.
Infine, il consumo di prodotti a “marca del distributore” raggiunge a settembre il 30% sul totale food inclusi i Discount, mantenendo stabile la crescita di questa categoria.
I prodotti ittici
Per i prodotti ittici, nel complesso, si assiste ad un calo di spesa complessivo del 3,4%, su cui pesa in maniera determinante il calo di acquisti del pesce fresco (–6,9%). A prima vista l’atteggiamento sembra rifl ettere più un aspetto “percettivo” che una scelta ragionata: nel tentativo di contenere la spesa totale, il pesce sembra che per alcuni consumatori sia stato la “vittima sacrificale”. È infatti l’unica categoria in cui le rinunce in termini di volume hanno determinato una fl essione dell’e-
sborso finale. In cedimento non solo il segmento del fresco, ma anche quello dell’affumicato (–0,8%) e del surgelato (–3,6%). Di contro, tiene bene il tonno in scatola, per il quale i volumi venduti sono in ulteriore aumento (+0,8%), con una spesa che aumenta del 5,5%.
Nel segmento del fresco emerge il caso del salmone, sul quale l’incremento del prezzo arriva a toccare il 25% e per il quale i consumatori hanno contratto i volumi nel carrello del 31%. Meno pesanti i rincari sul pesce di allevamento quale l’orata, per la quale, a fronte di un aumento di prezzo del 10%, si è registrata una contrazione dei volumi acquistati del 7,6%.
Fonte: REPORT–ACQUISTI DOMESTICI 3/2022, La spesa domestica ai tempi dell'inflazione nei primi 9 mesi del 2022 influenzata dall’inflazione ; Ismea – Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, www. ismeamercati.it
Senti profumo di affumicato e pensi subito ad un bosco a una baita e a un caminetto… Luoghi dove cuoce la selvaggina (ma anche il maiale con la polenta) e si preparano lo speck e i formaggi. O pensi subito al salmone, sulle tartine a Natale a fianco del caviale. Oppure, più poeticamente, a cuoio, medicinali, frutta, whisky, cannella, caramello e vaniglia.
Lo chef PHILIPPE LÉVILLÉ adora questo aroma perché gli ricorda la andouillette, un famoso insaccato francese.
Katrina Markoff a sei anni mangiava frittelle con gocce di cioccolato, sciroppo d’acero e bacon e da adulta, nel suo negozio, prepara barrette di cioccolato scuro con bacon affumicato su legno di melo e sale, anch’esso affumicato.
NIGELLA LAWSON ha scritto: Il pesce affumicato era un vero alimento di base nella mia infanzia — avevo spesso sgombro affumicato con il rafano nel mio contenitore per il pranzo — e se ho qualsiasi tipo di pesce affumicato nel frigo, sento che
ci sarà sempre, immediatamente, qualcosa da mangiare. La pensa così anche MORENO CEDRONI, a cui piace abbinarlo al caffè in polvere.
Tutti loro sono d’accordo nel dire che non è semplice dosare l’ingrediente “fumo”: il rischio che rovini gli altri profumi e sapori della pietanza è altissimo, per cui va calibrato con molta attenzione. Non deve essere amaro né darti la sensazione che stai mangiando della brace, ma dev’essere un retrogusto piacevole.
Si ottiene dalla combinazione a caldo di alcuni elementi come guaiacolo ed eugenolo, o, più semplicemente, dal matrimonio tra la legna e l’alimento, tenuti vicini abbastanza a lungo da fondersi creando una magia o un disastro culinario. Di solito bastano 15 minuti e alcune erbe e spezie per migliorare l’aroma. Negli ultimi anni (come era già successo nella cucina futurista), molti esperti si sono messi a sperimentare con l’affumicato, provando diverse combinazioni di fieno e legna abbinate a diversi alimenti (STEFANO GUIZZETTI ha unito persino gelato e legno di faggio). Altri invece preferiscono usare la parola ma in realtà aggiungere solo paprika o pepe o altri ingredienti in cui il processo è già stato fatto. O ricorrere al fumo liquido.
Nella carne
AIMO & NADIA con l’Anatra leggermente affumicata con zucchero di canna, agrumi di Sicilia, patè al profumo di tartufo bianco e finferli in agrodolce. LUCA PEZZETTA con la Pizza birra solida: una pizza in teglia al mosto d’orzo con ricotta agli agrumi e manzo essiccato con le trebbie e affumicato al luppolo (a proposito, nel 2014 Domino’s Pizza ne proponeva una con coniglio affumicato, pinoli, crema di formaggio e rosmarino). ERRICO RECANATI con il Cuore d’agnello essiccato e affumicato (su una lenta brace, a distanza, per una settimana). DIEGO ROSSI e
JURI CHIOTTI con il Risotto alla zucca con midollo di bue grasso affumicato e olio al pino cembro
Nel pesce
DONATO ASCANI con la Seppia della Laguna affumicata al mirto
E RNESTO I ACCARINO con Ricciola affumicata, farina di scorzette di cedrangolo, frullato di fave e semi di finocchietto con maionese di pompelmo (usando la tecnica di “fermare il fumo” usando il sottovuoto, per creare una crosticina su un prodotto crudo). ANDREW FAIRLIE con l’Astice scozzese affumicato con lime e burro agli aromi (un piatto che dal 2001, fino alla sua morte, è diventato una ricetta simbolo del lavoro dello chef).
DIANA HENRY con il Calamaro con tarator affumicato di mandorle, peperoni, freekeh e spinaci: dove il pane al latte viene affumicato con la paprika. J.F. MALLET con le sue semplicissime Pizzette al salmone affumicato, mela verde, ricotta, erba cipollina e limone
DAVID THOMPSON con la Zuppa di pesce affumicato e cocco. SIMONE RUGIATI con i Gamberi affumicati (nell’alluminio, usando rametti di rosmarino bruciati) alle mandorle.
Nelle verdure
YOTAM OTTOLENGHI con le Barbabietole affumicate con yogurt e noci di macadamia caramellate: per lo chef bastano un wok, carta d’alluminio, riso, scorza di limone e timo. FRANCESCO SPOSITO coi Carciofi affumicati con emulsione al pecorino, guanciale di maiale nero e tartufo nero, ottenuti con erbe aromatiche e gusci di frutta secca.
Nei condimenti
CARLO CRACCO col Fusillotto al burro affumicato. RICCARDO AGOSTINI col Risotto con infusione di aghi di ginepro, latte di pecora affumicato e tartare di pecora
E ancora
Aggiungete il provolone affumicato alla crema di zucca. Il prosciutto affumicato di Praga in un tomino: BENEDETTA PARODI lo copre di gin e paprika e panatura ai grissini e lo passa sotto il grill (“l’ho provato… valeva la pena, soprattutto mangiato caldo quando il formaggio è ben cremoso”)… O mettetelo in forno per creare un arrosto senza dover lavorare troppo un pezzo di carne o negli spiedini al posto dei classici würstel.
Usate il tè affumicato per cuocere la frutta e ottenere un nutriente comfort food in una fredda giornata d’inverno. Aggiungete il salmone affumicato ad una torta di riso. Lo speck sta benissimo nel risotto alle verdure sfumato alla birra rossa. Il tofu affumicato è un’alternativa per chi segue una dieta vegetariana o vegana.
Oppure mettetevi anche voi a provare, coi legnetti e il calore… un’operazione che ricorda il campeggio e la sopravvivenza. Ok, ho capito: affumicato e memoria sono la combinazione più azzeccata. Funziona e non sbagli mai.
Giorgia FieniAcciughe, un generoso quantitativo di aglio, olio extravergine di oliva della vicina Liguria. Ecco fatto uno dei simboli della gastronomia piemontese, dove si tuffano fresche verdure dell’autunno, come il cardo gobbo di Nizza Monferrato, verdura simbolo della cittadina e ideale abbinamento per un intingolo. Stiamo parlando della “Bagna cauda”, un vero rito, prima che una ricetta, dalla storia antichissima, che affonda le radici nel tardo Medioevo.
Cucinata tipicamente dagli uomini, la Bagna cauda si preparava nelle cantine per festeggiare un evento molto atteso, la spillatura del vino nuovo, che segnava la fine del lavoro duro nei campi. Piatto povero per eccellenza, ma allo stesso tempo ricercato per l’impiego di ingredienti inusuali per il Piemonte, è ancora richiestissimo nei mesi più freddi nei ristoranti, soprattutto per celebrare il piacere di stare a tavola in famiglia o con gli amici.
La storia che lega le acciughe al Basso Piemonte ci ha rapiti e per questo abbiamo voluto saperne di più. Per scoprire le ragioni della presenza delle acciughe in questo angolo all’estremo Nord-Ovest della nostra Penisola si può leggere “Il salto dell’acciuga” di NICO ORENGO, che racconta storie e leggende, verità storiche e miti popolari capaci di richiamare una bellezza perduta, o almeno dimenticata, sugli “acciugai” (ancióaire in lingua piemontese),
commercianti ambulanti che, con il tipico carro trainato da cavalli o buoi, portavano le acciughe in barili e botticelle di legno casa per casa. La domanda, dunque, sorge spontanea: ma perché proprio in Piemonte, una regione priva di sbocco sul mare, si diffuse il commercio dell’acciuga come ingrediente della cucina popolare?
Si narra che il merito dei rifornimenti di pesce azzurro fosse dei contrabbandieri di sale; un racconto affascinante che, tuttavia, rimane privo di fondamenta. Anticamente, infatti, i piemontesi si rifornivano di sale presso le saline della Provenza e delle foci del Rodano, attraverso una serie di rotte commerciali sui passi delle Alpi Marittime, note come “vie del sale”.
La leggenda vuole che, per evitare di pagare dazi elevati, i contrabbandieri coprissero le superfici dei barili di sale con le acciughe, ma in realtà in tutto il Piemonte d’antico regime la gabella del sale era una tassa obbligatoria non legata al consumo, oltre
al fatto che l’acciuga era per l’epoca un alimento costoso e altolocato. In un’indagine semiseria, che mescola notizie storiche, racconti privati, storie di paese, ricordi e chiacchiere, la spiegazione sulla diffusione dell’acciuga in Piemonte è il risultato di un intreccio tra il mondo dei pescatori e quello dei contadini.
È grazie agli acciugai, impagabili venditori occitani della Val Maira, che l’acciuga a poco a poco divenne ingrediente insostituibile della cucina di montagna e di valle; sotto la
maestria commerciale dei discendenti dei Saraceni conquista Lombardia ed Emilia-Romagna, acquista valore e dignità, entra nella cultura e nel paesaggio di montagna.
I carretti blu degli acciugai di Dronero si impossessarono lentamente di tutto il Nord Italia, tirati da lavoratori instancabili, che si assentavano per mesi da casa, percorrendo anche quaranta chilometri a piedi al giorno, con il fine di vendere il “singolare” pesce conservato sotto sale.
