SOMMARIO
Introduzione I patimenti sono insegnamenti.....................................7
Capitolo 1 I dolori aiutano a rigenerarci.......................................15
Capitolo 2 Come superare la sofferenza emotiva.........................61
Capitolo 3 Anche i tormenti più grandi devono finire..................... 93
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Introduzione
i patimenti sono insegnamenti Poche esperienze disorientano e stravolgono quanto un grande dolore emotivo. Proprio perché ne conosciamo o ne intuiamo la forza travolgente, tendiamo a tenercene a distanza e, quando ci tocca, a ricacciarlo indietro con più forza possibile. Non ci rendiamo conto che il dolore ha una grande funzione, che noi e la nostra cultura abbiamo dimenticato, presi come siamo a considerare le cose in maniera unidirezionale. Il dolore ci trasforma, ci cambia, modifica la chimica del nostro cervello e del nostro corpo, allarga la consapevolezza di noi e del mondo. Solo attraverso il dolore possiamo comprendere che la vita ha mille forme, possiamo incontrare il nostro nucleo emotivo profondo. Ma ciò può accadere soltanto se lasciamo che la sofferenza dell’anima svolga la sua funzione, ci invada e poi sfumi via. Al contrario, se la neghiamo, se la blocchiamo, se facciamo di tutto per non incontrarla, condanniamo la nostra vita alla superficialità e fac7
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Introduzione
ciamo sì che il dolore torni infinite volte. Quanto più facciamo di tutto per evitarlo, tanto più lo rafforziamo, lo facciamo crescere in noi. Negare le emozioni ottiene solo di nutrirle. Negare il dolore significa renderlo cronico. Non serve continuare a dire a se stessi: «Se questa sofferenza uscisse dalla mia mente, allora sarei felice». Più la scacci, più cresce. Se poi tentiamo di narcotizzare il dolore emotivo con le pillole, allora si trasformerà in disturbi fisici.
Prepara il benessere che verrà Dobbiamo concepire il dolore prima di tutto come “propedeutico” al benessere che verrà. Tutto va visto come un unico processo evolutivo. Immaginiamolo come un fiume: ha un’origine, riceve affluenti, attraversa nuovi territori e poi sfocia perdendosi nel mare. Se lo viviamo in maniera naturale avrà uno svolgimento, con un inizio e soprattutto una fine. Perché il peggio che ti può capitare non è avere un’esperienza dolorosa, ma è pensare di essere segnato dall’averla vissuta. E diventare, per sempre, “quello a cui è capitata quella brutta cosa”. Rievocarne costantemente il ricordo significa fare di un dolore del passato un destino per il futuro. «Passiamo più tempo a dolerci e a roderci - afferma la psicoanalista e scrittrice Clarissa Pinkola Estés - di quanto ne passiamo quotidianamente a piantare un nuovo seme nelle vecchie ferite». Non pensare mai di essere speciale perché soffri: è successo a tutti. Sei speciale se ne esci a modo tuo. 8
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I patimenti sono insegnamenti
Se guardi il dolore, se ne provi le emozioni e le sensazioni, se lo accogli e lo lasci vivere, esso svolgerà la sua funzione e si esaurirà. Solo così potrai staccartene fino in fondo. E potrai non tornarci mai più su: non parlarne, non ripensarci, non ricordare. Esaurita la sua funzione, non ha nessun senso continuare a tenere in vita il dolore nella nostra mente.
la sapienza degli antichi I Saggi del passato sapevano bene che il dolore è importante per spingerci a esplorare a fondo il nostro animo e per farci evolvere. È un concetto che nell'antica Grecia si riassumeva nel detto “pathémata mathémata”, cioè “i patimenti sono insegnamenti”. Nella tragedia "Agamennone" di Eschilo infatti il coro recita: «Zeus aprì le vie del sapere ai mortali. Questo, però, è il principio che fissò ben saldo: è col dolore che si impara». Questi versi sono stati citati dal cardinale Gianfranco Ravasi, profondo conoscitore della Bibbia e della sapienza antica, per ricordarci che «Il soffrire può essere una lezione di umanità». «È una via ardua - continua il cardinal Ravasi - ma può lacerare il velo della superficialità e mostrare un senso più profondo della vita. Per certi versi si crea un benefico cortocircuito attraverso questa che è una via ardua ma feconda del conoscere e del comprendere: il dolore genera sapienza e la sapienza lenisce il dolore. Una lezione che la società contemporanea cerca purtroppo di esorcizzare o ignorare». 9
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Introduzione
