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La donna e il sacrificio del maiale
La donna e il sacrificio del maiale
di Giovanni Ballarini
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Fin dai tempi più remoti, quando le temperature cominciano a scendere sotto lo zero e compaiono i primi ghiacci, inizia la programmazione della macellazione del maiale, evento nel quale sacro e profano si sono sempre intrecciati senza contraddizione. Il solstizio invernale (21 dicembre) coincide con la morte e la nascita del sole che il cristianesimo identifica nel Natale di un Dio destinato a morte sacrificale. Il cristianesimo festeggia la fine dell’anno il 31 dicembre, ma il mondo agricolo non dimentica il calendario celtico e mantiene un posto di primo piano al suo capodanno coincidente con l’11 novembre, non a caso sovrapponendo la festa di San Martino, il più importante tra i “santi militari” cristiani adottati quali forti protettori dai contadini costretti ad abbandonare i culti tradizionali di Michele, Fermo, Giorgio, Magno, Chiaffredo, Sebastiano. In questo quadro, il sacrificio del maiale e la sua “resurrezione” nei suoi prodotti (spalle, coppe, prosciutti, salami, pancette, lardi, ecc…), in un intreccio tra vita e morte, avviene in un periodo delimitato tra la commemorazione di Santa Lucia (13 dicembre) e quella di Sant’Antonio abate (17 gennaio). Il giorno è scelto anche in base alla fase lunare, preferendo un periodo di freddo asciutto ed escludendo rigorosamente il 17 gennaio, festa di colui che è divenuto protettore degli animali.
Uomo e donna nei lavori agricoli del passato
Nella famiglia contadina di un tempo le donne avevano compiti specifici tra i quali la cura dell’orto, l’allevamento degli animali da cortile e dei maiali, nutriti con gli avanzi della cucina, il pascolo e, solo nell’ultima fase di ingrasso prima della macellazione, con farine di granaglie diverse. Alle donne spettava la macellazione di polli, galline e conigli, ma non quella del maiale, in quanto la mole dell’animale e del lavoro richiedeva l’intervento dell’uomo, in particolare di un esperto, il mazén, masalèn o norcino.
Gli uomini avevano il compito di affilare i coltelli, mettere a punto le attrezzature necessarie (come il sostegno sul quale mettere la carcassa del maiale macellato), preparare il luogo dove mettere sul fuoco una caldaia per la preparazione dello strutto e della coppa di testa, sistemare i tavoli per le diverse lavorazioni, acquisire la macchina per macinare la carne, acquistare le budella di bovino, lo spago, il sale, le spezie e quant’altro occorreva alla salatura e alla concia delle carni da insaccare. Le donne si dedicavano invece alla preparazione degli spazi necessari per le varie lavorazioni, provvedendo alla pulizia di tutto quello che occorreva durante la complessa operazione di macellazione, dai grembiuli ai tovaglioli, agli strofinacci, ai diversi contenitori per il sangue e le frattaglie da usare in cucina, senza dimenticare la preparazione delle bevande e dei cibi di sostegno agli uomini che avrebbero lavorato sul maiale e sulla sua trasformazione in salumi.
Il rito della macellazione
L’arte del mazén, masalèn o norcino è esclusivamente maschile, ma questo non significa che la donna sia assente. È infatti lei, che ha allevato e nutrito il maiale familiare stabilendo sottili ma importanti rapporti con il giovane animale e i propri bambini, anche per le malattie “rosse” che sembrano accomunarli (il mal rosso del suinetto e il morbillo o la rosolia del bambino), che non cessa di partecipare, con ruoli non solo di lavoro, ma potremmo dire di tipo quasi magico, alla trasformazione del maiale in cibo da consumare subito, come i sanguinacci, le salsicce e le ventricine.
È il maschio che uccide, dissangua, seziona, lavora le carni e le sala, mentre è una donna della famiglia che, accanto all’uomo, porge o si adopera per mettere in una posizione adeguata un secchio per raccogliere il sangue. Una volta raccolto, è la donna che, prima di andarlo a cuocere, lo batte con un frustino di rami e lo tratta con le mani per liberarlo dalla fibrina. Se l’uomo è il responsabile di un buon dissanguamento, che deve essere lento e continuo fino a un “salasso in bianco”, è la donna di maggiore età della famiglia che lo giudica, affermando che, se il dissanguamento non è avvenuto come si deve, anche i sanguinacci, le salsicce e tutta la trasformazione salumiera sarà compromessa.
Un giudizio di cui si appropria la donna in menopausa, perché nei tempi passati si riteneva che fosse divenuta esperta. Per lo stesso motivo non dovevano venire a contatto col sangue le donne in età fertile, le giovani non ancora mestruate e le donne incinte, tanto che in Romagna vi era il detto: “se quand t’mez e’ porc la dona l’ha e’ su mes, mandla a spass par e’ paes” (“se quando uccidi il maiale la donna di casa ha le mestruazioni, mandala a spasso per il paese”). Il sangue raccolto a volte viene messo in una pentola d’acqua bollente, altre volte è adoperato per preparare piatti tradizionali d’uso immediato (sangue fritto con cipolle e alloro, migliacci, roventini, ecc…) oppure serve per produrre insaccati diversi da luogo a luogo, come i baldóni veneti, il biroldo, il sanguinaccio, il mallegato, la mustardela, la susianella, il mazzafegato, u sangunet, ecc…
È la donna di casa che raccoglie gli organi interni del maiale appena macellato (fegato, polmone, rene o rognone, cervello e omento, la cosiddetta “rete”), che dopo un attento esame sono destinati alla trasformazione o all’uso in cucina. È sempre la donna che contribuisce a pulire le trippe e gli intestini e a confezionare le salsicce e le ventricine. In una netta separazione di compiti tra uomini e donne, quando gli uomini avevano terminato le azioni di mazén fuori della casa, solitamente nel sottoportico o nella “porta morta” le donne portavano loro una bevanda ristoratrice e si rinchiudevano nella cucina, dove gli uomini erano esclusi, per svolgere le loro operazioni attorno ad una o più pentole.
Divinazione femminile dei visceri di maiale
Nell’antichità l’esame dei visceri degli animali era praticato dagli aruspici, che prevedevano il futuro. Una pratica fortemente repressa dalla religione cristiana, ma che in parte sembra essere rimasta, nascosta, nell’usanza delle donne di valutare la forma, il colore, l’aspetto e le anomalie dei visceri del maiale macellato per trarre previsioni. Una pratica di tipo sciamanico o magico che le contadine del passato applicavano a tantissimi avvenimenti legati non solo al sacrificio di animali: ad esempio la lettura di gocce d’olio lasciate cadere in un catino riempito d’acqua, l’interpretazione degli anelli di fumo generati dalla combustione dell’incenso o quella della forma dei fondi di caffè rimasti nella tazzina, l’osservazione del comportamento degli uccelli, ecc…
In questo quadro solo accennato, ancora oggi resiste la tradizione di affiggere sul retro della porta di casa il lunario dell’anno nuovo, almanacco o calendario che sia, e di affidarsi alle sue previsioni o a quelle dei proverbi tramandatici dalla saggezza popolare.
Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma