Premiata Salumeria Italiana 2-2016

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Periodico per gli addetti ai lavori D A L S A L U M I F I C I O A L L A S A L U M E R I A N O N S T O P Anno XXVIII N. 2 Marzo-Aprile 2016

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N. 2 Anno XXVIII Marzo-Aprile 2016

€ 6,70 EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE – EURO ANNUARIO CARNE – EURO GENUINE FOOD ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA – US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA Stampa

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 059220727 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.premiatasalumeriaitalianaonline.com Reg. al Tribunale di Modena n. 921 del 29-04-1988 Tariffe abbonamenti Annuale (6 numeri): Italia € 40,00 – Estero € 50,00 Sconto librerie: 10% Modalità: versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Via Taglio 24 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Rossana Balugani – Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi Segreteria di redazione Gaia Borghi Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Lorenzo Fiorentin – Luigi Credi Fotografia Luigi Credi Comitato di redazione Renato Bergonzini – Franco Ferrari – Manrico Murzi – Clara Scaglioni Redazione New York Stefano Spadoni 1732 1st Ave #27220 – New York, NY 10128 Tel. 001 212 956-8566 E-mail: Stefanony@stefanospadoni.com Consulenti scientifici Prof. Giovanni Ballarini (Parma) – Prof. Fausto Cantarelli (Parma) – Prof. Carlo Cantoni (Milano) – Prof. Giuseppe Caserio (Milano) – Prof. Giorgio Catellani (Napoli) – Prof. Eugenio Del Toma (Roma) – Dr. Emanuele Guidi (Modena) – Prof. Riccardo Monacelli (Roma) – Dr. Alfonso Piscopo – Piero Pittaro (Udine) – Prof. Andrea Strata (Parma) – Angelo Valentini (Perugia) Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo viene elaborato e impaginato con Adobe® InDesign® CS5.5. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CS5.1.

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Pecorino Toscano DOP

Pecorino DOP a pasta tenera di media stagionatura, prodotto con latte selezionato proveniente da allevatori riconosciuti dal Consorzio di Tutela del Pecorino Toscano DOP e certificati da Organismo di Controllo Autorizzato dal MiPAAF. La pasta di color bianco opaco si presenta compatta e leggermente gessata dal gusto invitante. Durante il periodo di stagionatura il formaggio subisce una serie di trattamenti con olio d’oliva che conferiscono alla crosta il caratteristico colore marrone.

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N. 2

In questo numero: Agenda

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Immagini

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Lettere alla Redazione

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Il food in rete

Social food

Elena Benedetti

Comunichiamo

Conosci il tuo pubblico?

Chiara R. Zaccaroni 18

Aziende

Dallatana, l’Arte del Culatello

Elena Benedetti

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Speciale mortadella

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L’anima social del Prosecco

Gaia Borghi

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GSI: cambio al vertice

Silvia Saracino

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Una, cento, mille mortadelle

Carlo Cantoni

34

Felsineo, alta sartoria in rosa

Gaia Borghi

44

Una Igp che profuma di alchermes

Chiara Papotti

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Mortadella Igp: in crescita produzione e consumi

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Prodotti tipici

Lardo di Colonnata… che salame!

Silvia Saracino

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I salumi in tavola

Pranzo al sacco con salumi e formaggi italiani

Clara Scaglioni

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Indagini

Rapporto Coop 2015, si vede la luce in fondo al tunnel

Sebastiano Corona 58

Mercati

Nutrizione

Dop e Igp, un patrimonio da 13,4 miliardi: focus sui salumi

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Bresaola della Valtellina Igp: preaffettato in crescita e lieve aumento della produzione

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Speck Alto Adige Igp: nel 2015 riconfermato l’andamento positivo

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Glutammato, tra paura e leggende metropolitane

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Giovanni Ballarini

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Locali di gusto

Casa Portanova, armonia di sapori e bellezza

Eventi

PR Identity: a ognuno il suo Parmigiano Reggiano

Convegni

Dopo Expo c’è il mondo intero

Rassegne

Elena Benedetti

84 Anna Mossini

Se vuoi fare il figo… mangia la coda Elena Benedetti

Cibus 2016, Parma al centro dell’agroalimentare di qualità

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Fiera Milano: come conquistare in 10 mosse il cliente di domani Formaggio

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Taste, ricco e stiloso come sempre Fiere

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Agricoltura eroica in valle

Riccardo Lagorio

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Mohant Dop, il formaggio di Bohinj

Riccardo Lagorio

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Dolci

Non solo cheesecake! La torta al formaggio è la torta del mondo intero

Nunzia Manicardi 110

Vino

Vini ad Arte, anteprima di Romagna

Laura Franchini

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I vini di Premiata Salumeria Italiana

Degustazione: vino e mortadella

Laura Franchini

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Tecnologie

Con il CSB-System verso la Smart Meat Factory: incontriamoci a IFFA!

Libri

Salumi al cinema Agricoltura e Alimentazione in Emilia-Romagna

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Giovanni Ballarini 126 128

In copertina: mortadella Favola del Salumificio Mec Palmieri e lambrusco Grasparossa (photo © Massimiliano Rella).

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Produzione Culatello di Zibello DOP Spalla Cruda di Palasone Strolghino di Culatello

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AGENDA Torino Vi segnaliamo Regine & Re di Cuochi, mostra tematica sull’eccellenza dell’alta cucina fra cibo e vino, un programma di iniziative multidisciplinari e di eventi per favorire il dialogo fra diversi mondi di creazione artistica. Dal 16 marzo al 5 giugno alla Palazzina di Caccia di Stupinigi (Nichelino-Torino) la prima e unica tappa italiana. Il progetto andrà successivamente all’estero, a Shanghai, Mosca, Dubai, San Paolo, Chicago e Seul. La mostra è organizzata in 4 sezioni e si sviluppa su circa 2.000 m2. Una sezione è dedicata alla cultura del cibo, alla varietà e qualità dei prodotti agroalimentari ed enogastronomici italiani e alla storia della cucina del nostro Paese, necessaria e indispensabile premessa per la filosofia dell’esposizione. Il corpus centrale della mostra è dedicato ad alcuni grandi cuochi moderni e contemporanei (indicativamente dal 1960 ad oggi), scelti fra i più significativi protagonisti dell’evoluzione da cucina di trattoria a cucina d’avanguardia. Gli obiettivi del progetto sono tanti: innanzitutto, promuovere la cultura della cucina italiana e del vino del nostro Paese attraverso un nutrito gruppo di grandi cuochi che ben rappresenta il meglio del made in Italy e sottolineare il valore e ruolo “sociale” del grande cuoco e delle sue responsabilità nel custodire la storia e la tradizione, valorizzare prodotti, filiere e territori, divulgare l’identità culturale e rappresentare l’avanguardia e l’innovazione del nostro Paese (in basso, un viaggio profondo nel mare con pesci crudi e cotti del Mediterraneo dello chef Antonino Cannavacciuolo; photo © Bob Noto). www.regineredicuochi.com

Verona Sono due gli appuntamenti che, dal 10 al 13 aprile, faranno di Verona il centro del mondo vitivinicolo e dell’agroalimentare di qualità. Vinitaly, che quest’anno festeggia la 50a edizione, propone un ricco calendario di eventi, degustazioni e convegni (vinitaly.com/it/eventi/calendario). Tanti i temi di interesse per i visitatori: dal padiglione dedicato al vino biologico certificato, alla sostenibilità in vigna, all’export nei mercati esteri con focus sulla Russia, fino alla tavola rotonda “Vino e GDO” organizzata in collaborazione con IRI e giunta alla sua dodicesima edizione. Non mancheranno show cooking e degustazioni in abbinamento a piatti della cucina d’autore. In concomitanza a Vinitaly, il quartiere espositivo di Verona ospita Sol&Agrifood, la rassegna internazionale dell’agroalimentare di qualità che promuove l’eccellenza olivicola ed agroalimentare sul mercato nazionale ed internazionale (photo © Ennevi). www.vinitaly.com www.solagrifood.com

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Mogliano Veneto (TV) “Loro li fanno, noi li accoppiamo. Ad ogni formaggio il suo vino, ad ogni vino il suo formaggio”. Questo è il motto di Formaggio in Villa 2016 che quest’anno, da sabato 16 a lunedì 18 aprile, si trasformerà in un percorso dove scoprire nuovi sapori ed inediti accostamenti. Ad ogni produttore di formaggio e di salumi saranno abbinati vini e birre consigliati da accompagnare durante l’assaggio. Formaggio in Villa è anche salumi d’eccellenza, con un’area dedicata agli artigiani norcini che presentano le loro produzioni. L’appuntamento è a Villa Braida a Mogliano Veneto (TV) dalle ore 10:00 alle 19:00 (photo © Alessandro Boscolo Agostini). www.formaggioinvilla.it

Polesine Parmense (PR) L’edizione 2016 di Centomani di questa terra, la grande festa annuale di CheftoChef emiliaromagnacuochi, si svolgerà lunedì 18 aprile. L’evento, ospitato al Relais Antica Corte Pallavicina del suo presidente MASSIMO S PIGAROLI , è una celebrazione del buon mangiare e buon bere. Cuochi, produttori, gourmet, esperti del settore agroalimentare si confrontano sul futuro del cibo attraverso un ricco calendario articolato in una decina di forum di approfondimento sulle tematiche riguardanti ristorazione, alimentazione e formazione, 50 coinvolgenti show cooking con altrettanti chef, il mercato delle eccellenze enogastronomiche dei produttori soci di CheftoChef. Il tutto per dare al pubblico l’opportunità di assaggiare, scoprire, abbinare cibi e pietanze che rappresentano l’eccellenza dell’enogastronomia dell’Emilia-Romagna e approfondire quali saranno le necessità alimentari e gastronomiche per il futuro. www.cheftochef.eu

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Polesine Parmense (PR) Un altro evento da segnare in agenda è la terza edizione di Salumi da Re, il raduno nazionale di allevatori, norcini e salumieri, che GAMBERO ROSSO e i F.LLI SPIGAROLI organizzano presso l’Antica Corte Pallavicina a Polesine Parmense, dal 16 al 18 aprile. Per il terzo anno consecutivo si farà grande festa con il mondo della norcineria di qualità. www.salumidare.it

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Barcellona, Spagna Dal 25 al 28 aprile Alimentaria festeggerà il suo 40o compleanno presso il centro espositivo Gran Vía della fiera di Barcellona. La manifestazione sarà strutturata in 6 padiglioni tematici: l’area internazionale e dei cibi salutistici, il multiprodotto con lo spazio dedicato all’agroalimentare spagnolo, Intervin con vino, olio e una selezione di cibi del Mediterraneo, Interlact con la presenza de caseifici, Intercarn, l’area della carne e dei prodotti a base di proteine animale e Restaurama per i produttori del canale HORECA, dove si trova anche l’area dedicata alla cucina d’autore, Alimentaria Experience. Qui si succederanno ai fuochi chef del calibro di Joan Roca e Ángel León. Non mancheranno le nuove leve della cucina iberica, per un totale di oltre 40 chef che prenderanno parte a cooking show, workshop e dimostrazioni. www.alimentaria-bcn.com

Parma L’appuntamento con i migliori prodotti dell’universo dell’agroalimentare, le ultime novità e le tendenze del gusto è a Parma dal 9 al 12 maggio. A Cibus saranno presidiati tutti i settori: carni e salumi, formaggi e latticini, gastronomia ultra-fresco e surgelati, pasta conserve condimenti, prodotti dolciari e da forno, la IV Gamma, le bevande, prodotti tipici e regionali ed altro ancora. Spazio anche al veg e al bio e un’area speciale per l’ittico. www.cibus.it

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Il Silter, prodotto in 47 comuni della Valle Camonica e in parte anche del Sebino Bresciano, è una delle nuove Dop del 2015. L’Italia si conferma regina dei prodotti certificati: ne conta 805 tra Dop, Igp e Stg, per un valore che ammonta a 13,4 miliardi. Ce lo racconta il 13o Rapporto Ismea-Qualivita a pagina 64 (photo © madeinbrescia.org).

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LETTERE ALLA REDAZIONE Marchio o Bollo CE sui salumi Spett.le Redazione di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA, a pagina 12 del numero di gennaio-febbraio 2016 della vostra rivista, proprio alla fine della risposta ad un quesito fornita da MARCO CAPPELLI, leggo che vige “l’obbligo di riportare sui salumi il bollo CE (marchio di identificazione) dello stabilimento riconosciuto in cui sono stati prodotti”. Rimango abbastanza perplesso da questa affermazione perché — per quanto ne so — la recente normativa aveva invece abolito quest’obbligo. SEBASTIANO CORONA lo afferma chiaramente a p. 17 di PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 6/14 e, soprattutto, l’art. 9 del Regolamento (UE) n. 1169/2011 non prevede nell’elenco delle indicazioni obbligatorie la presenza del bollo CE. Sono intervenute nuove norme? Quali? Sarò davvero grato se vorrete rispondermi, perché risulta sfiancante seguire una normativa in continua evoluzione. E-mail firmata La risposta al quesito In effetti, il Regolamento (UE) n. 1169/2011 in materia di informazioni sugli alimenti (etichettatura) non prevede, all’art. 9, l’obbligo dell’indicazione del cosiddetto “bollo CE”. Occorre tuttavia specificare che l’indicazione del bollo, meglio

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definito dalla norma come “marchio di identificazione”, non deriva dalla precedente normativa in materia di etichettatura, rappresentata in Italia dal Decreto Legislativo n. 109/1992 in recepimento di direttive comunitarie, oggi inefficace nelle sue parti incompatibili con il nuovo Regolamento applicato dal 13 dicembre 2014 o da esso riassorbite. La Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico del 31/07/2014 afferma che “gli Stati Membri non possono adottare né mantenere disposizioni nazionali salvo se il diritto dell’Unione lo autorizza”. Non sussiste più, pertanto, l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione nell’etichetta (che era stato introdotto solo in Italia dal DLgs n. 109/1992, pur in assenza di specifica previsione nelle direttive comunitarie), limitandosi il Regolamento 1169/2011 a prevedere l’indicazione del nome o ragione sociale e indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile dell’etichettatura. Tornando invece al marchio di identificazione, che comprende il numero di riconoscimento dello stabilimento e la sigla dello Stato membro in cui esso è ubicato, la sua indicazione sui prodotti di origine animale è prevista dal Regolamento (CE) n. 853/2004, appartenente al “pacchetto igiene”. Le due normative, di pari rango e aventi differenti finalità,

non sono incompatibili tra loro: il Reg. 853/2004 in nessuna delle sue parti può essere considerato riassorbito o sostituito dal successivo Regolamento n. 1169/2011. Il marchio o “bollo CE”, che è comunque obbligatorio e che sui salumi viene normalmente riportato sull’etichetta o su cartellini o placche applicate al prodotto, pur non avendo nulla a che vedere con la normativa in materia di etichettatura, integra di fatto l’etichettatura stessa, fornendo l’indicazione inequivocabile dello stabilimento di produzione (ad ogni numero di riconoscimento corrisponde uno stabilimento). La ricerca dei numeri di riconoscimento per verificare lo stabilimento corrispondente può essere effettuata sul sito del Ministero della Salute. Per quanto riguarda l’affermazione attribuita al dott. Sebastiano Corona su PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 6/2014, occorre chiarire che l’articolo citato riporta chiaramente e correttamente: “Poiché l’indicazione dello stabilimento di produzione non è più obbligatoria, chi intende apporla ugualmente tenga conto del fatto che essa verrà considerata come un’informazione volontaria …”. Nessuna considerazione viene fatta invece dal dott. Corona a proposito del marchio di identificazione o “bollo CE”. Marco Cappelli Tecnico della Prevenzione

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Una lavorazione artigianale per una eccellenza del territorio

Il CRUDO DI CUNEO è presente a CIBUS

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Consorzio di Tutela e Promozione del Crudo di Cuneo Corso Dante A. 51 - 12100 Cuneo - Tel. 0171/94.20.08 info@prosciuttocrudodicuneo.it - www.prosciuttocrudodicuneo.it FEASR - L’Europa investe nelle zone rurali. PSR 2014/2020 Misura 03 - Sottomisura 3.2 Materiale realizzato con la partecipazione finanziaria dell’Unione Europea e della Regione Piemonte


IL FOOD IN RETE

Social di Elena

2. “F for Franciacorta” movie 1. Finocchiona Igp, bella e buona Se vi garba la Toscana di carattere allora dovete visitare il sito web del Consorzio di Tutela della Finocchiona Igp. www.finocchionaigp.it è bello, schietto e con immagini potenti, un portale che cattura l’attenzione del visitatore e lo guida attraverso i produttori di questo salume della tradizione toscana e neo IGP.

Dura una ventina di minuti il film realizzato dal Consorzio di Tutela del Franciacorta. Bellissimo e molto curato nelle riprese e nello storytelling, il film racconta il mondo del Franciacorta attraverso i suoi produttori durante lo scorrere delle stagioni dell’anno: la potatura invernale, la fioritura primaverile, la vendemmia estiva e le arature autunnali. Ecco il link: film.franciacorta.net/it/#bethefirst

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food Benedetti

3. Turisti per cibo www.eatingitalyfoodtours.com è un portale che offre tour enogastronomici mirati nella Capitale (e in altre città europee, come Londra, Amsterdam e Praga). L’obiettivo è quello di raccontare in modo diretto e autentico la nostra cultura alimentare, fatta di botteghe incredibili, di locali e produttori. Un esempio di tour: un giro al Testaccio della durata di 4 ore costa 75 euro (prezzo per adulto). Prenotazione e pagamento sono effettuati on-line sulla piattaforma di eatingitalyfoodtours.com (nella foto un’immagine del video girato all’interno della romana Salumeria Volpetti).

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4. Piacentinu Dop, nicchia straordinaria È un bell’esempio di comunicazione social il lavoro svolto dal Consorzio del Piacentinu ennese Dop. Il prodotto è di nicchia, realizzato da caseifici artigianali della provincia di Enna. Le materie prime sono locali: latte crudo intero, zafferano e caglio. Il risultato è straordinario. Da gustare e da ammirare nel sito web del Consorzio al link www. piacentinuennese.it e sui social ad esso collegati.

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COMUNICHIAMO

Conosci il tuo pubblico? di Chiara R. Zaccaroni

Q

uando vado dal mio macellaio mi saluta per nome e, sorridendo, mi chiede: “cosa posso servirti?”. Conosce bene le mie abitudini di acquisto, sa che per me è importante sapere da dove viene la carne che comprerò e ha capito che di fantasia in cucina proprio non ne possiedo. Così, ogni volta, lui mi parla di provenienza, di metodi di allevamento dei capi acquistati o dei produttori e, scontrino alla mano, mi dice: “questo preparalo così!”. Il mio macellaio

conosce i comportamenti d’acquisto dei suoi clienti. Ora… So che non vi ho detto nulla di sensazionale: ognuno di noi conosce il suo pubblico ed è in grado di calibrare l’offerta in base al singolo bisogno. Siamo anche in grado di definirne i gusti, siamo al corrente della provenienza geografica, della fascia di reddito e della cultura alimentare generica del nostro pubblico: molto del nostro successo è legato alla conoscenza dei nostri clienti. Quindi, perché non applichiamo lo stesso metodo alla conoscenza del nostro

pubblico on-line? Iniziamo dunque con questo articolo un percorso che vi porterà, passo dopo passo: • a conoscere molto meglio le abitudini comportamentali dei vostri fan su FB, Instagram e Pinterest; • degli utenti sul vostro sito aziendale; • a impostare delle buone campagne pubblicitarie; • a capire cosa dice il web della vostra attività o dei vostri prodotti e a prendervi cura della vostra reputazione on-line.

Chiara R. Zaccaroni ha 39 anni, è consulente di comunicazione e titolare di Smarti Editrice. Si occupa prevalentemente di food, adora i suoi clienti, cede al cibo per amore, lotta con la dieta, ride, ha due cani ed una passione per i libri che trattano argomenti dei quali, lei, non capisce assolutamente nulla.

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a Lab o r to ri o

1963

MORTADELLA ARTIGIANALE

SOLO carne FRESCA per mantenere le caratteristiche originarie della carne

SOLO CARNE ITALIANA spalla, tagli pregiati di prosciutto e guanciale

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ELEVATA DIGERIBILITƺ 76 kcal per 30g di prodotto

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La capacità di giostrarsi nel mondo dei social media è oggi essenziale per un’azienda che voglia restare competitiva sul mercato (photo © time.com). Gli insight Gli insight sono lo strumento di statistica che Facebook mette a disposizione delle aziende per conoscere l’identità e il comportamento dei fan della Pagina sulla piattaforma. Uno strumento di analisi, da consultare con metodo, per raggiungere più pubblico interessato e — attraverso le campagne pubblicitarie — vendere di più. Insomma, andate davanti al computer, entrate nella pagina Facebook della vostra azienda e cominciamo! Cliccando sul pulsante insight entrerete nella sezione di Panoramica generale, dove, a colpo d’occhio, vedrete i Mi piace totali della Pagina (quante persone in più vi seguono questa settimana), quante persone hanno visto i vostri post e quanti di loro hanno interagito con essi. Scorrendo più in basso, vedrete una panoramica dei 5 post più recenti e relative performance. In un attimo, quindi, capirete quali post Facebook

e il vostro pubblico gradiscono particolarmente (a premiarvi gli alti tassi di interazione), e quali no. Vi siete domandati perché ho scritto “i post che Facebook gradisce”? Tutte le piattaforme social modulano la visibilità dei post in base ad un algoritmo che predilige alcuni contenuti piuttosto che altri: per la maniera in cui sono scritti, per la coerenza tra le immagini fotografiche e il senso delle parole del post. L’algoritmo ama i link ben scritti e tratti da fonti autorevoli, i video brevi (ma intensi), i volti delle persone. Con l’esperienza ho scoperto di amare molto le statistiche, perché ogni volta mi danno la possibilità di capire se le mie intuizioni sono giuste, di coinvolgere più pubblico all’azione, di monitorare e raggiungere obiettivi di fatturato reali. L’argomento “algoritmo-postcampagne pubblicitarie” è immenso e ne parleremo più approfonditamente nei prossimi articoli. Ma ora

torniamo ai nostri insight! Cliccate sul pulsante “Mi piace” e concentratevi sugli ultimi due box: i Mi piace netti e Provenienza dei Mi piace della pagina. I Mi piace netti vi mostrano quanti nuovi fan hanno cominciato a seguire la vostra pagina e, soprattutto, quanti dei vostri vecchi fan vi hanno abbandonato per sempre. Supponiamo che, in un mese e senza spendere un euro, a fronte di 136 nuovi followers, 16 ci abbiano abbandonato. Media ottima e fisiologica da tenere però sempre monitorata, perché è il primo segnale che ci indica che la nostra comunicazione, al nostro pubblico, non piace! Altro dato interessante è la Provenienza dei Mi piace della pagina: da dispositivo mobile, grazie ai suggerimenti di altre pagine o direttamente dalla vostra pagina. Notate quanti like provengono da dispositivo mobile… Sarà bene programmare post pubblicitari che siano ben visibili da cellulare! In Copertura vedrete a quante persone Facebook ha mostrato i vostri post (i famosi buoni contenuti che piacciono tanto al nostro algoritmo) e come questi fan hanno interagito con esso. Anche qui, un bel box vi dice in quanti hanno nascosto uno o tutti i post della pagina. Accanto a ogni box avete sempre la possibilità di “esplodere” i dati, studiando nello specifico ogni prestazione. In Visite vedete finalmente quali sono le sezioni della Pagina più visitate: se i fan vanno soprattutto in INFO, aggiungete ogni dettaglio che permetta loro di capire chi siete, dove siete e come contattarvi. Se invece vanno in APP, vuole dire che sono interessati al servizio che gli offrite.

Qualcuno ha domande da Porci? Attraverso questa rubrica rispondiamo alle mail che ci sembrano più utili ad approfondire gli argomenti trattati. Vi preghiamo di darci più informazioni possibili, così da rendere i nostri consigli efficaci o, nel caso siate interessati ad argomenti specifici, di comunicarcelo a info@pubblicitaitalia.com o chiara.russotto@icloud.it (Photo © Alessio Sabbadini)

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Nella sezione Post ecco comparire la famosa balena che vi mostra in quali orari i vostri fan interagiscono con i post che avete pubblicato. Ma voi DIFFIDATE! Non postate i post all’orario in cui Facebook vi dice di avere maggior audience, bensì provate a postare per una o due settimane in orari differenti: solo così vedrete qual è il personalissimo ORARIO MIGLIORE per i vostri fan. Alla voce Video, Facebook vi mostra NON in quanti hanno visualizzato i vostri video MA in quanti hanno visualizzato fino a 3 secondi e in quanti fino al 97% della durata totale del filmato stesso. Perché? Perché così capirete se il filmato era veramente interessante per i vostri utenti… Perché se dopo 3 secondi il video non è coinvolgente o utile, ognuno di noi lo blocca e se ne va per praterie… In Persone ecco i dati più interessanti: la schermata si apre in I Tuoi Fan, da cui scoprirete le percentuali di quante donne e quanti uomini (e fasce di età) seguono la vostra pagina, da quale nazione e città vi seguono e quali lingue parlano. Accanto alla sezione I Tuoi Fan, cliccate su Persone raggiunte: questa sezione vi dice chi sono le persone che hanno visto i vostri post e scoprirete che sono molte, molte, molte di più rispetto al numero di vostri fan totali. Nel box Persone Coinvolte i numeri calano, ma non preoccupatevi: se coinvolgete il 10% di tutti i vostri fan siete bravissimi! Se non li raggiungete — neanche se avete un’agenzia che comunica per voi — non disperate, provate anzi a correggere il tiro, studiate quali post il vostro pubblico ama e createne di simili… Oppure concentratevi sul cosa i vostri CLIENTI REALI amano e vi chiedono di più e seguite quella direzione! Non dimenticatevi mai che dietro a un profilo virtuale c’è una persona reale che ha bisogni e curiosità normali! Attenzione: ciò di cui scrivo è valido per qualsiasi tipo di attività, che siate produttori caseari, salumieri, macellai, pastai, allevatori, commercianti, ristoratori, verdurai o pescivendoli. E ora basta, fate i bravi e… alla prossima! Chiara R. Zaccaroni

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AZIENDE

Dallatana, l’Arte del Culatello Dal salumificio all’osteria di Elena Benedetti

“L

a poesia bisogna sentirla, non capirla”. Questa era una frase che ripeteva spesso GIOVANNINO G UARESCHI , scrittore e umorista emiliano. A pensarci bene è proprio così. Forse perché lui abitava in quella Bassa Parmense, il territorio a sud del Po, nella provincia di Parma, dove la vita scorreva lenta ed era fatta di personaggi di paese, giri in bicicletta, impegno politico e tanto lavoro per un’Italia, in quegli anni, tutta da costruire. Quella poesia e quell’operosità celata da una apparente quiete rurale oggi sono ancora lì. Sono

tornata a Roncole Verdi, il paese che ispirò le vicende di Peppone e Don Camillo, per ritrovare i fratelli FILIPPO e FABRIZIO DALLATANA, “l’arte del Culatello”… come recita l’insegna della loro azienda. Un’attività che produce uno dei salumi più pregiati al mondo, il Culatello di Zibello DOP, e altre specialità tipiche della zona, come la coppa, la spalla cruda di Palasone, il salame e lo strolghino di culatello, altra ghiottoneria per veri intenditori. Qui sembra sempre che il tempo scorra lento ma la realtà è ben diversa. Il marchio “Dallatana, l’arte del Culatello” oggi identifica sia la produzione

salumiera della famiglia, attraverso l’attività dell’omonimo salumificio che occupa una dozzina di dipendenti, ma anche l’Osteria Vecchio Mulino Pallavicino. Quest’ultima gode di una location assolutamente perfetta, essendo all’interno di un bel fabbricato del 1600, completamente ristrutturato e prospiciente la casa natale di Giuseppe Verdi nel cuore di Roncole Verdi. La famiglia è al momento impegnata in un’attività di restyling commerciale e ha unificato l’attività salumiera e l’osteria in un unico marchio. Si tratta di un passaggio dovuto

Il Culatello di Zibello è il prodotto principale e per la sua produzione è osservato il Disciplinare di Produzione del Consorzio di tutela della Dop. La gamma dei prodotti Dallatana, l’arte del Culatello comprende anche altri salumi tipici della Bassa Parmense, come coppa, salame gentile, fiocco di culatello, spalla cruda di Palasone e strolghino.

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I fratelli Filippo e Fabrizio Dallatana insieme al padre Renato. e coerente, dato che la produzione dei salumi di eccellenza e la ristorazione sono le due espressioni, a monte e a valle, dell’impegno che Filippo e Fabrizio Dallatana, insieme ai collaboratori e dipendenti, dedicano a questo lavoro fin dal 1998. Un lavoro che è un mix bilanciato, fatto di modernità nelle tecnologie e negli ambienti e di artigianalità e tradizione nella lavorazione manuale delle carni suine. Lo stabilimento è infatti dotato delle più moderne tecnologie che garantiscono i massimi standard di igiene e sicurezza alimentare, con ampie sale di lavorazione, celle frigorifere, cantine interrate per la stagionatura e un’area che ospita gli uffici. Il tutto con un’attenzione anche alla sostenibilità grazie ad un impianto fotovoltaico che alimenta il fabbisogno energetico. All’interno restano però manuali tante operazioni, fatte da norcini che ripetono una gestualità antica. Le materie prime lavorate sono selezionate e provengono da suini nati e allevati in Emilia e Lombardia, alimentati rigorosamente con cereali e siero di latte. Il prodotto di punta, il Culatello di Zibello DOP, ricavato dalla coscia,

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subito dopo la macellazione è lavorato a mano e “a caldo”. Ciò significa che le carni non subiscono alcun tipo di refrigerazione. Questa è una scelta che caratterizza l’azienda Dallatana, dato che riprende una tecnica del passato, tipica dei norcini che giravano le campagne e che trasformavano le carni appena macellate in salami, prosciutti e culatelli. In queste terre, a pochi chilometri dal Grande Fiume, è tutto un equilibrio di innovazione e tradizione e di arte antica, di estati torride e inverni rigidi, di primavere rigogliose e autunni avvolti da nebbie insistenti. Questa famiglia di operosi imprenditori parte dalla realizzazione dei salumi e arriva a farli stagionare nelle antiche cantine dell’Osteria, che ospita non solo i Culatelli di Zibello DOP ma anche un centinaio di coperti nelle ampie sale interne e sotto ad un bel porticato nei mesi più caldi. Attualmente Dallatana sta consolidando la propria presenza in Italia nel canale della ristorazione, nei negozi tradizionali e presso i grossisti. Non manca la Grande Distribuzione, con alcune insegne particolarmente attente alla produzione salumiera ar-

tigianale. Ma non si gioca solo in casa. L’azienda Dallatana possiede infatti la certificazione per l’esportazione in Giappone, quella per il mercato canadese e stanno formalizzando quella per la Corea del Sud. Ciò significa che le carte in regola per procedere con la crescita, sia sul fronte nazionale che estero, ci sono tutte. E in uno scenario di mercato nel quale oggi il consumatore è alla riscoperta dei valori della tradizione e della genuinità, l’operosità della famiglia Dallatana non può che trovare sempre più spazio con uno stile unico fatto di responsabilità e affidabilità. Elena Benedetti

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L’anima social del Prosecco Adorato Prosecco, sempre più scelto, consumato, servito e.... seguito! A colloquio con Adriano Annovi di Bacio della Luna, il marchio del Gruppo svizzero Schenk che da Vidor, nel cuore del Valdobbiadene DOCG, produce spumanti preziosi, protagonisti assoluti del mercato di Gaia Borghi

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ome e quanto è cambiato il modo di consumare il vino in Italia? Si beve meno, così ci dicono le ricerche (mi riferisco in particolare alle elaborazioni COLDIRETTI su dati ISTAT presentate durante la scorsa edizione del Vinitaly a Verona), ma si beve meglio, con una predilezione per i vini autoctoni a denominazione d’origine. E, soprattutto, è cambiata la “geografia” dei

consumi, non soltanto intesa a livello globale — la Cina è diventata in pochi anni il quinto Paese consumatore di vino al mondo e quasi il 40% del vino prodotto viene consumato in Paesi non europei —, bensì, in senso più ravvicinato, a livello di spazi, ambienti, luoghi. «Il vino oggi, in particolare per le nuove generazioni, ha perso la sua caratteristica originaria di ali-

mento, dissociandosi dalla tavola, dal desco quotidiano della famiglia. Eventi, happening, nei wine bar e nelle enoteche, all’ora dell’aperitivo al posto di altre bevande alcoliche, immancabile al rito dell’happy hour o in qualsiasi altra occasione di festa: il vino è il protagonista dei momenti di aggregazione, della socialità in genere, e, al momento della scelta, le bollicine la fanno senza dubbio

Nel 2015 Bacio della Luna ha acquisito il magazzino adiacente e il vigneto a fianco del proprio stabilimento, nell’ottica di una crescita qualitativa dell’azienda.

