Il Pesce 5-2016

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IL PESCE DALLA PRODUZIONE AL CONSUMO

PERIODICO DEDICATO ALLE PRODUZIONI ITTICHE NAZIONALI ED ESTERE, ALLE TECNOLOGIE E ALLE ATTREZZATURE PER LA PESCA E L’ACQUACOLTURA – € 6,67

N. 5/2016



pr�t ˆ manger Ostriche, cozze, cannelli, vongole...





Anno XXXIII N. 5 • Ottobre 2016

IL PESCE «Da’ un pesce a un uomo ed egli avrà un pasto; insegnagli ad allevarlo e avrà il nutrimento per tutta la vita»

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

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Direzione – Redazione Amministrazione Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.ilpesce-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 741 del 30-12-1983

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Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi

Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Comitato di redazione Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Consulenti scientifici Dr. Gaetano Arcarese – Prof. Giorgio Giorgetti – Prof. Ettore Grimaldi – Dr. Lucia Liddo – Prof. Febo Lumare – Prof. Graziella Mura – Dr. Francesco Paesanti – Dr. G.B. Palmegiano – Prof. Bianca Maria Poli – Dr. Gino Ravagnan – Prof. Remigio Rossi – Dr. Marco Saroglia – Dr. Aldo Tasselli Collaboratori scientifici Prof. Corrado Barberis – Dr. Alessandro De Maddalena – Dr. Maurizio Dell’Agnello – Prof. Fabrizio Ferrari – Dr. Claudio Ghittino – Dr. Gianluigi Negroni – Dr. Paola Pierelli – Prof. Guido Razzoli – Prof. Aldo Schiavo – Prof. Cosimo Sebastio – Dr. Antonio Trincanato Collaboratori scientifici esteri Prof. R. Billard (Francia) – Dr. S. Sarig (Israele) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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Produzione Depurazione Commercializzazione Molluschi Stabilimento: Via dell’Artigianato, 20 - 44020 Bosco Mesola (Fe) - Tel. 0533.795825 - Fax 0533.795798 - e-mail: ico@mgib.it


IL PESCE

Anno XXXIII N. 5 • Ottobre 2016

In questo numero: Immagini Tendenze Commissione europea

10 Food watching: nuove idee e trend nel mondo del cibo

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Se si lavora insieme c’è speranza per gli stock ittici del Mediterraneo

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Politica Comune della Pesca: alla ricerca della sostenibilità

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Il pesce in rete

Social fish

Info alle imprese

Contributi a fondo perduto

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Ambiente

Sotto la superficie

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Acquacoltura

L’acquacoltura in Indonesia

Gianluigi Negroni

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Huso huso, la perla di Ghorogh

Riccardo Lagorio

38

Pesce d’acqua dolce

La trota armena che diventò sovietica

Nunzia Manicardi

42

Aziende

Marr: crescita di ricavi e redditività operativa

Silvia Saracino

48

Retail marketing

Keep calm and be “ready to eat”

William Funck

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Commercializzazione

Il kosher e l’halal ittico

Maurizio Dell’Agnello 55

Indagini

L’attenzione alla sostenibilità dei prodotti ittici è in crescita

58

Carni, pesce e verdure per controllare il peso

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Interviste

Il pesce in tavola

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Elena Benedetti

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Pesci e prodotti ittici: un consumo da incoraggiare

Cecilia Ranza

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Nuove idee per la commercializzazione dei prodotti ittici

Maurizio Dell’Agnello 68

Il buon sapore degli scampi

Giorgia Fieni

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Scorfano, un mostro, ma… di bontà!

Nunzia Manicardi

74

Largo alle ostriche

Nunzia Manicardi

85

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Sapore di mare

Lux Lucis, il pesce in tavola tra contemporaneità e tradizione

Riccardo Lagorio

Pesce e Lambrusco? Se è quello di Cantina della Volta il connubio è da sogno

94 98

Salicornia o asparago di mare

Luca del Grammastro 102

Tradizioni

Il segreto della casseruola rossa

Giorgia Fieni

Rassegne

A tutto baccalà

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Sicurezza alimentare

Linee guida in materia di igiene dei prodotti della pesca (Parte II)

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Più incidenti alimentari da cibi più sani Packaging

Giovanni Ballarini

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Giovanni Ballarini

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Gli Europei e l’imballaggio Kit di gastronomia, un nuovo modo di fare cucina

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Tecnologie

A “Moduli” verso la Smart Food Factory

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Libri

Un anno in Romagna

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In copertina: il salmone, protagonista di tanti piatti in cucina (photo © Robert Wokaniec – Fotolia).

All articles are available in English in abstract format at our website www.ilpesce-online.com 8

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Costi

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IMMAGINI

Il consumo di pesci e prodotti ittici va incoraggiato e promosso. A tale proposito Nutrition Foundation ha intervistato Licia Iacoviello del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione presso IRCCS Istituto Neurologico MediterraneoNEUROMED. L’intervista a pagina 64 (in alto un filetto di pesce cotto alla griglia con verdure. Un piatto semplice, leggero e gustoso tipico della cucina mediterranea; photo © B. and E. Dudziski – Fotolia).

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TENDENZE Food watching: nuove idee e trend nel mondo del cibo

Il portale thefoodpeople.co.uk da oltre 10 anni indaga e segnala le tendenze dell’universo food a favore di ristoratori e consumatori,mettendo in evidenza nuove abitudini,idee e trend su ciò che le persone cercano e cercheranno nei mesi a venire.Qualche esempio? I cibi neri (dall’hamburger al pane e ai prodotti da forno al riso), la schiscetta, l’uso delle ciotole per servire le pietanze, la cucina filippina,i panini“stilosi”,il barbecue,i burger di ogni tipo e formato,lo street food e la cultura che lo sottende, l’affumicato, i prodotti rigorosamente stagionali, le crudité, la rivisitazione della colazione e il cibo vissuto come esperienza. Ecco il link per scaricare l’infografica: goo.gl/dIfv2F >> Link: thefoodpeople.co.uk

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L’EUROPA CHE CONVIENE: UN’OCCASIONE DA NON PERDERE

Sono disponibili 537 milioni di euro di finanziamenti a fondo perduto dell’Unione Europea a favore delle aziende che realizzano investimenti nel settore ittico, in particolare per l’innovazione di processo e l’implementazione di nuove linee di produzione: il contributo a fondo perduto può arrivare sino al 50% dell’investimento complessivo, compresi i costi relativi alla promozione e al marketing.

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COMMISSIONE EUROPEA

Se si lavora insieme c’è speranza per gli stock ittici del Mediterraneo MedFish4Ever è un percorso comune e a lungo termine verso una pesca sostenibile nel Mediterraneo. Serve anche il tuo aiuto! Nel contesto di un’alleanza che riunisce gli Stati Membri della UE, i paesi delle rive sud ed est del Mediterraneo, il settore privato e le Ong, la Commissione ha lanciato MedFish4Ever, un invito ad agire per frenare il calo degli stock ittici che minaccia la sopravvivenza di molte popolazioni ittiche vulnerabili nel bacino mediterraneo. Si stima che nel Mar Mediterraneo vivano 10.00012.000 specie marine. Purtroppo, però, questa ricchezza è minacciata

dall’inquinamento, dal cambiamento climatico e dallo sfruttamento eccessivo della pesca. La realtà è che gli stock ittici del Mediterraneo sono in declino e si è valutato che, nel complesso, il 93% degli stock ittici commerciali è soggetto ad uno sfruttamento eccessivo. «Non è possibile non intervenire. Con uno sfruttamento eccessivo che interessa oltre il 90% delle specie, dobbiamo agire subito», ha affermato KARMENU VELLA, commissario UE, al varo

dell’iniziativa durante l’edizione 2016 del Seafood Expo Global di Bruxelles. «Stiamo parlando di sfide per le quali si possono individuare soluzioni. Auspico che gli Stati Membri e i Paesi Terzi creino assieme una pesca sostenibile». Fulcro di questa strategia è la sensibilizzazione in merito all’urgenza e alle dimensioni del problema, ma anche la mobilitazione di un’azione collettiva, tempestiva e decisa. È pertanto cruciale l’impegno delle differenti parti interessate,

Karmenu Vella, commissario UE, al varo dell’iniziativa MedFish4Ever durante l’edizione 2016 del Seafood Expo Global di Bruxelles (photo © Jean-François Vandevyver). 14

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ovvero dell’industria, delle Ong e dei decisori politici. Ciò include il coinvolgimento dei Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale al di fuori della UE, molti dei quali hanno aderito al piano. Marocco Uno dei Paesi del Mediterraneo meridionale che ha siglato l’accordo è il Marocco, la cui segretaria generale per la pesca, ZAKIA DRIOUCHE, ha preso parte al dibattito di Bruxelles, confermando il piano di costruzione definito dal suo governo basato su tre pilastri chiave: sostenibilità, competitività e rendimento. «Il 91% della nostra pesca rientra ora in questo piano di gestione e la ricostituzione degli stock è in atto», ha dichiarato. Oltre all’invito ad agire del commissario Vella, ha ribadito la necessità di cooperazione da parte di tutti i paesi del Mediterraneo. WWF Il World Wildlife Found (WWF) ha accolto allo stesso modo il piano della UE, affermando che giunge in un momento critico per il Mediterraneo e gli oceani in generale, dati per scontati per troppo tempo, e che è necessario intervenire urgentemente. Il WWF ha avuto un ruolo pionieristico nel modello di gestione comune, in cui pescatori, scienziati, società civili e governi hanno voce in capitolo e un ruolo da svolgere nell’istituire i processi e le norme per la gestione

della pesca in una determinata zona. Questo modello ha dimostrato il suo valore sociale, ambientale ed economico, e dovrebbe costituire l’approccio per affrontare la crisi attuale. «Lontano dagli occhi, lontano dal cuore: in queste parole si riassume l’atteggiamento che abbiamo avuto per secoli nei confronti del mare — ha affermato MARCO LAMBERTINI, direttore generale della Ong — e le cifre confermano che il modo in cui stiamo gestendo gli oceani non è sostenibile e rappresenta uno spreco». Non ci sono però solo cattive notizie. Lambertini evidenzia come ora il movimento delle Ong, il mondo politico e i diversi settori che svolgono attività legate agli oceani riconoscano la necessità di agire, e di doverlo fare assieme. Un cambiamento in questo discorso, che si è altresì rivelato critico, deriva dalla constatazione che la conservazione delle risorse naturali dell’oceano e la conservazione delle connesse attività economiche fanno parte della stessa discussione.

del Mediterraneo, a fianco della comunità scientifica, dei governi e delle Ong. Ha ribadito che i pescatori devono avere la reale possibilità di pronunciarsi sulla definizione della politica della pesca, poiché solo attraverso un approccio “dal basso” sarà possibile una migliore comprensione delle norme e dunque una cultura della conformità. «Abbiamo recentemente assistito all’impressionante ricostituzione del tonno rosso, le cui quote sono aumentate del 20% ogni anno», ha affermato Garat. «Questo sta a dimostrare che le giuste misure, affiancate da un forte impegno del settore, creeranno sicuramente acque ricche di risorse e comunità di pesca sostenibile per le generazioni future». Ha poi aggiunto che il settore della pesca non è il solo responsabile, riferendosi ad altre attività dell’uomo, legate ad esempio al settore del gas e del petrolio, così come l’inquinamento derivante dalle foci dei fiumi, che colpiscono le risorse ittiche.

Europêche L’iniziativa della UE ha ottenuto il sostegno decisivo anche del settore privato, in particolare di Europêche, un organo indipendente che rappresenta 45.000 navi da pesca europee e 80.000 pescatori. Nel corso del suo intervento, JAVIER GARAT, presidente di Europêche, ha sottolineato che il settore della pesca deve assumere un ruolo di guida nella ricostituzione

MedFish4Ever & Co. Oltre a consolidare le misure e i regolamenti in vigore, già attuati dalla Commissione europea, il piano di MedFish4Ever integra altri attuali programmi volti a promuovere la pesca sostenibile, ad esempio quelli avviati dal Marine Stewardship Council, operativo in Francia e Spagna con oltre 100 unità di pesca (fisheries), nella prospettiva di con-

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Un Mediterraneo in pericolo Le popolazioni ittiche nel Mediterraneo si stanno esaurendo e alcune sono addirittura sull’orlo dell’esaurimento. Nel complesso, il 93% degli stock ittici esaminati è risultato oggetto di sfruttamento eccessivo. La diminuzione degli stock è stata segnalata non solo dai pescatori, le cui catture sono via via diminuite, bensì anche dagli scienziati che hanno monitorato la situazione negli anni. Se si ritarda ulteriormente nell’intraprendere azioni comuni, potrebbero determinarsi danni irreversibili e l’esaurimento degli stock fondamentali, essenziali per il settore della pesca. Si deve agire ora In quanto risorsa condivisa, si tratterebbe di una perdita per tutti, ma sarebbe un durissimo colpo per i pescatori e, in particolare, per la pesca su piccola scala. Essi andrebbero a perdere i loro mezzi di sussistenza, per non parlare del loro antico stile di vita. Una redditività continua e la sostenibilità devono dunque costituire l’obiettivo, rimettendo in moto il settore della pesca. Cosa è stato fatto? Nel 2003, le nazioni del Mediterraneo hanno firmato una dichiarazione a Venezia che ha gettato le basi per migliorare la ricerca scientifica, tutelare le zone vulnerabili e limitare lo sforzo di pesca. Gli Stati Membri dell’UE hanno ridotto le loro flotte allo scopo di garantire una pesca sostenibile. La nostra legislazione include piani di gestione della pesca nazionali e internazionali, limiti di cattura e requisiti ambientali. Un’intensa cooperazione multilaterale incoraggia tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo a giocare secondo le stesse regole. L’esperienza dimostra che possiamo ottenere risultati positivi se affrontiamo le sfide assieme. L’eccezionale ripresa del tonno rosso nel Mediterraneo ne è un esempio.Azioni congiunte per una migliore gestione della pesca producono risultati concreti e per la prima volta in tanti anni le quote sono in aumento. È necessario, tuttavia, fare di più Per questo, oltre all’esigenza di una migliore attuazione e regolamentazione delle misure esistenti, il commissario Karmenu Vella ha avviato una strategia mediterranea volta a migliorare lo stato degli stock ittici. Fulcro di questa strategia è la sensibilizzazione in merito all’urgenza e alle dimensioni del problema in questione, ma anche la mobilitazione di un’azione collettiva, tempestiva e decisa. Come puoi aiutare? A livello dei cittadini, possono agire le comunità costiere e il settore della pesca su piccola scala, ma anche le autorità nazionali, i decisori politici, le principali parti interessate,il settore delle flotte di grandi dimensioni, le Ong e gli scienziati. Le politiche nazionali, a livello dell’UE e multilaterali devono parlare con una sola voce per stabilire obiettivi a breve, medio e lungo termine. Il messaggio è chiaro: tutti dobbiamo assumerci la nostra parte di responsabilità. Tutti, compresi i consumatori, devono essere coinvolti se si vuole raggiungere un cambiamento concreto e duraturo, che dia nuovo slancio a una pesca sana e redditizia, non solo garantendo i posti di lavoro già esistenti,ma creandone altresì di nuovi (photo © www.greenreport.it).

Il sito web ec.europa.eu/fisheries/inseparable/en/medfish4ever, oltre a fornire una guida su come partecipare alla campagna, offre uno spazio di condivisione delle migliori pratiche e definisce le misure adottate dai diversi attori coinvolti per la ricostituzione degli stock ittici. >> Link: ec.europa.eu/fisheries/inseparable/it/medfish4ever

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seguire dei miglioramenti e divenire sostenibili. «Siamo lieti di prendere parte a questa nuova iniziativa, nella quale possiamo lavorare assieme e condividere i dati, tenendo a mente lo stesso obiettivo» ha affermato RUPERT HOWES, AD del Consiglio. Spagna Nel sottolineare l’idea comune che il successo della campagna si basa sulla partecipazione di tutti i membri, ANDRÉS HERMIDA, segretario generale spagnolo per la pesca, ha ribadito la sua speranza che le misure di conservazione vengano applicate non solo dagli Stati Membri della UE, ma da tutti i Paesi del Mediterraneo. «Dobbiamo trovare il modo di conservare gli stock mantenendo la sopravvivenza delle comunità costiere — ha sottolineato — e garantire un guadagno per i nostri pescatori del tutto compatibile con il recupero del Mediterraneo». (Fonte: “Affari Marittimi e Pesca in Europa” ec.europa.eu/ dgs/maritimeaffairs_fisheries)

Vuoi sapere qual è lo stato degli stock delle varie specie ittiche? Alla pagina ec.europa.eu/fisheries/inseparable/it/medfish4ever#quicktabsmedfish4ever_it=2 si possono trovare una ventina delle specie più diffuse del Mediterraneo. Cliccando sopra ad ogni illustrazione si può scoprire lo stato del relativo stock e avere più informazioni.


Politica Comune della Pesca: alla ricerca della sostenibilità A colloquio con Ernesto Penas, autore del libro “The Common Fisheries Policy – The Quest for Sustainability” Buongiorno Ernesto. Da biologo marino ha dedicato tutta la sua vita lavorativa alla gestione delle risorse marine. Oltretutto è galiziano, quindi si potrebbe dire che nelle sue vene scorra acqua salata al posto del sangue. È questa la ragione per cui ha deciso di scrivere un libro sul tema? «In realtà, l’idea al tempo venne alla mia responsabile. La riforma della Politica Comune della Pesca (PCP) si era appena conclusa e, dopo due decenni nel dipartimento della pesca, stavo cercando un nuovo lavoro in un altro ambito. Prima di andarmene mi suggerì di lasciare la mia esperienza in eredità. Accettai. Di certo non immaginavo che quest’impresa avrebbe assorbito tutti i miei fine settimana, le vacanze natalizie ed estive per due anni, con i miei figli che studiavano da un lato del tavolo della cucina e io al computer dall’altro». Ne è valsa la pena? Perché è così importante raccontare la storia della PCP? «È fondamentale. Gli altri settori in cui la UE ha competenza esclusiva sono dei titani rispetto alla pesca, ma la nostra piccola sfera politica riguarda anche altri settori, per cui può essere d’esempio per l’importanza e i risultati raggiunti dalla UE nel corso degli anni. Ed è proprio questo sviluppo graduale ma inesorabile che ha bisogno di essere conosciuto e compreso. Che ci piaccia o no, un’ampia fetta di quello che facciamo è influenzata da scelte precedenti! Se non capiamo questo, non possiamo veramente andare avanti...».

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Parlando di sviluppo, il lavoro dei pescatori è lo stesso di vent’anni fa? «Certamente no. Come per ogni altra cosa, le macchine sono un valido aiuto e oggi riusciamo a pescare con molte meno persone e barche. Questa perdita di posti di lavoro può essere un duro colpo, ma si tratta comunque della normale evoluzione del settore, non necessariamente negativa. La contraddizione principale è altrove, ovvero il fatto che, nonostante le razionalizzazioni e i miglioramenti tecnici, non ci sia stato un aumento di profitti e competitività. La sola ragione è da attribuirsi all’esaurimento degli stock ittici. Ad ogni modo abbiamo compiuto dei progressi considerevoli negli ultimi anni». È questo il motivo per cui indurre cambiamenti in questo settore risulta così difficile? «Si tratta di un mondo molto conservatore, che critica le nostre norme per partito preso e oltremodo non accetta i cambiamenti. In passato ci si lamentava a gran voce che il sistema fosse troppo complesso, che aveva troppe regole, ma quando ne abbiamo proposto la semplificazione ci è stato detto che avevamo “semplificato troppo”. La verità è che abbiamo creato una cultura di micro-gestione che dovrà essere sostituita da qualcos’altro: forse una cultura della fiducia. Delle norme più semplici sono per definizione più vaghe, meno specifiche e, pertanto, aperte all’interpretazione. Il mio vicino le rispetterà come me? Le persone si pongono queste domande. Penso che questo sia il vero problema ad oggi e

Ernesto Penas. la sfida politica per i prossimi anni. Solo costruendo fiducia potremo semplificare e ottimizzare sensibilmente la PCP». I consumatori si sono evoluti negli ultimi anni? «Nell’Europa del Nord sì, senza dubbio: le popolazioni di Germania, Regno Unito o Svezia richiedono risorse ittiche sostenibili, per cui i fornitori devono ottenere la certificazione dei propri prodotti per mantenere le quote di mercato. L’Europa del Sud resta più improntata alla freschezza piuttosto che alla tracciabilità del prodotto, e qui la spinta dovrà arrivare dalle Ong o dalle grandi catene di supermercati che temono l’immagine negativa e le ripercussioni della scelta di prodotti ittici non sostenibili». (Fonte: “Affari marittimi e pesca in Europa” ec.europa.eu/dgs/maritime affairs_fisheries/magazine/it)

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IL PESCE IN RETE

Social di Elena

2. Panini+pesce, abbinata perfetta 1. Baccalà, è grande festa Dal 16 settembre al 5 dicembre è in scena l’edizione 2016 del Festival del Baccalà, che attraverso il sito www.festivaldelbaccala.it accompagna i visitatori ed i curiosi attraverso il fitto calendario di eventi e di cene. Eh già, perché i giudici che decreteranno il miglior piatto di baccalà sono proprio i clienti dei ristoranti iscritti alla rassegna. Per diventare protagonisti del Festival basta consultare l’elenco dei ristoranti partecipanti, prenotare e partecipare. C’è anche la pagina Facebook: facebook. com/festivaltrivenetodelbaccala

Panini di Mare è il primo Italian food concept basato su una ristorazione di mare veloce, sana ma, soprattutto, di grande qualità, risultato del percorso personale di MARIO OTTAVIANO, chef e patron del Trabucco da Mimì di Peschici (FG). Bella quindi l’idea sviluppare un business sul panino, oggi di grande tendenza nel mondo della ristorazione, con l’abbinamento di prodotti ittici super selezionati. Sul sito www.paninidimare.it trovate le varie sedi di Panini di Mare e i link alle pagine social. Da vedere e da provare assolutamente (in basso, un panino col polipo; photo © corte.realefirenze.it).

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fish Benedetti

4. Cromaris, freschezza e ricette ad hoc 3. Ittigel, cura e qualità, anche on-line Molto bello il sito di Ittigel, l’agenzia di rappresentanza di prodotti ittici dei fratelli M ARCO e LUCA SCHIARETTI accessibile all’indirizzo www.ittigel.it. Nella home page trovate il pescato incorniciato, grande protagonista di questo business, proveniente dai mari di numerosi mercati esteri, tra cui Irlanda, Scozia, Francia, Portogallo, Spagna, Marocco, Tunisia e Giappone. Nella sezione “Origine e provenienza” potete verificare, per ogni singolo Paese, le specie ittiche trattate. Foto, grafica e contenuti testuali rendono il sito particolarmente piacevole nella navigazione che può essere fatta anche da utenti di lingua inglese, francese e spagnola.

Se l’imperativo oggi è quello di comunicare e comunicare in modo efficace, allora Cromaris, l’azienda del GRUPPO ADRIS di Rovigno, leader nell’allevamento del pesce bianco nell’Adriatico croato, sta lavorando davvero bene. Nel sito www.cromarisfresco.it l’azienda, già apprezzata per i suoi branzini e orate fresche che giungono in Italia in 24 ore, e presente sul mercato anche con specialità affumicate, mette a disposizione di clienti e curiosi tante ricette grazie al link con ricette.giallozafferano.it. Tutto ciò sottolineando i punti forza del prodotto, un pescato di alta qualità che raggiunge il consumatore finale in tempi rapidissimi a garanzia della massima freschezza.

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INFO ALLE IMPRESE

Contributi a fondo perduto Regione Sicilia – Bando FEAMP 2014-2020 Misura 5.69 Bando per le Micro, Piccole e Medie imprese di Trasformazione e/o Commercializzazione dei prodotti ittici per investimenti effettuati dal 9 giugno 2015 e da realizzare nel 2016/2018 fino a € 1,5 milioni di investimenti con contributo a fondo perduto del 50%, per interventi che: a) contribuiscono a risparmiare energia o a ridurre l’impatto sull’ambiente, incluso il trattamento dei rifiuti; b) migliorano la sicurezza, l’igiene, la salute e le condizioni di lavoro; c) sostengono la trasformazione delle catture di pesce commerciale che non possono essere destinate al consumo umano; d) si riferiscono alla trasformazione dei sottoprodotti risultanti dalle attività di trasformazione principali; e) si riferiscono alla trasformazione di prodotti dell’acquacoltura biologica; f) portano a prodotti nuovi o migliorati, a processi nuovi o migliorati o a sistemi di gestione e di organizzazione nuovi o migliorati. Le spese ritenute ammissibili riguardano interventi per la lavorazione, trasformazione, conservazione dei prodotti ittici per il mercato all’ingrosso relative a: 1. acquisto di terreni legati all’iniziativa; 2. acquisto, costruzione, ampliamento e ristrutturazione delle strutture di commercializzazione all’ingrosso di prodotti ittici; 3. acquisto impianti, macchinari e attrezzature e quant’altro imputabile al processo di lavorazione, trasformazione e conservazione dei prodotti ittici; 4. adeguamento dei mezzi di trasporto alle esigenze aziendali (coibentazione/impianti frigoriferi); 5. spese generali e tecniche; 6. spese per consulenze, studi di fattibilità, assistenza al progetto, studi di settore e Business Plan. Il bando è operativo fino al 21 novembre 2016 data ultima per presentare le domanda di accesso al contributo. Regione Sicilia – Bando FEAMP 2014-2020 Misura 2.48 Sottomisure 1-2-3 Bando per le Micro, Piccole e Medie imprese di acquacoltura per investimenti

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effettuati dal 1 gennaio 2014 e da realizzare nel 2016/2018 fino a € 5,5 milioni di investimenti con contributo a fondo perduto del 50%, per: • sottomisura 1: prevede investimenti produttivi, diversificazione della produzione dell’acquacoltura e delle specie allevate, ammodernamento ed innovazione, miglioramento delle condizioni di lavoro, d’igiene, della salute dell’uomo e del benessere animale, miglioramento della qualità dei prodotti, diversificazione del reddito delle imprese tramite lo sviluppo di attività complementari; • sottomisura 2: prevede il miglioramento dell’ambiente e riduzione dell’impatto negativo e il risparmio delle acque d’allevamento utilizzate mediante l’adozione di sistemi di ricircolo delle acque di allevamento; • sottomisura 3: prevede l’incremento dell’efficienza energetica e dell’utilizzo di fonti rinnovabili di energia. Il PO FEAMP 2014-2020 può finanziare, per le tre sottomisure, le seguenti tipologie di intervento Sottomisura 1 (lettere a-b-c-d-f-g-h) – Nuovi investimenti produttivi, ampliamento e ammodernamento di quelli esistenti che realizzino: a) investimenti produttivi nel settore dell’acquacoltura; b) la diversificazione della produzione dell’acquacoltura e delle specie allevate; c) l’ammodernamento delle unità di acquacoltura, compreso il miglioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza dei lavoratori del settore dell’acquacoltura; d) miglioramenti e ammodernamento connessi alla salute e al benessere degli animali, compreso l’acquisto di attrezzature volte a proteggere gli allevamenti dai predatori selvatici; f) investimenti destinati a migliorare la qualità o ad aggiungere valore ai prodotti dell’acquacoltura; g) il recupero di stagni o lagune di acquacoltura esistenti tramite la rimozione del limo o investimenti volti a impedire l’accumulo di quest’ultimo; h) la diversificazione del reddito delle

imprese acquicole tramite lo sviluppo di attività complementari. Il sostegno per questa lettera è concesso alle imprese acquicole solo se le attività complementari rappresentano attività acquicole chiave dell’impresa, compresi il turismo legato alla pesca sportiva, i servizi ambientali legati all’acquacoltura o le attività pedagogiche relative all’acquacoltura; Sottomisura 2 (lettere e-i-j) – Investimenti per la riduzione dell’impatto negativo sull’ambiente, ivi compresi l’adozione di sistemi multitrofici e produttivi che riducano al minimo l’utilizzo di acqua e che realizzino: e) investimenti per la riduzione dell’impatto negativo o l’accentuazione degli effetti positivi sull’ambiente, nonché l’uso più efficiente delle risorse; i) investimenti volti all’ottenimento di una considerevole riduzione nell’impatto delle imprese acquicole sull’utilizzo e sulla qualità delle acque, in particolare tramite la riduzione del quantitativo utilizzato d’acqua o di sostanze chimiche, antibiotici e altri medicinali o il miglioramento della qualità delle acque in uscita, anche facendo ricorso a sistemi di acquacoltura multitrofica; j) la promozione dei sistemi di acquacoltura a circuito chiuso in cui l’allevamento dei prodotti acquicoli avviene in sistemi chiusi a ricircolo che riducono al minimo l’utilizzo di acqua; Sottomisura 3 (lettera k) – Investimenti volti al miglioramento dell’efficienza energetica e all’utilizzo di fonti rinnovabili di energia, che conseguano come obiettivo: k) l’aumento dell’efficienza energetica e la promozione della conversione delle imprese acquicole verso fonti rinnovabili di energia. Il bando è operativo fino al 19 dicembre 2016 data ultima per presentare le domanda di accesso al contributo. Per informazioni FABO S.I. Srl Telefono: 0545 84488 Fax: 0545 84555 E-mail: info@fabosi.it Web: www.fabosi.it

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AMBIENTE

L’importanza dell’osservazione degli oceani grazie alla rete europea EMODnet

Sotto la superficie

L’oceano è ancora in gran parte inesplorato. La recente ricerca dell’aereo di linea malese MH370, ad esempio, ha permesso di rilevare 220 vulcani sommersi che raggiungono altezze fino a un miglio e che erano finora totalmente sconosciuti. Per non parlare delle specie che lo popolano! Inoltre, l’oceano sta cambiando: il progressivo e inarrestabile riscaldamento delle acque, l’acidificazione e l’innalzamento del livello del mare, legati a diversi fattori, si sovrappongono e contrastano i suoi ritmi naturali. Capire l’impatto di questi

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cambiamenti su questioni quali la navigazione, le forniture alimentari, la sicurezza energetica e l’erosione costiera è cruciale qualora l’oceano dovesse continuare a costituire il sistema di supporto vitale per una popolazione globale che si prevede raggiunga i 9,7 miliardi entro il 2050. Questo è il motivo per cui i governi devono investire nell’osservazione dell’oceano. Si possono costruire ipotesi e modelli di comportamento confrontandoli con quanto è già accaduto. E queste osservazioni regolari vanno conservate. Le lacune lasciate

negli archivi non possono essere colmate in un secondo tempo. Tuttavia, attualmente questi dati sono in mano a centinaia di organizzazioni e fino a pochissimo tempo fa trovare chi deteneva i dati raccolti rappresentava un’impresa davvero ardua; ci sono volute lunghe trattative per ottenere le autorizzazioni al loro utilizzo e raccogliere dati da fonti con nomenclature, riferimenti di base e formati differenti, al fine di creare un’immagine comune che potesse far decollare i potenziali studi di settore. A differenza delle aree terrestri, delle

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quali si dispone universalmente di mappe topografiche e geologiche, alcuni scienziati e ingegneri hanno trovato più facile riesaminare aree che erano già state osservate in passato perché l’acquisizione di nuovi dati risultava troppo difficile, rendendo lo sviluppo offshore economicamente più svantaggioso di quanto potrebbe essere. La rete europea di osservazione e di dati dell’ambiente marino (EMODnet-European Marine Observation and Data Network) sta iniziando a cambiare le cose. Circa 160 organizzazioni oggi collaborano

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per far sì che i soggetti interessati possano cercare, visualizzare e recuperare misurazioni e dati in maniera semplice, a prescindere da dove questi sono conservati. Inoltre, i dati sono gratuiti e il loro utilizzo è senza limitazioni. I dati vengono classificati in categorie: batimetria (profondità dell’acqua), geologia, habitat, fisica, chimica e attività umane, comprendenti la natura, la posizione e le caratteristiche di strutture di acquacoltura o dei siti di energia oceanica. Alla fine del 2015 si è raggiunto un traguardo importante quando è stata completata la copertura complessiva dei dati relativi ai bacini marittimi europei. Grazie ad EMODnet si raggiungono tre principali risultati: in primis accorcia il tempo e lo sforzo necessari per programmare e realizzare infrastrutture costiere e offshore (quali porti o turbine eoliche) e stabilire il loro impatto ambientale; in secondo luogo le descrizioni di un habitat comune che copre le acque di tutti i Paesi europei aiutano a stabilire come creare una rete coerente di zone marine protette e valutare l’impatto della pesca a strascico sugli ecosistemi dei fondali marini; infine, riduce il “rischio” (ad esempio, le previsioni dell’insorgenza di mareggiate). Una nuova fase inizierà nel 2017, in cui più determinazione e maggiore enfasi saranno poste su problematiche emergenti come la localizzazione dei rifiuti marini. Sforzi sono altresì in corso per un maggiore coinvolgimento delle imprese private, al fine di assicurare che i servizi forniti dalla EMODnet corrispondano ai loro bisogni. Infine, EMODnet svolge un contributo importante verso una maggiore trasparenza e un coinvolgimento pubblico nella gestione dell’oceano. In passato solo governi e grandi imprese potevano esprimere pareri in merito a possibili proposte. Adesso tutte le parti coinvolte possono dire la loro. E questo è un passo avanti nella buona gestione dell’oceano, che aiuterà a preservare questo ambiente per il futuro. (Fonte:“Affari marittimi e pesca in Europa” ec.europa.eu/dgs/maritime affairs_fisheries/magazine/it)

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ACQUACOLTURA

Il successo di un imprenditore indonesiano

L’acquacoltura in Indonesia di Gianluigi Negroni

L’Indonesia è uno dei più grandi produttori ittici mondiali. L’arcipelago si classifica anche come una delle zone più produttive per il settore dell’acquacoltura e della pesca con grandi risorse di stock ittici selvatici non ancora sfruttati. Il quarto più popoloso Paese al mondo è anche uno dei maggiori consumatori di prodotti ittici. La combinazione della richiesta domestica e del potenziale dell’export crea ottime occasioni per lo sviluppo dell’imprenditoria del settore pesca e acquacoltura, includendo i molluschi bivalvi, le alghe, l’industria della lavorazione del pesce, la logistica e la tecnica, che hanno delle interessanti opportunità.

