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TOUR “CARNIVORO” IN FRANCIACORTA CON POLASTRI MACÈLÉR
Ivan Palazzi, della storica macelleria-norcineria Polastri Macèlér, ci accompagna alla scoperta di alcune delle specialità franciacortine a base di carne, dalla margiola allo spiedo bresciano
di Giorgio Montanari
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Immaginate di esservi smarriti durante un viaggio in Lombardia. In automobile, tranquilli, osservate il panorama. Le colline rilassano il vostro percorso. Il lago dona un senso di pace. Ad un tratto, l’olfatto vi attira verso profumi di carne e spezie. Subito dopo, sentori di vino inebriano la giornata. Ecco, siete capitati in Franciacorta. Per chi vuole lasciarsi tentare dal peccato di gola, ed è amante dei prodotti a base di carne, la ricca zona collinare a sud del lago d’Iseo offre tante alternative. Per scoprirle, abbiamo visitato una storica macelleria-norcineria lombarda, per tanti anni situata nel paese di Capriolo ma ora ospitata a Torbiato di Adro (BS), Polastri Macèlér (www.polastrimaceler.it).
IVAN PALAZZI, figlio d’arte, lavora nell’azienda di famiglia da 45 anni. Quando abbiamo chiesto di de scrivere il panorama locale dei cibi a base di carne, abbiamo avuto la sensazione che l’intervista sarebbe potuta durare anni! La produzione è infatti particolarmente ampia ed articolata.
Margiola per cominciare
Il salume principe della terra di Franciacorta è la Margiola, chiamata anche Rete o Rèt (per informazioni approfondite si veda di MONTANARI G., Margiola: goloso salume dalle terre del Franciacorta, in P REMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 5/2015, pag. 82). Dal 2008 il prodotto si fregia della D E.CO., ossia della Denominazione Comunale d’origine, un importante presidio ottenuto dopo mesi di lavoro di certifi cazione e catalogazione.
Un’altra De.Co. lombarda, il manzo all’olio
Originario del paese di Rovato, si tratta di un appetitoso secondo piatto proposto nei migliori ristoranti della zona. La ricetta prevede che il taglio bovino (il cosiddetto “cappello del prete”) sia cucinato insieme ad un invitante preparato fatto con olio extravergine d’oliva, acciughe, aglio, prezzemolo. Per donare più sapidità, alcune varianti prevedono l’aggiunta di ritagli di prosciutto crudo.
Terminata la lunga cottura, che può arrivare a quattro o cinque ore a seconda della pezzatura della carne, si estrae il manzo, lo si taglia e si dispone sul piatto. Lo spessore delle fette è minore di un centimetro. La base di cottura, ancora nella pentola, è pronta per diventare la stuzzicante salsa che ammorbidirà il manzo. Per fare ciò, si aggiunge del pan grattato (e, se si vogliono sottolineare le note dolciastre, un cucchiaio di Grana Padano D OP), poi si frulla il tutto. La fetta di manzo viene quindi ricoperta dalla propria salsa ancora calda, rinnovando ancora oggi la tradizione del Manzo all’olio De.Co. Per fare la “scarpetta” si suggerisce di mettere nel piatto di portata anche una porzione di polenta gialla.
Cacciatorino alla liquirizia e birra
Uscendo dal percorso delle D E.CO. bresciane, ma tornando all’universo dei salumi stagionati, una proposta originale made in Franciacorta è il Cacciatorino alla liquirizia. Si tratta di un salame di piccole dimensioni pensato come accompagnamento alla birra bionda dei microbirrifi ci lombardi. Come mai birra e non vino?
Perché nell’impasto del salume si impiega un insolito conservante naturale: la liquirizia in polvere. Il mix di carni di suino magre (90%) e di pancetta (circa 10%) viene macinato in maniera fi ne e condito con spezie miste oltre alla già citata liquirizia. Non si aggiungono erbe altrimenti il prodotto finito risulterebbe amaro. Il processo di lavorazione necessita di molta attenzione per evitare il difetto di “bucatura” qualora il trito non fosse insaccato in maniera ottimale. Dopo un mese di stagionatura si ottiene un cacciatore di circa 150 grammi, di colore rosso scuro puntinato di bianco. Il sapore delicato di liquirizia strizza l’occhio ad un boccale di rinfrescante birra artigianale non fi ltrata.
Non è speck ma è fesa affumicata
Un altro salume sperimentale che si può assaggiare nella provincia bresciana è la Fesa di maiale affumicata. Il prodotto potrebbe ricordare lo speck, in quanto si usa la coscia suina, ma il processo di lavorazione è differente. La carne fresca viene conciata con sale ed aromi (erbe e spezie miste) senza l’aggiunta di conservanti. Il salume ha una pezzatura di circa 8 kg da fresco e, dopo un minimo di 60 giorni di stagionatura, raggiunge il peso di 5,5/6 kg. Il semilavorato ottiene il profumo caratteristico sostando un giorno in asciugatura insieme a pezzetti di legno di faggio. La fesa di maiale affumicata, quando è pronta al taglio, si presenta magra, senza marezzature ma solo con un filo di grasso; si offre idealmente come antipasto, servita su un crostone di pane abbrustolito, o come secondo piatto, abbinata a formaggi freschi come lo stracchino nostrano di malga.
Cotechino aromatico extralarge
Avete presente il celebre salume che si cuoce durante le ricorrenze e le festività invernali? Bene, pensate ad una versione extralarge, da 3 kg. Immaginatelo preparato coi tagli classici del cotechino ma conciato con il mulled wine, vino rosso da gustare caldo e preparato con cannella, chiodi di garofano, noce moscata, anice stellato, ma anche con zucchero, arancia e mela. Il Cotechino al vin brûlé è reperibile nella stagione fredda: storicamente si usava ammazzare il maiale in novembre o dicembre ed il cotechino era uno delle prime lavorazioni ad essere consumata, visto che i tagli con cui veniva creato non erano adatti alla stagionatura.
Spiedo, polenta e burro à gogo
Un capitolo a parte meriterebbe la tradizione bresciana dello spiedo. Si tratta non di un salume bensì di un antico modo di cucinare la carne. Per preparare lo spiedo bresciano i tagli concessi nella ristorazione sono le cosce o i pezzi di pollo, i pezzi di coniglio, le ali di pollo, le costine di suino e i cosiddetti “momboi” (lonza di suino arrotolata nella pancetta insieme ad una foglia di salvia). Storicamente venivano arrostiti anche gli uccelli da cacciagione, pratica vietata da qualche anno nei locali pubblici. Oggi come allora, la carne viene infi lzata nelle lunghe bacchette del girarrosto metallico, intervallando ogni pezzo con una foglia di salvia, la principale aromatizzazione. Lo spiedo bresciano gira per quattro ore abbondanti, ricevendo i caratteristici profumi dalle braci di legno aromatico; nella seconda parte della cottura, inoltre, la carne viene condita con il burro fuso che cola da una fessura posizionata nella parte alta del girarrosto.
Appena rimossa dallo spiedo, vicino alla carne fumante non può mancare la polenta, che andrebbe inumidita dal burro gocciolato durante la cottura e sapientemente conservato dal cuoco. Panorama, vino, succulenti piatti a base di carne: dopo aver letto questo articolo alzi la mano chi non sta pensando di organizzare una gita in Franciacorta.
Giorgio Montanari