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“Bacio della Luna si presenterà al Vinitaly 2016 con una Cuvée extra dry, un vino spumante da gustare nei vari momenti della giornata e da seguire anche sui social media, da YouTube a Facebook e Instagram. Bollicine come stile di vita: ci piace!” da padrone, Prosecco in testa». Così mi dice ADRIANO ANNOVI, responsabile commerciale e vendite di Bacio della Luna, marchio leader proprio nel mercato del Prosecco. Il brand appartiene al Gruppo Schenk, multinazionale svizzera di produzione, vinificazione e vendita vino, che in Europa possiede diverse cantine, centinaia di ettari di vigneti variamente distribuiti, e sedi commerciali dislocate tra Francia, Italia, Spagna, Germania, Belgio e Regno Unito. Attualmente il Gruppo è ancora nelle mani della famiglia del suo fondatore, ARNOLD SCHENK, e attraverso gli esponenti della quarta e della quinta generazione segue ogni aspetto delle attività dell’impresa. Schenk, attiva dal 1952 in Italia, è la cantina più grande del Gruppo, con 42 milioni di bottiglie prodotte. Proprio da qui è partito, qualche anno fa, il progetto delle “Italian Wineries”, che aveva l’obiettivo di rafforzare il legame dell’azienda con i territori di origine dei diversi vini regionali italiani (“Il vino italiano

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non esiste: esistono i vini delle regioni italiane” si legge nel sito ufficiale di Schenk Italia). Bacio della Luna è la cantina di spumantizzazione che Schenk ha acquisito nel maggio del 2011 (l’inizio della produzione è datata nell’ottobre dello stesso anno) a Vidor, in provincia di Treviso, cuore della produzione del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene DOCG. «Siamo entrati in un mercato che non conoscevamo — prosegue Adriano Annovi — avendo la fortuna di avere, alle nostre spalle, tutta la forza di un Gruppo solido e perfettamente strutturato dal punto di vista commerciale con la giusta intuizione di anticipare il momento magico del Prosecco». Un momento che, dati alla mano, piuttosto che concludersi, gode di crescita e continue conferme, sia a livello nazionale che all’estero. In pochi anni, infatti, Bacio della Luna è passata da 3.600.000 a 12.000.000 di bottiglie. Una crescita eccezionale, che testimonia il successo di un vino che ormai è entrato nelle abitudini e

nel cuore dei consumatori. «Ci tengo a sottolineare, per quanto riguarda i numeri dello scorso anno, la performance davvero brillante del Prosecco DOCG» mi fa notare Annovi. «Tra l’altro, mentre l’incremento del consumo di Prosecco DOC si lega soprattutto ad alcuni mercati esteri, fenomeno Inghilterra in primis (oggi il Regno Unito guida la classifica dei Paesi in cui si beve Prosecco), ma anche USA, quello del DOCG cresce in Italia, a casa nostra, con un’uniformità che caratterizza praticamente tutta la Penisola». Tra le motivazioni che si celano dietro l’apprezzamento nei confronti di questo prodotto, c’è senza dubbio il grande lavoro effettuato in questi ultimi anni dai due Consorzi di tutela del Prosecco, il Consorzio di Tutela del Prosecco DOC e quello del Prosecco Superiore DOCG, nella direzione dell’alta qualità, a partire dalla chiarezza legislativa e raggiunta attraverso le verifiche costanti, le analisi, gli assaggi… «Il boom che ha interessato il Prosecco, in modo

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Vidor è situato nel cuore della rinomata zona di produzione del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg. Uno scenario unico, plasmato dagli enologi che curano ogni centimetro di questa terra. particolare la sua versione spumante (il consumo del frizzante è invece in calo un po’ dappertutto), deve molto al miglioramento della qualità di base del prodotto, oggi decisamente elevata» prosegue Adriano Annovi. «Sono tanti e diversi infatti gli elementi che incidono sulla qualità di un vino ma sono soprattutto tre quelli da tenere in considerazione: la posizione geografica — in questo caso l’area di coltivazione dei vigneti del Valdobbiadene, una zona dove tutte le lavorazioni sono fatte a mano e c’è molta attenzione al prodotto — le scelte che si fanno direttamente

in vigna e la tecnologia unita alla capacità dell’uomo, il lavoro degli agronomi e degli enologi. Bacio della Luna si avvale di personale altamente qualificato e di impianti moderni e tecnologicamente all’avanguardia, dalle linee di imbottigliamento allo stoccaggio dei mosti» prosegue Annovi. «Non ci interessa produrre più bottiglie di quelle che stiamo facendo, ma farle ancora meglio! Ecco perché nel 2015 abbiamo acquisito il magazzino adiacente e il vigneto a fianco del nostro stabilimento, nell’ottica di una crescita qualitativa dell’azienda».

Al Vinitaly 2016 con una Cuvée «Era un’idea che avevamo da tempo» mi dice ancora Adriano Annovi parlando della presenza di Bacio della Luna al prossimo Vinitaly, evento imprescindibile per un marchio che crede fortemente nella visibilità data dalla presenza alle più importanti fiere di settore, italiane e non. «Volevamo diversificare un po’ il prodotto, con uno spumante molto duttile, una Cuvée extra dry il cui residuo zuccherino consente un consumo durante tutto l’arco della giornata». Il marchio Bacio della Luna si rivolge in maniera specifica al canale HO.RE.CA., «e sta benissimo nelle carte dei migliori ristoranti» conclude Annovi. «Stiamo completando la nostra presenza su tutto il territorio nazionale, offrendo il massimo supporto ai distributori locali. Infine, ci stiamo dedicando al miglioramento della nostra presenza sui social, da Facebook a Instagram, sia a livello di comunicazione che come presenza negli eventi legati al vivere fuori casa (ad esempio, gli innumerevoli appuntamenti estivi in Riviera), così importanti per raggiungere il nostro principale cliente che è e rimane il consumatore finale, al quale raccomandiamo sempre di bere responsabilmente». Bollicine come stile di vita. Gaia Borghi >> Link : www.baciodellaluna.it

Coltelleria Saladini, un premio per l’eccellenza artigiana Il “Premio per l’Eccellenza Artigiana” è stato istituito nel 2015 dall’associazione Le Soste insieme alle Cantine Ferrari al fine di sostenere l’artigianato italiano di qualità. Un patrimonio inestimabile fatto di piccole realtà di cui l’Italia è ricca, che raccontano ancora oggi una cultura e un saper fare antichi e che rendono il nostro Paese unico a livello internazionale. Il premio 2016 è stato assegnato alla Coltelleria Saladini, bottega che porta avanti la tradizione del borgo toscano di Scarperia (“il paese dei coltelli”) sin dal Medioevo, reinterpretandola con uno stile contemporaneo applicato anche a nuovi tipi di oggetti. Proprio questa è stata la motivazione che ha portato a scegliere Saladini tra gli artigiani in lizza, come ricordato dalla famiglia Lunelli e da Claudio Sadler, presidente de Le Soste, al momento della consegna del premio a Leonardo Saladini e Giacomo Cecchi, gli appassionati artigiani alla guida della Coltelleria.

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GSI: cambio al vertice Dal 1o marzo Giuseppe Colotto è il nuovo AD del gruppo modenese al posto di Massimo Romani, passato a dirigere l’azienda Amadori di Silvia Saracino

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riginario di Savona, 51 anni, GIUSEPPE COLOTTO è il nuovo Amministratore Delegato di Grandi Salumifici Italiani, gruppo modenese leader in Italia nella produzione e vendita di salumi di qualità e secondi piatti freschi pronti. Colotto vanta una lunga e consolidata esperienza manageriale nei più importanti gruppi del settore food. Laureato in Scienze politiche, ha iniziato la sua carriera nel 1989 in Procter&Gamble, per poi passare al gruppo Danone dove è rimasto per otto anni lavorando tra Italia e Spagna. Dal 2007 al 2009 ha ricoperto il ruolo di CEO di Kraft Biscuits Iberia e dal 2009 al 2011 è passato al ruolo di managing director di Grocery Category Europe sempre per Kraft. Esperienza e capacità l’hanno portato al pastificio Rana dove, dal 2012 al 2015, è stato responsabile del business in Europa e a livello internazionale per poi arrivare in Grandi Salumifici Italiani. «L’inserimento di un manager di comprovata esperienza nel mondo food e retail consentirà

a Grandi Salumifici Italiani di continuare il processo di crescita e di consolidamento sul mercato italiano e di valutare un ulteriore sviluppo nei mercati esteri di riferimento» scrive nel comunicato ufficiale l’azienda. GSI ha chiuso il 2014 (ultimi dati di bilancio disponibili) con un fatturato di 640 milioni di euro, una struttura forte di 1.800 dipendenti e una rete di esportazioni in 34 Paesi, con due filiali commerciali in Europa, in Germania (Senfter Casa Modena) e in Francia (GSI France). In Italia il gruppo, che ha il quartier generale a Modena, conta 14 stabilimenti produttivi tra cui le sedi di Brescello, Reggio Emilia, Amiata (Grosseto) e Noceto (Parma), nei territori dove nascono le eccellenze della salumeria italiana. Nel 2013 il gruppo si è ampliato inaugurando a Bologna, nella zona Interporto, una base logistica di oltre 30.000 m2 dotata delle più moderne tecnologie. All’interno si trova l’Outlet del gusto, uno store, aperto da lunedì a sabato, dove il pubblico può acquistare a prezzi convenienti i sa-

lumi confezionati eccedenti rispetto alle effettive richieste commerciali: dai prosciutti cotti e crudi alla mortadella fino al salame, i Teneroni, i würstel. Un’area di vendita che unisce la filosofia ambientale dell’azienda alle esigenze del consumatore, sempre più attento al prezzo ma senza rinunciare alla qualità. Inoltre, dopo le 18:00, il locale offre anche somministrazione con la preparazione di panini farciti di gustosi salumi. Grandi Salumifici Italiani racchiude alcuni dei più rinomati marchi italiani della salumeria: Casa Modena, con alcuni prodotti conosciutissimi come i Teneroni e la mortadella Goduriosa, Senfter, l’eccellenza altoatesina nella produzione di speck, arrosti, bresaole e würstel, il marchio bolognese Alcisa, conosciuto nel mondo per la mortadella, Cavazzuti, storica azienda specializzata in salami, i Fratelli Parmigiani, che rappresentano un’eccellenza nella salumeria parmense, e il Gruppo Alimentare In Toscana, rinomato per la profumata finocchiona.

La sede del Gruppo Grandi Salumifici Italiani a Modena (www.grandisalumificiitaliani.it).

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La lunga tradizione emiliana della mortadella ha raggiunto, con Favola®, un livello di eccellenza senza precedenti. Unica mortadella al mondo ad essere insaccata e cotta nella cotenna naturale, Favola® è il frutto di una lavorazione artigianale di sole carni italiane e di una lenta cottura in forni di pietra. Tutto ciò rende questa mortadella inconfondibile nell’aspetto e in ogni fetta, donando morbidezza e fragranza. Una mortadella davvero unica e inimitabile, adatta anche ai consumatori con intolleranze alimentari.


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L “La prima ricetta vera e propria della mortadella risale al 1600 e si trova nel trattato ‘Economia del Cittadino in Villa’ del bolognese Vincenzo Tanara. Qui sono indicati tipo e quantità di spezie da utilizzare: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, muschio, pepe in grani, sale, zucchero e formaggio”

a mortadella di Bologna è la più celebre delle mortadelle prodotte in Italia ed è protetta dal marchio IGP dell’UE. È prodotta in Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, Marche, Lazio e Provincia di Trento. Si ricava da un misto di carni suine, cotenne tritate finemente, mescolate con grasso duro cubettato, con l’aggiunta di una vasta gamma di ingredienti ed aromi. Altri tipi di mortadelle sono prodotte sempre in Emilia, in Lombardia e in Lazio. Solitamente, ogni grande salumificio ne produce due o tre tipi immessi in mercato con prezzi differenti. Uno degli elemento che distingue le mortadelle a farcia fine è la dimensione, che varia da 1 kg a 10-15 kg di peso, fino ad arrivare anche ai 30-100 kg, e il tipo di carne utilizzata. Le mortadelle a farcia fine possono essere fatte con carni suine (puro suino = S); con carni suine e bovine (= B); con carni suine e aggiunta di carni ovine (= O); con carni suine ed aggiunta di carni equine (= C). Tecnica generale di preparazione e lavorazione Tra i diversi prodotti cotti a pasta fine, la mortadella è quella che possiede i

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più ampi requisiti di tradizione. La tecnica di preparazione che prevede l’uso del tritacarne, anziché del cutter (sminuzzatrice), la differenzia dagli analoghi prodotti reperibili negli altri Paesi europei ed extraeuropei. Il lavoro meccanico del tritacarne e dell’impastatrice è più delicato rispetto a quello del cutter, e pertanto non causa la formazione di un’emulsione di carne che trattiene acqua aggiunta e/o grasso in amalgama omogeneo. Per questa ragione nella mortadella non viene aggiunta acqua e il grasso viene incorporato sotto forma di cubetti: l’impasto è perciò concentrato e relativamente magro. Ci troviamo di fronte ad un prodotto che presenta aspetti simili sia alle emulsioni di carne che ai salami cotti, il che contribuisce a rafforzarne la particolarità. Nella composizione della mortadella possono entrare diverse carni (fa eccezione la mortadella Bologna, per la quale si possono usare materie prime esclusivamente di origine suina per l’ottenimento della massima qualità) per cui la formulazione può variare. Le caratteristiche dei tagli che più frequentemente entrano a far parte

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Mortadella a fette, mozzarella e pane integrale con semi (photo © Corina Daniela Obertas). di formulazioni per mortadella sono le seguenti: • spalla suina — la percentuale di incorporazione nell’impasto è massima nelle mortadelle di qualità superiore per ridursi progressivamente con la diminuzione della qualità stessa; • triti di suino — sotto questa denominazione sono commercializzate carni derivanti dalla lavorazione dei tagli principali ricavati dalla sezionatura delle mezzene (prosciutto, lombo, coppa, ecc…); • grasso cubettato — per la produzione di “lardelli” è oggi utilizzato principalmente il grasso di gola, il più duro tra i grassi e quindi più pregiato, che permette la chiara divisione tra grasso e magro visibile nella fetta. La preparazione della mortadella consta nelle fasi essenziali che di seguito descriviamo. Triturazione La linea del magro è caratterizzata dalla progressiva riduzione della ma-

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teria prima, dai tagli interi di carne ad una miscela cremosa ottenuta con il passaggio all’interno della macchina spezzatrice nel premiscelatore ed in due tritacarne assai fini. Preparazione dei lardelli Il grasso di gola viene tagliato nella tipica forma di cubetto e sottoposto ad accurato lavaggio a caldo, dopo di che si procede ad unirlo alla componente magra. Impasto Dopo un tempo di impastatura variabile dai 5 ai 15 minuti l’impasto viene portato all’insaccatura. Per tale operazione sono utilizzati involucri naturali e artificiali. Diversissimi sono i calibri e i pesi delle mortadelle insaccate: pezzature da 500 g a 80-100 kg sono facilmente reperibili sul mercato. Cottura Dopo l’insacco le mortadelle sono portate all’interno delle stufe di cottura. La cottura è una fase molto delicata

del processo di trasformazione, che è assolutamente necessario ottimizzare in funzione della formulazione, del tipo di stufa, del carico e del calibro delle mortadelle. Le stufe sono normalmente in muratura ed il mezzo riscaldante è l’aria che è portata alla temperatura voluta (massimo 85 °C) per contatto indiretto con il vapore. Una cottura mal condotta può avere influenze negative sul colore, in particolare sulla presentazione esterna del prodotto (presenza di bruciature, colore non tipico) e causare la parziale fusione dei lardelli. Successivamente alla cottura la mortadella è sottoposta a docciatura con acqua fredda e immediatamente portata in cella di raffreddamento, per essere raffreddata nel più breve tempo possibile fino ad una temperatura interna di 10 °C che “stabilizza” il prodotto. Mortadelle comuni Sono insaccati cotti a base di carni di suino con altre (ovino, equino, specie aviarie) e cotenne suine tritate finemente, unite a grasso duro cubettate.

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“Nel Museo Archeologico di Bologna è conservata una prima testimonianza della nascita della mortadella: una stele di epoca romana imperiale, nella quale sono raffigurati, da una parte, sette maialetti condotti al pascolo e, dall’altra, un mortaio con pestello”

“La Mortadella Bologna Igp è un insaccato cotto fatto con carne suina, di forma cilindrica o ovale. Rosa, dal profumo intenso, leggermente speziato, il suo sapore è pieno e ben equilibrato grazie alla presenza di pezzetti di grasso di gola del suino che conferiscono maggiore dolcezza al salume”

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Al tutto possono venire aggiunti un vasto numero di ingredienti e aromi. Dopo miscelazione, l’impianto è insaccato in budello naturale o artificiale e cotto. Le mortadelle possono essere ovali, rotonde o cilindriche. Gli ingredienti sono costituiti da carni, grasso di gola, tessuto connettivo (cotenne), sale, zucchero, nitrito, acido ascorbico. Leganti: latte magro in polvere, caseinato di sodio, plasma sanguigno, farina di riso, fecola di patate, spezie, pepe, macis, coriandolo, aglio, pistacchi. La lavorazione prevede: la preparazione dei tagli grassi; la loro scotennatura; la cubettatura; il passaggio in acqua calda a 60 °C per 15-20 minuti in agitazione continua; ricambio dell’acqua a 40-50 °C; immissione lardelli caldi in impastatrice dopo loro pesatura. La preparazione dei tagli magri comprende: vagliatura delle carni; loro congelamento; spezzettatura con tranciature; trasferimento in premiscelatore; mescolamento nello stesso; trasferimento in tritacarne; triturazione (16-18 mm); trasferimento in tritacarne; triturazione fino a 1 mm; trasferimento in impastatrice. La fase conclusiva di lavorazione comprende: miscelazione in impastatrice di carne più lardelli cubettati; aromatizzazione; additivazione; impastamento per 10-15 minuti; trasferimento in insaccatrice; insaccamento e legatura; cottura in stufa ad aria secca (70 °C a cuore) in tre fasi in 6-24 h; asciugatura a 65 °C (tempo variabile a seconda della pezzatura); precottura a 75 °C (tempo variabile a seconda della pezzatura); cottura a 80-85 °C (tempo variabile a seconda della pezzatura). Segue poi l’estrazione delle mortadelle dalla stufa, la docciatura con acqua fredda, il raffreddamento in cella fino al raggiungimento di 10 °C e trasferimento in frigo (BONI, 2006). Mortadella classica di Bologna Si utilizza esclusivamente carne di suino pesante italiano e grasso di gola tagliato in cubetti; l’impiego di conservanti è ridotto ai minimi termini, consentendo soltanto nitriti e nitrati in piccolissima quantità, precisamente due grammi mescolati a sale per 100 kg di carne (la tipologia delle carni suine attuali non consente di azzerare

la presenza degli additivi). La concia è composta di sale, pepe nero in grani, pepe bianco macinato, macis, coriandolo, polpa d’aglio pestato e la cottura avviene in stufe di pietra con una gradazione al cuore tra i 75 e 77 °C. Per l’involucro è consentita soltanto la vescica di suino, mai quella sintetica. Esternamente la mortadella classica di Bologna non presenta differenze particolari: è al taglio che evidenzia caratteristiche abbastanza differenti da quelle normalmente in commercio. Infatti, si nota una colorazione leggermente tendente al marrone chiaro e non quella rossa o rosata a cui siamo abituati. Il profumo, non sostenuto da additivi o aromi, è meno “prepotente” di quello delle altre mortadelle, ma più complesso. Al gusto, poi, si ritrovano sensazioni di dolcezza, delicatezza e consistenza del tutto particolari: l’insieme organolettico tende alla suadenza più che alla sapidità. Eccellente gustata a cubetti. Mortadella di Prato È un salume a pasta cotta prodotto nelle province di Prato e Pistoia. Ha forma cilindrica, aspetto variabile in base al peso, che oscilla fra 300-500 g o più. La farcia è fine. Per prepararlo si impiegano rifilature di spalla, di prosciutto, di coppa, sale, spezie (pepe nero in grani, pepe nero macinato, sale, polpa d’aglio pestato, macis, coriandolo, cannella, garofano e alchermes). Le carni, dopo mondatura e rifilatura, sono tritate a grana finissima e vengono addizionate della concia e dei lardelli raffreddati e tagliati a cubetti. Dopo la miscelazione, si procede all’insacco. Si cuoce poi in caldaia a 70 °C per 2 ore al giorno per cinque giorni. Mortadella umbra L’impasto di questo insaccato è composto di carne suina magra di prima scelta che viene tritata molto finemente; la concia è fatta esclusivamente di sale e pepe. Si insacca nel budello naturale al centro del quale viene inserito un lardello lungo 25-30 centimetri, come la mortadella. Viene pressata finché ottiene la caratteristica forma di parallelepipedo. Si fa asciugare per qualche giorno in am-

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La mortadella nella storia Fu LUIGI MARIA MITELLI a raffigurare per primo la mortadella in un’incisione della seconda metà del Seicento. L’etimo del termine “mortadella” è discusso, perché secondo alcuni deriverebbe dal latino mortatum, il mortaio usato per sminuzzare la carne. Secondo altri deriverebbe invece da mortada, parola ormai scomparsa e derivante dal latino myrtatum, che indicava una carne aromatizzata con bacche di mirto. Come scriveva PLINIO IL VECCHIO parlando dell’uso del mirto: “Si usò in altro modo la coccola degli antichi (appunto le bacche di mirto) prima che si trovasse il pepe, e serviva in luogo di esso, e se ne faceva una nobile vivanda, la quale anche oggi si chiama mirtato, Myrtatum vocatur” (23-79 d.C., Libro 15, XXXV, Naturalis historia). Il mirto fu poi soppiantato dal pepe. La prima codificazione ufficiale con ricetta per la preparazione della mortadella è stata scritta dallo scalco di corte degli Este di Ferrara, CRISTOFORO DA MESSISBUGO, nel libro Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale. La prima ricetta vera e propria risale invece al 1600 e si trova nel trattato Economia del Cittadino in Villa (1664) ad opera di un agronomo bolognese, VINCENZO TANARA. Qui sono indicati il tipo e la quantità di spezie da utilizzare: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, muschio, pepe in grani, sale, zucchero e formaggio. Tanara, inoltre, specifica anche la dose del tessuto adiposo, tagliato in grossi dadi (1/3), e la dose del tessuto magro, proveniente da tagli pregiati, quali spalla o coscia (2/3). Il tutto trasformato in farcia (impasto fine) con “taglienti pestature” (il che escluse l’uso del mortaio per sminuzzare la carne). Dopo l’insaccatura, la mortadella deve essere cotta, a temperatura moderata, in una stufa calda. Negli Annales Cremonenses (Quibus res ubique gestas memorabilis à patriae suae), scritti da LODOVICO CAVITELLI, patrizio cremonese, nel 1588, si può leggere: “Moltissimi cremonesi nel passato come al presente, emergono per intraprendenza e acutezza di ingegno; alcuni di essi, per un succulento cibo dell’uomo, escogitarono e prepararono un insaccato di carne suina e anche bovina triturata ben bene e frammista con polvere di pepe, ovvero di ginestro, di cinnamomo, cannella e di altri aromi e quindi introdotta e legata in budello di maiale, il tutto poi messo a bollire nell’acqua sul fuoco, o arrostito e alla fine portato in tavola, e così gustato tra l’allegria dei commensali”. BARTOLOMEO SCAPPI DA LUINO, il più grande cuoco del Rinascimento, nella sua opera del 1570, dopo aver dichiarato di non volere parlare di mortadelle e salami perché non attinenti alla sua professione, riporta la preparazione di una mortadella di carne magra suina involta nella rete: “Piglionsi dieci libbre della soprascritta carne priva d’ossa, pelle, et nervi, la quale habbia del grasso, et magro, et battasi con li coltelli sopra la tavola, giungendovi otto oncie di sale trito, et sei oncie di finocchio dolce secco, quattro oncie di pepe ammaccato, un’oncia di cannella pesta, meza oncia di garofani pesti, et sia ben mescolata insieme ogni cosa con la mano, et giunganovisi quattro oncie di acqua fredda, et menta, et maiorana battuta con un poco di serpillo [timo], et lascisi riposare in un vaso di terra o di legno per quattro hore in loco fresco, et piglisi la rete d’esso porco ben netta di peli, et mollificata con acqua tiepida, et faccianosi di tal composizione le mortadelle con la rete a foggia di tommacelle, et fatte che saranno lascinosi riposare il verno (inverno) per due giorni in loco asciutto, et poi si cuociano su la graticola. Overo nella padella con lo strutto liquefatto. …Della detta composizione si potrebbero empir budelle di porco, che prima fossero state in sale, est piene che fossero il verno di potrebbero lasciar stare per due giorni et dapoi si potrebbero alessare”. Alla fine del 1600 un prodotto, citato come mortadella, era rinomato, non solo in Italia, ma conosciuto ed apprezzato in Francia e Inghilterra. In quel tempo un giornalista londinese scriveva: “Gli emiliani preparano una sorta di grande salsiccia denominata mortadella, che fanno tritando carne di maiale, condendola con sale, pepe e aglio e infilandola in budelli di maiale, pecora o manzo, lasciandola per 2 giorni in una salamoia, bollendola per poco tempo e mettendola ad asciugare vicino al camino”. Nel 1701, il francese VEYARD riferisce sulle percentuali di carne suina cotta per fare mortadelle (70% di carne più 30% di grasso). Infine, FORNI, nel 1881, fornisce una più precisa descrizioUn particolare delle nozze di Cana affrescate nella Basilica di San Nicola da Tone della ricetta — 65% di carne lentino a Tolentino (MC). Il dipinto riproduce un banchetto rinascimentale (photo magra, 35% di tessuto adiposo © wikimedia.org). — e delle fasi di preparazione.

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biente ben ventilato e caldo e si fa poi stagionare per alcuni mesi in cantina. L’area di produzione è rappresentata da tutta la regione dell’Umbria. Oggi questo prodotto sta scomparendo dal suo mercato originario e la tradizione si sta spostando nella zona di Amatrice, nel Lazio e di Campotosto, in Abruzzo. La vera zona di origine sembra essere stata quella di Preci, in provincia di Perugia. Altre mortadelle Nella nomenclatura salumiera si comprendono altri tipi di mortadelle, alquanto differenti da quelle prima citate. Si producono, infatti, mortadelle crude stagionate e mortadelle da consumarsi dopo cottura. Per capire il motivo dell’attribuzione del nome di mortadella a questa serie di salumi, si deve sapere che nel passato, con il termine “mortadella”, si intendeva un insaccato fatto con un impasto ottenuto lavorando la carne a taglio grossolano. Nei ricettari del 1300 e 1400 troviamo vari tipi di mortadelle fatte con carne di maiale cruda. Della mortadella cruda scrive per primo MASTRO MARTINO DE ROSSI, detto da Como, e dopo di lui CRISTOFORO DA MESSISBUGO (1549) e FRANCESCO LEONARDI (1790), il quale intitola una sua ricetta “Mortadella delle Spianate”. Tutti questi autori parlano di insaccati “crudi”, quindi di una mortadella diversa da quella di Bologna. Mortadella della Val d’Ossola È un salame di carne suina della Val d’Ossola e della Val Vigezzo. Ha una grana grossolana e si consuma fresco, previa cottura, o crudo, dopo circa due mesi di stagionatura. La forma è quella di una bisaccia tondeggiante, schiacciata in senso latero-laterale, fortemente solcata dal tracciato dello spago, di peso variabile, indicativamente tra 300 e 500 grammi. Per la sua preparazione si impiegano tagli suini magri, pancetta, fegato di maiale (5-10%), sale, pepe, aglio pestato, vino. Budello naturale: vescica suina. La lavorazione si compie con la mondatura e rifilatura delle carni, preparazione della concia, taglio di carne e lardelli a grana grossa. A seguire: trasferimento del trito nell’impastatrice, aggiunta della

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Mortadelle di fegato (photo © macelleriabeccalli.3service.it). concia, miscelazione, passaggio del miscelato in insaccatrice ed insacco, legatura a mano con spago e asciugatura a temperatura ambiente per 4-5 gg. La stagionatura si fa in cantina per 60 giorni. Mortadella delle Apuane È un salume tradizionale della provincia di Massa Carrara, in particolare del Comune di Montignoso, a base di tagli pregiati di carne di maiale, quali coppa, spalla, lardo e pancetta. Le carni sono tritate con stampi di 12-15 mm,

quindi l’impasto è a grana grossolana; nello stesso si aggiungono sale, pepe in grani e macinato, noce moscata, cannella, vino bianco di Candia, vitamina C e nitrato di potassio. Si impasta molto accuratamente e quindi si insacca in budello naturale di manzo o tipo Bondeana, cercando di massaggiare bene in modo da far uscire tutta l’aria dall’impasto. Si fora il budello e si asciuga per 6-7 giorni a 25 °C, in ambiente caldo e umido, fino all’affioramento di chiazze di muffa bianca. È buona regola consumare la

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Mortadella di Prato. mortadella dopo un breve periodo di stagionatura, effettuata a 12-14 °C per pochi giorni (7-10). Mortadella nostrale di Cardoso Si tratta di un salume tradizionale della Versilia (Lucca); è un insaccato di grosse dimensioni a base di sola carne suina (80% con tessuto muscolare e 20% grassi). Le carni vengono tritate a grana media (5-6 mm), addizionate di sale, pepe, aglio, timo, rosmarino, finocchio selvatico e altre erbe a composizione variabile da produttore a produttore. Dopo accurata miscelazione si insacca in budello bovino o suino secondo la pezzatura e la forma volute, e si asciuga per 8 giorni a circa 25 °C. Se non consumata fresca, la stagionatura avviene a 12-14 °C fino a 10 mesi. La mortadella nostrale di Cardoso ha forma ovale (12 cm di lunghezza e 15 cm di diametro), cilindrica piccola (25-30 cm di lunghezza per 5 cm di diametro) o cilindrica grossa (45 cm di lunghezza e 8-10 cm di diametro), legata a mano, di colore grigio per la fioritura delle muffe. Al taglio appare

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di colore rosso acceso, compatta, con bella evidenza dei lardelli. Mortadella di maiale di Camaiore Salume tradizionale originario di Camaiore in Versilia (provincia di Lucca), la “sbriciolona” è un insaccato crudo in budello naturale di carne suina stagionato per un tempo variabile (da 2 a 4 mesi) a seconda del peso. Ha un diametro compreso tra 3 e 8 centimetri, una lunghezza di 1030 centimetri e un peso variabile tra 1 e 5 chilogrammi. Si presenta come cilindro ricurvo, con superficie di colore grigio per la fioritura fungina, solcato da corda. Al taglio presenta una pasta morbida, con grana di colore rosso rubino scuro nella parte magra nella quale risalta il bianco dei lardelli tagliati irregolarmente. Mortadella trequandina Si produce in provincia di Siena, in particolare a Trequanda. È un insaccato di carni magre di prima scelta di suino pesante e grassi. È additivato con sale e pepe, nitrato e acido ascorbico. Per la sua prepara-

zione si usa del suino e la spalla e le rifilature del prosciutto per le carni magre (80%); la pancetta e il lardo per la parte grassa (20%). Le carni sono macinate finemente e unite al quinto di grasso duro tagliato a dadini. L’impasto si concia e si insacca in budello bovino (zucchetta). Si mette ad asciugare per 8 giorni a circa 25°C. La stagionatura avviene a 12-14°C per 4-5 mesi, a seconda delle dimensioni, l’insaccato è pronto per il consumo. La mortadella trequandina ha forma cilindrica e dimensioni variabili, per un peso oscillante fra 1 e 1,5 kg. Al taglio appare di colore rosso acceso, compatta, con bella evidenza dei lardelli. Si tratta di un prodotto analogo al salame toscano. Mortadella viterbese Si tratta di un salume crudo insaccato in budello naturale bovino, a forma di salame spianato, dello spessore di 4-5 cm, del peso di circa 2 kg, la cui superficie di taglio si presenta di colore rosso vivo, con occhiature bianche dovute ai lardelli di grasso e grani di pepe nero spesso visibili.

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“Conosciute anche come coglioni di mulo, le mortadelle di Campotosto sono prodotte con le stesse regole del passato, quando le famiglie del paese lavoravano insieme in un’insolita corvée comunitaria per preparare questi salumi da consumare a partire dalla Pasqua”

“Salami e mortadelle di fegato sono diffusi in tutta Italia, specialmente nelle regioni del Nord. Le tipologie possono essere varie e varia può essere la percentuale di fegato presente nell’impasto. Sono salumi che possono essere consumati sia crudi che cotti”

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Il componente principale è la spalla del maiale disossata e il grasso di gola (massimo 10%) con l’aggiunta di sale, pepe, aglio tritato e vino. In quello di tipo industriale viene aggiunto anche acido ascorbico (vitamina C), zucchero, nitrito e nitrato di sodio e potassio; facoltativa l’aggiunta di piccole quantità di latte in polvere. La produzione attuale di questo insaccato è quasi esclusivamente a carattere industriale (circa 700 quintali l’anno) e avviene presso i vari stabilimenti esistenti a Viterbo che, però, lo commercializzano come un generico salame schiacciato stagionato. La carne magra della spalla disossata e, a volte, anche della coscia, dopo l’asportazione delle parti tendinee, viene tritata con piastra di 2 mm, quindi viene impastata per circa 10 minuti, insieme gli altri ingredienti, compresi i lardelli del grasso di gola, precedentemente conditi e tenuti sotto sale per 24 ore. L’impasto dopo un periodo di riposo per 48 ore a temperatura tra 0° e 4 °C, viene insaccato nel budello naturale bovino, quindi pressato e messo a stagionare per 2-3 mesi. Mortadella romana o spianata Si tratta di un esempio di mortadella cruda, quindi diversa dalla classica mortadella, che viene invece cotta in stufe di pietra prima della stagionatura. Per quanto riguarda la preparazione di questo salume, la ricetta è simile, per ingredienti, a quella della corallina. La differenza avviene nelle fasi di insaccamento e di stagionatura; in questo caso, infatti, viene utilizzato un budello di origine bovina e le carni magre macinate finemente e miscelate con lardelli tagliati a mano a punta di coltello. L’impasto, condito ed aromatizzato, viene insaccato in budello naturale di bovino e posto ad asciugare per qualche giorno in apposite gabbiette metalliche (solamente pochi artigiani usano ancora lo schiacciamento tra due assi di legno), fatta maturare alcuni giorni in locale con fuoco per poi essere stagionata per alcuni mesi appesa in locali ventilati. Gli ingredienti sono dati da tagli magri (circa 75%) — polpa di spalla suina, rifilatura di prosciutto — e grasso suino tagliato a dadini (circa

25%). Poi, sale, pepe macinato e intero, aglio schiacciato e macerato nel vino, nitrato di potassio (E 252), budello dritto (gentile) bovino. La tradizionalità della mortadella romana, chiamata comunemente “spianata”, è riconducibile alla particolare tecnica di trasformazione. Nella metodologia di preparazione si fa particolare riferimento all’impiego di aglio schiacciato nel vino, all’insacco in budello naturale, alle gabbie metalliche per la fase di asciugatura ed alla fase di stagionatura in cantine. Mortadella di Amatrice È un salume di produzione locale a grana fine di carne suina di prima qualità, con lardello centrale. Presenta forma tondeggiante, sapore intenso, appena piccante. Il bastone di lardo, inserito al centro, rende inconfondibile la mortadellina amatriciana che si presenta, al taglio, di colore rosa-violaceo con un nucleo centrale bianco. Si ottiene macinando, non troppo finemente, lombo e spalla di maiale a cui si aggiungono sale e pepe, macinato ed in grani, e lardo tagliato a pezzetti. Dopo aver fatto riposare l’impasto per 6-8 ore, lo si lavora cercando di dargli forma ovale e ponendo una cura particolare nel far fuoriuscire l’aria. Successivamente si cuce un quadrato di intestino — precedentemente lavato con acqua e aceto e lasciato ad asciugare — intorno all’impasto e si posizionano due stecche di legno di nocciolo ai lati del salume per tenerlo schiacciato. Le mortadelline vengono, poi, poste sotto peso per 24 ore e bucate con piccoli spilli per favorire la fuoriuscita di aria. In seguito si pongono ad asciugare per qualche giorno in un locale con camino, si trasferiscono, infine, in una cantina asciutta e ventilata per ulteriori 3-4 mesi. A mano a mano che la stagionatura procede, le mortadelline si restringono e le due stecche vengono rimosse. Il salume pesa mediamente 1,3 kg. La produzione di mortadelline è legata da più di tre secoli al territorio, come si evince dalle testimonianze orali raccolte. La peculiarità di questo insaccato è di potersi conservare più a lungo di altri e di poter essere consumato fino alla produzione dell’anno successivo.