I numeri dell’industria Secondo il Ministry of Marine Affairs and Fisheries, nel 2014 le produzioni della pesca in Indonesia risultavano pari a 5,81 milioni di tonnellate e quelle dell’acquacoltura a 9,45 milioni di tonnellate, per un totale di 15,26 milioni di tonnellate. La FAO ha classificato nel 2013 l’Indonesia terzo produttore mondiale per la pesca marittima e continentale e quarto per le produzioni di acquacoltura. Le esportazioni di prodotti ittici sono fortemente incrementate negli ultimi anni arrivando a più di 4 miliardi di euro nel 2013. I principali clienti sono gli Stati Uniti e il Giappone, seguiti dall’Unione Europea. La zona

est di Java risulta la più produttiva con circa un terzo della produzione. In particolare i crostacei e i gamberi sono le specie maggiormente esportate, seguiti da pesce fresco e congelato. Il governo guarda alle produzioni ittiche per assicurare il fabbisogno alimentare della popolazione. Il consumo pro capite di prodotti ittici, negli ultimi anni, è aumentato notevolmente, arrivando a 33,8 kg (dati 2013). I settori acquacoltura e pesca Considerando che la maggior parte della produzione della pesca (il 95% nel 2013) ha origine dalla flotta artigianale che opera con metodiche

Sullo sfondo, impianto per l’ingrasso delle cernie a Gondol.

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Grafico 1 – Produzioni dell’acquacoltura indonesiana

Il settore dell’allevamento ittico è in rapida crescita in molte parti del mondo. La Cina è oggi di gran lunga la nazione leader per quanto riguarda l’acquacoltura ma significativa è stata la crescita di questa attività proprio in Indonesia, così come in Cile, Norvegia e Vietnam Fonte: FAO Fishery Statistics, Aquaculture production.

La maricoltura indonesiana riguarda principalmente l’allevamento di cernie, in particolare quelli di cernia gobba e di cernia indopacifica, di ostriche perlifere e alghe. Queste ultime sono vendute fresche, essiccate o trasformate dall’industria farmaceutica, alimentare e cosmetica. Relativamente al pesce d’acqua dolce, il più praticato è l’allevamento della tilapia, per i grandi volumi richiesti dal mercato nazionale

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e attrezzature tradizionali spesso obsolete, migliorando le tecnologie e la filiera della produzione del pesce si potrebbero incrementare sia le produzioni che le esportazioni. Dai dati FAO emerge il grande potenziale di sviluppo dell’acquacoltura. Si pensi infatti che in Norvegia un acquacoltore ha una produttività media di 187 t/anno, in Cile di 35 tonnellate e in Indonesia di circa una tonnellata. È chiaro che gli investitori potrebbero portare in questo paese capitali e know-how per aumentare la produttività, assicurare stabilità al mercato e incrementare le esportazioni attraverso joint ventures e cooperazione con gli imprenditori locali.

anni dimostrando di rappresentare il futuro per la produzione di proteine di alto valore per la popolazione indonesiana. Richiesta di produzioni sostenibili e regolamentazioni ambientali sempre più stringenti interessano sia il settore pesca che quello dell’acquacoltura. I grandi territori costieri indonesiani hanno condizioni ideali per gli allevamenti marini, lagunari e continentali di organismi acquatici. Soprattutto gli allevamenti in gabbia di specie marine sono stati potenziati e modernizzati negli ultimi anni con tecnologie prodotte localmente, attraverso fondi stanziati dal governo in favore dei piccoli allevatori.

L’acquacoltura è uno dei settori più aperti agli investimenti Le compagnie straniere sono fortemente limitate, per quanto riguarda la pesca nelle zone marine indonesiane, dalla politica restrittiva del governo, che limita loro le licenze. Infatti, negli ultimi mesi, numerosi pescherecci non autorizzati alla pesca sono stati fermati e distrutti. Al contrario, nel settore dell’acquacoltura vi sono numerose possibilità di partnership con imprenditori locali. L’acquacoltura ha superato la pesca come produzione totale negli ultimi

La maricoltura La maricoltura indonesiana si è molto sviluppata negli ultimi 15 anni e riguarda principalmente l’allevamento di cernie, in particolare quelli di cernia gobba (Cromileptes altivelis), considerato il più vantaggioso dal punto di vista economico, e di cernia indopacifica (Epinephelus fuscoguttatus), ostriche perlifere e alghe (Eucheuma cottonii, E. spinosum, Gracilaria spp., Gelidium spp.); queste ultime sono prodotte e vendute fresche, essiccate o trasformate dall’industria farmaceutica, \

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L’allevamento in mare delle cernie è considerato una delle attività più remunerative viste le richieste del mercato. alimentare e cosmetica. Sono allevate anche altre specie marine, come il barramundi, il milkfish (Chanos chanos) e il coiba, ma con minore intensità. Si sta sviluppando anche l’allevamento in gabbie in zone costiere, ma necessita ancora di grossi investimenti. Relativamente al pesce d’acqua dolce, il più praticato è l’allevamento della tilapia, per i grandi volumi richiesti dal mercato nazionale. L’allevamento di specie ornamentali d’acqua dolce ha una sua produzione viste le forti richieste per l’esportazione. Il settore comprende un grande numero di

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piccoli produttori e alcuni grandi allevamenti industriali che hanno fortemente risentito della diffusione del KHV (Koi Herpes Virus). Gamberi Il gambero è la principale specie esportata e ha ampie possibilità di sviluppo per le numerose aree vocate presenti in Indonesia. La Global Aquaculture Alliance ha previsto una crescita di più del 10% annuo sulle recenti produzioni di gamberi (2012-2016). Il governo indonesiano è decisamente ottimista al riguardo, dichiarando una disponibilità di 1,2

milioni di ettari di aree potenziali per l’allevamento di gamberi. Alghe Le alghe sono utilizzate da sempre nella cucina indonesiana; di recente sono state introdotte anche nelle abitudini europee, specialmente attraverso il sushi. L’internazionalizzazione dei mercati sicuramente favorirà i produttori di alghe edibili. Nonostante le grandi quantità di alghe prodotte, l’Indonesia manca delle industrie di trasformazione per lavorare tutto il prodotto, che viene principalmente esportato grezzo.

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Avannotteria. Logistica La richiesta di prodotti ittici freschi è particolarmente forte e non viene soddisfatta nelle aree urbane ove la nascente middle class indonesiana risiede. Vi sono quindi prospettive interessanti per le aziende del settore logistico che si occupano di trasporto di pesce vivo, fresco e congelato per il mercato nazionale, senza dimenticare quello internazionale. Descrizione del settore dell’acquacoltura L’Indonesia è un arcipelago di più di 17.000 isole, con una lunghezza di coste di circa 81.000 km. L’area

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che potrebbe potenzialmente essere utilizzata per lo sviluppo dell’acquacoltura viene stimata in 26.606.000 ettari dal governo locale. Più di 2,5 milioni di famiglie lavorano nel settore dell’acquacoltura, che è un’importante fonte d’impiego. L’acquacoltura in Indonesia si è sviluppata in acque dolci, salmastre e marine usando differenti specie e tecnologie, adattate all’ambiente locale. Dagli anni ‘70, per il settore dell’acqua dolce, con la disponibilità di avannotterie specializzate, si sono sviluppati gli allevamenti di carpe (Cyprinus carpio), pesci gatto (Clarias spp., Pangasius spp.),

gurami (Osphronemus goramy) e tilapia (Oreochromis niloticus); si allevano anche varie specie di carpe importate dalla Cina e il famoso gambero d’acqua dolce (Macrobrachium rosenbergii). Con lo sviluppo della tecnologia dell’ablazione del peduncolo oculare (anni ‘70) sono aumentate anche le disponibilità di postlarve di crostacei peneidi. In Sud Sumatra e nella provincia di Lampung si sono sviluppati molti allevamenti privati di gamberi peneidi in acqua salmastra con il sistema del Nucleus Estate System (che unisce grandi appezzamenti con un gran numero di piccoli allevatori). I gamberi peneidi e il milkfish (Chanos chanos) sono le specie più allevate. L’Indonesia ha sviluppato un’organizzazione particolare per l’allevamento marino di gamberi peneidi, il cosiddetto Inti-Plasma, più conosciuto come NESS (Nucleus Estate Smallholders Scheme). Un’azienda industriale trasforma grandi aree vicino al mare (generalmente, zone umide e a mangrovie) in stagni per l’allevamento di gamberi e stipula degli accordi con un numero più alto possibile di piccoli produttori, a cui si assegnano (in affitto o in vendita) delle aree predefinite. Gli allevatori comprano tutti gli input dall’azienda e vendono tutta la produzione di gamberi all’azienda stessa. Questo schema verticale permette di avere importanti quantitativi di gamberi, molti dei quali vengono poi esportati, attraverso il controllo degli input degli allevamenti. I principali mercati per i gamberi sono il Giappone, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, Singapore e la Malesia. Molti degli stagni tradizionali, individuali o di proprietà comune, si trovano nell’isola di Java, mentre quelli nuovi, di grandi estensioni e concentrati in poche aziende, si sviluppano a Sumatra, Kalimantan, Sulawesi e Irin Jaya. Attualmente le tre più grandi aziende che lavorano con il sistema NESS sono: PT Central Pertiwi Bratasena (PT.CPB), PT Dipasena Citra Darmaja (PT.DCD) e PT Wahyuni Mandira (PT.WM). La PT.CPB è per il 31% di proprietà della multinazionale tailandese

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Charoen Pokphand. L’azienda si estende su un’area di 10.500 ettari e possiede piani per un’espansione di altri 15.000 ettari nella medesima area. PT.DCD e PT.WM sono di proprietà del gruppo Gajah Tunggal; si trovano nel Sud Sumatra e Lampung con un’area, rispettivamente, di 16.500 ettari e 30.000 ettari (6.000 ettari sono attualmente operativi). La grande maggioranza delle esportazioni indonesiane di gamberi originano da queste grandi aziende. Numerose sono le critiche di carattere sociale e ambientale nei confronti di questo tipo di allevamenti, in merito alla tipologia delle contrattazioni e all’utilizzo dei terreni. Nell’isola di Java l’acquacoltura in acque salmastre costituisce una tradizione antica, la cui origine risale a piÚ di 400 anni fa, con allevamenti di milkfish (Chanos chanos) e cefalo (Mugil spp.) L’allevamento di crostacei giant tiger prawn (Penaeus monodon) ha molto risentito negli ultimi 15 anni, con

Operatore in una delle avannotterie di Gondol. un ristagno delle produzioni, del virus della “macchia biancaâ€? (white spot virus), della sindrome di Taura (Taura Syndrome Virus, TSV) e di altre malattie virali, con alte mortalitĂ negli stagni. Il gambero bianco (Penaeus vannamei) e il gambero

blu (Penaeus stylirostris) sono stati introdotti perchÊ piÚ resistenti alle malattie virali. Gli avannotti di varie specie di cernie, i loro ibridi e altre specie marine sono prodotti nell’isola di Bali fino a una lunghezza di 3-5 cm

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Le avannotterie marine di Gondol a Bali L’isola di Bali è conosciuta come meta turistica internazionale, ma nel settore dell’acquacoltura può vantare un gruppo di imprenditori leader nella riproduzione di specie marine pregiate. L’associazione della maricoltura indonesiana (Indonesian Mariculture Association, Asosiasi Budidaya Ikan Laut Indonesia – Abilindo, direttore WAJAN SUDJA), che si è prodigata nel presentare la situazione delle avannotterie di Bali, ha permesso di comprendere il fiorire dell’attività del settore. Da alcuni anni, nella zona di Gondol, si sono sviluppate delle avannotterie che riscuotono un forte successo commerciale. L’associazione si è formata con l’esperienza del decano NYOMAN SAWIT. La sua storia è esemplare per capire come si sviluppa il settore dell’acquacoltura in Indonesia. Sawit lavorava nel settore dei trasporti. Proprio di fronte alla sua abitazione è situato un istituto di ricerca del Ministero della pesca. Un giorno Sawit decise di fare un corso sulle riproduzioni delle specie marine e comprese che poteva rivelarsi una buona opportunità commerciale. Infatti il Gondol Research Institute for Mariculture (GRIM) di Bali, già negli anni 2000, aveva sviluppato una tecnologia per l’allevamento della cernia in collaborazione con l’Australian Centre for International Agriculture Research (ACIAR; SUGAMA et al., 1998; SUGAMA et al., 2001). La tecnologia venne adottata velocemente dagli allevatori di Bali, East Java (Situbondo) e Sud Sumatra (Lampung). Il governo indonesiano emise poi degli standard per la produzione degli avannotti di cernia (Ministry of Agriculture’s Decree n. 1042.1/Kpts/IK 210/10/1999), per il controllo e la certificazione degli allevamenti. Attualmente, Nyoman Sawit, con la sua avannotteria che produce uova, larve e avannotti di diverse specie marine, dopo una decina di anni di lavoro, consegue un reddito netto di alcune centinaia di migliaia di dollari all’anno. La produzione, su scala industriale, riguarda le cernie (Epinephelus fuscoguttatus, Epinephelus coioides, Cromileptes altivelis, E. microdon, Trachinotus carolinus) e gli ibridi di cernia (Karapu bali e Karapu macal); milkfish (Chanos chanos), coiba (Rachycentron canadum) e barramundi (Lates calcarifer). Sawit sta anche studiando di produrre postlarve di crostacei e altre specie. Tutta la produzione viene venduta in Indonesia e in tutto il Sud-Est asiatico, con spedizioni via aerea dall’aeroporto internazionale di Bali. L’avannotteria di Sawit (un ettaro di superficie) è vicinissima alla sua casa e usa una tecnologia minima, permettendogli di ottenere ottimi risultati economici. Quando c’è maggior bisogno di manodopera i villaggi vicini si mobilitano e decine di operatori da lui formati collaborano al lavoro in avannotteria. Collaboratori part-time sono utilizzati per l’impacchettamento delle larve e degli avannotti in scatole di styrofoam adatte per la spedizione. Al fine di soddisfare la numerosa clientela nazionale e internazionale, altre avannotterie si sono sviluppate nella zona di Gondol e collaborano attivamente con Sawit e l’associazione. Ma l’attività di Nyoman non si ferma qui: si è infatti specializzato anche nell’ingrasso di cernie in gabbie galleggianti installate nelle vicinanze di casa e nella pesca. E non solo: per diversificare la sua attività, ha piantato due ettari di vigneti che producono uva da tavola, richiestissima in Indonesia.

e poi vengono esportati, per via aerea, in tutta l’Indonesia e all’estero, agli allevamenti per l’ingrasso. La maggioranza degli allevamenti è di piccole dimensioni, da meno di 2 a 10 ettari, mentre meno del 5% è rappresentato da allevamenti di più larga estensione sia d’acqua dolce che di acqua salmastra.

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Il supporto dello Stato per l’acquacoltura Lo Stato, per ottimizzare lo sviluppo e l’intensificazione dell’acquacoltura, ha allestito il National Broodstock Center oltre ai Centri regionali per i riproduttori, che selezionano con programmi specifici di pre-selezione e mantengono selezionati riprodutto-

ri di gamberi, cernie, tilapia e alghe provenienti da tutta l’Indonesia. Sistemi d’allevamento L’allevamento di gamberi in stagni Per l’alto valore economico, l’interesse nazionale e internazionale e la grande estensione degli stagni,

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L’avannotteria di Nyoman Sawit a Gondol. l’allevamento del gambero è considerato molto importante in Indonesia, da parte sia dello Stato che degli investitori. L’allevamento di gamberi (principalmente P. monodon, Tiger shrimp, e P. vannamei) si divide in estensivo, semintensivo e intensivo; questo dipende dalle differenti caratteristiche costruttive degli stagni (terra, cemento, rivestimenti in telo di plastica, aerazione, ecc…) e dalle differenze di gestione (dei mangimi, distribuzione delle acque, ossigenazione, densità di semina delle postlarve). I gamberi si allevano di solito in acque salmastre. Allevamenti continentali in stagni Si tratta di allevamenti in piccoli stagni di circa 1.000 m2. Si seminano 5-10 avannotti di carpa al metro quadrato, lunghi una decina di centimetri. Di solito il periodo d’allevamento dura 3-4 mesi; la sopravvivenza è dell’80%, con un Indice di Conversione Alimentare di 1,2; il peso commerciale è di 250300 grammi per individuo, alla fine del ciclo. La produzione per stagno supera le 2 tonnellate a ciclo. Ove la

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disponibilità d’acqua lo consente, si usano anche raceway in cemento. Di solito si allevano carpe, in particolare Cyprinus carpio, anche in policoltura con altre specie di carpe. In acqua dolce si allevano pure tilapia, rane, tartarughe, pesci ornamentali e pesci gatto con questa tecnologia. Alcune specie locali, come tawes (Barbodes gonionotus) e sepat siam (Thrichogaster trichopterus), sono coltivate anche in policoltura. L’allevamento in gabbie Questo tipo di allevamento si è molto sviluppato negli ultimi anni, essendo una soluzione tecnologica innovativa e di minor costo rispetto alle altre in acqua dolce. Molte gabbie vengono costruite autonomamente, ma se ne vendono sul mercato di piccole dimensioni (4x2x2 metri) o più grandi (7x7x2,5 metri), in gruppi di quattro. Sono poste in laghi, fiumi, dighe e in ogni superficie d’acqua disponibile. Sono diffuse in Java, Sumatra e Kalimantan. I materiali più comuni usati per la costruzione delle gabbie sono bambù, tubi di plastica, barre di ferro e legno. Per il galleggiamento

delle gabbie si usano bidoni di metallo o plastica, styrofoam, galleggianti in plastica; le reti sono ben legate alla struttura. Gli avannotti (tilapia, pangasio e pesci gatto) si seminano ad una densità di 50-70 per m3; a seconda della qualità dell’acqua e della velocità delle correnti si possono mantenere delle densità da 20 a 50 kg per metro cubo di gabbia. Maricoltura in gabbie Viene realizzata su isolotti detti comunemente raft che fanno da supporto a gabbie d’allevamento sia di pesce che di alghe. In vendita sul mercato si trovano gabbie di dimensioni ridotte, da 3x3x3 metri, e gabbie circolari di più di 50 metri di diametro, prodotte sia in Indonesia che in Cina. Quelle più piccole possono essere anche costruite in autonomia. Nelle gabbie in mare, la struttura di ancoraggio deve essere di una robustezza commisurata all’energia delle correnti marine. Le specie marine più allevate sono la cernia indopacifica (Epinephelus fuscoguttatus) e la cernia pagliaccio (humpback grouper, Cromileptes

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Elizito Battista, esperto in acquacoltura di Timor Leste, e Nyoman Sawit, proprietario dell’avannotteria di Gondol, stanno organizzando una spedizione di cernie da Bali (Indonesia) a Dili (Timor Leste). altivelis), oltre ad altre meno diffuse. In generale le specie di cernie che si trovano sui mercati asiatici appartengono alla sottofamiglia Epinephelinae dei generi Epinephelus, Cromileptes e Plectrophomus. Per il primo si seminano 150 avannotti per m3 di 5 grammi e dopo sette mesi, in condizioni ottimali, si raccolgono a 500 grammi di taglia, con basse mortalità. Altre specie di cernie sono più delicate e abbisognano di più tempo. In gabbie marine si allevano con successo anche milkfish, coiba e barramundi. Numerose sono le aree protette dalle correnti oceaniche nelle miriadi di isole dell’arcipelago indonesiano adatte a installare gabbie, che non abbisognano di grandi tecnologie per resistere al moto ondoso. I molluschi bivalvi allevati sono le cozze e le ostriche perlifere; inoltre si allevano gli abaloni (Haliotis sp). L’allevamento di pesci in risaia Questo allevamento si occupa della fase finale, l’ingrasso. Le specie allevate sono la carpa comune, la tilapia e altre specie locali. Si possono

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distinguere tre tipi di allevamento di pesce in risaia (la differenza dipende dal periodo di allevamento rispetto alla coltura del riso): il penyelang (prima del trapianto del riso), il tumpang sari (allo stesso tempo della coltura del riso) e il palawija (fra le due stagioni di coltura del riso: in certe zone si fanno due colture di riso all’anno). L’allevamento delle macroalghe Vi sono quattro metodi per l’allevamento di macroalghe in Indonesia: 1. replicazione delle alghe su fondi sabbiosi o melmosi di bassa profondità; 2. allevamento in galleggianti flottanti (detto “metodo con raft”) in zone protette; 3. allevamento con long-line, che permette una maggiore durata e resistenza al moto ondoso; 4. la combinazione dei metodi 2 e 3. Ogni applicazione dipende dalle condizioni marine e dal costo degli investimenti; più le zone sono esposte, più il sistema deve saper resistere alle situazioni energetiche del mare.

Numerose sono le aree protette dalle correnti oceaniche nelle miriadi di isole dell’arcipelago indonesiano adatte a installare gabbie, che non abbisognano di grandi tecnologie per resistere al moto ondoso

Nelle acque tropicali indonesiane vi sono numerose risorse per quanto riguarda la biodiversità delle alghe marine, con non meno di 500 specie di Gracilaria, Gelidium, Eucheuma, Hypnea, Sargassum e Turbinaria. Più di un milione di ettari sono disponibili per l’allevamento di macroalghe marine secondo il Ministero della pesca. Il Grafico 1 mostra le produzioni dell’acquacoltura indonesiana.

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Il commercio delle specie allevate Le cernie sono le specie allevate più costose e vengono vendute soprattutto all’estero. L’esportazione delle cernie vive avviene con particolare attenzione, per via aerea e marittima, soprattutto in Giappone, Cina, Hong Kong, Taiwan, Corea e Singapore. Lo sviluppo delle alghe ha preso quota negli ultimi anni; i mercati interessati sono soprattutto quelli della Cina, Hong Kong, Danimarca, Filippine e Spagna. In generale si esporta il prodotto grezzo e non lavorato, a scarso valore aggiunto. I canali di vendita tradizionali dominano le aree rurali. La maggioranza delle produzioni ittiche fresche o essiccate sono distribuite attraverso i sistemi tradizionali di mercato e generalmente sono consumati a livello nazionale. Per l’esportazione sono usati grandi complessi industriali integrati verticalmente, ove tutta la catena di produzione rimane sotto il controllo di un’azienda. Il tipico esempio già citato è il Nucleus Estate Scheme, con contratti tra piccoli produttori e grandi compagnie d’esportazione. I prodotti ittici, nel sistema tradizionale, cambiano di mano numerose volte prima di arrivare al punto vendita e infine al consumatore. In aree remote vengono invece trasformati localmente: essiccati, salati, bolliti, fermentati, per la mancanza della catena del freddo. In molti casi i piccoli allevatori non hanno accesso al mercato; i mediatori locali li finanziano, fornendo loro avannotti e alimentazione, e ritirano il prodotto finale da incamminare verso punti di raccolta regionali, industrie di trasformazione, supermercati e mercati di distretto. Nelle grandi città esistono i mercati ittici pubblici, ove i mediatori vendono i propri prodotti. Le leggi di controllo della qualità I prodotti ittici, in Indonesia, sono sottoposti allo stesso livello del pacchetto igiene della Comunità europea e possono essere esportati nella UE (Decisione della Commissione n. 324/94/UE, 19 maggio 1994). Le leggi in questione sono i decreti n.

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41/Kpts/IK.210/1998 e n. 14128/ Kpts/IK.130/1998 che obbligano l’uso delle buone pratiche igieniche e del sistema HACCP con numerosi emendamenti. Circa il 90% della produzione ittica nazionale viene consumata in Indonesia; infatti il pesce è una componente fondamentale della dieta indonesiana, rappresentando due terzi dell’apporto proteico totale a un prezzo accettabile per tutte le fasce sociali. Nel Paese la domanda di prodotti ittici è in espansione, anche perché la popolazione è in aumento; si pensa quindi che l’acquacoltura possa essere la soluzione a questo forte incremento della richiesta nazionale. L’organizzazione istituzionale Il Ministry of Marine Affairs and Fisheries (MMAF o Departemen Kelautan dan Perikanan o DKP) è la principale agenzia responsabile della pianificazione, gestione e amministrazione delle risorse marine e dell’acquacoltura, a livello nazionale, in Indonesia. In particolare, il Direttorato generale per lo sviluppo dell’acquacoltura si occupa dello sviluppo degli allevamenti nelle acque interne e marine. La responsabilità a livello provinciale viene demandata, con larga autonomia, al Provincial Marine and Fisheries Service (Dinas Kelautan dan Perikanan Propinsi) e agli uffici locali. Le leggi che regolano la pesca e l’acquacoltura in modo sostenibile sono la Legge n. 31/2004 e la Legge n. 22/1999 per l’amministrazione regionale. La pesca a strascico è vietata con il Decreto presidenziale n. 39/1980, che incoraggia fortemente l’allevamento dei crostacei. Conclusione Questo breve excursus sull’acquacoltura in Indonesia consente al lettore di venire a conoscenza delle grandi possibilità di sviluppo che ha il settore, in un paese dove le condizioni ambientali, le grandi estensioni disponibili e le acque presenti nella zona continentale e marina sono di ottima qualità e dove i prodotti ittici sono molto importanti per la dieta della numerosa popolazione. Gianluigi Negroni


Caviale iraniano

Huso huso, la perla di Ghorogh di Riccardo Lagorio

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7 miliardi di persone e uno sfruttamento delle risorse ittiche selvatiche impossibile da sostenere. In questo scenario, per necessità l’acquacoltura sta diventando — nel comparto agroalimentare — uno dei settori protagonisti del mercato, tanto che la Banca Mondiale prevede per il 2030 il definitivo sorpasso della quantità di pesce allevato sulla quantità di pesce pescato (Fish to 2030: prospects for fisheries and aquaculture, WORLD BANK REPORT number 83177). Escluse dalle statistiche e dalle proiezioni quei pesci la cui pesca selvatica già da tempo è interdetta per ragioni legate alla tutela della specie. L’Acipenser in particolare, che rappresenta con le sue uova l’essenza stessa dello sfarzo nell’universo gastronomico. Oggi è l’Italia il maggior produttore a livello mondiale di caviale. Si obietterà: che ci fa il caviale in Italia? Ignorando forse che in Italia da sempre si è tratto caviale dagli storioni. Sì, fino a quando BENVENUTA ASCOLI, la Nuta, non cavò nel ghetto di Ferrara l’ultimo granello scuro dal ventre dall’ultimo storione, estinto più dalle dighe e dalle paratie sul fiume Po che dalla pesca forsennata. Erano gli anni Sessanta del secolo scorso. Tuttavia, il luogo che ha sempre catturato l’interesse della coscienza collettiva legandosi a doppio filo al caviale è l’Iran. Dopo gli studi di HOSSEIN ABDOLHAY, che ha seguito per conto della FAO e della Repubblica islamica sino dagli anni Novanta il ripopolamento di Acipenser nella parte meridionale del Mar Caspio (tra gli altri, Artificial reproduction of fish for stock enhancement in south of the Caspian Sea), lo Shilat (ente emanazione del Ministero della Pesca iraniano) ha procurato sino al 2015 agli allevamenti di storione avannotti del peso variabile tra 100 e 150 grammi per la riproduzione in cattività. Da marzo 2016 gli oltre 40 allevamenti di Acipenser iraniano sono tenuti a provvedere in proprio alla riproduzione, alla schiusa delle uova e all’allevamento di avannotti. Uno di questi, nel territorio di Ghorogh, ha adottato singolari accorgimenti per l’allevamento di Huso huso. MARVARID-E GHOROGH (La Perla di

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Le vasche ospitano gli storioni in base all’età e alla dimensione e una volta appurato il sesso, l’individuo viene dotato di microchip che permette di seguirne le varie fasi di crescita. Ghorogh) è una cooperativa che vede tra i soci HOSSEIN ZOHOURI, anche proprietario del marchio Iran Darya che diffonde nel nostro Paese il risultato del lavoro svolto nel parco di allevamento di Ghorogh, nella provincia settentrionale di Talesh. Il direttore della cooperativa, ERFAN VAZIRI, ha eccezionalmente aperto alla redazione de IL PESCE le porte dell’allevamento, a livello internazionale ritenuto tra i più all’avanguardia. Con molte sorprese. Sono oltre 7.000 gli Huso huso che vivono nel centro, situato appena fuori la cittadina, tra campi di riso e direttamente sulla spiaggia di Ghorogh. A questi si aggiungono 400 unità della variante persiana dell’Acipenser transmontanus. È noto del

resto che la rinomanza del caviale iraniano proviene sia dalla natura dell’Huso huso (il cui caviale è noto con il nome di Beluga), che garantisce un particolare tipo di uova, oltre che dalla esperienza dei salatori. Ma l’impianto di Ghorogh ha svelato un altro importante elemento di diversità. Per la funzionalità delle vasche, profonde circa 2 metri, viene captata direttamente dal Mar Caspio l’acqua necessaria. Questa è centrifugata per renderla più ricca di ossigeno e per triturare le sostanze che servono all’alimentazione dei pesci (gamberetti, insetti, parti di piante). Una volta utilizzata dalle vasche un impianto di depurazione attraverso decantazione su sabbia permette la reimmissione nel mare. Si facilita in

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Caviale iraniano di Beluga estratto a Ghorogh. questo modo il mantenimento dell’ecosistema e si garantisce al pesce un nutrimento molto simile a quello che avrebbe lo storione selvaggio. Con innegabili conseguenze positive sotto l’aspetto organolettico. Le vasche ospitano gli storioni in base all’età e alla dimensione. Le escursioni termiche dell’acqua sono assai deleterie per la crescita equilibrata degli storioni. L’ideale di temperatura varia tra 14 e 16°C. In tal senso una squadra di ingegneri sta studiando le modalità per mantenere costante la condizione termica. «Una volta appurato il sesso, l’individuo viene dotato di microchip che permette di seguirne le varie fasi di crescita. I maschi sono avviati alla macelleria al raggiungimento dei 12 kg, intorno ai 4 anni di età; i pochi fortunati da riproduzione, una trentina, sono mantenuti sino a quando possono garantire la piena operatività, ovvero 2 kg di sperma ogni 6 mesi, in grado di fecondare 40 kg di uova, cioè un numero variabile da 8 a 10 di femmine», svela Vaziri. Come è noto, ciascun storione femmina avrà un proprio ciclo pro-

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duttivo: se un individuo potrà dare uova trascorsi 9 anni, per l’altro se ne dovranno attendere 12 o anche più. Sotto questo aspetto il sistema di microchip aiuta a conoscere lo stato di salute del pesce e quindi anche stabilire il suo stato di maturità sessuale. Per le altre specie di Acipenser, come il Sevruga, il periodo di attesa si restringe a 7 anni. Un altro fatto imprevisto nell’allevamento di Ghorogh è la presenza di un pronto soccorso e di un ospedale per gli storioni al fine di garantire il livello di salute dei pesci sempre al massimo livello. In sostanza quando il veterinario si rende conto dello svilupparsi di una malattia, isola il soggetto in una apposita vasca di ricovero, spesso monoposto. Il pesce si tranquillizza, viene sottoposto alla cura più idonea e, una volta guarito, riportato nella vasca d’origine. L’acqua dell’ospedale segue un corso diverso da quella che alimenta normalmente le vasche per evitare il diffondersi di infezioni. Il ritmo di crescita del numero degli animali è in continua progressione e negli ultimi anni si è stabilito sul 20% annuo. Ciò comporta anche la continua

assunzione di personale, al fine di garantire il perfetto funzionamento di un centro che funge da modello per l’intera area. La previsione per l’anno in corso è di estrarre almeno 1,2 tonnellate di uova: una quantità considerevole se si pensa che l’intero Iran produce circa 3 tonnellate all’anno di Beluga, per buona parte destinato all’esportazione. «Ma l’obiettivo è di poter contare nei prossimi tre anni su una nostra produzione di oltre 3 tonnellate. Il mercato ce lo richiede», afferma con una punta d’orgoglio Vaziri. E per la gioia di quei fortunati consumatori di caviale iraniano Beluga. Riccardo Lagorio Caviar Import – Iran Darya Via Piersanti Mattarella 20 B 30037 Gardigiano di Scorzè (VE) Telefono: 041 961610 Web: www.caviale.it Nota A pagina 38 Erfan Vaziri, direttore della Cooperativa Marvarid-e Ghorogh in provincia di Talesh, nell’Iran settentrionale.

