Corso pratico: impariamo a comunicare

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In quest’epoca in cui i mezzi di comunicazione sono così diffusi, abbiamo perso la capacità di adoperare il linguaggio in modo chiaro. Usiamo frasi fatte e modi di dire stereotipati, dimenticando che le parole hanno un grande potere: possono darci benessere, ma possono anche ferirci e farci ammalare.

CORSO PRATICO IMPARIAMO A COMUNICARE

RIZA RAFFAELE MORELLI e VITTORIO CAPRIOGLIO

Dobbiamo ritrovare il nostro linguaggio per riuscire a parlare efficacemente con i familiari, il partner, gli amici e i colleghi. Se recuperiamo la nostra “voce” spontanea miglioriamo il rapporto con gli altri e anche con noi stessi.

RAFFAELE MORELLI e VITTORIO CAPRIOGLIO

personale e scegliere le frasi giuste

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RIZA

Edizioni Riza S.p.A. - Via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano - www.riza.it

Corso pratico

IMPARIAMO A COMUNICARE

Farsi capire ci migliora la vita PARLARE IN PUBBLICO

LE FRASI DA EVITARE

IL LINGUAGGIO DEL CORPO

LE PAROLE CHE CURANO

Le parole giuste da dire in famiglia, con il partner, sul lavoro 13/09/19 15:48


Lezione 1

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Il potere creativo della parola Il modo di comunicare può essere portatore di disagi o, al contrario, dare benessere e gioia

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Attenzione alle parole “sbagliate” Parliamo senza badare ai termini che adoperiamo, ma essi hanno la capacità di ferire e di condizionare

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Come fare a comunicare meglio Le regole fondamentali per parlare in un modo che sia veramente personale ed espressivo

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Quando parliamo a noi stessi Il dialogo interiore è importante per scoprire dentro di noi la vera voce e un linguaggio autentico

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Il dialogo nella coppia Lui e lei usano stili comunicativi differenti, occorre tenerne conto per evitare crisi nei rapporti

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Il linguaggio in famiglia e con i figli Con bambini e adolescenti il dialogo è delicato: occorre scegliere bene le parole e accettare anche i silenzi

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Lezione 7

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Conversare con gli amici

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Se c’è una reale amicizia il dialogo è chiaro e gradito, se il rapporto è fasullo, diventa vuoto e spiacevole

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Esprimere se stessi sul lavoro Nell’ambito professionale la comunicazione serve per ottenere risultati e anche buoni rapporti

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Tenere discorsi in pubblico Provoca molta ansia e il timore di brutte figure, ma tutti possiamo riuscirci con grande soddisfazione

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Le posture e i gesti parlano Per capire e farci capire occorre conoscere anche il linguaggio non verbale, che è spontaneo e sincero

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Corso pratico IMPARIAMO A COMUNICARE A cura di Raffaele Morelli e Vittorio Caprioglio EDIZIONI RIZA S.P.A. Via Luigi Anelli 1 - 20122 Milano www.riza.it - info@riza.it Immagine di copertina: Alberto Ruggieri Foto: Shutterstock, Adobe Stock, 123rf Stampato in Italia da: Rotolito S.p.a. Stabilimento di Cernusco sul Naviglio (MI)

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Distribuzione per l’Italia: So.Di.P “Angelo Patuzzi” S.p.A., Via Bettola 18, 20092 Cinisello Balsamo (MI)

Tutti i diritti riservati. Questa pubblicazione è protetta da copyright ©. Nessuna parte di essa può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore. Le informazioni contenute nella presente pubblicazione sono a scopo informativo e divulgativo: pertanto non intendono sostituire, in alcun caso, il consiglio del medico di fiducia.

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Quello che diciamo cambia noi e gli altri

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he la comunicazione sia - oltre che uno strumento fondamentale per relazionarci con il mondo esterno - anche e soprattutto un’arte, è un fatto universalmente riconosciuto. Ma quanti sanno che le modalità con cui comunichiamo con noi stessi e con gli altri possono anche trasformarsi in una fonte di salute e benessere o, viceversa, in una causa di disagio e malattia? Ci sono infatti momenti e circostanze della vita in cui le parole riescono a diventare pesanti come pietre, taglienti come coltelli o, al contrario, non lasciare alcuna traccia là dove invece sarebbe stato necessario imprimere un segno. All’opposto, in altre situazioni le parole salvano, consolano, coccolano, scaricano tensioni e generano energia, trasformandosi da pura espressione emotivo-verbale in autentica terapia. Del resto, i grandi saggi in tutte le culture, anche le più antiche lo sapevano: le parole creano, hanno il potere straordinario di cambiare la realtà e di modificare profondamente il nostro pensiero.