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Mortadella di Campotosto La mortadella di Campotosto (conosciuta anche con la colorita espressione “coglioni di mulo”) è prodotta prevalentemente nel comune di Campotosto, in provincia di L’Aquila. È un salume lavorato a mano di carne di suino pesante, macinato a grana fine e con una caratteristica barretta di lardo inserita all’interno (lardello). Ha forma ovoidale ed è commercializzata in coppia. Nella parte inferiore del salame viene posto un tralcetto, che serve a stringere lo spago durante la stagionatura, in modo da far aderire l’involucro all’insaccato ed evitarne l’allentamento. La pezzatura oscilla tra 400 e 500 g la coppia a stagionatura ultimata. L’impasto, che si presenta di colore roseo, mentre perfettamente bianco risulta essere il lardo centrale, viene speziato con pepe e altri aromi naturali (in quantità variabile a seconda della ricetta tramandata nelle varie famiglie di produttori), che conferiscono al prodotto dolcezza, aroma fragrante e caratteristico. I tagli di carne per la preparazione delle mortadelle di Campotosto sono spalla, collo, lombo, coscia, pancetta. La proporzione tra i vari tagli deve essere tale da garantire un 80% di carne magra (25% minimo di prosciutto) e un 20% di pancetta. La macinatura viene effettuata tramite una macchina con stampo a fori di diametro compreso tra 2 e 4 mm, con l’accortezza di utilizzare lame ben affilate onde prevenire la smelmatura dei grassi. Le fasi successive alla macinatura sono la speziatura e l’aromatizzazione con sale (24-26 g/kg), pepe macinato (1 g/kg), pepe tritato grosso (2 g/kg), aromi e vino bianco. La carne macinata ed impastata con gli aromi è lasciata maturare per non meno di 24 ore in ambienti a temperatura compresa tra 0 e 4 °C. A parte avviene la preparazione del budello, che è del tipo “torta”: viene gonfiato, tagliato in senso longitudinale e lavato accuratamente. Servirà ad avvolgere la mortadella rivestendola completamente. All’atto della lavorazione si pesano le porzioni di impasto, di 325 g, cominciando quindi, a modellare con le mani fino a ottenere la tipica forma. È durante questa fase che al centro della mortadella viene

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inserito il lardello, della dimensione di mm 20x20x110. Si procede, quindi, alla legatura a doppia briglia con spago medio calibro e, legate a coppia, le mortadelle si appendono su pertiche di legno. La tradizione vuole che questo particolare salume vada lavorato in determinati periodi dell’anno; quando cioè si è in fase di luna calante o in totale assenza di luna. Si espone al fumo per 15 giorni sopra camini o bracieri alimentati giorno e notte con legna o brace, successivamente, in locali aperti e freddi, il salame verrà esposto alla tramontana, indispensabile a garantire un’ottimale asciugatura. Questa fase di stagionatura trova nel microclima esistente tra Campotosto e Poggio Cancelli (a un altitudine compresa tra 1300 e 1450 m), una condizione particolarmente favorevole. Dopo circa tre mesi dalla macinatura il prodotto essiccato è pronto per essere consumato. Nella preparazione artigianale di questo salame, in passato, non era raro l’utilizzo dello “scifone” (contenitore in legno che favoriva l’intervento di batteri lattici nella trasformazione della carne in salame) nel quale veniva riposto e periodicamente rimescolato l’impasto, che i produttori chiamano “marretto”. Tale procedimento consente ancora oggi (anche se lo scifone è stato sostituito da moderni contenitori) di rendere le carni particolarmente aromatizzate, permettendone una parziale disidratazione. Attualmente, purtroppo, sono poche le famiglie che producono l’originale mortadella di Campotosto. Sul mercato si trovano molti prodotti simili al salume originale, del quale non è possibile imitare la lavorazione, le caratteristiche organolettiche e soprattutto la qualità della materia prima impiegata. Mortadella di Accumoli La mortadella di Accumoli è un salume impostato sulla trasformazione delle rifilature magre di costato, spalla, coscia e pancetta. Caratteristica è la trituratura fine delle carni; si contraddistingue anche per il giusto rapporto tra parte magra e grassa e dall’involucro in cui l’impasto viene mantenuto, costituito da un panetto di sevo ed intestino crasso ricucito. Ha forma cilindrica con una

pezzatura finale di circa 1,5-2 kg, il colore è rosso cupo screziato bianco, il sapore è sapido. La mortadella di Accumoli ha un mercato locale e regionale (il comprensorio dei Monti della Laga). Sporadicamente anche extraregionale. Tradizionalmente viene ancora preparata nei soli mesi invernali (novembre-marzo) — anche se nei laboratori moderni è prodotta anche in altri periodi dell’anno — con suini alimentati a secco e che sfruttano un pascolo estivo di sottobosco. Il peso vivo alla macellazione è di 130-150 kg. Il processo di trasformazione è caratterizzato dalla scelta del sezionato, dall’esclusivo impiego del pepe come condimento, dalla stufatura in camera calda con riscaldamento e combustione naturale ed una lunga stagionatura in camere fredde, in cui avviene il restringimento progressivo del salume, tramite le caratteristiche “stecche” di legno (generalmente di faggio). La stagionatura dura in media 4 mesi. Le mortadelle di fegato Nel “Libro per cuoco” redatto da un anonimo nel 1300 si legge: “Se ti voj fare mortadelle, toj lo figato del porcho e lo sua reta over raixella: toj lo figato e falo alessare, e quando è cocto trailo fora et toj herbe bone e pever e ove [uova] e caxo [cacio] e sale tanto che bassta, e toj lo figato e queste cosse e bati ben insieme in un mortaro, e fai pastume [impasto] e di stempera cum ova e con un pocho de la lesaóra [lessatura] del figato, e poi toj la reta e faj le mortadelle, e quando sono fatte frizili in bono onto colato. Quando sono fricte dàli caldi a tavola”. Nulla di sorprendente in questa mortadella di fegato che anche ISABELLA D’ESTE ordinava di preparare al fido LEONELLO DA BAISO: “[…] Essendo adesso il tempo di far li salemi, ve pregamo ni faciati fare due solii [mastelli] tra cevellati, mortadelle et zambudelli, de la sorte et bonà che sete consueto fare […] Fate che gli siano anche de le mortadelle de fegato […]”. Ma il fegato di suino nelle salsicce era adoperato anche nell’antichità, nei vari botellus e tomacule romane. Oggi le mortadelle di fegato si producono in Lombardia e in Piemonte con lieve differenze di composizione.

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Mortadella de fidigh o fidighina Gli ingredienti di questo salume sono carni suine magre (20%), grasso corposo (15%), fegato di suino (65%). I coadiuvanti tecnologici: sale, aromi naturali, spezie e pepe macinato, filtrati nel vino rosso. Gli additivi: noce moscata, nitrito. Le sue peculiarità: forma a ferro di cavallo; dimensione: 20-25 cm; sapore tipico; odore tipico speziato, colore rosso scuro. I centri di produzione più importanti sono Salice Terme, Sabbioneta, Lomazzo, Lurate Caccivio, in provincia di Pavia, Mantova e Como. Il fatto che lo stesso salume si trovi in località diverse, può essere attribuito a spostamenti di nuclei contadini, o a norcini erranti o altri motivi analoghi. Il fegato del suino, insieme a ritagli magri mondati delle parti dure e alla pancetta viene condito con vino rosso aromatizzato (preferibilmente Barbera), macinato finemente e insaccato nella vescica o budello animale. Maturazione: in cucina per tre-quattro giorni. Periodo di stagionatura: 30/40 giorni in cantina. Dopo questo periodo, se non si consumano subito, le mortadelle vengono conservate in recipienti di coccio detti “terragne”, verdi marmorizzate all’esterno e color caffelatte all’interno, sotto la sugna liquefatta che le mantiene morbide. Peso da 200 a 700 g. Mortadella di fegato al vin brulè Nel basso milanese e a Varese si produce anche la mortadella di fegato al vin brulè. Viene preparata aggiungendo il vin brulè agli ingredienti tradizionali della mortadella di fegato. È diffusa nella Bassa Lodigiana, in provincia di Milano, e nella zona collinare del paese, con centro a Salice Terme. Oltre che con il vin brulè può essere insaporita con l’amaretto di Saronno o con la grappa di Angera. Fideghin o fideghina Oltre che in Lombardia, come detto, la mortadella di fegato è prodotta in Piemonte (Novarese e Vercellese) cruda o cotta. La prima è detta anche fideghin o fideghina, mentre quella cotta è detta mortadella d’Orta. Gli ingredienti della prima sono fegato di maiale, carniccio, guan-

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ciale e pancetta. Il peso di questa mortadellina cruda è di circa 200 g. Gli ingredienti vengono macinati in modo molto fine e vengono insaccati. Le mortadelle vengono poi legate con la caratteristica forma a ferro di cavallo. In passato venivano fatte stagionare in cantina con i bracieri accesi per asciugarle; attualmente vengono poste in celle di stagionatura. Il prodotto non è cotto ed in genere è consumato crudo e stagionato; mentre spesso viene consumato cotto bollito come ingrediente della panissa o paniscia (piatto tipico del vercellese). Molte volte questi salumi erano conservati nelle duje (recipienti tradizionali) con lo strutto di maiale. Mortadella d’Orta Si tratta di una mortadella cotta composta da fegato di maiale, triti di banco, carniccio, guanciale e pancetta. La pezzatura di questo prodotto è di circa 2-3 kg. La carne è tritata assai finemente e conciata utilizzando vin brulè, cioè vino rosso (generalmente Barbera) bollito, anice stellato, chiodi di garofano, cannella e altre spezie. Il tutto viene insaccato nella muletta di maiale (cieco) e/o crespone. Una volta la cottura della mortadella di fegato era effettuata in pentoloni con acqua bollente; oggi i salumifici effettuano la cottura a vapore. La stagionatura dura circa 60 giorni ed ha luogo in normali camere di stagionatura. Viene prodotta nel novarese e vercellese. Mortadella di fegato cruda sotto grasso Per la sua preparazione si usano fegato di suino (30%), carni suine, sale, latte scremato in polvere, destrosio, saccarosio, spezie e aromi. Dopo le fasi di mondatura, refrigerazione, preparazione impasto, insacco, legatura, asciugamento e copertura con strutto, viene stagionata per 20-30 giorni o più. Prof. Carlo Cantoni

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Dal 1963, gli specialisti della mortadella

Felsineo, alta sartoria in rosa di Gaia Borghi

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U

n altissimo grado di specializzazione, l’attenzione quasi maniacale alle politiche di igiene e qualità e alla sicurezza, tecnologie innovative anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale, pur rimanendo fortemente ancorati alla tradizione, rapidità della consegna, flessibilità, cura della clientela e una presenza importante sui mercati nazionale e esteri. Sono questi alcuni degli aspetti che descrivono in maniera sintetica — ma già chiarificatrice della filosofia che ne guida le attività — Felsineo, nome storico della salumeria italiana o, meglio ancora, bolognese. Perché di uno dei simboli principali della bolognesità, nonché sinonimo della città tanto da venire indicata dai più con lo stesso nome, l’azienda

di Zola Predosa è uno dei maggiori e più importanti produttori. “Solo mortadella” si legge infatti sulla brochure di presentazione che mi viene consegnata all’ingresso degli uffici di via Masetti e “solo” mortadella Felsineo produce, in diversi formati, dai 100 grammi ai 250 chili, e con ricette diversificate secondo il gusto specifico dei clienti e dei mercati cui le mortadelle sono destinate. Ieri, oggi e… «Nel 1963 mio padre Franco trasferì le attività di vendita di carne fresca e produzione di salumi del piccolo laboratorio artigiano di via Berretta Rossa, nel quartiere Santa Viola, a Bologna, qui a Zola Predosa» racconta ANDREA RAIMONDI, attuale presidente alla guida di Felsineo insieme alla

“A Zola Predosa, Bologna, da oltre 50 anni l’azienda guidata dai fratelli Emanuela e Andrea Raimondi produce solo mortadella, avendo raggiunto un grado di specializzazione talmente elevato che le consente di personalizzare il prodotto seguendo le richieste del cliente più esigente. Proprio come un abito su misura”

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sorella EMANUELA. «Fu allora che decise di modificare il nome originario dell’azienda, allora Salumificio Raimondi, con l’intento di sottolineare ancor più il legame con la città, il territorio e le sue tradizioni». Oggi Zola è il maggior distretto industriale bolognese e lo stabilimento della Felsineo è stato oggetto di diversi ampliamenti fino al raggiungimento degli attuali 22.000 m2 coperti. Produzione, confezionamento, un magazzino automatico da 3.600 posti pallet e uffici: tutto è concentrato in un’unica sede, il che rende la gestione delle attività e dei servizi più snella, rapida ed efficiente. «La scelta di dedicarci esclusivamente alla produzione di mortadella è avvenuta nei primi anni ‘70» continua Andrea Raimondi. «In quel momento stava nascendo la Grande Distribuzione: si può dire quindi che siamo cresciuti insieme e, anche in virtù di questo rapporto privilegiato, siamo stati tra i primi salumifici ad interessarci e, di conseguenza, conseguire le certificazioni di qualità». Felsineo ha ottenuto la prima certificazione secondo le norme UNI EN ISO nel 1997 (ISO 9002) e nel corso degli anni ha ottenuto la UNI EN ISO 22000:2005 e la UNI EN ISO 14001:2004. Inoltre,

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Andrea ed Emanuela Raimondi, rispettivamente presidente ed AD di Felsineo. possiede la certificazione volontaria OHSAS 18001 relativa alla salute e alla sicurezza dei lavoratori ed è in linea con gli standard internazionali GSFS-Global Standard for Food Safety e IFS-International Food Standard. «Abbiamo le autorizzazioni per esportare in ogni parte del mondo, dagli USA, che rappresentano il nostro mercato principale, al Libano, dove la mortadella è apprezzatissima. Poi Giappone, Corea, Hong-Kong, senza dimenticare che l’anno scorso, dopo un iter durato 11 anni, siamo stati il primo salumificio ad inviare le mortadelle in Cina» mi dice soddisfatto Andrea. Qualche numero? 120 dipendenti in totale, più una solida rete commerciale di agenti attraverso i quali si dà copertura a tutto il territorio nazionale; 50 milioni di euro di

fatturato per 11 milioni e mezzo di chili venduti all’anno di prodotto; 300 tonnellate di carne che si muovono per lo stabilimento tutti i giorni; oltre 500 codici di vendita. «Siamo diventati dei veri e propri sarti della mortadella» conclude Andrea Raimondi. «Un livello di specializzazione come quello che abbiamo raggiunto, infatti, può rappresentare sia un limite — e mi riferisco in particolare all‘approccio verso alcuni mercati —, sia un elemento di forza, che ci consente di personalizzare il prodotto fin nei minimi dettagli, rimanendo comunque legati alla nostra storia e alla lavorazione tradizionale della mortadella, dalla selezione accurata delle materie prime alla naturalità della ricetta, che non prevede l’aggiunta di alcun additivo, se non quelli tecnologicamente indispensabili».

1963: una tecnologia ad hoc per una mortadella che unisce passato, presente e futuro Una sintesi perfetta tra storia e innovazione, che fonde il gusto della tradizione e le tecniche industriali più avanzate per ottenere un prodotto unico, nel sapore e nella qualità: è il Laboratorio Felsineo voluto dall’azienda bolognese per festeggiare i 50 anni di vita con un prodotto di eccellenza, la Mortadella artigianale 1963. Grazie ad un brevetto esclusivo, frutto di un lavoro di ricerca durato quasi vent’anni, Felsineo ha concepito un nuovo modo di macinare la carne, più rispettoso della materia prima: il Laboratorio è infatti l’unico al mondo a poter realizzare la mortadella utilizzando la carne fresca. La Mortadella artigianale 1963 è anche l’unica referenza a marchio Felsineo prodotta anche in vaschetta.

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…domani Felsineo è una realtà solida, che non ha paura di guardare avanti, rinnovarsi, perché consapevole dell’alta qualità della propria offerta, con lo sguardo proiettato al di fuori dei confini del nostro Paese, alla ricerca di nuovi acquirenti, ma anche tra di noi, verso i nuovi target di consumatori. «Volevamo fare un prodotto d’eccellenza — interviene Emanuela Raimondi — staccandoci in maniera sensibile dal mercato. Se si potesse fare la mortadella con la carne fresca, ci ripeteva nostro padre, otterremmo un salume completamente diverso, con una consistenza ed un gusto incredibili. Ci sono voluti vent’anni di ricerca ma alla fine ce l’abbiamo fatta». Nel settembre del 2015 è stato infatti inaugurato all’interno della stessa sede aziendale il Laboratorio Felsineo, un locale specifico che, nella volontà della famiglia Raimondi, “unisce passato, presente e futuro”, disponendo di una tecnologia brevettata che consente, come non era possibile finora, di macinare la carne fresca. Quella che si ottiene è una mortadella più consistente rispetto al salume tradizionale, e quindi più facilmente affettabile, incredibilmente leggera, con un profumo delicato e persistente. Dal punto di vista nutrizionale, infatti, presenta un’elevata percentuale di proteine (21%) e un tasso di grassi inferiore alla media, valori che la rendono perfetta per un consumatore attento ai nuovi trend salutistici di benessere. Ultimo tocco che la rende speciale, l’italianità: la mortadella viene infatti legata con una corda tricolore, a voler evidenziare l’origine nazionale della carne con cui viene realizzata. «È una mortadella diversa, che va spiegata al consumatore — interviene ancora Emanuela Raimondi —, ideale per chi di solito sceglie il prosciutto cotto al banco gastronomia». Insomma, mangiare qualche fetta di mortadella smette quasi di essere una trasgressione per diventare un piacere lecito che ci si può concedere molto più spesso. Gaia Borghi Nota A pagina 44, la legatura della Mortadella 1963 nel Laboratorio Felsineo.

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ANTICA CORTE PALLAVICINA Ristorante “AL CAVALLINO BIANCO” 43010 Polesine Parmense (PR) Tel. 0524 96136 – Fax 0524 96416 www.acpallavicina.com

Nel 1905, nostro nonno Spigaroli Luigi riesce a diventare fittavolo dell’Antica Corte Pallavicina. Il vecchio castello eretto nel 1400 dai Marchesi Pallavicino, trasformato nel 1700 in azienda agricola, è situato sulla riva del Po. Nascono sei figli e l’ultimo, nel 1916, è nostro padre Spigaroli Marcello. Egli diceva che nel castello si stava bene, avevano il traghetto sul fiume, in estate curavano il podere, allevavano come sempre parecchi maiali che in inverno macellavano e facevano i salumi. Salumi che venivano venduti, da prima interi, ai passeggeri del loro traghetto poi, in seguito, al sorgere di una prima baracchetta di legno in riva al Po, affettati insieme al pane, a coloro che, sulle rive del fiume, si recavano in passeggiata anche dai paesi vicini. Da quella baracchetta successivamente ampliata, ma sempre in legno, e divenuta il “Lido di Polesine”, nel quale si ballava e si facevano merende, trarrà origine, dall’immane sforzo congiunto della zia Emilia e dei nostri genitori, il ristorante “Al Cavallino Bianco”. Di posti come il vecchio castello in riva al fiume non ne esistono quasi più, con muri di oltre un metro di spessore, con cantine stupende dove i marchesi stagionavano i loro salumi che inviavano agli Sforza a Milano. Infatti più i salumi e i culatelli sono vicini al grande fiume e più sono buoni!! Tutti quei racconti non li abbiamo mai dimenticati e quando dieci anni fa viene venduta la vecchia Corte Pallavicina decidiamo di acquistarla, con grandi sforzi economici, per poter continuare come il bisnonno, il nonno, il papà a fare dei salumi unici, non sintetici, che mangiandoli scopri da dove vengono e chi li ha fatti. Del resto alla nostra famiglia il senso del buono l’ha insegnato una persona che di cose buone se ne intendeva e noi non ce la sentivamo proprio di lasciar perdere tutta questa esperienza. Massimo e Luciano Spigaroli figli di Marcello.


Una Igp che profuma di alchermes La Mortadella di Prato ha ottenuto il marchio di qualità europea dell’Indicazione Geografica Protetta di Chiara Papotti

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l Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali annuncia che è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento di esecuzione con l’iscrizione della IGP “Mortadella di Prato” nel registro delle Denominazioni di Origine Protetta e delle Indicazioni Geografiche Protette. Salgono così a 280 le eccellenze italiane agroalimentari di qualità registrate in ambito comunitario, rafforzando la leadership della nostra Penisola in Europa.

Un antico salume cotto toscano La produzione del salume pratese nella sua forma attuale (le cui testimonianze documentate risalgono alla prima metà del ‘700) viene datata agli inizi del Novecento e nasce dall’esigenza di usare al meglio gli scarti della preparazione dei salami e i tagli suini di seconda scelta. La mortadella di Prato veniva abbondantemente speziata e condita con l’alchermes, antico liquore italiano che, nel territorio fiorentino, era preparato dai frati di Santa Maria Novella ed utilizzato

soprattutto in pasticceria per via del colore rosso rubino. La presenza di questo liquore come ingrediente caratterizzante della “Mortadella di Prato” è un sicuro marcatore dell’origine e dell’esclusività pratese del prodotto. L’alchermes, infatti, un tempo si ricavava esclusivamente dalla cocciniglia, un insetto parassita essiccato e polverizzato, che per secoli è stato adoperato nella tintura dei tessuti, vale a dire in quella che è sempre stata l’attività economica principale della città.

Mortadella di Prato (photo © Elena Benedetti).

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“La Mortadella di Prato Igp che oggi conosciamo è un salume cotto raffinato, che si presenta con una particolare coloritura rosata tendente all’opaco e che sprigiona suggestivi profumi esotici di spezie. Può essere gustata calda o a temperatura ambiente. Ideale con i fichi e col tipico pane pratese, la bozza”

Il disciplinare adottato per far rivivere questo antico prodotto tiene conto dei mutati gusti alimentari, senza snaturare le caratteristiche della ricetta originale. Per questo motivo, nella preparazione vengono utilizzate spezie dal gusto meno invasivo. La concia, infatti, si compone di pepe nero in grani, pepe nero macinato, sale, polpa d’aglio pestato, macis — comunemente noto come fiore della noce moscata — coriandolo, cannella e garofano. Anche la scelta delle carni è mutata, prediligendo carni di maiale di maggior pregio (principalmente spalla, rifilatura di prosciutto, capocollo, guanciale, lardone e pancetta). Il disciplinare di produzione prevede l’uso di suini nazionali alimentati senza l’utilizzo di mangimi contenenti organismi geneticamente modificati. Con fichi, bozza e nei sedani alla pratese La Mortadella di Prato IGP che oggi conosciamo è un salume cotto raffinato, che si presenta con una particolare coloritura rosata tendente all’opaco — dovuta all’aggiunta di liquore nell’impasto — e che sprigiona suggestivi profumi esotici di spezie. Una volta completata l’amalgama, si procede con l’insacco con budello naturale o sintetico. Altro aspetto peculiare è dato dalla stufatura che precede la cottura, che deve avvenire in locali dedicati, tali da assicurare condizioni di temperatura progressivamente decrescente ed umidità crescente, al fine di garantire un’asciugatura prolungata e graduale del prodotto. La stufatura dura tra 1 e 3 giorni, a seconda della

pezzatura. Terminata questa fase, la mortadella viene appesa in appositi locali termoregolati a temperatura progressivamente decrescente, con umidità relativa crescente da 60% e 65% fino a raggiungere un valore finale compreso tra il 73% e il 78%. Ultimata questa operazione, il prodotto viene cotto in forno a vapore per un tempo compreso tra le 9 e le 13 ore, fino a far raggiungere a cuore del prodotto una temperatura compresa fra 70 °C e 72 °C. In alternativa, viene effettuata la cottura in caldaie d’acciaio, immergendo il prodotto in acqua a temperatura ambiente e raggiungendo una temperatura fra 90 e 100 °C. Questa deve essere poi abbassata tra i 75 e gli 80 °C e mantenuta a tale livello per un intervallo di tempo compreso tra 150 e 200 minuti. Il prodotto viene infine risciacquato con acqua a temperatura ambiente, quindi raffreddato in cella frigo o abbattitore per un periodo di tempo pari ad un minimo di 24 fino ad un massimo di 48 ore, al termine del quale si procede all’asciugatura e al confezionamento sottovuoto. Si gusta calda oppure a temperatura ambiente e si abbina idealmente con fichi, preferibilmente di varietà Dottato (territorio del comune di Carmignano), e col tipico pane pratese, la bozza. Fin dal ‘700 la mortadella di Prato è ingrediente di molti piatti tipici, tra i quali i sedani alla pratese. Chiara Papotti Sitografia www.agraria.org/prodottitipici/mortadelladiprato.htm

I produttori consorziati Salumificio Macelleria Mannori Via di Vergaio 22 59100 Prato Telefono: 0574 811537 Web: salumificiomannori.it

Salumificio Ro-Ma di Bresci Rossana & C. Via Lungo Calice 95/96/a 51031 Agliana (PT) Telefono: 0574 718557

Salumificio F.lli Conti Orlando e Carlo & C. Via S. Giusto 9/H7 59100 Prato Telefono: 0574 630192 | 662191 Web: www.salumificio-conti.com

Salumificio Macelleria Marini Via C. Levi Fraz. Ferruccia 51031 Agliana (PT) Telefono: 0574 718119 Web: www.macelleriamarini.it

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Tradizione Salumi Via IV Novembre 353 Loc. Ferruccia 51030 Quarrata (PT) Telefono: 0573 705275 Web: www.tradizionesalumi.it

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Mortadella Igp: in crescita produzione e consumi

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ono positivi i dati economici resi noti dal Consorzio di Tutela della Mortadella Bologna, che fanno registrare un aumento significativo rispetto agli anni precedenti sia nella produzione che nei consumi. Nel 2015 sono state infatti prodotte 38.200 tonnellate di Mortadella Bologna IGP (+3,6% rispetto al 2014) e vendute 33.500 tonnellate (+3% rispetto al 2014): dati incoraggianti che segnano una decisa ripresa per un prodotto che cresce di più sia dell’intero comparto salumi che della mortadella non IGP. Ed è soprattutto l’affettato che nel 2015 mette a segno un significativo incremento rispetto al 2014, facendo registrare una crescita a doppia cifra. L’affettato ha infatti raggiunto nel 2015 le 6.800 tonnellate, registrando così un +33,2% rispetto all’anno precedente: negli ultimi 2 anni i volumi di questo segmento sono aumentati di quasi un terzo. Questo dimostra che il preaffettato continua ad incontrare in

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maniera significativa il favore dei consumatori. «Siamo contenti di questi risultati, significa che stiamo lavorando bene e che siamo nella direzione giusta» dichiara Corradino Marconi, presidente del Consorzio Mortadella Bologna. «Vuol dire che a piccoli passi stiamo raggiungendo il nostro obiettivo, che è quello di far capire al consumatore finale l’importanza di acquistare un prodotto IGP. Ciò è possibile anche perché continuiamo a lavorare per garantire ai consumatori una Mortadella Bologna sempre più buona, sicura e controllata in ogni fase del processo di lavorazione», conclude Marconi. Reduce dal successo Expo, dove il Consorzio nello spazio Sapòrem ha venduto complessivamente 100.000 piatti a base di Mortadella Bologna IGP, per un fatturato di 800.000 euro, la corsa del Consorzio Mortadella Bologna non si arresta ma marcia verso FICO (Fabbrica Italiana Contadina), il parco del cibo che sta sorgendo a

Il presidente Corradino Marconi. Bologna, in cui verranno raccontate le principali eccellenze della filiera agroalimentare italiana. Per quanto riguarda l’export, si conferma il trend dello scorso anno secondo cui circa un 15% del totale delle vendite è stato destinato alle esportazioni: il principale partner è il mercato europeo con Germania, Francia e Spagna che rimangono i principali estimatori. Tra i mercati extra UE, quello USA offre grandi potenziali. >> Link: www.mortadellabologna.com

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PRODOTTI TIPICI

Lardo di Colonnata… che salame! Nella piccola frazione del comune di Carrara, 14 salumifici certificati mandano avanti una produzione che si tramanda da generazioni. E, grazie alla Larderia La Repubblica, questa storica Igp finisce anche nell’impasto del salame di Silvia Saracino

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ra le montagne delle Alpi Apuane si racconta che Sant’Antonio Abate lo utilizzasse come unguento da spalmare sui fedeli colpiti dal “fuoco sacro” e questi incredibilmente guarivano. Che siano verità storiche o leggende, il lardo di Colonnata ha attraversato almeno cinque secoli conservando intatte caratteristiche che lo rendono un salume unico al mondo e da tredici anni un prodotto italiano tutelato dall’Indicazione Geografica Protetta. In base ad un rigido disciplinare, il lardo può essere prodotto solo a Colonnata, frazione del Comune di Carrara, in provincia di Massa Carrara: in questo paesino di 270 anime, incastonato alle pendici delle Alpi, 14 salumifici certificati mandano avanti una produzione che si tramanda da generazioni, seguendo le regole della norcineria toscana, dal reperimento della materia prima alla lavorazione. Tra i produttori certificati c’è la Larderia la Repubblica di ANGELO FIGOLI e DANIELE BARDI, specializzata, oltre che nella produzione di lardo di Colonnata, anche nella realizzazione di salami — suddivisi in tre o quattro tipologie — e pancetta. Una piccola realtà, nata nel 2005, dove la produzione avviene in forma totalmente artigianale dalle sapienti mani di 13 persone, compresi i soci e le loro famiglie. Il fiore all’occhiello della Larderia sono i salamini Toscanelli, preparati

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con lardo di Colonnata seguendo una ricetta top secret. «Abbiamo impiegato quasi due anni per perfezionare la ricetta» spiega Angelo Figoli. «L’idea è nata prendendo spunto dal salame toscano a cui abbiamo tolto il lardello fresco per sostituirlo con il lardo di Colonnata, molto più pregiato». La sfida era riuscire a unire la carne fresca al lardo di Colonnata che contiene sale, trovare il giusto equilibrio tra freschezza e stagionatura. «Non è stato semplice, ci siamo riusciti dopo lunghe prove nei nostri stabilimenti

di produzione a Colonnata — spiega il titolare — abbiamo effettuato ricerche sulla quantità di sale per evitare che il lardo coprisse i sapori. Il risultato è un salame dal gusto molto delicato, un sapore quasi dolce». Il tempo di stagionatura dipende dal formato del salame: si va da 30-35 giorni di stagionatura per il salame più piccolo, fino a 60 giorni per il salame più grande del diametro di 4 centimetri. «Nella preparazione la carne fresca viene lavorata molto velocemente, entro 48 ore dalla macellazione, così

I Toscanelli prodotti con lardo di Colonnata.

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Lardo di Colonnata Igp (photo © www.improntaunika.it).

“Il lardo deve essere mescolato ad alcuni ingredienti obbligatori: sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino fresco, aglio sbucciato e spezzettato grossolanamente. A scelta si possono utilizzare anche cannella, anice stellato, coriandolo, noce moscata e chiodi di garofano ed altre erbe aromatiche”

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da ottenere il giusto pH del prodotto. La carne viene tritata e si aggiunge il lardo di Colonnata IGP, infine si procede all’insacco e alla stagionatura». Figoli e Bardi sono orgogliosissimi dei loro salami al lardo, «a quanto ci risulta siamo gli unici in Italia a fare un prodotto con queste caratteristiche» e come tutti i prodotti unici la ricetta non si può svelare del tutto: «il segreto del salame è nella scelta dei tagli di carne, tagli pregiati che si ottengono dalla lavorazione». A parte salame e pancetta, la produzione di lardo di Colonnata IGP segue per tutti le regole previste nel disciplinare, a cominciare dalla materia prima. Gli allevamenti dei suini destinati alla produzione devono trovarsi esclusivamente nelle regioni Toscana, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Umbria, Marche, Lazio e Molise. «Noi acquistiamo i maiali nati e allevati in Emilia-Romagna e Lombardia perché, essendo la zona del prosciutto di Parma, sono maiali più pesanti da cui si ricava un lardo anche di 5-6 centimetri di spessore». Perché sia lardo di Colonnata, infatti, lo spessore deve essere superiore ai tre centimetri e deve essere ricavato dai tagli di carne corrispondenti allo strato adiposo, ripulito dalla parte spugnosa, che ricopre il dorso del

maiale dalla regione occipitale fino alle natiche e lateralmente fino alla pancetta. Il lardo deve essere mescolato ad alcuni ingredienti obbligatori, la cui quantità è a discrezione del produttore: sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino fresco, aglio sbucciato e spezzettato grossolanamente. A scelta si possono utilizzare anche cannella, anice stellato, coriandolo, noce moscata e chiodi di garofano ed altre erbe aromatiche, in particolare salvia e origano mentre sono severamente bandite le sostanze liofilizzate, gli aromi naturali, naturidentici ed artificiali, conservanti, additivi e starters. Deve essere lavorato fresco, entro e non oltre 72 ore dalla macellazione, e la lavorazione si può svolgere esclusivamente da settembre a maggio, per avere la condizione climatica perfetta. La stagionatura avviene nelle conche di marmo per un periodo non inferiore ai sei mesi. Una produzione di nicchia da cui nasce un gioiello della salumeria che molti tentano di imitare. «Nella Grande Distribuzione Organizzata non riscontriamo concorrenza sleale» dice il titolare della Larderia. «Il problema è nella ristorazione: in tanti ristoranti viene spacciato per lardo di Colonnata un prodotto che non lo è». Silvia Saracino

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I SALUMI IN TAVOLA

Pranzo al sacco con salumi e formaggi italiani di Clara Scaglioni

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i stava meglio quando si stava peggio, ovvero dobbiamo dimenticare i bei momenti vissuti nel passato perché non torneranno mai più per i noti motivi politici ed economici che caratterizzano il momento attuale. Ma è proprio così? Fino agli anni ‘50 del secolo scorso definivamo il sabato e la domenica il “fine settimana” poi, per sentirci più à la page, abbiamo incominciato a chiamarlo “week-end”, e la simpatica e famigliare scampagnata fuori porta, legata alla bella stagione, è ridiventata il più elegante picnic. Negli anni ‘50 chi aveva la Topolino si avventurava lontano da casa, in mezzo al verde,

mentre, chi non la possedeva, si accontentava dei giardini pubblici in città. Il pranzo programmato per queste ore di svago prevedeva piatti pronti e qualche panino farcito con la classica frittata o con un salume. Le nostre possibilità economiche sono in seguito migliorate e, nell’organizzare l’uscita settimanale con gli amici, per la colazione del mezzogiorno, ci siamo permessi anche una sosta nella trattoria di campagna, più costosa, ma che ci evitava la fatica dell’organizzare il pranzo al sacco. La crisi del momento ha tolto a molti la bella abitudine del pranzo in trattoria ma il riposo settimanale, un diritto

acquisito e da condividere con gli amici, ci ha insegnato ad utilizzare, con attenzione e cognizione, i buoni salumi ed i saporiti formaggi prodotti in Italia. Con la moderna attrezzatura, studiata per la perfetta organizzazione della gita all’aria aperta, e le eccellenze che il mondo ci invidia, è un piacere mettersi all’opera e trasformare il classico picnic in un’esperienza da gourmet, di stile e alla moda, pur confezionando le preparazioni in modo semplice e pratico. Il panino imbottito, ad esempio, è senza dubbio uno dei must dei déjeuner sur l’herbe (o sur la plage). Se ne possono fare

Pronti, partenza, via! In tempo di crisi e con l’arrivo della primavera il recupero di abitudini passate come un bel picnic in campagna è un’allettante alternativa per gite fuori porta. Soprattutto se il panino è gourmet. E le eccellenze, tra formaggi e salumi Dop e Igp, in Italia non mancano!