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PESCE D’ACQUA DOLCE

La trota armena che diventò sovietica di Nunzia Manicardi

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Sulle sue rive, monasteri medievali e storie di invasioni arabe Il lago Sevan, situato nella parte orientale dell’Armenia a circa 1.900 metri di altezza sul livello del mare, in una conca dei pittoreschi Monti Geghama, è uno dei più grandi laghi d’alta quota al mondo. Insieme al lago di Van (oggi in Turchia) e al lago di Urmia (oggi in Azerbaigian) è uno dei tre laghi dell’antico Regno d’Armenia, soprannominati i “mari d’Armenia”. Meta apprezzata durante i mesi estivi dagli Armeni e dai viaggiatori stranieri, il lago Sevan con il suo Parco Nazionale è un importante luogo storico-naturale. Con le caratteristiche città di Gavar, Martuni, Vardenis e Sevan che si affacciano sulle sue rive insieme con i tanti antichi monasteri medievali, i più famosi dei quali sono Sevanavank, Hayrivank e Noraduz con il suo cimitero di khachkar (le tipiche croci armene di pietra), esso offre a chi viaggia la possibilità di entrare in contatto con la storia, il presente e il futuro dell’Armenia. Sulle sue sponde si combatterono le battaglie contro le invasioni arabe provenienti dalla Turchia, la più famosa delle quali è quella dell’859 in cui Re Ashot riuscì a respingere l’invasione araba. Anche il suo nome, che significa “nero”, sarebbe da far risalire ad uno di questi tentativi di invasione. Narra la leggenda che per sfuggire all’invasione gli abitanti della città di Sevan, attraversando il lago gelato, si rifugiarono sulla vicina isola (oggi è una penisola) dove era situato il monastero di Sevanavank e qui si barricarono pregando Dio di salvare le loro vite. Quando gli Arabi arrivarono, tentarono anch’essi di attraversare il lago ma il ghiaccio cedette facendoli affogare nelle acque ghiacciate. Gli Armeni considerarono questo un intervento divino e, poiché il lago ricoperto dai cadaveri degli Arabi appariva nero, lo chiamarono appunto Sevan. Il più importante bacino idrico del Caucaso Il lago Sevan riceve l’acqua da 28 fiumi di varia importanza e ha come unico emissario il fiume Hrazdan, però solo il 10% dell’acqua che ab-

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bandona il lago esce dal fiume perché il rimanente 90% è soggetto a evaporazione. Rappresenta l’80% delle risorse idriche armene (33 miliardi di metri cubi) ma nel corso degli anni ha subito diverse negative vicissitudini a causa dell’utilizzo massiccio delle sue acque, usate per sostenere i settori agricolo, industriale ed energetico. L’abbassamento del livello idrico e il tentativo di ripristino In origine aveva una profondità di 95 metri. Durante l’epoca sovietica si cominciò a pensare come sfruttare questa riserva d’acqua che però, data l’altitudine, ha un apporto idrico dovuto alle piogge pressoché uguale alla perdita causata dall’evaporazione. Dapprima si propose di abbassare il livello di 45 metri per ridurre la superficie di evaporazione e di sfruttarne l’acqua per l’irrigazione e la produzione idroelettrica. Sotto Stalin il progetto fu modificato, ipotizzando di ridurre il livello dell’acqua di 55 metri riducendo anche il perimetro del lago. Sulle terre emerse si sarebbero piantate noci e querce e si sarebbero introdotte nuove specie di trote per incrementare la pesca. I lavori iniziarono nel 1933. Il letto del fiume Hrazdan fu abbassato e si iniziò a costruire un tunnel di 40 metri sotto il livello originale dell’acqua per la produzione idroelettrica. L’opera, ritardata dalla Seconda Guerra Mondiale, venne finita nel 1949. Alla fine degli anni ‘50 il livello dell’acqua era sceso di circa 20 metri (l’isola con il monastero di Sevanavank era ora collegata alla terraferma e inoltre vennero alla luce molti manufatti dell’età del Bronzo). Alla morte di Stalin, rendendosi conto del disastro ecologico che si stava compiendo, si cominciò a rivedere nuovamente il progetto. Venne messo in piedi un “Comitato Sevan” e un programma di recupero dell’ecosistema, puntando a rialzare il livello dell’acqua e a trasformare la prevista centrale idroelettrica in termoelettrica (cosa effettivamente avvenuta). Nel 1962 il livello si stabilizzò a 18 metri sotto quello originale ma, due anni dopo, il lago subì un fenomeno di eutrofizzazione.

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Esemplare di Salmo ischchan pescato nel lago Issyk-Kul, Kirghizistan (photo © Azat Alamanov, goo.gl/wKVxA9). Si cominciò a pensare si apportare acqua da altri fiumi (e, nel 1970, fu resa obbligatoria la protezione e la razionalizzazione delle acque). A partire dal 1981 furono costruiti due tunnel (di 49 e 22 km) per portare l’acqua di due fiumi al lago ma i lavori per il secondo tunnel proseguirono per 18 km fino al collasso dell’Unione Sovietica e poi si interruppero in seguito alla disputa per il controllo del Nagorno-Karabakh e il conseguente embargo da parte dell’Azerbaigian (1988-1997). Il governo armeno li completò nel 2003 ma questo tunnel stentò a lungo ad entrare in azione mentre dal primo continuava ad arrivare acqua, seppure a ritmo ridotto e discontinuo. Dal 2005 l’aumento delle precipitazioni ha consentito un leggero rialzo che si è stabilizzato a circa 20 metri sotto il livello originale. L’istituzione del Parco nazionale Fortunatamente sono state intraprese, già in epoca sovietica, azioni di recupero, per il cui il lago Sevan,

nonostante i danni subiti, è tuttora un serbatoio naturale d’acqua dolce di fondamentale importanza per la riproduzione e sopravvivenza della numerosa fauna locale. In particolare, nel 1976 è stato fondato il Parco nazionale che protegge 150.000 ettari (di cui circa 25.000 di terra asciutta). È gestito da un centro di ricerca (per conto del Ministero della Protezione della Natura) che provvede a monitorare gli ecosistemi e si impegna a rendere concrete varie misure di conservazione, tra cui la regolamentazione del turismo e la tutela dei monumenti storico-culturali. Protezione delle specie endemiche a rischio La protezione offerta dal parco è rivolta prevalentemente alle specie endemiche e a quelle minacciate di estinzione, tra cui: • piante: acanto, limoni (alcune delle 75 specie conosciute), astragali, isatis del Sevan, sorbi (alcune delle numerose specie

La trota di Sevan ha un valore legato innanzitutto all’interesse faunistico per il suo endemismo caucasico. Le carni bianche e delicate erano ritenute molto pregiate e costituivano un apprezzato piatto tipico

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conosciute), adonis volgensis (specie molto rara); pesci: 9 specie, tra cui barbi, carpe, coregoni, trote; anfibi: 6 specie, tra cui la rana verde maggiore (ridibunda) e il rospo smeraldino (viridis); rettili: 17 specie, tra cui diversi tipi di lucertole (armeniaca, nairensis, rostmbekovi, unisexualis), vipere (eriwanensis, ursinii) e serpenti (natrici, coronelle); uccelli: 267 specie, tra cui cavalieri stilt comuni, cigni selvatici, cormorani, fistioni, folaghe, gabbiani armeni, germani reali, gobbi rugginosi, moriglioni, mignattai, oche selvatiche, morette tabaccate, tadorne ferruginee e altri; mammiferi: 34 specie, tra cui capre selvatiche, faine, leopardi persiani, lontre, lupi, mufloni, puzzole marmorizzate e volpi.

La trota di Sevan rischia l’estinzione Tra gli animali a rischio di estinzione troviamo innanzitutto la trota endemica (trota di Sevan), che già in epoca sovietica era stata affiancata da altre specie (soprattutto il coregone del russo lago Ladoga appartenente, come la trota, alla famiglia dei Salmonidi), che si sono adattate benissimo all’ambiente e che oggi vengono cucinate e servite con ottimi risultati nei ristoranti tipici situati sulle sponde del lago. Si è però scatenata una competizione alimentare che ha ulteriormente danneggiato la trota endemica la quale deve anche battersi contro altre specie introdotte dall’uomo quali il pesce rosso (Carassius auratus) e il gambero turco (Astacus leptodactylus). Anche se quasi estinta nel suo lago d’origine la trota di Sevan sembra però sia riuscita ad adattarsi alle acque del lago Issyk-Kul (Kirghizistan) dove è stata introdotta negli anni ‘70. Attualmente lo stock, come già ricordato, è quasi ridotto al minimo, non ultimo per i fattori di inquinamento ai quali la trota è notoriamente molto sensibile. Solo le acque pulite e incontaminate, oltretutto, ne garantiscono il gusto e la qualità delle carni. Anche la pesca eccessiva dei decenni scorsi ha contribuito alla sua riduzione, motivo per cui la pesca commerciale

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MMenenÚÚ o u t o l e u t are nnel

e ililmmar


malattia capostorno e vari crostacei parassiti. Gli avannotti e gli esemplari più piccoli sono predati principalmente da altri pesci. Durante il periodo di incubazione, le uova sono preda di larve di libellula e di altri pesci.

Piatto tradizionale armeno è la trota al vino accompagnata da succo di limone o melograno, o farcita con nocciola o frutta (photo © russianfoods.com). di questo esemplare è strettamente regolamentata. Elegante come un duca Il suo nome scientifico (Salmo ischchan) è stato preso dalla parola armena ishcan che significa “duca” per indicare la particolare livrea le cui sfumature variano tra il rosa e il giallo a seconda dell’alimentazione e del microclima e per il gusto delle sue carni ritenute molto pregiate. Questa specie esisteva fin da prima dell’uomo e già nel XV secolo godeva di buona fama in ambito commerciale, venendo quindi spesso esportata all’estero. Ha quattro sottospecie Una descrizione generale della specie è praticamente impossibile, essendo la trota del lago Sevan rappresentata da quattro sotto specie1: 1. Salmo ischchan ischchan, forma strettamente lacustre; 2. Salmo ischchan gegarkuni, che risale gli affluenti del lago per la riproduzione; 3. Salmo ischchan aestivalis, presente nel lago e nei fiumi; 4. Salmo ischchan danilewskii, forma nana e stanziale. Inoltre, le singole sottospecie presentano spesso sotto popolazioni con ritmi e terreni di riproduzione diversi. In linea di massima possiamo dire che le forme lacustri ad alimentazione planctonica ricordano nella forma e nella colorazione il coregone

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del lago di Garda; le popolazioni lacustri con alimentazione ittiofaga e a macro-invertebrati somigliano alle trote di lago; le trote diffuse in acque correnti sono morfologicamente vicine alle trote fario e la forma nana ricorda il carpione del Fibreno. Di che cosa si nutre La S. i. ischchan si ciba esclusivamente di crostacei anfipodi bentonici. La dieta per S. i. gegarkuni è composta da invertebrati bentonici, tra cui predominano i crostacei gammaridi, da avannotti e piccoli pesci. S. i. aestivalis si alimenta di invertebrati, principalmente crostacei gammaridi, molluschi e chironomidi. La forma nana S. i. danilewskii è strettamente carnivora e preda esclusivamente invertebrati.

Protezione Dal 1976 una delibera del Consiglio dei Ministri dell’Armenia ha proibito la pesca commerciale delle trote del Sevan e ha istituito il Parco nazionale omonimo. Nonostante queste trote siano endemiche e rare, non figurano però tra quelle protette dalla Convenzione di Berna. S. ischchan non è inclusa neppure nella Lista Rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources). Valore economico La trota di Sevan ha un valore legato innanzitutto all’interesse faunistico per il suo endemismo caucasico. Fino all’istituzione del Parco nazionale e al fermo della pesca, queste trote rivestivano un grande peso come specie commerciale per l’economia locale. Le carni bianche e delicate erano ritenute molto pregiate e costituivano un apprezzato piatto tipico. Oggi, come detto, è raro mangiarle e, al loro posto, si può gustare il coregone. Sempre ottimo (garantito da chi l’ha provato!) ma di valore nutrizionale inferiore.

Tempo di raddoppiamento e dimensioni Il tempo minimo di raddoppiamento della popolazione è, in media, di 1,4 –4,4 anni. Le dimensioni sono variabili a seconda della sottospecie. La più grande è la S. i. aestivalis con una lunghezza massima osservata di 104 cm e un peso pubblicato di 17.0 kg.

Col vino o con melograno e spezie Nella zona di Caucaso la trota di Sevan era solitamente abbinata con il vino, le spezie e i succhi di limone e melograno oppure farcita con nocciole o frutta. La quantità dei piatti tradizionalmente preparati con questo pesce è infinita: può essere cotto, fritto o brasato con mandorle. Il piatto più famoso è la trota al vino (che si dice sia nato proprio qui nel Caucaso, fra Armenia e Georgia) con aggiunta di basilico, dragoncello, erba cipollina e pepe. Nunzia Manicardi

Predatori, parassiti e malattie La specie è soggetta a malattie virali e batteriche, inclusa la peste enterica della bocca rossa (Yersinia ruckeri). Si conoscono diversi parassiti, come Myxobolus cerebralis, agente della

Note • 1. Informazioni tratte da www. ittiofauna.org • A pagina 42 e 43, il monastero di Sevanavank sul lago di Sevan (photo © Fotolia).

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AZIENDE

Marr: crescita di ricavi e redditività operativa di Silvia Saracino

Bilancio positivo per Marr — la divisione del gruppo Cremonini specializzata nella distribuzione di prodotti alimentari alla ristorazione extra-domestica — che ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con ricavi totali pari a 722,8 milioni di euro, in leggero aumento rispetto ai 697,9 milioni del primo semestre 2015. In crescita anche la redditività operativa con Ebitda a 49,5 milioni di euro — a fronte di 47,2 milioni nel 2015 — Ebit a 41,5 milioni, risultato netto consolidato di 25,4 milioni di euro, a fronte di 23,6 milioni pari periodo 2015, e patrimonio netto consolidato

in aumento, a quota 253,7 milioni di euro. Ad aumentare è anche l’indebitamento finanziario netto, passato da 172,5 milioni a 201,8 milioni, dato che però risente dell’acquisizione, conclusa nell’aprile scorso, della società abruzzese DE.AL specializzata nella distribuzione alimentare agli operatori indipendenti della ristorazione extra-domestica con il marchio Pac Food. L’acquisizione rientra nella strategia di aumentare quote di mercato mantenendo i livelli di redditività raggiunti: strategia che ha portato le vendite del gruppo Marr a toccare quota 711,4 milioni di euro

nei primi tre mesi dell’anno (685,6 milioni nel 2015) e 410,9 milioni nel secondo trimestre (395,2 milioni nel 2015). A registrare le performance migliori sono le vendite ai clienti della ristorazione commerciale e collettiva, quindi le categorie street market — la distribuzione alimentare a ristoranti e hotel non appartenenti a gruppi o catene — e national account, operatori della ristorazione commerciale strutturata e della ristorazione collettiva. L’acquisizione della società DE.AL ha permesso, in particolare,

Alla fine dei primi sei mesi del 2016 le vendite di Marr sono state pari a 711,4 milioni di euro, in aumento rispetto ai 685,6 milioni nel 2015, mentre quelle del secondo trimestre hanno raggiunto i 410,9 milioni contro 395,2 milioni dello scorso anno. La società opera su tutto il territorio nazionale e si avvale di circa 800 automezzi.

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Francesco Ospitali, AD Marr. di rafforzare le vendite nello street market: in questo segmento le vendite dei primi sei mesi sono schizzate a 443 milioni di euro — a fronte di 405,2 milioni nel 2015 — con un contributo di 18 milioni di euro dovuti al consolidamento di DE.AL e

di 2,6 milioni di euro relativamente alla società Sama, servizi di commercializzazione e distribuzione al segmento bar, entrata a far parte del gruppo Marr il primo giugno dell’anno scorso. “Il positivo impatto della neo acquisita DE.AL ha beneficiato di un’accelerazione delle vendite a quei clienti che prima dell’acquisizione erano serviti anche da Marr”, scrive l’azienda in una nota. I buoni risultati di Marr sono in linea con il trend nazionale: secondo i dati dell’ufficio studi CONFCOMMERCIO fotografati, la voce “alberghi, pasti e consumazioni fuori casa” ha fatto registrare nei primi tre mesi dell’anno una crescita dei consumi — in termini di quantità — del 2%. Sono invece leggermente calate, ma sempre solide, le vendite di Marr nel segmento national account e wholesale (grossisti), rispettivamente a quota 143 milioni di euro e 125 milioni nei primi sei mesi dell’anno. Il primo semestre si è caratterizzato anche per il rafforzamento della partnership con Baldini Adriatica Pesca Srl e Sfera Spa, entrambe incorporate in Marr con una fusione

approvata dal consiglio di amministrazione nell’ultima riunione prima della pausa estiva. Le due società erano già interamente controllate da Marr con la procedura di affitto di ramo d’azienda; con la fusione si persegue l’obiettivo di una maggiore razionalizzazione della gestione economica, finanziaria e amministrativa. Con l’affitto di ramo d’azienda di Baldini, risalente al 2007, Marr ha rafforzato la posizione nella commercializzazione di prodotti ittici freschi e congelati. Oggi il Gruppo Marr vanta un’organizzazione di oltre 800 addetti commerciali e serve oltre 40.000 clienti (principalmente ristoranti, hotel, pizzerie, villaggi turistici, mense aziendali), con un’offerta che include circa 10.000 prodotti alimentari, tra cui pesce, carne, alimentari vari, ortofrutta. La società opera su tutto il territorio nazionale attraverso una rete logistico-distributiva costituita da 34 centri di distribuzione, 5 Cash & Carry, 4 agenti con deposito e si avvale di circa 800 automezzi. Silvia Saracino

Procede l’internazionalizzazione di Inalca Food & Beverage Lo scorso giugno Inalca Food & Beverage, società controllata da Inalca Spa (Gruppo Cremonini) specializzata nella distribuzione internazionale di prodotti alimentari tipici del made in Italy, è entrata nel mercato australiano con l’acquisizione di una quota di maggioranza del 60% delle società Fresco Gourmet Pty Ltd e Itaus Pty Ltd. Le società sono specializzate nella distribuzione di fresh&fine foods da tutto il mondo, in particolare da Italia, Francia, Spagna e Grecia, con 1.200 referenze e circa 350 clienti (alberghi, ristoranti, catene di ristorazione e grande distribuzione organizzata). Con questa operazione IF&B ha l’opportunità di svilupparsi velocemente nel mercato australiano, che presenta alti tassi di crescita del prodotto importato di alta gamma, soprattutto di provenienza europea: da Sidney sarà gradualmente coperto il territorio con l’apertura di nuove sedi nelle maggiori città. L’acquisizione australiana si è inserita nella strategia di sviluppo del crescente e frammentato mercato asiatico e australe della distribuzione del sempre più ricercato Food & Beverage italiano, focalizzandosi nel segmento medio-alto del canale Ho.re.ca. e garantendo anche alle catene di retail la fornitura regolare delle specialità del Belpaese. Altre opportunità di espansione del business sono in corso di valutazione a Singapore, in Vietnam e nelle Filippine.

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Augusto Cremonini, amministratore delegato di Inalca Food & Beverage.

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RETAIL MARKETING

Keep calm and be “ready to eat” di William Funck

La crescente esigenza di “risparmio di tempo” ha creato nel corso degli anni una maggiore apertura dei consumatori verso prodotti che offrono un risparmio, non tanto in termini economici, considerando i prezzi sempre più alti rispetto ai prodotti basici, ma in termini di tempo, risorsa che con l’attuale ritmo di vita è sempre più scarsa. I piatti pronti, dunque, si confermano un mercato in forte crescita, registrando un virtuoso trend positivo sul totale Italia, sia a valore (+23,4%) che a volume (+18,3%). Stiamo parlando di un mercato il cui giro d’affari si assesta sui 446 milioni di euro (48 milioni di kg). La Distribuzione Moderna (Iper, Super, Liberi Servizi, Discount) traina la categoria incidendo sul 97,8% del giro d’affari, il 75,2% del quale si concentra negli Iper e Super. Tutti i canali crescono, ma a trainare questa impennata sono gli ipermercati, le cui vendite a valore crescono del 41,4% e il cui numero medio di referenze passa da 87 a 107; notevole anche l’aumento delle vendite registrate all’interno dei supermercati (+27,1% a valore, +22,9%

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a volume). I piatti pronti all’interno dei Discount, che valgono 60 milioni di euro (incidenza del 13,5% sul totale Italia), mettono a segno una crescita del 33,8% a valore e del 29% a volume, segnata da un aumento del prezzo medio no promo (da 6,09 a 6,23) e del prezzo medio promo (da 5,36 a 5,92). Anche i tradizionali segnalano performance positive, non particolarmente rilevanti tuttavia in quanto questo canale incide solamente per il 2% sul totale Italia. I consumatori Italiani, esigenti e alla ricerca di soluzioni ad alto contenuto di servizio che facilitino loro la vita, sono disposti a spendere per acquistare questi prodotti ad alto valore aggiunto e, di fatto, questa propensione è confermata dal calo dell’indice d’intensità promozionale nei canali della DM, da 27% a 23%: nello specifico calano sia l’incidenza delle promo di taglio prezzo (–2,5 p.ti) sia quella delle attività in store (–1,2 p.ti). Aumenta il numero di referenze medie nella DM (da 16 a 20), a testimonianza della forte evoluzione dell’offerta, ma anche del desiderio dei consumatori di varietà e novità,

che sono disposti a spendere di più e desiderosi di provare nuovi piatti. Entrando nel dettaglio della categoria i primi piatti e i piatti esotici registrano le crescite più importanti, rispettivamente del 26,5% e del 27,7%, confermando in quest’ultimo caso l’interesse della popolazione per una cucina sempre più internazionale. Nel Nord Italia, che generalmente detta i trend in termini di consumi, l’aumento delle vendite dei primi e degli esotici si affianca ad una notevole crescita (33,5% a volume) delle insalate/contorni nella DM, dato in linea con la forte propensione all’acquisto di frutta, verdura e, in generale, di cibi naturali, che sta caratterizzando i nuovi consumi. La categoria comprende un mix di prodotti che rispondono anche all’esigenza del consumatore odierno di alimentazione sana e naturale. Fonte: Nielsen Insights www.nielsen.com Nota In foto, bastoncini di merluzzo impanati e surgelati.

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Quanto conta il “Made in...” nella scelta dei prodotti da acquistare? Mediamente 2 Italiani su 3 dichiarano che l’origine della marca è importante tanto quanto — o più importante di — altri nove criteri di scelta che possono guidare l’acquisto di un prodotto tra cui assortimento, prezzo e qualità. Questa è una delle evidenze emerse dalla ricerca Nielsen Global Survey of Brand-Origin, condotta intervistando oltre 30.000 utenti internet in 61 Paesi, tra cui l’Italia, per studiare le preferenze d’acquisto verso brand globali (prodotti da società multinazionali che operano in una pluralità di mercati) e brand locali (realizzati da società che operano solo nel loro mercato) su 40 categorie di prodotti, da quelli di largo consumo ai beni durevoli. Il “Made in...” è oggi un driver di scelta di molti consumatori, ma è interessante notare che il sentiment rispetto all’origine del brand varia in funzione della categoria di prodotto. Il 71% degli intervistati nel nostro Paese dichiara di scegliere prodotti italiani per frutta, verdura, carne e pesce (+ 7% vs media europea). Lo stesso orientamento è registrato nei seguenti acquisti alimentari: latte (66%), verdure/pomodori in scatola (61%), gelati (60%), acqua (54%), yogurt (52%), biscotti (48%), succhi di frutta (45%), latte in polvere per bambini (42%). Per le bevande analcoliche frizzanti, invece, la scelta ricade su marche globali (40%; +12% rispetto alla media europea). Lo studio di Nielsen mette, inoltre, a fuoco il vissuto dei consumatori italiani in rapporto all’origine dei marchi dei prodotti acquistati. Per quanto riguarda quelli locali, il sentiment degli italiani è quello di affidabilità (46% Italia; +2% vs Europa) e di vicinanza al consumatore (50% Italia; +3% vs Europa). A questo si aggiunge il pensiero volto al supporto delle aziende locali con effetto positivo sull’economia del paese (61% Italia vs 60% Europa). Nel caso dei marchi globali gli intervistati si dichiarano attratti dalle innovazioni offerte dalle grandi aziende multinazionali (48% Italia; in linea con la media europea). È infine importante considerare la finestra dell’e-commerce e il modo in cui il canale on-line interagisce con l’origine del brand. Da un lato, lo shopping on-line è utilizzato dagli Italiani soprattutto per l’acquisto di marche globali (83% dei fruitori del web) con l’obiettivo di reperire prodotti oltre confine non disponibili nello store fisico di prossimità (in particolare prodotti di elettronica / informatica). Dall’altro lato, gli utenti internet in Italia che acquistano on-line prodotti a marchio locale (66%) si mostrano più propensi all’acquisto di prodotti alimentari (photo © Louis Louro, www.smcconsulting.it). Debora Costi (Nielsen, www.nielsen.com)



COMMERCIALIZZAZIONE

Il kosher e l’halal ittico di Maurizio Dell’Agnello

Quando agli inizi degli anni ‘90 cominciammo a parlare di etichettatura, marchi e disciplinari di prodotto, nessuno avrebbe scommesso su dove il sistema di certificazione ittica sarebbe arrivato. Oggi la riconoscibilità e la chiarezza nei confronti del consumatore e della filiera sono gli elementi fondanti di un complesso di procedure che garantiscono il prodotto, chi lo acquista, ma anche chi lo produce e chi lo vende. Una vera e propria rivoluzione, grazie alla quale il settore ittico è cresciuto rapidamente, affiancando gli altri sistemi produttivi primari che già avevano intrapreso questa strada, dopo aver sperimentato le gravi conseguenze di errori dovuti alla mancanza di chiarezza, di certezze e garanzie sui sistemi di produzione

e su ciò che da essi deriva. Così oggi, quando ci affacciamo al banco di pescheria, è difficile che i prodotti ittici non abbiano le loro etichette, ma soprattutto il loro marchio, che ne garantisce la qualità perché dietro a quel cartellino ci sono rigorosi disciplinari di produzione e controlli di processo che rendono il prodotto diverso da tutti quelli rimasti anonimi, ai quali il consumatore esperto tende a dare minore fiducia. Recentemente, guardando in rete, ho avuto modo di imbattermi in due specifiche certificazioni che si rivolgono ad un vasto bacino di utenti, interessando vere e proprie etnie. Si tratta di particolari forme che sfuggono, almeno in parte, ai tradizionali sistemi conosciuti perché aggiungono un aspetto di non

poco conto: quello religioso. Mi riferisco alle certificazione kosher per gli ebrei e a quella halal per i musulmani, che in Italia interessano comunità rispettivamente di circa 35.000 e 1,5 milioni di individui, cifra quest’ultima per molti sottostimata e comunque destinata ad incrementarsi nei prossimi anni per molteplici ragioni. Non c’è dubbio che per coloro i cui stili di vita sono fortemente pervasi dall’etica religiosa, il rispetto di norme alimentari che discendono dagli antichi testi sacri sia fondamentale e costituisca il proprio modus vivendi, necessario ad aderire ai dettami delle diverse religioni, che trovano proprio nel cibo, nella sua qualità e nel suo modo di utilizzo, uno degli aspetti più importanti.

La chiarezza nei confronti del consumatore è oggi un fattore fondamentale e il problema della certificazione si pone anche per prodotti kosher e halal (photo © Sergey Ryzhov, Fotolia).

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Per quanto riguarda il prodotto lavorato, porzionato o venduto in tranci, la certificazione assume una rilevanza ancora maggiore perché consente di sapere se la parte del pesce deriva da una specie consentita o no, come nel caso della bottarga (photo © TTLmedia, Fotolia). Ma cosa sono le certificazioni kosher e halal e che impatto hanno sui prodotti ittici? Cominciamo dal significato delle due parole che, in entrambi i casi, potrebbe risuonare come cibo “consentito”, “adeguato” ad essere mangiato. Il concetto di “adeguatezza” viene spiegato con un significato tutto religioso che affonda le sue radici nella Torah e nel Corano. Per gli ebrei, per esempio, la questione dell’autocontrollo alimentare è fondamentale, fin dai primi precetti impartiti agli esseri umani: basti pensare alla proibizione, per Adamo ed Eva, di mangiare i frutti dell’Albero della Vita. Anche nel Corano non mancano i dettami alimentari basati su lunghi periodi di digiuno, su ciò che è lecito e buono e cosa no, cioè haram. In questo senso l’atto di bere e mangiare seguendo le regole diventa un mezzo tramite il quale il musulmano di-

mostra la propria osservanza alla religione, e il rispetto del digiuno e dei divieti costituiscono il tramite e il mezzo per aderire alla “regola”. Così, per entrambe le religioni, diventa importante sapere cosa si mangia, come si mangia, ma anche come si produce ciò che si mangia, proprio perché sarà con quello che andremo a nutrire il corpo e lo spirito. Se pur con diversi gradi di adesione, si crede, ad esempio, che mangiando cibo non adeguato si vadano a ridurre le proprie facoltà spirituali, “interferendo sulla comunicazione con la propria anima”. Tutto ciò che si mangia diventa parte integrante del sangue che rappresenta l’anima dell’individuo: mangiando cibi vietati, la nostra anima si rende impura. Ecco quindi che i sistemi di certificazione servono a dare proprio quelle certezze che i

consumatori ebrei e musulmani vanno cercando, al fine di ottemperare ai dettami delle rispettive religioni. Ma il riconoscimento dell’adeguatezza e la sua certificazione presuppongono determinati controlli sulla materia prima e sulla filiera produttiva che un’autorità autorizzata dal rabbinato di Israele e dalle comunità musulmane esegue al fine di stabilire se l’alimento e il suo sistema di produzione possano essere definiti come kosher e halal. La procedura è semplice ed è la stessa dei tradizionali sistemi qualità che ben conosciamo: viene definito un disciplinare produttivo che tenga conto delle istanze stabilite in comune accordo con le autorità religiose, lo si trasferisce in azienda e si va a controllare che le norme siano state rispettate; se così è viene rilasciato il marchio di riconoscimento halal e kosher. Le certificazioni dei prodotti destinati a queste etnie sono ormai molte, adempiendo alle richieste di un consumatore che si sta abituando a riconoscere quel marchio che soddisfa la sua richiesta di sicurezza, sia dal punto di vista della qualità che da quello “spirituale” e riguardano i sistemi di produzione di proteine animali e vegetali. Numerosi cominciano ad essere gli enti certificatori di tali processi, anche perché alimenti come pasta e olio, ad esempio, sono sempre più esportati nei Paesi del Nord Africa di fede musulmana e in America, destinati a cittadini ebrei, ampliando così enormemente il mercato dei prodotti certificati. In questo contesto, come si relaziona il pesce con le certificazioni kosher e halal? Per quanto riguarda il prodotto fresco, le “indicazioni” sono molto chiare e simili per le due religioni: è permesso mangiare

Esempi di marchi halal e kosher utilizzati in Italia per certificare rispettivamente a ebrei e musulmani che si trovano di fronte a prodotti consentiti, ovvero prodotti e trasformati secondo quanto richiesto dai rispettivi precetti religiosi.

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qualunque tipo di pesce dotato di squame e di pinne. Quindi pesci quali trote, salmoni, lucci, triglie, muggini, carpe, merluzzi, naselli, acciughe, alici, aringhe, branzini, spigole, cefali, cernie, dentici, orate, tonni, sogliole, sarde e sardine, sono leciti. Non è consentito mangiare carne di balene, squali, tartarughe, granchi, aragoste, astici, anguille, pesci spada, murene, rombi, razze, calamari, moscardini, seppie, scampi e frutti di mare come cozze, vongole e ostriche. Per quanto riguarda invece il prodotto lavorato, porzionato o venduto in tranci, la certificazione assume una rilevanza fondamentale per sapere se la parte del pesce deriva da una specie consentita o no. È il caso, per esempio, della bottarga, dei pesci filettati, spellati e privati delle squame e delle pinne (importantissimo segno di riconoscimento), nei quali la certificazione è di assoluta importanza. Quindi se si parla di “prodotto della pesca”, i controlli possono limitarsi alle cose sopra accennate,

ma se si tratta di “acquacoltura”, i disciplinari dovrebbero essere più rigorosi perché in questo settore gli interventi dell’uomo sono maggiori, e maggiori e diversificate sono le sostanze con cui i pesci entrano in contatto, a partire dall’alimentazione e dai presidi sanitari, che creano un sistema per certi versi dissimile da quello naturale, accettato dalle comunità religiose. Per il momento, comunque, le certificazioni halal e kosher nel settore ittico non sembrano riscontrare molto interesse. Poche sono le occasioni in cui tali certificazioni sono in grado di fare concretamente la differenza. Del resto, a sentire le persone interessate alla filiera, tra i commercianti pare che non se ne ravvisi minimamente l’esigenza, mentre qualche allevatore “illuminato” dichiara di conoscere la questione, ma di non essersi ancora posto il problema. Solo le case mangimistiche, aziende multinazionali con interessi in più Paesi e quindi con una visione più

internazionale, hanno manifestato un approccio più serio alla questione, in ottica certificativa di filiera. Forse qualcosa si sta muovendo, ma a piccoli passi, sebbene in prospettiva l’idea di apporre il marchio halal e kosher anche al pesce “di pesca” e “di acquacoltura” potrebbe rappresentare un significativo plus commerciale non solo per il bacino etnico già presente in Italia, più garantito dai processi produttivi certificati, ma per quello futuro, in vista dell’aumento dei fenomeni migratori e dello sviluppo delle internazionalizzazioni a cui la certificazione potrebbe dar seguito. Chissà, magari per ora il discorso è prematuro, ma tra qualche anno, potremmo scoprire che questa nostra riflessione sul kosher e l’halal ittico non sia stata solo un esercizio dello spirito, perché altri hanno creduto in essa, facendo crescere il sistema qualità e soprattutto hanno diversificato positivamente il loro business commerciale. Maurizio Dell’Agnello

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INDAGINI

I consumatori contribuiscono sempre di più alla salute degli oceani

L’attenzione alla sostenibilità dei prodotti ittici è in crescita MARINE STEWARDSHIP COUNCIL ha svolto una grande analisi a livello globale sul consumo di prodotti ittici dalla quale è emerso che la sostenibilità è considerata un fattore più importante del prezzo e del brand quando si acquistano questi prodotti. Anche in Italia, rientrata per la prima volta tra i Paesi di indagine, la sostenibilità è uno dei driver secondari principali di acquisto, subito dopo la salute, l’origine e il no-OGM. L’indagine è stata svolta da GLOBESCAN (www.globescan.com), una società di ricerca e consulenza strategica indipendente, secondo la più recente metodologia, campionamento e formulazione delle domande. Nel nostro Paese sono state intervistate 732 persone, di cui

650 consumatori di prodotti ittici. Analizzando complessivamente le risposte del campione, è emerso che il 51% ha una buona consapevolezza e fiducia del marchio blu MSC e delle etichette sostenibili; per queste persone la sostenibilità è uno dei driver principali d’acquisto. Per il 38% la sostenibilità è un elemento moderatamente forte, la consapevolezza e la fiducia delle etichette sostenibili è sotto la media e i driver principali d’acquisto sono i benefici per la salute, la sicurezza e la freschezza. Il restante 11% è più scettico: la sostenibilità è un fattore debole, come la consapevolezza e la fiducia delle etichette sostenibili e negli acquisti viene guidato princi-

palmente da driver primari come il prezzo, la salute, il gusto, la sicurezza e la freschezza. In Italia, il 94% degli intervistati consuma regolarmente prodotti ittici, prediligendo pesce fresco, seguito da surgelato e scatolame. Viene preferito il pescato rispetto all’allevato e questo sottolinea l’importanza che i nostri oceani siano in salute e pieni di vita per le generazioni future. Per il 77% del campione, per contribuire alla salute degli oceani è necessario consumare prodotti ittici da fonte sostenibile e bisogna orientare le proprie scelte verso prodotti certificati, non dimenticando la biodiversità e scegliendo specie sostenibili certificate.