È come una formula magica “Abracadabra” è un’espressione che si usa per accompagnare gli incantesimi. Non se ne conosce l’origine precisa, ma si pensa possa venire dall’aramaico “Avrah kaDabra”, che vuol dire “Io creo mentre parlo” o dall’ebraico, in cui significa “Questo avviene mentre viene detto”. La formula dunque fa riferimento al magico potere delle parole.

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LEZIONE 1

Il potere creativo della parola

Il linguaggio è seme del mondo NEI MITI E NELLE RELIGIONI L’UNIVERSO NASCE DAL VERBO DIVINO, TUTTE LE PAROLE HANNO CAPACITÀ DI MODELLARE LA REALTÀ E NOI STESSI

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n principio era il Verbo…». Così inizia il Vangelo di Giovanni, un testo antichissimo che già mette l’accento sull’importanza creatrice del Logos, del Verbo che «… era Dio, si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». In pratica, l’evangelista ci racconta di una Parola che si trasforma in Essere Vivente. Ma di fatto: che cosa è questo “Verbo” e che cosa sono le parole che usiamo tutti i giorni? Da dove provengono? A chi appartengono? E soprattutto: qual è la funzione arcana e trasmutativa di cui sono portatrici? Le grandi Tradizioni non hanno alcun dubbio sul potere creativo della parola. Nella Genesi la parola di Dio è già di per sé creazione cosmica. Prima ancora di crearli, Dio nomina il giorno e la notte, la terra e il cielo, ed essi esistono. «Dio disse: sia la luce e la luce fu». La luce genera il mondo e la parola - proprio come una sorta di laser luminoso e fecondante - si fa carne, sostanza, materia. Del resto, «la parola ha lo stesso potere fecondante della cellula seminale», scrive Pavel Florenskij, teologo, pensatore e simbolista russo. Proprio come lo sperma attraverso la fecondazione genera una nuova persona, così la parola seminata nel cervello dà origine a nuovi modi di vivere e di pensare. Anche gli antichi Cinesi consideravano le parole come “il seme del

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mondo”, e facevano molta attenzione prima di pronunciarle, perché ritenevano che a ogni organo del corpo corrispondesse un suono e che a ogni suono fosse legata una malattia. «Ogni parola pronunciata risuona in tutto il corpo, e ogni parola è il corpo stesso», recita un’antica massima cinese. Come a volerci far intendere che le parole che ascoltiamo e che pronunciamo sono le medesime vibrazioni creative che generano noi stessi e il mondo che ci circonda. Per questo possiamo affermare che noi diventiamo le parole che pronunciamo, quelle che abbiamo ascoltato e che continuiamo ad ascoltare. Se sentiamo solo parole inutili, se siamo sepolti dalle frasi fatte, dai modi di dire vuoti di significato, alla fine diventeremo inutili, perché noi siamo le nostre parole, ossia intelligenza che si trasforma in fiato, plasmata attraverso il linguaggio.

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Gli dei creano ogni cosa pronunciandone il nome L’idea ancestrale di una forza creatrice e vitale inerente alla parola è presente in moltissime civiltà. Ecco qualche esempio tratto dalla saggezza antica.

◗ In ebraico il verbo “devar” indica sia la “parola” che la “cosa”, e rivela una stretta affinità tra il soggetto (o l’oggetto) reale e il nome che gli corrisponde.

◗ Nelle culture più arcaiche la parola è la realizzazione sacra della volontà degli dei. Gli Egizi, per esempio, erano convinti che attraverso le parole il dio del sole Ra avesse creato le altre divinità. Iside, smaniosa di potere, rubò le parole magiche a Ra e divenne la regina degli incantesimi.

◗ Per la religione induista la parola “vak” è una forza creatrice da cui scaturisce l’universo. Brahma, il dio creatore, nomina le cose e le conduce così a una a una sulla soglia dell’essere.