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dei buonissimi farcendo la comune michetta, la baguette francese o la ciabatta croccante con una profumata mortadella, un buon prosciutto cotto, un saporito prosciutto crudo di Modena, Parma o di San Daniele, un eccellente salame, una fettina di formaggio pecorino… Ognuno di loro sarà una delizia e una goduria per il palato. Quando, per una fame improvvisa, arriva un piccolo languorino, addentarli e gustarseli con tranquillità darà un grande piacere, che sarà maggiormente esaltato se si utilizzeranno, associandoli con oculatezza e saggezza, le diverse varietà di formaggio e di salumi assieme a quegli ingredienti freschi e golosi di stagione che il mercato ci offre, in modo da realizzare piacevolissimi abbinamenti. Iniziamo dal semplice panino con il prosciutto cotto, sinonimo di merenda per tanti di noi, sia grandi che piccini. Tenendo presente la sua delicatezza di gusto vedremo di accompagnarlo con ingredienti altrettanto delicati, facendo attenzione a non coprire i singoli sapori che lo comporranno. Il pane scelto dovrà essere croccante e con poca mollica e se vi fosse la possibilità di utilizzare un barbecue ci si potrebbe avventurare a preparare un toast goloso: utilizzando del pane bianco da tramezzini, delle fettine di fontina o, in alternativa, un tipo di formaggio che sciogliendosi con il calore lo renderebbe gustosissimo. Le verdure consigliate dovranno essere altrettanto dolci e delicate: via allora a zucchine grigliate, pomodori da insalata ben scolati dai semi e qualche foglia di fresca lattuga. Il prosciutto crudo gradisce, per la sua innata sapidità, di essere assaggiato con una croccante rosetta o michetta, con del pane sciapo come il toscano ed anche con dei croissant salati che con il loro impasto soffice riescono ad esaltarne al massimo il gusto. Vera bontà è anche l’abbinamento realizzato con dei friabili grissini avvolti con questo salume. Durante una scampagnata nella quale è programmata una partita di pallone o una lunga camminata non sarà male pensare alla preparazione di qualcosa di più sostanzioso. Un abbinamento di sicuro sapore sarà

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Panino crudo, rucola e formaggio (photo © Alice Gao, www.recipes100.com). una croccante michetta farcita con prosciutto crudo e robiola, perché la dolcezza di questo formaggio vaccino fresco saprà sottolineare la delicatezza del crudo. Altro indovinato abbinamento lo si otterrà farcendo una pagnotta rustica con prosciutto crudo associato a provolone piccante o a qualche sottile fetta di montasio. Un croissant salato farcito con una fetta di pancetta insieme al morbido brie ed una foglia di insalata è una squisitezza da provare, così come una baguette croccante, spalmata di crescenza e una fetta di culatello, è una bontà unica, da mangiare ringraziando chi ci concede, con il suo lavoro, di potere gustare questi meravigliosi prodotti. Un abbinamento adatto al picnic sulla spiaggia lo si realizza preparando una bella michetta che, tagliata a metà e spalmata di formaggio caprino, poi farcita con qualche fettina di bresaola ed una sottilissima fettina di limone, darà un senso di freschezza in bocca ed un vero piacere nel morderla, specie in una calda ed afosa giornata estiva. Per chi ama i gusti forti, e non vuole rinunciarvi neppure durante un picnic, un panino piccante e sostanzioso si può preparare utilizzando una rosetta tagliata a metà spalmata su una delle due parti con un leggero strato di senape piccante poi farcita con un paio di fette di salame ed una di pecorino: diventerà certamente una bomba ma super buona!

La piadina, facile da trovare pronta negli scaffali dei supermercati, non può mancare in una scampagnata perché, spalmata con un formaggio morbido come lo stracchino e la crescenza o con la ricotta, arricchita da una croccante e fresca foglia di insalata e farcita con una fetta di mortadella, arrotolata su se stessa, quando la si addenterà saprà creare una somma di piacevoli sapori in bocca. Vanno poi ricordati i famosissimi tramezzini veneziani. Sono realizzati con due fette di pane bianco in cassetta e si presentano piuttosto rigonfi perché il ripieno è composto da prosciutto crudo e cotto, mortadella, maionese, mozzarella, pomodori tagliati a fettine, carciofini sottolio tagliati ed altri ingredienti a piacere. Morbidissimi quando si addentano, si presentano come una sacca ripiena e gonfia e fanno parte dei tanti stuzzichini e delle ghiottonerie che i veneziani, nei loro bacari, amano mangiare accompagnati dalla famosa ombra. Rispondono perfettamente ai gusti degli abitanti di questa città perché, chi ha avuto modo di approfondire la storia della loro cucina, sa che le specialità tipiche del posto sono spesso fredde. Nei secoli passati, infatti, i veneziani avevano l’abitudine di invitare gli amici in barca e quanto preparato nelle proprie case e da condividere con loro non poteva evidentemente essere scaldato in mezzo al mare. Clara Scaglioni

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Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele e Relais & Châteaux: una partnership all’insegna dell’eccellenza e del bon vivre Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha recentemente annunciato la partnership con Relais & Châteaux. Una collaborazione che nasce dall’affinità tra due eccellenze del bon vivre impegnate nella tutela e nella promozione del valore dell’ospitalità e delle ricchezze del patrimonio agroalimentare e paesaggistico. Il prosciutto di San Daniele, riconosciuto come Dop dal 1996, è un prodotto totalmente naturale e sano realizzato esclusivamente con tre ingredienti: carni selezionate di suini italiani, sale marino e il microclima unico della cittadina di San Daniele del Friuli. Un rapporto a doppio filo lega questo prodotto tipico con il suo territorio di produzione: un ecosistema ambientale e climatico irripetibile nel cuore del Friuli Venezia Giulia, una regione ricca di tradizioni enogastronomiche, di storia, cultura, arte e bellezze paesaggistiche, destinazione turistica originale e completa. Il prosciutto di San Daniele verrà offerto nelle dimore Relais & Châteaux che aderiranno al progetto, situate in Italia (45 strutture) e nell’area del Mediterraneo (20 strutture). Un’opportunità esclusiva per collocare in un contesto di prestigio un prodotto dalle caratteristiche straordinarie come il San Daniele Dop. Chef stellati di fama internazionale e talenti emergenti del panorama nazionale, accomunati dalla ricerca dell’eccellenza e dall’impegno per la valorizzazione dei sapori e dei prodotti per il territorio, avranno quindi la possibilità di proporre un prodotto simbolo del made in Italy all’interno dei menu offerti nelle esclusive strutture. Servito in purezza o rielaborato in ricercati piatti gourmet, con il suo sapore avvolgente dovuto alle note aromatiche tipiche della stagionatura, il prosciutto di San Daniele conferisce ad ogni portata il gusto che lo contraddistingue. >> Link: www.prosciuttosandaniele.it — www.relaischateaux.com

Costituito nel 1961, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele detiene il Disciplinare di produzione, vigila sulla sua corretta applicazione, protegge, tutela e promuove il marchio “Prosciutto di San Daniele”. Sono 31 le aziende aderenti al Consorzio, localizzate solo ed esclusivamente a San Daniele del Friuli (UD). Fondata nel 1954, Relais & Châteaux è un’associazione di 540 hotel di charme e ristoranti d’eccezione presente in tutto il mondo. Gli associati sono uniti dal desiderio di tutelare, mantenere vive e valorizzare la ricchezza e la diversità delle cucine e delle tradizioni dell’ospitalità in tutto il mondo. Nel novembre del 2014 Relais & Châteaux ha presentato all’UNESCO un Manifesto che sancisce questa volontà e l’impegno a preservare il patrimonio locale e ambientale.

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Prosciuttificio IL CONTE S.r.l. Via Sant’Ambrogio, 4 – Fraz. Bazzano 43024 Neviano degli Arduini (PR)


INDAGINI

Rapporto Coop 2015, si vede la luce in fondo al tunnel Puntuale come sempre, Coop ci mostra la sua fotografia dell’anno appena concluso e una proiezione di quanto accadrà nel nostro Paese da qui ai prossimi mesi. L’attenzione è puntata sull’andamento economico, ma non solo. Si individuano abitudini, stili di vita, tendenze, per descrivere Italia ed Italiani nella loro evoluzione in termini economici, sociali e demografici. La crisi è forse alle spalle, ma nulla sarà più come prima di Sebastiano Corona

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l Rapporto Coop realizzato da l’UFFICIO STUDI ANCC-COOP (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) in collaborazione con REF RICERCHE e il supporto di NIELSEN, DEMOS, GFK, NOMISMA e R&S MEDIOBANCA, presenta uno spaccato di ciò che siamo e di ciò che stiamo diventando. Il 2016 sarà l’anno della speranza. La pensa così più di un terzo degli Italiani, mentre buona parte crede che questo sia il momento del cambiamento. La prudenza governa ancora gli stati d’animo ma, considerato lo scoraggiamento che ci ha caratterizzato nell’ultimo lustro, anche un timido ottimismo diventa significativo. Non mancano le aspettative negative: per il 14% del campione è e sarà, infatti, il timore il sentimento dominante del 2016. Timore però non significa crisi perché l’idea di ripresa finalmente schiaccia quella della rinuncia. Il bicchiere è quindi mezzo pieno e non mezzo vuoto e una seppur debole ripresa economica, guidata soprattutto dai consumi delle famiglie, inizia a fare capolino in Italia, grazie ad uno scenario internazionale ed

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un’economia globale favorevole che traina le esportazioni. Meno positiva l’attività produttiva interna dove gli investimenti, fatta eccezione per il settore auto, nel 2015 sono rimasti al palo e si mostrano ancora inferiori di trenta punti percentuali rispetto ai massimi del 2007. Continua a scendere la quota di famiglie senza disponibilità finanziarie dopo aver soddisfatto i bisogni essenziali: il 23% nell’ultimo trimestre rispetto al 27% del 2013. Ma per l’anno appena iniziato il 55% degli Italiani non prevede cambiamenti di rilievo nei propri consumi. Le intenzioni di spesa restano infatti negative per gli adulti (oltre i 35 anni d’età), per il Sud e per le famiglie in condizioni economiche più disagiate. Al contrario, si intravede già un netto incremento dei consumi da parte dei ceti più agiati. Tra i sogni nel cassetto vi è un sano edonismo a cui gli Italiani avevano dovuto rinunciare a causa della crisi. Così, quasi il 42% dichiara di volersi concedere viaggi e vacanze, il 32% tornerà a godersi spettacoli e svaghi e al terzo posto tra i desiderata

degli Italiani c’è il cibo, di cui il 20% ambisce ad incrementare la qualità. Seguono a pari merito la ristrutturazione della casa, la cura di sé, ma anche i pasti outdoor. Si osservano tuttavia molte “Italie” differenti con desideri ed esigenze diverse tra loro. Le intenzioni di spesa, il lieve miglioramento del mercato del lavoro e la favorevole congiuntura macro-economica inducono a pensare che i consumi delle famiglie cresceranno nel 2016 dell’1,4%. Un dato apprezzabile, se si considera che per individuare una variazione dello stesso ammontare occorre tornare indietro di 10 anni e per osservare un dato superiore si deve invece fare riferimento addirittura al 2000. A dispetto di tale incremento, dopo la crisi, i consumi pro capite nel 2016 saranno ancora ai livelli degli anni ‘90, comunque più bassi di oltre 1700 euro rispetto al 2007. Osservando le singole voci, cresceranno nel 2016 in misura più netta i consumi a cui gli Italiani avevano rinunciato con più difficoltà e quelli imposti dal digitale. Tra questi gli smartphone,

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Formaggio di fossa di Sogliano Dop, prodotto tradizionale degli Appennini dell’Emilia-Romagna e delle Marche (photo © www.formaggio.it). ma anche servizi e prodotti ricreativi (cinema, intrattenimento, ristoranti, vacanze), le spese per il benessere (palestre, Spa, medicinali) e quelle per il miglioramento dell’ambiente domestico (ristrutturazioni edilizie, elettrodomestici, arredamento). L’Expo non sembra essere passato invano e ha reso la tavola sempre più luogo di sperimentazione. Se per il 30% cresce l’interesse verso i prodotti del territorio, consumerà più bio un Italiano su quattro, il 21% è invece orientato verso la rinuncia alla carne e starà più attento alla propria dieta. Qualità e benessere convivranno però a lungo con l’attenzione al risparmio e al superfluo: il 40% degli Italiani nel 2016 eviterà gli sprechi e il 27% si dedicherà maggiormente all’home made (pizza, dolci, marmellate e altre preparazioni domestiche). Gli anni più recenti si sono caratterizzati per un’inversione di marcia delle quantità acquistate: le necessità di razionalizzazione imposte dalla recessione, la lotta agli sprechi, ma soprattutto la crescente attenzione al benessere ed alla salute hanno fatto

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tornare indietro le lancette dell’orologio della dieta degli Italiani di qualche decennio fa. Il fabbisogno calorico giornaliero è infatti passato da 3.150 chilocalorie degli anni ‘60 alle 3.460 degli anni ‘70, per poi crescere sino alle 3.600 negli anni Duemila e, infine, ripiegare su valori di 30 anni fa. Parallelamente, anche le quantità consumate sono cresciute: in media oggi in Italia in un anno si mangiano circa 1.020 chilogrammi di materie prime alimentari a testa, che equivalgono a 2,8 chili al giorno, oltre 300 grammi in più rispetto agli anni ‘60. Un volume più elevato anche rispetto ai consumi registrati in media nel continente europeo (2,6 kg), segno della rilevanza che tradizionalmente i cibo e l’alimentazione ricoprono nella cultura nazionale, non facendo mancare mai ampie porzioni di frutta e verdura che, ovviamente, incidono in maniera importante. Cosa c’è dentro il carrello In questo scenario l’incidenza dei prodotti di origine animale è salita dal 24% dei primi anni ‘60 al 40% di

oggi. Nell’ultimo cinquantennio sono quasi triplicati i consumi di carni in tutte le forme, passando da 85 a poco meno di 250 grammi giornalieri pro capite. Buona la performance del pesce, anche in questo caso con consumi raddoppiati che passano da 33 a 70 grammi al giorno per persona. Di pasta, pane ed altri prodotti a base di cereali gli Italiani ne mangiano più di 400 grammi al giorno. Una quantità inferiore rispetto agli anni ‘60 (oltre mezzo chilo), ma pur sempre ragguardevole nelle abitudini alimentari del Belpaese. Di frutta e verdura ne mangiamo complessivamente circa 800 grammi al giorno, consapevoli di tutte le proprietà nutrizionali e dei benefici per la salute. Come siamo cambiati a tavola e al supermercato Superata la crisi, l’alimentare è dunque in timido recupero. Prima della recessione, le famiglie italiane non avevano mai mostrato significative fluttuazioni negative della spesa alimentare. La crisi ha invece generato profondi mutamenti, soprattutto

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attraverso un cambiamento del mix dei prodotti acquistati, in molti casi scendendo lungo la scala di prezzo, in altri limitando il consumo di alcuni beni e, talvolta, anche portando alla rinuncia completa. Il risultato è un vero e proprio cambiamento culturale, una frattura generazionale e un cambio importante di consuetudini. I nuovi stili di vita, compresa la riduzione dei consumi, appaiono destinati a protrarsi nel corso degli anni e a diventare strutturali. Questo concorre a spiegare il ritardo con cui i consumi alimentari stanno rispondendo ai timidi segnali di ripresa del reddito che invece muovono più rapidamente altre categorie di consumo. È probabile che ancora per qualche tempo le famiglie destineranno le maggiori risorse a soddisfare bisogni diversi dall’alimentazione. Il recupero dei consumi alimentari appare quindi ancora lento: per molti anni resteremo al di sotto dei massimi pre-crisi. Le tendenze salutiste contribuiscono inoltre ad incrementare le rinunce. La crescita della spesa sarà dunque essenzialmente legata ad un upgrading qualitativo della domanda. Tuttavia, mentre per le regioni del Mezzogiorno si vedranno prevalere comportamenti orientati alla ricerca degli acquisti più convenienti, nel Nord i segnali di rafforzamento risulteranno evidenti. La combinazione di una serie di comportamenti diretti alla parsimonia ha generato, nell’ultimo triennio, oltre 5 miliardi di euro di risparmio delle famiglie e questi comportamenti volti alla rinuncia non cesseranno nel breve termine. Le scelte sono guidate, oltre che dal prezzo, anche dalle qualità intrinseche del prodotto, soprattutto in termini di salubrità. Il carrello diventa multietnico e fonde gusti e sapori di culture lontane. Resta frugale ma con un’attenzione al benessere, alla qualità e al servizio. Si protrae l’affermazione dei prodotti biologici, mentre si riducono gli acquisti di prodotti a elevato contenuto calorico, come grassi e zuccheri, o comunque non coerenti con stili di vita più salutistici, come gli alcolici. Il cambiamento del mix dei prodotti vede ancora una cresci-

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ta del cibo etnico, sia per il peso degli immigrati sulla popolazione, sia per la crescente commistione culturale. Tra le categorie presenti a scaffale, a marcare l’incremento più consistente di vendite sono i cibi e le bevande a base di soia, insieme agli integratori dietetici e ai prodotti senza glutine: l’exploit in atto è certamente da ricondurre all’espansione dell’offerta in questo ambito ed al diffuso interesse per il benessere, la forma fisica e la salute, oltre che alla crescente diffusione di intolleranze alimentari. Ai primi dieci posti della classifica si collocano anche alcune delle referenze che negli anni recenti sono state oggetto di pesanti rinunce, come gli snack a base di cioccolato: un segnale positivo che suggerisce un qualche ritorno all’acquisto di impulso. Tra i prodotti che invece marcano i risultati più negativi, vi sono articoli che si adattano solo parzialmente ad uno stile di vita imperniato sul cibo che dà salute: cole, nettari e bevande zuccherate. Cresce ancora, peraltro in misura più sostenuta rispetto al passato, il carrello del lusso (+4,8%): l’attenzione alla qualità degli ingredienti, delle materie prime e delle produzioni certificate determina un incremento degli acquisti per i prodotti ad elevato valore unitario quali champagne, funghi, tartufi ed alcune delle principali specialità ittiche. All’insegna del

progresso, anche il raggruppamento che include i piatti pronti (+6,8%), con ritmi di crescita che mancavano dal biennio 2010-2011. Una tendenza, questa, che vede uno spostamento verso prodotti a maggiore contenuto di servizio, che assicurano un risparmio di tempo e che meglio si coniugano con i ritmi dell’attività lavorativa odierna. Nelle proiezioni future gli Italiani saranno orientati verso stili di consumo lontani dalla tradizione e dalla tipicità territoriale, mentre particolarmente ampie appaiono le attese di crescita per prodotti legati a stili alimentari emergenti come salute, prodotti “vegan”, per intolleranze, gluten free, ecc... Il biologico, diventato ormai di massa, trova anche in questo aspetto un suo vantaggio. Oltre a garantire pratiche ambientali più sostenibili, un elevato livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali, dà spesso risposta anche ad altri bisogni del consumatore, come quelli legati ad intolleranze ed allergie, esigenze dietetiche e scelte vegane, appunto. Altra grande protagonista è la dieta mediterranea, perché rispetta la biodiversità e gli ecosistemi, è culturalmente accettabile, economicamente accessibile ed adeguata dal punto di vista nutrizionale.

Hamburger di grano saraceno e lenticchie. Gli Italiani sarebbero sempre più attenti alla propria alimentazione e la tavola, di conseguenza, è diventata luogo di sperimentazioni gastronomiche (photo © unagattaincucina.blogspot.it).

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Cresce il cibo della rinuncia In Italia una persona su dieci è vegetariana, mentre una su cinquanta è vegana. Siamo i primi in Europa in questa particolare classifica (dopo di noi la Germania dove l’8% della popolazione è vegetariano), seppur lontani da quanto si registra nei Paesi in cui il cibo ha una forte caratterizzazione religiosa. Le tendenze più recenti mostrano una progressiva estremizzazione delle pratiche alimentari legate al benessere ed al salutismo. All’esercito di vegetariani e vegani si sono infatti aggiunti nuovi fenomeni emergenti, quali fruttarismo, crudismo, reducetarismo (limitare il consumo di proteine animali ad un solo giorno la settimana), pescetariani e pollotariani (una variante della dieta vegetariana) ma anche regimi come l’alimentazione macrobiotica, il locavorismo (con il consumo esclusivo di cibi locali, prodotti e trasformati in un raggio di circa 200 chilometri dalla propria casa), la dieta paleolitica (che trae spunto dalle abitudini alimentari dei nostri antenati). La crisi nel supermercato A conferma dell’inversione di tendenza in atto, per la prima volta da circa un decennio cala la pressione promozionale. Si tratta di un arretramento marginale e quasi impercettibile, ma è comunque un segnale di discontinuità rispetto ad un trend che ha portato la pressione promozionale a passare dal 18% degli anni Duemila ad oltre il 30% nelle fasi più acute della recessione. Si è arrestata nel 2015 anche la crescita della quota della private label: l’incidenza sul fatturato complessivo della GDO è di poco superiore al 18%. Negli ultimi dieci anni il marchio commerciale ha guadagnato circa 6 punti percentuali di quota sul totale. Torna la voglia di outdoor Uno dei grandi trend degli anni ‘90 e dei primi anni Duemila è rappresentato dalla crescita dei pasti fuori casa. Una tendenza, questa (oltre il 7% sulla spesa delle famiglie), che nasce dall’aumento del reddito pro capite ma anche dai flussi turistici e dalla femminilizzazione del mercato del lavoro.

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Con lo scoppio della crisi la tendenza all’aumento dei pasti outdoor ha registrato una frenata, ma con l’affermarsi dei primi segnali di ripresa, i pasti fuori casa beneficeranno in misura maggiore del migliorato clima congiunturale (photo © www.mondoffc.it). Con lo scoppio della crisi la tendenza all’aumento di questa voce dei consumi ha registrato una frenata, pur senza mostrare una vera e propria caduta. Ma con l’affermarsi dei primi segnali di ripresa, i pasti fuori casa beneficeranno in misura maggiore del migliorato clima congiunturale. Lotta allo spreco di cibo Tra le forme di risparmio, l’attenzione agli sprechi è stata perseguita negli ultimi anni e sembra destinata a rinnovarsi pur in presenza di maggiori disponibilità economiche. Nel nostro Paese si stima che il suo valore ammonti a 8,1 miliardi di euro, circa mezzo punto percentuale di PIL. Tra prodotti non raccolti e lasciati sul campo, perdite nella fase di lavorazione industriale e nella distribuzione, si disperdono per strada quasi 4 milioni di tonnellate di cibo. Ogni famiglia getta nella pattumiera senza aver consumato circa 30 euro di cibo ogni mese, più di 350 euro in un anno, con valori molto diversi lungo lo stivale. Questo fenomeno è ormai considerato universalmente inaccettabile anche per i risvolti sociali, pertanto le abitudini volte ad evitare gli sprechi permarranno anche dopo la ripresa.

Made out Italy: crescono i prodotti di origine estera Il 2015 mostra buone performance per tutti i prodotti ad “origine certificata”: in volume si osserva un incremento pari allo 0,8% per i prodotti italiani e del 12,6% per quelli stranieri, anche se in termini di fatturato ad essere premiati sono proprio questi ultimi (+13,4%), complice una crescita del costo della spesa di quasi un punto percentuale. Gli incrementi più pronunciati si registrano per frutta e formaggi di origine straniera dove la differenza media di prezzo con quelli locali arriva fino al 5%. È evidente una polarizzazione del mercato, coerente con la specializzazione dell’offerta italiana in prodotti di qualità e di fascia di prezzo più elevato e con la speculare crescita dei prodotti di origine estera nelle fasce di prezzo inferiori. Sebastiano Corona Nota A pagina 59 tagliere di salumi. Dal Rapporto Coop 2015 si evince che l’incidenza dei prodotti di origine animale è salita dal 24% dei primi anni ‘60 al 40% di oggi. Nell’ultimo cinquantennio sono quasi triplicati i consumi di carni in tutte le forme, passando da 85 a poco meno di 250 grammi giornalieri pro capite (photo © www.vocidicitta.it).

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Dop e Igp, un patrimonio da 13,4 miliardi: focus sui salumi È stato presentato il tredicesimo Rapporto Ismea-Qualivita sulle produzioni italiane agroalimentari e vitivinicole Dop, Igp e Stg. Occasione ideale per celebrare la Giornata nazionale della qualità agroalimentare

I

prodotti a base di carne rappresentano la seconda categoria delle DOP e IGP, con un valore alla produzione di 1,8 miliardi di euro e un’incidenza di oltre il 28% sul totale del comparto food. La categoria registra trend positivi rispetto al 2013 a livello di valore (+2,2%), a fronte di una sostanziale stabilità come produzione certificata (–0,3%). L’export, che copre una quota del 17,0% della produzione, mostra ottimi risultati nel 2014: con 446 milioni di euro, le esportazioni crescono del +9,7%

rispetto al 2013 e rappresentano il 16,3% del totale delle esportazioni del comparto food. Prosciutto di Parma DOP, Mortadella Bologna IGP e Prosciutto di San Daniele DOP rappresentano il 76% della categoria in volume e circa il 70% per valore alla produzione. Fra i prodotti con livelli di produzione più bassi, si registrano incrementi relativi su base annua soprattutto per Salame Felino IGP (+40,0% in volume) e Prosciutto Toscano DOP (+13,2% in volume e valore). Le esportazioni mostrano

aumenti significativi per molte delle principali denominazioni, con incrementi particolarmente consistenti per Bresaola della Valtellina IGP (+85,0%) e Prosciutto Toscano DOP (+16,5%). La categoria dei “prodotti a base di carne” rappresenta il 14% del comparto food come numero di prodotti certificati, ma raddoppia la sua incidenza se si considera il valore alla produzione in cui copre un 28% del totale (e il 32,5% per il valore al consumo). I primi dieci prodotti rappresentano la quasi totalità della

Finocchiona Igp. Il salume tradizionale toscano gode di una reputazione ormai consolidata e dimostrata dai numerosi documenti che riportano riferimenti a vario titolo del prodotto fin dal Quattrocento (photo © blog.toscana.com).

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Tabella 1 — Produzione certificata dei prodotti di carne Dop e Igp (tonnellate) Denominazione

2013

2014

Peso % 2014

Var. 14/13

Prosciutto di Parma Dop

88.148

88.007

44,5%

–0,2%

Mortadella Bologna Igp

38.100

36.900

18,7%

–3,1%

Prosciutto di San Daniele Dop

25.474

25.313

12,8%

-0,6%

Bresaola della Valtellina Igp

12.372

12.143

6,1%

–1,8%

Speck Alto Adige Igp

10.678

11.218

5,7%

5,1%

Prosciutto Toscano Dop

3.180

3.599

1,8%

13,2%

Salame Felino Igp

2.410

3.375

1,7%

40,0%

Prosciutto di Norcia Igp

2.232

2.350

1,2%

5,3%

Salamini italiani alla cacciatora Igp

2.337

2.209

1,1%

–5,5%

Cotechino Modena Igp

2.185

2.036

1,0%

–6,9%

11.061

10.398

5,3%

–6,0%

198.177

197.547

100%

–0,3%

Altri prodotti Totale

categoria in termini di volume e di valore (circa il 95%). L’export assorbe il 17% della quantità certificata complessiva e mostra ottimi risultati, con un valore di circa 450 milioni di euro (+9,7% sul 2013); il mercato che ha come destinazione i Paesi Extra UE passa dal 32% del 2013 al 34% nel 2014.

La top five: i cinque salumi più esportati all’estero per volumi Al primo posto troviamo il Prosciutto di Parma DOP, con 16.317 tonnellate, seguito dalla Mortadella Bologna IGP (5.166 t), il Prosciutto di San Daniele DOP (3.544 t), lo Speck Alto Adige IGP (3.477 t) e la Bresaola della Valtellina IGP (2.429 t).

Le prime 10 province per impatto economico dei salumi Dop-Igp Al primo posto c’è Parma, con 9 prodotti e 740 milioni di euro di valore generato. Segue Udine con 3 prodotti e 284,5 milioni e al terzo posto Sondrio con 4 prodotti e 253, 8 milioni. Bolzano, con 1 prodotto e 95,3 milioni, è al quarto posto, seguito da Pavia con

Mortadella Bologna Igp. L’Italia è leader mondiale per numero di certificazioni, con 805 prodotti iscritti nel registro UE, di cui 282 dell’area food e 523 del comparto wine (photo © Ivan Riccardi, www.mortadellabologna.com).

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Lo Speck Alto Adige Igp è tra i primi cinque salumi italiani esportati all’estero. Complessivamente il valore delle esportazioni di food & wine è di 7,1 miliardi di euro (photo © Export Organisation Südtirol/Frieder Blickle). 8 prodotti e 24,3 milioni. Vengono poi Piacenza, con 8 prodotti e 24,3 milioni; Perugia, con 2 prodotti e 20 milioni; Torino, con 5 prodotti e 19,9 milioni; Bergamo, con 5 prodotti e 18,7 milioni e al decimo posto Cuneo, con 5 prodotti e 15,9 milioni. Borriello (Ismea): dopo Expo serve una politica ancora più incisiva per tutelare e promuovere la qualità del food &wine made in Italy “L’Esposizione Universale di Milano si è conclusa da alcuni mesi e il suo successo si misura su almeno due fronti: l’aver affrontato un tema — quello della sfida alimentare — che richiederà nei prossimi anni uno

sforzo condiviso da parte dell’intera comunità internazionale, e l’aver rappresentato un’importante vetrina per il modello agroalimentare italiano, affermando l’Italian way of fooding come patrimonio unico al mondo per ricchezza, varietà e valori. Sul primo tema, il contributo di Expo per la definizione di una global food policy è stato determinante, poiché ha posto all’attenzione della collettività,valori, diritti e responsabilità oggigiorno irrinunciabili, come il diritto al cibo, la lotta agli sprechi alimentari, la tutela del suolo agricolo, la salvaguardia della biodiversità e l’esigenza di un’efficace educazione alimentare e ambientale.

Tabella 2 — I numeri dei salumi Dop e Igp Valore alla produzione

1,8 miliardi di euro

Valore al consumo

4,3 miliardi di euro

Valore all’export

446 milioni di euro

Quota export

17%

Produzione certificata

197.547 tonnellate

Valore all’export

446 milioni di euro

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Sulla valorizzazione del made in Italy, l’evento ha riservato un ricchissimo calendario di iniziative che hanno rappresentato un momento importante di visibilità per il nostro Paese e un’occasione per promuovere le nostre produzioni d’eccellenza. L’Assemblea Mondiale delle Indicazioni Geografiche — organizzata dal MIPAAF — che si è svolta nel corso del semestre espositivo, ha attirato l’attenzione di stakeholder e opinion leader di tutti i paesi sulla necessità di rafforzare la politica europea per la valorizzazione e la difesa delle Indicazioni Geografiche. Se non si vogliono disperdere le energie, le idee e gl’impegni assunti, l’Esposizione Universale non va considerata come un punto d’arrivo ma, piuttosto, un fondamentale punto di partenza per una più incisiva politica di promozione, tutela e valorizzazione a livello internazionale delle nostre tradizioni, della tipicità e della qualità del made in Italy. È in questo contesto di grande fermento e ritrovata fiducia del settore che si rinnova la proficua collaborazione con la Fondazione Qualivita con il XIII Rapporto sulle DOP e IGP

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“Nel 2015 il patrimonio italiano si è arricchito di due formaggi Dop, di due prodotti Igp nel segmento panetteria, di tre prodotti ortofrutticoli e di due Igp a base di carne, a riprova del fatto che produttori e territori continuano a investire nel sistema di riconoscimento e certificazione comunitario”

Il Salame di Varzi Dop, prodotto nell’area della comunità montana dell’Oltrepò pavese, ha la peculiarità di essere realizzato con tutte le parti del maiale, anche quelle “nobili” che altrove diventano prosciutti, coppe o quant’altro. (photo © ricettebarbare.blogspot.it). che, per la prima volta, prova a fare il punto complessivo dello stato delle Indicazioni Geografiche, ampliando il suo raggio d’azione anche al mondo del vino. L’incremento del numero delle richieste di protezione in Italia, in Europa e anche fuori dai confini comunitari, rappresenta un segnale importante dell’interesse verso un modello basato sulla qualità alimentare e sulla sua certificazione. Un modello in cui l’Italia eccelle con i suoi 569 prodotti DOP e le sue 230

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IGP, mantenendo saldo il suo primato in Europa e nel mondo. Nel 2015, nel nostro Paese ci sono stati ulteriori nove riconoscimenti, a riprova del fatto che produttori e territori continuano a credere nella qualità e a investire nel sistema di riconoscimento e certificazione comunitario. Il patrimonio italiano si è infatti arricchito di due formaggi DOP (il Pecorino delle Balze Volterrane e il Silter), di due prodotti IGP nel segmento della “panetteria” (la Focaccia di

Recco col formaggio e il Pampepato di Ferrara), accanto a tre prodotti ortofrutticoli (Patata Rossa di Colfiorito IGP, Patata novella di Galatina DOP e Cipolla bianca di Margherita IGP) e a due IGP “a base di carne” (il Salame Piemonte e la Finocchiona). I numeri complessivi danno evidenza del definitivo sdoganamento, ove ce ne fosse stato bisogno, del settore delle Indicazioni Geografiche dal mondo delle “nicchie”. L’Italian food and wine delle Indicazioni Ge-

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ografiche sfiora un valore all’origine di 13 miliardi e mezzo, incidendo per il 10% sul fatturato dell’intera industria alimentare e delle bevande nazionale. Ancora più significativo il peso sul mercato estero, dove le IG alimentari e vinicole, con 7,1 miliardi di euro, rappresentano una quota del 21% dell’export italiano agroalimentare complessivo (2014, anno di riferimento).