Il marchio blu Marine Stewardship Council. Presente in Italia da poco più di un anno, associato a oceani in salute, pesca sostenibile e certificazione, sta riscuotendo un discreto successo (photo © faitesunpasvert.blogspot.it).

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Frutto vivo della Terra


Secondo quanto emerso dall’analisi svolta da GlobeScan, la sostenibilità è considerata un fattore più importante del prezzo e del brand quando si acquistano prodotti ittici (photo © www.worldoceansday.org). Nel nostro Paese, i prodotti ittici vengono acquistati soprattutto al supermercato (78%) e in pescheria. Questo dato dimostra che anche in Italia, come già successo in altri paesi

europei, i retailers giocano un ruolo fondamentale nel promuovere la sostenibilità ittica e offrire prodotti certificati. In Inghilterra viene effettuata ogni anno una classifica dei

Il marchio blu MSC-Marine Stewardship Council è il più conosciuto a livello globale concernente la sostenibilità ittica, con una awareness del 37%. In Italia, dove MSC opera da poco più di un anno, è fortemente in crescita e i consumatori sono consapevoli del significato del brand. L’atteggiamento del consumatore fa ben sperare in una rapida evoluzione della tematica della sostenibilità anche nel mercato italiano. >> Link: www.msc.org/it

GlobeScan ha condotto l’indagine tra gennaio e febbraio 2016 su un campione totale di 21.877 individui, restringendo l’analisi alle 16.875 persone che avevano acquistato prodotti ittici negli ultimi 2 mesi. Sono stati coinvolti i consumatori di 21 Paesi: Australia, Austria, Belgio, Canada, Cina, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Singapore, Sudafrica, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. I dati sono stati ponderati per essere rappresentativi a livello nazionale per sesso, età, regione e l’istruzione.

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retailers più sostenibili ed è stato istituito anche un premio per il vincitore. Chissà se l’anno prossimo sarà possibile farla anche in Italia? Il 70% del campione intervistato nel nostro Paese ritiene infatti che le etichette sostenibili siano un elemento che semplifica la scelta di acquisto in quanto, per i prodotti ittici ad esempio, è difficile avere tutti gli strumenti e le conoscenze (sulle aree di pesca, le taglie, gli attrezzi…) per compiere la scelta giusta. Per il 68%, addirittura, un’etichetta sostenibile è un fattore preferenziale nell’acquisto del pesce. Ma non solo. Per il 72% l’etichetta aumenta la loro fiducia nel brand e il 79% dichiara di essere disposto a pagare un premium price sui prodotti certificati. Interessante anche notare che, per quasi la totalità del nostro campione (92%), l’etichetta per essere credibile deve essere indipendente. Questo dato è in contrapposizione con la scelta di alcune aziende e retailers di sviluppare propri marchi di sostenibilità garantiti da se stessi, senza controllo da parte di terzi.

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Tutti i prodotti col marchio blu MSC sono tracciabili dal mare al piatto e sono sottoposti al DNA test che garantisce l’attendibilità tra specie dichiarata e offerta

Anche in Italia la scelta di prodotti ittici certificati è in crescita: il 33% del campione dell’indagine nell’ultimo anno ha acquistato più prodotti ittici sostenibili rispetto all’anno precedente. Questo è inoltre in linea con la crescente disponibilità di prodotti ittici con il marchio blu MSC: al momento nel nostro Paese ce ne sono più di 400 e il numero è in continua crescita. Oltre all’etichetta, importantissima per il consumatore è la tracciabilità: il 75% degli intervistati vuole sapere da dove proviene e che “viaggio” ha fatto il pesce che consuma. La tracciabilità è un aspetto fondamentale anche nel Programma MSC: infatti tutti i prodotti con il marchio blu MSC sono tracciabili dal mare al piatto e sono sottoposti al DNA test che garantisce l’attendibilità tra specie dichiarata e offerta. MSC effettua il DNA test due volte l’anno su un campione casuale di prodotti con il marchio blu. Gli ultimi test hanno rilevato che il 99,6% del pescato con il marchio blu è etichettato correttamente (in media il 30% del pescato è descritto o etichettato in maniera non corretta1). Il test è stato fatto su 13 specie differenti e su 356 prodotti unici, venduti dai retailers in 16 Paesi. Questi risultati sono conformi a quanto rilevato l’anno precedente e mostrano che in media, dal 2009, la percentuale di prodotti ittici con il marchio blu MSC non etichettati correttamente è inferiore all’1%. Nota 1. PARDO M. Á., JIMÉNEZ E., PÉREZVILLARREAL B., Misdescription incidents in seafood sector, Food Control 62, 277–283 (2016).

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Carni, pesce e verdure per controllare il peso Nutrition Foundation of Italy rende noto un nuovo studio: un’alimentazione ricca di proteine animali, vegetali, da latte e latticini, migliora quasi tutti gli indici di rischio cardiometabolico, senza compromissione renale

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Nei soggetti sani, un’elevata assunzione di proteine sembra avere effetti positivi sulla quasi totalità dei parametri di rischio cardiometabolico e, anche se seguita per molto tempo, non metterebbe a repentaglio la funzionalità renale. Questi risultati provengono dall’analisi più recente dei dati NHANES, studio di popolazione condotto negli Stati Uniti su oltre 11.000 persone dai 19 anni in su1. In questa analisi si è valutato quanto un consumo crescente di proteine (da fonti varie: carne rossa/ pollame/pesce, cereali e latte/latticini) influisca sia sui parametri indicativi di salute cardiometabolica, come l’emoglobina glicata (che riflette l’andamento della glicemia nel tempo), l’HOMA-Index (correlato alla resistenza insulinica), la pressione arteriosa, la colesterolemia “antiaterogena” HDL, il BMI e il girovita, ma anche su quelli indicativi della funzionalità renale, come il GFR (il tasso di filtrazione glomerulare) e la creatininemia. In questa popolazione, l’assunzione media quotidiana di proteine è risultata in media pari a 82,3 g, per la maggior parte da carni (37,4 g/die), seguite da cereali (24,7 g/die), infine da latte e latticini (13,4 g/die). Al termine dell’analisi si è visto che il consumo abituale di alte dosi di proteine animali e vegetali si associa a miglior controllo del peso, del rapporto peso/altezza e del girovita. L’assunzione abituale di proteine non modifica inoltre negativamente i parametri di rischio cardiometabolico. Fa eccezione un’associazione

positiva tra proteine animali e glicemia, che i ricercatori attribuiscono alla elevata quota di carni rosse e lavorate presente nell’alimentazione media statunitense. Infatti in altri studi, su popolazioni con consumi proteici da carni bianche e pesce, emerge invece un effetto protettivo sul metabolismo glucidico. Il consumo abituale di proteine, poi, non compromette la funzionalità renale, lasciando invariati tasso di filtrazione glomerulare e creatininemia. Emerge solamente un aumento dell’azotemia associato al consumo di proteine animali e di latte e latticini, che riflette probabilmente il maggior turnover metabolico degli amminoacidi ed è quindi di scarsa rilevanza pratica. (Fonte: Nutrition Foundation of Italy2) Nota 1. BERRYMAN C.E., AGARWAL S., LIEBERMAN H.R., F ULGONI V.L. 3RD, PASIAKOS S.M. (2016), Diets higher in animal and plant protein are associated with lower adiposity and do not impair kidney function in US adults, Am. J. Clin. Nutr.;104(3):743-9. doi: 10.3945/ajcn.116.133819. 2. NUTRITION FOUNDATION OF ITALY nasce nel 1976 con lo scopo di promuovere, nel senso più ampio del termine, formazione e informazione sui principi fondamentali della nutrizione e un aggiornamento costante in tema di corretta alimentazione come promotrice di salute. Per info: www.nutrition-foundation.it

Meats, fish and vegetables to control the weight Higher-protein diets are associated with decreased adiposity and greater HDL cholesterol than lower protein diets. Whether these benefits can be attributed to a specific protein source (i.e., nondairy animal, dairy, or plant) is unknown, and concerns remain regarding the impact of higher-protein diets on kidney function. The objective of this study was to evaluate trends of protein source on markers of cardiometabolic disease risk and kidney function in US adults. Diets higher in plant and animal protein, independent of other dietary factors, are associated with cardiometabolic benefits, particularly improved central adiposity, with no apparent impairment of kidney function.

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INTERVISTE

Pesci e prodotti ittici: un consumo da incoraggiare Identici i benefici dal prodotto fresco, surgelato e in scatola: a dirlo è Licia Iacoviello del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, IRCCS Istituto Neurologico Mediterraneo-NEUROMED di Cecilia Ranza

Gli studi più recenti confermano i benefici del consumo di pesce come alimento fondamentale della dieta di tipo mediterraneo. Quali sono i risultati principali che emergono dalle ricerche condotte in Italia alle quali partecipa il vostro gruppo? «Le nostre ricerche italiane (Studio Moli-sani, www.moli-sani.org)

confermano dati noti da tempo anche a livello internazionale: il consumo regolare di pesce (o molluschi, o crostacei), almeno due volte alla settimana, si associa a riduzione della mortalità per tutte le cause e della mortalità cardiovascolare (infarto miocardico e ictus). L’associazione emerge in modo significativo per il

pesce fresco, o surgelato, o in scatola. Nel caso del pesce sotto sale, invece, l’associazione manca di significatività». Che impressione avete, dal vostro osservatorio, sui consumi di pesce in Italia? La crisi economica ha impattato sui consumi?

Diversi studi confermano che ogni settimana si dovrebbero consumare almeno due (e fino a tre) porzioni di pesce.

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Livelli di Omega-3 (g/100 g) in alimenti marini e vegetali Alimento

ALA

EPA

DHA

Omega-3 totali

Olio di semi di soia Olio canola

7,60 9,08

7,60 9,08

Noci

6,64

6,64

Salmone Sgombro Trota Cozze Branzino Tonno in scatola sgocciolato * Merluzzo

0,09 0,15 0,10 0,04 0,01 0,01 0,00

0,89 0,73 0,15 0,27 0,09 0,05 0,03

1,19 1,26 0,50 0,11 0,20 0,22 0,08

2,17 2,14 0,75 0,42 0,30 0,28 0,11

Coscia di pollo Uovo di gallina *

0,03 0,04

0,03 —

0,11 0,05

0,17 0,09

Latte vaccino

0,05

0,05

Legenda ALA: acido alfa-linolenico. EPA: acido eicosapentaenoico. DHA: acido docosaesaenoico. Olio canola: contrazione di Canadian Oil Low Acid, è l’olio derivato da alcune varietà di colza a bassa concentrazione di acido erucico. L’olio di canola è adatto alle fritture. Fonte: INRAN,Tabelle di composizione degli alimenti. * ANSES/Ciqual French food composition table version 2012.

«Poco più della metà degli Italiani, secondo gli ultimi rilevamenti, consuma ancora pesce due volte a settimana, preferendo il prodotto fresco o surgelato/congelato. La crisi ha comunque avuto un impatto abbastanza rilevante sul consumo di tutti gli alimenti che fanno la tipicità della dieta mediterranea: frutta, verdura e, appunto, pesce. Basti pensare che le percentuali considerate oggi come alta adesione a questo modello alimentare sono allineate alle percentuali inferiori misurate a Nicotera, dove si è effettuata la fase pilota del Seven Countries Study, iniziato alla fine degli anni ‘50. Lo studio Moli-sani ha chiaramente dimostrato che, dopo il 2007, l’adesione alla Dieta Mediterranea si è quasi dimezzata, passando dal 31 al 18% nella popolazione monitorata. Nel caso del pesce, in questi stessi anni le percentuali di consumo si sono ridotte dal 62,1 al 57,8% (media quotidiana 43,8 grammi contro i precedenti 46,6). Sembrano numeri modesti, ma la tendenza è chiara,

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soprattutto nelle età più giovani, come abbiamo confermato anche nello studio INHES (Italian Nutrition & Health Survey); si attenua soltanto dopo i 40 anni, età in cui probabilmente la consapevolezza sul rapporto tra alimentazione e salute è maggiore». Secondo le Linee guida (ma anche secondo la vostra esperienza), qual è la porzione ideale e quante porzioni a settimana di pesce possono essere considerate ottimali? «I LARN individuano nei 150 grammi di prodotto la porzione di pesce (molluschi/crostacei) fresco o surgelato. In pratica si può scegliere tra un piccolo pesce intero, un filetto medio, 3 gamberoni, 20 gamberetti o, infine, 25 cozze. Nel caso di pesce conservato, la porzione sgocciolata è di 50 grammi, vale a dire una scatoletta piccola di tonno (acciughe, sgombro, sardine), oppure 4-5 fette di salmone affumicato o mezzo filetto di baccalà. Ogni settimana si dovrebbero consumare almeno 2 (e fino a 3) porzioni di pesce. Bambini

e grandi anziani dovrebbero ridurre le porzioni a 100 grammi per il pesce fresco o surgelato e, in proporzione, anche l’assunzione di pesce conservato sgocciolato». Quali nutrienti apportano pesce, molluschi e crostacei, oltre agli Omega-3 a lunga catena (EPA e DHA)? «Iniziamo dai nutrienti. Non tutte le specie ittiche hanno la stessa composizione. In generale comunque si può affermare che pesci, molluschi, crostacei forniscono proteine, ma anche vitamine: A, D, B1, B2, B12, PP (o niacina). Con 150 grammi si copre il fabbisogno quotidiano di iodio e selenio. Frutti di mare e molluschi (cozze e ostriche soprattutto) forniscono fino a 3-6 mg/100 g di ferro facilmente assorbibile. Presente in buone quantità è anche il calcio. Ma i nutrienti senz’altro più noti del pesce sono gli acidi grassi Omega-3, EPA (eicosapentaenoico) e DHA (docosaesaenoico), ai quali possiamo attribuire gran parte del le valenze nutrizionali positive di questo alimento: riequi-

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librio della lipidemia, una certa azione anti-aggregante piastrinica, effetto anti-aritmico e una generale riduzione dell’infiammazione sistemica di basso grado, fattore di rischio ben noto di malattie metaboliche (diabete), cardiovascolari e di tumori». Quali pesci devono essere preferiti? Ci sono indicazioni particolari per bambini e donne in gravidanza o allattamento? «Anche per il consumo di pesce la parola d’ordine è “varietà”, ma con alcune distinzioni: i grandi pesci carnivori (spada, squalo, tonni di grossa taglia) accumulano più mercurio rispetto a quelli piccoli, di cui si nutrono. Il mercurio, però, è un contaminante ineliminabile, perché è presente in tutte le rocce vulcaniche e viene rilasciato nelle acque di tutti i mari e gli oceani. Per questo, soprattutto nei bambini e nelle donne in gravidanza e allattamento è bene non superare una porzione a settimana di pesce di maggior taglia (il tonno

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utilizzato per le conserve, va detto, proviene invece da una varietà che non raggiunge mai grandi dimensioni) e preferire pesce azzurro, o molluschi/crostacei. Quanto alle diossine, sono inquinanti industriali molto diffusi e persistenti nell’ambiente, che possono essere rilevate anche nel pesce. Alcune diossine sono dannose per la salute dell’uomo, ma il rischio è trascurabile se l’assunzione rimane al di sotto della soglia critica». Che cosa cambia se si consumano pesci da acquacoltura? «L’acquacoltura, a differenza di quanto l’opinione pubblica spesso crede, è garante di una materia prima di qualità, controllata dal punto di vista batteriologico, chimico e biologico. Inoltre, ricordo che l’Europa può contare su una normativa e controlli molto stringenti per quanto riguarda la sicurezza alimentare». Chi non tollera (o non ama) il pesce, può vicariare almeno in parte i benefici della sua assunzione con

altri alimenti, o con una supplementazione di EPA e DHA? «Nelle noci in grandi quantità (in misura minore nei pistacchi e nelle mandorle), ma anche nei legumi e nei vegetali a foglia verde troviamo Omega-3 che, pur non essendo identici a quelli del pesce, hanno comunque un’ottima bioattività. Gli Omega-3 sono presenti anche nell’olio di semi di lino, da noi poco diffuso. Queste sono le fonti da non far mancare mai sulla tavola dei soggetti sani che non tollerano (o non amano) il pesce. Esistono farmaci a base di Omega-3 che, invece, hanno un ruolo soltanto in condizioni particolari come ipertrigliceridemia o aritmie cardiache e vanno assunti dietro consiglio medico». Cecilia Ranza Nota Fonte: Intervista a Licia Iacoviello di Cecilia Ranza dal n. 5 – Giugno 2016 di AP&B – Alimentazione, Prevenzione & Benessere, www.nutritionfoundation.it

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Nuove idee per la commercializzazione dei prodotti ittici di Maurizio Dell’Agnello

In un articolo comparso recentemente su questa Rivista (DELL’AGNELLO M., Quando l’abito fa il monaco, in IL PESCE n. 2/ 2016, pag. 28), ci siamo interessati del modo con cui vengono presentati i prodotti ittici sul mercato e di quali siano le strategie applicate dai produttori per rendere più apprezzabile e riconoscibile il prodotto fresco. Talvolta, per esempio, il produttore trova il sistema per evidenziare la colorazione e l’integrità delle branchie, importante indice di

freschezza, oppure predispone l’animale, prima dell’ingresso nel rigor mortis, in determinate posizioni, per far notare il relativo poco tempo intercorso dalla cattura. Se i produttori si ingegnano per “vestire” al meglio la loro merce, che cosa si inventano i commercianti ittici per attrarre i clienti che vanno ad acquistare quei prodotti? Si conoscono una serie di regole di base che fanno parte della comune modalità di presentazione, come

il letto di ghiaccio su cui di solito il pesce viene posato, a cui, anche per motivazioni di tipo sanitario e di rispetto della catena del freddo, non è possibile derogare. In altri casi si notano gli acquari nei quali viene mantenuto il pesce vivo, pronto per essere scelto individualmente dal cliente. Ma come attrarre l’acquirente prima che arrivi alla pescheria? Unicoop Tirreno, importante struttura commerciale che gestisce

L’Ape azzurra di Unicoop Tirreno. Un’idea per valorizzare il pescato locale e in particolare le specie considerate povere come il pesce azzurro (photo © www.nonnapaperina.it). 68

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E così avete recuperato una tradizione passata? «Esattamente. Ci siamo ispirati a quando, negli ‘60 e ‘70, si usava l’ape per vendere il pesce nelle campagne o nelle piazze cittadine: pesce appena pescato portato direttamente alle persone». Ma si trovano ancora veicoli “Ape” adatti a questo scopo in giro? «Noi abbiamo preso un ape usato, l’abbiamo restaurato, con qualche adattamento per renderlo più gradevole, e adeguato con vasca in acciaio inox inserita all’interno del cassone e spazi adeguati per il ghiaccio e lo scolo dei liquidi». Immagino che il riferimento all’aggettivo “azzurra” abbia quindi più significati… «Certamente. Intanto l’Ape azzurra è ovviamente di colore azzurro e ricco, soprattutto in questo periodo, di pesce azzurro, come acciughe, pesci sciabola, lanzardi e palamite, ma anche di moscardini,

gamberi rosa, San Pietro… Il banco viene allestito a seconda di quello che è disponibile». Dove si può trovare questo ape carico di “azzurro”? «La vendita viene fatta dai nostri colleghi e dal personale del fornitore che ha reso disponibile l’ape. Al momento esiste un calendario per l’Ape che è in tour nei nostri negozi lungo la costa, da Carrara a Orbetello, all’isola d’Elba. Quest’anno ha debuttato, ottenendo molto successo, all’iniziativa Un mare di gusto, a San Vincenzo. In questa specifica occasione è stato dato in prestito per proporci pesce fresco, ma già cotto, grazie ai ragazzi della Scuola alberghiera di Rosignano, che hanno preparato delle degustazioni per i visitatori della festa». “Un luogo azzurro per l’azzurro dei nostri mari”, così potremmo riassumere la singolare idea di Unicoop Tirreno, che ne ha ancora di strada da percorrere! Maurizio Dell’Agnello

LB Comunicazione

supermercati della costa tra la Liguria e la Campania, si è inventata un particolare sistema ingegnoso e curioso allo stesso tempo: l’Ape azzurra. L’idea è quella di rifarsi alle modalità di vendita dei prodotti ittici degli anni passati, quando cioè i prodotti ittici venivano commercializzati per strada sui famosi apini, motocarri della Piaggio nella maggior parte dei casi appositamente modificati con cassoni impermeabilizzati per contenere le cassette di pesce con il ghiaccio e le opportune bilance per pesare il quantitativo da vendere ai clienti. Per saperne di più su questa singolare iniziativa, abbiamo chiesto a MASSIMO NOTI, assistente vendite pesce Unicoop Tirreno, le motivazioni che hanno portato alla sua realizzazione. «Ho seguito il progetto personalmente perché volevo valorizzare il pesce proveniente dalla costa toscana creando un’ambientazione che ne esaltasse qualità e freschezza. L’Ape azzurra è nata in collaborazione con un nostro storico fornitore di Piombino, l’Azzurra Srl».

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IL PESCE IN TAVOLA

Il buon sapore degli scampi di Giorgia Fieni

«È buono crudo», dice MORENO CEDRONI. Ha ragione: grazie a qualche accorgimento (una marinatura nel succo d’arancia o un’aromatizzazione con vaniglia o noce di cocco), in pochi bocconi sentiamo sprigionarsi tutto il sapore dell’Atlantico (e mi raccomando che sia appena pescato, perché non si conserva a lungo), che fluisce libero attraverso la coda gustosa (ottenuta tagliando le zampe, incidendo e spaccando il rosso carapace e togliendo il filo intestinale) degli scampi. La stessa sensazione la otteniamo mettendoli in un’insalata (bastano i kiwi, pure se ANTONINO CANNAVACCIUOLO ci suggerisce l’Insalata liquida di riccia: stracciatella di bufala, crudo di scampi, trucioli di pane, acciughe) o battendoli al coltello per una tartare (con fragole e agrumi, e qui inter-

IL PESCE, 5/16

viene BRUNO BARBIERI, che li serve su ananas alla vaniglia) o per un carpaccio (su cui ANDREA MAINARDI poggia zucchine selvatiche ripiene, crema di foie gras e pinoli tostati). Quelle invitanti code però a tutti ricordano il sambal (con spezie e latte di cocco), il curry (con cipolla, aglio, ghee, coriandolo, zafferano, senape, cumino, peperoncino) e il cocktail (dove si può sostituire la salsa rosa con passata di pomodoro e maionese al Cherry). Ma il buon sapore degli scampi non si perde nemmeno in una cottura al forno (con panure di prezzemolo e mandorle o avvolti in fette di prosciutto crudo o di patate e coperti di olio e rosmarino) o in padella (con peperone verde e fiammeggiate al cognac). Anche se, per una presentazione d’effetto, il consiglio è di trasformarli in una ba-

varese, con l’aiuto di panna montata, mascarpone e carciofi. BENEDETTA PARODI ci avverte sul loro uso come condimento. «L’inconveniente della pasta con i crostacei è che, se il sugo non è fatto davvero bene, risulta slegato e la pasta resta una semplice pasta in bianco con qualche scampo di decorazione. Il rischio non esiste se gli scampi vengono frullati e diventano un’irresistibile salsa». Spetta a voi dunque scegliere se seguire o meno il suo suggerimento, quando li aggiungete alla ricetta delle mezze maniche con ricotta e zafferano, degli gnocchi di patate alla rucola (o di cavolfiore con ciliegie, vi sussurra LORENZO COGO), degli strozzapreti patate e carciofi, dei noodles agli spinaci (o con prosciutto cotto, pollo e fagioli), del risotto e delle tagliatelle

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Preparazione degli scampi in tempura (photo © Leung Cho Pan). con scorze di arancia e peperoncino di Espelette. Per i paccheri ripieni di scampi e serviti su salsa di panna e ostriche il consiglio invece ve lo do io: meglio crudi. Non ci riflettete nemmeno, invece, sul presentarli fritti, perché sono ottimi: basta una classica tempura (potete anche aggiungervi salsa di ostriche e, una volta pronti, cospargerli di miele) o un passaggio prima nell’albume e poi nel sesamo (che li rende leggeri e croccanti), oppure metterli nella

Molti sostengono che per cucinare lo scampo valgano le stesse regole applicabili per il gambero, il che è relativamente vero. Di certo questo crostaceo si presta a mille preparazioni, con risultati sempre ottimi

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frittata, con funghi e sherry. Sono pure perfetti per gli appetizer e i finger food! Immaginate gli scampi su una bruschetta (con olive e pomodori), nel ripieno di un peperone rosso baby o dei calamaretti, su un bel tagliere con formaggi e salumi (burrata, prosciutto Serrano o anche un latticino fresco vegan, di fave al limone, radicchio e mela), in un club sandwich (con yogurt alla curcuma al posto della salsa), in una caponatina, nei vol-au-vent o, con le triglie, nel ripieno di un arancino di riso Venere. Non arriverete, forse, ad esaltarne la dolcezza come fanno gli chef, ma vi ci potete avvicinare. Osserviamo perciò con meraviglia le loro creazioni. SIMONE RUGIATI prepara una base di scampi scottati al brandy e immersi in una gelatina di cachi, ne crea delle monoporzioni e su ognuna mette diverse combinazioni di spezie e sali. SALVATORE TASSA serve quelli dell’Adriatico con muschio dei boschi disidratato, per dare al tutto un aroma affumicato. CARLO CRACCO li mette, con le nocciole, in un brodo di sambuco. A Identità Golose 2014 NIKO ROMITO li

ha trasformati in tagliatelle. NORBERT NIEDERKOFLER cucina la Variazione di fegato grasso con crème brûlée e scampi. MAURO ULIASSI lo Scampo zen al sakè con aria di cedro e insalata di ananas e cetriolo. ERRICO RECANATI Lo scampo rincorre la lepre. «È un piatto in cui la lepre viene cotta sottovuoto e poi rivitalizzata e fatta caramellare in padella; si alterna un pezzo di scampo e uno di lepre e si accompagna con del burro di crostacei». DAMIANO NIGRO, per cuocerli, aromatizza la vaporiera con le mandorle. QUIQUE DACOSTA prepara una meringa e la usa per racchiudere uno scampo di Dénia. Il sapore degli scampi sarà anche tutto nella coda, ma di certo è un concentrato di gusto indimenticabile! Giorgia Fieni Nota A pagina 71 “scampi alla busara”, piatto tipico della città di Trieste molto probabilmente ereditato dalle influenze dalmata-istriane, con pomodoro, peperoncino, pangrattato, prezzemolo, aglio, olio e sale (photo © mangiarebuono.it).

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1. 2. 3. 4. 5. 6.

Atlanfish Connemara Seafoods Dungarvan Shellfish Emerald Mussels Errigal Bay Gallagher Bros (Fish Merchants)

7. Irish Fish Canners 8. Irish Seafood Producers Group (ISPG) 9. Keohane Seafoods 10. Killybegs Seafoods 11. Kush Shellfish 12. Norfish

13. 14. 15. 16. 17. 18. 19.

O’Cathain Iasc Premier Fish Rockabill Shellfish Sean Ward Fish Exports Shellfish de la Mer, Sofrimar The Irish Organic Salmon Co.


Scorfano, un mostro, ma… di bontà! Le sue carni sono magre, compatte e gustose, ricche di proteine, Omega-3 e sali minerali. Ottimo al forno, all’acqua pazza e in umido con patate, è un ingrediente fondamentale delle zuppe di pesce come il cacciucco alla livornese, il brodetto all’anconetana e il cuscus alla trapanese di Nunzia Manicardi

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Lo scorfano è un pesce di fondo dalla carne compatta e gustosa. Notevoli sono anche i suoi valori nutrizionali: è ricco di proteine di buon valore biologico e povero di grassi, per lo più polinsaturi, quindi benefici per il cervello e il sistema cardiocircolatorio. È ideale nei regimi dietetici ipocalorici e per coloro che hanno problemi digestivi

Lo scorfano rosso è più pregiato, ha carni sode e gustose ed è indicato nella preparazione della zuppa di pesce. Si cucina lesso, in umido con pomodoro e rientra nella preparazione di zuppe di pesce e brodetti

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Più brutto di così… È tanto orripilante che, sbrigativamente, con il termine scorfano si indica a livello popolare una persona brutta e sgraziata. E in effetti lo scorfano rosso (Scorpaena scrofa, LINNAEUS 1758), pesce della famiglia degli Scorpaenidae, ha un aspetto quasi mostruoso che deriva da alcune inconfondibili caratteristiche fisiche: innanzitutto le appendici carnose sul mento, che nessun’altra specie di Scorpaena ha, e poi l’appendice allargata sull’occhio. Ma è tutto l’insieme che fa paura, sia per la testa massiccia (forse in proporzione anche più grande che nei congeneri), spinosa e ricoperta di appendici cutanee, sia per il colore rosso vivo che accentua la forza dell’impatto visivo. Talvolta però, essendo un pesce mimetico, può anche essere rosa, marrone o giallo zolfo, variegato di scuro in vari modi e, in genere, con una macchia nera al centro della pinna dorsale. Ma il risultato… non cambia! Lo scorfano è diffuso nell’Oceano Atlantico orientale, dalle isole britanniche al Marocco, lungo le coste delle Canarie e delle Azzorre e nel Mar Mediterraneo. Abita i fondali rocciosi, sabbiosi e fangosi da 15 metri fino a 200 metri di profondità, diventando così preda ambita dai pescatori litoranei e da quelli subacquei. Può raggiungere anche i 50-60 centimetri di lunghezza, ma comunemente è sui 20-30. Si distingue dallo scorfanotto (Scorpaena notata), che pur avendo la medesima colorazione ha dimensioni molto più piccole, e dallo scorfano nero (Scorpaena porcus) per il colore e le appendici più sviluppate. Il corpo dello scorfano rosso è tozzo e la testa molto grande, sproporzionata rispetto ad esso. Inoltre, come già detto, è provvisto di numerose creste e spine e di appendici carnose sul mento. Più che le doti di nuotatore sono soprattutto le sue capacità mimetiche che gli permettono, utilizzando la tecnica dell’agguato, di procurarsi il cibo. Sta infatti quasi sempre immobile in un punto rialzato del fondale aspettando che una preda gli passi davanti.