◗ Nelle religioni africane, la parola occupa un posto centrale nei miti della creazione. Secondo i Bambara, antica popolazione del Mali, il dio Faro fu in origine una voce che, gridando, formò una spirale al centro dell’universo. Poi si costruì un corpo con i sogni, e infine riorganizzò il mondo nominando le cose una per una. Anche i nomi delle persone hanno un arcano potere. Sempre in Africa, per esempio, i bambini più piccoli vengono chiamati con brutti nomi fittizi (“Goccia di fango”, “Fruttino marcio”, “Fiore appassito”), come artificio per ingannare i demoni : infatti, se questi conoscessero il nome vero dei bambini, potrebbero aggredirli e far loro del male.

◗ Per gli antichi nominare una cosa significava anche “possederla”, nel caso dei Romani questa credenza si arricchisce di un’ulteriore declinazione: l’atto di nominare l’Urbe da parte dei nemici significava possederla e quindi esporla alla distruzione. Per questo motivo, la città di Roma aveva un nome segreto (tuttora sconosciuto), difeso dai “patres” con un giuramento: se i nemici avessero pronunciato quel nome, la città sarebbe stata assalita e rasa al suolo.

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LEZIONE 1

Il potere creativo della parola

Le parole con cui ti descrivi influenzano il tuo stato d’animo

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arlare sembra essere l’attività principale della nostra esistenza: parliamo tanto, parliamo troppo, parliamo spesso in modo casuale e inutile, giusto per dire qualcosa e riempire con frasi banali un silenzio che ci fa paura. Viviamo immersi in un mondo votato alla comunicazione, alla chiacchiera, allo scambio di opinioni sempre e dovunque: in famiglia, nella coppia, sul lavoro, in televisione, e ancor più sui social network, diventati lo strumento di comunicazione più frequente, non solo con parole ma anche tramite immagini (gli emoticon, le stories di Instagram, le fotografie, i memi digitali…). Eppure oggi più che mai, nonostante dappertutto si parli di comunicazione, sorgono sempre maggiori difficoltà in quella che invece dovrebbe essere un’attività spontanea, naturale, piacevole, gratificante: interagire con noi stessi e con il nostro prossimo. Se dunque è vero che parole e materia sono così strettamente collegate, ne consegue che parole “sbagliate” possono

dare origine a materia sbagliata, mentre parole “giuste” possono produrre benessere, in virtù di uno scambio di energia di cui noi stessi possiamo essere soggetto attivo (comunicatore) o oggetto passivo (destinatario-ricevente). Per questo motivo parlarsi addosso, continuare a lamentarsi, autocommiserarsi, sono abitudini molto più nocive di quanto si possa credere: le parole del lamento nutrono i circoli viziosi del pensiero, creano confusione e ci incollano addosso una specie di “corazza emotiva” fatta di definizioni negative e pessimistiche, che col tempo aderisce sulla nostra pelle e ci fa vivere male. Enorme e arcano è quindi il potere delle parole. Tutto sta nel saperle utilizzare nella maniera giusta.

Ricorda Le parole ci plasmano ◗ Se una madre ripete al figlio, per sua natura non troppo espansivo, che è un “ragazzino timido”, la timidezza si radicherà nel comportamento del bambino, quasi che le parole del genitore riuscissero a plasmarlo e a renderlo sempre più corrispondente al giudizio espresso, invece di aiutarlo a manifestare la sua vera identità.

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Scegli di dare significato Non adoperare “formule vuote” Si parla male, si parla sciattamente per fretta, per disattenzione, per pigrizia, mentre si diventa avari di parole che contano. Per questo le difficoltà di comunicazione oggi si moltiplicano: all’interno della famiglia o della coppia, in ambito lavorativo, persino con gli amici che ci siamo scelti, nascono continui problemi di fraintendimento e di incomprensione. Sono problemi che ci creiamo noi stessi e che a volte finiscono per rovinarci l’esistenza dal punto di vista psicologico ma anche fisico. Il motivo? Abbiamo perso la capacità di comunicare in modo “consapevole” e ci affanniamo a riempire i nostri discorsi con frasi inutili, che gravano come macigni sulla nostra spontaneità, oltre che sui contenuti di quello che diciamo. «Io sono fatto così, non posso cambiare…», «Ti conosco fin troppo bene», «È tutta una questione di carattere», «Mi pareva di saperlo…», «Te l’avevo detto!»: sono queste le formule vuote che infarciscono le nostre conversazioni, e con l’elenco di banalità si potrebbe andare avanti all’infinito.