Anche dal punto di vista territoriale, il dato evidenzia un coinvolgimento di estrema rilevanza, se si stima che la SAU (Superficie Agraria Utile) coinvolta direttamente o indirettamente nella produzione di Indicazioni Geografiche è del 56% rispetto al totale. Se poi si focalizza l’attenzione sulle dinamiche in corso, vediamo che il segmento del food ha raggiunto un valore complessivo di 6,4 miliardi di

Per i formaggi Dop e Igp cresce l’export I formaggi rappresentano la categoria principale delle Dop e Igp, con un valore alla produzione di 3,7 miliardi di euro, per un’incidenza di oltre il 57% sul totale del comparto food. La categoria registra trend positivi rispetto al 2013 sia a livello di valore (+1,1%) sia come quantità prodotta (+4,2%). L’export, che copre una quota del 31,9% della produzione, mostra risultati eccellenti nel 2014: con 1,5 miliardi di euro, cresce del +11,4% rispetto al 2013 e rappresenta il 55% del totale delle esportazioni del comparto food. Le principali denominazioni — Grana Padano Dop, Parmigiano Reggiano Dop, Gorgonzola Dop — rappresentano da sole oltre il 74% della produzione della categoria e fanno da traino con incrementi che superano il +6% in volume. In termini di valore le crescite relative più consistenti su base annua si registrano per Gorgonzola Dop (+15,0%), Pecorino Romano Dop (+7,0%) e Taleggio Dop (+7,0%). Le esportazioni hanno aumenti rilevanti per la maggior parte delle principali denominazioni, con incrementi percentuali quasi sempre in doppia cifra. La categoria dei formaggi rappresenta soltanto il 18% del comparto food come numero di prodotti certificati, ma ha un ruolo economico primario nel mondo delle Dop e Igp italiane, coprendo il 57% del valore alla produzione e il 52% di quello al consumo. I primi dieci prodotti rappresentano la quasi totalità della categoria in termini di volume e di valore (96%). L’export assorbe il 31,9% della quantità certificata complessiva e mostra ottimi risultati, con un valore che supera il miliardo e mezzo di euro (+11,4% sul 2013); il mercato che ha come destinazione i Paesi UE passa dal 63% del 2013 al 70% nel 2014 (photo © martinaway.com).

70

euro alla produzione, con una crescita del +2,5% rispetto all’anno precedente, per raggiungere i 13,2 miliardi al consumo, con un incremento di oltre 4 punti percentuali su base annua. Il valore dell’export, che copre una quota prossima al 40% del valore della produzione, ha mostrato risultati eccellenti: con 2,8 miliardi di euro, si è di fronte a una crescita a doppia cifra (+13%) rispetto all’anno precedente. Molto positiva la performance anche nel comparto dei vini a denominazione, che ha generato un fatturato all’origine di oltre 7 miliardi di euro, con un balzo in avanti del +5% sul 2013, in un momento di sprint anche oltre frontiera: +4% il giro d’affari generato all’estero (4,3 miliari di euro). Proprio sul fronte del mercato estero va ricordata un’importante novità che da qui ai prossimi anni potrebbe avere rilevanti ricadute positive sulle performance esportative dell’agroalimentare nazionale. Si hanno grandi attese dal piano straordinario — il più grande mai fatto in termini di risorse — sul made in Italy varato dal Governo che, tra le numerose azioni messe in campo, ha già portato alla creazione di un segno unico distintivo del nostro food&beverage. Con il claim “The Extraordinary Italian taste” il segno distintivo persegue l’obiettivo di rendere immediatamente riconoscibili presso i punti vendita esteri i veri prodotti italiani per contrastare il fenomeno dell’Italian sounding che penalizza soprattutto le eccellenze quali i prodotti a marchio DOP e IGP. Il presidio di ISMEA sul mondo delle IG, che ha avuto un particolare impulso negli ultimi anni, è destinato a un ulteriore consolidamento. Anche per il 2016 il MIPAAF ha affidato ad ISMEA alcuni progetti specifici, che si affiancano alla stretta collaborazione portata avanti con AICIG (Associazione Italiana dei Consorzi delle Indicazioni Geografiche) e alle attività sui prodotti a IG che saranno realizzate nell’ambito della Rete Rurale Nazionale”. Raffaele Borriello Direttore generale ISMEA (Rapporto Ismea-Qualivita 2015)

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PROTETT

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E D'ORIG I

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Tradizione di grande Nobiltà

Un grande aceto che viene dalle tradizioni della nobiltà modenese

L’aceto balsamico ha avuto origine dall’antichissima usanza dei Romani di cuocere il mosto dell’uva, grazie alle caratteristiche delle uve del territorio modenese. Oltre alla produzione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP, ottimo per l’uso quotidiano, nelle acetaie delle famiglie più ricche e nobili si è nei secoli sviluppato un processo lentissimo e laborioso che produce un aceto senza eguali, raro e prezioso. Arrivato ai nostri giorni è chiamato “Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP (Denominazione di Origine Protetta); in passato veniva citato nei lasciti testamentari ed era dote prestigiosa per le giovani spose di aristocratiche origini. Era gelosamente conservato nei sottotetto e amorevolmente curato in famiglia, di generazione in generazione. Era considerato una sorta di Panacea dai principi medicamentosi in grado di curare tutti i mali e, nell’occasione, era considerato un regalo degno di “Re e Principi”.

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aliquota annuale di prodotto finito. Si dovranno poi attendere almeno 25 anni per ottenere la qualità ”Extra Vecchio”. Solo dopo aver superato l’esame degli assaggiatori esperti, il prodotto viene imbottigliato presso il centro di imbottigliamento autorizzato, naturalmente nella famosa bottiglietta da 100 ml detta “di Giugiaro”, il famoso designer che la realizzò nel 1987 perchè fosse il simbolo di questo aceto unico nel mondo.

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MERCATI

Bresaola della Valtellina Igp: preaffettato in crescita e lieve aumento della produzione

I

l Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina ha ufficializzato lo scorso febbraio i dati di produzione del 2015. La produzione di Bresaola della Valtellina Igp, riferita alle 15 aziende consorziate nell’anno 2015, ammonta a oltre 12.272 tonnellate di prodotto certificato, per un valore alla produzione di 215 milioni di euro. Rispetto al 2014 la produzione registra una lieve aumento, 1,2%, e rappresenta ben il 70% dell’intera produzione di bresaola. Ottimi i risultati del preaffettato in vaschetta che, con una produzione che rappresenta il 40% del totale certificato (circa 4.925

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tonnellate), registra una continua e decisa progressione anche in termini assoluti (+3,53% rispetto al 2014). Il prodotto preaffettato rappresenta senza dubbio una categoria dinamica con un andamento di crescita eccellente sia in Italia sia all’estero. I motivi sono semplici: i salumi preaffettati confezionati in atmosfera protettiva garantiscono un prodotto che si conserva a lungo senza perdere le proprie caratteristiche organolettiche e consentono al consumatore di avere sempre a portata di mano un piatto pronto, gustoso e salutare «La Bresaola della Valtellina mantiene trend

interessanti di consumo pur essendo un prodotto di fascia alta di prezzo. La sua forza sta nelle sue caratteristiche dietetiche e nutrizionali, che ben si adattano alle moderne abitudini di consumo e agli stili della vita di oggi» ha affermato MARIO DELLA PORTA, presidente del Consorzio di Tutela Bresaola della Valtellina. Anche sul fronte estero i dati sono positivi. Il 2015 ha segnato importanti traguardi, in primis l’apertura del mercato canadese e un deciso passo avanti nelle trattative per l’export di bresaola in Giappone, tanto che nel 2016 si dovrebbe partire con i primi

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invii di prodotto. «L’export di Bresaola della Valtellina Igp rappresenta oggi il 6,5% del totale, una percentuale quindi ancora contenuta ma che sicuramente tenderà a crescere. L’impegno dei produttori è infatti orientato nella direzione di esplorare e attivare nuovi sbocchi, soprattutto in ambito extra UE» ha concluso il presidente. Se in ambito europeo i partner commerciali principali sono Francia, Germania, UK, Svezia, Olanda, Belgio e Spagna, al di fuori dell’Unione Europea il prodotto è presente in Svizzera, Canada, Federazione russa, fino agli Emirati Arabi, al Libano e alle Antille francesi.

il 23 maggio 1998 si è costituito il Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina, riconosciuto dal MiPAAF con decreto 27 settembre 2004, che garantisce la provenienza di questo raffinato prodotto, ne promuove l’immagine e lo salvaguardia da imitazioni e contraffazioni. >> Link: www.bresaolavaltellina.it

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Consorzio di tutela Bresaola della Valtellina La vera Bresaola della Valtellina è garantita dal marchio comunitario Igp – Indicazione Geografica Protetta, utilizzato esclusivamente dai produttori certificati della Provincia di Sondrio, che si attengono al rigoroso Disciplinare di produzione. Per dare operatività ed efficacia a questa importante attestazione di tipicità,

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Speck Alto Adige Igp: nel 2015 riconfermato l’andamento positivo

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abato 20 febbraio, nel corso dell’assemblea annuale del Consorzio Tutela Speck Alto Adige, sono stati resi noti i dati di produzione 2015. L’anno appena concluso si è confermato positivo. Fiore all’occhiello del Consorzio presidiato da ANDREAS MOSER, la produzione a marchio Speck Alto Adige IGP, che ha registrato una crescita del +2,3% sul 2014 e rappresenta ormai il 36% della produzione complessiva (31.800 tonnellate nel 2015 ossia +0,4% sul 2014). Con il 66% delle vendite globali, il mercato interno si riconferma core market assoluto del Consorzio, che trova nell’Alto Adige e nelle regioni settentrionali i principali sbocchi commerciali

italiani. Sul territorio nazionale, la produzione viene commercializzata al 63% tramite la Grande Distribuzione Organizzata (canale GDO). Mercato italiano ma non solo Il marchio Speck Alto Adige IGP è uno dei prodotti di salumeria italiana più esportati. L’export rappresenta oggi il 34% delle vendite e, con una quota pari al 28%, la Germania si riconferma il primo mercato di vendita all’estero, seguita da Stati Uniti (2,5%), Austria (1,5%), Francia (1%) e da nuovi mercati come Svizzera, Belgio, Slovenia, Svezia, Giappone e altre 20 nazioni. Nel 2015, a sedurre prevalentemente i consumatori sono state le confezioni da scaffale, il cui

format è perfettamente in linea con le esigenze di comodità e di praticità. Le vendite sono cresciute del +6% sul 2014 con una produzione di 31,7 milioni di confezioni di speck preaffettato. Molto richieste anche le confezioni grandi ossia quelle dal peso superiore ai 110 grammi. Sulla scia del trend di mercato affermatosi negli ultimi anni, nel 2015, con circa 21,4 milioni di unità prodotte, la confezione da 100 grammi si riconferma quella più venduta. Il numero di confezioni di tranci sottovuoto da un quarto è raddoppiato rispetto al 2014 per raggiungere i 6,6 milioni di pezzi prodotti per il reparto libero servizio. >> Link: www.speck.it

L’analisi del 2015 conferma il trend di crescita per lo Speck Alto Adige Igp (photo © Frieder Blickle).

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Prosciutto di Modena Dop, obiettivo Stati Uniti Un simbolo del made in Italy che si produce in una zona molto suggestiva, che comprende la fascia collinare e le valli attorno al bacino oro-idrografico del fiume Panaro, inclusi i territori delle province di Bologna e Reggio Emilia. Un Consorzio che nel 2015 ha marchiato 82.000 prosciutti per un giro d’affari di circa 6 milioni di euro. Sul fronte del preaffettato, invece, sono state circa 800.000 le vaschette prodotte. «I numeri del 2015 sono in linea con quelli dell’anno precedente. Sono dati che soffrono di un mercato interno che ancora non decolla e purtroppo con la situazione attuale dei consumi non prevediamo a breve sensibili aumenti. L’ambito nel quale invece crediamo ci possano essere maggiori possibilità è quello del preaffettato, soluzione molto pratica che i consumatori hanno dimostrato di apprezzare moltissimo» ha affermato Davide Nini, presidente del Consorzio del Prosciutto di Modena. «Siamo invece soddisfatti del risultato del Prosciutto di Modena sui mercati esteri: molto apprezzato in Germania, Inghilterra e Francia. Paese quest’ultimo, dove abbiamo introdotto il prodotto preaffettato in un’importante catena della Grande Distribuzione Organizzata. Ma il nostro Modena Dop piace anche nei Paesi Extra UE, in particolare in Canada, Brasile e Svizzera. Il prossimo e vicino obiettivo sono gli USA». Il Prosciutto di Modena Dop è un prodotto di elevata e riconosciuta qualità. «Per noi è fondamentale garantire l’eccellenza, sempre» ha sottolineato Nini. «Motivo per cui la ricetta del nostro prosciutto è molto semplice, carne suina e sale. Inoltre, nel nostro Disciplinare la stagionatura minima è di 14 mesi». >> Link: www.consorzioprosciuttomodena.it

Salame di Varzi: produzione in crescita e tante iniziative dal Consorzio Buone notizie in casa del Salame di Varzi Dop. Il Consorzio di Tutela, che ha appena rinnovato il sito web www.consorziovarzi.it, ha ufficializzato i numeri del 2015, riportando una crescita della produzione del 4,3%, per un totale di circa 420.000 chili. Il numero dei Salami Dop certificati è di 450.139. Per quanto riguarda invece il salame preaffettato, sono circa 8.000 i salami affettati, per un totale di 66.021 confezioni. Un prodotto che piace e che viene apprezzato dai consumatori grazie ad una produzione che segue le stesse ricette e procedimenti di un tempo. A seconda del periodo e del luogo di stagionatura il prodotto presenta profumi speziati più o meno marcati, lievi sentori di muffa e fragranza di crosta di pane, aromi erbacei di legno verde e di mimosa. Il sapore è dolce e delicato. I consumatori per ora sono concentrati nel Nord Italia. «Il Salame di Varzi è molto conosciuto in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna e Veneto. Stiamo cercando di aumentare la sua diffusione nel Centro e Sud Italia perché siamo sicuri che una volta assaggiato, non lo si dimentica più» ha affermato Fabio Bergonzi, presidente del Consorzio Salame di Varzi. Intanto il Consorzio si sta muovendo in varie direzioni per aumentare la visibilità del prodotto. Sono tante le iniziative che abbiamo in cantiere. Abbiamo stretto un accordo con la Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepo Pavese per una serie di attività che ci vedranno agire in sinergia. Vogliamo poi incrementare le attività di comunicazione che riteniamo indispensabili per approcciare nuovi target di consumatori» ha concluso il presidente. >> Link: www.consorziovarzi.it — www.viniesaporioltrepo.it

Consorzi di tutela: rinnovo delle cariche sociali Si sono tenute giovedì 10 marzo, presso la sede sociale del Consorzio Salumi Tipici Piacentini e Consorzio di tutela Salumi Dop Piacentini, le assemblee ordinarie dei due Consorzi per l’approvazione del bilancio consuntivo 2015 e il rinnovo delle cariche sociali. Alla guida dei due consorzi sono stati riconfermati i presidenti Roberto Belli e Antonio Grossetti. Dall’Emilia-Romagna al Piemonte: per quanto riguarda, invece, la presidenza del Consorzio di Tutela del prosciutto Crudo di Cuneo, anche in questo caso è stata riconfermata Chiara Astesana.

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NUTRIZIONE

Glutammato, tra paura e leggende metropolitane di Giovanni Ballarini

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osa sarebbe la nostra cucina senza un formaggio stagionato come il parmigiano o la cucina cinese senza le alghe? Due cucine profondamente diverse, la nostra e quella cinese, unite però da un comun denominatore, il glutammato di sodio, detto anche quinto sapore, accanto quindi a salato, dolce, amaro e acido. Una molecola, questo glutammato, che suscita curiosità, piacere, ma anche timore e paura, tanto da essere divenuto protagonista di alcune leggende metropolitane.

Glutammato in natura e in cucina Nel 1908, il dott. KIKUNAE IKEDA dell’Università di Tokyo ricavò da un’alga marina (kombu) il glutammato di sodio, dal gusto particolare e piacevole, tanto da essere detta in giapponese umami (o umai), che significa appunto saporito, delizioso. L’umami venne riconosciuto in Occidente come il quinto sapore solo agli inizi del ventunesimo secolo, quando il ricercatore BERND LINDEMANN identificò una proteina con funzione di recettore per il glutammato.

Non bisogna in ogni caso confondere il glutammato di sodio con l’acido glutammico, di cui è un sale. Per esempio, il pomodoro è un vegetale molto ricco di acido glutammico (anche se le quantità sono modeste in assoluto), ma contiene solo 5 milligrammi di sodio per 100 grammi. Condensando il pomodoro e trasformandolo in salse, anche con l’aggiunta di sale, si aumenta la quantità di glutammato, e da qui il loro successo nella cucina italiana e mondiale, anche se non si raggiungono i valori della salsa di soia.

Oltre ad essere presente naturalmente in alcuni alimenti, il glutammato oggi viene aggiunto come esaltatore di sapidità in molti prodotti industriali di uso comune come salsa di soia, dado per brodo, liofilizzati, zuppe pronte, ecc…

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Diffusione del glutammato Il commercio del glutammato ebbe inizio nel 1909 con l’idrolisi di proteine naturali quali glutine di frumento e fiocchi di soia. Oggi il glutammato monosodico si ottiene dalla fermentazione batterica, in modo speciale da batteri del genere Corynebacterium glutamicus fatti crescere in un liquido contenente zuccheri, melassa o amido. L’acido glutammico di fermentazione viene separato tramite filtrazione, purificato e convertito in glutammato monosodico. Dopo purificazione, cristallizzazione ed essiccazione si ottiene una polvere bianca da usare come esaltatore o miglioratore di aroma. La produzione mondiale di glutammato raggiunge attualmente circa due milioni di tonnellate, è praticata soprattutto in Cina (50%), Corea, Thailandia, Vietnam, ed è minima in Giappone e negli USA. Il glutammato di sodio è uno dei più diffusi esaltatori di sapidità, usati dall’industria alimentare nel mondo. Alimenti ricchi di glutammato Gli alimenti in cui si fa uso di glutammato di sodio sono i dadi da brodo, la carne e le verdure in scatola, i salumi, i prodotti congelati o liofilizzati e alcuni piatti pronti. Spesso questo additivo è indicato con le sigle che vanno da E620 fino a E625. Il formaggio Parmigiano Reggiano e gli altri formaggi grana (Padano, Trentingrana), insieme ai dadi vegetali e ai piselli in scatola, sono gli alimenti più ricchi in assoluto di glutammato monosodico, il quale ha la stessa soglia di percezione del sale da cucina per il gusto salato, ma contiene meno di un terzo del sodio. Fa bene o fa male? Internet e i giornali sono pieni di notizie sul glutammato; molte pagine sono chiaramente terroristiche, specialmente nei siti di “informazione alternativa”, e abbonda la cattiva informazione, quasi sempre priva di qualsiasi riferimento scientifico. Questi articoli imputano al consumo di glutammato le peggiori atrocità: morbo di Alzheimer, danni al cervello dei bambini, cecità e gli immancabili tumori, paventando spesso un com-

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“L’umami — recita la definizione ufficiale dell’Umami Information Center — è un gusto sapido piacevole che viene dal glutammato e da diversi ribonucleotidi, tra cui inosinato e guanilato, che si trovano naturalmente in carne, pesce, verdura e prodotti lattiero-caseari”. In realtà, la sensibilità della lingua all’umami è nota già dal 1908, quando Kikunae Ikeda, docente di chimica all’Università Imperiale di Tokyo, isolò il gusto del glutammato monosodico lavorando al brodo di alghe. plotto mondiale. Mai si ricorda che un etto di ottimo parmigiano, ad esempio, contiene 1.200 mg di glutammato libero e che il corpo umano produce e metabolizza il glutammato. Il glutammato di sodio contenuto negli alimenti, quando arriva nell’ambiente acido dello stomaco, si trasforma in acido glutammico, un amminoacido che viene metabolizzato come gli altri amminoacidi derivanti dalle proteine alimentari. Dall’ingestione di 80 g di proteine, il nostro organismo ricava mediamente 15 g di acido glutammico, per cui è difficile immaginare che un grammo in più aggiunto possa causare maggiori problemi, ad esempio, di una gustosa bistecca, di un buon piatto di formaggi o di un’abbondante porzione di lasagne alla bolognese. Se il glutammato è un nutriente che oltretutto migliora l’appetibilità dei cibi, non manca chi lo teme e inevitabilmente evoca la sindrome del ristorante cinese, che annovera mal di testa, debolezza, asma, palpitazioni, rossore in viso e altri sintomi che alcune persone provano dopo aver mangiato in un ristorante cinese. Tutto iniziò nel 1968 da una lettera che il dottor ROBERT KWOK

scrisse alla rivista di medicina THE NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE: “Vivo da vari anni in questo paese e manifesto una strana sindrome ogniqualvolta mangio in un ristorante cinese, specialmente quelli che servono cibo della Cina del nord”, e continuava confessando “la causa è oscura”. Kwok Proseguiva elencando alcune ipotetiche possibili cause: un ingrediente della salsa di soia, il vino usato in cottura, il glutammato di sodio, l’alto livello di cloruro di sodio utilizzato nella cucina cinese e, da buon scienziato, terminava la lettera suggerendo di indagare sull’origine dei sintomi, senza propendere per nessuna causa, quindi senza incolpare il glutammato. La lettera attirò l’attenzione della stampa e, da quel momento, sui giornali e nell’immaginario popolare occidentale il glutammato venne accusato di essere il colpevole della cosiddetta sindrome da ristorante cinese. Essendo un ingrediente quasi sconosciuto al pubblico occidentale dell’epoca, a differenza di sale o salsa di soia, era effettivamente il bersaglio ideale, perché ciò che non si conosce e viene da lontano fa sempre un po’ paura.

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con frequenza nella cucina asiatica. I sintomi di tale sindrome sono: senso di bruciore alla nuca, difficoltà respiratorie, nausea e sudorazione. Tuttavia, un test clinico in doppio cieco (esperimento nel quale né lo sperimentatore né il soggetto sanno quale prodotto è stato somministrato al soggetto) effettuato su persone che dichiaravano di soffrire della ‘sindrome’ non confermò che il glutammato monosodico fosse l’agente responsabile. Altri studi hanno dimostrato che le reazioni di tipo allergico che insorgono dopo aver consumato pasti di provenienza asiatica sono solitamente attribuibili a ingredienti come i gamberetti, le arachidi, le spezie e le erbe aromatiche”. In ultima analisi, chi sta male dopo aver mangiato al ristorante cinese deve forse dar la colpa al troppo sale, alla cattiva qualità degli ingredienti, ai troppi fritti, ai grassi o ad altro, ma non al glutammato.

Pasta primavera con piselli, asparagi e Parmigiano Reggiano (photo © www. parmigianoreggiano.com). Quando si cominciarono a fare ricerche serie sull’argomento arrivarono le prime smentite scientifiche, anche dall’italiano SILVIO GARATTINI (1970), che dimostrarono l’assenza di correlazioni tra il mal di testa lamentato e il glutammato. Col tempo le ricerche sono state validate dai pareri ufficiali delle istituzioni mondiali (FDA americana, EFSA europea, ecc…) che si occupano della sicurezza alimentare. Proprio l’EFSA afferma quanto segue: “il glutammato monosodico (MSG) è un additivo alimentare che gode di una cattiva, benché infondata, reputazione. Esso può essere utilizzato per intensificare

il sapore degli alimenti senza rischi per la salute e può perfino abbassare il livello di sodio contenuto negli stessi. Nonostante vi sia un ristretto numero di persone che dichiarino di essere sensibili al glutammato monosodico, studi scientifici hanno messo in evidenza che non vi sarebbe alcun legame diretto tra tale sostanza e reazioni allergiche o intolleranze. In passato, il glutammato monosodico era ritenuto il responsabile della ‘sindrome da ristorante cinese’, un disturbo così definito poiché il primo caso fu riscontrato a seguito del consumo di un pasto cinese e perché il glutammato monosodico è usato

“L’aggiunta di alimenti o condimenti naturalmente ricchi di glutammato alle ricette le rende più saporite e appetibili e può aiutare a ridurre il consumo quotidiano di sale, noto nemico delle arterie. Il glutammato monosodico contiene, infatti, circa un terzo del sodio presente nel sale da cucina”

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Non è un inganno La più sottile accusa che si fa al glutammato è che sia un inganno. Il glutammato è impiegato come esaltatore di sapidità e aumenta, oltre al pregio, anche l’appetibilità di molti cibi, soprattutto quelli di basso valore gastronomico. È per tradizione antica e consolidata che alimenti ricchi di acido glutammico sono aggiunti ad alimenti di limitato o scarso sapore, come le paste alimentari e le verdure. Da qui il formaggio sugli spinaci o le parmigiane di melanzane e finocchi, ma soprattutto il pomodoro e il formaggio sulla pasta o il riso bollito, che dà risultati ben diversi dal condimento con solo olio! In modo analogo, anche una carne bianca come il petto di tacchino viene valorizzata da una cottura con formaggio e salse contenenti glutammato. Quindi il glutammato non è un inganno, come non lo sono tanti altri ingredienti e additivi che portano sapore agli alimenti o lo esaltano, dal sale alle spezie, esotiche e nostrane, iniziando dal peperoncino! Aumentare l’appetibilità di un cibo è fonte di benessere psicofisico e non significa incrementare il rischio di obesità, che ha ben altre cause. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

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LOCALI DI GUSTO

Casa Portanova, armonia di sapori e bellezza Giuseppe Portanova, figlio d’arte, insieme alla moglie Teresa e alla sorella Carmela, affiancato da una squadra di giovani collaboratori, ha trasformato la macelleria di famiglia in un locale di tendenza per cultori del buon mangiare e bere di Elena Benedetti

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i dice spesso che il canale tradizionale della vendita al dettaglio di carne in Italia stia attraversando una fase di rinnovamento. Le macellerie più dinamiche oggi curano con attenzione l’offerta di preparati e piatti di gastronomia e puntano ad una selezione di

prodotti che, nella percezione del consumatore, li differenziano dal banco di libero servizio del supermercato. A pochi chilometri da Napoli la famiglia Portanova ha colto questo trend rinnovandosi nell’immagine e consolidando il servizio di qualità che da sempre li caratterizza. Lo scorso

novembre è stato infatti inaugurato il locale di vendita, curato nei nuovi arredi dal designer Fabio Cioffi di Bilodunk Studio. Lo spazio oggi si presta all’esposizione dei prodotti di salumeria che comprendono Prosciutto di Parma DOP, culaccia, Culatello di Zibello DOP, Speck Alto

Casa Portanova vende solo carne italiana in gran parte di razza Piemontese, seguita da Marchigiana e Chianina.

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Un dettaglio degli arredi: la parete effetto ardesia e le lampade ricavate dalle latte di Campbell’s Tomato Soup.

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1) L’offerta di prodotti è completata da pasta, sughi, conserve e vini. Il restyling del locale è stato curato dall’architetto Fabio Ciuffi di Bilodunk Studio. 2) La parete dei salumi tra prosciutto di Parma, prosciutto toscano, salami, pancette, capocolli e l’iberico Joselito. 3) Carni fresche da asporto oppure cucinate dallo chef Francesco Siena.

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Lo chef Francesco Siena insieme ai collaboratori si occupa del reparto di gastronomia e della realizzazione di piatti e taglieri che si possono degustare all’interno del locale. Adige IGP, oltre alla produzione diretta dei Portanova dei loro capocolli, pancette, salami e alla classica salsiccia napoletana. Non manca un accenno all’estero con il Joselito, jamón ibérico tagliato a mano per tapas partenopee. Paste, conserve, vini, sughi sono esposti a tutta parete in un ambiente luminoso che valorizza i prodotti. Bellissimo il banco carni dalle linee moderne, impreziosito da un pannello di marmo sulla parte frontale che richiama le macellerie dei tempi passati. Originale anche il gioco di taglieri nella parte alta, utilizzati per la comunicazione dell’offerta. Le carni fresche di razze selezionate italiane, Piemontese, Chianina e

Marchigiana in primis, sono in bella vista nel banco insieme ai preparati che Teresa e Carmela Portanova realizzano ogni giorno. Oggi la macelleria Portanova ha cambiato veste, non solo a livello di immagine, e propone taglieri e degustazioni accompagnate da un calice di vino. «Offriamo taglieri di salumi e formaggi oltre a carni e piatti della cucina locale preparati espressi nella cucina del nostro laboratorio» mi spiega Giuseppe Portanova, regista di questa trasformazione che ha fatto del suo locale una meta di intenditori e cultori del buon mangiare e bere. Dalle ore 13:00 alle 16:00 nel locale si possono gustare piatti e

“Paste, conserve, vini, sughi sono esposti a tutta parete in un ambiente luminoso che valorizza i prodotti. Bellissimo il banco carni dalle linee moderne, impreziosito da un pannello di marmo sulla parte frontale che richiama le macellerie dei tempi passati”

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spuntini curati dallo chef Francesco Siena. «Insieme al designer Fabio Cioffi abbiamo realizzato un ambiente accogliente, caldo e dal sapore vagamente retro che dà il senso di casa, nel quale la nostra clientela può prendersi una pausa per gli acquisti e per mangiare qualcosa in pace» sottolinea Giuseppe. «Da qui la scelta di cambiare nome, ribattezzandoci Casa Portanova, perché vogliamo dare ai nostri clienti un senso di intimità e accoglienza». Quella di Giuseppe a Ercolano è una scommessa vinta, a testimonianza che il consumatore oggi è alla ricerca di un prodotto diverso, da acquistare e, perché no, anche da gustare il un ambiente confortevole e curato. Elena Benedetti Casa Portanova Via Panoramica 123 80056 Ercolano (NA) Telefono: 081 7393722 Nota Photo © Enzo Muto.

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EVENTI

PR Identity: a ognuno il suo Parmigiano Reggiano Al Labirinto della Masone la ristorazione e la gastronomia incontrano i produttori artigianali per una giornata di formazione

«L’

incontro che si è tenuto oggi presso il Labirinto della Masone si inserisce nell’impegno che il Consorzio di Tutela si è assunto per favorire la promozione dei caseifici e la loro presenza diretta sul mercato. In che modo? Incentivando la riconoscibilità del caseificio e della marca aziendale presso il consumatore finale con le vendite dirette negli spacci e nei negozi gestiti direttamente, le vendite on-line e con altre iniziative che abbiamo in campo, come Caseifici aperti e Caseifici in tour. Con questa giornata ci siamo rivolti al mondo professionale della ristorazione e della gastronomia di qualità, per favorire l’incontro diretto tra i nostri produttori e gli utilizzatori finali. L’obiettivo è far diventare questo un appuntamento fisso, aperto anche verso una prospettiva internazionale». Così GIUSEPPE ALAI, presidente del Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano, ha aperto Parmigiano Reggiano Identity, evento che ha radunato 27 caseifici che si sono presentati a Fontanellato (PR), all’interno del Labirinto di Franco Maria Ricci, con le loro diverse produzioni di Parmigiano Reggiano ai vari professionisti della ristorazione e della distribuzione di qualità (gastronomie, delicatessen, gourmandise). I professionisti hanno così potuto incontrare i produttori, conoscere le diverse realtà dei caseifici, per poter scegliere in modo consapevole il Parmigiano Reggiano più adatto alle esigenze proprie e del proprio locale. «Il Parmigiano Reggiano è un grande prodotto, con una lunga storia e tradizione, che si è mantenuta ad

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esempio nell’uso dei foraggi della zona di origine e nell’assenza di additivi nella sua produzione — ha affermato il direttore del Consorzio RICCARDO DESERTI, il quale ha coordinato l’organizzazione della giornata — ma ha una grande ricchezza: vi sono diverse declinazioni, particolarità, legate ai diversi ambienti dove lo si produce (montagna, collina e pianura), alle razze delle vacche, come la Pezzata nera, la Bruna, la Rossa reggiana e la Bianca modenese, alle diverse metodologie produttive e certificazioni,

come quelle da agricoltura biologica o kosher o halal. Già ora per il Parmigiano Reggiano si afferma nel mercato sempre più la domanda di questi prodotti specifici e distintivi. E poi, per tutti i caseifici, c’è l’artigiano casaro a fare la differenza. Mettere a disposizione degli operatori professionisti queste particolarità e la possibilità di conoscere i produttori, significa approfondire la conoscenza del prodotto e del nostro mondo da un lato, dall’altro significa consentire agli operatori della risto-

Il Consorzio del Parmigiano Reggiano è presente sulle varie piattaforme social. Qui alcuni scatti della pagina Instagram (instagram.com/parmigianoreggiano).

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razione e della gastronomia di mettere in risalto presso le loro clientele questa concreta possibilità di unicità. Significa anche percorrere una tappa verso la formazione della Piattaforma gastronomica regionale, il progetto lanciato l’anno scorso col Viaggio verso Expo della Regione Emilia-Romagna e realizzato da ChefToChef, di cui il nostro Consorzio è socio fin dall’origine e che di cui abbiamo chiesto un forte coinvolgimento anche nella giornata di oggi». Era infatti presente all’incontro lo chef MASSIMO SPIGAROLI, presidente di ChefToChefemiliaromagnacuochi. «Ancora una volta il Consorzio del Parmigiano Reggiano accoglie, e in questo caso specifico anticipa, i bisogni della ristorazione. Una manifestazione che favorisce l’incontro tra chef e produttori coglie nel segno di rafforzare la necessità di uno chef di poter conoscere e a sua volta raccontare al cliente-ospite l’origine delle materie prime da lui utilizzate e le storie delle persone che le producono. Altrettanto significativa è la presentazione della nuova linea del quinto quarto del latte del Parmigiano Reggiano che, come ChefToChef, abbiamo deciso di adottare. Questi prodotti saranno anche il filo conduttore dell’edizione di Centomani in programma il 18 aprile». L’incontro è stato chiuso da SIMONA CASELLI, assessore all’agricoltura della regione Emilia-Romagna. «Ritengo ottima questa iniziativa di filiera corta che favorisce la conoscenza reciproca tra la gastronomia e i produttori. Se tutti a livello mondiale esaltano la gastronomia della nostra regione, il merito è da condividere tra la ristorazione e i produttori delle nostre eccellenze, il grazie va ad una grande agricoltura e ad una capacità di trasformazione di eccellenza. Questa valorizzazione del nostro sistema deve avere l’obiettivo finale di aumentare il reddito dei produttori, consentire loro di restare sul mercato, mantenendo così in vita le nostre filiere agroalimentari, con le conseguenti ricadute sul sistema economico e l’equilibrio territoriale». >> Link: www.pridentity. parmigianoreggiano.it

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“Vecchia Malga”, storica azienda bolognese nata nel 1969 ad opera di Rino Chiari, è guidata oggi dal figlio Stefano che ha raccolto il testimone consolidando e sviluppando la presenza sul territorio bolognese, facendola diventare un vero e proprio punto di riferimento per l’attenta selezione di materie prime e prodotti di qualità e per la peculiarità dei suoi negozi, unici nel loro genere. Basati sulla filosofia che “un buon prodotto lo si gusta mangiandolo ma prima lo si assaggia con l’occhio”, i punti vendita del brand, con il loro concept coinvolgente, rendono il cliente protagonista di un viaggio visivo, olfattivo e gustativo unico. Tutti rigorosamente costruiti e arredati con materiali autentici da artigiani esperti e prestando attenzione ad ogni dettaglio, i negozi “Vecchia Malga” portano il prodotto in primo piano, valorizzandone quelle caratteristiche e qualità che lo rendono un’eccellenza gastronomica del territorio. I punti vendita diventano così delle vere e proprie gallerie d’arte culinaria, in cui i prodotti rappresentano ognuno un quadro con una propria storia, una tradizione e dei valori che vengono sapientemente raccontati e spiegati dal personale “Vecchia Malga”. I negozi “Vecchia Malga” sono le botteghe di una volta che si evolvono, partendo dalla tradizione, cogliendo gli spunti della modernità ed uscendone rafforzate. È grazie a tutti questi aspetti, alla profonda conoscenza del territorio e alla sua valorizzazione che “Vecchia Malga” è diventata parte integrante del tessuto economico bolognese, con negozi ubicati in zone strategiche della città fino alla presenza pervasiva all’interno dell’Aeroporto Guglielmo Marconi.