Nel mese di novembre si celebra il Bagna cauda Day, che dal 2015 ha avanzato la candidatura come Patrimonio dell’Umanità all’UNESCO.
È grazie agli acciugai, impagabili venditori occitani della Val Maira, che l’acciuga a poco a poco divenne ingrediente insostituibile della cucina piemontese di montagna e di valle; sotto la maestria commerciale dei discendenti dei Saraceni conquistò Lombardia ed Emilia-Romagna, acquistando valore e dignità ed entrando nella cultura e nel paesaggio del Piemonte
In passato gli abitanti della Valle Maira, in inverno, erano costretti a cercare lavoro lontano da casa. Emigranti che partivano alla fine dei lavori estivi per andare a vendere acciughe e pesce conservato in pianura. Gli acciugai compravano i pesci in Liguria e giravano il Piemonte spingendo il loro “caruss” carico di pesce salato tentando di venderlo. Un lavoro umile e duro che a molti regalò benessere. La Fiera degli acciugai di Dronero (CN), che si tiene ogni anno a giugno, ricorda questo passato e propone un itinerario enogastronomico e la riscoperta delle antiche tradizioni legate al consumo delle acciughe. Per maggiori informazioni si veda il sito dell’evento: www.anciue.it
È impossibile, approfondendo la storia del commercio dell’acciuga, non cogliere con malinconia i segnali di un mondo che è cambiato completamente e che non è più possibile riconoscere e ritrovare. Una civiltà contadina fatta di radicamento, di sussistenza, di povertà dignitosa e solidale, che ha contribuito a cambiare la nostra società e ci ha portati a diventare ciò che oggi siamo.
Ecco, dunque, che la preparazione della Bagna cauda diventa occasione per riscoprire e rivivere i ritmi lenti di una società passata, quando ci si sedeva intorno alle braci del camino per affogare nella pentola con la Bagna cauda le verdure tagliate a pezzetti e la grissia, tipico pane piemontese dalle origini Cinquecentesche.
Chi va in cerca di cultura gastronomica può ancora gustarla nelle locande, servita in scodelle di terracotta, chiamate in dialetto piemontese fuìot, e mantenute calde da un lumino. Le prime ricette prevedevano un largo consumo di
aglio e acciughe; è raro osservare gli stessi quantitativi nella cucina contemporanea, ma c’è ancora chi la prepara coraggiosamente con una testa intera e un etto di pesce a persona. C’è chi cuoce gli spicchi di aglio nel latte per attenuare l’afrore, chi li trita finemente e chi li aggiunge a fette. Alcuni, poi, per ingentilirne il sapore, aggiungono del burro o un po’ di panna. Ma il vero segreto per l’ottima riuscita è la cottura, lentissima, che permette ad aglio e acciughe di sciogliersi, senza mai arrivare al bollore.
Chi la cucina ancora in casa, rimanendo fedele alla tradizione, la cuoce a bagnomaria, con la pentola di terracotta posta sopra ad un altro tegame in cui bolle l’acqua, ma chi la preferisce con pezzi di aglio e acciughe più grossolani può adagiarla direttamente sul fuoco, a fiamma bassa, o su una piastra. Le verdure da intingere nella Bagna cauda sono sempre state reperibili nella storia di questo piatto; anche l’aglio non è mai mancato anzi, i bandi campestri
dell’epoca lo inscrivevano addirittura tra le colture obbligatorie per i proprietari terrieri.
Quelle che vengono ancora proposte con l’intingolo sono principalmente quelle invernali, raccolte quando il freddo intenso e le prime gelate le hanno rese croccanti e ottime da consumare crude: topinambur, verze, peperoni, sedano, finocchi, rape, porri. Alcuni aggiungono anche ortaggi cotti, come barbabietole, cipolle e peperoni al forno o messi sotto le vinacce, patate e carote bollite. Prima di chiudere il pasto, si può strapazzare un uovo nella terrina, unendolo alla salsa rimasta e i più raffinati possono concedersi una grattata di tartufo sul tutto, per rendere la Bagna cauda un piatto da gourmet e non da poveri, come lo era nel Dopoguerra. Usuale anche che compaia tra le salse di accompagnamento del celebre Bollito misto piemontese, un altro piatto della tradizione che, da solo, vale il viaggio.
Chiara Papotti“Livenza, fiume di sapori” è una rassegna gastronomica ormai più che decennale nata allo scopo di valorizzare e tutelare la pregiata anguilla locale, il bisàt, e divenuta via via una kermesse che si pone l’obiettivo di rappresentare a tutto tondo il “sistema del gusto” del territorio liventino. A minacciare questa ed altre specie, però, complice il cambiamento climatico e il riscaldamento delle acque in corso da tempo a livello globale, è arrivato il granchio blu (Callinectes sapidus Rathbun, 1896), specie aliena originaria della costa atlantica degli Stati Uniti dalle caratteristiche chele di un azzurro intenso. Il granchio blu, della famiglia dei Portunidi, detti anche granchi nuotatori, è presente nei fiumi del Basso Piave fin dagli anni ‘50, ma proprio a causa dell’innalzamento delle temperature sta oggi proliferando nelle valli lagunari e nelle foci dei fiumi a discapito dell’ittiofauna locale. Un problema che si va a sommare a tanti altri che affliggono la pesca professionale e l’ambiente fluviale. Proprio per sensibilizzare quante più persone possibili all’argomento — ed essendo “Livenza, fiume di sapori” una rassegna che sin dagli albori si è resa portabandiera di valori quali tutela ambientale ed ecosostenibilità —, anche durante la cena finale che conclude l’evento, con tanto di assegnazione del premio “Bisàt d’Argento” nelle sue varie categorie, è stato affrontato l’allarmante sviluppo di questo predatore sotto diversi aspetti, non ultimo un suo utilizzo in cucina.
Le anguille del Livenza decimate dal crostaceo «Negli ultimi anni le larve di questa specie hanno iniziato a riprodursi più velocemente e le popolazioni sono esplose» ha dichiarato ai giornalisti presenti durante la cena Matilde Visentin, esperta in scienze ambientali nonché fiduciaria della condotta Slow Food Veneto orientale (ricordiamo che la “Confraternita del Bisàt della Livenza” dal 2016 figura nella “Comunità del cibo Slow”, che garantisce la tutela ed il consumo di prodotti di qualità certificata secondo i parametri della sostenibilità agroalimentare). «Si tratta di un competitor del nostro granchio verde e resiste maggiormente ai cambi di salinità. Risale quindi molto di più i fiumi ed è un predatore più aggressivo, che va a nutrirsi di larve, uova e dei piccoli di anguilla e altre specie. In più, avendo delle chele molto grosse, rompe le reti dei pescatori, provocando seri danni economici alla categoria. La specie è originaria delle lagune del Maryland, negli Stati Uniti, ed è arrivata qui probabilmente con le larve presenti nell’acqua incamerata nei cassoni di zavorra delle navi». Uno dei problemi principali del granchio blu è il fatto che qui non trova predatori: dobbiamo quindi essere noi a trasformarci nel suo predatore per eccellenza. «Purtroppo la forte espansione di questa specie sta provocando un danno al fragile equilibrio della laguna di Caorle, a danno soprattutto della specie autoctone» ha commentato Luca Ortoncelli, ideatore della rassegna. «L’unico grande predatore del granchio blu è l’uomo: ecco perché è quanto mai necessario sensibilizzare il cliente finale e i ristoratori alla preparazione dello stesso come pietanza». Se c’è una cosa positiva che caratterizza questa specie, infatti, sono le carni saporite, inclini a sposarsi ottimamente con i piatti dei ricettari tradizionali della zona. Non a caso, in occasione della serata, lo chef Daniel Matei del ristorante “Lo Scoglio” di Caorle ha preparato degli ottimi Gnocchi al granchio blu, dimostrando concretamente come un predatore possa trasformarsi in preda gustosa a tutto vantaggio del palato e del ripristino dell’equilibrio ambientale. Negli Stati Uniti già oggi il granchio blu è considerato un prezioso crostaceo e sostiene un’importante attività di pesca. Nell’ultimo decennio, inoltre, diverse ricerche hanno messo in evidenza le elevate qualità nutrizionali della carne di granchio blu del Mediterraneo e piccole attività di pesca di Callinectes sapidus si trovano attualmente in Turchia e nella Grecia settentrionale.
>> Link: www.livenzakmzero.it
“Livenza, fiume di sapori”: anche la pesca dell’anguilla liventina minacciata dal granchio blu… che finisce in tavola
Le preoccupazioni della società riguardo al cibo, al modo in cui viene prodotto, distribuito e, in generale, alla sua sicurezza, si evolvono nel tempo: i cambiamenti nei sistemi alimentari, la diffusione di nuovi alimenti ed abitudini di consumo e una maggiore sensibilità per l’ambiente e il benessere animale modulano la percezione dei rischi alimentari e le modalità con cui il consumatore sceglie e si approccia al cibo. Per comprendere quali siano oggi le percezioni e gli atteggiamenti degli europei nei confronti della sicurezza alimentare, l’Autorità europea per
la sicurezza alimentare (EFSA) ha realizzato una nuova edizione, la quarta, dell’Eurobarometro – Speciale sicurezza alimentare.
La sicurezza alimentare in Europa
Basata su interviste a 27.000 consumatori in tutta l’Unione Europea, l’indagine dà un quadro in evoluzione del modo in cui gli Europei scelgono gli alimenti, della loro consapevolezza, delle loro preoccupazioni in materia di sicurezza alimentare e dei soggetti in cui ripongono la loro fiducia. I risultati mostrano come il costo
degli alimenti (54%) sia attualmente il principale fattore che influenza gli acquisti, seguito dal sapore (51%). Quasi la metà dei cittadini dell’UE considera importante anche la sicurezza alimentare (46%) e 4 persone su 10 (41%) danno per scontato che gli alimenti acquistati siano sicuri. Impatto ambientale e motivazioni etiche hanno invece un peso minore (rispettivamente 16% e 15%).
