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Speciale pasta Pasta, il rischio tangibile dello scaffale vuoto Guido Guidi

Veroni Salumi lancia Briosa, mortadella con carne di prosciutto e guanciale ma soprattutto meno grassi e sale del salume tradizionale

Veroni Salumi ha iniziato il 2022 con una novità dedicata agli appassionati della mortadella: la Briosa, preparata con carne di prosciutto e guanciale. Una ricetta studiata dalla storica azienda emiliana per offrire uno dei salumi più amati in una variante all’avanguardia dal punto di vista nutrizionale: la Briosa contiene infatti il 40% in meno di grassi e il 30% in meno di sale e calorie rispetto alla mortadella Bologna IGP.

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Il salumifi cio Veroni si è da sempre contraddistinto per la produzione di mortadelle di alta qualità, una passione trasmessa di generazione in generazione all’interno della famiglia Veroni. La Briosa va ad arricchire l’offerta di questa specialità con un prodotto che soddisfa i bisogni di consumatori sempre più attenti ad un’alimentazione sana ed equilibrata ma che, allo stesso tempo, non rinunciano al profumo e al gusto distintivo del celebre insaccato. «Ci siamo concentrati sul salume che più ci rappresenta per proporre al mercato una variante innovativa, frutto del connubio tra la nostra esperienza quasi centenaria e la costante attività di ricerca e sviluppo», spiega Emanuela Bigi, marketing manager di Veroni. «Il risultato è una mortadella che incontra le esigenze alimentari del consumatore di oggi, sempre più consapevole di quello che porta in tavola».

La parte magra della nuova mortadella Veroni è realizzata con carne di prosciutto, mentre per i lardelli è utilizzato il guanciale. Insaporita da una miscela di spezie selezionate, la Briosa garantisce un alto contenuto di proteine a fronte di un minore apporto di calorie, grassi e sale. Il nome scelto gioca con l’aspetto emozionale della mortadella, un salume associato all’allegria, e con le caratteristiche che rendono questa variante più leggera.

Sin dalla sua fondazione nel 1925, il salumifi cio emiliano ha fatto della mortadella il suo punto di forza. Già negli anni Trenta è stato il primo a produrre in Italia le mortadelle di grandi dimensioni e il Guinness dei primati, ottenuto nel 1996, è la prova della grande passione della famiglia Veroni. Fedele alla tradizione ma con uno sguardo attento al futuro, l’azienda ha selezionato per la Briosa solo ingredienti di alta qualità e di fi liera tracciata. La lenta cottura nei tradizionali forni di mattoni ne assicura il gusto delicato e la morbidezza tipica della mortadella. La Briosa conferma l’impegno del salumifi cio nel proporre prodotti all’avanguardia a livello nutrizionale. Un passo importante in questa direzione è il recente lancio della linea BrioBrain, la colazione salata sviluppata con la consulenza di una nutrizionista per garantire il corretto mix di carboidrati, proteine e grassi buoni sin dal mattino. Per questa linea, composta da 4 referenze, Veroni ha scelto salumi ricchi di proteine e poveri di grassi come il prosciutto crudo, il cotto, la fesa di tacchino e la nuova mortadella Briosa per farcire una brioche integrale salata o un gnocchino. La Briosa è disponibile al banco salumi dei negozi al dettaglio e si aggiunge come nuova referenza alla linea “Gli Affettati Nature”, una selezione delle specialità della tradizione italiana proposte in vaschette eco-friendly in carta certifi cata FSC e con il 75% di plastica in meno rispetto ai tradizionali pack Veroni.