È anche dotato di veleno In aggiunta all’aspetto terrificante c’è pure il fatto che lo scorfano è dotato di veleno. Esso è prodotto dalle ghiandole velenifere che si trovano all’interno delle spine della pinna dorsale, molto grandi e robuste. Se le si tocca pungono, provocando un intenso dolore. Questa puntura non è mortale, però può comunque provocare stati di perdita di coscienza, vertigini e ipotensione. Occorre risciacquare e disinfettare subito la parte interessata, togliere le spine e tenerla o sotto la sabbia o in ghiaccio perché il veleno dello scorfano si attiva con il calore. Una miniera di benefici per la salute: proteine, grassi Omega-3 e sali minerali Tra aspetto orribile e puntura velenosa, lo scorfano sembrerebbe un pesce da cui girare alla larga. Invece non è così, perché le sue carni sono molto apprezzate e ricercate per la compattezza e il sapore e anche perché forniscono un apporto notevole dal punto di vista nutrizionale, ideale pure per le diete ipocaloriche e ipocolesterolemiche. Si tratta infatti di un alimento davvero poco calorico, in quanto 100 grammi apportano soltanto 80 Kcal, ma ricchissimo di proteine, che costituiscono addirittura il 19% del peso complessivo. Un pesce “magro”, che apporta pochi grassi e tutti insaturi (quelli “buoni per la salute”): una sana fonte di acidi grassi polinsaturi (Omega-3), che aiutano a controllare la concentrazione plasmatica del colesterolo LDL. Ricchissimo è anche l’apporto di sali minerali, soprattutto potassio, fosforo, calcio, ferro e magnesio. Commercializzazione e sfilettatura Tra le circa 200 specie di Scorpaenidae, lo scorfano rosso è certamente quella più grande e commercialmente pregiata; tuttavia, lo si trova sui mercati italiani in quantità limitate. Essendo un pesce molto spinoso e difficile da pulire, viene spesso proposto in vendita già sfilettato, pronto per essere cucinato al forno o fritto in padella (come si fa, in quest’ultimo caso, per i filetti di baccalà). Per

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Sul mercato italiano lo scorfano si trova in quantità limitata pur essendo le sue carni molto apprezzate. Difficile da pulire, spesso è messo in vendita già sfilettato (photo © Lulu, Fotolia). mantenere i valori nutrizionali le cotture ideali sono però quella al forno e al vapore. Nelle preparazioni tradizionali italiane lo si preferisce far bollire come ingrediente della zuppa di pesce, del guazzetto e del sugo per la pasta, riducendo in questo modo l’apporto di sali minerali (che comunque possono sempre essere recuperati grazie alla “scarpetta”, intingendo cioè il pane nel brodo residuo anche se il galateo inorridisce al solo pensarlo!). Da questo punto di vista è considerato un ingrediente indispensabile per preparare dei piatti che sono il vanto di alcune regioni italiane: il cacciucco alla livornese, il brodetto all’anconetana e il cuscus alla trapanese. Il cacciucco alla livornese Il cacciucco alla livornese è, come dice il nome, un piatto tipico della cucina livornese e viareggina. Questa zuppa di pesce è composta da diverse qualità di pesci, crostacei e molluschi che si mettono a cuocere, in tempi diversi a seconda del diverso tempo di cottura richiesto, in salsa di pomodoro. Il tutto, a conclusione,

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viene poi adagiato su fette di pane abbrustolito e agliato poste sul fondo del piatto. La ricetta del cacciucco tradizionale prevedeva 13 specie ittiche, ma solitamente si riducono a 6 o 7 in base al pescato del giorno per cui non esiste di fatto una ricetta precisa. La cosa fondamentale, ai fini del buon risultato, è che si tratti di pesci “da zuppa” fra i quali primeggia lo scorfano insieme con tutto il pesce nostrano definito genericamente “povero”. Sarebbe bene comunque rispettare la proporzione data dalla presenza di almeno una specie ittica in ciascuno dei seguenti gruppi di ingredienti: molluschi cefalopodi (polpo, seppia, calamaro), molluschi bivalvi (cozze, vongole), pesci di scogliera (scorfano, sciarrano e cappone di piccole dimensioni, generalmente sotto i 15 cm), piccoli squali a tranci come palombo e nocciolo e crostacei (cicale, scampi). È un piatto robusto, che benissimo si accompagna, come vuole la tradizione, con il vino rosso, sfatando l’infondata opinione che esso non sia adatto al pesce. Il cacciucco sarebbe nato, come è logico supporre, dalla povertà e

dalla fantasia popolare che, come nel caso di tante altre preparazioni ovunque realizzate con ingredienti misti, spingevano a cucinare con quello che c’era o che c’era rimasto (in questo caso con gli avanzi della pesca rimasti invenduti). C’è però chi ama attribuirgli radici più sofisticate, interpretandolo come un simbolo della generosità popolare per cui sarebbe una specie di “colletta” culinaria, cioè un piatto nato dalla raccolta dai pesci offerti dai pescatori alla famiglia di un loro compagno morto durante una tempesta. Un’altra leggenda lo vorrebbe simbolo delle origini di Livorno e della sua popolazione composta da un amalgama di genti e di comunità diverse (Ebrei, Armeni, Greci, Levantini, Tedeschi, Portoghesi, Francesi, Anglicani, Olandesi e, naturalmente, Italiani, in particolare Toscani), ognuna con le proprie usanze gastronomiche che nel cacciucco sarebbero rappresentate in un insieme indissolubile e gustosissimo. Secondo lo storico livornese di origine siriana PAOLO ZALUM (citato da ALDO SANTINI nel suo libro “Per

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Cacciucco Pride, il primo Festival gastronomico della città di Livorno Cacciucco Pride 2016, svoltosi dall’1 al 3 luglio scorsi, è stato il primo Festival gastronomico di Livorno volto a celebrare il piatto simbolo della città. Tre serate all’insegna del cibo certificato con le cinque C, con tanto di Cacciucco Gala di beneficenza. Un evento davvero coi baffi (di polpo), vista l’originalissima mascotte da usare per farsi un selfie e caricarlo su Facebook o Instagram con l’hashtag #cacciuccopride (photo © Guarnotta). Cacciucco è un termine che rimanda alla mescolanza, alla fusione di popoli e identità, come è la cultura livornese. Allo stesso tempo, rimanda alla necessità, al sostentamento che, grazie all’ingegno e alla tenacia, diventa fantasia. «Quella che si chiama livornesità — ha dichiarato l’assessore uscente al turismo Nicola Perullo — è composta da diversi elementi: il mare, gli spazi aperti, i colori del cielo, il vento di libeccio, l’amore per lo sport, il carattere sanguigno, molte altre cose ma anche la tradizione culinaria. Livorno, come città portuale di traffici e scambi, ha infatti una bellissima storia gastronomica, attraverso la quale è possibile pensare tanti aspetti del suo tessuto sociale e culturale: la contaminazione, lo scambio e la mescolanza, l’accoglienza. Cacciucco e ponce sono i due simboli più famosi, ma ce ne sono tanti: le triglie alla livornese, gli zerri sotto il pesto, le acciughe alla povera, il riso nero, ecc… Cacciucco Pride è una festa della città che si apre all’Italia e al mondo, accogliendoli in un abbraccio attraverso il canale di socializzazione più immediato e universale: il cibo. Vorrei che questo fosse l’anno zero di un appuntamento fisso, che di anno in anno si arricchirà di stimoli e spunti in chiave gastronomica e non solo». Lo vorremmo anche noi. Bravi, bravi, bravi! >> Link: www.cacciuccopridelivorno.it

un Cacciucco del duemila”, Debatte Editore 2008), il cacciucco sarebbe stato inventato da un guardiano del Fanale, il faro del porto, al quale un editto della Repubblica fiorentina proibiva di friggere il pesce perché l’olio doveva essere usato per alimentare la luce del faro. Anche sulle origini del nome esistono diverse ipotesi. La più probabile e accettata dai linguisti è che esso derivi dalla parola turca küçük, che significa “di piccole dimensioni”, in riferimento ai pezzetti piccoli che compongono la zuppa. Altri ritengono invece derivi dallo spagnolo cachucho, che è il nome specifico di un pesce, simile al dentice, ma che viene usato anche per indicare il pesce in generale. C’è anche chi pensa che il nome derivi dal piatto tipico vietnamita canh chua cá (zuppa di pesce agra) e che potrebbe essere stato introdotto a Livorno dai marinai di ritorno dall’Estremo Oriente. Quello che è certo è che, qualunque sia l’opinione, tutti i livornesi si sono schierati compatti, con il consueto ardore, a difesa del loro cacciucco e del suo nome quando l’azienda Buitoni ne ha immesso sul mercato uno surgelato. Nonostante l’intervento del sindaco di Livorno per cambiare il nome sulla confezione, scrivendo genericamente “zuppa di pesce”, il cacciucco surgelato è ancora in commercio, anche se non riporta più la dicitura “alla livornese”. Il brodetto all’anconetana Il brodetto all’anconetana è un simbolo per la cucina delle Marche, essendo il piatto di apertura di qualsiasi banchetto a base di pesce. Proprio per questo è oggetto di un’eterna contesa, in quanto tutte le città e i paesi della costa marchigiana ne rivendicano le origini. Esistono infatti numerose varianti di questa zuppa che combina insieme le specie ittiche più saporite e adatte alla preparazione e che risulta alla fine più saporita e densa del solito, tanto che può benissimo fungere da primo piatto o addirittura da piatto unico anziché da antipasto. Spartiacque della tradizione è il Monte Conero, come è ben spiegato nel sito www. cercaturismo.it: a nord, fino a Pe-

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Cuscussiera trapanese dei primi del ‘900 (photo © blog.giallozafferano.it). saro, il brodetto si insaporisce con i pomodori; a sud, verso l’Abruzzo, si preferisce solitamente la zafferanella, uno zafferano selvatico che cresce dalle parti di Porto Recanati, città che dà il nome alla variante “recanatese”. Ma la ricetta più antica, la tradizione più radicata, di cui ogni chef giura di conoscere il segreto, è certamente quella di Ancona, che si tramanda immutabile di generazione in generazione. Pare che i cuochi anconetani sottopongano i loro aiutanti ad un formale atto di giuramento

affinché non rivelino mai gli accorgimenti capaci di conferire un tocco di unicità alla più classica zuppa dell’Adriatico centrale. In ossequio a una tradizione che affonda le sue radici nei riti della Settimana Santa, le varietà di pesce devono essere 13 come i partecipanti all’Ultima Cena (così come abbiamo appena visto anche nel caso del cacciucco livornese, sul mare opposto). Qualcuno sottolinea inoltre la corrispondenza numerologica con le 13 cannelle che sporgono dalla Fontana del Calamo, un bel monumento cinquecentesco

che si incontra passeggiando per Corso Mazzini, nel capoluogo marchigiano. Per preparare il brodetto all’anconetana bisogna innanzitutto utilizzare le varietà di pesce che si trovano nel mare antistante Ancona e, tra di esse, non può mancare lo scorfano, che risulta essere l’ingrediente principale anche perché è quello che con le sue carni compatte dà solidità all’intera preparazione. È preferibile cuocere in un coccio (terracotta) dove, in olio extravergine d’oliva e un po’ d’acqua, si mette a rosolare una cipolla sottile con una costa di sedano e una carota tritate. Si aggiungono poi un battuto di aglio e prezzemolo, lo scorfano, i pomodori pelati a pezzetti, sale e pepe. Una volta cotto, lo scorfano va passato al setaccio e rimesso a cuocere con le altre varietà di pesce che saranno aggiunte gradualmente, cominciando con seppie e calamari, a seconda del tempo di cottura necessario. Al primo bollore si dà una spruzzata d’aceto e si lascia sul fuoco per circa venti minuti, a fiamma bassa, facendo attenzione a che il pesce sia sempre del tutto coperto dal sugo. Quando quest’ultimo è ben denso, si spegne e si lascia il recipiente coperto per qualche minuto. Si serve, come per il cacciucco, versando la zuppa su una fetta di pane casereccio ab-

Tradizione protagonista del Festival del Brodetto e delle Zuppe di Pesce La tradizione del brodetto fa parte della storia di Fano (PU), delle abitudini, della cultura cittadina e dei suoi abitanti tanto quanto le mura, le chiese e le antiche vestigia. Non si può infatti dimenticare che l’enogastronomia è un carattere culturale molto forte e, insieme alle altre cose, può spesso farsi ambasciatrice del territorio in modi inaspettati. Ed è così che il Festival Internazionale del Brodetto e delle Zuppe di Pesce, manifestazione dedicata a questo piatto straordinario, ha raggiunto quest’anno la 14a edizione. Quattro giorni, dall’8 all’11 di settembre, ricchissimi d’iniziative gastronomiche e culturali, in grado di portare in città migliaia e migliaia di visitatori. Molto apprezzata la Scuola di Brodetto, durante la quale è stato possibile imparare i segreti del pesce e di questa tradizionale ricetta fanese, così come “El Brudet de casa”, gara tra cuochi amatoriali che si sono sfidati preparando su un palco allestito per l’occasione le personali ricette di brodetto tradizionale. «Questo Festival non è soltanto una semplice occasione di degustare il piatto, disfida tra cuochi eccellenti, ricerca del miglior abbinamento — affermano il presidente Confesercenti Pesaro e Urbino Alfredo Mietti e il direttore Confesercenti Pesaro e Urbino Roberto Borgiani — ma anche conoscenza ad ampio raggio di tutto ciò che ruota intorno a questo piatto e all’ambiente che lo ha generato». Appuntamento al 2017. >> Link: www.festivalbrodetto.it

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brustolito collocata in ogni piatto fondo. Può anche essere utilizzato come condimento per la pasta, ma in tal caso bisognerà omettere l’aceto e spegnere un po’ prima perché sia meno densa. Nella variante recanatese, a parte l’assenza del pomodoro e la presenza dello zafferano, i pesci vengono infarinati prima di essere messi nella casseruola. Ne deriva una zuppa ancora più densa del brodetto di Ancona, con un bel colore bronzeo a fine cottura. Anche nel caso di questo brodetto l’abbinamento con il vino non esclude quello rosso, tutt’altro. Rosso, rosato o bianco, si sposa alla perfezione con questo piatto tipico che, da solo, meriterebbe un viaggio nelle Marche. Il cuscus alla trapanese Molti credono che il cuscus sia entrato solo di recente nella cucina italiana in genere e, specificamente, in quella siciliana, introdotto dalle ultime migrazioni. In realtà non è così perché il cuscus, questi agglomerati o granelli di semola cotti a vapore (del diametro di appena un millimetro prima che la cottura li gonfi) è sicuramente un alimento tipico del Nordafrica ma anche, da tempo immemorabile, della Sicilia occidentale, tant’è vero che il cuscus di pesce alla trapanese è uno dei piatti tipici locali più rappresentativi e conosciuti. Gli ingredienti sono: cuscus precotto (si trova facilmente nei supermercati), pesci da zuppa di varie qualità (scorfani, dentici, triglie, orate, gamberi, ecc…), olio extravergine d’oliva e, per il sugo, carote, sedano, cipolle, aglio, prezzemolo, alloro, pomodori maturi pelati tagliati a dadini (oppure i pelati già pronti), zafferano, mandorle tritate, sale e pepe q.b., paprika e peperoncino a piacere. Nel sito www.ricettedisicilia. net troviamo le indicazioni per la ricetta tradizionale secondo la quale bisogna innanzitutto preparare il cuscus in modo casalingo e questo lo si fa utilizzando una mafaradda (un apposito recipiente di terracotta verniciata a fondo piatto e bordi svasati) e un lemmo (è un altro recipiente di terracotta verniciata e svasata che possa contenere la semola già

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Il Cous Cous Fest a San Vito lo Capo La Palestina è il paese vincitore del Campionato del mondo del cous cous, svoltosi nell’ambito del Cous Cous Fest, il festival internazionale dell’integrazione culturale organizzato dall’agenzia di comunicazione Feedback di con il comune siciliano di San Vito Lo Capo, (TP) la cui 19a edizione è andata in scena dal 16 al 25 settembre scorsi. 10 i Paesi che si sono sfidati tra i fornelli: Italia, Brasile, Francia, Israele, Marocco, Tunisia, Isole Mauritius, Palestina, Senegal, Stati Uniti. 10 i giorni in cui il profumo di cous cous ha inebriato le vie di questo bellissimo borgo marinaro. Ogni giorno, musica, incontri con chef stellati e brillanti food blogger, cooking live show e tante ricette di cous cous da assaggiare negli stand montati lungo le vie principali del paese. Un semplice piatto della cucina mediterranea è diventato simbolo di integrazione e scambio culturale ma anche il collante di uno degli eventi più attesi di fine estate ospitato in un paese che vanta una delle spiagge più belle d’Italia. >> Link: www.couscousfest.it

lavorata). Si comincia mettendo in una ciotola acqua e sale (5 grammi di sale per ogni 100 cc di acqua), dopo di che si procede all’incocciatina depositando nella mafaradda un pugnetto di semola e, accanto ad essa, un cucchiaio d’acqua salata. Si lavora con movimenti rotatori delle dita in modo da far assorbire l’acqua alla semola e, nello stesso tempo, formando dei granelli che vengono depositati nel lemmo fino ad esaurimento della semola, poi si aggiunge alla semola incocciata un filo d’olio extravergine d’oliva e, con il palmo delle mani, si sfrega in modo che, alla fine, tutti i granelli siano unti d’olio e ben sgranati. La pentola tradizionale per cuocere il cuscus (cuscussiera) usata nel Trapanese è composta da una sorta di colapasta di terracotta verniciata a fondo piatto, con relativo coperchio, e da una pentola dai bordi alti capace di ospitare la cuscusiera. Ne esistono oggi anche delle versioni in acciaio o in alluminio. La cottura del cuscus è dunque a vapore. Si riempie per tre quarti la pentola con l’acqua aggiungendo un filo d’olio per mantenerne il bollore non eccessivo, vi si adagia sopra la cuscusiera e si prepara la cuddura (questo passaggio si evita se si possiede una pentola alla francese, cioè in metallo, perché altrimenti con l’impasto di acqua e farina dobbiamo

ottenere un composto che ci consenta di sigillare il punto di unione fra la pentola e la cuscusiera in modo che il vapore fuoriesca soltanto dalla cuscusiera). Una volta completata questa operazione si dispongono 4 o 5 foglie di alloro sul fondo della cuscusiera e vi si mette sopra il cuscus. Con il manico di un cucchiaio di legno si praticano dei buchi nel cuscus che fungeranno da camino per il vapore che fuori uscirà. Si mette il coperchio e si pone sul fuoco. Non appena il vapore uscirà dai buchi praticati nel cuscus si deve abbassare la fiamma e far cuocere per circa due ore e mezza durante le quali bisogna mescolare ogni tanto (10-15 minuti) e praticare tutte le volte di nuovo i buchi come già descritto. Nell’ultima parte di cottura si mescola un po’ più spesso, ripetendo la procedura fino a completamento della cottura. Quando il cuscus sarà cotto si riversa nel lemmo, si ricopre con il brodo di pesce preparato nel frattempo e si mette a riposare per una mezz’oretta con il coperchio e, al di sopra, con un panno di lana. Si serve nei piatti da portata irrorando con altro brodo e pezzetti di pesce accuratamente spinati. Nunzia Manicardi Nota A pagina 74 scorfano rosso (photo © Lulu, Fotolia).

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Largo alle ostriche Ubriache, con pepe e limone, gratinate, alla livornese, alla bretone, alla Rockefeller: questi sono solo alcuni dei modi in cui servire queste prelibatezze che, oltre alla bontà, hanno anche il pregio dell’allevamento sostenibile. In Irlanda ogni anno si tiene anche un Festival ad esse dedicato, con tanto di record da Guinness: 233 ostriche mangiate in 3 minuti! di Nunzia Manicardi

Da cibo dei poveri a simbolo del lusso Ironia della storia… Erano soprattutto gli appartenenti alla classe operaia inglese, fino a tutto l’Ottocento, a nutrirsi di ostriche, cibo considerato a quei tempi da poveri, prodotto di un’ostricoltura che tra Francia e Inghilterra aveva già

trovato l’habitat più congeniale. Ne mangiarono tante (in mancanza d’altro), che la popolazione di questi molluschi iniziò a diminuire e il prezzo, nell’inevitabile legge della domanda e dell’offerta, ad aumentare fino a passare all’estremo opposto, cioè a farle considerare — come ancora oggi sono — un cibo di lusso, da ricchi.

L’Ostrea, brutta fuori e bella dentro Le ostriche (Ostrea è il nome scientifico) sono molluschi bivalvi che vivono attaccati agli scogli vicino ai litorali, sia nel Mar Mediterraneo che negli oceani. La conchiglia, di forma irregolare, può essere lunga o tondeggiante a seconda della varietà. All’e-

Ostrica al gratin (photo © Marco Mayer).

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Allevamento di ostriche nel Dipartimento francese della Gironda. A seconda del metodo di allevamento le ostriche possono essere collocate di piatto o in sacche costituite da retine di plastica disposte su tavole o a terra. sterno è molto rugosa, poco attraente esteticamente, mentre all’interno si presenta liscia e madreperlacea, con bagliori davvero incantevoli. Quando un corpo estraneo, per esempio un granello di polvere, entra all’interno della conchiglia, l’organismo dell’ostrica, per proteggere i propri tessuti, lo ingloba nella madreperla le cui sovrapposizioni vanno a formare la perla che nelle ostriche perlifere è particolarmente lucente, in quanto la conchiglia interna è iridescente. Questo processo può essere sia naturale che artificiale, indotto — in quest’ultimo caso — dall’uomo negli allevamenti che si trovano soprattutto nell’Oceano Pacifico. Le ostriche destinate invece all’alimentazione sono prodotte in Europa da Francia, Inghilterra, Olanda e Italia. Cotte o crude, ma sempre in sicurezza Le ostriche sono alimenti di grande pregio commerciale e possono essere consumate sia crude (sarebbe l’ideale, ma occorre fare attenzione ai rischi igienico-sani-

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tari, ancora maggiori nel caso di provenienza selvatica o non garantita) che cotte. Per il consumo a crudo sono più consigliate quelle piccole; le varietà più grandi, come quelle del Pacifico, sono più indicate per la cottura. Possono essere cotte al vapore, arrosto o grigliate; spesso vengono fritte, soprattutto nelle regioni meridionali degli Stati Uniti. Hanno un apporto energetico molto basso e contengono soprattutto proteine; i lipidi sono scarsi ma il contenuto in colesterolo ne impone un consumo moderato. Le ostriche d’allevamento vengono raccolte e vendute durante tutto l’anno, in particolar modo tra ottobre e aprile. Durante i mesi caldi è meglio lasciarle stare perché il riscaldamento dell’acqua provoca un aumento di tossine. Tecniche di allevamento L’allevamento di ostriche è probabilmente uno dei metodi di produzione di cibo più sostenibili oggi nel mondo. Il suo impatto è così basso che è possibile allevarle perfino nelle riserve

naturali. Inoltre, le ostriche filtrano fino a 220 litri d’acqua al giorno: in questo modo migliora anche la qualità idrica, il che fa proliferare le altre specie. Stiamo parlando di zootecnia ai livelli più bassi, in quanto le correnti naturali e il flusso degli estuari dei fiumi sono sufficienti per il fabbisogno delle ostriche, nutrizione compresa, e per il ricambio d’acqua. La storia dell’ostricoltura risale agli antichi Romani, che la praticavano in Gran Bretagna e trasportavano poi i molluschi fino in Italia. Dal XVIII secolo divenne un’attività molto fiorente in Francia. La tecnica d’allevamento prevede che gli ostricoltori captino le larve dopo la deposizione delle uova (le larve possono nuotare solo in senso verticale e sono quindi disperse dalle correnti marine). Dopo tre settimane di vita allo stato di plancton esse cercano di fissarsi su un qualche supporto e di diventare così ostriche vere e proprie da un punto di vista morfologico. Dopo 18 mesi, gli ostricoltori le ritirano dai supporti e le trasportano coi battelli

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Per il trasporto delle ostriche si utilizzano barche a chiglia piatta che facilitano il raggiungimento delle aree soggette a risacca in cui si trovano gli allevamenti (photo © Bernard Maurin – Fotolia). a chiglia piatta fino ai loro “parchi d’allevamento” dove sono collocate di piatto o in sacche a seconda del metodo di allevamento prescelto. Per lo più sono distribuite in sacche costituite da retine di plastica e disposte in aree soggette alla risacca marina, di solito su tavole (strutture metalliche) o talvolta collocate a spaglio sul suolo. Il lavoro dell’addetto all’allevamento delle ostriche consiste nel rivoltare le sacche, affinché tutte le ostriche possano crescere in buone condizioni assumendo una conformazione regolare, e nel ripulirle perché l’acqua di mare vi possa circolare bene. Nelle tavole d’allevamento le larve sono sospese a corde a tre trefoli che sono immersi nell’acqua. Un altro metodo consiste nel fissare le piccole ostriche su corde di nylon di 3 o 4 metri di lunghezza con un po’ di cemento. Altre volte si utilizzano barre di legno di mangrovia. Gli ostricoltori mettono poi le ostriche a spurgare in bacini di decantazione per far loro espellere melma e sabbia. Alcuni installano

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un iniettore d’ossigeno per lottare contro i batteri tossici che affiorano come una schiuma, facile da eliminare. Dopo un periodo più o meno prolungato, a seconda della ricchezza dell’acqua, le ostriche sono smistate per categorie in base al loro peso. Infine sono poste in speciali panieri per essere spedite, dopo controllo sanitario, ai mercati o ai negozi di pesce oppure per essere vendute per la ristorazione o ai privati. Tante varietà Fra le tante varietà ricordiamo: • Ostrica europea (Ostrea edulis) è la varietà più pregiata e costosa, a forma piatta e tondeggiante. Dal sapore delicato, è allevata — come ricorda l’aggettivo edulis in lingua latina — a scopo alimentare nel Mediterraneo, soprattutto nel Nord Adriatico; • Ostrica portoghese (Crassostrea angulata) ha forma allungata con conchiglia concava. Costa meno dell’ostrica europea e, non a caso, la si ritrova spesso nei ristoranti nostrani e nelle pescherie, anche

se il sapore è più forte e quindi ad alcuni meno gradito; • Ostrica giapponese (Crassostea gigas): ha conchiglia allungata e molto concava. Anch’essa meno pregiata, viene a sua volta proposta piuttosto di frequente in sostituzione di quella europea; • la Pinctada margaritifera è invece un’ostrica perlifera allevata nel Pacifico, soprattutto in Giappone, Thailandia, Australia e Filippine. Come sceglierle e come pulirle In Italia la legge prevede che le ostriche siano vendute vive, chiuse in reti sigillate con un apposito bollo ed è bene attenersi scrupolosamente a queste prescrizioni per evitare tossinfezioni alimentari anche molto gravi. Inoltre, per accertarvi che siano vive, osservate se reagiscono quando si toccano. Le ostriche vanno lavate sotto l’acqua corrente, sfregando le valve con una spugnetta. L’apertura della conchiglia non è semplicissima: esiste un apposito attrezzo, ma si possono anche apri-

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Per aprire le ostriche meglio utilizzare appositi coltelli, corti, appuntiti e dotati di un guardamano (photo © kolotype – Fotolia). re, una alla volta, introducendo tra le valve la punta di un coltellino ed esercitando una leggera pressione verso l’alto, facendo scorrere la lama per tutta la lunghezza dell’ostrica. In commercio esistono anche delle ostriche ad apertura facilitata, trattate con una resina lungo i bordi. Come consumarle e conservarle Le ostriche sono molto delicate e vanno consumate entro un giorno, conservandole in frigorifero. Una volta aperte, se non sono consumate immediatamente ma, ad esempio, disposte in un vassoio per essere servite, è bene adagiarle su un letto di ghiaccio tritato. Quelle crude sono migliori quando hanno una temperatura fra 4 e 8 °C. Per quanto riguarda la consumazione non ci sono regole precise anche se sarebbe meglio dapprima sorseggiare il liquido salato contenuto nella conchiglia per preparare il palato e ridurre un po’ il volume di quelle più grandi. Se avrete aperto il mollusco nel modo giusto si sarà staccato dal fondo. Potete appoggiarlo nella

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bocca, aiutandovi all’occorrenza con il dito indice, e poi, aiutandovi adesso con la lingua, schiacciate un po’ l’ostrica e mandatela giù, ricordandovi che questo mollusco non si mastica ma si ingoia. Le ostriche sono ottime anche cotte. Attenzione a non eccedere con il calore e a non condirle troppo. In Irlanda si tengono molti Festival dell’Ostrica In Irlanda si tengono tutti gli anni alcuni frequentatissimi e apprezzatissimi Festival dedicati alle ostriche, le quali costituiscono una delle risorse alimentari dell’isola. Siccome in Irlanda non fa mai troppo caldo, le manifestazioni prendono il via verso la metà del mese di agosto e si protraggono per tutto quello di settembre (anche se i mesi estivi, come si ricorderà, sarebbero sconsigliati). Si inizia con il Carlingford Oyster Festival nella Contea di Louth, poi si prosegue con il Clarenbridge Oyster Festival (alla 59ª edizione) nella Contea di Galway e con il successivo Galway International Oyster Festi-

val. Sono località vicine all’Oceano, dove le ostriche si raccolgono da secoli e secoli. Utilizzando le ostriche di Clarenbridge, lo chef Brendan Keane (accreditato da Good Food Ireland di THE MALT HOUSE nella città di Galway) ha presentato la sua ricetta degli “Arancini di ostriche di Clarenbridge”, un piatto facile che può essere accompagnato da pane integrale o soda bread (il tipico pane irlandese in cui il lievito è sostituito dal bicarbonato) per renderlo più vicino a quelli della tradizione locale. Seguono altre rassegne come l’Hillsborough International Oyster Festival nella Contea di Down, giunto a sua volta alla 22ª edizione, nel corso del quale nel 2005 è stato registrato nel Guinness dei primati il record mondiale di 233 ostriche mangiate in soli 3 minuti da Colin Shirlow, nativo della contea. Si rammenta anche il Galway International Oyster Festival, durante il quale si è esibito il famoso chef Danny Miller con la sua “Tempura di ostriche con spinaci saltati e salsa di soia e zenzero”. Nunzia Manicardi

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E in cucina? Le ostriche, apprezzate soprattutto crude, condite con una spruzzata di limone, per il loro gusto così particolare, dal forte sentore di mare, non vanno bene in abbinamento con sapori forti. In Francia le propongono semplicemente con fette di pane imburrate.Vediamo ora, tra le ricette a base di ostriche, quelle che ci sono sembrate più curiose e interessanti. Ostriche ubriache Ingredienti: ostriche, succo di pomodoro, vodka, salsa Worcester, tabasco, pepe, sale aromatizzato al sedano. Preparazione: frullate il succo di pomodoro con la vodka, il tabasco, la Worcester e un pizzico di sale, assaggiate e regolate gli ingredienti a piacere.Versate il liquido in un contenitore largo e basso e ponete in congelatore per una notte. Il mattino seguente muovetelo ben bene con un cucchiaio staccando i cristalli e rimettete nel congelatore fino al momento di servire le ostriche, guarnite con un cucchiaio di granita e abbondante pepe fresco. Ostriche pepe e limone e… varianti Gustare le ostriche sale e pepe significa, ovviamente, gustarle crude, per cui… occhio alla provenienza e all’igiene! Secondo quest’usanza, la più diffusa in Italia, si deve spremere un po’ di limone (tagliato a spicchi) sull’ostrica, un pizzico di pepe e... ingoiare. Esistono comunque alcune varianti. Alla francese: condite l’ostrica con un po’ di scalogno marinato in aceto e pochissimo pepe. Accompagnatela con pane abbrustolito ricoperto con abbondante e ottimo burro non salato e con Champagne. Alla Napoleone: si dice che le ostriche fossero uno dei cibi preferiti da Napoleone, che le condiva con una salsina a base di sale, pepe, cognac e succo di limone. Mangia e bevi: va bene lo champagne, va bene il Muscadet, vino bianco della Loira sufficientemente acidulo, sapido e fresco… ma il più azzeccato abbinamento ostrica-alcol sarebbe, a detta degli intenditori, quello che si realizza con la vodka. Il metodo consiste nel bere un’oncia (1 oncia = 28,3495231 grammi) di vodka ghiacciata in un sol colpo, appena l’ostrica è stata ingoiata. Ostriche gratinate Raccogliete con cura in una ciotola l’acqua di mare contenuta nelle valve inferiori, quindi filtratela e tenetela da parte. Staccate delicatamente i molluschi dalle valve e pulite queste ultime sotto il getto dell’acqua corrente. Emulsionate l’acqua di mare filtrata con olio di oliva e

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succo di limone e aggiungete una bella macinata di pepe. Sbucciate alcuni spicchi di aglio e tritateli finemente.Adagiate nuovamente i molluschi nelle loro valve,cospargeteli con le erbe aromatiche tritate, l’aglio e il pangrattato e irrorateli con l’emulsione preparata.Versate sulla placca del forno il sale grosso e disponetevi sopra le valve. Gratinate in forno a 230 °C per 5 minuti, quindi sfornate, disponete tre ostriche in ogni piatto completando con gli spicchietti di limone e servite immediatamente. Ostriche alla livornese Ingredienti: ostriche, spicchi d’aglio, mezza cipolla, prezzemolo, pangrattato, limone, olio d’oliva, sale e pepe. Preparazione: preparate una salsina con un trito fino di aglio, cipolla e prezzemolo, 2 cucchiai di pangrattato, il succo di un limone, olio, sale e pepe.Amalgamate bene e distribuite un cucchiaio di salsa su ogni ostrica. Mettete le ostriche in una teglia e fatele gratinare dieci minuti circa. Ostriche alla bretone Ingredienti: ostriche, scalogno, burro, vino bianco secco, panna, 1 cucchiaino raso di amido di mais, erba cipollina, sale, pepe bianco. Procedimento: aprite le ostriche e sistemate la valva con il mollusco in una teglia da forno. Appassite lo scalogno tritato nel burro, abbassate la fiamma e unite vino, sale, pepe e, poco dopo, la panna e l’amido stemperato in 2 cucchiai d’acqua; fate addensare mescolando. Fuori dal fuoco aggiungete l’erba cipollina tritata.Versate un po’ di salsa su ogni ostrica e infornate a 160 °C per 5 minuti. Servite ben caldo. Ostriche alla Rockefeller D’importanza fondamentale per la riuscita di questa ricetta, caratterizzata anche dalla presenza degli spinaci, è che le ostriche siano le Belon, tonde o di grosse dimensioni, o le Marennes, bretoni dalla forma triangolare. Lavate e pulite bene gli spinaci e sbollentateli con attenzione per qualche minuto in poca acqua leggermente salata. Scolateli per bene e teneteli da parte.Tagliate nel frattempo a fettine sottili il sedano e i porri e cuoceteli a fuoco lento in un padellino dove avrete già sciolto prima una piccola noce di burro.Tritate l’aglio e il prezzemolo e aggiungeteli al sedano e poi unite gli spinaci che avevate messo da parte. Mescolate adesso il tutto e fate cuocere per una decina di minuti, sempre a fuoco molto basso. Unite quindi nella padella il pangrattato, il liquore all’anice, la pasta d’acciughe, la Worcestershire sauce, il sale, il pepe e il formaggio grana e fate cuocere fino a quando il tutto non sarà completamente asciutto.Versate su ogni ostrica una cucchiaiata abbondante del composto fatto a base di spinaci. Sistemate poi le ostriche in una pirofila e fate cuocere in forno per una ventina di minuti a 200 ºC. Si accompagna bene con un vino bianco un po’ freddo.

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Rooney Fish vince uno dei Great Taste 2016 Great Taste, l’Oscar del gusto britannico, il più grande concorso al mondo dedicato al cibo, quest’anno ha decretato tra i vincitori l’azienda ittica nordirlandese Rooney Fish.Tra gli oltre 10.000 prodotti passati al setaccio della giuria, l’azienda di Kilkeel oggi gestita da Andrew Rooney ha ricevuti il punteggio massimo, tre stelle. Il prodotto stellato è l’ostrica Mill Bay, particolarmente apprezzata per il suo gusto, il sapore e la consistenza soda. Questa vera prelibatezza dei mari dell’Irlanda del Nord è stata giudicata da oltre 500 operatori, tra critici gastronomici, chef, ristoratori, giornalisti e addetti ai lavori. >> Link: www.rooneyfish.com – greattasteawards.co.uk

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Piatti a base di meduse? Bisogna fare ricerca Dall’associazione ambientalista Marevivo arriva la richiesta di non fare morire le meduse sulle spiagge, bensì di farle diventare una risorsa alimentare, in quanto ricche di proteine e collagene. Raccogliendo l’invito dell’associazione, diversi cuochi da tutta Italia si sono cimentati nella preparazione di piatti a base di meduse. Succede a Lipari (ME), dove il delegato di Marevivo delle Isole Eolie, Enzo Donato, ha organizzato una degustazione di meduse della specie Pelagia Noctiluca. «Un’iniziativa interessante, sotto vari punti di vista», ha commentato Alessandro Circiello, presidente della Federazione Italiana Cuochi Regione Lazio. «La medusa è ricca di sostanze nutritive e potrebbe essere utilizzata allo stesso modo delle cavallette in Cina, che per le popolazioni orientali sono un’importante fonte proteica. La medusa, in effetti, viene già utilizzata nella cucina orientale il sapore potrebbe richiamare quello di specifici molluschi, e quindi potrebbe essere cucinata in tanti modi, bisogna solo cimentarsi e approfondire, fare ricerca. Una ricerca motivata sia dagli allarmi sulla fame nel mondo lanciato dalla FAO, sia dalla volontà di rendere i nostri mari più sostenibili. La nostra pesca è sempre molto limitata a livello di tipologia; ampliare i generi significherebbe non rischiare l’estinzione di specie come il tonno rosso e anzi, pulire le acque da animali, come appunto le meduse, sempre più numerose, e pericolose».

Come cambiano gli ecosistemi marini «Interi ecosistemi dominati da coralli possono essere, nel giro di pochi anni, sostituiti da ecosistemi dominati da alghe. Questo fenomeno è noto come regime shift o phase shift». A parlare è Alessandra Conversi, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-CNR) che, assieme al collega di istituto Simone Marini, ha coordinato uno studio sulle dinamiche evolutive degli ambienti marini della colonna d’acqua del Mare del Nord, pubblicato su PLOS ONE (Papworth D.J., Marini S., Conversi A. 2016, A Novel, Unbiased Analysis Approach for Investigating Population Dynamics. A Case Study on Calanus finmarchicus and Its Decline in the North Sea, PLoS ONE 11(7): e0158230). «Tale trasformazione avviene quando l’ecosistema è sottoposto a stress: inizialmente risponde con leggere modifiche, secondo la capacità chiamata resilienza, ma oltre un punto soglia può, in un tempo molto breve, passare a uno stato alternativo dominato da specie diverse. È quanto accade, ad esempio, quando una specie ittica pregiata viene sostituita da altre poco commestibili. Un altro esempio sono le foreste di alghe kelp, ecosistemi marini di interesse per i subacquei che con il passare del tempo si stanno trasformando in rocce nude, causando diverse perdite nel settore del turismo e della farmaceutica». I ricercatori Ismar-CNR, in collaborazione con l’Università di Plymouth (UK), hanno cercato di capire da cosa derivino questi cambiamenti che hanno già creato dibattiti all’interno della comunità scientifica. «C’è chi sostiene che gli eventi potrebbero dipendere da componenti fisiche, come temperatura, circolazione delle correnti marine e clima, e chi ritiene invece che scaturiscano da componenti biologiche come l’abbondanza di prede o di predatori», precisa Conversi. «In questo lavoro abbiamo sviluppato una nuova metodologia computazionale basata sul calcolo evoluzionistico, in grado di estrarre modelli matematici dai dati dell’ecosistema studiato attraverso meccanismi di selezione che simulano quelli degli organismi viventi. Lo strumento aiuta a dedurre le informazioni necessarie per comprendere un insieme complesso come un ecosistema marino, incluse le cause che possono influenzare la quantità di una determinata specie», spiega Simone Marini. Nel biosistema pelagico del Mare del Nord, scelto in quanto soggetto a regime shift negli anni ‘80, sono state selezionate diverse variabili e una specie target. «Per la ricerca abbiamo preso in considerazione come specie target il copepode (una sottoclasse di crostacei) Calanus finmarchicus, una varietà zooplanctonica fondamentale nei sistemi marini temperati e subartici, cibo di moltissimi pesci, e 26 variabili ambientali a scala sia emisferica sia locale, tra cui clima, pressione, temperatura, circolazione delle correnti, nutrienti e abbondanza di varie specie di prede e predatori», chiarisce Conversi. I risultati hanno evidenziato che tra questi parametri, tre sono potenziali cause di cambiamento della specie considerata. «Il mutamento è stato provocato da temperatura, circolazione e abbondanza di aringhe, che si cibano di Calanus finmarchicus. Quindi nella trasformazione hanno influito in sinergia la componente fisica-climatica e quella biologica», conclude Marini. «Lo studio evidenzia la necessità di utilizzare metodi analitici più obiettivi e con una più ampia varietà di dati allo scopo di comprendere meglio il funzionamento degli ecosistemi marini».

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SAPORE DI MARE

Lux Lucis, il pesce in tavola tra contemporaneità e tradizione di Riccardo Lagorio

Scovando nella fiumana delle blasefemie culinarie che irrompono sul variopinto palcoscenico dell’informazione, risulta sempre gradito raccontare di persone con capacità e profonda conoscenza che antepongono l’umiltà allo schermo: così facendo realizzano per sé e per i commensali luoghi ameni privi di dubbie ampollosità.

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La tentazione potrebbe stare sempre dietro l’angolo, ma per il momento VALENTINO CASSANELLI dà prova di grande maturità nel Lux Lucis, acquattato al quarto piano di uno dei più eleganti hotel della Versilia. Raccontano che il nome del locale fosse stato scelto per determinarne l’ambientazione luminosa in quanto svetta tra i pini marittimi e le altre

costruzioni intorno, ma altrettanto in onore della tradizione che si vuole sia percepita ai tavoli. Contemporaneità e tradizione, insomma. Ci pensano l’equilibrio e la base di cultura gastronomica emiliana a tenere a freno improbabili fantasie e provocazioni, tuttavia dando prova di forgiare inaspettate prospettive culinarie. Terra di grandi brodi,

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Modena, e di maiali. «Trasformo il porcello in cernia, i tortellini in ravioli ed ecco il Raviolo di cacciucco», esordisce Cassanelli, occhi vispi sotto uno spesso manto di riccioli. Piacevole stupore genera la scenografica aspersione della bisque, rossa di pomodoro, quando al tavolo inonda la spessa pasta ripiena. Dentro, la polpa di cernia.

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Le preparazioni del menu sono inserite — ça va sans dire — nelle categorie contemporaneità di cucina e territorio; talvolta si collocano a metà strada come il Moscardino in umido con ceci. Ceci tali e quali e in purea a scortare nell’acquerello di tinte pastello il mollusco. Un boato di colori invece accompagna Gnocchi di ortiche, gambero rosso

e stracciatella, quasi un dripping dove rosso, bianco e verde si rincorrono sulla tavolozza «La cucina di pesce implica un grande sforzo di prove, che svolgo durante il periodo invernale, quando il locale è chiuso. Dall’arcipelago livornese proviene molta parte del pescato, i gamberi da Santa Margherita Ligure, le acciughe da Monterosso», ci tiene a dire.

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A sinistra: crudo di scampi come se fosse gratinato. A destra: sgombro al profumo di caffè con crema di lumache e mela cotogna. Per creare un piatto è necessario allenamento di palato, ma anche istinto. Così, su questa che è stata premiata tra le 30 terrazze più raffinate d’Europa anche le combinazioni tra mare e terra e le attrazioni da uno all’altra avvengono con naturalità. La Triglia al pino marittimo con alghe e mare narra di questi imprevedibili avvicendamenti: dopo avere marinato la triglia in resina di pino marittimo e scottata a 42 °C, viene servita su aghi combusti di pino, spenti con acqua di mare. Profumi di salmastro e di pineta che si fondono, colori accesi e tenui che si rincorrono, consistenze che si legano e si trasformano in un’idea di terra e mare assai personale e riuscita. Altrettanto rappresentativo di questa commistione è lo Sgombro al profumo di caffè con crema di lumache e mela cotogna. Solo apparentemente inconciliabili, i quattro elementi si abbracciano con coerenza mentre i contrasti di densità esaltano la seduzione dell’insieme. Una chips di patata viola, croccante quanto basta a sfumare la morbidezza della panna cotta di lumache (della Lunigiana), domina lo sgombro dopato di caffeina. Bilanciare, confrontare, calcolare: solo dopo meditati collaudi si giunge alla proposta dell’Ostrica al vapore con agro di zafferano e

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scalogno. Posto su una piramide di sale, il bivalve va aperto al tavolo; custodisce al suo interno il mollusco e gli stigmi di zafferano con impercettibili ritagli di scalogno. Da sempre è mia profonda convinzione che lo zafferano sia l’unico cibo che può avvicinare l’ostrica; lo scalogno, pressoché impercettibile, non s’intromette nel matrimonio tra la spezia e il mollusco. Un’alchimia tricolore di cucina contemporanea introduce il Risotto ai fasolari e verde, una riduzione di piselli e pomodoro verde, incontro seduttivo di dolcezza e acidità che svettano tra i rossi frammenti dei fasolari. Quasi irriverente nel nome il Crudo di scampi come se fosse gratinato: la marinatura (metodo privilegiato di cottura da parte del cuoco di Spilamberto) e la composizione consegnano un piatto vivace, audace, che celebra il mare in un codice à l’envers che continua nel Positivo: nervetti di vitello e gambero viola e nel suo contrario, Negativo: gamberi viola e nervetto di vitello. Alla cucina della tradizione appartiene il Farro come un risotto d’alici: farro della Garfagnana al pari degli agnelli (da Zeri), dei manzi e dei formaggi. L’alice si intreccia con l’antico cereale, lo incorona, ne amplifica la gustosità, lo fa regale. Si rinvengono nelle decisioni dell’anco-

ra giovane Cassanelli (classe 1984) le esperienze presso le londinesi Locanda Locatelli e Nobu; tuttavia la propria personalità emerge senza indugio. Centrale nel lavoro di ricerca della perfezione da parte della cucina la supervisione di SOKOL NDREKO in sala, grande conoscitore dei vini più adatti in grado di maritarsi con le proposte del capelluto cuoco. Tra qualche settimana imperverseranno le presentazioni delle guide; l’uscita di alcune avrà anticipato queste pagine d’ottobre. Scommettiamo che al nome di Valentino Cassanelli saranno legate non poche sorprese? Riccardo Lagorio Ristorante Lux Lucis c/o Hotel Principe Forte dei Marmi Viale Ammiraglio Enrico Morin 67 55042 Forte dei Marmi (LU) Telefono: 0584 783636 E-mail: info@principefortedeimarmi.com Nota Alle pagine 94 e 95 Vincenzo Cassanelli, chef del Lux Lucis, compone il piatto Triglia al pino marittimo con alghe e mare. A pagina 95, in alto: Raviolo di cacciucco accompagnato da bisque rossa di pomodoro. In basso: Ostrica al vapore con agro di zafferano e scalogno.

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Alla scoperta del gusto italiano Si chiama Alla scoperta del Gusto Italiano ed è l’ultimo libro di DAVIDE PAOLINI, fondatore del Gastronauta e giornalista de IL SOLE 24 ORE e di RADIO 24. 237 pagine per rendere omaggio ai giacimenti gastronomici italiani con un vademecum di indirizzi, consigli, approfondimenti. Il libro è frutto dei tanti anni di lavoro e ricerche spesi da Paolini in giro dell’Italia per recuperare i prodotti che nascono dalle mani dei numerosi artigiani del gusto. Spaziando dal Cioccolato di Modica all’Aceto Balsamico di Modena, dal Prosciutto di Parma al Salame di Mortara, dal Pesto alla Genovese al Castelmagno cuneese, Paolini racconta di tradizioni e tecniche produttive che rendono l’Italia unica al mondo. «Il culatello di Zibello — sottolinea l’autore — la ‘nduja calabrese o il formaggio di fossa fanno parte del patrimonio artistico del nostro Paese. Nel libro ho selezionato cinquanta produttori che rappresentano solo un minuscolo cammeo dell’artigianato alimentare italiano: sono stati scelti per la loro storia o perché riescono, grazie a un loro originale prodotto, a mostrare la cultura materiale di un territorio». La selezione dei produttori artigianali del libro di Paolini nasce con lo stesso spirito delle manifestazioni da lui stesso ideate e promosse: Milano Golosa, in programma con la quinta edizione dal 15 al 17 ottobre 2016, e Gourmandia – Le terre Golose del Gastronauta, che torna a Treviso per la seconda edizione dal 6 all’8 maggio 2017.

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Pesce e Lambrusco? Se è quello di Cantina della Volta il connubio è da sogno Metti insieme un menu a base di freschissimo pescato del giorno della Romagna, bollicine di gran classe “made in Emilia” e un ristorante con il culto della materia prima. L’intrigante connubio è stato celebrato all’Osteria Casa di mare-San Domenico di Forlì da due pluripremiati sommelier, Luca e Roberto Gardini, e dagli chef Marcello e Gianluca Leoni Emilia e Romagna insieme, unite non solo da un trattino presente sulle mappe geografiche, ma anche a tavola. Era uno degli obiettivi, ma non l’unico, di chi ha ideato e poi realizzato l’incontro tra eccellenze provenienti da due territori che vantano una storica e invidiata tradizione sia a tavola che in vigna. Da una parte CANTINA DELLA

VOLTA, considerata uno dei nomi più interessanti della produzione spumantistica dell’Emilia e d’Italia, dall’altra i piatti a base di pesce di una new entry nel panorama ristorativo romagnolo, l’Osteria Casa di Mare-San Domenico di Forlì, nata da un’idea condivisa tra nomi eccellenti della scena enogastronomica italiana: ROBERTO e LUCA GARDINI, padre

e figlio, pluripremiati sommelier di fama internazionale, e i FRATELLI LEONI, rinomati chef con il culto della ricerca delle migliori materie prime. «Quando si parla di bollicine, siano esse eleganti e fragranti blanc de blancs o vigorosi blanc de noirs, il pensiero vola alla Francia o, rimanendo tra i confini italiani, alla Franciacorta. A nessuno, se

Angela Sini, AD di Cantina della Volta, all’Osteria Casa di Mare-San Domenico di Forlì.

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Fermo, Pinot nero a produzione limitata di Cantina della Volta. non ai più esperti e appassionati, viene in mente Bomporto in Emilia», commenta Roberto Gardini, che nel 1993 è stato eletto Miglior

sommelier d’Italia. Luca Gardini, ai suoi molteplici impegni, ha deciso di aggiungere anche quello di ristoratore, affidandosi all’esperienza di

Cantina della Volta nasce nel 2010 a Bomporto (MO) dopo un lungo lavoro di recupero strutturale della vecchia Cantina Bellei. Frutto del profondo amore per la Francia trasmesso dal padre Giuseppe, il primo negli anni ‘80 a produrre Spumanti Metodo Classico da uve Lambrusco di Sorbara, l’azienda vitivinicola modenese è stata fondata dal “figlio d’arte” Christian Bellei, quarta generazione di imprenditori vinicoli a Bomporto. Rappresenta oggi una delle più significative realtà del Lambrusco modenese. Cantina della Volta propone un catalogo di prodotti che comprende Lambruschi Spumanti e rifermentati in bottiglia da uve di Sorbara in purezza, oltre a vini Spumanti Metodo Classico realizzati con uve Pinot Nero e Chardonnay Emilia coltivate nelle vigne del podere Riccò di Serramazzoni (MO), terreno caratterizzato da un terroir e un microclima similari a quelle dei vigneti dello Champagne.

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ottimi chef come Marcello e Gianluca Leoni. Solo pesce dell’Adriatico, conferito da pochi e fidati pescatori. La filosofia? «Se non c’è il fresco non si apre e massima attenzione al rapporto qualità-prezzo» afferma il Miglior sommelier del mondo 2010. «Qualche mese fa mi è stato chiesto da tanti: “Gardini, ma lei perché torna in Romagna?”. È presto detto: è una regione che ha tanto da dare, soprattutto a livello enogastronomico, non a caso spesso viene definita la migliore del mondo da questo punto di vista. Ma c’è un problema: non sappiamo comunicare tutto questo come si dovrebbe». Non a caso, tra gli obiettivi di questo riuscitissimo abbinamento vi è anche l’intento di mostrare come sia possibile proporre una cucina di territorio di grande livello, e alla portata di tutti, insieme a vini della stessa regione che sappiano esaltarla al meglio. Spazio, quindi, al Christian Bellei bianco di Cantina della Volta, ottenuto con il metodo della vinificazione in bianco di uve rosse. E ancora il Trentasei, Lambrusco di Sorbara in purezza che matura sui lieviti per ben tre anni. Oltre a due vini fermi: La Base, uno Chardonnay Emilia e Fermo un Pinot Nero Emilia entrambi con produzione limitata, ottenuti dalle uve del vigneto di Riccò di Serramazzoni, sui declivi collinari modenesi, per testimoniare come «anche in terra emiliana esistano terreni che permettono di ottenere vini con mineralità importanti» sottolinea ANGELA SINI, amministratore delegato di Cantina della Volta. Ma quali sono le caratteristiche che fanno grande un vino? «Impossibile generalizzare, entrano in gioco molti fattori — conclude Luca Gardini — a certamente quella che io definisco “pulizia”, sia di profumi che al palato, è una caratteristica fondamentale che rende un vino realmente grande. E, da questo punto di vista, Cantina della Volta è un punto di riferimento». >> Link: www.cantinadellavolta.com www.twitter.com/CantinaVolta www.facebook.com/ cantina.dellavolta

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Salicornia o asparago di mare di Luca del Grammastro

Capita di vederla talvolta in qualche pescheria, un’erba verde messa lì magari come contorno da vetrina per dare un po’ di colore e natura-

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lezza alle diverse specie ittiche che spesso eccedono sui banchi. Ecco, quella è la salicornia o asparago di mare, da non confondere con l’alga

di mare. Viene chiamata così per via dell’aspetto allungato e sottile il colore verde brillante. Si tratta di una pianta erbacea carnosa della fa-

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miglia delle Chenopodiacee, diffusa in tutta Europa. In Italia è presente lungo il bacino del Mediterraneo ma è poco

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conosciuta e quindi consumata sporadicamente a tavola. La salicornia è un vegetale alofilo che cresce spontaneamente da primavera fino ad agosto in estese colonie lungo le coste del mare, sui litorali, in zone paludose salmastre, in zone acquitrinose e in terreni argillosi. La pianta presenta un andamento cespitoso formato da un cespuglio fitto e irregolare ramificato con le parti apicali tenere e carnose formate da una serie di articoli cilindrici lunghi alcuni millimetri. Le foglie assai ridotte, carnose e cilindriche come il fusto, opposte, sono fuse assieme e avvolgono l’intero fusto. Solitamente ha un’altezza di pochi centimetri ma può raggiungere anche gli 80-100 cm. Dell’arbusto si consumano i germogli: simili a quelle dell’asparago di terra, sono ricchi di numerosi acidi organici, vitamina C e vitamine del gruppo B, calcio e soprattutto sali minerali tra i quali quelli di iodio e di bromo che gli regalano proprietà depurative, rinfrescanti e antiscorbutiche. Il colore verde in primavera vira verso il rosso

bordeaux via via che si avvicina la fioritura che avviene in agosto. I fiori ermafroditi, impollinati dal vento, assai modesti, di colore giallo e poco visibili, sono disposti a tre a tre, con quello centrale più grande, all’ascella di particolari foglie e sembrano collocati in piccole nicchie. La salicornia in passato veniva utilizzata nella lavorazione del vetro e del sapone e per la sua proprietà antiscorbutica era conosciuta dai Vichinghi che la portavano con loro durante le navigazioni. In cucina viene utilizzata bollita e condita ed è spesso servita come accompagnamento ai frutti di mare. Sicuramente questo vegetale poco conosciuto ma con proprietà eccezionali costituisce unitamente alla fauna ittica, alle risorse minerarie e alle risorse energetiche una risorsa organica marina preziosa. Dott. Luca del Grammastro Nota A pagina 102 e 103, piante di salicornia (photo © Pete Pahham, Fotolia). A pagina 103, salicornia e salmone (photo © Marleen Wolters, Fotolia).

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TRADIZIONI

Lo spezzatino ieri e oggi

Il segreto della casseruola rossa di Giorgia Fieni

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Quando penso allo spezzatino, la prima cosa che la mia mente focalizza è la casseruola rossa coi manici neri, smaltata di bianco e col coperchio, la quale, posta sul fornello della nonna, emanava profumo di verdurine, bocconcini di carne e appena una punta di concentrato di pomodoro (quello super amaro). Non ricordo quanto il tutto rimanesse fermo in quella posizione, ma so che poi mi veniva versato nel piatto a righe multicolori, di fianco al quale era già stato strategicamente piazzato un pezzo di pane con molta mollica, per fare scarpetta. Ecco, per me questa ricetta è definibile solo in questo modo e non ha nulla a che fare con deglassate con vino bianco il fondo di cottura (CARLO CRACCO) o con a dispetto del nome e del risultato finale, morbido, profumatissimo e ricco di salsa, il mio spezzatino di tonno con patate è crudo (MORENO CEDRONI). D’altra parte, sono fermamente convinta che la tradizione abbia bisogno di qualche “alleggerimento”, per cui mi piace l’idea di abbinare allo spezzatino nuovi sapori, pur mantenendone la “fama” di comfort food: per esempio scottona e champignon ripieni al mascarpone, con il profumo di tartufo, oppure coniglio e castagne con finocchietto (o menta) oppure faraona e zucca con zenzero e brandy. Il consiglio rimane sempre quello di tagliare la carne a cubetti e infarinarli in modo da ottenere una salsa finale piuttosto densa. La nonna, nella casseruola rossa, metteva anche delle patate: si lessavano insieme alla carne e assorbivano il condimento, e, se qualcuna era destinata a disfarsi, tutto di guadagnato per la corposità del fondo di cottura! Oggi le patate possono essere viola, che danno anche un tocco di colore. Ma contorni altrettanto perfetti (anche se preparati a parte) sono la polenta, il risotto giallo, lo sformato di verdure, gli gnocchetti di farina, il purè di melanzane (alla maniera turca)…o le farciture preferite, una volta messo lo spezzatino nella piadina o nei cestini di grana. Se lo faceva di lunedì, la nonna, al posto dell’acqua, metteva il brodo di carne, ed era come se il manzo trovasse il suo naturale ammorbidente.

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Lo stesso si potrebbe dire del vino rosso per lo spezzatino di cavallo (la pastissada veneta) o di cinghiale (ma ALESSANDRO BORGHESE consiglia di aggiungere anche latte perché così la carne marinata risulterà più delicata al palato senza perdere il suo gusto deciso). In Cina, al pollo, aggiungono vino di riso e salsa di soia e castagne, in Belgio cuociono la carne nella birra e in Gran Bretagna, nel Dundee Beef Stew, vino, funghi e marmellata amara di arance. In America non è raro l’uso di cola. Quello che di certo la casseruola rossa non sapeva era che il suo coperchio potesse nascondere anche altri tipi di spezzatino. Di pesce spada, con olive taggiasche. Di salmone, con capperi. Di maiale, con zafferano. Marinato (scalogni, aglio, semi di sesamo, salsa di soia, olio, pepe), innovato e fritto. Di frattaglie (in Toscana usano il polmone). In versione vegan, con soia (e funghi) o seitan (con olive di Gaeta e capperi di Pantelleria). Di sgombri. Di zucca, con latte di cocco. Di pollo, con panna, sherry, noci acagiù e salsa di mango. Di cinghiale, alla confettura di frutti rossi e mirtilli freschi. Di magatello di bue, con peperoncini, paprika, panna liquida e Madera. Di struzzo, con peperone verde, cannella, zafferano e aceto balsamico. Di prosciutto cotto affumicato, con patate. Di anatra, al Barolo e con chips croccanti di cavolo e pancetta. Di rana pescatrice, su vellutata di porri e patate con coriandolo e fagioli edamame. Di vitello, con albicocche secche, mele e mandorle tostate. Oppure che poteva contenere altri ingredienti, quali peperoncino, paprika, cumino, uvetta, crauti (per rendere lo spezzatino più simile al gulasch dell’Europa dell’est), peperoni, acciughe, anice stellato (che farebbe ancora più contrasto sfumando il fondo di cottura con salsa di soia chiara e salsa di pesce), foglie di lime kaffir (con pasta di curry) e addirittura cacao. Ci scommetto che, conoscendo tutto questo, la casseruola rossa ne sarebbe molto sorpresa, ma anche curiosa, e mi chiederebbe: “a che ora si comincia?” Giorgia Fieni


RASSEGNE

A tutto baccalà Per il Festival Triveneto del Baccalà dal 16 settembre al 5 dicembre 37 ristoranti in gara si sfideranno nella preparazione della ricetta più creativa

La 7ª edizione del Festival Triveneto del Baccalà – Trofeo Tagliapietra, punta ai giovani chef, dando una pennellata di garbo e femminilità in cucina grazie alla presenza di tre donne chef. Sono trentasette i ristoranti in gara per l’edizione targata 2016 della manifestazione enogastronomica itinerante, evento simbolo ed esemplare della passione per il baccalà e per lo stoccafisso, che coinvolge alcuni tra i migliori ristoranti di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Chef e brigate si sfideranno per ideare la “ricetta più innovativa” a base di baccalà e stoccafisso. La manifestazione è organizzata dalla

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Dogale Confraternita del Baccalà mantecato, dalla Venerabile Confraternita del Baccalà alla vicentina, dalla Patavina Confraternita del Baccalà, dalla Vulnerabile Confraternita dello Stofiss dei Frati in collaborazione con Tagliapietra e Figli Srl, una delle aziende leader nel settore di baccalà e stoccafisso con sede a Mestre, Venezia. «Lunga vita al Festival», ha esultato LUCA PADOVANI, presidente del comitato organizzatore. «Ci sono forti segnali indicatori dell’apprezzamento di questo appuntamento da parte degli “addetti ai lavori”. Quest’anno sono aumentati i ristoranti che hanno scelto di partecipare a questa settima

edizione: trentasette contro i trenta iscritti dello scorso anno. Poi, abbiamo la sempre maggiore attenzione da parte di giovani chef emergenti; creatività, sperimentazione e rispetto della tradizione sono gli elementi cardine della manifestazione». «Crediamo in questa manifestazione che continua a riscuotere successo tra il pubblico e tra gli stessi cuochi. Il Festival Triveneto del Baccalà – Trofeo Tagliapietra — ha dichiarato DANIELE TAGLIAPIETRA, amministratore delegato dell’omonima azienda di Mestre — è l’esempio di come la cucina oggi sia interpretata come un momento conviviale, di condivisione e di continua crescita. La scelta di

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Ristoranti, trattorie, locande, osterie in gara per provincia • • • • • • • • • • • •

Belluno: ristorante AGA, Agriturismo Ristorante El Brìte de Lariéto, Rifugio Piezza da Aurelio, ristorante Terraccotta; Bolzano: Franziskanerstuben, Kaiserkron; Gorizia: Tavernetta all’Androna, Ai Campi di Marcello; Padova: ristorante Aldo Moro, La Posa degli Agri, ristorante Lazzaro 1915, trattoria Al Prato, Antica Trattoria Ballotta; Pordenone: Podere dell’Angelo; Rovigo: Bar Osteria Morin, trattoria Al Ponte, ristorante Zafferano, Ristorante Aurora; Trento: locanda D&D Maso Sasso; Treviso: Divino Osteria Trevigiana, Osteria Zero; Udine: ristorante Il Fogolar - hotel Là di Moret; Venezia: Dopolavoro Dining Room, osteria Ai Do Campanili, restaurant Met, ristorante Al Gallo, ristorante Vecio Piave, Vecio Fritolin; Verona: locanda le 4 Ciacole, ristorante 12 Apostoli, ristorante Al Callianino, ristorante L’Oste Scuro; Vicenza: locanda di Piero, ristorante Al Castello superiore, ristorante La Tana Gourmet, ristorante Trequarti, Stube Gourmet Hotel Europa Residence.

Locali e le date di Baccalando per provincia • • • • • • •

Belluno: Country Club House (Cortina d’Ampezzo) 30 settembre; Treviso: Abitué 7 ottobre; Vicenza: Luigi Zolin Cibo (Sandrigo) 12 ottobre; Verona: Sciò Rum 21 ottobre; Venezia: La Gineria (Mirano) 28 ottobre; Padova: L’autostazione (Cittadella) 4 novembre; Rovigo: Ostaria Ai Bonfi 18 novembre.

Gli appuntamenti dalle ore 18.00 saranno accompagnati da dj-set.

Il merluzzo sta vivendo una nuova stagione d’oro, spiega Franco Favaretto, e il nostro compito è di valorizzare i giovani chef emergenti del Triveneto per puntare a una cucina creativa nell’utilizzo del baccalà

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premiare la ricetta più innovativa, alla fine, è un gioco per far capire al pubblico che il baccalà è un prodotto versatile adatto a tutte le stagioni e a tutte le occasioni e gli chef, come artigiani di eccellenza del gusto, hanno la capacità di scavare fino alle radici della nostra cucina tradizionale, guardando verso il futuro». Innovare rispettando la tradizione è anche l’obiettivo della seconda edizione di Baccalando, l’aperitivo che propone stuzzichini a base di baccalà affiancati a un cocktail, ospitato in sette tra i locali più alla moda del Veneto. «Il merluzzo sta vivendo una nuova stagione d’oro» ha sottolineato FRANCO FAVARETTO, patron

del Baccalàdivino di Mestre e coordinatore della giuria di chef stellati. «Il nostro compito, sia come chef più anziani, sia come Festival Triveneto del Baccalà, è di valorizzare i giovani emergenti del Triveneto per puntare ad una cucina creativa nell’utilizzo del baccalà». Lo chef vincitore si aggiudicherà il Trofeo Tagliapietra e un viaggio studio alle Lofoten, isole norvegesi, patria del merluzzo. >> Link: www.festivaldelbaccala.it Nota A pagina 106 piatto finalista all’edizione 2015 del Festival del Baccalà (photo © Tobia Berti).

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SICUREZZA ALIMENTARE

Linee guida in materia di igiene dei prodotti della pesca Parte II Norme sanitarie per i prodotti della pesca Guida per gli operatori del settore alimentare L’OSA deve dare evidenza all’autorità competente che il sistema gestionale adottato offre le dovute garanzie ai fini della sicurezza alimentare. Nel piano di autocontrollo devono essere previste delle procedure di verifica e le eventuali azioni correttive. Oltre a garantire la conformità ai requisiti microbiologici del Reg. (CE) n. 2073/2005, gli operatori del settore alimentare devono garantire, in funzione della

natura del prodotto o delle specie, che i prodotti della pesca immessi sul mercato per il consumo umano soddisfino i requisiti contenuti nel capitolo V del Reg. (CE) 852/2004 e Reg. (CE) 853/2004. Per controllo di prima vendita si intende il controllo sanitario sulle condizioni igieniche presso il primo stabilimento di destinazione dei prodotti della pesca riconosciuto o registrato qualora sia effettuata la commercializzazione diretta di piccoli quantitativi. A. CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEI PRODOTTI DELLA PESCA

Gli operatori del settore alimen-

tare devono effettuare un esame organolettico dei prodotti della pesca. In particolare, tale esame deve garantire che i prodotti della pesca soddisfino tutti i criteri di freschezza. Guida per l’operatore del settore alimentare Le valutazioni dei caratteri organolettici devono essere effettuate da personale adeguatamente formato. Il riferimento per valutare i caratteri organolettici è il Reg.(CE) 2406/96; dove non applicabile può essere preso come riferimento lo schema Artioli-Ciani.

Pesce fresco (photo © www.speedyfish.it).