L’indagine evidenzia che:
• oltre un terzo degli Europei ha un livello di consapevolezza molto alto (21%) o alto (17%) sui temi della sicurezza alimentare, cioè
ha sentito parlare di 10 o più dei 15 argomenti oggetto dell’indagine. In maggior percentuale hanno sentito parlare di additivi negli alimenti o nelle bevande (70%), residui di pesticidi negli alimenti (65%), residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (63%) o malattie degli animali (60%);
• in testa alla lista delle preoccupazioni degli Europei legate alla sicurezza alimentare stanno i residui di pesticidi negli alimenti (40%) e i residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (39%). Un numero minore di persone teme le malattie delle piante (11%), l’uso delle nuove biotecnologie nella produzione alimentare (8%) e le nanotecnologie applicate ad essa (5%);
• circa 6 persone su 10 (61%) indicano la televisione, via etere o via internet, come una delle principali fonti di informazione sui rischi alimentari, seguita da famiglia, amici, vicini o colleghi (44%) e motori di ricerca Internet (37%), con rilevanti differenze tra le generazioni;
• più di 8 intervistati su 10 si fidano di medici (89%), scienziati universitari finanziati da enti pubblici (82%) e organizzazioni di consumatori (82%) per le informazioni sui rischi alimentari;
• solo una minoranza di Europei non cambierebbe il proprio comportamento in caso di allarme alimentare (21%). Le ragioni principali che vengono da essi addotte includono il fatto di preparare già gli alimenti nel modo raccomandato (45%) e la convinzione che tutti gli alimenti comportino qualche rischio e che sia impossibile evitarli tutti (25%).
In riferimento al contesto specifico italiano, l’origine dei prodotti e la sicurezza degli alimenti sono, alla pari (59%), i fattori che guidano le scelte di consumo degli alimenti; seguono il sapore (46%) e il costo (40%), a pari merito con i valori nutrizionali (40%), evidenziando quindi una maggiore sensibilità degli Italiani nello scegliere alimenti
Il 75% degli Italiani si dichiara infatti personalmente interessato alla sicurezza alimentare rispetto al 70% della media UE.
Tra i rischi alimentari, gli Italiani hanno sentito maggiormente parlare di residui di antibiotici, ormoni o steroidi nella carne (57%), e di additivi come coloranti, conservanti o aromi utilizzati negli alimenti e nelle bevande (54%), seguiti dalla preoccupazione per le malattie zoonotiche (36%, +8% rispetto all’indagine precedente). In forte aumento anche la preoccupazione per i residui di antiparassitari negli alimenti (31%, pari al 6%). Minore invece è risultata l’attenzione per la presenza di microplastiche negli alimenti (16%) e il benessere degli animali in allevamento (11%).
Comunicare i rischi alimentari
Questa fotografia delle opinioni dei cittadini europei arriva nel momento in cui il sistema di sicurezza alimentare dell’UE, l’EFSA e le agenzie per la sicurezza alimentare di numerosi Stati Membri compiono 20 anni. Queste strutture vennero istituite nel 2002 per conferire alla sicurezza alimentare in Europa una base scientifica più solida, adottare regole armonizzate e promuovere la cooperazione in tutto il continente.
L’Eurobarometro speciale sulla sicurezza alimentare è uno degli strumenti che rende possibile “un’unica sicurezza alimentare” anche a livello di comunicazione del rischio: gestori e comunicatori del rischio possono utilizzarne i dati per una pianificazione strategica di lungo termine, e rispondere in modo efficace e puntuali alle reali preoccupazioni e necessità informative della popolazione, salvaguardando le prospettive e le peculiarità territoriali.
Fonti
• Istituto Zooprofi lattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe), www.izsvenezie.it
• EFSA, www.efsa.europa.eu, 2022 Eurobarometer on Food Safety in the EU , www.efsa. europa.eu/it/corporate/pub/ eurobarometer22
Resilienza è vocabolo oramai sulla bocca di tutti. Se ne fa un uso smodato, ma se parliamo di una trattoria, la si può definire resiliente? Probabilmente sì. Certamente, se il locale in questione è la secolare Trattoria da Romano a Burano, isola dei colori, dei merletti e dei pescatori nella laguna di Venezia. Un locale che ha saputo resistere alle mode, alle orde crescenti dei turisti, ai cambiamenti degli stili di vita, allo spopolamento dell’isola, alla penuria, rispetto a un tempo, di pescatori e pescato e pure alla burocrazia. Un presidio della buona tavola e della tradizione culinaria di laguna fondato da ROMANO BARBARO nel 1920 per i clienti del posto e che ancora annovera il Risotto di gò e quello al nero di seppia tra i must più richiesti.
Il boom negli anni ‘50, con lo sbarco in un’isola accogliente, curiosa e piena di umanità degli artisti scartati dalla Biennale che trovavano rifugio da Romano per un fritto misto e un po’ di frutta. «Giovani appassionati, innovativi, disincantati, stanchi dell’andazzo generale — racconta GIGI SENO, marito di Rossella, nipote di Romano — che trovavano nell’isola un rifugio vivace, affascinante, con 7.000 abitanti e zero contatti col mondo. Tra loro, pittori, poeti e letterati e ognuno voleva vedersi esposto da Romano al punto che oggi contiamo 450 quadri di autori tra i quali EMILIO VEDOVA, FILIPPO DE PISIS, GINO ROSSI; disegni di MIRÒ, MATISSE, OSCAR KOKOSCHKA, RENATO GUTTUSO; pensieri di HEMINGWAY, E ZRA P OUND e P IRANDELLO ». Ma anche ricordi di personalità della musica come KEITH RICHARDS, cliente
A Burano il locale ricco di arte, poesia e buon cucina della famiglia Barbaro
affezionato, dello sport come JOHN MCENROE, OMAR SIVORI, della scienza come ENRICO FERMI e GUGLIELMO MARCONI e del cinema come ROBERT DE NIRO, FEDERICO FELLINI, SYLVESTER STALLONE. «La nostra forza era ed è rimasta negli anni la cultura e la salvaguardia della tradizione tanto nella materia prima scelta che nelle lavorazioni» continua Gigi. «Abbiamo sempre proposto pescato locale, fritto o alla griglia, con verdura e frutta degli orti lagunari, in particolare Mazzorbo».
I discendenti di Romano sono ancora lì, dopo un secolo e quattro generazioni, contenti e convinti di portare avanti una lunga tradizione culinaria e contribuire così a mantenere viva un’isola piccola e distante da Venezia città. «Ci piace pensare di essere un baluardo di storia e di memoria — sottolinea Gigi — espressione di uno tra i pochi locali ancora in mano ad una famiglia e non ad una società che potrebbe fare ristorazione qui come in qualsiasi altro luogo turistico. E anche che la nostra proposta rifugga, per certi aspetti, il turismo di massa, mordi e fuggi.
Prima del Covid Venezia era invasa dai turisti con numeri impressionanti. E parecchi di questi poi arrivavano a Burano. Ma la fragilità di Venezia e la delicatezza dell’isola richiederebbero un approccio più attento e rispettoso e bisognava intervenire prima. Adesso dobbiamo tutti rimboccarci le maniche perché il Covid e le restrizioni conseguenti hanno peggiorato le cose. Speriamo almeno possa essere l’occasione per salvaguardare di più e trattare meglio la città, creando economia e quindi occupazione di qualità».
Tutto questo vale anche per la cucina. «Noi partiamo dal presupposto che la migliore sia sempre stata quella della mamma e della nonna e proseguiamo su questa strada: cucina tradizionale senza troppi fronzoli. Mi amareggiano quei ristoranti che ambiscono a stelle e pianeti ignorando gli usi e i costumi gastronomici tipici del luogo dove si lavora. E poi, quando si va a mangiare, si va perché si ama stare in convivio con la famiglia, con gli
amici, con le persone care e al giusto prezzo. In certi locali sembra quasi regnare un silenzio deferente per le stelle. Ci sono mille prudenze all’etichetta, alla cornice e magari manca l’aspetto gioviale, felice, del desco e della compagnia dei commensali. Si perde la rilassatezza e c’è quasi un’ansia da prestazione».
Il menu di Romano attinge a piene mani nella tradizione gastronomica lagunare. Gli antipasti variano, secondo la stagionalità, dalle canocchie
ai garusoli (murici), schie (gamberetti grigi di laguna), granceola, granchi (moeche e mazenete), baccalà e saor di sardine.
Tra i primi svetta appunto il famoso Risotto di gò, preparato con il ghiozzo di laguna, pesce povero che si pescava in abbondanza e che oggi si fatica a reperire mancando i pescatori. Altri primi celebrati sono il risotto al nero di seppia, gli spaghetti ai frutti di mare e i tagliolini alla granceola. Fritture miste, moeche in
stagione e la monumentale grigliata fatta alla brace di legna a base di branzini, rombi, orate, sogliole, anguille, San Pietro e seppie.
Cent’anni in mostra I cent’anni della trattoria sono stati ricordati con una pubblicazione che doveva essere presentata e divulgata nel 2020. Poi è arrivata la pandemia che ha scompaginato le agende di tutto il mondo. A fine 2021, negli spazi della Fondazione Querini Stampalia a Venezia, è stata inaugurata una mostra curata da GIANDOMENICO ROMANELLI e PASCALINE VATINE: “Le Tre Stelle di Romano”. Un centinaio di opere in tutto, solitamente ospitate in trattoria. «Il rimpianto più grande che abbiamo avuto per la mancata celebrazione del 2020 — ricorda Gigi — è stato non aver potuto festeggiare con mia suocera Linda Memo, 88 anni, mancata più di un anno fa. Col marito Orazio gestiva la trattoria dal 1965 e adesso, da Romano in poi, siamo alla quarta generazione. Siamo lanciati verso il prossimo secolo del locale, riconosciuto storico, convinti che saranno ancora la nostra famiglia e i nostri piatti a raccontare cos’era e cosa sarà la Trattoria da Romano».
Gian Omar Bison>> Link: www.daromano.it
Gamberi rossi, ostriche, caviale e capesante, il tutto abbinato a prodotti locali altoatesini selezionati con cura: così le montagne dell’Alto Adige incontrano il mare nel piatto al cinque stelle Quellenhof See Lodge, a San Martino in Val Passiria. Un accostamento apparentemente ardito che si rivela vincente di cui
è artefice il giovane chef MICHAEL LAIMER, classe 1988.
Una cucina bilanciata la sua, realizzata con pochi ingredienti ben selezionati e che vanta i migliori prodotti ittici provenienti da ogni angolo del mondo: il carabinero, ovvero il gambero rosso argentino, le ostriche francesi così come il caviale e le cape-
sante d’oltralpe; ma anche il rombo, l’astice, il tonno e il salmone, questi ultimi proposti spesso sotto forma di tartare oppure di sashimi, come nel caso del pesce spada. «Iniziamo a servire gli ospiti con un aperitivo fatto di tanti assaggi su un grande piatto da condividere, per procedere con un primo ricercato e originale
Una scelta vincente e un vero viaggio del gusto dove i sapori del mare si sposano in maniera armoniosa ed eccellente a quelli della montagna, in una location esclusiva e di grande impatto come quella del “ristorante subacqueo”: è l’offerta gourmet dell’underwater restaurant al Quellenhof See Lodge di San Martino in Val Passiria, ad opera dello chef Michael Laimer, il quale, supportato dalla sua brigata di cucina, portando sapori e atmosfere del mare in alta quota, ha donato vita ad un connubio originale e sorprendente con i sapori tipici della gastronomia altoatesina.
come, per esempio, la Zuppa d’astice con astice al vapore e i Ravioli freschi ripieni di rombo, tartufo nero e spinaci. Successivamente, un pesce spada appena scottato
come seconda portata. La cucina del Quellenhof See Lodge conclude l’esperienza culinaria col dessert e, infine, i petits fours, la piccola pasticceria francese: una gioia per
gli occhi e il palato» racconta lo chef. «La scelta è vasta e abbiamo pensato, fin dal principio, che proporre pesce proveniente da tante parti diverse del mondo fosse un buon modo per variare e distinguerci. Lavoriamo con passione e innovazione all’interno della cucina così come in sala, dove sfilettiamo il pesce davanti all’ospite e lo aiutiamo nell’abbinamento del vino più adatto al piatto scelto. A tal proposito, proprio il servizio è un nostro punto di forza: siamo a completa disposizione del cliente e lo rendiamo partecipe di un’esperienza gastronomica di livello eccellente».