Vecchia Malga Negozi Srl Via Roma, 55/A - 40069 Zola Predosa (BO) Tel: 051/6166687 - Fax: 051/6166686 info@vecchiamalganegozi.it - www. vecchiamalganegozi.it Zola 051/6166740 Via Roma, 55/A Zola Predosa (BO) La Baita 051/223940 Via Pescherie vecchie, 3A Bologna Mazzini 051/346508 Via Mazzini, 93 Bologna Ugo Bassi 051/0363178 Via Ugo Bassi, 25/g Bologna Negozio Aeroporto 051/6472198 Gastronomia - Aeroporto G. Marconi piano terra Pizzeria Vecchia Malga 051/6472196 Verace Pizza Napoletana - Aeroporto G. Marconi piano terra Vecchia Bologna 051/6472208 Ristorante/negozio/wine bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Bar Vecchia Malga 051/6472168 Bar - Aeroporto G. Marconi sala imbarchi Gastronomia Italiana 051/0060962 negozio - Aeroporto G. Marconi extra Schengen


CONVEGNI

Dopo Expo c’è il mondo intero Innovazione e internazionalizzazione sono i due capisaldi su cui si concentrerà l’attività della regione Emilia-Romagna per promuovere il comparto a livello globale di Anna Mossini

“L’

eredità di Expo per l’agricoltura dell’Emilia-Romagna: un futuro di innovazione e internazionalizzazione”. È questo il titolo di un convegno organizzato dalla Regione Emilia-Romagna svoltosi recentemente a Bologna. Un appuntamento interessante, che non ha mancato di richiamare il pubblico delle grandi occasioni, a dimostrazione che gli organizzatori hanno saputo centrare con questo tema un obiettivo importante, non solo per

il ruolo che ricopre il consolidato patrimonio agroalimentare regionale, ma anche e soprattutto per guardare al futuro che attende questo comparto fondamentale dell’economia emiliano-romagnola. Aumenta il valore aggiunto Al tavolo dei relatori, composto da personalità di spicco, a iniziare dal presidente della Regione EmiliaRomagna, STEFANO BONACCINI, sedeva anche l’assessore regionale all’Agricoltura, SIMONA CASELLI, il cui

intervento è stato uno dei più attesi. L’export agroalimentare dell’EmiliaRomagna rappresenta la seconda voce economica della regione, «un settore — ha spiegato il presidente Bonaccini — che solo nel 2015 è cresciuto del 3% in valore aggiunto. Entro la fine di quest’anno verranno emessi bandi per circa 1 miliardo di euro, che rappresentano pressappoco la metà dei 2,5 miliardi di fondi europei stanziati da qui al 2020. Vogliamo correre, muoverci in velocità per creare nuovi posti di lavoro a partire

Expo 2015, preparazione della sfoglia nel Padiglione dell’Emilia-Romagna. In gennaio un convegno a Bologna ha chiamato a raccolta il mondo dell’agricoltura e dell’agroalimentare emiliano-romagnolo per fare il punto su progetti e strategie del dopo Expo (photo © ilpopoloveneto.blogspot.it).

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CARN AMB IDEES - CALL SEBALLUT - CARNE & IDEE

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Il cibo è cultura: le emozioni di Expo in un docufilm prodotto da CIR food Vivere il cibo come una tavola pubblica sempre più vicina alle proprie radici, ma anche aperta alla diversità e al futuro, che educhi tutti i cittadini a stili alimentari e di vita sani. Questa è stata l’esperienza di CIR food in Expo, l’impresa leader in Italia nei servizi di ristorazione collettiva che ha servito 4 milioni di visitatori nei suoi 20 ristoranti durante l’Esposizione milanese. Nel film documentario “Expo sotto la superficie” il regista Andrea Segre, noto al pubblico per opere come “Io sono Li” e “La Prima Neve”, ha catturato la ricchezza di questa esperienza mettendo a fuoco il protagonista indiscusso, il cibo. Ciò che emerge è il racconto dei valori sociali e culturali dell’alimentazione, con uno sguardo cinematografico all’esperienza delle persone che a vario titolo hanno animato questo grande evento. Dietro le quinte di Expo, infatti, il regista ha svelato il senso di cura per il cibo espresso dall’impegno e dalla passione dello staff di CIR food, 500 persone impegnate per 184 giorni a dare forma concreta ad un’alimentazione non solo sana ma anche sostenibile per il pianeta. Un impegno riconosciuto anche dal Premio assegnato a Expo dal Ministero dell’Ambiente per la sostenibilità, ottenuto da CIR food per aver saputo coniugare efficienza e tutela dell’ambiente. Un indagine sotto al superficie La volontà di CIR food, attraverso iniziative culturali come il docufilm Expo sotto la superficie, è di contribuire a tenere alta l’attenzione sulle tematiche più importanti dell’Esposizione Universale, come la lotta allo spreco, la sostenibilità ambientale, la tutela della biodiversità e la sicurezza di un’alimentazione sana per tutti. Per il cinema italiano parlare di cibo non è una novità, anche se in questa occasione è la prospettiva a cambiare. Non più solo una fotografia dei gusti e delle tendenze di oggi, ma un’indagine “sotto la superficie” per capirne i risvolti culturali e sociali. Al di fuori dei riflettori, il film Expo sotto la superficie prende così le distanze dal cibo vissuto come spettacolo per restituirlo alla sua dimensione più essenziale. «I grandi eventi come Expo sono centrali nella società globale, ne accompagnano la corsa e ne disegnano spesso la frenesia. Avere la possibilità di fermare il tempo di un grande evento e di indagarne il processo di costruzione e distruzione mi è sembrata un’occasione da non perdere per un documentarista. Perché fare cinema documentario significa non guardare solo la superficie, ma provare a capire cosa c’è dietro e dentro ad essa», ha affermato il regista Andrea Segre. Il docufilm è on-line nel canale YouTube di CIR food. >> Link: www.youtube.com/watch?v=7yiTXReJqCA

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dall’agricoltura: le premesse ci sono e sono tutte favorevoli al raggiungimento di questo obiettivo». Nel suo intervento, la Caselli ha snocciolato i numeri che hanno caratterizzato la presenza dell’Emilia-Romagna a Expo Milano 2015 (1o maggio-31 ottobre, NdR): 6 mesi di presenza di un ufficio della Regione, altrettanti di una mostra dedicata alle regioni italiane; 3 mesi della piazzetta Emilia-Romagna, 1 settimana di protagonismo; 30 seminari di presentazione sul territorio; 7 tavoli territoriali attivati; 9 tappe di road show internazionale; 80 pacchetti turistici; 310 eventi in piazzetta; 50 eventi culturali; 7 bandi; 650 imprese coinvolte; 10 convegni internazionali. Ma nei 6 mesi dell’Esposizione universale l’agricoltura emiliano romagnola ha anche incontrato il “mondo”: Angola, Emirati Arabi, Oman, Argentina, Germania, Russia, Austria, Giappone, Uruguay, Brasile, Israele, USA, Cile, Kazakistan, Vietnam, Cina, Kuwait, Colombia, Olanda, a cui si aggiungono 29 delegazioni business e oltre 40 visite istituzionali di alto livello. Regione leader «L’Emilia-Romagna detiene il primato nazionale in materia di export — ha dichiarato l’assessore regionale all’Agricoltura Caselli — il suo ruolo di leader nell’agroalimentare è ampiamente riconosciuto per capacità innovativa, qualità, sicurezza, tracciabilità e sostenibilità delle produzioni oltre che di capacità di aggregazione della filiera. Questi importanti riconoscimenti generano delle aspettative da parte dei nostri interlocutori che ci chiedono trasferimento di conoscenze e partnership economica, vale a dire modelli organizzativi, disciplinari produttivi e di controllo, sistemi di supporto alla sicurezza alimentare. Expo ci ha insegnato molto, ma soprattutto ha posto l’accento sull’importanza dell’innovazione e della internazionalizzazione che sono una chiave fondamentale e ineludibile per lo sviluppo del settore». Nel 2014 il totale agrifood emiliano-romagnolo esportato ha raggiunto un valore di 5,448 miliardi di euro. Una cifra importante che,

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però, proprio perché le imprese che non esportano purtroppo sono ancora numerose, è superata dalla quota di import che, sempre nel 2014, ha raggiunto i 6,376 miliardi di euro. Sostenibilità in primo piano «Il nostro impegno per l’agroalimentare regionale è indirizzato alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica — ha proseguito l’assessore Caselli — ma pensiamo anche sia necessario incrementare il nostro lavoro sulla competitività e sull’internazionalizzazione, obiettivi che si possono raggiungere perché la qualità delle nostre produzioni è costituita da un’intelligente combinazione di tradizione, innovazione, valorizzazione della biodiversità e di reputazione enogastronomica». E sul concetto di “reputazione enogastronomica” Simona Caselli ha aperto un capitolo molto interessante di cui non si è ancora mai parlato approfonditamente, ma che invece rappresenta il primo, importante biglietto da visita da esibire quando

si vogliono conquistare nuovi spazi di mercato. «È attraverso la condivisione di questi aspetti — ha continuato — che si possono raggiungere gli obiettivi più ambiziosi. Si può tranquillamente parlare di una sorta di “diplomazia agroalimentare”, un sistema forte, ordinato e autorevole di relazioni internazionali che accompagnino ed accreditino il sistema produttivo e rimuovano gli ostacoli politico-normativi. Questa azione non può comunque prescindere da sostegni all’innovazione, all’export e agli investimenti ad esso finalizzati, non ultimo quello fitosanitario, e dalla promozione dell’identità dell’agroalimentare regionale». Impegno totale E nell’attesa di arrivare a siglare accordi internazionali scaturiti dall’intensificazione delle relazioni diplomatiche volte a favorire un dialogo costruttivo e favorevole agli scambi di conoscenze, tecnologie e commerciali, alla rimozione delle barriere tariffarie e non tariffarie

che ostacolano l’attività di export o di investimento in altri Paesi, si proseguirà a lavorare sul protocollo di collaborazione, di prossima firma, avviato durante i giorni di Expo 2015 con la Colombia; si daranno seguito ai contatti avviati con l’Angola e con il Vietnam, Paesi dove i focus produttivi spaziano dai cereali al caffè, dall’allevamento al pomodoro, dall’acquacoltura al baobab e alla moringa. «In questo processo di internazionalizzazione del nostro agroalimentare — ha concluso Caselli — la Regione può contare su altre importanti istituzioni come UnionCamere e Camere di Commercio, Fiere, Università, senza dimenticare il World Food Forum, la piattaforma internazionale di scambio e ricerca che si terrà a Cibus Parma, il 9 e il 10 maggio, così come il Life+Climate changE-R, lo strumento innovativo volto a mitigare l’effetto serra attraverso un’agricoltura innovativa e sostenibile». Una sfida che l’Emilia-Romagna ha tutta l’intenzione di vincere. Anna Mossini

L’export dell’agroalimentare di qualità cresce ed apre a nuovi mercati L’export dell’agroalimentare di qualità cresce ed apre a nuovi mercati, rendendo di fatto necessario un intervento compatto a difesa delle produzioni certificate che rappresentano l’eccellenza del made in Italy a tavola. Eccellenza che vede ben tre prodotti dell’Emilia-Romagna — Aceto Balsamico di Modena Igp, Parmigiano Reggiano Dop e Prosciutto di Parma Dop — tra quelli interessati dal progetto di monitoraggio collettivo in Europa per Dop e Igp presentato lo scorso marzo a Roma, nella Sala Cavour del MIPAAF. Alla conferenza stampa hanno preso parte esponenti del mondo consortile afferenti ad AICIG e dei Consorzi partecipanti al progetto. Nel corso del 2015 sono stati effettuati in Europa circa 800 verifiche da un minimo di 4.000 ad una stima di oltre 20.000 controlli sulle Denominazioni Aceto Balsamico di Modena Igp, Grana Padano Dop, Parmigiano Reggiano Dop, Prosciutto di Parma Dop, Prosciutto di San Daniele Dop in Danimarca, Germania, Inghilterra, Francia, Austria, Belgio, Lussemburgo, Olanda, Polonia e Repubblica Ceca. «Solo facendo sistema in questo modo — ha aggiunto il presidente di AICIG, Giuseppe Liberatore — ovvero sviluppando strategie trasversali e collettive si possono tutelare i prodotti di bandiera, anche e soprattutto fuori dai confini nazionali, dove il mercato cresce e si apre a nuove realtà. E a fare sistema dovranno essere non solo le aziende, ma tutti i diversi mondi produttivi attraverso i Consorzi e i soggetti istituzionali aventi tale scopo e, in primis, il MIPAAF, senza il quale tutto questo non sarebbe possibile». Se il comparto agroalimentare vuole raggiungere l’obiettivo di 50 miliardi di esportazioni indicato dal Ministro Martina, ha affermato il direttore del Consorzio Grana Padano Dop Stefano Berni, «si rende necessario trovare nuove modalità di promozione e stabilizzazione della crescita del settore nel suo complesso. Una crescita che si deve accompagnare di pari passo con una accurata conoscenza del mercato, attività di formazione, di monitoraggio e tutela, per evitare che il “settore” delle imitazioni si avvantaggi del trend positivo». «Quello presentato oggi — ha aggiunto Luca Bianchi, capo dipartimento delle Politiche competitive della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca — è un progetto importante ma soprattutto rappresenta una best practice di azione a tutela del prodotto e del consumatore Nel 2016 sono state pianificate verifiche su cinque denominazioni: Aceto Balsamico di Modena, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma in Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Belgio, Germania, Lussemburgo, Olanda, Spagna e Svizzera su circa 450 punti vendita da visitare per un totale di minimo 2500 controlli fino ad una stima di oltre 10.000 referenze (fonte: Ufficio Stampa AICIG – Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche).

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RASSEGNE Identità Golose 2016: identità libere, identità pop

Se vuoi fare il figo… mangia la coda Successo rinnovato per la dodicesima edizione del congresso internazionale sulla cucina d’autore ideato e curato da Paolo Marchi

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i è svolta negli spazi di Milano Congressi, dal 6 all’8 marzo scorsi, la dodicesima edizione di Identità Golose, il congresso che, una volta all’anno, riunisce nel capoluogo lombardo gli chef più prestigiosi del mondo insieme ad artigiani, produttori, affinatori, sommelier e tutti coloro che operano all’interno di quel grande contenitore che è la cucina con

la C maiuscola, stampa, televisioni, radio e social network compresi. La “Forza della Libertà” è stato il tema scelto dagli organizzatori per il 2016. Libertà intesa come libera creatività ovvero libertà di osare, sperimentare in cucina, in sala, e, ancora prima, negli allevamenti e nella coltivazione della terra, degli orti, da cui nascono le materie prime che i protagonisti seguiti e acclamati nelle sale del MiCo

hanno saputo trasformare con sapienza e audacia. «Il sapere è libertà» dice dal palco SERGIO CAPALDO, veterinario cuneese fondatore dell’associazione La Granda. «Bisogna imparare di nuovo a fare bene il contadino: la mano guidata dalla mente genera la qualità». E ancora, libertà di scegliere, di portare avanti con determinazione le proprie idee, i progetti, i sogni. «Il futuro è l’illegalità in cucina»

Lo chef Luca Cantù, Sergio Capaldo e Roberta Schira a Identità Golose 2016. Attraverso un video hanno mostrato come disossare una coda bovina, un lavoro certosino, che richiede precisione ed estrema accuratezza. «Mettere sullo stesso piano il lavoro dell’allevatore, del trinciante e del cuoco, questo è libertà» ha dichiarato Capaldo.

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dichiara CICCIO SULTANO, alla guida del ristorante Duomo, due stelle Michelin a Ragusa Ibla, a proposito delle ordinanze relative all’utilizzo del latte crudo. Libertà di esecuzione, come quando il cliente lascia carta bianca allo chef: un esempio su tutti, il menu con lo specchio che MATIAS PERDOMO (suo anche il premio “Piatto dell’anno” per l’originalissima creazione “Ricchezza e Povertà”) e THOMAS PIRAS propongono al Contraste di Milano. Della serie, dimmi chi sei e ti dirò cosa mangi… Infine, libera convivialità, perché la cucina è condivisione, conoscenza e scambio, di tradizioni, consuetudini e saperi. E in un mondo in cui ogni giorno vengono eretti, materialmente e non, nuovi muri, ribadire determinati concetti diventa ancora più importante. Ci siamo rinnovati sempre «Quando partimmo con Identità Milano, dodici anni fa, tante persone si precipitarono ad accusarci di aver copiato Madrid Fusión o Gastronomika» ha dichiarato Paolo Marchi. «Noi non abbiamo mai nascosto di aver preso ispirazione dai congressi spagnoli, che abbiamo peraltro sempre omaggiato. Ma è come nel calcio: nasce in Inghilterra, magari agli albori l’Uruguay è fortissimo, ma anche gli altri guardano, imparano, a un certo punto fanno persino meglio dei maestri. L’importante è giocare bene e possibilmente vincere. I campioni del pallone rimangono impressi nella memoria, ma passano — prosegue l’ideatore nonché curatore di Identità Golose — passa Van Basten, passa Ronaldo, passa Ibra. Ma il Milan resta, l’Inter resta. Sono realtà strutturate, salde, che fanno da riferimento stabile. Ecco, penso che quest’anno Identità Golose abbia dimostrato di aver raggiunto tale grado di solidità: tantissimi vi si riconoscono, è uno strumento affermato per dare visibilità alla cucina italiana. Non siamo estemporanei, continuiamo a creare nuovi contenuti, ossia nuovi campioni». «Avevamo un po’ di paura, questa volta — dice CLAUDIO CERONI, patron di MAGENTAbureau, l’altra metà di Identità Golose — perché veniva-

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In alto: la ventricina teramana di Enrico Fracassa, un salume spalmabile tradizionale ideale da spalmare sul pane o per la preparazione di bruschette. In basso: lo stand del Provolone Valpadana Dop (photo © Elena Benedetti).

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Andrea Magi, professione affinatore Maestro assaggiatore ONAF e delegato per Arezzo e Siena dell’organizzazione nazionale degli assaggiatori di formaggio, Andrea Magi è un esperto selezionatore, un vero e proprio ricercatore di formaggi. «Il formaggio è la mia grande passione. Fin da bambino aiutavo la mia famiglia che lavorava in questo settore. Il mio compito era quello di lavare i formaggi, una fase ancora fondamentale, che va effettuata rigorosamente a mano» racconta Andrea, che ad Identità Golose 2016 ha portato in degustazione le sue profumate e irresistibili “creazioni”. «Per me un affinatore è colui che, con la sua arte, porta alla “perfezione” un prodotto, perché un formaggio si può dimenticare, mentre un’emozione non si dimentica. Il mio ruolo — prosegue — è andare alla ricerca di prodotti tradizionali, legati ad un territorio e con una forte personalità. Nel caso dei formaggi, poi, oltre a selezionare i migliori produttori mi occupo in alcuni casi dell’affinamento dei loro prodotti. A volte facciamo maturare il formaggio direttamente nella nostra azienda, altre volte lo portiamo a balia in aziende specializzate, che si avvalgono di tecniche o luoghi con un particolare microclima. E il gusto cambia. Formaggi dello stesso lotto di produzione assumono gusti completamente diversi a seconda che si facciano stagionare in grotta, in cella o piuttosto sotto le vinacce di vin santo o dentro a delle foglie di olivo. Questi passaggi sono necessari per ottenere un prodotto finito d’eccellenza». Gastronomie specializzate, enoteche, bar, ristoranti rappresentano la sua clientela. Ricchissimo l’assortimento e le proposte De’ Magi, con un’attenzione tutta particolare anche per la comunicazione. Divertenti e originali i nomi dei formaggi, uno più buono dell’altro: il Briacacio di pecora, Pino e Pinetta, il Buhaiolo, il Mascalzone… >> Link: www.demagi.it

mo da sei mesi intensissimi, quelli d’Identità Expo, che si sembrano lontani ma sono invece vicini. Ecco, rischiava di rivelarsi un congresso in tono minore, un poco appesantito dal lungo lavoro precedente. Invece

si sono confermate le buone sensazioni che ho avuto nell’immediata vigilia. In questa edizione ci siamo profondamente rinnovati. Paolo ha ideato nuove sezioni, da Identità di Formaggio a Identità di Champagne,

“Come il caffè fa diventare dolce il carciofo e salato il tiramisù” di Moreno Cedroni (photo © Brambilla-Serrani).

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da Identità di Mare a Identità di Caffè: sono andate benissimo. Ha avuto un esito straordinario anche il nuovo format che abbiamo proposto come evento collaterale aperto al pubblico, La Scuola di Identità Golose, in collaborazione con L’Arte del ConvivioConviviumLab, che replicheremo ampliandolo. Bene, molto bene, anche il focus col vino, in collaborazione col Merano Wine Festival. Incredibilmente bene gli stand espositivi, che hanno visto un ulteriore e molto importante aumento. Avremo Identità New York, Identità Chicago, stiamo lavorando per Identità Londra e per definire anche una piazza asiatica — prosegue Ceroni — altro partirà, perché l’esperienza in Expo ci ha consentito di pianificare nuovi progetti. Ma è ancora presto per parlarne». Restiamo in attesa delle novità che ci aspettano e, per il momento, arrivederci a Milano nel 2017. >> Link: www.identitagolose.it

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Taste, ricco e stiloso come sempre di Elena Benedetti

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arzo è il mese del cambio di stagione, dell’arrivo della primavera e di Taste, la rassegna dell’enogastronomia artigianale di qualità più stilosa del mondo! Dal 12 al 14 marzo, infatti, la storica sede della Stazione Leopolda ha ospitato il salotto nazionale del bere e mangiare bene, nato undici anni fa dalla collaborazione di PITTI IMMAGINE con il gastronauta DAVIDE PAOLINI. E anche quest’anno Taste è stata l’occasione per immergersi tra le eccellenze del gusto, dell’Italian life style e del design della tavola con 340 aziende selezionate tra le migliori produzioni di nicchia.

L’edizione 2016, con sottotitolo “In viaggio con le diversità del gusto”, si è confermata allegra e colorata, abbellita da tanti allestimenti di erbe aromatiche che richiamavano alla terra. Una sorta di albero della cuccagna moderno: questo è stato il tema del nuovo layout del salone — curato da ALESSANDRO MORADEI — con cui Pitti Taste ha avvolto il suo pubblico di professionisti del settore e di visitatori in un percorso sorprendente. Tra le novità di quest’anno c’è anche stata la nuova location del Teatro dell’Opera, nel cui piazzale e nel foyer sono stati ospitati per la prima volta gli eventi della rassegna fiorentina. Tra salumi, formaggi, dolci, aceto balsamico,

prodotti ittici e da forno, oltre ad una selezione di vini e complementi di arredo, la Stazione Leopolda è stata invasa da operatori di settore, buyer italiani ed esteri, stampa e visitatori. I prodotti esposti sono stati fotografati con tablet e smartphone, condivisi sui social e, soprattutto, assaggiati. È stata una grande festa e un’altra bella occasione di business per tanti nostri eccellenti produttori. Tra l’ampia offerta di Taste ricordiamo il prosciutto crudo di San Daniele di Dok Dall’Ava, il nuovo prosciutto cotto naturale del Salumificio Mannori e il panettone firmato da Lucca Cantarin per la sua Pasticceria Marisa.

Alcuni scatti durante l’edizione 2016 di Taste, alla Stazione Leopolda di Firenze (photo © Pitti Taste).

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Il tema del layout scenografico di questa edizione è stato curato da Alessandro Moradei (photo Š Elena Benedetti).

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1) Lo jamĂłn ibĂŠrico de La Flor de Isamor tra i salumi esposti a Taste. 2) In bella mostra i salami del Salumificio Fereoli Gino & Figlio. 3) Shopping bag green style. 4) 24 mesi di stagionatura per il crudo Il Brado di Salumi Montali. 96

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1) Aldo e Fabrizio Zivieri dell’omonima macelleria specializzata in carni e salumi artigianali anche a base di selvaggina, qui insieme all’amico chef Igles Corelli. 2) L’offerta di salumi e formaggi senesi della Salcis. 3) Sue Ellen Mannori e i collaboratori della Salumeria Mannori di Prato. Tra le novità presentate a Taste un prosciutto cotto 100% naturale. 4) I salumi fiorentini di Vignoli 1946. 5) Il salame di Varzi Dop tra i protagonisti di Taste 2016. 6) I panettoni gourmet di Lucca Cantarin, Pastificio Marisa. 7) La bottarga di Muggine di Stefano Rocca. 8) Lo spazio dedicato agli acquisti all’interno della Stazione Leopolda (photo © Pitti Taste). Premiata Salumeria Italiana, 2/16

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Cibus 2016, Parma al centro dell’agroalimentare di qualità Parte il 9 maggio la fiera alimentare italiana più conosciuta nel mondo. Esporranno tutte le maggiori aziende italiane di settore. Novità di prodotto nelle aree tradizionali e in quelle di tendenza del consumo. In arrivo top buyer da ogni continente

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a 18a edizione di Cibus si presenta con un’adesione senza precedenti da parte delle maggiori aziende alimentari italiane e con un’esposizione che copre tutti i settori tradizionali del comparto e tutte le nuove tendenze dell’offerta alimentare. Cibus 2016, Salone Internazionale dell’Alimentazione, organizzato da Fiere di Parma e FEDERALIMENTARE, si terrà a Parma dal 9 al 12 maggio prossimi.

Saranno presidiati tutti i settori: carni e salumi, formaggi e latticini, gastronomia ultra-fresco e surgelati, pasta conserve condimenti, prodotti dolciari e da forno, la quarta gamma, le bevande, prodotti tipici e regionali, ed altro ancora. Grande spazio avranno i prodotti vegetariani e vegani (per entrambi è stata creata la comune etichetta “VEG” che segnalerà gli stand di queste categorie), ma anche prodotti biologici e prodotti con meno

grassi, meno sodio, senza glutine, ecc…«Cibus 2016 si conferma la fiera alimentare più conosciuta e rilevante in Italia e nel mondo» ha dichiarato ELDA GHIRETTI, Cibus brand manager. «L’adesione delle aziende alimentari è fin qui numerosa ed entusiasta. Sanno di trovare una piattaforma che si modella in tempo reale alla domanda del mercato, sia in termini di innovazione che di tipicità. Gioca a nostro favore anche l’incredibile

Il Salone Internazionale dell’Alimentazione si è confermato nel 2014 una grande vetrina di visibilità internazionale con convegni e tavole rotonde su temi di attualità in ambito food and retail.

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A Cibus saranno presidiati tutti i settori: carni e salumi, formaggi e latticini, gastronomia ultra-fresco e surgelati, pasta, conserve, condimenti, prodotti dolciari e da forno, quarta gamma, bevande, prodotti tipici e regionali e altro ancora. esperienza dei 6 mesi in Expo, col padiglione “CibusèItalia” che ha ospitato centinaia di buyer esteri». Le novità del 2016 Per quanto riguarda le attività e le novità di Cibus 2016, sono quattro gli ambiti di interesse che verranno presidiati: 1. Sezioni Speciali; 2. Convegni & Workshop; 3. Incoming; 4. Eventi in Città. Il rinnovato padiglione 7 della fiera, valorizzato dal nuovo ingresso Ovest, creato ricostruendo a Parma il padiglione CibusèItalia presente ad Expo, ospiterà in questa edizione sezioni speciali e novità. Nelle sezio-

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ni speciali troviamo il nuovo spazio halal/kosher, uno showcase dedicato ai prodotti made in Italy certificati halal e kosher. Altra nuova area sarà lo spazio Seafood Expo, dedicato agli espositori del settore ittico dove i visitatori avranno la possibilità non solo di scoprire i prodotti ma anche di partecipare ad incontri ed approfondimenti sul tema, presso la specifica area workshop. Attenzione al retail La 18a edizione della manifestazione vedrà anche un particolare focus sul retail, con un convegno che si concentrerà sul ruolo della Marca del Distributore nello sviluppo dell’export italiano. Altro spazio dedicato

all’approfondimento dei temi legati al retail sarà un’area workshop all’interno del padiglione 7 dove verranno organizzati incontri pomeridiani dedicati all’analisi degli scaffali all’estero e a come vengono presentati i prodotti made in Italy nei principali mercati obiettivo. Risorse sull’incoming L’attività incoming realizzata in collaborazione con ICE/Italian Trade Agency, che svolge da sempre un ruolo chiave nella strategia di Cibus, quest’anno si rafforza con un investimento di oltre 2 milioni di euro, stanziati nell’ambito delle azioni di promozione a sostegno dell’agroalimentare italiano promosse sotto il

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segno distintivo “The Extraordinary Italian Taste”, per ospitare buyer e importatori internazionali. Il piano prevede un’offerta strutturata che aggiunge alla visita della fiera anche retail tour, gala dinner e post show tour presso alcuni stabilimenti produttivi sul territorio. L’attività di incoming è coadiuvata da un’intensa attività di roadshow internazionale, che ha portato gli organizzatori di Cibus ad incontrare professionisti del settore a San Francisco in gennaio per il Winter Fancy Food, al Gulfood a Dubai in febbraio e al Foodex di Tokyo in marzo. Cucina e fuori salone Confermati anche per questa edizione il coinvolgimento della Scuola Internazionale di Cucina Italiana ALMA con Alma Caseus, premio dedicato ai produttori e ai professionisti del settore lattiero caseario, e lo spazio MicroMalto organizzato in collaborazione con Birra Nostra, dove verranno presentate le migliori produzioni di birre artigianali italiane. Il tema dello sviluppo del segmento Fuori Casa sarà invece approfondito grazie ad un convegno dedicato alle tendenze dell’offerta organizzata, collettiva e commerciale. L’appuntamento vedrà coinvolti manager delle catene outof home e la partecipazione di NPD Group, realtà leader nella fornitura di dati di scenario e comportamenti e trend di consumo nel fuori casa. Sempre per quanto riguarda i convegni, torna l’annuale appuntamento dedicato alle leve promozionali curato dall’Università degli Studi di Parma e Nielsen in collaborazio-

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ne con Fiere di Parma. Al centro dell’incontro le nuove traiettorie della promozione delle vendite e le possibili vie d’uscita dalla saturazione promozionale di prezzo per industria e distribuzione. Torna anche l’edizione 2016 di Ecotrophelia, il concorso per l’innovazione e la sostenibilità dei prodotti alimentari organizzato da Federalimentare e rivolto agli studenti universitari italiani afferenti al settore alimentare. FEDERALIMENTARE presenterà anche un cartellone seminariale che riguarderà programmi di ricerca, innovazione e sviluppo e un workshop scuola e azienda. Per Cibus 2016 è stato rinnovato ed ampliato il fuori salone, il programma di attività nelle strade e nelle piazze di Parma, con “Cibus in fabula” che, forte dall’esperienza di Expo, avrà il suo fulcro nella cornice suggestiva della chiesa di San Tiburzio dove verrà collocata un’installazione di generative art realizzata da FELICE LIMOSANI, “Il piatto del giorno”, e attraverso l’allestimento scenografico dell’Ospedale Vecchio in centro a Parma. Inoltre, si conferma anche per questa edizione la collaborazione con “I Love Italian Food”, che si occuperà di promuovere le produzioni agroalimentari made in Italy al proprio network di food blogger internazionali coinvolgendoli direttamente e invitandoli a seguire le novità presentate in occasione della nuova edizione della manifestazione. >> Link: www.cibus.it

Who? When? Where? L’ingresso a cibus è aperto al solo pubblico dei professionisti del food, retail e HO.RE.CA. nazionale ed estero. Nel 2014, oltre 67.000 visitatori qualificati, 12.000 esteri di cui 1.000 top buyer esteri da 50 Paesi, hanno partecipato a Cibus. Dal 9 al 12 maggio 2016. Dalle ore 9:30 alle 18:00. Presso il Quartiere fieristico di Parma, Viale delle Esposizioni 393A, – 43126 Parma.

