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Sebadas, la pasta che si crede dolce corre per l’IGP
Sebadas, la pasta che si crede dolce corre per l’IGP
Gli imprenditori sardi chiedono la denominazione europea che potrebbe diventare la seconda Igp regionale della pasta e la sesta italiana
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di Sebastiano Corona
Che il primo piatto per antonomasia fosse un prodotto versatile, con cui si possono realizzare menu completi dall’antipasto al dolce, era cosa nota. La Sardegna ne dà conferma, proponendo una specialità che, pur considerata a tutti gli effetti una pasta alimentare, viene servita come dessert ed entra a pieno titolo nell’elenco dei prodotti tradizionali più caratteristici della cucina isolana e nazionale.
Una specialità che potrebbe presto acquisire anche il più ambito dei riconoscimenti in materia di agroalimentare, quello della Indicazione Geografica Protetta. È stata infatti depositata di recente, l’istanza per le Sebadas di Sardegna IGP. La richiesta è partita da un gruppo di imprenditori del settore della pasta fresca che si sono riuniti in Comitato, nel tentativo di tutelare e promuovere il prodotto.
Sono dieci le imprese artigiane, sparse in tutto il territorio regionale, che si sono assunte l’onore e l’onore di inoltrare la richiesta al Ministero delle Politiche Agricole e all’Assessorato Agricoltura della Regione Sardegna. Si tratta dei maggiori produttori isolani della nota specialità: La casa della nonna di Bolotana (NU), il Laboratorio di pasta fresca e pasticceria di Richard Marci di Cardedu (NU), il pastificio Contini Srl di Santa Giusta (OR), il pastificio Calitai di Cagliari, il pastificio Antonio Cossu srl di Iglesias, la ditta I Sapori d'Ogliastra di Vito Arra di Lanusei, il panificio La fornarina di Marco Orrù di Cagliari, il Biscottificio Demelas di Stintino e La Sfoglia d'Oro di Sassari.
Le Sebadas vengono prodotte unicamente in Sardegna ma, soprattutto, il loro consumo è per il momento fortemente limitato all’isola, sebbene sia possibile acquistarle anche Oltretirreno. Anche per questo, forse, i numeri sono ancora modesti. Si stima una produzione media annua complessiva di circa 1.625.000 pezzi e 1.300 quintali, per oltre 1.300.000 euro di fatturato, 150 dipendenti nel solo ambito della trasformazione e 250 addetti complessivi per 200 pastifici circa. Corre però l’obbligo di segnalare che buona parte della produzione sfugge alle statistiche: non c’è ristorante o agriturismo che non le proponga nel menu, quasi sempre di propria realizzazione.
Numeri modesti, si diceva, ma destinati ad aumentare se, come si spera, il tanto sospirato riconoscimento, dovesse arrivare.
Un riconoscimento che potrebbe generare ricadute importanti, a cascata sul primario. Le Sebadas sono infatti un prodotto dal grande significato simbolico e dalla forte identità che la storia vuole come piatto per gratificare il pastore al rientro dalla transumanza di settimane intere, lontano da casa assieme al bestiame.
Rappresentano l’incontro tra le più importanti filiere dell’agricoltura isolana: quella ovina, quella suinicola e quella cerealicola, poiché si tratta di un prodotto di semola e farina, con un ripieno di formaggi e aromi e una sfoglia particolare che contiene dello strutto, che lo rende particolarmente croccante a seguito di frittura.
Valorizzano al meglio le produzioni locali e il saper fare dei pastai isolani che, con sapienza e impegno, rinnovano il patto con una tradizione culinaria che è anche espressione della cultura e della identità locali. «Puntiamo a far entrare le Sebadas nell’Olimpo delle eccellenze gastronomiche mondiali con l’acquisizione di una denominazione che è innanzitutto una tutela per il consumatore e dei produttori che fanno qualità» dichiara FRANCO CALISAI, presidente del Comitato promotore Sebadas di Sardegna IGP, che da anni ormai lavora alla causa e che aggiunge: «non è sempre facile trovare un punto di sintesi tra produttori.
Anche quando si tratta di una specialità universalmente realizzata in tutta la regione, ogni impresa ha una sua ricetta che si discosta, seppur non in maniera significativa, da uno all’altro». Il Disciplinare depositato prevede per questo varianti minime, ma che si rifanno alla tradizione locale talvolta differente da comune a comune e sono prevalentemente relative alla tipologia di formaggio utilizzato (ovino o caprino o vaccino), agli aromi (scorza di limone o di arancia), alla dimensione e al peso. La ricchezza del patrimonio gastronomico sardo non sta infatti tanto o solo negli innumerevoli prodotti che non esistono fuori dall’isola, ma anche nelle leggere difformità tra ricette, a sottolineare l’artigianalità del prodotto e il suo stretto legame con il territorio.
Se dovessero riuscire nel loro intento, i produttori sardi scriverebbero una nuova pagina di storia del patrimonio enogastronomico nazionale. Le Sebadas di Sardegna diverrebbero infatti la seconda IGP isolana della pasta e la sesta italiana, dopo la Pasta di Gragnano IGP, i Maccheroncini di Campofilone IGP, i Cappellacci di Zucca IGP, i Culurgionis d’Ogliastra IGP e i Pizzoccheri della Valtellina IGP.
La certezza è che l’Indicazione Geografica Protetta possa aprire la porta ai mercati extraregionali, essere volano per un’economia oggi in forte sofferenza e dare una garanzia di qualità al consumatore.
Sebastiano Corona