Nell’ underwater restaurant guidato da Michael Laimer, luogo accogliente e raffinato con pochi tavoli e caratterizzato da display multicolori a grande schermo per vivere l’esperienza delle profondità marine, ogni piatto è realizzato con maestria e passione. Chef e brigata attingono alla tradizione locale e la contaminano con ingredienti internazionali di grande qualità. L’ospite intraprende, così, un viaggio sensoriale fatto di sapori, profumi e gusti che può completare con un buon vino in abbinamento grazie ai consigli del sommelier ELIAS PLUNGER.
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Una famiglia da sempre dedita all’ospitalità quella di FILIP MATJAŽ, chef trentenne del COB, ristorante di Portorose che recentemente ha ottenuto una stella Michelin: era il 1908 quando il bis-bis nonno Jože avviava il piccolo albergo Pri Kočerju. La figlia Helena divenne cuoca della corte viennese, mentre Marija replicò l’attività paterna in Croazia, con il Pri Slovenki. Nel 1978 Mate, detto Tomi in famiglia, lasciò Bakar con la madre Marija e la moglie Darja alla volta di Portorose, dove aprì un ristorante. Il Tomi divenne ben presto molto noto nella zona, raccogliendo il favore di numerosi clienti per oltre trent’anni.
La nuova generazione
La stella va al ristorante COB di Filip non solo grazie alla bontà dei suoi piatti, ma anche per la sua capacità di reinterpretare la tradizione pensando fuori dal coro. Pur non avendo mai frequentato una scuola di cucina, prima di intraprendere l’avventura del COB si è guadagnato i gradi sul campo, al Tomi e, successivamente, in diverse cucine stellate nel mondo. Membro della squadra slovena di cucina juniores, ha vinto più volte i Mondiali e le Olimpiadi di cucina e si è classificato terzo al premio per i giovani chef IGCAT i Barcellona nel 2017, diventando rappresentante della Regione Gastronomica Slovena nel 2021. «Sono davvero felice per questo traguardo, lo vedo come un invito a dare sempre meglio. Non mi sono mai lasciato intimorire dalle novità, dalle sfide, credo che ci rafforzino. La cucina è una tavolozza che offre possibilità infinite per dipingere il futuro. Voglio valorizzare il patrimonio culturale del mio Paese, creando esperienze gastronomiche indimenticabili a partire dai prodotti locali».
Il giudizio degli ispettori Michelin “COB è l’acronimo di Cooking
Outside the Box, ovvero: cucinare oltre gli schemi, raccontando le tradizioni gastronomiche istriane reinterpretate in chiave creativa e fantasiosa. Ubicato nella parte alta di Portorose, questo ristorante offre una vista meravigliosa sulla baia di Pirano, mentre gli interni si fondono in un design moderno-minimalista dove, tuttavia, trova posto una stufa a legna di 100 anni. In cucina lo chef Filip, dopo numerose esperienze presso importanti ristoranti europei, elabora piatti dai sapori istriani ricchi di originalità e personalizzazioni. Due i percorsi proposti: da 8 o 15 portate. Per destreggiarvi e scegliere al meglio nell’articolata selezione enoica, vi consigliamo di affidarvi a Patrik, fratello di Filip”
Prodotti tipici sloveni, un nuovo punto di vista
«Al COB si può imparare a conoscere
la cucina slovena in un modo divertente, interattivo e del tutto nuovo nel panorama attuale» racconta lo chef Matjaž «Un’esperienza unica che scaturisce dalle emozioni dell’ospite e si realizza attraverso tutte le fasi della ristorazione: il servizio in sala, la cucina, la scelta delle bevande, l’ambiente…».
Il menu A taste of COB, ad esempio, contiene 8 esperienze culinarie da consumarsi in circa due ore, un vero e proprio tour nel territorio sloveno raccontato attraverso piatti di carne, di pesce e vegetariani. Le ore diventano 4 e le portate 15 per la COB Full Experience. La COB Experience 2.0 si concentra invece sulle località turistiche della costa più amate e conosciute della Slovenia, celebrate da 9 piatti. I prezzi vanno dai 95 euro a persona per il menù da 6 portate sino a 150 euro a persona per quello da 15.
>> Link: cob.si
Metti una giornata a Carloforte. Metti che arrivi di prima mattina sull’isola, partendo da Calasetta o da Portoscuso, e già sul traghetto la sensazione è di vacanza, di andare in un altro continente. È così in un certo senso. Perché Carloforte è, sotto molti aspetti, un’isola nell’isola. Non è tanto la distanza dalla Sardegna, che si può raggiungere in mezz’ora circa di navigazione. È la gente, la cultura, la storia, la parlata
che ne fanno un luogo esotico, tutto da scoprire.
L’ideale per girarla è senz’altro il motorino: permette in ogni stagione di godere delle qualità ambientali uniche del territorio, di curiosare nel centro urbano e poi di raggiungere spiagge e calette, comprese le più nascoste. Allo stesso modo, consente di inoltrarsi verso l’interno, nei punti più alti, per godere di una vista mozzafiato a 360 gradi sul mare. Dallo
storico fortino di Guardia Mori, oggi punto di avvistamento incendi della Forestale, si può scorgere la tonnara che di Carloforte rappresenta l’apice della cultura industriale e ittica allo stesso tempo: il tempio del pesce locale per eccellenza a cui sono dedicati spazi in mare e sulla terra. Un ambiente che per secoli ha fatto da scenario alla storia di generazioni di carlofortini, segnandone ritmi di vita e di lavoro.
La costa dell’isola di San Pietro è caratterizzata da un’alternanza di calette sabbiose protette da alte scogliere mentre l’entroterra, ricoperto da una fitta macchia mediterranea, ospita un unico centro abitato, Carloforte, fondato nel 1736 durante il regno di Carlo Emanuele III da una colonia di pescatori liguri, le cui origini sopravvivono nel dialetto, nei costumi e nell’urbanistica stessa del paese.
Urbanistica, accento, tradizioni, usi e costumi locali poco hanno a che fare con la Sardegna. Ed è anche a tavola che si denotano le specificità. Chi penserà di trovare a Carloforte la cucina tipica sarda con maialetto, sebadas e pecorino, rimarrà deluso o sorpreso da piatti completamente inediti per il resto della regione, fortemente legati alla cultura del tonno o alla tradizione genovese, che ha lasciato qui un’impronta indelebile. I piatti di Carloforte non sono semplicemente gustosi o di pregio, hanno dalla loro, il fatto di essere unici. D’altronde, Carloforte nasce a seguito dell’insediamento di un nucleo di tabarchini nel 1738,
trasferitisi in Sardegna, su invito di Carlo Emanuele III di Savoia e a loro volta originariamente provenienti dalla comunità ligure di Pegli. Qui i tabarchini costruirono la città e urbanizzarono l’isola trasferendo, come era ovvio che fosse, cultura, costumi e tradizioni che tuttora si rinnovano e vengono tramandate di generazione in generazione. A tavola più che mai.
Compare in cima alle specialità il pestu, utilizzato per condire formati di pasta che nulla hanno a che vedere con quella tipica sarda. Tra questi, le trofiétte, ma anche il cascà, il cous cous carlofortino. Tra i primi, meritano una menzione anche i pansotti,
Per chi non avesse la possibilità — e la fortuna — di recarsi a Carloforte, BONVERRE — azienda che è riuscita a racchiudere in un vaso la raffinata arte della ristorazione italiana — propone, accanto a tante altre ricette più o meno storiche ma sicuramente “rappresentative” e realizzate gli chef più noti del nostro panorama gastronomico, il Nero di Vittorio in barattolo, condimento pronto conservato sottovuoto a base di nero di seppia, tonno, scampi e pesto realizzato su ricetta dello chef Luca Poma del ristorante Da Vittorio. Luca porta avanti la tradizione della famiglia Poma e di questo condimento che da oltre 40 anni accompagna i celebri spaghetti, simbolo del locale, fiero delle proprie origini e fiero di diffonderle fuori dai confini sardi.
>> Link: bonverre.it
i ravioli e le paste semplici come i maccaruin, che un tempo venivano serviti in occasione delle feste nuziali, o lo scucuzù, un formato corto, dalla forma cilindrica, impiegato soprattutto nei minestroni di ceci e fagioli o nel pilau, una zuppa di crostacei. Ma forse è nel pastissu, in tabarchino “pasticcio”, che la tradizione isolana nei primi piatti manifesta il suo apice. In questa pietanza tre formati quali i casulli, una sorta di gnocchetti caserecci, i curzétti, l’equivalente delle orecchiette, e i macaruin si uniscono nella stessa cottura, per trovare poi la “morte” in un ricchissimo condimento a base di pesto e sugo con tonno.
A Carloforte non si può perdere l’occasione di gustare la cassola, una zuppa di pesce non pregiato, di molluschi e qualche crostaceo uniti a pomodoro, prezzemolo e aglio, ma anche acciughe, polpo e stoccafisso. Anche la bòbba, una tradizionale minestra tabarchina a base di fave, fa parte del tipico menu locale. Piatto dei poveri per lungo tempo, è stato riabilitato, al pari della cappunadda, a base di gallette e di salumi di tonno che oggi tutti i ristoratori propongono come antipasto.
Le influenze liguri sono evidenti in una specialità tipica locale come la fainò — la farinata — a base di ceci, acqua e olio, cotta al forno, ottima come street food e non solo. Il pane dei marinai è un pane tondo biscottato, la galletta, preparata con farina, acqua, sale, lievito e strutto. Dalla simpatica forma tondeggiante è alta e spessa e ha una shelf-life di
diversi mesi. È consumata da sola oppure rammollita a pezzi, unita a pomodori, facussa e tonno, tutto condito con olio, aceto, pepe e basilico. La facussa carlofortina è un cetriolo sottile, allungato (30 centimetri circa), incurvato e ritorto tipico del Maghreb, i cui semi furono portati a Carloforte da coloni tabarchini.