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Gli operatori del settore alimentare devono assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo per la ricerca di endoparassiti visibili prima dell’immissione sul mercato. Guida per il controllo ufficiale Spetta all’AC nell’ambito della programmata attività di controllo ufficiale a campione verificare che i prodotti della pesca rispettino i caratteri di freschezza previsti in tutte le fasi della produzione, lavorazione e distribuzione. Uno degli scopi di tali controlli è quello di verificare il rispetto dei criteri di freschezza stabiliti conformemente alla normativa comunitaria. In particolare, si tratta di verificare che l’OSA abbia ottemperato ai controlli organolettici in conformità alle procedure stabilite nel suo piano di autocontrollo. B. ISTAMINA Gli operatori del settore alimentare devono garantire che i limiti relativi all’istamina non siano superati. Guida per gli operatori del settore alimentare Gli operatori devono prestare particolare attenzione alla corretta conservazione dei prodotti della pesca con un elevato contenuto fi-

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siologico di istidina nelle carni per il rischio istamina. Tenuto conto che l’istamina viene prodotta, ad opera di agenti batterici, per decarbossilazione dell’istidina contenuta nelle carni delle specie di Teleostei appartenenti prevalentemente alle seguenti famiglie: Scombridae, Clupeidae, Engraulidae, Coryfenidae, Pomatomidae, Scombresosidae, gli operatori devono garantire, in tutte le fasi della produzione e commercializzazione, che questi prodotti siano adeguatamente protetti dalla contaminazione microbica, che siano rispettate le temperature di conservazione e che siano sempre tenuti in buono stato di conservazione. Il mancato rispetto dei predetti fattori, nelle fasi di produzione, e/o commercializzazione, per le cosiddette “semi conserve” o prodotti non stabilizzati termicamente, potrebbe causare intossicazione da istamina. Gli operatori del commercio al dettaglio devono assicurare che i prodotti della pesca stabilizzati termicamente, ma poi sconfezionati per il frazionamento nella fase di

commercializzazione, devono assicurare il rispetto della temperatura di conservazione, la protezione da contaminazione microbica e lo stato di conservazione del prodotto in giacenza ed inoltre la tracciabilità. Gli operatori che producono tali prodotti della pesca devono tenere in debita considerazione il rischio istamina e nel proprio piano di autocontrollo devono effettuare le proprie verifiche ai sensi del Reg. CE n. 2073/2005 e successive modifiche. Considerando la complessità della gestione del rischio istamina, gli stabilimenti che movimentano grossi quantitativi di prodotti ittici sopra-elencati, compresi quelli preparati (sottovuoto, atmosfera protettiva) sotto controllo il proprio processo produttivo avvalendosi di un tecnico di professionalità adeguata del settore ittico che sia in grado di individuare gli interventi appropriati tenendo conto dell’entità, della frequenza e dell’origine delle partite delle specie a rischio, anche attraverso l’esecuzione di test rapidi per la determinazione semi-

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quantitativa del livello di istamina. L’esperienza di diversi anni ha dimostrato che questi test, oltre che affidabili, hanno il vantaggio di essere eseguiti in tempi brevi e consentono di verificare a campione il tenore di istamina di una partita. Guida per il controllo ufficiale Controlli a campione per la sorveglianza dell’istamina devono essere effettuati al fine di verificare il rispetto dei livelli accettabili stabiliti dalla normativa comunitaria. Qualora dall’esame organolettico emergano dubbi circa la freschezza relativamente alle specie indicate nel Reg. (CE) 2073/2005 e successive modifiche riguardo il contenuto di istamina, si dovrà procedere con le analisi per istamina secondo le indicazioni stabilite dallo stesso regolamento. La compromissione dei caratteri organolettici tuttavia non porta necessariamente alla formazione di istamina, anzi è frequente il rilevamento di soggetti che, nonostante presentino buoni caratteri organolettici di freschezza, sottoposti ad analisi di laboratorio risultano possedere una elevata concentrazione di istamina. L’autorità sanitaria, nella competenza del veterinario, deve valutare la gestione del rischio istamina da parte del detentore delle partite delle specie sensibili. A questo scopo si devono considerare i fattori che possono condizionarne la forma-

zione: in primo luogo esaminando la tracciabilità della partita (acquisendo informazioni sull’origine e sui possibili passaggi della filiera, sulla specie e tipo di pesca, sulla provenienza e le tipologie di trasporto, ecc…) e verificando le condizioni igieniche di lavorazione e la continuità della catena del freddo. Inoltre, si deve considerare se in autocontrollo sono state eseguite delle verifiche di monitoraggio analitico anche con test rapidi. A seguito di questi accertamenti il veterinario raccoglie elementi per rilevare le situazioni più critiche, in cui gli operatori non danno sufficienti garanzie di una corretta gestione del rischio istamina, e decidere se eseguire un campionamento ufficiale. Nelle fasi successive alla produzione (distribuzione/somministrazione), in caso di sospetto e di quantità insufficiente di prodotto per la costituzione delle unità campionarie ed aliquote previste per tale tipologia di analisi, in accordo con la modifica introdotta dal Reg. UE 1019/2013, l’autorità competente può procedere al campionamento anche di aliquote con unità campionarie inferiori a nove. C. INDICATORI DI FRESCHEZZAAZOTO VOLATILE TOTALE

Guida per gli operatori del settore alimentare I prodotti della pesca non trasfor-

mati non devono essere immessi sul mercato se le analisi chimiche rivelano che i limiti relativi all’ABVT o al TMA-N sono stati superati. Guida per il controllo ufficiale Qualora dall’esame organolettico emergano dubbi circa la freschezza dei prodotti della pesca, possono essere prelevati campioni da sottoporre ad esami di laboratorio per determinare i livelli di azoto basico volatile totale (ABVT) e di trimetilammina-azoto (TMA-N) solo per alcune specie. Occorre ricordare che, tra i trattamenti non consentiti dei prodotti della pesca atti all’ottenimento del colore rosso ed al conferimento di un gradevole aspetto visivo prolungato, vi è l’utilizzo del monossido di carbonio, che stabilizza il colore rosso del muscolo legandosi al Fe+2 dell’eme muscolare formando un complesso rosso carbossiemoglobina, grazie alla maggiore affinità del monossido di carbonio all’eme rispetto all’ossigeno. L’uso illegale di monossido di carbonio produce, come sopra esposto, un’alterazione di colore e, pertanto, una valutazione delle caratteristiche organolettiche con particolare attenzione alle anomalie del colore può risultare utile come primo strumento di valutazione. Tale trattamento può nascondere processi di deterioramento nel prodotto, non necessariamente per-

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cepibili attraverso l’esame olfattivo, e quindi ingannare il consumatore nel momento dell’acquisto. Inoltre, un processo di deterioramento può determinare un significativo aumento dei livelli di ammine biogene (istamina) con conseguenza sulla sicurezza d’uso dell’alimento. Il monossido di carbonio è, peraltro, naturalmente presente nei tessuti di prodotti ittici, ed i suoi livelli naturali nelle carni bianche o rosse o tra specie diverse (tonno, tilapia, lampuga, altro) risultano molto variabili. La DG SANCO ha definito in 200 ppb di monossido di carbonio, il limite al di sopra del quale il prodotto deve essere considerato non conforme. Attualmente, nonostante siano descritti vari metodi analitici per la determinazione del monossido di carbonio in prodotti ittici (cromatografici, spettrofotometrici), non risultano disponibili metodi di riferimento comunitari in grado di determinare quantitativamente e/o distinguere il monossido di carbonio naturalmente presente da quello do-

vuto a trattamento illegale, pertanto è stato indicato di non effettuare campionamenti finalizzati alla ricerca del monossido di carbonio come da nota Ministeriale DGISAN 27934 del 09 luglio 2014. Campionamenti per la ricerca di istamina dovranno essere effettuati in tutti i casi in cui si sospetti l’utilizzo di additivi non autorizzati a base di perossido di idrogeno che, pur non presentando un rischio diretto per la salute, analogamente al monossido di carbonio potrebbero, allungando la vita commerciale del prodotto, favorire l’innalzamento del livello di istamina. D. PARASSITI Premessa L’opinione EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) concernente una valutazione del rischio per parassiti nei prodotti della pesca, pubblicato il 14 aprile 2010 [EFSA Journal 2010; 8(4):1543], descrive che, in base alle attuali conoscenze, nessuna area di pesca marittima

può essere considerata esente da anisakidi. Nello stesso documento l’EFSA comunica che non ci sono giustificazioni per modificare le attuali pratiche commerciali che consentono al consumatore la possibilità di acquistare prodotti della pesca freschi; pertanto, tali prodotti della pesca freschi, qualora non presentati o somministrati per essere consumati crudi o quasi crudi, potrebbero contenere parassiti vivi al momento dell’acquisto da parte del consumatore. Dall’esame dell’opinione EFSA, in relazione ai metodi previsti dal Regolamento 2074/2005 per la ricerca dei parassiti visibili, si evince che nelle parti edibili dei prodotti della pesca (prodotti della pesca eviscerati, filetti e tranci), non è possibile stabilire una “tolleranza zero” relativamente alla presenza di larve di nematodi. Viene infatti specificato che il controllo visivo non distruttivo effettuato in condizioni ottimali, anche se attuato mediante speratura, non consente di rilevare tutte le larve eventualmente presenti nel campione, seppur rappresenta-

Il monossido di carbonio è naturalmente presente nei tessuti di prodotti ittici ed i suoi livelli naturali nelle carni bianche o rosse o tra specie diverse risultano molto variabili (photo © stadio24.com).

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Cagliari, mercato del pesce di San Benedetto (photo © Alessio Orrù, Fotolia). tivo della partita. L’opinione EFSA riporta inoltre che il passaggio delle larve di anisakidi da un ospite all’altro lungo la catena alimentare marina ne determina l’accumulo, anche in forma massiva, specialmente nei pesci di grandi dimensioni e in età avanzata. Infatti, quando un pesce si alimenta di un altro pesce parassitato, la capsula delle larve viene digerita con liberazione della stessa con il ripetersi del ciclo larvale nel nuovo ospite; peraltro, non è conosciuto il numero di cicli che una singola larva può ripetere in diversi ospiti prima di perdere infettività. Sulla scorta del predetto parere, la Commissione europea ha adottato il Reg. (CE) 1276/2011, che modificando l’All. III, sezione VIII, capitolo III, del Reg. (CE) n. 853/2004, parte D, stabilisce quanto segue: “D. REQUISITI RELATIVI AI PARASSITI 1. Gli operatori del settore alimentare che immettono sul mercato i seguenti prodotti della pesca derivati da pesci pinnati o molluschi cefalopodi: a. i prodotti della pesca che vanno consumati crudi o

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praticamente crudi; oppure b. i prodotti della pesca marinati, salati e qualunque altro prodotto della pesca trattato, se il trattamento praticato non garantisce l’uccisione del parassita vivo, devono assicurarsi che il materiale crudo o il prodotto finito siano sottoposti a un trattamento di congelamento che uccide i parassiti vivi potenzialmente rischiosi per la salute dei consumatori. 2. Per i parassiti diversi dai trematodi il congelamento deve consistere in un abbassamento della temperatura in ogni parte della massa del prodotto fino ad almeno: a. –20 °C, per almeno 24 ore; oppure a. –35 °C, per almeno 15 ore; 3. Gli operatori del settore alimentare non sono tenuti a praticare i trattamenti di congelamento di cui al punto 1 per i prodotti della pesca: a. sottoposti, o destinati a essere sottoposti, a un trattamento

termico che uccide il parassita vivo prima del consumo. Nel caso di parassiti diversi dai trematodi il prodotto è riscaldato a una temperatura al centro del prodotto superiore o uguale a 60 °C per almeno un minuto; b. che sono stati conservati come prodotti della pesca congelati per un periodo sufficiente a uccidere i parassiti vivi; c. derivanti da cattura in zone di pesca non di allevamento, a condizione che: i. esistano dati epidemiologici indicanti che le zone di pesca d’origine non presentano rischi sanitari con riguardo alla presenza di parassiti; ii. le autorità competenti lo autorizzino; d. derivati da piscicoltura, da colture di embrioni e nutriti esclusivamente secondo una dieta priva di parassiti vivi che rappresentano un rischio sanitario, e purché uno dei

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Lavorazione del tonno (photo © Nattawut Thammasak, Fotolia). seguenti requisiti sia soddisfatto: i. sono stati allevati esclusivamente in un ambiente privo di parassiti vivi; oppure i. l’operatore del settore alimentare verifica mediante procedure approvate dall’autorità competente che i prodotti della pesca non rappresentano un rischio sanitario con riguardo alla presenza di parassiti vivi. 4. a. Al momento dell’immissione sul mercato, a meno che non siano forniti al consumatore finale, i prodotti della pesca di cui al punto l devono essere accompagnati da un’attestazione dell’Operatore del Settore Alimentare che ha effettuato il trattamento di congelamento, indicante il tipo di congelamento al quale sono stati sottoposti; b. Prima dell’immissione sul

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mercato dei prodotti di cui al punto 3, lettere c) e d), che non sono stati sottoposti al trattamento di congelamento o che non sono destinati ad essere sottoposti ad un trattamento, prima del consumo, volto ad uccidere i parassiti vivi che rappresentano un rischio sanitario, un operatore del settore alimentare deve assicurarsi che i prodotti della pesca in questione provengano da una zona di pesca o piscicoltura conforme alle condizioni specifiche di cui ai punti citati. La presente disposizione può essere ottemperata dalle informazioni presenti nel documento commerciale o da qualunque altra informazione che accompagna i prodotti della pesca. Gli operatori del settore alimentare devono assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo per la ricerca di endoparassiti visibili prima dell’im-

missione sul mercato. Gli operatori non devono immettere sul mercato per il consumo umano i prodotti della pesca manifestamente infestati da parassiti. I principi su cui si basa la normativa concernente la presenza di parassiti nei prodotti della pesca sono fondamentalmente due: 1. l’OSA non deve immettere sul mercato prodotti manifestamente infestati da parassiti; 2. l’OSA che produce prodotti da destinare al consumo crudo o praticamente crudo deve adottare trattamenti efficaci all’inattivazione di parassiti. Questa duplice impostazione deriva dalla necessità di affrontare distintamente i due aspetti legati alla presenza dei parassiti nei prodotti della pesca: • da una parte il problema della presenza di parassiti visibili (per “parassita visibile” si intende un parassita o un gruppo di parassiti che per dimensioni, colore o struttura è chiaramente distinguibile nei tessuti dei pesci);

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Controlli sulla filiera della pesca (photo © www.guardiacostiera.gov.it). • dall’altra, quello zoonosico, legato al consumo di pesce crudo e alle relative disposizioni di risanamento preventivo. Il primo aspetto scaturisce dall’indicazione “manifestamente infestati da parassiti”, che è una condizione in grado comunque di suscitare spontanee e legittime reazioni di disgusto da parte del consumatore. In questo caso anche quando i parassiti non rappresentano un reale rischio di infestazione per l’uomo, gli alimenti sono da considerarsi inadatti al consumo secondo quanto stabilito dall’articolo 14, comma 2, lettera b), del Reg. (CE) 178/2002. Ridurre al minimo questa evenienza è un principio che la norma vuole garantire e che l’operatore deve assicurare a prescindere dalla specie di parassita e dal suo effettivo potere infestante per l’uomo. Anche le larve L3 di Anisakidi, a prescindere dalla capacità infestante, essendo visibili, rientrano nella definizione di “parassita visibile” e come tali devono essere considerate. La ripugnanza visiva è legata

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principalmente alla localizzazione dei parassiti a livello viscerale o sulla superficie dei pesci interi. È implicito che, eliminando i visceri infestati dalla cavità celomatica, si contribuisce contemporaneamente a prevenire la zoonosi, riducendo la possibilità di migrazione delle larve L3 nella muscolatura. Il secondo aspetto affronta il reale rischio zoonosico cioè l’effettivo pericolo di trasmissione del parassita all’uomo a seguito del consumo di specialità alimentari a base di pesci di mare e molluschi cefalopodi crudi o poco cotti. Questo effettivo rischio zoonosico deve essere gestito con le procedure di bonifica previste dal Reg. 853 /2004. Il Reg. (CE) 853/2004, all’All. III, sezione VIII, capitolo V, lettera D, applicabile anche alla vendita al dettaglio, definisce obblighi specifici in relazione alla presenza di parassiti nei prodotti della pesca: “Gli operatori del settore alimentare devono assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo per la ricerca di

endoparassiti visibili prima dell’immissione sul mercato. Gli operatori non devono immettere sul mercato per il consumo umano i prodotti della pesca manifestamente infestati da parassiti”. In riferimento al termine endoparassiti si evidenzia che la versione inglese del regolamento utilizza il termine parasites, erroneamente tradotto nella versione italiana con “endoparassiti”. Il termine obviously contaminated with parasites della versione inglese è stato correttamente tradotto con “manifestamente infestati da parassiti”. Il termine obviously letteralmente è traducibile con “ovviamente”, “evidentemente”; non ha pertanto alcuna correlazione con “numero dei parassiti”. Il termine manifestamente infestati da parassiti è riferito all’evidenziazione di parassiti all’esame visivo, svolto conformemente alle modalità previste dal Reg. (CE) 2074/2005, All. II, sezione I, senza alcuna correlazione con il grado di infestazione rilevato. Questo paragrafo, in analogia con gli altri punti

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del presente documento, è distinto nella guida per l’OSA e nella guida per il controllo ufficiale. La guida per l’OSA riporta in dettaglio le istruzioni per la produzione primaria, per gli stabilimenti riconosciuti e registrati, ivi compresi quelli che effettuano la vendita al dettaglio. Guida per gli operatori del settore alimentare Gli OSA, nelle diverse tipologie di attività, compresa la vendita al dettaglio, devono organizzare, nei propri piani di autocontrollo e nell’ambito delle buone prassi igieniche, delle procedure mirate a gestire le due tipologie di rischio sopra specificate: da una parte evitare o comunque limitare la possibilità di far rilevare la presenza di parassiti visibili, dall’altra impedire che le eventuali larve infestanti localizzate nelle parti edibili possano rappresentare un reale rischio zoonosico per il consumatore. Si tratta quindi di organizzare un controllo visivo sulle singole partite (def. da Reg. 2406/1996) o lotti, in tutte le fasi della filiera. In particolare nelle fasi successive allo sbarco nelle strutture riconosciute dell’attività post-primaria come mercati ittici all’ingrosso, stabilimenti riconosciuti e piattaforme della GDO. Produzione primaria L’OSA della produzione primaria deve effettuare una verifica sull’eventuale presenza di parassiti; per cui, pur se non tenuto all’applicazione dell’HACCP, è opportuno che nell’ambito delle proprie modalità operative di corretta prassi igienica preveda la gestione del rischio parassiti. Nei casi in cui l’eviscerazione venga effettuata a bordo, secondo quanto previsto dal par. 4 parte A, All. I del Reg. CE/852/04, anche gli operatori della produzione primaria sono tenuti ad assicurare il rispetto dei requisiti previsti dal Cap. V, sez. VIII, Allegato III, del Reg. CE 853/04; in particolare non devono immettere sul mercato per il consumo umano prodotti della pesca manifestamente parassitati. Nell’All. III, sezione VIII, capitolo I, parte II, punto 6 del Reg.

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(CE) 853/2004, per quanto concerne i requisiti in materia di igiene, viene ribadito che quando l’eviscerazione avviene a bordo, ove tecnicamente e commercialmente praticabile, tale operazione dovrebbe essere effettuata prioritariamente sulle specie che con maggiore frequenza risultano parassitate (pesce sciabola, melù, ecc…); tali operazioni devono essere effettuate nel rispetto delle norme igieniche, appena possibile dopo la cattura. I visceri e le parti che possono costituire un pericolo per la salute pubblica vengono rimossi appena possibile e tenuti separati dai prodotti destinati al consumo umano. Per “eviscerabilità” da un punto di vista tecnico deve intendersi la possibilità di procedere all’eviscerazione in relazione alle dimensioni del pescato, alle modalità di vendita e tenendo conto anche della fattibilità di effettuare a bordo tale operazione nel rispetto dei requisiti igienico-sanitari (es. presenza di aree o spazi dedicati, superfici idonee, possibilità di effettuare il lavaggio del pesce dopo eviscerazione, ecc…). Tale definizione è applicabile anche in caso di pesca in acque interne. Tenendo conto dei succitati obblighi dell’OSA relativi all’igienicità dell’eviscerazione, ove praticata, è opportuno che i manuali di corretta prassi operativa per la produzione primaria del settore della pesca contengano orientamenti ai fini del controllo del pericolo parassiti, nonché le buone prassi da seguire nel caso di eviscerazione a bordo e conseguente gestione degli scarti di lavorazione. Produzione post primaria Le misure applicative del Reg. (CE) 2074/2005 stabiliscono le fasi di filiera in cui effettuare il controllo e le relative modalità di controllo visivo che l’OSA deve assicurare, prescrivendo che: I responsabili degli stabilimenti a terra e le persone qualificate a bordo delle navi officina determinano, in funzione della natura dei prodotti della pesca, della loro origine geografica e del loro impiego, l’entità e


Per quanto concerne la verifica negli stabilimenti riconosciuti che non effettuano manipolazioni come sfilettatura o trinciatura, come ad esempio il mercato ittico o i depositi all’ingrosso, i controlli ufficiali dovranno valutare le procedure di autocontrollo basate sul sistema HACCP e la corretta applicazione delle suddette procedure anche attraverso controlli a campione (photo © www.venturicesenatico.it). la frequenza dei controlli. L’entità e la frequenza dei controlli sono stabiliti pertanto anche in funzione della specie di prodotto, origine geografica e impiego del prodotto commercializzato. Naturalmente, se il prodotto commercializzato è destinato ad essere consumato crudo, l’entità e la frequenza dei controlli, così come stabiliti dal Reg. (CE) 2074/2005, devono essere adeguati. Durante la produzione, il controllo visivo del pesce eviscerato deve essere effettuato da persone qualificate sulla cavità addominale, i fegati e le gonadi destinati al consumo umano. A seconda del metodo di eviscerazione utilizzato, il controllo visivo deve essere eseguito: a. in caso di eviscerazione manuale, dall’addetto, in modo continuativo, al momento dell’estrazione dei visceri e del lavaggio; b. in caso di eviscerazione meccanica, per campionamento, effettuato su un numero rappresentativo di unità, costituito

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da almeno dieci esemplari per partita. Il controllo visivo dei filetti o dei tranci di pesce deve essere effettuato dagli operatori durante la preparazione successiva alla sfilettatura o all’affettatura. Qualora le dimensioni dei filetti o le tecniche di sfilettatura non consentano un controllo individuale, un piano di campionamento deve essere predisposto e tenuto a disposizione dell’autorità competente, a norma dell’allegato III, sezione VIII, capitolo II, punto 4, del regolamento (CE) n 853/2004. Qualora sia tecnicamente necessaria, la spera tura dei filetti dovrà essere inclusa nel piano di campionamento. Tutti gli OSA, compresi i responsabili degli stabilimenti registrati ai sensi del Reg. (CE) 852/2004 quali pescherie, ristoranti, terminali di distribuzione ecc…, sono tenuti ad assicurare il rispetto dei requisiti di cui al Reg. (CE) 853/2004, all’All. III, sezione VIII, capitolo V, let-

tera D, cioè devono garantire un controllo visivo per la ricerca dei parassiti visibili in maniera tale da evitare l’immissione in commercio di prodotti che siano manifestamente infestati da parassiti. Se dopo che l’impresa alimentare ha eseguito in maniera igienica le normali operazioni di cernita e/o le procedure preliminari o di trattamento il prodotto resta manifestamente infestato, è come tale da considerarsi inadatto al consumo umano. Nella definizione di “manifestamente parassitati”, appare chiaro che il legislatore comunitario voglia evitare che al consumatore giungano alimenti inadatti al consumo o ripugnanti nella consapevolezza che non è possibile escludere totalmente la presenza di larve alla luce del parere dell’EFSA che rappresenta come, anche attraverso le normali attività ispettive, non sia possibile escluderla. Gli operatori responsabili degli stabilimenti riconosciuti

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devono effettuare un controllo visivo su un numero rappresentativo di pesci per ciascuna partita, tenendo conto della specie, della pezzatura e della provenienza. Inoltre, devono mettere in atto tutte le misure preventive e correttive necessarie, nonché definire il destino commerciale dei prodotti esaminati. In caso di prodotto che all’esame risulti manifestamente parassitato l’OSA per commercializzare il prodotto può usufruire di diverse soluzioni in funzione, della specie, della pezzatura e dell’utilizzo finale: • per le specie di pezzatura medio/ grande: eviscerazione preventiva, rimozione dei visceri da eseguirsi in uno stabilimento all’uopo attrezzato o in alternativa l’eviscerazione differita alla vendita al dettaglio come condizione obbligatoria: il dettagliante è vincolato a vendere il prodotto esclusivamente eviscerato; in questo caso colui che ha effettuato l’esame per la ricerca dei parassiti ne comunica per iscritto l’esito al venditore al dettaglio; • per le specie di piccola pezzatura: eviscerazione differita alla vendita al dettaglio come condizione obbligatoria, il dettagliante è vincolato a vendere il prodotto esclusivamente eviscerato; • industria conserviera; • destinazione non alimentare; I responsabili degli stabilimenti riconosciuti che effettuano evisce-

razione, sfilettatura o tranciatura e delle navi officina hanno l’obbligo di effettuare il controllo visivo per la ricerca di parassiti mediante l’utilizzo delle modalità prescritte dal Reg. CE 2074/2005. Il prescritto controllo visivo, volto alla ricerca dei parassiti visibili, si effettua: a. al momento dell’estrazione dei visceri mediante controllo visivo sulla cavità celomatica, durante o subito dopo l’eviscerazione; (a seconda della tecnica utilizzata, comprendendo fegati e gonadi se destinati al consumo umano); b. al momento della sfilettatura o affettatura. L’evidenziazione di parassiti su visceri, compresi fegati e gonadi, può essere utilizzata dall’OSA come indicatore indiretto per la potenziale presenza di parassiti nelle parti edibili. L’OSA, nell’ambito del proprio piano di autocontrollo, ed in particolare delle procedure basate sul sistema HACCP, fissa l’entità e la frequenza dei controlli, in relazione alla natura dei prodotti della pesca, della loro origine geografica e della loro destinazione d’uso, stabilendo: limiti critici, monitoraggio, strategie di campionamento e metodica utilizzata, azioni correttive sul prodotto non conforme. Considerato che l’efficacia dell’esame visivo, nel rilevare la presenza di parassiti, è correlata alle capacità soggettive del personale tecnico

qualificato, l’OSA deve stabilire le modalità di qualificazione del personale e criteri per il mantenimento della qualifica. La speratura va utilizzata per esaminare i filetti qualora gli stessi siano spellati e di dimensioni tali da garantire l’efficacia di tale esame. All’accettazione della materia prima, l’OSA, al fine di ottenere elementi di valutazione circa l’idoneità della partita in entrata, definisce procedure di verifica/accettazione del prodotto in funzione della successiva destinazione. L’OSA che riceve prodotti della pesca interi per venderli tal quali deve comunque garantire che il prodotto non si presenti manifestamente infestato da parassiti e quindi inadatto al consumo umano. Gli OSA che ricevono i prodotti della pesca già eviscerati presso un altro stabilimento della filiera post primaria, oppure già sfilettati o in tranci, non sono tenuti ad effettuazione dei controlli sui prodotti della pesca ai sensi del Reg. CE/2074/2005 ma sono comunque tenuti alla verifica del rispetto del requisito di cui al Reg. CE/853/2004, All. III, sez. VIII, capitolo V, lettera D). A tal fine, gli OSA garantiscono il rispetto dei requisiti di cui sopra anche tenendo conto delle garanzie offerte dai loro fornitori, in merito alla presenza di parassiti visibili nei citati prodotti. Ne consegue che qualora l’OSA che riceve un prodotto della pesca, sul quale un altro OSA era obbligato

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all’effettuazione del controllo visivo, dovesse verificare la presenza di parassiti manifestamente visibili, deve escludere dalla commercializzazione il prodotto tal quale e valutare la possibilità di eliminare le parti infestate prima della commercializzazione o utilizzo del prodotto e segnalare senza ritardo, in base alla procedure di autocontrollo adottate, la “non conformità” al fornitore. Rimane fermo che i prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi, o che hanno subito una lavorazione tale da non garantire l’uccisione dei parassiti nel prodotto finito (ready to eat), devono essere sottoposti al trattamento di cui al Reg. CE 853/2004, All. III, sezione VIII, capitolo III, parte D e successive modifiche e integrazioni (Reg. CE 1276/2011). A tal proposito, ulteriori chiarimenti sono riportati nella nota del Ministero della Salute prot. 0004379-P-17/02/2011 avente per oggetto: “Chiarimenti concernenti alcuni aspetti applicativi del Reg. (CE) 853/2004 in materia di ven-

dita e somministrazione di preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi o praticamente crudi” e nell’articolo 68, informazioni fornite al consumatore, del Reg.(UE) 404/2011. Il citato Regolamento 404 prevede, in particolare, che la menzione di “scongelato” a livello di vendita al dettaglio (compresi quindi i ristoranti) non debba figurare nel caso di prodotti della pesca e acquacoltura congelati per ragioni di sicurezza sanitaria, conformemente all’All. III, sez. VIII, del Reg. CE 853/2004. Vendita al consumatore finale A tutela del consumatore con il DM 17 luglio 2013 sono state dettate le informazioni minime relative alle corrette condizioni di impiego che devono essere riportate dal cartello apposto nei luoghi in cui sono offerti in vendita al consumatore finale pesce e cefalopodi freschi, nonché pesci di acqua dolce, sfusi o preimballati per la vendita diretta. L’OSA è tenuto ad esporre nel luogo di vendita un apposito cartello dal

seguente contenuto: “INFORMAZIONI AL CONSUMATORE PER UN CORRETTO IMPIEGO DI PESCE E CEFALOPODI FRESCHI: in caso di consumo crudo, marinato o non completamente cotto il prodotto deve essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a –18 °C in congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle”. Come menzionato, il Reg. 853/2004 prevede che gli OSA che immettono sul mercato i prodotti della pesca che vanno consumati crudi o praticamente crudi devono assicurarsi che il prodotto sia sottoposto a congelamento. La norma individua alcune fattispecie che esonerano gli OSA da tali trattamenti tra cui il caso di prodotti della pesca derivati da piscicoltura nutriti esclusivamente secondo una dieta priva di parassiti vivi che rappresentano un rischio sanitario e allevati esclusivamente in un ambiente privo di parassiti (allevamenti in vasca). In tale caso qualora si intenda commercializzare il prodotto anche per il consumo crudo senza preventivo congelamento, l’OSA responsabile della vendita al consumatore finale deve

Banco del pesce (photo © Christophe Fouquin).

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Controllo qualità in laboratorio (photo © Wladimir Bulgar). assicurarsi che i prodotti della pesca rispondano alle condizioni di cui sopra. La norma comunitaria prevede che tale disposizione possa essere ottemperata dalle informazioni presenti nel documento commerciale che dovrà quindi essere integrato con i pertinenti aspetti. Compito dell’autorità competente è quello di verificare la validità di queste procedure e la loro efficace esecuzione. Guida per i controlli ufficiali Il Reg. CE 854/2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano, all’All. III, Capo II, lettera F, stabilisce che: “I controlli ufficiali sui prodotti della pesca comprendono almeno i seguenti elementi [… omissis …] PARASSITI controlli a campione intesi a verificare il rispetto della normativa comunitaria relativa ai parassiti”. Inoltre, sempre con il Reg. CE 854/2004, all’All. III, capo III, in relazione alle decisioni successive ai controlli sui prodotti della pesca, viene previsto che: I prodotti della

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pesca sono dichiarati non idonei al consumo umano se: 1. in seguito a controlli organolettici, chimici, fisici o microbiologici o a controlli relativi alla presenza di parassiti essi si rivelano non conformi alla pertinente normativa comunitaria; [… omissis …] 4. l’autorità competente ritiene che essi possano rappresentare un rischio per la salute pubblica o degli animali o che, per qualsiasi motivo, non siano idonei al consumo umano. I controlli ufficiali sono volti alla verifica del rispetto degli obblighi degli OSA pertanto, a livello di produzione primaria, il controllo deve verificare che la gestione dell’eventuale infestazione da parassiti sia prevista nelle modalità operative di corretta prassi igienica. Per quanto concerne la produzione post primaria, l’autorità competente negli stabilimenti o navi officina riconosciuti che effettuano operazioni di eviscerazione, sfilettatura o tranciatura, ecc… valuta: • la presenza di procedure di au-

tocontrollo basate sul sistema HACCP che tengano conto delle modalità di controllo visivo dei parassiti riportate nel Reg. CE 2074/2005, All. II, sezione I; • la corretta applicazione delle suddette procedure di autocontrollo anche attraverso controlli a campione sul prodotto e la verifica della formazione del personale addetto al controllo visivo. Per quanto concerne la verifica negli stabilimenti riconosciuti che non effettuano le manipolazioni suddette (es. sfilettatura o trinciatura ecc…), come ad esempio il mercato ittico o i depositi all’ingrosso, i controlli ufficiali dovranno valutare le procedure di autocontrollo basate sul sistema HACCP e la corretta applicazione delle suddette procedure anche attraverso controlli a campione. Secondo il parere dell’EFSA relativo alla valutazione del rischio per parassiti nei prodotti della pesca, nessuna area di pesca marittima può essere considerata esente da anisakidi e la presenza di larve di anisakidi nei prodotti della

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pesca va considerata come condizione naturale e normale e non già come condizione di alterazione degli stessi, diversamente dalla presenza di altri parassiti. L’articolo 5 della Legge 283 del 1962 prevede alla lettera d) l’ipotesi contravvenzionale dell’operatore del settore alimentare che impieghi nella preparazione di alimenti e bevande, venda, detenga per vendere, somministri ai propri dipendenti, o comunque distribuisca per il consumo sostanze alimentari che siano, tra l’altro, invase da parassiti, o comunque nocive. La giurisprudenza penale (Sez. VI, sen. n. 12459 del 24/12/1985), in ordine a tale ipotesi di reato, in materia di esclusione della responsabilità per l’inconfigurabilità dell’elemento soggettivo, ha stabilito che: “al fine di escludere la responsabilità delle contravvenzioni per l’esistenza della buona fede è necessario che l’imputato provi di aver fatto quanto poteva per osservare la legge per cui nessun rimprovero può essergli mosso neppure per negligenza o imprudenza…”. Il Reg. (CE) 853/2004, all’All. III, sez. VIII, capitolo V, lettera d) definisce gli obblighi in relazione alla presenza di parassiti nei prodotti della pesca, stabilendo che: “gli operatori del settore alimentare devono assicurare che i prodotti della pesca siano sottoposti ad un controllo visivo alla ricerca di endoparassiti visibili prima dell’immissione sul mercato. Gli operatori non devono immettere sul mercato per il consumo umano i prodotti

della pesca manifestamente invasi da parassiti”. Infine, il Reg. (CE) 2074/2005, All. II, sez. I, stabilisce che “il parassita visibile” sia un parassita che “per dimensioni, colore o struttura sia chiaramente distinguibile nei tessuti dei pesci”. Tanto premesso alla luce della giurisprudenza penale si ritiene non perfezionabile l’ipotesi di contravvenzione di cui all’articolo 5 sopra richiamato per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, nell’ipotesi in cui l’operatore abbia agito in conformità alla legge nella verifica dell’assenza di parassiti e della nocività del prodotto destinato all’alimentazione. E. TOSSINE NOCIVE PER LA SALUTE UMANA Guida per gli operatori del settore alimentare Nel contesto dei controlli effettuati dall’OSA effettuati sugli stabilimenti che commercializzano e lavorano/ trasformano prodotti della pesca devono essere previsti controlli a campione ai fini della verifica della corretta identificazione dei prodotti della pesca per gli aspetti di interesse sanitario. Tali controlli devono essere volti in modo particolare a verificare che: 1. non siano immessi sul mercato i prodotti della pesca ottenuti da pesci velenosi delle seguenti famiglie: Tetraodontidae, Molidae, Diodontidae e Canthigasteridae. Per quanto riguarda la possibile immissione sul mercato di pesci della famiglia Tetraodontidae si riportano in Tabella 3 le differen-

ze tra rana pescatrice (Lophius piscatorius) e pesci tetraodontiformi entrambi decapitati; 2. non siano immessi sul mercato prodotti della pesca contenenti biotossine (es. ciguatossina, ecc…). Molto rilevanti a tal fine sono le informazioni relative all’eventuale presenza di interdizioni o restrizioni di pesca nell’areale di pesca di provenienza dei prodotti per presenza di biotossine. Nel corso del controllo ufficiale va valutato il piano di autocontrollo delle imprese alimentari per quanto attiene la valutazione dei fornitori e l’accettazione del prodotto in entrata in ordine alla possibile presenza delle biotossine; tanto in considerazione dell’areale di pesca e della tipologia di specie commercializzate. Alcune specie di prodotti della pesca, in particolar modo tra le specie predatrici di provenienza tropicale o sub tropicale (Mare Caraibi, Oceano Pacifico ed Indiano, alcune aree nel nord del Golfo del Messico), sono maggiormente soggette al possibile accumulo di ciguatossina. Si riporta un elenco non esaustivo delle specie maggiormente coinvolte da tale possibilità di accumulo: • barracuda (Sphyraena barracuda), ricciola (Seriola spp.), cernie (Famiglia Serranidae), lutianidi (Famiglia Lutjanidae), sugarello (Famiglia Carangidae), carango (Caranx spp.), pesce chirurgo (Famiglia Acanthuridae), murena (Famiglia Muraenidae), cernia (Cephalopholis spp.), pesce pappagallo (Famiglia Scaridae).