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Fiera Milano: come conquistare in 10 mosse il cliente di domani

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ual è il profilo del consumatore di domani? Già da diverso tempo, ogni anno prova a rispondere a questa domanda Euromonitor International, tra i più autorevoli analisti internazionali nel largo consumo, con la ricerca Top 10 Global Consumer Trends. E tra le dieci tendenze individuate per il 2016 dagli esperti londinesi, molti sono gli spunti per il settore food & beverage. A cominciare dal comprare tempo. Che, si sa, nel mondo frenetico di oggi è il bene più prezioso. Non stupisce quindi che il 35% dei rispondenti affermi infatti di “non avere tempo per cucinare”: un segmento importante, dove però occorre un grande lavoro di educazione alla qualità. Se il 25% considera convenienti i cibi pronti, solo il 13% li trova più gustosi e appena il 5% più sani. In apparente contraddizione è il trend del consumatore agnostico, che “svolazza” da un prodotto all’altro con poca fedeltà al brand: è l’enorme quantità di dati a disposizione oggi

— web in primis — che gli consente di farlo in modo rapido. Paradossalmente, però, il consumatore iperconnesso comincia a risentirne in termini di salute. Cresce il desiderio di “disconettersi” di tanto in tanto e, in risposta, aumenta l’offerta fuori casa di locali con politiche leave your device, come le Spa. Per sfuggire al potere del web, comunque, non si può più contare nemmeno sul bacino di riserva degli anziani: il trend della sfida dell’età ci dice che gli over 60 comprano ormai on-line quasi il 15% dei cibi e bevande, la categoria di prodotti più comprata in rete da questa fascia d’età. Tra i Millennial le propensioni d’acquisto appaiono anche più influenzate da valori, scelte etiche e minore enfasi sul possesso mentre, in generale, sfumano le differenze di genere e i single si confermano big spender. Una conferma riguarda la ricerca di cibi più naturali. Quasi il 50% dei rispondenti mette la presenza di

soli ingredienti naturali in cima alla lista delle motivazioni di acquisto mentre, calcola l’analista, il valore del mercato mondiale dei prodotti bio confezionati supererà quest’anno i 32 miliardi di dollari e quello delle bevande bio sfiorerà i 4 miliardi. Il contraltare è la tendenza cosiddetta del comprare per controllare, dettata da ansie non solo salutistiche ma anche di sicurezza personale. Nel complesso, con qualche chiaroscuro, si conferma l’evoluzione dell’esperienza di acquisto, specie nel mondo food, verso un modello olistico che la vede integrata in un concetto di benessere della persona a tutto tondo. >> Link: www.tuttofood.it

Tuttofood, si lavora per il 2017 (8-11 maggio) Si apre all’insegna della straordinaria risposta degli espositori il 2016 di Tuttofood, la biennale di Fiera Milano dedicata al mondo dell’agroalimentare in tutte le sue declinazioni C’è già stata per il prossimo anno la riconferma di numerosi grandi nomi del settore, delle principali regioni produttive italiane, nonché di associazioni e di aziende e collettive internazionali. Ad oggi è già stato prenotato oltre un terzo della superficie espositiva occupata nel 2015, una situazione identica a quella raggiunta a pari data della passata edizione, pur non essendoci più la concomitanza con Expo 2015, il che evidenzia il ruolo centrale assunto nel panorama europeo dalla rassegna milanese. È inoltre in aumento la partecipazione di produttori internazionali, che — anche grazie all’Esposizione Universale — associano ormai il food a Milano. Una crescita costante che pone Tuttofood in prima linea nella strategia del Gruppo Fiera Milano, che punta in maniera sempre più decisa a rafforzare la leadership delle manifestazioni direttamente organizzate con elevato potenziale di crescita, aumentando la penetrazione dei settori presidiati e la crescita internazionale. «I primi riscontri di questo 2016 — ha dichiarato Corrado Peraboni, AD di Fiera Milano — ci confermano che Tuttofood ha saputo valorizzare al meglio il volano di Expo in un’ottica a lungo termine. Le nuove risorse provenienti dall’aumento di capitale ci permettono di rafforzare ulteriormente le azioni dirette alla crescita dell’internazionalizzazione del nostro business, valorizzando l’appeal del made in Italy. Nel nostro portafoglio spiccano appuntamenti leader in settori dove l’Italia è il riferimento mondiale. La crescente internazionalizzazione è per noi un passaggio indispensabile per contribuire anche nei prossimi decenni all’ulteriore sviluppo del sistema fieristico e dell’intera economia».

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FORMAGGIO

Agricoltura eroica in valle Castelmagno, formaggio di Acceglio, Marmurin e toma d’Elva: esistono e resistono nelle valli cuneesi grazie al lavoro e alla tenacia di piccoli produttori, custodi di memoria, territorio e tradizioni di Riccardo Lagorio

E

ra ARTURO MARESCALCHI, il giorno del Capodanno 1931, a inaugurare l’era contemporanea della speculazione gastronomica con la sua Guida, edita dal Touring Club. Uno spaccato attento alle peculiarità locali, in cui si sottolineava l’originalità degli elaborati artigianali e delle colture agricole, nonché la presenza di queste o quelli a livello disaggregato sino

all’ambito comunale. Leggendo quel pezzo di storia dopo 85 anni risultano giorno dopo giorno sempre più numerose le curiosità e i riferimenti a prodotti ormai scomparsi, ma anche a generi alimentari già ben noti al pubblico d’allora, o a contesti sociali spazzati via dalla industrializzazione dei sistemi di produzione. Alcune delle trasformazioni più radicali si percepiscono quando il tema è rela-

tivo ai formaggi di montagna, tanti e tanto rilevanti i mutamenti che sono intervenuti in quelle aree un tempo così vocate alla produzione casearia. Molto colpite dalle trasformazioni sociali le valli cuneesi, dove si segnalava il Castelmagno, descritto come formaggio forte, erborinato come il Gorgonzola. Solo 6 anni prima CARLO REMONDINO aveva dato alle stampe Il formaggio di Castelmagno

Sala di stagionatura del Castelmagno presso l’azienda La Meiro, di Pier Andrea e Giorgio Amedeo.

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“Alcune delle trasformazioni più radicali si percepiscono quando si parla di formaggi di montagna, tanti e tanto rilevanti i mutamenti che sono intervenuti in quelle aree un tempo così vocate alla produzione casearia”

“Lo spopolamento della montagna ha avuto proprio in queste valli il suo epicentro e nel 1985 Elva conquistò il primato di comune dal minor reddito pro capite d’Italia. Valle Maira e Valle Grana sono dirimpettaie: qui il Castelmagno, là le tome e l’abbandono demografico ne ha fatto casi da clinica sociologica”

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(edizioni L’Alpina), precisando che si producono dei formaggi tipo Castelmagno anche a Pradleves, ma detti formaggi non sono sempre di prima categoria e più sotto che il prezzo del Castelmagno si regola su quello del Gorgonzola. E malgrado le — presumiamo — numerose manovre di plagio, non è imitabile perché molti tentativi fatti dagli stessi produttori in stalle del piano a Caraglio, Cuneo, Saluzzo hanno dato risultati negativi. Inoltre Remondino riportava che il Castelmagno erborinato è quello più pregiato e che su 100 formaggi in vendita 40 sono dolci, bianchi od azzurri erborinati e 60 sono giallognoli ed a maturazione avanzata con pasta dura o granulosa, e talvolta poltigliosa. Non mancano interessanti informazioni relative all’origine della materia prima. Infatti, il montanaro tiene non solo le vacche ma le pecore e le capre e ne affitta, specialmente di pecore, per aumentare la massa di latte che dovrà dare il celebre formaggio. Latte vien dato dalle vacche, che sono per 80 per cento circa della razza Piemontese di Demonte e pel resto di Schiwyts, Valdostane e Tarine; latte vien dato dalle capre che sono un misto indefinito. Castelmagno La Meiro: mai avere fretta con la stagionatura Nulla o poco a che spartire insomma con il Castelmagno che occupa in questi anni gli scaffali dei supermercati. Del resto la sua storia è quella di una valle che ha subito uno dei più duri indici di spopolamento d’Italia. Secondo quanto segnalato da GIOVANNI DELFORNO nel 1960 (Il formaggio Castelmagno, edizioni Antonio Cordani) tutta la Val Grana aveva perso tra il 1901 e il 1951 il 42,5% dei propri abitanti e nello stesso periodo a Castelmagno la perdita di residenti si assestava intorno al 63,1%. Evoluzione demografica che ha continuato e sta continuando. Ma PIER ANDREA e GIORGIO AMEDEO hanno contribuito a contenere il fenomeno, stabilendosi in frazione Chiappi dopo avere girato il mondo per lavoro. Hanno realizzato il loro progetto di mantenere in vita la piccola località e la memoria del formaggio, quello storico, fatto con

Bovino di razza Piemontese dell’allevamento di Sergio Serra. latte prodotto in altura. Acquistati gli alpeggi di maggior pregio, il formaggio che ne deriva è stagionato in locali sembrano essere felici per la flora che arricchisce i prati. Custode della tradizione, Giorgio Amedeo, fu indicato trent’anni fa dall’allora sindaco Gianni De Matteis di mantenere alto il livello della produzione del Castelmagno, che da poco aveva ottenuto la DOP e che stava diventando un marchio privo di valore, affossato da produttori esterni alla cultura di questa valle persino con la ventilata ipotesi di pastorizzare il latte e inocularlo di fermenti. Mai avere fretta con la stagionatura; eppure c’è chi lo mette in commercio dopo 3 mesi. E questo è un danno per il nome del Castelmagno, che è un prodotto da degustazione, non da condimento. Amedeo di vacche ne ha 22, più 60 dell’allevatore al quale concede l’uso dei pascoli, che arrivano sino a quota 2400, ben meritevoli dell’involucro verde che abbraccia i Castelmagno d’alpeggio. Se ha un senso parlare di agricoltura eroica, in questo caso il termine non è usato a sproposito. Valle Maira: il formaggio d’Acceglio e il Marmurin di Sergio Serra Non ha avuto la medesima fortuna il formaggio di Acceglio, in Valle Maira, pure citato dal lavoro di Marescalchi. La sua produzione è confinata a qualche famiglia che possiede uno o

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due capi. Troppo poco per viverci. 40 vacche di razza Piemontese, di cui una ventina in lattazione, è il patrimonio della famiglia Serra, nel vicino territorio di Marmora. Nella stalla e nel piccolo caseificio aziendale la mungitura avviene manualmente (poiché la razza Piemontese si presta poco alla mungitrice elettrica), due volte al giorno. «Nel periodo di massima lattazione arriviamo a produrre anche sessanta litri di latte a mungitura. Essendo la stalla situata a 1.500 metri, durante l’estate non dobbiamo spostarci molto per l’alpeggio: infatti pascoliamo una zona compresa tra 1.400 e 2.000 metri. Le vacche rimangono a stalla per il periodo invernale, che va circa da novembre ad aprile, dove sono nutrite con il fieno prodotto d’estate», ci rilascia SERGIO SERRA. Alla mandria sono state aggiunte quattro vacche di altre razze per aumentarne le quantità, a seguito della crescente richiesta di formaggio. «Il formaggio viene generalmente prodotto con il latte raccolto da due mungiture ed appartiene alla famiglia dei Nostrali. Al mattino, con l’aggiunta della seconda mungitura, inizia la caseificazione vera e propria: il latte viene scaldato fino a 32 gradi, a questo punto viene spenta la fiamma, aggiunto il caglio e mescolato il latte. Trascorsa mezz’ora la cagliata viene rotta finché non si hanno grani della dimensione circa di un chicco di riso. A questo punto quello che sarà formaggio è già quasi del tutto separato dal siero. Il siero viene tolto dal paiolo e messo da parte mentre la cagliata viene raccolta in una tela di lino o seta. Ora viene pestato a mano sul tavolo e messo in una forma di acciaio o di metallo. Il formaggio rimane nella forma fino al mattino seguente, sotto il peso di due pietre e viene girato almeno 5 volte. Quando viene girato l’ultima volta, viene aggiunto un marchio che riporta la data in cui è stato prodotto. Durante l’estate e parte dell’autunno produciamo due forme di formaggio da circa 6 kg l’una. Ovviamente si parla di formaggio a latte crudo. Il periodo di stagionatura di legge deve essere di almeno quaranta giorni e, purtroppo, d’estate la richiesta è

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Formaggi del Caseificio Cooperativa Elvese. talmente elevata che non riusciamo a farlo stagionare di più. In questo momento, però, in cantina abbiamo delle forme che abbiamo prodotto quest’autunno, a fine novembre. In estate produciamo un formaggio simile al Castelmagno, denominato Marmurin». Tome storiche al Caseificio Cooperativa Elvese FULVIO GARNERO è un altro eroe di queste vallate. Intorno ai 1.700 della borgata Serre e fino ai 2.000 metri del crinale che separa Elva da Sampeyre raccoglie il latte che verrà lavorato dal Caseificio Cooperativo Elvese, che ha quasi trent’anni di vita. La comunità elvese ha attuato per secoli un sistema di autoconsumo ed il prodotto principale della economia agricola era il formaggio, la touma empastà, chiamata così a causa della lunga fase di lavorazione. Essendo esigua la produzione giornaliera di latte di cui ogni casa disponeva, tolto il fabbisogno personale, si procedeva alla produzione di cagliata impastandola con quella dei giorni precedenti, talvolta sbriciolando pepe e patate. Il formaggio veniva lasciato stagionare per parecchi mesi e presentava una pasta bianco-giallina compatta con estese chiazze bluastre e dal sapore piccante. Quell’esperienza rivive nella memoria dei più anziani.

Oggi la cooperativa produce anche la Toma di Elva, un formaggio a latte crudo intero con percentuali di grasso record anche del 4%, grazie ai pasti di trifoglio alpino effettuati dalle bovine. Continua così una leggenda: lo spopolamento della montagna ha avuto proprio in queste valli il suo epicentro e nel 1985 Elva conquistò il poco invidiabile primato di comune dal minor reddito pro capite d’Italia. Valle Maira e Valle Grana sono dirimpettaie: qui il Castelmagno, là le tome e l’abbandono demografico ne ha fatto casi da clinica sociologica. La Val Taleggio ed altre valli bergamasche, di cui parleremo nei prossimi numeri, condividono il medesimo destino. Si deve concludere che povertà, crisi demografica e buoni formaggi vanno a braccetto? Riccardo Lagorio La Meiro – Terre di Castelmagno Srl Via Comunale 11 S 12020 Castelmagno (CN) Telefono: 338 6261222 Web: www.terredicastelmagno.com Azienda Agrituristica Sergio Serra Borgata Superiore 12020 Marmora (CN) Telefono: 342 3810180 Caseificio Cooperativo Elvese Borgata Serre – 12020 Elva (CN) Telefono: 0171 997976

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Mohant Dop, il formaggio di Bohinj di Riccardo Lagorio

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lta Carniola, Slovenia nordoccidentale, Bohinj. Evocata a uno sloveno la località farebbe venire subito in mente il formaggio, per merito della lunga storia che lega questa terra alla produzione lattiero-casearia, che si fa risalire al XIII secolo. Anche l’Unione Europea ha preso atto dell’elevato valore storico, culturale ed economico del formaggio di Bohinj, registrando nel 2013 con la DOP il termine Mohant a favore di quest’area. Secondo quanto narrato dalla tradizione, il Mohant viene elaborato in malghe o villaggi lontani da vie di comunicazione o casere con il latte in eccesso che i contadini non riuscivano a piazzare sul mercato. In tempi recenti alcune

argomentazioni storiche riportano la genesi del formaggio Mohant al villaggio di Podjelje, nella bassa valle, dove la famiglia Kejžar, rispettosa delle tradizioni, ne sta facendo rivivere le sorti. Caratterizzanti della produzione di Mohant sono da sempre stati la razza di vacche Cika (si veda in proposito di LAGORIO R., In Slovenia si riscopre la Cika e con lei un saporito pegno d’amore, in EUROCARNI n. 9/2014, p. 61) e il clima, che conferisce ai pascoli (molti dei quali non si sono peraltro sottratti alla pratica dell’abbandono) una ricchezza botanica unica nell’arco alpino. La produzione avviene con il latte di tre munte, parzialmente scremato a mano, non pastorizzato, che viene

opportunamente riscaldato e agitato in continuazione. Raggiunta la temperatura idonea del latte, intorno ai 32 °C, vi si aggiunge caglio di vitello (sino a tempi relativamente recenti autoprodotto con gli stomaci di animali di 3 settimane di vita) e si allontana la caldaia dalla fonte di calore. Il periodo di cagliatura del latte dura dai 20 ai 40 minuti in ragione di variabili come l’umidità, la pressione e la temperatura esterne. Così, ottenuta la cagliata, essa viene rotta con un arnese di legno in dimensioni da chicco di grano e riscaldata sino a 37 °C. Si lascia quindi che la materia grassa cada sul fondo della caldaia e, asportato in parte il siero, si raccoglie la massa inserendola

La chiesa di San Giovanni sul lago di Bohinj, Parco nazionale del Triglav, Slovenia (photo © commons.wikimedia.org).

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Merenda slovena. Il Mohant si distingue per la presenza di tipiche occhiature (photo © merlinandrebecca.blogspot.com). in uno stampo coperto da un panno (štecl). Sino agli anni Ottanta era consuetudine l’uso di fascere di legno da cui si ottenevano formaggi dal peso di circa 2 kg, ma oggi la plastica ha sostituito il legno. Il formaggio è quindi pressato, coperto da un telo di lino e un coperchio di legno sino a che fuoriesce del siero. Solo allora viene salato a secco e girato per tre giorni sulle assi che lo sorreggono. I formaggi ottenuti si inseriscono in un recipiente profondo (žehtnjeki), una sorta di zangola, che può contenere sino a quattro forme, pressate dall’alto per mezzo di un grave, spesso una pesante pietra, in luogo abbastanza caldo (ad almeno 20 °C). Secondo consuetudine lo žehtnjeki era in legno d’abete, ma le imposizioni dell’Unione Europea richiedono strumenti di plastica, scatenando qui come altrove il dilemma mai risolto fra opportunità di salvare la tradizione e inserire elementi di modernità all’interno del ciclo produttivo. Ogni giorno si provvede ad asportare il siero. SIMONA KEJŽAR riferisce che in queste condizioni il Mohant maturava per almeno tre mesi sotto la panca accanto al focolare. Una volta

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che il siero ha smesso di colare, la copertura vien tolta. Durante i mesi estivi il processo di maturazione è più rapido (e richiede sino a 60 giorni), consentendo l’utilizzo di latte intero. Serviranno comunque circa 12 litri di latte per ottenere 1 chilo di Mohant. Al termine della maturazione, il Mohant conquista il consumatore con il suo profumo intenso, distintivo e gusto speziato, dovuti alla decomposizione di albumina in amminoacidi in condizioni anaerobiche. Anche per questa ragione risulta particolarmente digeribile. La pasta è uniforme, parzialmente elastica, non facile da rompere con le dita e può presentare occhiature. Il gusto è saporito, pungente ma non troppo, talvolta con un retrogusto piacevolmente amarognolo. Il colore è giallo scarico. Il recupero del Mohant è pure servito a rafforzare il sentimento identitario della comunità e ha contribuito alla crescita turistica del distretto, che si è ripercossa in maniera positiva nella nascita di aziende agricole. A Bohinj si consuma come accompagnamento a numerosi piatti, ma il modo senz’altro più comune è quello di accompagnarlo alle patate bollite,

di piccole dimensioni e senza toglierne la buccia. Ottima merenda insieme al salame e al lardo locali. Numerose le ricette che hanno impegnato i ristoratori locali nella promozione del Mohant: si va dall’ordinaria torta di patate e Mohant agli involtini di pollo con Mohant in salsa piccante, al Mohant e polenta, ottenuta con una farina di mais vitreo autoctono. Una frontiera ancora tutta da esplorare la sta aprendo NINA KRAIGHER ZUPAN: sua la ricetta che prevede la copertura di palline di Mohant con cioccolato al 70% di purezza e semi di canapa. Piacevole il contrasto che si crea in bocca, interessanti le ripercussioni economiche che potrà avere l’utilizzo del formaggio in pasticceria. Non mancano purtroppo tentativi di imitazione. Come spesso accade, una volta ottenuta la celebrità, alcuni prodotti alimentari vengono copiati o il loro nome è utilizzato impropriamente. Anche per questo l’ottenimento della denominazione di origine europea può servire a contrastare fenomeni che nostro malgrado conosciamo bene in Italia. Riccardo Lagorio

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DOLCI

Non solo cheesecake! La torta al formaggio è la torta del mondo intero È il dolce simbolo degli esperantisti perché la si ritrova in quasi tutte le parti del mondo: una torta comune per una lingua comune. Oggi comunque si identifica soprattutto con gli Stati Uniti, dove spesso viene servita ricoperta da frutti di bosco di Nunzia Manicardi

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opo averne mangiato una fetta si è già sazi. Non potrebbe essere altrimenti, visto che la cheesecake (letteralmente, torta al formaggio) è un dolce (cotto o crudo, ma sempre servito freddo) composto da una base di pasta su cui poggia un strato così alto di crema di formaggio fresco, ricoperto a sua volta da altri ingredienti, che basta una semplice occhiata per

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capire l’effetto “sazietà” che produrrà anche nei più golosi. Questo formaggio poi, una volta spalmato e compresso nella tortiera, nonché messo per un po’ di tempo in frigorifero (meglio se dal giorno prima), diventa così compatto che, anziché del cucchiaio, è preferibile servirsi della forchetta. Si tratta comunque di un dolce buonissimo, oltre che tanto nutriente. Va consumato ovviamente

con parsimonia, non solo per la linea ma proprio per questa sua formidabile potenza casearia. I formaggi che si utilizzano per preparare la crema sono freschi, molto morbidi e spalmabili come il mascarpone, il Philadelphia e simili. In sostituzione si può impiegare la ricotta, con altrettanto ottimi risultati e una carica calorica nettamente inferiore.

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Cheesecake Ingredienti per 6/8 persone Per la base (crust): 250 g di biscotti tipo Graham’s crackers (biscotti di farina bianca e germe di grano; si possono sostituire con biscotti secchi tipo Digestive o di pasta frolla) • 80 g di burro fuso. Per la crema: 500 g di formaggio cremoso spalmabile tipo Philadelphia (si può sostituire con altre marche di formaggio cremoso spalmabile, non salato) • 3 tuorli d’uovo • 3 albumi montati a neve • 125 g di zucchero estratto di vaniglia McCormick. Preparazione Riscaldate il forno a 160 ºC, sbriciolate i biscotti e uniteli al burro fuso amalgamando bene; mettete l’impasto nello stampo a cerniera, senza bisogno di imburrare il fondo, formando una base liscia compatta (in alternativa si può usare uno stampo in silicone o ricoprire con vari strati di carta da forno una teglia tradizionale). Disponete la teglia in forno e fate cuocere la base per 10 minuti. Nel frattempo sbattete con un mixer elettrico il formaggio, i tuorli, lo zucchero e la vaniglia, poi aggiungete delicatamente gli albumi montati a neve e infine versate la crema così ottenuta sulla base già raffreddata. Mettete in forno per circa 30 minuti (ma, attenzione!, il centro della torta deve rimanere morbido). Verificate con uno stuzzicadenti, cercando di non danneggiare troppo il dolce. (www.ciboamericano.it)

Per la base di solito si utilizzano biscotti secchi sbriciolati e poi rimpastati con l’aggiunta di tuorlo d’uovo o burro oppure biscotti inumiditi di caffè, sciroppo o liquore; può essere anche preparata con pan di Spagna o pasta frolla. La ricetta è spesso arricchita con l’aggiunta di frutta fresca, frutta candita, frutta secca o cioccolato sulla parte superiore della torta. La più internazionale delle golosità La torta al formaggio viene identificata oramai abitualmente come una specialità degli Stati Uniti, ma in realtà è un dolce talmente diffuso in tutte le parti del mondo da essere stato adottato dagli esperantisti come loro simbolo con il nome di fromaĝkuko. In questo caso la base è fatta con i waffles al cacao. I waffles, tipici del Nord Europa, sono l’equivalente delle ferratelle abruzzesi. L’esperanto è una lingua artificiale internazionale sviluppata tra il 1872 e il 1887 dall’oftalmologo polacco di origini ebraiche LUDWIK LEJZER ZAMENHOF allo scopo di far dialogare tutte le persone del mondo attraverso una lingua comune appartenente all’umanità intera e non ad un singolo popolo. La torta al formaggio fu scelta come simbolo del movimento esperantista proprio perché è uno dei dolci più comuni al mondo, dato che la si trova in ogni cultura: un dolce comune per una lingua comune. Oggi, poi, ci si sbizzarrisce davvero in un’infinità di ricette perché questo dolce permette di personalizzarle a piacimento, dalle

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versioni più semplici a quelle più raffinate ed elaborate. Torte al formaggio antiche e moderne La torta al formaggio non è soltanto uno dei dolci più diffusi in tutto il mondo ma anche uno dei più antichi. Il primo riferimento letterario, secondo il poeta e filologo greco CALLIMACO (III sec. a.C.), sarebbe da attribuirsi a EGIMIO, autore di un testo sull’arte di fare torte al formaggio. In base ad altri riferimenti storici sappiamo che, nel 776 a.C., nell’isola di Delos (da noi Italiani più conosciuta come Delo, Ndr), in Grecia, veniva servito agli atleti durante i primi giochi olimpici un dolce a base di formaggio di pecora e miele. CATONE IL CENSORE nel De Agri Cultura (del II secolo a.C.) cita la

placenta, un dolce realizzato con due dischi di pasta condita con formaggio e miele e aromatizzata con foglie di alloro. Nella cucina dell’antica Roma si preparava una torta ripiena di miele e ricotta. Alcune ricette richiedevano anche foglie di alloro, che potrebbe essere stato usato come conservante. Tuttora, sia in Grecia (e territori limitrofi) che in Italia, sopravvive la tradizione della torta al formaggio. In Grecia si chiama mizithropita dal nome del formaggio utilizzato (mizithra) e consiste in una miscela di strati di burro con crema di formaggio, anche se in alcune varianti si utilizza la pasta sfoglia. In Italia si utilizza per lo più la ricotta, come nel caso della torta laurina, tipica del Lazio, o della più famosa pastiera napoletana fino ad

Ostkaka, torta al formaggio svedese (photo © alvkarleby.wordpress.com).

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Cheesecake all’arancia. Le varianti di questa torta sono molteplici: dal tipo di formaggio al trito di biscotti utilizzati per la base, dalla guarnizione alla cottura (photo © www.chilichardonnay.nl). arrivare all’altrettanto famosa cassata siciliana e relativi cannoli. Esistono però anche torte italiane al mascarpone o preparate con altri formaggi (come il dolce al formaggio delle province di Bologna e di Ravenna o la torta alla robiola della provincia di Pavia o lo sfigghiu, specialità di Polizzi Generosa, in provincia di Palermo, realizzata con la tuma, formaggio tipico locale). Una varietà mediterranea molto particolare e molto ricca di ingredienti è la kejk bil-ġobon di Malta, con salsa al caramello salato. La base è fatta con tipici biscotti maltesi sbriciolati (figolla e biskuttini tar-raħal) e farina di mandorle. Per la crema si utilizzano ricotta, formaggio spalmabile (secondo la tradizione inglese), zucchero di canna, uova, golden syrup, sale marino e vaniglia e, per la salsa al caramello, panna liquida, burro, zucchero di canna e sale. Non deve meravigliare, del resto, che la torta al formaggio sia diffusa in tutto il mondo perché essa non ha fatto altro che ripercorrere i percorsi plurimillenari della pastorizia

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e dell’allevamento del bestiame, sia esso caprino, ovino o bovino, percorsi che sono praticamente comuni a tutti i popoli della terra. Quindi o sopravvive come dolce della tradizione — come appunto succede in Italia e anche in Europa e negli Stati Uniti, con le inevitabili rivisitazioni legate all’evolversi dei tempi — o ancora, in tante zone, vive come elemento di base della cultura gastronomica tuttora vigente, come succede in molti paesi della Mitteleuropa, dell’Est Europeo e del Vicino e Medio Oriente. In Polonia, per esempio, la sernik è uno dei dolci più popolari. La si prepara utilizzando per lo più twaróg, un tipo di formaggio fresco, al quale spesso viene aggiunta dell’uva sultanina. In Romania la prăjitură cu brânză è tuttora molto popolare: la base si ottiene con una miscela di cuscus bollito, burro fuso, miele di castagno e nocciole tritate; la farcia, con un formaggio di latte vaccino, crema pasticcera e panna montata e la copertura con una crema di castagne bollite. In Bulgaria si usa la crema

di formaggio, spesso con aggiunta di arachidi. In Ungheria la sajttorta, uno dei dolci più presenti a Budapest, si ottiene mescolando del muesli alla base, mentre per la crema si utilizzano formaggio morbido e miele locali oltre a panna da cucina. Ma spingiamoci ancora più in là, addirittura nell’Estremo Oriente. In Giappone le torte al formaggio — con base di amido di mais e uova — includono matcha (polvere di tè verde giapponese), latte e mango, ingredienti che le rendono più delicate, meno dolci, leggere e spugnose. La panira madhye keka è la torta al formaggio tipica del Nepal (in inglese Nepalese layered cheesecake) formata da tre strati di cioccolato (bianco, al latte e fondente) e ricotta di pecora. In Mongolia si utilizza invece il formaggio di yak (lo yak è il “bue tibetano”) mescolato con lo zenzero. Troviamo la torta al formaggio anche nell’America centrale e meridionale dove, come in Brasile e Argentina, di solito è ricoperta da un alto strato di marmellata. Non fa eccezione l’Africa, dal Nord al

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Sud. In Sudafrica la rose cheesecake (chiamata anche kaaskoek in lingua Afrikaans) è un dolce tipico che prevede l’aggiunta di sciroppo di rose (da cui il nome). In Somalia troviamo la doolshaha formaajaha, nella quale la crema e la base sono mescolate insieme con formaggio fresco, zucchero di canna, burro, sale, olio di oliva, acqua, cuscus bollito, latte di capra o pecora, farina e uova. La torta, dopo essere stata cotta in forno, viene divisa in piccoli rombi prima di essere servita. Nonostante questa generalizzata diffusione direi però che la torta al formaggio caratterizzi oggi maggiormente l’area anglosassone e il Nord Europa in genere (senza dimenticare la Francia, a cui la minore altezza — appena 3-5 cm — e la presenza del formaggio neufchâtel conferisce una particolare leggerezza) e, attraverso l’emigrazione, gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda. Prima di addentrarci nelle tradizioni di queste zone va di nuovo ricordato che la torta al formaggio può essere sia cotta che cruda e che in quest’ultima versione compare spesso nei paesi appena menzionati.

Infatti la differenza principale tra la cheesecake inglese e quella americana è che la prima è cruda, mentre la seconda è quasi sempre cotta. In Gran Bretagna la cheesecake è considerata un dolce tipico (viene chiamata anche London cheesecake). La base è fatta con biscotti sbriciolati e burro su cui si mette un alto strato di formaggio fresco, a sua volta sormontato da frutti di bosco. Può anche essere aromatizzata al caffè, tè, cioccolato… Il cheesecake irlandese può contenere fra gli strati una mescolanza di panna e Baileys Irish Cream, un liquore a base di whiskey e crema di latte. Anche in tutta l’Europa centrale e settentrionale la torta al formaggio è un dolce tipico e tuttora molto diffuso. In Germania la käsekuchen prevede l’utilizzo di formaggio quark e la base di pasta frolla. Nella käse sahne torte farcita a freddo con la crema di formaggio. Nei Paesi Bassi e in Belgio viene preparata con cioccolato fuso e una base di biscotti tradizionali, gli speculoos o speculaas. In Svezia la ostkaka, a differenza di quanto visto finora, non è stratificata ed è tradizionalmente prodotta

con l’aggiunta di caglio al latte (ma per accelerare i tempi della preparazione casalinga si utilizza la ricotta, dato che il processo di coagulazione è lungo e complesso). È accompagnata con marmellata e panna con gelato. In Finlandia la juustokakku ilman liivatetta, cheesecake senza gelatina, è torta al formaggio tipica, diffusa soprattutto a Helsinki e dintorni, e servita con una confettura di more e frutti rossi. Nell’interminabile elenco non manca neppure l’Islanda, dove la Reykjavíkurostakaka (cheesecake di Reykjavík) si prepara utilizzando lo skyr, un formaggio morbido a base di latte acido. La stessa torta, con l’aggiunta di cioccolato, diventa la sukkulaðiostakaka e, con l’aggiunta del caffè, la kaffiostakaka. Ma è con l’emigrazione dai Paesi anglosassoni verso i nuovi mondi che la cheesecake è diventata un dolce di moda e oggi addirittura di tendenza. La troviamo perfino in Nuova Zelanda, dove i Māori, che la chiamano purini keke o te tīhi, la preparano con i biscotti neozelandesi Afghan cookies sbriciolati.

Pastiera napoletana, dolce della tradizione legato alle festività pasquali (photo © mividaenunbowl.blogspot.it).

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Speculaas, biscotti tradizionali dei Paesi bassi usati per realizzare la base della cheesecake (photo © Remco Greuting, www.tastespotting.com). È però negli Stati Uniti che la cheesecake ha raggiunto l’apice della sua fama moderna, fino a diventare un simbolo di identità nazionale e ad essere considerata sbrigativamente come “inventata” dagli Americani il che, come abbiamo ampiamente dimostrato, non è affatto vero. Gli Stati Uniti hanno molte ricette diverse della cheesecake a seconda dell’area di provenienza, ma la ricetta di base più attendibile è quella che riportiamo nel box a pagina 111. Tra le varianti dei singoli stati americani ricordiamo la New York cheesecake, cotta in speciali tortiere alte 13-15 cm, di consistenza particolarmente liscia, spesso aromatizzata al limone e ricoperta di frutti di bosco; la cheesecake alla pan-

na acida, che la rende più resistente al gelo (è il metodo con cui sono fatte anche le torte gelato); la cheesecake Pennsylvania Dutch leggermente piccante; la Philadelphia cheesecake, anch’essa molto più saporita di quella nello stile di New York; la Farmer’s cheesecake, spesso cotta in forno con frutta fresca come una normale torta; la buttermilk cheesecake, che comporta l’uso del latticello per ottenere una consistenza compatta, limitando il pH per aumentare la durata di conservazione; la St. Louis gooey butter cake nella versione arricchita con crema di formaggio; la vanilla bean cheesecake, tipica della California. Sintetizzando: quasi tutte le cheesecake moderne e, in particolare,

“La prima menzione ufficiale di una torta al formaggio viene fatta risalire all’antica Grecia, quando veniva servita agli atleti come corroborante. La ricetta fu tramandata ai Romani che la fecero conoscere in tutta Europa, quindi gli immigrati la esportarono in America, dove oggi è simbolo di identità nazionale”

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quelle americane, prevedono l’uso di crema di formaggio e, in particolare, di Philadelphia, mentre nell’Europa centrale e settentrionale si preferisce il formaggio tipo Quark. In Italia, e in altri paesi del Mediterraneo, conservando la tradizione più antica, si adopera invece la ricotta. Queste diverse scelte (non solo tra formaggi e ricotta ma anche tra diversi tipi di formaggio e di ricotta) creano ovviamente notevoli differenze riguardo sia alla consistenza che al gusto della torta e la capacità di amalgamare i sapori degli eventuali altri ingredienti. Se la crema è troppo liquida la torta naturalmente stenta a formarsi e mantenersi; ecco perché si inserisce la gelatina o l’amido di mais. Quando invece si impiega la ricotta si verifica quasi sempre il problema della superficie che tende a spaccarsi una volta che la torta si è raffreddata (ciò è dovuto alla coagulazione delle uova sbattute nella pastella). Per evitarlo si può ricorrere a vari accorgimenti: non togliere subito il dolce dal forno, ma aspettare che il forno si raffreddi per 5 minuti senza aprirlo; lasciare la torta nel forno aperto per 5-10 minuti; metterla in frigo per almeno 3 ore prima di servirla (ancora meglio se la preparate il giorno prima); lasciarla a temperatura ambiente per circa 30 minuti prima di gustarla. Se, nonostante le precauzioni, dovessero verificarsi crepe o rotture, le si potrà “mascherare” coprendo la parte superiore con frutta, panna montata o briciole di biscotto. Un altro problema frequente è che la base di biscotto diventi troppo morbida. In tal caso si può sostituire un quarto dei biscotti sbriciolati con uva e noci. In ogni caso il bello della torta al formaggio è che… la bontà è sempre garantita! Si tratta infatti di uno di quei tipi di dolce dove è possibile verificare il risultato gustativo prima della cottura (tant’è vero che ne esiste anche la versione a freddo). Tutt’al più, quindi, verrà brutta… ma sempre buona! Nunzia Manicardi Nota A pagina 110 cheesecake con lamponi (photo © www.mode.com).