Altri piatti tipici sono il purpu accummudau cue patatte (polpo in guazzetto con patate) e lo stoccafisso alla tabarchina, anche questo alternativamente chiamato stoccafisso accomodato, che, al pari del polpo, si prepara con patate, acciughe, cipolle, carote, sedano, olive, pinoli e pomodori. Sono di espressione ligure dolci tradizionali come i giggeri e i canestrelli, questi ultimi realizzati con un impasto di farina, strutto, zucchero, tuorlo d’uova, lievito e vanillina. Anche i canestrelli, come le gallette, durano nel tempo e si consumano usualmente bagnati nel vino o nel moscato. Lo stesso impasto viene impiegato anche per dolci della tradizione come quelli della Domenica delle Palme, per la Pasqua, Ognissanti e Natale.
Sua maestà il tonno
Il tonno, dicevamo, è senza dubbio il re della cucina locale, sebbene la pesca sia oggi fortemente limitata dalla normativa europea sulle quote di prelievo, che riserva a Carloforte
solo modeste quantità. La mattanza, come è noto, avviene tra maggio e giugno, ma poi c’è un anno intero per conservare e consumare ogni parte di quello che viene considerato il maiale del mare. Del maiale non si butta via niente e la cucina carlofortina conferma quel concetto dimostrando che è tutt’altro che un semplice e infondato detto trito e ritrito. Qui infatti, del tonno si utilizza tutto e non solo le cosiddette parti nobili. Se ne consuma l’esofago (i gurezi), lo stomaco (o belu), i musciame (filetto), il lattume o sperma (il figatellu), i ritagli (la buzzonaglia), il sottogola (u barbasallu), il frontale (u fruntole) e molto altro.
Non è difficile trovare a Carloforte un locale con discreta cucina tipica, spesso anche con un ottimo rapporto qualità/prezzo. Chi però volesse assaporare i più classici piatti della tradizione isolana troverà Da Vittorio piena soddisfazione (telefono: 0781 855200, www.facebook. com/ristorantecarloforte). Questo ristorante-gastronomia, sito nella parte orientale del lungomare, in corso Battellieri, offre un ampio menu ricco di specialità disponibili anche d’asporto e propone di volta in volta piatti tipici meno noti, ma dall’indubbio gusto.
Un esempio per tutti è il belu di tonno, in cima all’elenco dei piatti della casa. Dal sapore deciso, è
cucinato come tradizione vuole: con patate, cipolle, pomodori e vino bianco secco. Lo stomaco del tonno — di questo si tratta infatti —, è una delle parti più prelibate e ricercate del re del mare sulcitano. Si può ovviamente trovare e consumare fresco oppure conservare dopo l’essiccazione e la salagione.
Il periodo migliore per gustarlo è l’inizio dell’autunno. Nel caso in cui sia essiccato, la sua preparazione dura a lungo perché è necessario metterlo in acqua la sera prima della cottura, in modo che riacquisti corpo. Ma anche una volta in pentola, il belu non è un piatto veloce, né è adatto a chi ha fretta di sedersi a tavola. La carne va infatti tagliata, fatta lessare, condita e lasciata nuovamente riposare.
A dispetto degli innumerevoli piatti tipici che questo ristorante propone, quello che l’ha reso famoso sono gli Spaghetti al nero di Vittorio, una prelibatezza dove tradizione e creatività si incontrano per portare a tavola un primo inedito e pregiato, che racchiude in sé il meglio del mare sulcitano. Ideati ormai diversi decenni fa, prendono anche il nome di Spaghetti alla Bettega in onore del noto centravanti della Juventus. Oggi Vittorio porta avanti con il supporto dei due figli il ristorante che avviò a metà degli anni ‘70. E seppur tiene rigorosamente fede alla cucina locale, ammette spesso e volentieri digressioni con nuovi piatti dove la fantasia possa trovare sfogo. D’altronde se così non fosse stato, non sarebbero mai nati quegli spaghetti e che si possono considerare, in certo qual modo, la versione più evoluta del pasticcio carlofortino. Il loro sugo nasce infatti da un combinazione di cinque condimenti tipici: ragù di tonno, pesto, sugo di crostacei, ragù di vongole e nero di seppia, sfumati con brandy e vino bianco. Un mix complesso e perfetto che può sembrar facile riprodurre nella cucina di casa, ma che richiede in realtà l’occhio attento e la sensibilità di chi sta ai fornelli. Non ci sono dosaggi o regole, c’è soprattutto il genio di uno chef che ha già fatto la storia della cucina sull’isola di San Pietro.
Sebastiano CoronaLa diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere 2023 ha festeggiato un risultato oltre le aspettative, con un successo di partecipazione e una crescita in qualità e quantità che stacca di netto l’edizione del 2022. Il salone, organizzato in collaborazione con ADM – Associazione Distribuzione Moderna e con il patrocinio della
Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio di Bologna, si è confermato appuntamento irrinunciabile per tutti coloro che si occupano di marca del distributore: insegne, aziende, buyer, operatori, hanno vissuto due giorni intensi di business di qualità e aggiornamento su tutte le novità del settore.
Sono oltre 17.000, il 40% in più rispetto alla precedente edizione, gli operatori e i visitatori che hanno affollato i sei padiglioni e i 23.000 m2 espositivi netti (+15% sul 2022). Segno più anche per gli espositori, oltre 900 aziende (+10%) — oltre 2.500 brand — protagonisti di un enorme investimento qualitativo sui propri
A Bologna va in scena la 19a edizione dell’unica manifestazione italiana dedicata alla marca commerciale. Oltre 17.000 qualificati operatori in visita, +40% sulla precedente edizione. Cresce l’investimento di insegne ed espositori in qualità e quantità. Boom di presenze internazionali. Appuntamento al 16 e 17 gennaio 2024Marco e Giacomo Fabbri di FABO S.I. Srl, società che vanta un’esperienza quasi trentennale nelle consulenze per finanziamenti a fondo perduto nel settore agroalimentare e ittico.
leader
produzione di vongole veraci e cozze. Da sinistra: Luca Mangolini, Claudia Scarpa, il presidente Massimo Genari e Paola Gianella. 3) Flavia Melis, referente marketing di Aquolina, la linea di prodotti di Finpesca Srl gustosi e pronti da preparare in pochi minuti. 4) Ludovica Lococo e Titti D’Onghia del Gruppo Del Pesce, tra i principali operatori italiani del settore dell’acquacoltura, con impianti a mare ubicati in diverse regioni italiane.
stand, a conferma dell’importanza che ricopre questa manifestazione. In crescita anche le insegne della Distribuzione Moderna: sono 22 (4 in più rispetto alla precedente edizione) e rappresentano i più importanti retailer del Paese. Queste 22 insegne, che partecipano al comitato tecnico scientifico di Marca by BolognaFiere, hanno esposto in occasione dell’edizione 2023 della manifestazione, per presentare a livello internazionale tutti i propri prodotti novità a marchio del distributore. La vetrina delle insegne si è riempita di prodotti food e non food di grande interesse e varietà, molti dei quali legati a momenti di consumo come la colazione e l’aperitivo.
Altissima, infine, la partecipazione istituzionale registrata in fiera, a partire dal convegno inaugurale organizzato da ADM, Marca by BolognaFiere e The European House-Ambrosetti, in collaborazione con IPSOS e IRI, al quale hanno partecipato il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle
Foreste, FRANCESCO LOLLOBRIGIDA, il viceministro alle Imprese e Made in Italy, VALENTINO VALENTINI (in videocollegamento), e il presidente della Regione Emilia-Romagna, STEFANO BONACCINI. In questa sede sono stati presentati l’ultimo position paper di The European House-Ambrosetti, una ricerca di IPSOS sul clima sociale ed economico e il XIX Rapporto Marca by BolognaFiere, l’annuale fotografia del ruolo della MDD scattata da IRI. A conclusione del convegno, il Ministro Lollobrigida ha voluto trattenersi a lungo tra i corridoi dei padiglioni per visitare Marca by BolognaFiere e per incontrare aziende, produttori e operatori del settore.
Migliaia di operatori hanno partecipato poi al programma scientifico della manifestazione, che ha offerto l’occasione di aggiornarsi a convegni, presentazioni di dati sul mercato, workshop e incontri specializzati su tutto ciò che riguarda la MDD. Tra gli appuntamenti, la presentazione dell’ Osservatorio Packaging del
largo consumo di NOMISMA e molto partecipato l’evento “Il Bio nella Distribuzione Moderna Italiana: scenario evolutivo, performance, ruolo, spazi di mercato”, organizzato da AssoBio nell’ambito della campagna Being Organic in EU promossa da FEDERBIO e NATURLAND e cofinanziata dalla UE, a riprova del grande interesse che continua a suscitare il comparto del biologico per la Grande Distribuzione.
«La Marca del Distributore si è costruita nel tempo una forte reputazione nel segmento biologico conquistando la fiducia del consumatore grazie a un’attenta attività di selezione e controllo dei copacker e, soprattutto, grazie alla creazione di assortimenti profondi e coerenti alle esigenze del consumatore, con grande capacità di offrire sostenibilità a 360° anche in relazione al packaging dei prodotti. La Grande Distribuzione ha oggi un ruolo decisivo per promuovere azioni di educazione alimentare nei confronti del consumatore, per trasferire in modo chiaro
le informazioni, on pack e sul punto vendita, sulla distintività dei prodotti biologici e sul contributo attivo alla sostenibilità», ha dichiarato Silvia Zucconi, responsabile Market Intelligence NOMISMA
Molto interesse, infine, anche per il premio ADI Packaging Design Award, pensato per valorizzare i prodotti più innovativi del comparto del packaging italiano. Un riconoscimento che non va solo alla materialità dell’imballaggio, ma anche gli aspetti immateriali riguardanti il processo produttivo, industriale ed estetico, facendo dell’innovazione e della ricerca i fili conduttori della selezione. «Marca by BolognaFiere è la prima manifestazione dell’anno sia per la fiera di Bologna che in generale per il panorama fieristico» afferma Gianpiero Calzolari, presidente di BolognaFiere. «Si tratta di un evento che ha ormai acquisito un’importanza significativa, è il primo strategico appuntamento dove gli operatori si incontrano per pianificare il programma di lavoro dell’anno appena
iniziato. Parliamo di un settore sul quale c’è un’attenzione particolare e che si trova all’interno di una congiuntura difficile: anche per questo siamo particolarmente orgogliosi di mettere a disposizione una sede autorevole per favorire l’incrocio tra domanda e offerta.
