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10 invalidi motivi per non allevare ostriche in Italia
10 invalidi motivi per non allevare ostriche in Italia
Far tornare l’ostricoltura italiana al suo antico splendore, si può fare?
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di Edoardo Turolla
L’ostricoltura italiana, fiorente in varie epoche storiche, è ormai silente da oltre un secolo e sembra evidenziare una certa difficoltà a ritornare al suo antico splendore. Se l’Italia ha saputo sviluppare una mitilicoltura credibile e una venericoltura leader in Europa, poca attenzione è stata invece rivolta all’allevamento delle ostriche. In diversa direzione sono andati paesi come Irlanda, Olanda, Spagna, Portogallo e naturalmente la Francia, che hanno guadagnato quote sempre più importanti del mercato di questi bivalvi. I motivi che hanno portato l’Italia a “restare al palo” possono essere molteplici e tenteremo in questo contesto di analizzarli.
1) Manca la tradizione
Non si può certo affermare che l’ostrica rientri attualmente tra i prodotti più tipici e rappresentativi del nostro paese. Possiamo tuttavia rivendicare come le origini dell’ostricoltura europea si siano sviluppate proprio lungo le coste italiane. Nell’opera Naturalis Historiae, infatti, PLINIO IL VECCHIO ne descriveva le tecniche in uso nel I secolo d.C.; citazione che conferma come gli antichi Romani siano stati i precursori di questa forma di allevamento, per lo meno nel nostro continente.
Non mancano inoltre nei secoli seguenti casi in cui l’ostricoltura si è affermata in varie parti della Penisola (Napoli, Taranto, La Spezia e Trieste) fino a raggiungere dimensioni ragguardevoli. Non deve questa perdita di tradizionalità essere fonte di spavento per i nuovi ostricoltori, ma anzi uno stimolo al recupero di un prodotto che appartiene alla nostra cultura.
2) Il consumatore italiano non apprezza le ostriche
Fino agli anni ‘90 la FAO stimava per l’Italia un consumo interno di 7-8.000 tonnellate/anno di ostriche, quantità che in questi ultimi anni ha raggiunto le 10.000 tonnellate. Questi dati, oltre a confermare un trend di espansione del mercato, dimostrano anche la crescita del livello di gradimento nei confronti di questo bivalve da parte del consumatore. L’ostrica si trova sempre più frequentemente nei menu dei ristoranti e sui banchi delle pescherie, così come in molte città hanno fatto la loro comparsa le prime ostricherie.
Che le ostriche in Italia siano poco gradite è quindi un luogo comune da sfatare e anzi va sottolineato come siano proprio i giovani ad affacciarsi alle delicatezze di questo prodotto che va comunque capito in tutte le sue sfaccettature. È dunque presumibile che nei prossimi anni assisteremo non solo ad un aumento del consumo interno di ostriche, ma anche alla ricerca di standard qualitativi sempre più elevati.
3) L’ostrica è un prodotto costoso e solo di nicchia
Tutt’oggi nella credenza popolare persiste ancora l’idea che l’ostrica sia un prodotto costoso e quindi solo per persone facoltose. Questa convinzione, assolutamente falsa, deriva probabilmente dal fatto che in epoche ormai passate questi raffinatissimi bivalvi in quanto rari e ricercati raggiungevano quotazioni di mercato piuttosto elevate e quindi erano fruibili solo presso dimore signorili o reali. Di questo retaggio troviamo testimonianza anche nella normativa nazionale che, considerando l’ostrica un bene di lusso, ne impone sulla vendita l’IVA al 22%, diversamente dagli altri bivalvi che sono invece al 10%. Questo “sovrapprezzo”, oltre ad essere del tutto ingiustificato, frena l’appetibilità del prodotto verso i consumatori e riduce la competitività dei nostri allevatori. Le moderne tecnologie di allevamento favoriscono la produzione su larga scala di ostriche comunque di buona qualità e che possono essere messe sul mercato a costi affrontabili dalla maggior parte degli estimatori di questi molluschi.
4) Mancano i siti idonei per l’allevamento
Chi crede che le ostriche si possano allevare solo in Atlantico e in condizioni di grande dislivello di marea sbaglia clamorosamente. Vi sono infatti svariati allevamenti anche in Mediterraneo, come nel sud di Francia e Spagna e da pochi anni anche in vari siti della nostra penisola. L’ostrica concava in particolare è un bivalve biologicamente piuttosto rustico che si adatta a vivere e crescere in un’ampia gamma di condizioni ambientali. Numerosi studi, ma più in concreto l’installazione di allevamenti veri e propri, hanno dimostrato per esempio come questa specie possa essere allevata con successo sia in ambienti lagunari e sia in mare aperto.