>> Link: www.veroni.it

Pasta,

IL RISCHIO TANGIBILE DELLO SCAFFALE VUOTO

Prima la pandemia, poi il rincaro delle materie prime alimentari e non, e ora la guerra, in una escalation senza fi ne. L’abbiamo ripetuto spesso negli ultimi due anni, ma mai ci saremmo aspettati che le cose si aggravassero ulteriormente in maniera così drammatica

di Guido Guidi

L’agroalimentare italiano, che solo qualche settimana fa festeggiava il superamento dello storico traguardo dei 50 miliardi di euro di export e un rimbalzo del PIL che non si vedeva da decenni, non solo deve fare i conti con l’incremento dei costi di produzione, già divenuti insostenibili a fi ne anno, ma anche con un confl itto bellico dalle innumerevoli conseguenze economiche e fi nanziarie che saranno in molti a pagare, non solo Ucraina e Russia

La pandemia prima e le tensioni nell’Est Europa poi, ci hanno dimostrato quanto siamo interconnessi e quanto sia necessario ritagliarsi uno spazio che garantisca una certa autonomia produttiva ed energetica. Stavamo andando verso la Rivoluzione verde, oggi siamo chiamati ad uno stop per tamponare una situazione senza precedenti. La storia ci sta presentando il conto

Ècomplesso rappresentare una situazione defi nita in un momento di forte evoluzione come quello che stiamo vivendo. Certamente una fase storica senza precedenti nell’ultimo secolo. Si rischia di dare informazioni ormai superate, perché le novità sono all’ordine del giorno.

L’agroalimentare italiano, che solo qualche settimana fa festeggiava il superamento dello storico traguardo dei 50 miliardi di euro di export e un rimbalzo del PIL che non si vedeva da decenni, non solo deve fare i conti con l’incremento dei costi di produzione, già divenuti insostenibili a fi ne anno, ma anche con un confl itto bellico dalle innumerevoli conseguenze economiche e fi nanziarie che saranno in molti a pagare, non solo Ucraina e Russia.

Come sottolinea anche l’ISMEA in un comunicato, “lo scoppio del confl itto si è innanzitutto inserito in un contesto di tensioni sui mercati dei cereali come non si vedeva dalla precedente crisi dei prezzi del 2007-2008. Tensioni scatenate da un insieme di fattori di tipo congiunturale, geopolitico e non ultimo speculativo, che rendono l’Italia particolarmente vulnerabile in ragione dell’alto grado di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti di grano e mais”.

Sarebbe forse affrontabile un problema di questo genere, se non fosse che il Belpaese ha la Russia tra i principali clienti del comparto agroalimentare e vede così chiudersi un mercato profi cuo e remunerativo, sul quale si era anche investito nei decenni. L’Italia è il settimo fornitore agroalimentare della Russia, dove esporta soprattutto vini e spumanti, caffè e pasta, mentre come Paese acquirente scivola nella classifi ca al 33o posto.

Siamo invece il secondo fornitore di prodotti agroalimentari di Kiev e al decimo posto tra i Paesi clienti. Anche in questo caso esportiamo soprattutto prodotti ad alto valore aggiunto come vino, caffè e pasta, mentre acquistiamo dall’Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, mais (il 13% in volume delle forniture provenienti dall’estero nel 2020) e frumento tenero (5%).

Sempre secondo ISMEA, frumento tenero, frumento duro e mais hanno raggiunto in Italia e all’estero quotazioni mai toccate prima. Il grano duro ha segnato nel nostro Paese la sua massima quotazione di sempre nelle scorse settimane, dovuta soprattutto al vuoto nell’offerta, venutosi a creare dopo il crollo dei raccolti in Canada (–60%, principale esportatore mondiale) e il calo di altri importanti Paesi produttori. Ma non sembra arrestarsi.

Nelle forniture globali di grano duro, il ruolo degli Stati direttamente coinvolti dal confl itto oppure rientranti geografi camente o politicamente nell’orbita russa è risibile, poiché la produzione è concentrata soprattutto in Europa, Canada, USA, Turchia e Algeria. Ma rimane il problema del frumento tenero, dove invece le quote russa e ucraina sulla produzione mondiale sono del 14% circa, pertanto lo scontro si sta riverberando in maniera decisa sulle principali piazze di scambio internazionali e sui mercati dei futures.

Per il mais il problema è ancora diverso, perché i rialzi si sono generati a seguito dell’impennata della domanda cinese, legata al riavvio della produzione suinicola all’indomani del dilagare della peste suina. A tutto questo si sommano rincari e speculazioni dovute al clima di incertezza che regna sovrano.