Nonostante il momento di difficoltà, abbiamo trovato conferma della grande volontà degli imprenditori di presentarsi e di mettere a disposizione prodotti innovativi e risultati delle ricerche nella nostra manifestazione. Siamo davvero
orgogliosi per i risultati raggiunti da questa edizione: abbiamo visto padiglioni affollati da migliaia di operatori, convegni partecipati oltre le aspettative, centinaia e centinaia di incontri di business, un numero altissimo di prodotti e aziende in vetrina, l’eccellenza del made in Italy sia food che non food. Grazie ad ADM, storico partner nell’organizzazione della fiera, grazie a ICE che ci affianca nella spinta all’internazionalizzazione e alla crescita, e grazie a tutti gli operatori, alle insegne e alle aziende che hanno colto l’occasione
La business community del comparto ha avuto modo di visitare i 6 padiglioni (uno in più rispetto all’edizione 2022), per un’offerta complessiva di circa 23.000 m2 di area espositiva netta. Numeri ad ulteriore riprova della crescita che la marca privata sta registrando nelle scelte dei consumatori in Italia e in Europa
per raggiungere questo successo e che anche in questo momento particolare e difficile hanno voluto esserci e investire sul futuro».
«Marca 2023 si è confermata un appuntamento importante per il nostro settore economico — commenta Marco Pedroni, presidente di ADM — un’occasione di confronto diretto fra tutti gli attori interessati. Questa
edizione ha poi ottenuto un significativo riconoscimento nazionale. La presenza del Ministro Francesco Lollobrigida e di altri rappresentanti del Governo ha ovviamente generato un di più di attenzione. Per ADM è stata l’occasione per ribadire il ruolo centrale che la Distribuzione Moderna svolge, tanto più in una fase come l’attuale piena di
incertezza a causa delle dinamiche inflattive, dell’approvvigionamento delle materie prime e dello scenario internazionale». Già fissate le date per la prossima edizione di Marca by BolognaFiere: appuntamento al quartiere fieristico di Bologna il 16 e 17 gennaio 2024.
>> Link: www.marca.bolognafiere.it
I ricercatori del CNR-IRBIM dimostrano l’elevata sopravvivenza
della vongola (Chamelea gallina) dopo le operazioni di pesca
di Giada Bargione, Giulio Barone, Sara Fabbri, Massimo Virgili, Alessandro Lucchetti
La vongola o lupino ( Chamelea gallina; Figura 1) è un mollusco bivalve che vive infossato nei primi centimetri di sedimento in fondali sabbiosi e sabbio-fangosi, a profondità comprese tra 1 e 18 metri, fino ad una distanza dalla costa di 1-2 km, a seconda delle zone. Il lupino è anche una delle specie target
più importanti nel panorama della pesca commerciale italiana. Infatti, la vongola rappresenta la seconda specie più sbarcata in Italia dopo l’alice ( Engraulis encrasicolus ) e negli ultimi anni ha superato le 20.000 tonnellate di produzione, con un ricavo alla prima vendita superiore ai 46 milioni di euro su
scala annuale. C. gallina è inoltre una delle poche specie esportate in quantità importanti dall’Italia.
Attualmente in Italia la vongola è prevalentemente diffusa lungo le coste dell’Adriatico centro-settentrionale (Marche, Emilia-Romagna e Veneto), mentre quantitativi ridotti sono pescati nella parte meridio-
nale del bacino (Puglia). Catture molto modeste provengono dal Mar Tirreno (Lazio e Campania).
La risorsa è pescata per mezzo di draghe idrauliche note come “vongolare” che operano entro una fascia costiera molto ristretta tra 0.3 e 2 miglia nautiche dalla costa (Figura 2). Durante la fase di pesca la vongolara si muove a ritroso poiché la draga, che consiste in una gabbia metallica, è posta a prua dell’imbarcazione.
Al termine delle operazioni di pesca il contenuto della draga viene svuotato nel vascone di raccolta e convogliato al vibrovaglio meccanico posto a bordo delle imbarcazioni per la selezione delle vongole di taglia commerciale. Le vongole di piccola taglia, e quindi non vendibili, insieme alle catture accessorie, ovvero nontarget di pesca (granchi, stelle di mare, ricci, ecc…), tornano subito in mare tramite il tubo di scarico.
La gestione della risorsa vongola in Italia è affidata ai Consorzi di Gestione dei Molluschi (Co.Ge.Mo.), istituiti ai sensi del Decreto Ministeriale 44/1995, i quali applicano le norme generali stabilite a livello europeo e nazionale (dalla Direzione Generale per la Pesca e l’Acquacoltura – già Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) adottando misure gestionali ad hoc (regolazione
dello sforzo di pesca, rotazione delle aree di pesca, semina, ridistribuzione della risorsa, ecc…).
Dal 2017 la taglia minima di sbarco della vongola è pari a 22 mm [Regolamento Delegato (UE) 2016/2376, Regolamento (UE) 2020/3 e Regolamento (UE) 2020/2237], in deroga alla precedente taglia di 25 mm (Regolamento CE 1967/2006). Un altro regolamento comunitario, ovvero il Regolamento (UE) 1380/2013, sancisce l’obbligo di sbarcare tutti gli esemplari al di sotto della taglia commerciale ; tuttavia, esso non si applica “alle specie per le quali le prove scientifiche dimostrano elevati tassi di sopravvivenza, tenendo conto delle caratteristiche degli attrezzi, delle pratiche di pesca e dell’ecosistema”. In tali casi, i pescatori sono tenuti a rigettare in mare gli esemplari sotto-taglia immediatamente dopo le operazioni di pesca e, nel caso delle draghe idrauliche, al termine della vagliatura.
Per questo motivo, il CNRIRBIM di Ancona e il suo team di ricercatori del settore pesca hanno voluto investigare, per mezzo di esperimenti condotti in vasche di laboratorio e in gabbie a mare, la sopravvivenza degli individui di vongola a seguito del rigetto in
mare al termine delle operazioni di pesca.
Per condurre la sperimentazione in condizioni di cattività, in uno dei laboratori del CNR-IRBIM di Ancona i ricercatori hanno installato delle vasche (da sperimentazione e di raccolta) con un sistema di circolazione dell’acqua a circuito chiuso (Figura 3). All’interno delle vasche sono state riprodotte le condizioni ambientali dell’habitat di prelievo del campione di vongola, impostando i valori di temperatura dell’acqua e salinità secondo quanto rilevato in mare dai ricercatori.
All’interno della vasca sperimentale, suddivisa in 9 compartimenti riempiti con circa 7 cm di sedimento sabbioso, sono state introdotte 135 vongole collezionate a bordo di un peschereccio commerciale al termine del processo di vagliatura. Le vongole sono state suddivise in 3 classi di taglia (piccole: 19.0-21.9 mm, medie: 22.0-24.9 mm e grandi: 25.027.9 mm) e, all’interno di ciascun divisorio, sono state posizionate 15 vongole suddivise in 3 repliche per ciascuna delle tre classi di taglia. Le vongole sono state monitorate per 21 giorni e alimentate giornalmente con un gel di micro-alghe. Grazie al posizionamento di due fotocamere Go-pro all’esterno della vasca, nelle
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24H successive al loro posizionamento è stato possibile valutare la capacità delle vongole di affossarsi nel sedimento.
I risultati dell’esperimento sull’affossamento della vongola condotto dai ricercatori del CNRIRBIM di Ancona hanno mostrato che entro 21 ore tutte le vongole si erano affossate nella sabbia indipen-
dentemente dalla taglia. In particolare, metà delle vongole si è affossata in circa 4 ore, mentre la quasi totalità (90%) in quasi 8 ore.
Test statistici hanno evidenziato però una differenza significativa nel tempo di affossamento tra individui di classe di taglia differente. In particolare, tale differenza è risultata tra gli individui di taglia media e
piccola e tra quelli di taglia media e grande, ma non tra le piccole e le grandi (Figura 4).
Le vongole di taglia media sono risultate essere le più rapide nel processo di affossamento (metà delle vongole si erano affossate in circa 3 ore, mentre il 90% in quasi 6 ore) rispetto a quelle di piccole e grandi dimensioni (50% delle vongole affossate in 4.8 e 4.1 ore e 90% delle vongole affossate in 9.4 e 8.4 ore, rispettivamente).
Tali differenze nel tempo di affossamento — spiegano i ricercatori — possono essere dovute all’accumulo di differenti riserve di energia tra individui di diversa dimensione. In precedenti studi, infatti, altri ricercatori hanno evidenziato che, per unità di volume, le vongole più grandi immagazzinano maggiore energia mentre le vongole più piccole consumano maggiore energia (MOSCHINO & MARIN, 2006).
In linea teorica, sebbene le vongole più grandi dovrebbero affossarsi nella sabbia più velocemente grazie al maggior quantitativo di riserve energetiche accumulate, esse hanno anche una superficie più ampia da riseppellire, al contrario degli esemplari più piccoli i quali però immagazzinano meno energia per unità di volume.
Queste considerazioni — continuano i ricercatori — potrebbero spiegare l’assenza di un tempo di
affossamento significativamente diverso osservato tra le vongole grandi (25.0-27.9 mm) e le vongole piccole (19.0-21.9 mm). Inoltre, aggiungono che i risultati ottenuti hanno suggerito che le vongole di medie dimensioni (22.0-24.9 mm), che si sono affossate più rapidamente delle vongole appartenenti alle altre due classi di taglia, potrebbero raggiungere un miglior compromesso nel tempo di affossamento in virtù della dimensione della superficie da riseppellire e dell’energia immagazzinata per unità di volume.
Successivamente, per testare la sopravvivenza della vongola in mare, i ricercatori del CNR-IRBIM hanno installato due gabbie metalliche sul sedimento a una profondità di ca. 1 metro (Figura 5A e 5B). Un totale di 320 vongole, egualmente distribuite tra taglia commerciale e non, e prelevate ad una profondità di ca. 3 m in una comune area di pesca al termine del processo di vagliatura, sono state posizionate all’interno di ciascuna gabbia. Le vongole sono
state lasciate all’interno delle gabbie per 15 giorni e, al termine dell’esperimento, il team di ricercatori ha analizzato il numero di individui sopravvissuti.
I tassi di sopravvivenza della vongola si sono mostrati elevati sia in condizioni di laboratorio (media 94.8%) che in mare (media 96.2%), indipendentemente dal tipo di esperimento condotto (in mare o in vasca) e dalla taglia della vongola. Ciò contrariamente però ad altri studi — illustrano i ricercatori — che avevano evidenziato una mortalità più elevata per gli individui di vongola più piccoli (BROADHURST et al., 2006; UHLMANN & BROADHURST, 2015).
Nelle vasche sperimentali un totale di 7 su 135 individui sono morti (2 sotto-taglia e 5 sopra-taglia) durante la sperimentazione. Le vongole morte erano riaffi orate sulla superfi cie del sedimento e trovate con le valve completamente aperte. Gli eventi di mortalità erano stati registrati tra il 4o e 10o giorno, non mostrando
inoltre alcuna relazione con la taglia (Figura 6).