Non è difficile dunque trovare siti adatti all’ostricoltura in Italia, come dimostra il recente aumento del numero di impianti, che non sono concentrati in una particolare area, ma distribuiti ormai in quasi tutta la Penisola.
5) Mancano le tecnologie
Non esiste un metodo standard per allevare le ostriche e, anzi, possiamo sottolineare come l’ostricoltura sia profondamente diversa dalla mitilicoltura e ancor più dalla venericoltura. Per queste ultime tipologie di allevamento, infatti, possono cambiare notevolmente le strategie gestionali (periodi e densità di semina, diradamenti, lavorazione, affinamento, ecc…) ma poco negli aspetti tecnologici. Le tecniche di ostricoltura sono invece innumerevoli e cambiano non solo in funzione delle caratteristiche del sito, ma anche degli obiettivi del produttore. Tali tecnologie (sistemi di allevamento, attrezzature, ecc…) sono inoltre disponibili e recuperabili in ambito europeo e nazionale in un’ampia varietà di soluzioni.
Neppure l’aspetto tecnologico costituisce quindi un fattore limitante allo sviluppo dell’ostricoltura italiana, anche se l’allevatore deve essere particolarmente accorto nello scegliere ed adattare metodi e tecniche alla propria realtà.
6) Gli allevamenti di ostriche hanno un forte impatto ambientale
Talvolta la proposta dell’installazione di un impianto per l’allevamento di ostriche in una determinata area, magari dove non esiste nulla del genere, può suscitare giustificate perplessità nelle istituzioni e nell’opinione pubblica. Purtroppo, in questi casi, la disinformazione e le pressioni sociali alimentate frequentemente da media e social media, portano verso la strada più breve; quella di ostacolarne e negarne il consenso.
È inteso che vi sono situazioni dove sussistono vincoli ambientali, paesaggistici, legati alle attività turistiche o alla navigazione che ovviamente vanno rispettati. Non si dovrebbe tuttavia liquidare con troppa facilità una proposta che potrebbe avere importanti risvolti occupazionali e offrire nuove opportunità economiche e non solo. Bisognerebbe invece analizzare attentamente la possibilità di realizzo sotto ogni punto di vista e, in caso di dubbio, favorire l’installazione di un impianto pilota che, in caso del manifestarsi di problematiche, possa essere prontamente rimosso.
In generale la molluschicoltura è considerata un’attività a basso impatto ambientale tanto che viene promossa a livello internazionale come fonte di proteine ben più sostenibile rispetto alla pesca. Riguardo all’ostricoltura, non si trovano nella letteratura scientifica risultati che ne sconsiglino l’esercizio e anzi la presenza delle ostriche migliora le qualità dell’acqua e dell’ambiente. Recenti studi eseguiti anche in Italia, analizzando accuratamente i vari aspetti dell’ostricoltura, ne dimostrano invece l’alto livello di sostenibilità.
7) Difficoltà a reperire il seme
Il reperimento del seme per avviare un allevamento di ostriche è l’ultimo dei problemi in ordine di importanza. Sul mercato europeo, infatti, esiste la disponibilità durante tutto l’anno di esemplari giovanili di varie taglie provenienti da schiuditoi esteri, per lo più francesi. Negli altri Paesi, per fronteggiare le esigenze degli allevatori, si sono sviluppati grandi strutture specializzate nella riproduzione controllata, capaci di “sfornare” ingenti quantità di seme di alta qualità e a costi molto competitivi. Al momento in Italia esiste una piccola produzione, che potrebbe comunque espandersi a seguito dell’aumento della domanda.
8) L’ostrica è una specie aliena
Oltre il 95% delle ostriche commercializzate in Europa sono ostriche concave e appartengono ad un’unica specie (Crassostrea gigas) e solo in minima parte sono ostriche piatte (Ostrea edulis) o ostriche concave portoghesi (Crassostrea angulata). Poiché C. gigas è originaria del Pacifico, volendo essere rigorosi, deve essere considerata una specie aliena; così in Francia e nel resto d’Europa. È altresì vero che per le sue caratteristiche questa ostrica è stata volontariamente introdotta nelle acque temperate di tutti i continenti, fino ad essere definita cosmopolita ed a diventare il mollusco più allevato su scala globale.