Quanto descritto sarebbe di per sé motivo di grande sconforto, se non si aggiungesse a tutto questo l’aumento della stragrande maggioranza delle materie prime e, in cima e trasversalmente, un’impennata senza precedenti di energia elettrica e gas. I prezzi erano già alle stelle prima dell’inizio del confl itto, facendo segnare, secondo l’ISTAT, l’infl azione a febbraio a quota 5,7% su base annua, il massimo storico dal 1995. Non c’era da aspettarsi nulla di diverso visto che, in un valzer di rincari e di numeri che si rincorrono, tra ipotesi e dati certi, i beni regolamentati quali energia elettrica e gas, su 12 mesi, registrano un aumento del 94%, falciando indistintamente famiglie e imprese, in un circolo vizioso e nefasto per tutti.

L’Unione nazionale consumatori stima un aumento dei costi complessivi medi per famiglia di 1.668 euro, che vanno oltre i 2.000 euro per un nucleo familiare composto da marito, moglie e due fi gli e a 2.127 euro per una coppia senza fi gli con meno di 35 anni. Se non dovesse verifi carsi un’inversione

L’abbandono delle campagne per delegare quasi completamente la produzione di materia prima all’estero è un errore che oggi stiamo pagando caro, al pari della dipendenza energetica, frutto di mancate scelte politiche (photo © Zhao Jiankang).

di tendenza a breve, la conseguenza sarà una contrazione degli acquisti, con tutte le ulteriori conseguenze del caso.

Non sappiamo al momento se la situazione possa precipitare, ma tutto lascia intendere che il peggio debba ancora venire. D’altronde, nella sommatoria dei problemi appena elencati, mancano all’appello le conseguenze indirette delle sanzioni alla Russia. L’abbandono dell’Orso sul fronte turistico, dei consumi e degli investimenti nel nostro Paese, sta già iniziando a generare conseguenze drammatiche.

Il comparto tutto è in subbuglio, non ultime le produzioni di pane e pasta, elementi fondamentali della Dieta Mediterranea, ma anche pilastri dell’economia del Paese. Il grano sta fi nendo: i raccolti in tutto il mondo sono stati scarsi, gli speculatori l’hanno tesaurizzato, la Cina se l’è accaparrato quando era il momento, la guerra sta dando il colpo di grazia, bloccando le movimentazioni di quello rimasto. In Canada e negli Stati Uniti il raccolto si è pressoché dimezzato, mentre in Italia la scorsa campagna del grano è stata discreta. Ma questo fatto, di per sé positivo, ha avuto come ovvia conseguenza un aumento sia del prezzo del grano italiano, sia di quello canadese. Resta poi il fatto che, seppur la produzione sia andata bene, non siamo mai stati un Paese autosuffi ciente, quindi i problemi sono tutt’altro che superati.

«Gli squilibri sul mercato mondiale non fi niranno qui e nell’inverno del 2022 avremo nuovi problemi, comprese le fi ammate speculative. Ci dobbiamo abituare al fatto che un prodotto possa fi nire e che non ne arrivi più» aveva precisato RICCARDO FELICETTI, dell’omonimo pastifi cio, diversi mesi fa, quando ancora il confl itto bellico in Ucraina era solo una remota ipotesi.

Ma di quello che è successo dopo sono testimoni gli innumerevoli colleghi, industriali e artigiani della pasta. «Il rischio è di dover fermare la produzione»: VINCENZO DIVELLA, CEO dell’omonimo pastifi cio, qualche settimana fa dichiarava: «il nostro grano è bloccato nei porti del mare di Azov, se non arriva entro una settimana fermiamo gli impianti».

Ma anche altri nomi altisonanti come La Molisana e Rummo hanno dovuto prendere in considerazione scelte drastiche e senza precedenti e non sono i soli. Oltre ai problemi di approvvigionamento di materie prime i cui prezzi sono alle stelle, gli impianti sono talmente energivori che fermare tutto limita i danni. Si sommano le impennate delle quotazioni di altri prodotti collaterali ma indispensabili: materiale per imballaggio, detergenti, qualunque altro bene utile direttamente o indirettamente alla produzione. Si aggiungono i costi di trasporto, oggi all’80% su gomma, con prezzi del gasolio mai visti prima.