L’illusione di rimuovere il dolore Mentre nel mondo antico la sofferenza era considerata una fonte di conoscenza, la cultura d'oggi sta cercando di negare il dolore, di cancellarne la presenza dalle nostre vite. Nell'illusoria convinzione che si possa e si debba eliminare la sofferenza per poter essere felici. è un errore molto grave. Il celebre etologo e scrittore austriaco Konrad Lorenz nel libro "Gli otto peccati capitali della nostra civiltà" sostiene che uno dei più gravi limiti della nostra cultura è proprio quello di non comprendere il significato e l’utilità della sofferenza. «Voler evitare ogni incontro col dolore - scrive Lorenz - significa rinunciare a una parte della propria vita». «L’intolleranza al dolore - continua l'etologo -, fenomeno sempre più diffuso ai giorni nostri, trasforma i naturali alti e bassi della vita umana in una pianura artificiale, le onde grandiose del mare in vibrazioni appena percettibili, le luci e le ombre in un grigiore uniforme. Cioè crea la noia mortale». Da questo innaturale e controproducente atteggiamento nei confronti del dolore, deriva una vera e propria impossibilità di conoscere la vita per ciò che è realmente. L’eccessiva preoccupazione dei giorni nostri nell'evitare ad ogni costo anche la più modesta sofferenza comporta il rischio grave che, come ci spiega Lorenz, «l’incapacità di sopportare qualunque dolore renda irraggiungibile la gioia». Questo non significa certo che dobbiamo cercare di infliggerci delle sofferenze volute, ma semplicemente che occorre accogliere quelle che ci si presentano 10
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I patimenti sono insegnamenti
nel corso dell'esistenza. Il dolore serve a purificarci, non nel senso che farci del male volontariamente ci renda migliori, ma perché accettare la sofferenza che arriva ci rende consapevoli della nostra fragilità, cancella le illusioni e le false convinzioni su di noi e su quello che ci è necessario per essere felici. Non saper soffrire, non accogliere neanche i minimi disagi, abusare di psicofarmaci per soffocarli, significa non adattarsi ai cambiamenti che il fiume della vita ci fa incontrare. Significa ignorare che qualcosa dentro di noi ci sta guidando a realizzare ciò che siamo per natura. Il nostro vero compito è farle posto, lasciarla fare, farci portare da lei.
l’algofobia: il terrore di soffrire «L’uomo è uno scolaro, il dolore il suo maestro: nessuno conosce se stesso finché non ha sofferto» recita un aforisma di incerta paternità (alcuni lo attribuiscono al Mahatma Gandhi, altri ad Alfred de Musset). Riconosciamo in queste parole il pensiero antico, che ritorna anche nelle riflessioni di alcuni pensatori contemporanei. Come il filosofo sudcoreano ByungChul Han che nel libro "La società senza dolore" scrive: «Senza dolore non è possibile alcuna conoscenza capace di rompere radicalmente col passato». «Il dolore è vita - ribadisce -. Solo il dolore produce un reale cambiamento». Byung-Chul Han sostiene che Il mondo contemporaneo è terrorizzato dalla sofferenza; oggi è diffusa ovunque l'algofobia, ovvero la paura del dolore, che porta a cercare di anestetizzare in ogni modo tutte le circostanze dolorose. 11
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Introduzione
Questo induce a chiuderci in una bolla fittizia che, nell'illusione di tenere fuori il dolore, in realtà tiene fuori la vita. Perché è solo attraverso il dolore che noi ci apriamo al mondo. Se non provi alcun dolore, allora è come se tu fossi morto.
Un segnale dell’anima Dunque occorre ribaltare le convinzioni abituali sul dolore e arrivare a considerarlo un'energia naturale che viene dal nostro nucleo profondo; arriva per purificarci dalla superficialità e riportarci all'interiorità, a quello che conta veramente per indirizzare la nostra vita. Perché la sofferenza emotiva scuote le nostre fondamenta e, se ce ne lasciamo invadere, ha la capacità di ricondurci alle nostre radici. Ha questo effetto perché il dolore rappresenta la «sensazione più intensa che conosciamo» come scrive la filosofa e storica Hannah Arendt. Lo sostiene anche il rabbino Adin Steinsaltz, una delle figure più grandi dell'ebraismo contemporaneo, Maestro del Talmud, filosofo e critico sociale, scomparso di recente. Nel suo libro "L'anima" dice che quando la vita scorre senza intoppi restiamo alla superficie delle cose e diamo per scontato che continui ad andare sempre così; ma quando siamo colpiti da un forte dolore emotivo, allora ci fermiamo a interrogarci, scopriamo di avere un'anima e cominciamo a dedicarle attenzione. La sofferenza interiore - dice Steinsaltz - ci fa percepire che in noi c'è una parte profonda nascosta, di cui non eravamo consapevoli, o avevamo trascurato. Solo quando soffriamo ci chie12
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I patimenti sono insegnamenti
diamo. «Perché proprio a me? Cosa c'è che non va?». L'errore sta nel cercare la risposta fuori di noi, negli eventi che ci sono accaduti, mentre il dolore è un segnale dell'anima per riportarci sulla nostra strada, per accettare le novità che sono necessarie a passare alla tappa successiva della nostra crescita. E per far emergere lati di noi ancora sconosciuti. Dolori, sofferenze e crisi non sono mai vani, ma passaggi obbligati del nostro percorso. Guardare queste sofferenze e accoglierle in noi non significa mettersi nella posizione dell'eterno martire, ma in quella di chi si apre al cambiamento e all’inatteso. Osservare quello che proviamo dentro di noi, senza giudicarci e senza ragionarci sopra, porta a prenderci cura di noi stessi, a fare quello che ci indica la nostra anima; allora arriva la pace e il dolore se ne va spontaneamente.
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