Popolazioni stabili di ostrica concava sono presenti praticamente in tutto il Mediterraneo da diversi decenni; in Italia dagli anni ‘60 del secolo scorso. In molti casi questo bivalve rappresenta ormai una componente importante delle comunità bentoniche soprattutto nelle lagune, dove la sua eradicazione è quanto mai impraticabile.
Dal momento che la diffusione volontaria o involontaria di questa specie ha portato ormai alla colonizzazione di tutti i siti colonizzabili, il timore di introdurla perde qualsiasi fondamento. Riconoscendone proprio la valenza socio-economica, nonché la diffusa presenza, l’UE, pur vietando i transiti di seme di specie aliene anche a fini di acquacoltura tra gli Stati Membri, esclude da queste restrizioni specie proprio come la vongola verace (Venerupis philippinarum) e l’ostrica concava (C. gigas).
Non ha quindi senso ostacolare per motivi puramente protezionistici l’avvio dell’allevamento dell’ostrica concava nelle aree dove la sua presenza è già conclamata.
9) L’ostrica è un prodotto poco salubre e con scarse qualità nutrizionali
Interrogando qualsiasi motore di ricerca sul quesito “consumo bivalvi”, le pagine web che vengono proposte riguardano più che altro la pericolosità di questi alimenti e il più delle volte le ostriche sono indicate come esempio negativo. Senza contare che questi molluschi sono spesso banditi dalle diete in quanto ritenuti erroneamente cibi grassi e ricchi di colesterolo.
Va subito precisato che le partite che giungono regolarmente sui mercati sono sottoposte a capillari controlli, che seguono il prodotto dalla zona di produzione alla vendita nel rispetto delle restrittive normative europee e nazionali. Che il dito venga puntato spesso verso le ostriche trova una giustificazione soltanto per il fatto che sono i bivalvi che più frequentemente vengono consumati crudi e, in caso di frode, il rischio è amplificato. Il rispetto delle norme da parte del produttore e l’educazione del consumatore a non avventurarsi all’acquisto di ostriche di dubbia provenienza sono fondamentali ad impedire imprevisti e a far maturare l’idea della salubrità del prodotto.
Riguardo alle qualità nutrizionali, le ostriche, come i bivalvi in genere, sono alimenti poveri di grassi con un basso apporto calorico (70-90 Kcal/100 g) e forniscono proteine, sali minerali e vitamine di ottima qualità. Per chi ci crede inoltre alle ostriche viene notoriamente riconosciuto un certo potere afrodisiaco, che trova un certo fondamento nel fatto che l’elevato apporto di zinco contribuisce a contrastare la sterilità maschile.
10) Manca il supporto delle istituzioni
Probabilmente quest’ultimo punto è l’unico che presenta le maggiori difficoltà ad essere smentito. Di fatto le istituzioni italiane per decenni non hanno opportunamente promosso e sensibilizzato le marinerie ad affacciarsi all’ostricoltura, sottovalutandone le potenzialità. Solo in questi ultimi anni sono stati attivati strumenti finanziari volti a stimolare la ricerca scientifica e i produttori ad interessarsi al problema, ma tutto con un enorme ritardo.
In conclusione...
In conclusione di questa rassegna di problematiche appare evidente come l’ostricoltura italiana sia stata e sia tuttora oggetto di pregiudizi e false credenze. È anche probabile che questo stato di fatto abbia contribuito ad ostacolare la ripresa e lo sviluppo di un comparto che merita invece grande attenzione.
Con un settore pesca sempre più in crisi, bisognerebbe invece promuovere ed agevolare ogni forma di acquacoltura, soprattutto l’ostricoltura
che, come abbiamo dimostrato, non presenta limiti insormontabili ad essere praticata in varie parti delle coste italiane. La sfida dell’ostricoltura rappresenta anzi una valida opportunità in termini occupazionali. Proviamo a pensare a quanti posti di lavoro equivarrebbe sviluppare una produzione capace di sopperire solo l’attuale mercato interno (10.000 tonnellate/anno = 30 milioni di euro). Senza contare l’indotto generato (attrezzature, logistica, seme, imballaggi, trasporti, ecc…) e l’incremento di competitività che otterrebbero le aziende andando a proporre un ulteriore prodotto made in Italy sul mercato. Fortunatamente qualcuno ha accettato la sfida e da qualche anno si stanno lentamente sviluppando piccoli allevamenti di ostriche in tutta Italia con risultati talvolta sorprendenti. La storia di questi personaggi, che tra mille difficoltà hanno saputo superare il limite tra sperimentazione e produzione vera e propria, sarà raccontata nel prossimo numero di questa RIVISTA.
Edoardo Turolla
Istituto Delta Ecologia Applicata Srl