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VINO

Vini ad Arte, anteprima di Romagna di Laura Franchini

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i è svolta il 21 e 22 febbraio scorsi a Faenza l’undicesima edizione di Vini ad Arte, nella sede del MIC-Museo Internazionale delle Ceramiche. Nutrita la partecipazione di addetti ai lavori ma soprattutto di pubblico, accorso numeroso nella giornata di domenica. Organizzatori dell’evento il Consorzio Vini di Romagna in collaborazione con il Convito di Romagna, con il patrocinio di Regione EmiliaRomagna e del Comune di Faenza. Ricca la programmazione degli eventi a contorno, con la 15a edizione del Master del Sangiovese, vinta dal lucchese SIMONE VERGAMINI, il seminario del prof. LEONARDO VALENTI dell’Università di Milano su “Il Sangiovese… quello di Romagna” e il seminario sul mercato dei vini romagnoli negli Stati Uniti, tenuto da GIAMMARIO VILLA, wine educator all’Università di Los Angeles. Certamente il fulcro della

manifestazione è stato l’assaggio in anteprima del Romagna Sangiovese Riserva 2013 e Albana 2014, ben 120. Tante le novità di questa edizione, a partire dalla degustazione tecnica riservata alla stampa che ha messo in assaggio anche l’annata 2012 della Riserva Romagna Sangiovese, con i campioni non ancora presentati alle guide, e la 2008, concessa dalla Riserva Storica dei Sangiovesi. La Riserva Storica nasce a Bertinoro nel 2011, come progetto di conservazione e valorizzazione delle annate storiche del Sangiovese di Romagna, per unire il territorio e mostrare il notevole potenziale evolutivo di questo vino. Una degustazione complessa e quasi provocatoria, che pur nelle difficoltà della giovinezza e delle peculiarità dell’annata 2013, lascia intuire potenzialità e sviluppi, in linea con il notevole miglioramento qualitativo della regione, ormai espressione co-

nosciuta di tipicità. «Siamo contenti del risultato raggiunto e stiamo già progettando la prossima edizione che si svolgerà il 19 e 20 febbraio 2017» ha dichiarato GIORDANO ZINZANI, presidente del Consorzio Vini di Romagna. «La Romagna non può prescindere da questo appuntamento annuale, dove può farsi cogliere in una foto d’insieme orgogliosa, bella e professionalmente impeccabile. Rendere disponibili le nostre nuove annate in anteprima contribuisce a renderci credibili come realtà territoriale e l’aumento di adesioni alle degustazioni da parte della stampa specializzata ci fornisce feedback importanti per indirizzare al meglio la nostra vitivinicoltura. Abbiamo tutti i presupposti per crescere e affermarci: produrre bene, marciare uniti, costruire una narrazione vera, forte, suggestiva di questa nostra grande terra e dei suoi vini».

L’edizione 2016 di Vini ad Arte si è svolta con successo nella sede del MIC a Faenza (photo © Maurizio Magnani). 116

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www.lambrusco.net www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net


Vini Buoni d’Italia 2016: l’unica guida dedicata a vini da vitigni autoctoni Si è svolta lo scorso febbraio, presso il ristorante La Lumira di Castelfranco Emilia (MO), l’annuale presentazione regionale della guida VINIBUONI D’ITALIA – TOURING EDITORE, edizione 2016. Davanti a un pubblico di esperti ed amanti del vino e del gusto, la coordinatrice regionale della guida, LAURA FRANCHINI, ha consegnato i diplomi per i vini che si sono aggiudicati le Golden star della guida. Un premio ambito e conosciuto, che si basa su un processo di selezione a cui prendono parte oltre 80 degustatori riuniti in 21 commissioni di lavoro operanti nelle regioni di competenza. Sempre per mano di Laura Franchini sono stati consegnati anche i diplomi Oggi le Corone le decido io ai vini votati dalle giurie di wine lovers, giornalisti e blogger durante le finali tenutesi a Buttrio. VINIBUONI D’ITALIA – TOURING EDITORE è l’unica guida nel panorama italiano e internazionale dedicata a vini da vitigni autoctoni, cioè a quei vini prodotti al 100% da vitigni che sono presenti nella Penisola da oltre 300 anni. Una guida che vuole sottolineare la tipicità del vitigno e le tradizioni vitivinicole locali, vero patrimonio del nostro Paese. Prima delle premiazioni i presenti hanno potuto approfittare di un ricco buffet preparato dallo chef e titolare del ristorante, CARLO ALBERTO BORSARINI, che ha fatto uscire, tra le tante prelibatezze, anche i suoi famosissimi tortellini in brodo. I protagonisti della serata, i produttori dell’Emilia-Romagna e i vini finalisti, che si sono aggiudicati le Golden Star e le Corone, hanno avuto uno spazio dedicato, con l’allestimento di un banco di degustazione, presenziato dai produttori stessi. Una serata riuscita nei modi e nel gradimento, che ha voluto sottolineare il valore e l’importanza delle tradizioni vinicole e gastronomiche della nostra ricca regione.

Golden star • Sangiovese di Romagna Doc Superiore Riserva Bissoni 2010 (Vini Bissoni) • Emilia Igt Malvasia 2014 (Camillo Donati) • Romagna Doc Sangiovese Bertinoro Riserva Ombroso 2011 (Giovanna Madonia) • Colli d’Imola Doc Pignoletto 2014 (Vini Merlotta) • Romagna Doc Sangiovese Superiore Riserva Terra di Covignano 2012 (Az. Agr. San Valentino) • Gutturnio Doc Frizzante 2014 (Santa Giustina) • Colli Piacentini Doc Malvasia Una 2013 (Torre Fornello) Corone • Romagna Doc Sangiovese Bertinoro Riserva Bissoni 2011 (Vini Bissoni) • Colli Bolognesi Classico Pignoletto Docg 2013 (Cavazza Isolani) • Romagna Doc Sangiovese Predappio Condé 2011 (Condé) • Romagna Albana Docg Secco Codronchio 2013 (Fattoria Monticino Rosso) • Romagna Doc Sangiovese Superiore Riserva Domus Caia 2012 (Ferrucci) • Emilia Igt Rosso Macchiona 2011 (La Stoppa) • Romagna Doc Sangiovese Superiore Fermavento 2012 (Giovanna Madonia) • Lambrusco di Sorbara Doc Rosso Frizzante Leclisse 2014 (Paltrinieri) • Lambrusco di Modena Doc Rosso Frizzante Albone 2014 (Podere Il Saliceto) • Vino da uve appassite Contesse Muschietti 2003 (Az. Agr. San Valentino) Oggi le Corone le decido io • Sangiovese di Romagna Doc Superiore Riserva Bissoni 2010 (Vini Bissoni) • Romagna Doc Sangiovese Bertinoro Riserva Bissoni 2011 (Vini Bissoni) • Romagna Doc Sangiovese Predappio Condé 2011 (Condé) • Romagna Albana Docg Secco Codronchio 2013 (Fattoria Monticino Rosso) • Vino da uve appassite Contesse Muschietti 2003 (Az. Agr. San Valentino)

Vini Buoni d'Italia 2016 Collana Guide Touring Touring Editore 704 pp. – € 22,00 vinibuoni.it

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I VINI DI PREMIATA SALUMERIA ITALIANA

Degustazione: di Laura

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tiamo parlando di uno dei salumi più conosciuti e amati, non solo in Italia. Chi non ha mai sognato (e speriamo anche degustato) una michetta, un panino al latte, un francesino, farcito con alcune fette di profumata mortadella? Protetta dal Disciplinare europeo, la Mortadella Bologna affonda le sue radici nel XVI secolo, mentre la denominazione tipica risale al 1661,

anno in cui il cardinale Farnese pubblicò nel capoluogo emiliano un bando che codificava la produzione di questo salume e anticipava, per certi versi, l’attuale Disciplinare di produzione. Accanto a questa eccellenza regionale, vediamo anche la felice nascita di prodotti diversi, che attingono dalla tradizione della mortadella aggiungendo fantasia, ingredienti e gusti. Troviamo così la mortadella

Ruché di Castagnole Monferrato Docg San Pietro 2014 – Casa Bersano

Rubicone IGT Famoso Monte Sasso 2014 – Cantina Braschi 1949

Colli Bolognesi Classico Pignoletto DOCG – Cavazza Isolani

Azienda vinicola di Nizza Monferrato, la cui storia inizia nel 1935, quando Arturo Bersano prende le redini della cantina, fino ad allora a conduzione familiare. Con la sua gestione le famiglie Massimelli e Soave, da quasi trent’anni titolari dell’azienda, si convincono a consolidare la produzione e la superficie vitata, elevando così l’importanza della cantina. Prodotto con uve Ruché in purezza vinificate in acciaio, questo calice rosso intenso con unghia violacea è carico di note aromatiche e forti ricordi floreali di rose, con contorno speziato a chiusura, di pepe bianco e noce moscata, anice e chiodo di garofano. La sorsata è piena ed armonica, sapida e asciutta, vellutata e lunga. Da gustare preferibilmente giovane, è adatto ad antipasti alla piemontese ma anche ad un piatto di Mortadella di Prato accompagnata con grissini torinesi. Abbinamento trasversale, riuscitissimo.

Cantina Braschi 1949 è gestita da Davide Castagnoli e Vincenzo Vernocchi, che con minuzia valorizzano il contesto di tradizione dell’azienda e del territorio. Sono ben tre le zone che ospitano i vigneti: Tenuta del Gelso a Bertinoro, Podere Montesasso a Mercato Saraceno e Campo San Mamante a Cesena. Questo calice è prodotto con le uve del vitigno Famoso, o Famous, raccolte a mano nella seconda metà del mese di ottobre. Macerano a temperatura controllata per circa 10 giorni e affinano in botti d’acciaio, come il successivo affinamento sui lieviti. Visivamente è di un bel giallo dorato con leggerissimi riflessi verdolini, mentre all’olfattiva è deciso ed elegante di sentori floreali, fiori bianchi e ginestra, con note di erbe aromatiche a completamento. La trama acida è precisa e di buon sostegno, spiccata e affascinante nota minerale. Una sorsata equilibrata ed intesa, armonica e di ottima beva. Se ne consiglia l’abbinamento con aperitivi e piatti di pesce o con la classica mortadella con pistacchi, accompagnata di piadine calde.

Questa azienda agricola, che affonda le sue radici nella metà del ‘400, si estende intorno al Palazzo Isolani, costruito dalla famiglia senatoria Casali inglobando la torre matildica dell’XI sec. che faceva parte del complesso difensivo della città di Bologna. Un documento del 1456 menziona l’esistenza di vigneti nella tenuta. Le Cantine di Montevecchio, scavate a colpi di piccone nella roccia arenaria alla fine del ‘500 durante la costruzione del palazzo, da allora custodiscono i vini pregiati dell’azienda. Il Pignoletto classico è brillante, per colore e carattere, si apre solare, come un primo raggio di una bella mattinata primaverile. Il naso è allegro e pieno: note pulite e limpide di pera, menta e ortiche di marzo, mallo di noce italiana e noce brasiliana, erbe alpine e fieno, pistacchio e pepe rosa. Al palato non delude, ben sostenuto da una buona spalla fresca, è circolare, sapido in armonia ed elegantissimo. Ideale per gli aperitivi, sosterrà perfettamente una ricca frittura, ma fosse in voi lo accompagnerei con una bolognesissima mortadella artigianale.

Bersano Vini Spa Piazza Dante 21 14049 Nizza Monferrato (AT) Telefono: 0141 720211 wine@bersano.it

Cantina Braschi 1949 Via Roma 37 47025 Mercato Saraceno (FC) Telefono: 0547 91061 info@cantinabraschi.com

Montevecchio Isolani Via San Martino 5 40050 Monte San Pietro (BO) Telefono: 051 231434 – 051 6766820 vini@montevecchioisolani.it

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vino e mortadella Franchini al tartufo, al peperoncino, quella prodotta con l’aggiunta di aglio e spezie. Sono diversi i produttori che propongono interpretazioni svariate e originali. Una menzione particolare va fatta per la Mortadella di Prato, presidio Slow Food, che recentemente ha ottenuto l’IGP. Un salume “povero”, la cui lavorazione prevede di sottoporre le carni a forte speziatura con pepe nero macinato e in grani, sale, polpa

d’aglio pestato, coriandolo, cannella, chiodi di garofano e aromatizzazione con alchermes. Riscoperta a partire dagli anni ‘90, la Mortadella di Prato viene ora prodotta da tre aziende, tra Prato e Agliana. Ovviamente l’aromatizzazione influisce sull’abbinamento col vino, motivo per cui abbiamo scelto prodotti diversi per diverse destinazione ed unico fine: il piacere del gusto (illustrazioni di MatitaChiara).

Lambrusco di Modena L’Albone Podere Il Saliceto

Vernaccia di San Gimignano DOCG Fiore 2013 – Montenidoli

Chianti Classico DOCG 2012 Le Cinciole

Siamo sulle sponde del Secchia, una zona unica per clima e terreni, rubati nei secoli alle piene del fiume, che contribuiscono alla peculiarità delle uve. Gian Paolo Isabella e Marcello Righi lo sanno bene e, nonostante la giovane età, seguono direttamente vigne e vinificazioni con polso e determinazione. L’Albone è prodotto con uve di Lambrusco Salamino, vendemmiate manualmente, immediatamente diraspate e pigiate. Prima che la fermentazione alcolica inizi, si eseguono dei délestage a freddo; una procedura che permette di estrarre tannini morbidi e colore; dopo 4 giorni si tolgono le bucce, il mosto viene filtrato e inoculato con lieviti selezionati. Segue la fermentazione a temperatura controllata in autoclave. Successivamente si stabilizza a freddo e si microfiltra prima di imbottigliare. Al naso si apre ampio e davvero tanto, tanto tipico di vinosità, mirtilli e rose rosse. Ottima la sorsata, morbida, con una bella frequenza acida, armonica, tradizionale. Bevibilità eccellente. Consigliato con gnocco fritto e salumi, assolutamente con la mortadella.

Da oltre quarant’anni Elisabetta Fagiuoli e Sergio Muratori curano con amore i vigneti e la produzione di questa cantina sita a Montenidoli, San Gimignano. Alla Vernaccia, vitigno tradizionale del territorio, i titolari dedicano ben tre espressioni diverse: la Vernaccia tradizionale vinificata con le bucce, tipica e adatta alla cucina mediterranea a base di olio; la Vernaccia Fiore maturata sui lieviti, fine ed elegante, adatta all’alta cucina, e la Vernaccia di Carato che riposa 12 mesi in barrique. Noi abbiamo scelto la seconda, la Vernaccia Fiore. Vinificata in acciaio, alla degustazione si apre con grande eleganza. Sono note fiorite con tinte speziate leggere a condurre le danza, su un’armonia completa e fiera. Adatta a piatti delicati e carni bianche, a pesce cotto al vapore e aperitivi leggeri, non sottovalutate la possibilità di abbinare un panino al latte con una fetta di mortadella. Una signora merenda.

Valeria e Luca Orsini sono i titolari di questo podere, che si estende per 30 ettari nel centro dell’area geografica denominata “Chianti”. Il Chianti classico Le Cinciole è ottenuto da uve Sangiovese con una piccola percentuale di Canaiolo, elevato prevalentemente in botti di rovere di media capacità. Le uve selezionate vengono vendemmiate a mano e, dopo essere state diraspate e delicatamente pigiate, vengono vinificate in tini di cemento per 15 giorni. Durante il naturale svolgimento della fermentazione alcolica i mosti vengono continuamente controllati al fine di non superare i 28 °C. Si procede alla svinatura e al trasferimento in altri tini per lo svolgimento della fermentazione malolattica che generalmente si conclude entro la fine di dicembre. Successivamente il vino viene travasato in botti di rovere francese, dove trascorre circa 12 mesi di invecchiamento. La degustazione è convincente, il calice è tipico e aggraziato, con decise note fruttate e complessità di naso adeguata, ottima beva. Da provare con la Mortadella di Prato.

Podere il Saliceto Via Albone 41011 Campogalliano (MO) Telefono: 349 1459612 podereilsaliceto@katamail.com

Azienda Agricola Montenidoli Località Cortennano 53037 San Gimignano (SI) Telefono: 0577 941 565 www.montenidoli.com

Le Cinciole Soc. Semplice Agricola Via Case Sparse 83 50022 Panzano in Chianti (FI) Telefono: 055 852636 info@lecinciole.it

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TECNOLOGIE Il concetto di Internet of Things approda nel settore carne

Con il CSB-System verso la Smart Meat Factory: incontriamoci a IFFA!

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maggio, come di consueto ogni tre anni, si svolgerà a Francoforte, in Germania, IFFA, fiera internazionale tra le più attese da tutte le aziende che operano nel settore dell’industria delle carni, perché piattaforma ideale per conoscere e presentare nuovi prodotti ad un pubblico internazionale di addetti ai lavori. Anche il gruppo aziendale CSB-System, specializzato nel fornire soluzioni gestionali com-

plete e modulari per l’intera filiera delle carni, sarà presente tra gli espositori al padiglione 11.1, stand B-81, con il motto “Global IT Excellence for the Smart Meat Factory”. Nello specifico saranno presentate le più innovative soluzioni di elaborazione per immagini e di automazione per la produzione del futuro, verso una trasformazione digitale. «Il settore internazionale della carne attende con ansia IFFA 2016, perché qui si

concentrano nuove idee, progetti e trend per i prossimi anni» spiega SARAH VANESSA KRÖNER, membro del consiglio di amministrazione del gruppo CSB-System. «Coglieremo quest’opportunità per mostrare ai visitatori del nostro stand approcci concreti per la graduale realizzazione della Smart Meat Factory, vale a dire una fabbrica con sistemi di produzione intelligenti nella quale macchine, impianti e

Grafico della Smart Meat Factory.

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Haripro, leader in Italia nella produzione di proteine e aromi naturali, fornisce le piĂš importanti aziende produttrici di ingredienti per la salumeria. Haripro grazie ad una continua ricerca, ha sviluppato negl'anni prodotti sempre piĂš all'avanguardia, come proteine funzionali ed aromi naturali anallergici ad alto valore nutrizionale. Haripro is a leading producer of proteins and natural flavours in Italy. It supplies the most important Companies which blend ingredients for the meat industry. Haripro, thanks to a continuous research, had developed through years more advanced products like functional proteins and hypoallergenic natural flavours with high nutritional value.

spa

41057 Spilamberto (Modena) - Italy - via Ghiarole, 72 - Tel. +39 059 78 41 11 - Fax +39 059 78 37 47 www.haripro.it e-mail info@haripro.it


prodotti comunicheranno tra loro, laddove oggi gli impianti vengono ancora gestiti centralmente». Ruolo centrale invariato per il sistema ERP «Ma attenzione! Anche nell’epoca della Smart Meat Factory — precisa Kröner — il sistema ERP manterrà il suo ruolo di colonna portante tecnico-informatica dell’azienda». Il gestionale ERP sviluppato dal gruppo CSB-System gestisce senza ridondanze non solo le anagrafiche e i dati relativi ai movimenti ma anche i dati su produzione, macchine e processi. In questo modo viene consentito un utilizzo coerente dei dati lungo l’intera filiera: dal Customer Relationship Management alla pianificazione della produzione, dalla preparazione ordini al Business Intelligence. La transizione verso lo stabilimento che lavora autonomamente favorisce soprattutto l’integrazione del sistema ERP e del Manufacturing-Execution-System; fa in modo che si crei un legame tra gestione aziendale e gestione della produzione e che venga facilitato il collegamento in rete macchina verso macchina. Il CSB-System è disponibile anche tramite “Cloud” per tutti coloro che non vogliono occuparsi dell’infrastruttura tecnologica ma dedicarsi quasi esclusivamente al core business della propria azienda. Automazione completa con CSB-Vision I sistemi automatizzati per l’elaborazione di immagini saranno presentati allo stand D-70, padiglione 11.1 e giocano anch’essi un ruolo centrale nel contesto di Internet of Things. Le richieste di consumatori e catene commerciali su sicurezza e qualità dei prodotti di carne sono elevate. A tale proposito, la linea di produzione CSBVision fornisce un prezioso supporto perché è stata sviluppata proprio per ottimizzare l’utilizzo delle materie prime; funzione particolarmente importante nel settore carne, perché qui i costi dell’impiego di materie prime sono più elevati che in tutti gli altri settori. Inoltre, grazie al processo di analisi e valutazione totalmente automatizzato, aumenta la quantità dei prodotti finiti e viene incrementata la

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In alto: evasione ordini con sorter. In basso: CSB-Eyedentifier. creazione di valore aggiunto. Un esempio di nuove possibilità di elaborazione per immagini è la classificazione visiva ed igienica della classe commerciale suina con automatizzazione completa del processo.

Qui tutte le informazioni importanti vengono direttamente documentate nel gestionale ERP CSB-System. Avveniristici sono anche l’identificazione, lo smistamento e la destinazione automatizzata degli articoli

“Il settore internazionale della carne attende con ansia IFFA 2016. Global IT Excellence for the Smart Meat Factory è il motto con cui il gruppo aziendale CSB-System sarà presente a Francoforte tra gli espositori al padiglione 11.1”

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Tracciabilità con smartphone. tramite l’analisi per immagini, come in uscita sezionamento o in entrata produzione e nella classificazione della qualità delle materie prime. A differenza dei controlli manuali spesso errati, invasivi e a volte poco igienici, questa soluzione garantisce una misurazione regolare e costante della qualità. CSB-Linecontrol per produzione e imballaggio sempre sotto controllo «L’esperienza ci insegna che le combinazioni di macchine sono in crescita, le loro differenti prestazioni in ambiente eterogenei, tuttavia, risultano spesso poco trasparenti all’utente. I possibili punti deboli nei processi produttivi e di imballaggio si moltiplicano con conseguente produzione di scarti e quindi di costi» spiega il dott. ANDRÈ MUEHLBERGER, responsabile della filiale italiana del gruppo CSB-System. «È chiaro, dunque, perché abbiamo deciso che il terzo fulcro tematico ad IFFA 2016 saranno le nostre soluzioni integrate per l’automazione di produzione e intralogistica». Al centro vi sono soluzioni con un elevato grado di integrazione e automazione: dal nuovo tipo di gestione magazzini automatici, alla preparazione ordini flessibile e totalmente automatizzata nello spazio più ristretto, fino alla gestione efficiente di macchinari e impianti.

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Per collegare in rete in modo ottimale le macchine per la produzione ed il confezionamento, secondo il concetto di Internet of Things, è a disposizione il cosiddetto CSBLinecontrol. Con il cockpit è possibile monitorare in modo continuo macchine e impianti e sfruttarli al meglio, riducendo al minimo le sospensioni della produzione e i tempi di fermo. L’efficienza degli impianti rimane quindi ad un livello costante «come verrà mostrato allo stand IFFA della Robotik-Pack-Line» conclude Muehlberger, quasi per esortare i visitatori a visitare gli stand del gruppo CSBSystem.

Referente Italia: • Dott. A. Muehlberger CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (Verona) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

SAN BONO S.r.l. Via A.Vaccari n. 28/30 29028 Ponte dell'Olio - PC

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LIBRI

Salumi al cinema Nella sua opera “Mangiafilm”, Salvatore Gelsi mette a disposizione del lettore una gustosa dispensa di citazioni, battute, curiosità, scene, racconti, piatti, vini, ricette, frutto di una ricerca decennale su cinema e pubblicità, televisione e rete, mode e consumi di Giovanni Ballarini

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l cinema, con i suoi centoventi e più anni di vita, è una preziosa vetrina delle abitudini alimentari, insieme ai suoi stili, opinioni, idee e ideologie, buone e cattive, spunti di pensieri, massime, aforismi che sono divenuti parte del linguaggio popolare. Come decima arte, il cinema costituisce una fondamentale documentazione di come mangiamo, un indispensabile mezzo d’educazione alimentare e un efficace strumento di critica gastronomica. Attraverso il cinema, il cibo è guardato, citato, spiegato, assaporato, non solo come simbolo o segno che rinvia a un significato, ma attraverso i sensi che vanno a definire le forme del racconto, del visibile, della materialità. Nei film, il visibile del cibo, negli ultimi decenni esaltato dal colore, trasmette elementi significanti verso l’atto del mangiare e del bere. Anche con il documentario e il cortometraggio il cinema ci fa vedere il cibo e il bere in tutti i suoi aspetti, ci fa conoscere luoghi, realtà, storie del passato o racconti lontani, tradizioni e scoperte, personaggi sconosciuti che non rinunciano alla vita, cioè al mangiare e a bere, perché vivere bene è mangiare e bere bene, non importa cosa e dove. Ogni frequentatore di sale cinematografiche e ora anche di film trasmessi in televisione non ha difficoltà a ricordare questo o quel cibo, ma anche a riconoscere che talune abitudini alimentari sono state diffuse o messe in berlina dal cinema. Dai documentari di MARIO SOLDATI (“Alla ricerca dei cibi genuini. Viaggio nella valle del Po”, in onda

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Maddalena, operaia in un’azienda di salumi, raggiunge negli Stati Uniti il fidanzato Michele, ma viene fermata alla dogana perché non vuole separarsi dalla mortadella regalatale dagli ex colleghi e non importabile a causa delle leggi statunitensi. Questo l’incipit del film “La Mortadella” diretto nel 1971 da Mario Monicelli e interpretato da Sophia Loren e da Gigi Proietti (in alto, la locandina del film illustrata dal grafico Raymond Savignac © www.pinterest.com).

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dal 3 dicembre 1957), agli spaghetti di TOTÒ e di ALBERTO SORDI, a La Grande Abbuffata di MARCO FERRERI (1973) fino a Il pranzo di Babette di GABRIEL AXEL (1987), arriviamo ai recentissimi Il pianeta che ci ospita di ERMANNO OLMI (2015), Le ricette della signora Toku di NAOMI KAWASE (2015) e Il sapore del successo di JOHN WELLS (2015). Miti alimentari nel cinema L’invenzione della pellicola cinematografica risale al 1885 con una ripresa di tre secondi, ma è soltanto il 28 dicembre 1895 che i fratelli LOUIS e AUGUSTE LUMIÈRE mostrano al pubblico del Gran Café del Boulevard des Capucines a Parigi, grazie ad un apparecchio da loro brevettato chiamato cinématographe, un cortometraggio di quaranta minuti in cui una famiglia fa colazione, il papà imbocca il bambino e la madre beve un caffè. Le torte in faccia — una classica gag del cinema muto — compaiono solo nel Mr. Flip di GILBERT M. “BRONCHO BILLY” ANDERSON (1909). Salumi nei film Salumeria e salumi non mancano al cinema, iniziando dalla salumeria di Felicita Colombo (Felicita Colombo, MARIO MATTOLI, 1937). La salumeria di Felicita va a gonfie vele, ma la figlia è innamorata di un conte squattrinato e potrà sposarsi solo quando la futura sposa rinuncerà alla sua attività “poco nobile”, ma redditizia. Alla fine sono i salami e i prosciutti che vinceranno. Se non proprio salumiere, ma grande esperto di culatelli, Pippo Campanini entra nella Strategia del ragno (BERNARDO BERTOLUCCI, 1970). Molte le presenze cinematografiche del prosciutto, anche nella versione spagnola di jamón (Prosciutto, prosciutto di BIGAS LUNA, 1992) o della mortadella, iniziando da quella che Sophia Loren

porta con sé in America (La Mortadella, 1972, di MARIO MONICELLI) a quella su cui siede VALERIA MARINI (Bambola di BIGAS LUNA, 1997). Infine, La Felicità non costa niente (2002) di MIMMO CALOPRESTI, nel quale il protagonista, alla ricerca della felicità dopo un incidente, comprende, grazie ad un sogno in cui assaggia un panino al salame, quanto poco ci voglia per essere felici. Un’opera indispensabile per cinefili e gourmet Per conoscere i complessi, complicati e profondi rapporti che vi sono tra cibi, cucina, gastronomia e cinema è oggi indispensabile il grosso volume di SALVATORE GELSI dal titolo significativo Mangiafilm, un’enciclopedia o, meglio, un dizionario enciclopedico, che forma il più ampio ed esaustivo osservatorio dello specifico visibile dell’atto del mangiare e del bere che passano nel cinema italiano e mondiale. Un lavoro di raccolta e di critica veramente potente, che riguarda 4.000 film, 700 voci, 25 schede-ritratti di registi, generi, attori. Un’assoluta novità nella quale sono classificate le oltre 300 opere (film a soggetto, documentari, cortometraggi) che rimandano alla questione del cibo. Anche per la salumeria, Gelsi mette a disposizione del lettore una gustosa e ricca dispensa di citazioni, battute, curiosità, scene, racconti, piatti, vini, ricette, frutto di una ricerca decennale su cinema e pubblicità, televisione e rete, mode e consumi, lungo un filo che si dipana nel-la storia dell’immagine e dell’immaginario dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. Esaminando le parole, le metafore e i simboli che hanno segnato il passaggio dalla civiltà contadina a quella delle trattorie e dei ristoranti, dalla cucina di casa a quella dei con-

SALVATORE GELSI Mangiafilm – Dizionario enciclopedico della cucina al cinema Edizioni Tre Lune, 2015 548 pp. – € 22,00 test e dei grandi chef, l’autore riflette su quanto i media siano specchio e schermo delle nostre abitudini e dei nostri desideri, come i piaceri e i bisogni ne siano condizionati nell’atto della rappresentazione, come i nostri sensi ne siano inevitabilmente stimolati. A portata di telecomando si possono trovare oltre settanta programmi TV che insegnano a cucinare, fanno giocare, intrattengono con reality e teller. Sul computer si possono consultare un milione di siti dedicati a vini e cibi da tutto il mondo o incappare in decine di migliaia di blogger che preparano, consigliano e discettano attorno a una cucina virtuale. Probabilmente il cibo ci sta cambiando e divorando. Intanto buon appetito... o buona visione. Prof. Em. Giovanni Ballarini Università degli Studi di Parma

Salvatore Gelsi è un sociologo della comunicazione nei media, in particolare nel cinema, che da tempo ricerca i collegamenti tra il cinema e l’alimentazione, il vedere al mangiare, con risultati confluiti poi in fortunati volumi pubblicati da Tre Lune e in seguito tante volte imitati e spesso saccheggiati (anche nei titoli): Ciak si mangia (2000), Lo schermo in tavola. Cibo, film e generi cinematografici (2002), A tavola con Hitchcock. Film e ricette di un grande gourmet (2004). Tra le sue pubblicazioni: Zucca e tortelli. Archeologia, mito, storia (1998), Lo schermo dell’architetto (2007), A pelle nuda. Corpo, sesso e pornografia nel secolo del cinema (2013), l’e-book Click, la multimedialità (2014). È tra i fondatori e organizzatori del Mantovafilmfest.

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L’Italia del buon cibo

Agricoltura e Alimentazione in Emilia-Romagna

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ell’Italia del buon cibo, l’Emilia-Romagna rappresenta un’eccellenza nell’eccellenza, essendo una delle regioni che più si distingue per la vocazione enogastronomica e per quella cultura agroalimentare che, del cibo, è riflesso e presupposto essenziale. I saperi che si celano dietro a una così lunga e prestigiosa tradizione di sapori sono molto antichi e stratificati. A rileggerne la storia, attraverso gli antichi testi, è nato questo progetto editoriale curato dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna. Per quanto ci si possa attendere dalla patria della buona tavola, la prima reazione che si ha sfogliando le pagine di agricoltura e alimentazione in Emilia-Romagna è di meraviglia: gli antichi testi manoscritti e a stampa che sono stati riscoperti nelle biblioteche e nei più importanti archivi da Piacenza a Rimini hanno restituito una straordinaria ricchezza di notizie, curiosità, storie e immagini, un vero e proprio forziere di tesori celati attraverso il quale ripercorrere le origini del gusto e dell’immaginario di un intero territorio. Le sette sezioni dell’opera — Manuali e trattati, Libri di sanità, Dissertazioni, Ricettari e “libri di casa”, Leggi e disposizioni, Lunari e almanacchi, Arti e letteratura — offrono altrettanti punti di vista attraverso cui osservare il variegato universo della produzione e della consumazione del cibo. Le colture caratteristiche, le tecniche di produzione, le tradizioni agricole e alimentari, la legislazione, le credenze pagane e i riti ancestrali sopravvissuti nel mondo rurale, la gastronomia e l’arte del banchetto nelle

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corti dei grandi signori, la letteratura giocosa e l’arte della rappresentazione del cibo, l’uso medico di erbe e preparati, i ricettari dei nobili e i primi “libri di casa” per tutti, queste e tante altre notizie trasformano la lettura in un vero e proprio viaggio di scoperta “gastronautica”. L’arco cronologico contemplato si estende dai primi testi sull’argomento (sec. XIII-XIV) fino alla fine del XIX secolo-inizi del XX, con molte incursioni in avanti e all’indietro, mantenendo una rigida osservanza al piacere della scoperta. Si passa così dall’approfondimento sulla coltivazione degli ulivi nella bolognese Val d’Amone, all’esportazione della salsa di pomodoro di Imola nelle Americhe, al divertentissimo “Testamento del porco” in cui l’animale per eccellenza dispone che il suo corpo sia di una caterva di golosi con varia cuocitura nel lor ventre sepelito, e via fino alla vivanda alla hebraica a base di carne di vitello preparata secondo la ricetta del cuoco estense CRISTOFORO MESSISBUGO, e ancora alla Salameide, poema rusticale dalle ambigue assonanze virgiliane. Il corredo iconografico, quasi del tutto inedito, si ritaglia a buon diritto un ruolo da protagonista per varietà e raffinatezza. Basti citare, ma non è sufficiente, le superbe incisioni di ANNIBALE CARRACCI e quelle del valente GIUSEPPE MARIA MITELLI con la rappresentazione dei mestieri oggi dimenticati (dal venditore ambulante di agli e cipolle a quello di marroni alessi) che ci mostrano uomini chini sotto il peso di ceste e canestri, e che così bene restituiscono l’anima verace e robusta di un popolo che deve tutto alla terra. E che alla terra tutto restituisce, con il rispetto dei tempi e dei modi del “trarre frutto”, con

ZITA ZANARDI (A CURA DI) Agricoltura e alimentazione in Emilia-Romagna Antologia di antichi testi Edizioni Artestampa 392 pp. – € 30,00 la competenza affinata nei secoli e anche, non ultimo, con il tributo dei documenti: più sobri, ma non meno nobili, monumenti. Chi è la curatrice ZITA ZANARDI lavora da molti anni presso la Soprintendenza per i Beni librari e documentari dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e si occupa da sempre della catalogazione e valorizzazione del patrimonio librario antico conservato nelle biblioteche del territorio regionale, con particolare attenzione per le raccolte di materiali cosiddetti “effimeri” (bandi, editti, manifesti) e per i fondi antichi degli enti religiosi (monasteri, seminari ecc…), come testimoniano alcuni dei cataloghi (soprattutto di incunaboli e cinquecentine) da lei curati.

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Il profumo della tradizione, il gusto della qualitĂ .

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