Non va meglio a chi, in luogo della pasta secca, produce quella fresca e magari ripiena. FABIO FONTANETO, AD del raviolifi cio Fontaneto Srl, dichiara: «da settembre abbiamo registrato aumenti delle semole di grano duro anche a doppia cifra percentuale, ma non basta. Facciamo pasta fresca ripiena e abbiamo subito un’impennata dei prezzi di molte altre materie prime, come il burro, salito di quasi il 70%, o il semolino

Il settore della pasta, composto da 120 aziende che danno lavoro a oltre 10.000 persone, sta attraversando una crisi senza precedenti, legata al rincaro delle materie prime e a quello dei costi di energia, petrolio e materiali da imballaggio.

di riso, che usiamo per “spolverare” i ravioli, aumentato di oltre il 40%, o ancora le uova, impiegate per la pasta all’uovo, anch’esse lievitate del 40%, e la carne bovina, usata per il ripieno, con un +30%».

Non sono mancati nemmeno rincari considerevoli, dal 20 al 50%, dei materiali da imballo, come vaschette, cartoni, etichette e persino dei bancali di legno, indispensabili per la movimentazione dei prodotti alimentari, che oltre ad essere quasi introvabili hanno ormai un costo proibitivo.

Dall’altra parte c’è l’impossibilità di aumentare i prezzi al consumatore in maniera proporzionale; c’è un cliente fi nale che non può assorbire completamente e subito l’aumento, ma c’è anche la Grande Distribuzione, che non sempre è disponibile a parare il colpo ribaltando gli aumenti allo scaffale. Fatto sta che con un incremento medio dei costi di produzione per la pasta pari al 40% circa, anche il prezzo del prodotto al chilo non poteva che aumentare proporzionalmente o quasi, andando ad impattare su portafogli già discretamente provati. I consumatori sono tendenzialmente informati, perché il tamtam dei rincari è noto da mesi e, soprattutto, perché hanno toccato con mano l’impennata delle bollette, ma a fatica riescono ad assorbire ulteriori aumenti. Per fortuna, la pasta resta comunque, nel complesso, un alimento dal forte valore nutritivo, formidabile per le variazioni sul tema che consente a tavola e in cucina e che tutti si possono permettere.

La GDO sta facendo certamente resistenza, anche se le situazioni sono molto diverse tra loro e dipendono in larga misura dal potere contrattuale di ogni fornitore. Anche le grandi insegne sono a loro volta aziende che devono far quadrare i conti e che stanno subendo le conseguenze della situazione in atto. A denunce di totale chiusura all’ipotesi di adeguamento dei prezzi, si affi ancano aperture all’introduzione di aumenti graduali. Ma non sono poche le situazioni di pastifi ci che sperano di avere meno richieste possibili, per limitare i danni derivanti da accordi presi in tempi non sospetti e con tutt’altri listini.

ALBERTO CELLINO, dell’omonimo pastifi cio di pasta secca, ma anche attore importante dell’industria molitoria, è durissimo nelle sue dichiarazioni: «siamo in guerra. Se la GDO non adeguerà i prezzi, gli scaffali resteranno vuoti. Le imprese saranno costrette a bloccare la produzione, poste davanti al problema di scegliere se pagare imposte, fornitori o dipendenti. Ma chi, come noi, ha diverse centinaia di persone a libro paga, non ha solo la preoccupazione di mandare avanti l’azienda, porta sulle spalle anche la responsabilità di centinaia di famiglie».

Gli fa eco VITO ARRA, artigiano della pasta fresca ripiena, che precisa: «in molti casi la GDO sta facendo uno sforzo, consapevole che i rincari sono oggettivi e ci sono per tutti, ma gli aumenti vengono assorbiti in maniera molto graduale e diversa a seconda dei contesti. Noi trasformatori siamo un anello intermedio della fi liera, schiacciati tra il primario e la distribuzione, talvolta accusati di essere la causa di problemi o speculazioni, di cui invece siamo le prime vittime».

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