I ricercatori sottolineano che sebbene alcuni studi abbiano messo in luce una maggiore probabilità di morte degli individui sottoposti a condizioni di cattività, dovuta a stress, subito dopo il posizionamento in vasca o verso la fine dell’esperimento, a causa del contenimento (ICES, 2015), la mortalità delle vongole da loro osservata non era correlata ad alcun periodo particolare. Per cui — affermano i ricercatori — nello studio condotto né il processo di raccolta e setacciatura né la cattività in vasca hanno indotto una mortalità significativa, suggerendo che altri fattori (ad esempio, malattie, parassiti) potrebbero aver causato la morte di esemplari più deboli o meno sani.
Nelle gabbie in mare, invece, al termine dei 15 giorni di sperimentazione un totale di 12 su 320 individui (4 sotto-taglia e 8 soprataglia) sono morti, ancora una volta non mostrando alcuna relazione in
la sopravvivenza della vongola in mare, i ricercatori del CNR-IRBIM hanno installato due gabbie metalliche sul sedimento a una profondità di ca. 1 metro. Un totale di 320 vongole, egualmente distribuite tra taglia commerciale e non, e prelevate ad una profondità di ca. 3 m in una comune area di pesca al termine del processo di vagliatura, sono state posizionate all’interno di ciascuna gabbia. Le vongole sono state lasciate all’interno delle gabbie per 15 giorni e al termine dell’esperimento il team di ricercatori ha analizzato il numero di individui sopravvissuti.
funzione della taglia. Se pur altri autori (BREEN et al., 2007) abbiano raccomandato di monitorare, durante la fase di cattività in mare, alcuni parametri ambientali chiave — proseguono i ricercatori — quali profondità, temperatura e salinità, l’elevato tasso di sopravvivenza osservato per le vongole ha permesso di suggerire che la leggera differenza di profondità (1-1.5 m) tra il sito di campionamento e quello del posizionamento delle gabbie non ha influenzato la sopravvivenza delle vongole stesse.
Lo studio sulla sopravvivenza della vongola in condizioni di laboratorio all’interno di vasche sperimentali, condotto dal team di ricercatori dell’IRBIM-CNR di Ancona, rappresenta il primo studio
in assoluto, a livello Mediterraneo, in cui i ricercatori hanno cercato di ricreare l’habitat naturale della vongola. Infatti — afferma il team — il simile tasso di mortalità della vongola osservato in laboratorio e in campo ha dimostrato la loro capacità di aver ricreato al meglio le condizioni ambientali naturali dell’habitat della vongola.
I ricercatori inoltre riportano che un precedente studio condotto da altri autori in nord Adriatico sulla mortalità della vongola, in cui erano state considerate come morte le sole vongole gravemente danneggiate in seguito a dragaggio idraulico, aveva già osservato un potenziale elevato di sopravvivenza per gli individui della specie. La pressione idraulica sperimentata, però, era 1.4 volte superiore rispetto a quella consentita per legge di 1.8 bar, e in quel caso era stata stimata una sopravvivenza media dell’80% (MOSCHINO et al., 2008), facendo quindi supporre tassi di sopravvivenza ancor più elevati se fosse stata utilizzata la pressione regolamentare.
Complessivamente, i risultati precedenti e quelli ottenuti nel presente studio avvalorano l’ipotesi che
la vongola sia una specie ad elevato tasso di sopravvivenza in seguito al rigetto in mare degli individui al termine delle operazioni di pesca. In particolare lo studio qui riportato ha certificato che:
• in assenza di predazione tutti gli individui sono in grado di affossarsi nel sedimento, se pur in tempi differenti in funzione della taglia;
• la quasi totalità delle vongole che ha subito il processo di pesca sopravvive quando viene rigettata in mare indipendentemente dalla taglia.
In conclusione, le linee guida previste dal Regolamento (EU) 2020/2237, che prevedono l’obbligo di rilascio immediato del prodotto sotto-taglia al termine delle operazioni di pesca, sono state confermate come valide poiché la maggior parte degli individui pescati e poi rigettati in mare sono in grado di sopravvivere e raggiungere successivamente la taglia commerciale.
Giada Bargione
Giulio Barone
Sara Fabbri Massimo Virgili Alessandro LucchettiSebbene alcuni aspetti della riproduzione del più affascinante predatore marino, lo squalo bianco (Carcharodon carcharias), restino ancora ignoti, nel corso degli anni le ricerche su questa specie hanno permesso di portare alla luce una notevole quantità di informazioni. Passiamole in rassegna in sintesi. Nel maschio dello squalo bianco i testicoli sono posti nella parte anteriore della cavità corporea, dorsalmente al fegato. Nei maschi immaturi i testicoli sono una massa incospicua, mentre negli esemplari maturi sono grandi ed allungati. Gli spermatozoi vengono prodotti nei
tubuli seminiferi all’interno dei testicoli e convogliati attraverso i dotti efferenti in due epididimi dalla forma contorta posti lungo la colonna vertebrale su entrambi i lati dell’aorta dorsale. Posteriormente l’epididimo passa nel dotto deferente.
Lo sperma è racchiuso in pacchetti protettivi detti spermatofore, contenenti un elevatissimo numero di spermatozoi. La funzione delle spermatofore è di proteggere lo sperma e di prevenirne la perdita per dispersione nell’acqua durante l’accoppiamento. Il dotto deferente è sede di immagazzinamento delle spermatofore.
Nei maschi sessualmente immaturi i dotti deferenti sono due tubi dritti sulla superficie ventrale dei reni; nei maschi maturi la parte anteriore dei dotti deferenti è assai contorta, mentre la parte posteriore è dritta e si amplia per formare le vescicole seminali. L’estremità posteriore delle vescicole seminali forma le sacche spermatiche e le due sacche spermatiche si uniscono posteriormente per formare il seno urogenitale, una cavità racchiusa da una struttura conica, la papilla urogenitale, che si apre nella cloaca.
Lo squalo bianco maschio è dotato di due pterigopodi, organi
copulatori tubiformi che si originano dal margine mediale delle pinne pelviche. La presenza o assenza degli pterigopodi permette l’immediato riconoscimento del sesso di uno squalo bianco. Solitamente gli pterigopodi sono visibili anche quando si osserva lo squalo da un’imbarcazione, specialmente nel caso di maschi adulti, nei quali gli pterigopodi, lunghi e rigidi, risultano specialmente visibili nel momento in cui lo squalo flette il corpo per cambiare direzione.
Il miglior indicatore della maturità sessuale maschile è ottenibile dall’esame degli pterigopodi, osservandone la robustezza, il grado di calcificazione e la presenza di uno sperone retrattile. Durante l’accoppiamento uno degli pterigopodi viene girato in avanti e inserito nella cloaca della femmina. Le spermatofore sono spinte dalla cloaca del maschio attraverso gli pterigopodi e fuori da questi dentro alla femmina per mezzo di una corrente d’acqua prodotta per contrazione di organi detti sacchi sifone.
Nelle femmine di squalo bianco l’ovaia destra è solitamente ben sviluppata, mentre l’ovaia sinistra è vestigiale. L’ovaia è visibile all’estremità anteriore della cavità corporea dorsalmente al fegato.
Nelle femmine sessualmente immature l’ovaia è piccola e liscia, mentre nelle femmine mature è grande e presenta delle protuberanze arrotondate costituite dalle uova in via di sviluppo. Ogni uovo è circondato da uno strato di cellule nutritive detto follicolo. Quando un uovo è maturo, viene rilasciato nel celoma per rottura del follicolo e passa attraverso l’ostio, l’apertura dell’ovidotto. L’ostio si biforca negli ovidotti destro e sinistro.
La ghiandola nidamentale è un’espansione della parte anteriore di ogni ovidotto, che secerne una membrana che riveste le uova nel momento in cui attraversano l’ovidotto. Essa rappresenta anche il sito di immagazzinamento dello sperma e della fecondazione. Si ipotizza che la femmina di squalo bianco non sia in grado di immagazzinare lo sperma per lunghi periodi come osservato
In alto: gli pterigopodi, organi copulatori del maschio, sono situati alla base delle pinne pelviche. In questo individuo sessualmente maturo si presentano robusti, ben calcificati e con uno sperone retrattile all’apice. In basso: le cicatrici d’accoppiamento, risultato dei morsi d’amore dati dal maschio, sono ben visibili su questa femmina sessualmente matura. Solitamente si tratta di morsi leggeri che non causano danni effettivi.
in altre specie di squali. L’estremità posteriore di ogni ovidotto si allarga a formare l’utero, dove gli embrioni si sviluppano. I due uteri si uniscono posteriormente a formare la vagina, che si apre nella cloaca.
I migliori indicatori della maturità sessuale femminile sono la presenza di uova ben sviluppate ricche di vitello nell’ovaia, l’ingrossamento dell’ovidotto e il suo distaccamento dalla parete corporea. Le femmine che hanno già avuto una gravidanza
presentano l’ovidotto ingrossato, con la ghiandola nidamentale ingrossata e gli uteri ben sviluppati.
Gli squali hanno sviluppato una strategia riproduttiva diversa rispetto ai pesci ossei, in quanto producono i loro piccoli in numero relativamente basso per figliata, praticamente morfologicamente identici all’adulto e completamente indipendenti sin dalla nascita.
Gli squali bianchi appena nati possono quindi procacciarsi il cibo
senza che vi sia alcun tipo di cura parentale.
L’età massima dello squalo bianco è stata stimata pari a 73 anni. Lo squalo bianco maschio raggiunge la maturità sessuale a un età di 9-10 anni, quando misura da 350 a 410 cm di lunghezza. La femmina raggiunge la maturità sessuale a un età di 1214 anni, quando misura tra 400 e 500 cm di lunghezza. Le femmine raggiungono quindi la maturità sessuale a dimensioni ed età maggiori rispetto ai maschi. Talora le femmine in età riproduttiva possono presentare una corporatura incredibilmente massiccia, con una circonferenza del tronco eccezionalmente ampia.
L’accoppiamento si verifica in primavera-estate. A volte uno squalo bianco maschio è stato osservato seguire da vicino una femmina per alcuni secondi o per alcuni minuti, talora premendo il muso sulla regione ventrale della femmina. Forse con questo comportamento il maschio testa se la femmina voglia accoppiarsi o se la sua produzione di feromoni indichi se sia fertile. L’accoppiamento di due squali bianchi è stato osservato una sola volta, in Nuova Zelanda. Il maschio inizia il corteggiamento avvicinandosi alla femmina e afferrandola con i denti. Sono questi i cosiddetti
morsi d’amore che danno luogo alle cicatrici d’accoppiamento, che sono spesso visibili sulla testa, i fianchi, il ventre, le fessure branchiali, il dorso e le pinne. Solitamente i morsi d’amore sono leggeri e incompleti e non causano ferite permanenti o comunque danni effettivi. Quindi il maschio inserisce uno pterigopodio nella cloaca della femmina.