Tabella 3 Rana pescatrice

Tetraodontiformi

Pinna dorsale con tre raggi allungati: liberi, ben evidenti, davanti alla pinna dorsale principale

Assenza di pinna dorsale con raggi davanti alla pinna dorsale principale

Frangia cutanea lungo una linea laterale; orlo tra la parte dorsale scura e la parte ventrale chiara

Frangia cutanea assente (linea laterale indistinta)

Pelle e corpo completamente lisci e nudi

Pelle distintamente spinosa (almeno nella parte anteriore del corpo)

Pinna caudale con otto raggi

Pinna caudale con undici raggi

Metà esterna dei raggi mediani della pinna caudale divisi in 2-4 diramazioni

Raggi della pinna caudale divisi quasi fin dalla base dando origine ad 8 o più diramazioni

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Pesce in vendita al mercato (photo © Fotolia). La vendita e la somministrazione di prodotti della pesca appartenenti alla famiglia delle Gempylidae, in particolare il Ruvettus pretiosus Ruvetto, internazionalmente conosciuto anche come “pesce olio”, e il Lepidocybium flavobrunneum (Tirsite), internazionalmente conosciuto anche come “escolar”, è soggetta a particolari disposizioni. Infatti, tali specie non metabolizzano gli esteri cerosi che ingeriscono e, accumulandoli nelle carni, possono essere causa di diarrea e altri sintomi gastrointestinali acuti nel consumatore. Inoltre questi pesci se conservati in modo improprio dopo la cattura possono essere causa di intossicazione da istamina nel consumatore. L’EFSA nel 2004 ha espresso un parere riguardo la tossicità di tali prodotti e sulle modalità di trattamento e cottura prima del consumo. Non devono essere immessi sul mercato i prodotti della pesca contenenti biotossine (ad esempio la ciguatossina o le tossine che paralizzano i muscoli). Il Reg. (CE) 853/2004, All. II, Sezione VIII, Capitolo 5, lettera e, dispone che i prodotti della pesca

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appartenenti alla famiglia delle Gempylidae, freschi, preparati, congelati e trasformati possono essere immessi sul mercato solo in forma di prodotti confezionati o imballati e devono essere opportunamente etichettati al fine di informare i consumatori sulle modalità di preparazione o cottura e sul rischio connesso alla presenza di sostanze con effetti gastrointestinali nocivi. Il nome scientifico dei prodotti della pesca deve accompagnare il nome comune sull’etichetta. Sull’etichetta di questi prodotti deve essere riportato: “Nella cottura il grasso deve essere separato dalle carni, il liquido di cottura (anche alla brace) non deve essere usato per la preparazione della salsa. Temperature di conservazione superiori a 0 °C favoriscono la formazione di istamina”. Gli esercizi che li somministrano devono garantire che siano stoccati, preparati, cotti e somministrati nel rispetto delle indicazioni sopra riportate. Nell’ambito dell’autocontrollo l’OSA che commercializza e lavora/trasforma prodotti della pesca deve effettuare controlli a

campione ai fini della verifica della corretta identificazione dei prodotti della pesca per gli aspetti di interesse sanitario sopra riportati. Guida per il controllo ufficiale Molto rilevanti a tal fine sono le informazioni relative all’eventuale presenza di interdizioni o restrizioni di pesca nell’areale di pesca di provenienza dei prodotti per presenza di biotossine. Nel corso del controllo ufficiale va valutato il piano di autocontrollo delle imprese alimentari per quanto attiene la valutazione dei fornitori e l’accettazione del prodotto in entrata in ordine alla possibile presenza delle biotossine; tanto in considerazione dell’areale di pesca e della tipologia di specie commercializzate. Qualora nell’attività di controllo ufficiale vengano riscontrate specie di prodotti della pesca non note o non immediatamente riconoscibili per difficoltà interpretativa o modalità di presentazione (es. prodotto sfilettato, ecc…), l’operatore sanitario può avvalersi del supporto tecnico scientifico ed analitico dei labora-

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tori ufficiali designati al controllo ufficiale per la determinazione della specie di appartenenza affinché non siano introdotti sul mercato prodotti della pesca non presenti negli elenchi delle specie di interesse commerciale redatto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Una volta che venga individuata la presenza di prodotti non inseriti negli elenchi nazionali delle specie di interesse commerciale, l’autorità competente locale è tenuta a comunicarne il riscontro alla regione di competenza, secondo le procedure regionali o d’intesa con le autorità competenti in materia di pesca, per la successiva attribuzione di denominazione provvisoria della specie e per la proposta di inserimento della stessa nell’elenco nazionale ai sensi del DM 27 marzo 2002, art. 3, comma 2. Nel corso del controllo ufficiale devono essere previsti controlli a campione presso le imprese alimentari che trasformano molluschi bivalvi (inclusi gasteropodi marini, echinodermi e tunicati), anche se acquistano prodotto già confezionato da centri di depurazione/spedizione o anche già trasformati, al fine di verificare il rispetto di quanto previsto al punto 2, capitolo V, sezione 7, All. III del Reg. (CE) n. 853/2004 (rispetto limiti biotossine algali). L’acquisto di molluschi bivalvi vivi confezionati da centri di depurazione o spedizione o già trasformati non esonera, infatti, gli stabilimenti di trasformazione dalla verifica in autocontrollo del rispetto dei requisiti specifici per le biotossine algali ai sensi del Reg. (CE) n. 853/2004 (punto 2, capitolo V, sezione 7, All. III del Reg. CE n. 853/2004). Residui e contaminanti Guida per il controllo ufficiale In ottemperanza del Reg. (CE) 854/2004 che sancisce “È istituito un sistema di monitoraggio per il controllo de/livello di contaminazione con residui e contaminanti, conformemente alla normativa comunitaria”, le Regioni provvedono a programmare campioni di monitoraggio nel pescato. I campioni

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Acciughe confezionate in barattolo (photo © www.lkhbedoya.com). dovranno essere georeferenziati ed i risultati dovranno essere inseriti nel sistema SINVSA. Per i metalli pesanti il Reg. (CE) 333/2007 e successive modifiche, definisce le modalità di campionamento lungo le diverse fasi della filiera, inclusa anche la fase di distribuzione e di vendita al dettaglio; esso dà inoltre criteri generali per l’esecuzione dei campionamenti (punto BI dell’allegato), specifiche indicazioni per i piani di campionamento (punto B2 dell’allegato) e indicazioni per il campionamento nella fase di distribuzione al dettaglio (punto B3 dell’allegato). Il predetto regolamento definisce nel punto A dell’allegato il concetto di partita che, nel caso dei prodotti della pesca deve tenere conto anche della specie, dell’origine e dimensioni (taglia e quantitativo della partita), che devono essere associate all’attività e al contesto commerciale in cui viene eseguito il campionamento. In fase di campionamento dovranno pertanto essere effettuate le opportune valutazioni per verificare la sussistenza dei presupposti di cui al Reg. (CE) 333/2007, senza

tralasciare il numero di aliquote, ed il relativo quantitativo, necessario per la garanzia delle parti interessate. Da un’analisi delle diverse fasi di commercializzazione emerge che nella vendita al dettaglio possono esservi difficoltà nel reperire quantitativi di prodotti della pesca tali da essere rappresentativi della partita originaria a causa dei frazionamenti della stessa nelle precedenti fasi di commercializzazione. A tal fine, considerato che: • i controlli presso i PIF italiani sono già indirizzati da un Piano di controlli di laboratorio ad hoc che comprende anche il monitoraggio della presenza di metalli pesanti nelle categorie di prodotti della pesca a rischio in provenienza da Paesi Terzi; • una quota rilevante del prodotto destinato al mercato nazionale proviene da Paesi dell’UE ma anche che, nel rispetto delle disposizioni che disciplinano gli scambi intracomunitari, il Paese speditore ha l’onere pressoché esclusivo di garantire la sua conformità sanitaria, mentre lo

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Stato Membro di destinazione può procedere a controlli a sondaggio e non discriminatori; • che un’ulteriore quota di prodotti della pesca a rischio viene introdotta sul mercato nazionale da pescherecci italiani; si suggerisce di privilegiare il campionamento nelle fasi di produzione e commercializzazione precedenti a quelle di vendita al dettaglio (es. struttura di prima destinazione delle partite provenienti da altri Paesi dell’UE, primo sbarco, stabilimenti di confezionamento/preparazione/ trasformazione, commercializzazione all’ingrosso, ecc…). Ciò anche al fine di razionalizzare i controlli sul territorio nazionale ed evitare che le stesse partite o sotto-partite siano campionate per lo stesso parametro ripetutamente lungo le diverse fasi della distribuzione e commercializzazione. Per quanto su esposto, nel caso in cui il campionamento venga effettuato a livello di commercializzazione su sotto-partite o frazioni della

partita originaria, si ritiene che gli operatori possano documentare all’autorità che intende procedere al campionamento l’eventuale esito favorevole di precedenti controlli ufficiali sulla stessa partita, sottopartita e/frazione di partita. Si precisa che, a seguito dell’eventuale esito sfavorevole del campionamento di una sotto partita o frazione, l’AC è tenuta a prendere i provvedimenti del caso limitatamente alla sottopartita oggetto di campionamento, ivi inclusa la notifica di allerta, ed a segnalare la non conformità all’autorità territorialmente competente sullo stabilimento/deposito che ha fornito la sottopartita (provenienza/produzione/importazione); quest’ultima può non disporre un controllo analitico sulla partita originaria, qualora: – la stessa sia stata già oggetto di precedente campionamento ufficiale; – a seguito di una valutazione approfondita, risulti infondato ritenere che il resto della parti-

ta, lotto o consegna sia a rischio (articolo 14, Reg. CE 178/2002); – non disponga di quantitativi sufficienti. Nel caso in cui invece la partita originaria della frazione con esiti sfavorevoli, non abbia subito precedenti campionamenti ufficiali e sia stata frazionata e già completamente distribuita, l’AC sulla partita originaria comunica l’esito sfavorevole alle AC dei luoghi di destinazione di tutti gli altri frazionamenti, al fine di consentire alle stesse di valutare l’opportunità di un campionamento sulla sottopartita ricevuta ed adottare eventuali provvedimenti cautelativi/restrittivi limitatamente alla sottopartita. Controlli microbiologici Ove necessario, tali controlli microbiologici sono effettuati conformemente alle norme e ai criteri pertinenti stabiliti dalla normativa comunitaria. Allo stato attuale il riferimento è il Reg. (CE) 2073/2005.

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Più incidenti alimentari da cibi più sani Dai titoli dei giornali sembra che gli incidenti “alimentari” siano aumentati, mentre ricercatori e autorità sanitarie affermano che i cibi sono sempre più sani. L’apparente contraddizione dipende dai nuovi metodi di controllo e di identificazione delle infezioni d’origine alimentare con sistemi più rapidi e precisi di Giovanni Ballarini

Secondo i titoli dei giornali sembra che gli incidenti alimentari e soprattutto le infezioni provocate dai cibi siano in crescita, come numero e come cause. Fino a poco tempo fa, ad esempio, nessuno conosceva il norovirus o che esistessero talune varietà di Escherichia coli, un batterio comunemente presente nell’intestino umano, che possono causare gravi

malattie. Allo stesso tempo, i ricercatori ma, specialmente, le autorità sanitarie, affermano che i livelli di sicurezza degli alimenti siano sempre più elevati e che in particolare siano molto più alti di quelli di pochi decenni fa, per non parlare di quello che avveniva in quelli che sono ritenuti i bei tempi andati… Questa indubbia contraddizione, un vero e proprio

ossimoro, deriva da un insieme di fattori che interagiscono tra loro, dall’evoluzione dei metodi di analisi, alla mondializzazione del commercio alimentare, fino la diffusione delle notizie in tempo reale. Impronte genetiche di batteri e virus La medicina, e in particolare la microbiologia, la disciplina che studia

Le epidemie legate al batterio del Norovirus sono spesso associate al consumo di insalate, cibi freddi, sandwich, prodotti di panetteria. Il cibo potrebbe essere contaminato alla fonte, da acque infette, sia nel caso di frutti di mare sia di verdure fresche o di frutti di bosco (photo © Donatella Tandelli).

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Controllo in laboratorio. Grazie ai progressi nel campo della microbiologia, oggi si risale in breve tempo alle cause delle infezioni alimentari limitandone la diffusione anche grazie all’istituzione di un sistema rapido di allerta sovranazionale – RASFF (photo © Luchschen). i batteri e i virus che provocano le malattie, sono state oggetto di un grandissimo progresso e oggi abbiamo a disposizione metodi di analisi molto più efficienti rispetto a quelli anche di un passato recente. Un tempo i microbi erano isolati e identificati con culture e prove biochimiche e sierologiche che potevano durare persino settimane; oggi, invece, si usano metodi di biologia molecolare e di genetica batterica che rapidamente e con estrema precisione individuano le loro “impronte

genetiche” e le confrontano con le banche dati mondiali. In questo modo sono costruite e continuamente aggiornate una sorta di “mappe geografiche” dei batteri e virus interessati alle malattie collegate all’alimentazione. La rapidità d’individuazione delle cause delle infezioni d’origine alimentare e lo sviluppo dei commerci ha portato alla costituzione di un sistema sovranazionale di comunicazioni rapide o “allerte”. Una conseguenza di tutto ciò è che

Con il sistema di allerta si ha il ritiro di prodotti pericolosi per la salute umana o animale e, nel caso di rischio grave ed immediato, l’immediato sequestro dei prodotti di emergenza può essere integrato con comunicati stampa. In questo caso i cittadini sono informati sul rischio legato al consumo di un determinato prodotto e sui modi di riconsegna dell’alimento alla ASL competente

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oggi sono identificati anche piccoli focolai di malattia alimentare, costituiti da una sola famiglia, e non soltanto, come una volta, i focolai che comprendevano molte persone come gli incidenti di centinaia di ammalati (per esempio dopo un pranzo di nozze). Allerte alimentari Il meccanismo delle comunicazioni rapide è uno strumento essenziale per la valutazione di eventuali rischi e per la tutela del consumatore. Per notificare in tempo reale i rischi connessi al consumo di alimenti in Europa è stato istituito il Sistema Rapido di Allerta sotto forma di rete e che trova il suo fondamento giuridico nella Direttiva 92/59/ CEE del Consiglio europeo e nel Regolamento CE 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio. In Italia, il Ministero della Salute ha fornito indicazioni ai propri uffici periferici (UVAC, PIF, USMA) e alle Regioni e Province autonome le competenze e le modalità operative in caso di frode tossica o di prodotti nocivi o pericolosi per la salute pubblica, con un proprio

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sistema di allerta. Allerta significa allarme, mettere in guardia, avvisare. Il flusso delle allerte deve garantire la completezza delle informazioni e la tempestività della comunicazione. Le notifiche sono comunicate e condivise tra gli Stati Membri via rete, in tempo reale. Con il sistema di allerta si ha il ritiro di prodotti pericolosi per la salute umana o animale e, nel caso di rischio grave ed immediato (esempio tossina botulinica), l’immediato sequestro dei prodotti di emergenza può essere integrato con comunicati stampa. In questo caso i cittadini sono informati sul rischio legato al consumo di un determinato prodotto e sui modi di riconsegna dell’alimento alla ASL competente. La Commissione europea ha un sito apposito per la consultazione on-line delle notifiche settimanali, divise in prodotti a rischio che sono sul mercato europeo, o non presenti sul mercato europeo o già sottoposti a misure di controllo. Il sistema fa parte di un sistema mondiale che coinvolge analoghi sistemi nazionali e sovranazionali, come il FoodNet e PulseNet degli Stati Uniti d’America. I dati mostrano che dove sono attivi i sistemi di allarme si ha una diminuzione delle tossinfezioni alimentari, perché la rete d’informazioni stimola le azioni preventive e aumenta l’attenzione sui controlli. Anche produttori e rivenditori, temendo i controlli, si preoccupano di non andare incontro a incidenti che potrebbero tradursi in un grave danno di immagine. Il sistema funziona anche nei casi più complicati perché scatta un livello di analisi più approfondito che, in genere, consente di individuare la causa. Per quanto riguarda l’Italia, per esempio, nel 2015 si sono avute 2.967 notifiche contro le 3.097 del 2014 e le 3.136 del 2013. La diminuzione del numero di segnalazioni è in parte dovuta ad una maggiore collaborazione amministrativa tra Paesi Membri, che comunicano fra loro alcune non conformità di tipo “non grave” (esempio, etichettatura non conforme ecc…), senza effettuare notifica attraverso il sistema RASFF. Anche nel 2015 l’Italia è risultata il primo Paese membro nel

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numero di segnalazioni inviate alla Commissione europea. Comunicazione planetaria delle allerte e paura Un tempo i giornali davano notizia solo di incidenti soprattutto locali e relativamente rari che colpivano molte persone ammalate e che ricorrevano contemporaneamente all’ospedale del luogo. Era il tempo nel quale si diceva che per un influente giornale inglese, il TIMES, era più importante dare notizia di un morto a Piccadilly che cinquemila morti in Cina. Oggi attraverso i giornali, la televisione e, soprattutto internet, e usando i dati delle allerte alimentari, chiunque e in tempo reale sa di possibili rischi e anche di piccoli se non minimi episodi in qualsiasi parte del mondo e che comunque ci fanno paura. Di conseguenza, pare che ci siamo abituati ai morti di casa nostra, mentre abbiamo sempre più paura dei rischi e anche di minime malattie alimentari (e non) dei Cinesi o di popoli che vivono dall’altra parte della terra e di cui ci danno continuamente notizia i giornali e le televisioni. Infatti, bastano quattro o cinque Cinesi ammalati di enterite alimentare per preoccupare la massaia italiana che fa la spesa. Da qui l’aumento delle paure alimentari, anche se i nostri cibi sono sempre più sicuri, anche e proprio attraverso la scoperta di rischi ancora potenziali e di sia pur minimi incidenti, e attraverso i sequestri che eliminano ogni sia pur piccolo rischio. Da qui, più sicurezza degli alimenti, ma anche più paure emotive. Sistemi di allerta e commercio internazionale Infine, in una sempre crescente mondializzazione dei commerci, poter individuare con sicurezza e rapidamente negli alimenti batteri e virus anche solo potenzialmente pericolosi, e seguire il loro spostamento apre un nuovo scenario nelle trattative sui commerci degli alimenti, soprattutto se questi avvengono tra Paesi o continenti con diversi livelli di conoscenze e di sicurezza alimentare. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma


PACKAGING

Gli Europei e l’imballaggio I risultati esclusivi del grande sondaggio commissionato dal salone All4Pack Paris e realizzato da ObSoCo. A novembre, All4Pack proporrà numerosi eventi che permetteranno ai visitatori di decodificare i trend e di informarsi sulle sfide attuali e di domani del settore A pochi mesi dall’apertura, All4Pack Paris 2016, il salone internazionale di riferimento dell’area EMEA per i mercati dell’imballaggio e dell’intralogistica che si svolgerà a Paris Nord Villepinte dal 14 al 17 novembre 2016, rivela i risultati di un sondaggio esclusivo sulla cosiddetta “esperienza imballaggio” dei consumatori europei. Realizzato con ObSoCo – Observatoire Société et Consommation in quattro Paesi (Francia, Germania, Italia e Spagna) tra l’11 ed il 24 maggio scorsi

su un campione di 2.186 persone, suddivise equamente, questo sondaggio dimostra come le attese in termini di imballaggio, sia a livello di forma che di impatto emotivo o di informazioni veicolate, divergano molto in funzione dei Paesi interpellati. Mette inoltre in luce un altro aspetto: l’effetto generazionale sembra influenzare il rapporto tra l’imballaggio ed i consumatori, in particolare per quanto riguarda l’innovazione e la riduzione dell’impatto ambientale.

Per l’esaustività dell’offerta, All4Pack ha la capacità di riunire in un solo luogo i professionisti di circa 100 Paesi e rappresenta un appuntamento prioritario per tutti gli attori della filiera

Lo slogan di All4Pack Paris nel 2016 sarà “Let’s be creative!”, perché l’innovazione è fondamentale per generare valore e nuovi strumenti di crescita in un contesto economico estremamente concorrenziale (photo © www.flickr.com).

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Aspettative specifiche per Paese Se un certo consenso si manifesta per alcuni punti, il sondaggio mette in evidenza l’influenza delle specificità culturali sui risultati raccolti. Si può così osservare una certa divergenza tra i Francesi ed i Tedeschi da una parte, che sembrano privilegiare un approccio funzionale dell’imballaggio, e gli Italiani e gli Spagnoli dall’altra, più sensibili all’estetica e agli aspetti emozionali. Il 32% dei Francesi, ad esempio, vede l’imballaggio principalmente come una fonte d’informazione utile sui prodotti, che consenta loro di acquistare la dose e il giusto prodotto. Il 33% dei Tedeschi, invece, privilegia un packaging leggero che, nell’ambito specifico dell’e-commerce, riduca i volumi degli scarti, o un imballaggio a cui sia possibile dare una seconda vita. In base ai dati raccolti i Tedeschi sembrano i più sensibili all’impatto ambientale degli imballaggi, dalla fase di progettazione al loro riciclo. Per il 29% di essi, infatti, l’imballaggio deve essere riciclabile o riu-

tilizzabile. Italiani e Spagnoli sono molto più sensibili nei confronti delle “esperienze” offerte da alcuni imballaggi e si interessano allo sviluppo di imballaggi interattivi, intelligenti e personalizzati che rappresentano un autentico progresso per oltre due terzi di loro. Su una scala da 0 a 10, gli Spagnoli accordano 6,5 punti e gli Italiani 5,1 all’effetto “wow” che procura un imballaggio personalizzato. Un imballaggio ideale per ogni generazione Un effetto generazionale sembra inoltre influenzare il rapporto tra l’imballaggio ed i consumatori. Nei quattro Paesi di riferimento, gli intervistati più giovani (fascia 18-24 anni) sono i più entusiasti nei confronti degli imballaggi interattivi, che rappresentano per loro una fonte di progresso tanto in termini di salute e sicurezza dei prodotti che di riduzione dell’impatto ambientale degli imballaggi. Questa parte della popolazione rappresenta un segmento per cui innovare

nell’ambito degli imballaggi risulta essenziale! Il 36% della fascia 18-24 anni privilegia, inoltre, nel quadro dell’e-commerce, un imballaggio leggero che riduca i volumi degli scarti connessi all’imballaggio (vs. il 28% dell’intero campione). Gli intervistati più avanti con l’età (fascia 55-70 anni) sono più attenti agli imballaggi che garantiscono la protezione dei prodotti. Si tratta della funzione principale citata da più dei due terzi di essi. D’altra parte, sono anche i più numerosi a privilegiare un imballaggio che sia possibile riutilizzare o riciclare nel settore dell’e-commerce. L’imballaggio ideale per questa generazione sembra quindi corrispondere ad un imballaggio sostenibile, prodotto a partire da materiali in grado di garantire solidità e protezione del contenuto e che sia possibile riutilizzare o riciclare alla fine del suo ciclo di vita. >> Link: www.all4pack.fr www.salonifrancesi.com


Kit di gastronomia, un nuovo modo di fare cucina Sempre più Americani non cucinano. Per invogliarli a farlo, l’industria, con l’aiuto degli chef, ha messo in commercio dei kit che stanno avendo un grande successo e che di sicuro arriveranno al più presto in Europa, rappresentando un nuovo modo di vendere carni in confezioni pronte all’uso di Giovanni Ballarini

Un terzo degli Americani non cucina, mangia fuori casa o, quando rientra, si limita a scaldare al microonde piatti pronti. Al massimo, durante i giorni di festa, chi ha un giardino si avventura in cotture sul barbecue di cibi già preparati; altri usano sempre più sistemi automatici o semiautomatici di cottura, seguendo le semplici istruzioni allegate. Molti sono i motivi di questa dilagante disaffezione per

il fare cucina. La prima, e forse maggiore, ragione è che si preferisce dedicare il proprio tempo ad altre attività, dalla cura della persona alle attività sportive, ai viaggi, o a guardare la televisione, dove, non a caso, hanno sempre più spazio i cuochi e le preparazioni culinarie più svariate. Non bisogna dimenticare, però, che fare cucina non significa soltanto cuocere e impiattare, ma anche e

soprattutto eseguire una serie di essenziali preliminari che partono da una spesa oculata, con una scelta ragionata degli alimenti, che spesso richiedono noiose operazioni di pulizia e preparazione. È certamente per questo che hanno successo le verdure già preparate, le farine e i cereali precotti. Al tempo stesso è cresciuta l’attenzione per gli “spettacoli di cucina”, le prestazioni dei grandi chef

La Blue Apron è una delle nuove società specializzate nella preparazione dei kit di cucina (photo © Blue Apron).

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e le cucine esotiche, così, tra viaggi e televisione, gli Americani (come buona parte degli abitanti del mondo cosiddetto industrializzato), pur non facendo cucina, sono invogliati a cimentarsi con pentole e padelle, ma si fermano subito di fronte a una serie di difficoltà, prime tra tutte quella di procurarsi gli ingredienti e di prepararli. Per superare queste difficoltà, e dare a tutti l’impressione che si possa diventare bravi cuochi senza troppi sforzi e senza perdere tempo ad assemblare i vari ingredienti di una ricetta, viene in aiuto l’industria con i kit di cucina. Un settore che negli Stati Uniti, nel 2015, ha fatturato un miliardo di dollari e che si prevede possa raggiungere i dieci miliardi nel 2020, andando ad affiancare i kit fai dai te a cui siamo già ampiamente abituati (dall’arredamento alla manutenzione degli elettrodomestici o dell’auto). In sintesi, industrie come Plated, Hello Fresh o Blue Apron offrono dei kit che comprendono tutti gli ingredienti, puliti ed esattamente porzionati, disposti in idonee confezioni spesso sottovuoto o in atmosfera modificata, pronti per realizzare un piatto, con relative, dettagliate e precise istruzioni di uno chef, spesso celebre, che insegna passo per passo come operare, indicando anche le temperature e i tempi di cottura esatti. In media ogni ricetta prevede sei ingredienti, ma si può arrivare

Una delle proposte a base di gamberi della Blue Apron (photo © Blue Apron). anche a dieci. Gli ingredienti sono perfettamente pre-dosati e non c'è spreco. Le carni, spesso dichiarate naturali e di animali allevati senza antibiotici e ormoni, sono tagliate, preparate e confezionate sottovuoto pronte all’uso. Il tutto è confezionato in scatole termiche, la consegna è gratuita e avviene nel giorno prescelto, su prenotazione (e pagamento anticipato) tramite internet. Le ricette sono di ogni tipo, dalle tradizionali a quelle etniche e cambiano secondo le stagioni, le mode… I prezzi non sono bassi, ma neppure eccessivi, visto il servizio che viene dato. Considerando gli ingredienti (soprattutto la presenza

o l’assenza di carne), il costo per una monoporzione si aggira tra gli 8 e i 12 dollari, diminuendo proporzionalmente se si acquistano confezioni per quattro o più persone. Nelle offerte non mancano le ricette italiane, ad esempio la romana cacio e pepe. Chi l’ha provata afferma che non è certo come quella che si gusta a Roma, ma è buona, e poi… vuoi mettere la soddisfazione di averla fatta con le proprie mani? Avere l’impressione di essere un cuoco esperto, cambiando spesso menu ad un prezzo tutto sommato accessibile, è la principale carta vincente del kit di cucina gastronomica. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma


TECNOLOGIE

A “Moduli” verso la Smart Food Factory In parte visione, in parte rivoluzione ma in parte anche già realtà. Il gruppo aziendale CSB-System vi guida sulla strada verso il futuro digitale Nell’ultimo decennio la digitalizzazione ha molto accelerato i cambiamenti ed il progresso nel settore alimentare; sistemi automatizzati per la preparazione ordini, la rintracciabilità lotti completa o l’impiego di robot per preparare le casse e/o i pallet, sono solo alcuni esempi della spinta innovativa del settore. Ma la produzione del futuro sarà ancora di più collegata in rete: laddove oggi gli impianti vengono gestiti centralmente, in futuro vi saranno sistemi di produzione intelligenti nei

quali macchine, impianti e prodotti comunicheranno tra loro. Grazie alla gestione autarchica della produzione, infatti, non vi saranno più tempi di fermo e di inattività della produzione; l’impiego delle macchine verrà ottimizzato con conseguente riduzione del consumo di energia per il medesimo risultato di oggi. Esperti del settore ingegneristico affermano che quando lo scenario della produzione collegata in rete diventerà realtà, la produttività delle aziende potrebbe aumentare del 30%.

Internet of Things come creazione di valore aggiunto Il gruppo aziendale CSB-System, sin dal 1977 specialista di soluzioni informatiche per il settore alimentare incluso quello ittico, vede nelle nuove possibilità della Smart Food Factory più un’evoluzione che una rivoluzione, perché la fabbrica intelligente non viene dall’oggi al domani, ma si evolve a piccoli passi. Alcune idee rivendicate dalla cosiddetta Rivoluzione Industria 4.0 sono già da tempo realtà per molti clienti CSB-System.

Sistemi di produzione intelligente nei quali macchine, impianti e prodotti comunicano tra loro: è questo il futuro dell’industria per CSB-System.

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CSB-System, specialista nell’ideare soluzioni informatiche per il settore alimentare, incluso quello ittico, offre soluzioni per software, automazione ed elaborazione di immagini a supporto delle aziende verso la trasformazione digitale. Sfruttare in modo ottimale le linee di produzione e confezionamento Con le soluzioni per il software, l’automazione e l’elaborazione per immagini fornite dal gruppo CSB-System, qualsiasi azienda potrà percorrere la strada verso la trasformazione digitale. Anche nell’era della Smart Food Factory, tuttavia, l’ERP-System manterrà il suo ruolo di colonna portante dell’azienda. A tale proposito, il gestionale CSB-System, disponibile anche in Cloud-Service, gestisce non solo le anagrafiche e i dati sui movimenti, ma anche i dati su prodotti, macchine e processi, il tutto senza ridondanze. In questo modo viene consentito un utilizzo coerente dei dati in tutti le applicazioni e lungo l’intera filiera: dal Customer Relationship Management alla pianificazione della produzione, dalla preparazione ordini al Business Intelligence. La strada verso lo stabilimento che lavora autonomamente viene spianata soprattutto dall’integrazione tra ERP-System e MES (Manufacturing Execution System), dal collegamento, quindi, del Shop Floor con il Top Floor. Solo così si crea quella connessione tra gestione aziendale e gestione della produzione che facilita poi la comunicazione in rete da macchina a macchina.

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Sfide e possibilità di Internet of Things (Industria 4.0) Il gruppo CSB-System già da anni mette a disposizione dei suoi clienti interfacce tra persone, macchine e tecnologia informatica, per inserire e analizzare in tempo reale tutte le fasi della produzione, con l’obiettivo di rispondere sempre meglio ai bisogni delle aziende. Una possibilità sarà quella di coinvolgere ancora di più i clienti nello sviluppo di prodotti e soluzioni; per gli utenti è determinante il fatto che flessibilità e standardizzazione non si escludano l’una con l’altra, ma si integrino. La fabbrica che lavora autonomamente è certamente ancora una visione, ma le soluzioni IT per l’automazione della produzione, così come l’inserimento dati macchine e il rilevamento dati aziendali on-line sono già da anni elementi consolidati nella prassi aziendale dei clienti CSB-System. La stessa cosa vale per il collegamento del MES ai sistemi ERP. Le applicazioni aziendali mobili, le soluzioni Cloud, RFID o la manutenzione preventiva supportata dal software sono altre componenti base dell’Industria 4.0 già consolidate nella pratica. Strategia per l’introduzione della Smart Food Factory L’esperienza di un affermato partner di IT specialista di settore, come

il gruppo CSB-System, che sappia valutare le particolarità specifiche dell’azienda e sia in grado di assumersi la responsabilità della realizzazione del progetto, è un fattore imprescindibile nella strategia per l’introduzione della Smart Food Factory. Innanzitutto vanno registrati i processi interni per valutarne efficienza e funzionamento. Dopo si valutano scrupolosamente possibilità e rischi per determinare il potenziale di realizzazione. Una chiara pianificazione con scopi ben definiti è un segno distintivo essenziale di progetti di integrazione IT di successo. In fin dei conti l’Information Technology è la chiave per una maggiore produttività.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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LIBRI

Un anno in Romagna Perché le cose semplici sono le più belle e perché saper raccogliere i più celati dettagli del quotidiano è la poesia e la sfida più gustosa Il racconto di un anno che esplora la Romagna con una nuova prospettiva; una poesia visiva alla scoperta delle bellezze, vicine e quotidiane, che offre questa terra. La storia di due amiche che condividono il gusto per le cose belle, per i dettagli del quotidiano, e condiscono il cammino insieme con ingredienti, parole, sensazioni e immagini. Un fotografo ne raccoglie le emozioni e le traduce in scatti, in quadri suggestivi, così vividi e reali che invitano a perdercisi dentro. Il viaggio nelle quattro stagioni di un territorio, ognuna delle quali è presentata con una tavolozza di colori che ne incarna l’essenza: un fil rouge cromatico che trova declinazione nelle ricette e nei prodotti locali di stagione, negli spazi interni di una casa, negli scorci di itinerari locali, in tessuti e materiali che vanno a sollecitare il risveglio di tutti e cinque i sensi. Cristina Casadei Interior designer, stilista, decoratrice, Cristina ama creare e speri-

mentare con le mani, cerca e trova, sì, perché ha fiuto per la bellezza, quella più intima e nascosta che diventerà emozione nella semplicità. Nicole Poggi Globetrotter nell’animo e nella vita, entusiasta per natura, è consulente di branding, sviluppo commerciale internazionale e gestione progetti di food&wine nei mercati globali. Gianluca “Naphtalina” Camporesi Video editor e fotografo. Ha trascorso 13 anni nel mondo della musica come collaboratore del produttore Michele Centonze, lavorando, tra gli altri, per Jovanotti, Luciano Pavarotti, la Walt Disney e per le cerimonie olimpiche di Torino 2006. Da sempre appassionato di arti visive, negli ultimi 10 anni ha diviso la sua attività tra video e fotografia, rimanendo sempre ai margini del mondo musicale e dedicandosi in particolare a reportages e documentari. È responsabile dell’archivio multi-

CRISTINA CASADEI, NICOLE POGGI Un anno in Romagna – Due amiche, cucina, colori e paesaggi Fotografie Gianluca Camporesi Guido Tommasi Editore 320 pp. – € 28,00 mediale della Fondazione Luciano Pavarotti. >> Link: www.unannoinromagna.it

Un viaggio nei sensi che con una grafica curata e piccoli tocchi di atmosfere country traghetta lo sguardo e la lettura attraverso i bei luoghi di Romagna e le stagioni. Autunno, inverno, primavera, estate… e ogni stagione, naturalmente, ha il suo piatto. Per la primavera, ad esempio, troviamo le triglie agli agrumi e coriandoli di frutta e, per l’estate, il brodetto di pesce.

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