Gli squali stanno uno sotto l’altro, girandosi di tanto in tanto ventre contro ventre. L’accoppiamento dura circa 40 minuti.
Lo squalo bianco presenta viviparità aplacentale: gli embrioni completano il loro sviluppo nell’utero traendo il nutrimento dal loro sacco vitellino. Si osserva inoltre oofagia: gli embrioni traggono nutrimento addizionale alimentandosi di uova non fecondate prodotte dalla madre.
Si stima che la durata della gestazione sia di circa un anno. Il parto avviene in primavera ed estate nelle aree temperate di entrambi gli emisferi. Le figliate possono essere composte da 2 a 17 piccoli. Alla nascita i piccoli misurano tra 81 e 151 cm. Alla nascita i piccoli presentano una cicatrice “ombelicale” fresca.
Gli squali bianchi hanno delle aree di nursery, dove le femmine si
recano a partorire e dove i piccoli rimangono durante la prima fase della loro vita. In queste aree è quindi assai più comune osservare esemplari giovanissimi di squalo bianco, cosa che è assai rara altrove.
Le aree di nursery per questa specie sono state individuate in diverse regioni del mondo, in particolare in California Meridionale, Bassa California e Mare di Cortez, Golfo Medio-Atlantico (dal Massachusetts alla North Carolina), Canale di Sicilia (tra la Sicilia e la Tunisia), Sudafrica Orientale (da Mossel Bay al KwaZulu-Natal), Australia Meridionale, Nuova Zelanda e Giappone.
Considerata la diminuzione massiccia della specie che si è osservata nella maggior parte del suo areale di distribuzione negli ultimi decenni, è assolutamente necessario che tutte le aree di nursery siano oggetto di un’attenta gestione e di una effettiva protezione. Una pressione di pesca anche modesta all’interno di una di queste aree ha inevitabilmente effetti disastrosi per la popolazione locale e per l’intera specie.
Alessandro De MaddalenaEntra in vigore l’obbligo dell’etichettatura ambientale, strumento per informare i consumatori sulla destinazione finale delle confezioni e per facilitarne raccolta, riutilizzo, recupero e riciclaggio La natura incerta del materiale che compone un imballaggio non permette di dargli la giusta destinazione in fase di smaltimento. Da questo
assunto parte il Decreto Legislativo 116/2020 che, in recepimento della Direttiva UE 2018/852, introduce, tra gli altri, l’obbligo, per i produttori, di indicare — ai fini dell’identifi cazione e della classifi cazione dell’imballaggio — la natura dei materiali utilizzati e impone che siano opportunamente etichettati secondo modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e
in conformità alle determinazioni adottate dalla Commissione UE.
Il Decreto Milleproroghe aveva sospeso sino al primo gennaio 2023 l’obbligo di riportare sulle confezioni destinate al consumatore finale le indicazioni che riguardano il fine vita delle stesse. Restava in vigore l’obbligo di apporre su tutti gli imballaggi (primari, secondari, terziari) la codifica identificativa
del materiale, come indicata dalla Decisione 97/129/CE. All’inizio di quest’anno la norma è però entrata in vigore e ora solo i prodotti già immessi in commercio o etichettati precedentemente al primo gennaio 2023, pur privi dei requisiti, potranno essere commercializzati fino ad esaurimento scorte.
Nel frattempo, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza
Energetica ha emanato le Linee Guida per l’etichettatura ambientale degli imballaggi , un lavoro realizzato in collaborazione con il CONAI e utile a supportare le imprese nella corretta applicazione della normativa. Il documento recepisce le indicazioni della Commissione Europea in tema di digitalizzazione delle etichette e, allo stesso tempo, si pone l’obiettivo di aiutare le
È obbligatorio per tutti gli imballaggi che sia indicata la codifica alfa-numerica prevista dalla Decisione 97/129/ CE. Su quelli destinati al consumatore, devono essere presenti anche le diciture utili a supportarlo nella raccolta differenziata, previa opportuna verifica da parte del consumatore stesso delle disposizioni del comune in cui avviene il conferimento.
imprese a fornire le caratteristiche dei propri imballaggi, aumentando la consapevolezza dei consumatori rispetto al destino finale dei rifiuti. D’altronde, le scelte di fronte allo scaffale possono essere fatte da chi acquista anche partendo da valutazioni sulla natura della confezione del prodotto e sulla possibilità che essa possa essere riciclata, riusata o smaltita nell’indifferenziato.
L’etichettatura ambientale è prevista per tutte le componenti separabili manualmente e può essere riportata, alternativamente, sopra le singole componenti, sopra il corpo principale dell’imballaggio o sopra la componente che riporta già l’etichetta. Laddove ciò non sia possibile, è ammesso il ricorso a soluzioni digitali come QR-Code o apposite App.
È obbligatorio per tutti gli imballaggi — siano essi primari, secondari o terziari — che venga indicata la codifica alfa-numerica
prevista dalla Decisione 97/129/ CE. Mentre, su quelli destinati al consumatore, devono essere presenti anche le diciture utili a supportarlo nella raccolta differenziata, sebbene a questo proposito sia opportuna altresì una verifica delle disposizioni del comune in cui avviene il conferimento.
C’è, inoltre, la possibilità di fornire informazioni facoltative al consumatore per aiutarlo a fare una raccolta differenziata di qualità. Per esempio “svuota l’imballaggio”, “schiaccia per il verso lungo”, “separa l’etichetta” o diciture similari.
L’identificazione del materiale è possibile grazie ad un sistema già codificato di numerazione che utilizza le abbreviazioni di quelli usati — quali plastica, carta e cartone, metalli, materiali in legno, tessili e vetro — e che vanno posti al centro o al di sotto del marchio grafico che indica la natura riutilizzabile o
recuperabile dell’imballaggio. Nel caso in cui invece si tratti di materiali composti, cioè a loro volta formati da più materiali (es.: carta e metalli vari, carta e plastica, ecc…), deve essere indicata la lettera “C” (composti), unitamente all’abbreviazione del materiale predominante, come da Decisione 91/129/CE.
Un’ulteriore novità si ha con riferimento all’etichettatura dell’imballaggio compostabile o biodegradabile, perché in questo caso l’etichetta deve riportare la menzione della conformità degli standard europei: EN 13432 per gli imballaggi recuperabili tramite compostaggio o biodegradazione o EN 14995 per gli altri manufatti diversi dagli imballaggi.
Sino alla vigilia dell’entrata in vigore del Decreto, solo una confezione su tre dichiarava come essa potesse essere smaltita. Anche per questo motivo la raccolta differenziata è cresciuta, ma non come avrebbe potuto.
Ogni anno gli Italiani producono circa 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, ma nella differenziata ne finiscono 1,6 milioni, appena il 42% del totale, soprattutto le confezioni dei prodotti alimentari e non che ogni giorno vengono acquistate. Un problema dovuto, in buona parte, al fatto che su molte confezioni mancano le indicazioni su come smaltire correttamente gli imballi.
A complicare le cose, sia per l’ambiente sia per il consumatore, c’è la tendenza ad utilizzare materiali compositi. Un trend, questo, che accresce il grado di difficoltà con il quale i consumatori si confrontano quotidianamente nel differenziare i rifiuti.
Lo segnala anche il primo osservatorio IdentiPack sull’etichettatura ambientale, frutto della collaborazione fra il CONAI e GS1 Italy, l’associazione che censisce la stragrande maggioranza dei prodotti in vendita nei super e negli ipermercati. L’osservatorio classifi ca anche molto altro, in particolare le indicazioni aggiuntive, come i marchi volontari legati alle caratteristiche di sostenibilità del packaging, la pre-
senza di suggerimenti su come fare una raccolta differenziata di qualità o i sistemi digitali come QR-Code e il GS1 Digital Link, che rinviano a pagine web, con le informazioni ambientali presenti sulla confezione. Un lavoro notevole, considerato che le referenze ispezionate sono ben 128.000! Un documento che evidenzia che sinora solo il 25,1% dei prodotti venduti riporta in etichetta la codifica del materiale usato per la confezione, sebbene su 45.000 referenze (il 36% di tutte quelle esposte), compaiano già le indicazioni sulla tipologia di imballaggio sul corretto conferimento per la raccolta differenziata.
La percentuale di etichette parlanti ora divenuta obbligatoria è salita di oltre 2 punti rispetto al 2020, ma rimane lontana dalla totalità e ci vorrà tempo perché — al di là dell’obbligatorietà del Decreto — l’obiettivo che la norma si pone venga effettivamente centrato. E a dimostrazione che le imprese sono ancora lontane dall’utilizzare strumenti come il QR-Code, si contano appena 4.268 etichette che recano almeno un’indicazione per visio-
nare digitalmente le informazioni sul contenuto o sul packaging. Un paniere che include il 3,3% delle referenze a scaffale e di quelle vendute complessivamente. Si può fare ancora molto insomma.
Fra i settori merceologici analizzati, quello del Freddo si posiziona sul primo gradino del podio per la comunicazione delle informazioni ambientali dei packaging: gelati e surgelati si aggiudicano la leadership per incidenza di prodotti che riportano in etichetta la codifica identificativa del materiale, oltre alle indicazioni sulla tipologia di imballaggio e sul corretto conferimento in raccolta differenziata. Ma si distinguono anche per la presenza di certificazioni relative alla compostabilità del packaging e di suggerimenti per migliorare la raccolta differenziata a casa.
Bene anche la drogheria alimentare, un comparto in cui quattro prodotti su dieci indicano il materiale di cui è composto l’imballaggio e il modo corretto di differenziarlo.
A difesa delle imprese di ogni tipologia e settore, ma soprattutto di quelle agroalimentari, si può però dire che le novità, le integrazioni normative, le modifiche richieste ai produttori in sede di etichettatura sono davvero notevoli e oltremodo frequenti. Difficile reggere il passo, soprattutto per le aziende più piccole e poco strutturate che non possono contare su consulenti interni all’organigramma aziendale e sulla possibilità di rinnovare periodicamente il packaging o solo l’etichetta di un prodotto, anche sul piano grafico, oltre che di contenuto delle informazioni.
Oggi più che mai si fanno i conti con gli aumenti vertiginosi dei prezzi dei materiali per gli imballi, con una normativa in continua evoluzione, con le richieste perentorie dei clienti, GDO in testa, che talvolta impongono ulteriori adempimenti in comunicazione, oltre a quelli cogenti. Insomma, quello che manca non sempre è la volontà o il senso del rispetto dell’ambiente. Le questioni sono molte e tutte complesse.
Sebastiano Corona