Evita frasi fatte, che non dicono nulla L’altro grande difetto che rende complicato comunicare è la fretta: parliamo sempre troppo velocemente, con tante parole, tante frasi che s’incastrano le une nelle altre in modo ansiogeno fino a formare una trama fitta che il più delle volte risulta poco comprensibile. E poi, anche per la fretta di parlare, non stiamo a scegliere i termini più appropriati: usiamo un linguaggio standardizzato, infarcito di frasi fatte, di modi di dire alla moda, di vocaboli sottratti all’uno o all’altro gergo, quasi che avessimo paura di distinguerci dal “branco”, usando un vocabolario che è nostro e soltanto nostro. Per esempio: che significato ha salutare al telefono con un “ciao bella” se non abbiamo mai incontrato di persona chi sta dall’altra parte del filo? Perché con una persona sconosciuta usiamo un “salve” neutro e incolore invece di un “buongiorno”? E cosa dire dell’abuso della parola “amore” nelle situazioni più banali («Amore, dove andiamo a fare la spesa?», «Mi passi l’asciugamano, amore?»)? Sono altrettanti modi per svuotare di significato il linguaggio.

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LEZIONE 1

Il potere creativo della parola

Esistono espressioni che curano e altre che ci fanno ammalare

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li Egizi ritenevano che la malattia non dovesse essere mai nominata. Perché? «I mali non si nominano, per evitare che i mali si creino», rispondevano i sacerdoti. Nominando la malattia, infatti, si riteneva che si potesse scatenare una serie di infinite associazioni che, come in un vero e proprio processo di determinazione energetica del reale, finiscono per farla esistere concretamente, come vedremo. Perché non ci chiediamo mai, allora, se dentro di noi esistono le parole per guarire? Perché non andiamo a cercare le parole e le frasi che sanno “curarci”? Seguendo un processo inverso rispetto a quello che conduce dalla

parola alla malattia, sarebbero le parole che potrebbero aiutarci a stare bene. Ma attenzione: un processo del genere non ha nulla a che fare con la filosofia del pensiero positivo, secondo la quale affermare che i disagi non esistono e che ogni problema si può sempre risolvere. Questo è un altro discorso: una parola che cura e che non amplifica il disagio, ma lo scioglie, è un utile strumento per liberarsi da uno stato di frustrazione, di depressione o di ansia creato dall’abitudine a ripetersi parole “nere”, cioè dal contenuto negativo. Ecco qui di seguito le indicazioni per procedere in questo senso.

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◗ Scopriamo le parole

che purificano e dissolvono i disagi

Proviamo ora a riflettere: quante parole che pronunciamo o ascoltiamo hanno un effetto profondo sul nostro stato d’animo e su nostro corpo, senza che ce ne rendiamo conto? Il pensatore russo George Ivanovič Gurdjeff sostiene che «noi diventiamo le parole che ascoltiamo». Allora, se questa constatazione è vera, l’operazione più utile che possiamo mettere in atto per stare bene è cercare di dissolvere e di imparare a non usare le parole “sbagliate”. Per parole “sbagliate” intendiamo tutti quei vocaboli, lemmi o frasi che ci impongono standard, ritmi, modelli, attributi, qualità fisiche o mentali, stili di vita e aspirazioni che non ci appartengono, ma dei quali crediamo di doverci “vestire” per poter essere accettati. Dunque, potremmo seguire l’insegnamento contenuto in una delle massime del saggio indiano Sri Nisargadatta Maharaj, che recita appunto: «Dissolvi le parole». Soltanto così, infatti, la materia creata dal linguaggio (e quindi anche il disagio o la malattia indotti dalle parole) perderà forma e consistenza, fino a svanire nel nulla.

potenza creativa può diventare distruttiva e scatenare la malattia. Se invece noi fossimo in grado di trasformare le nostre emozioni in suoni, scopriremmo di poter accedere a stati dell’anima altrimenti sconosciuti. È ciò che del resto avviene nella preghiera, che da sempre in tutte le culture e presso tutti i popoli è intesa come un’emissione di suoni e parole che consentono di estraniarsi dalla propria singola individualità per accedere a uno stato “altro” (ossia “diverso”) di coscienza, che ci trascende tutti e ci cala nella totalità dell’Universo. Ogni volta che ci è possibile, quindi, pronunciamo parole carezzevoli e usiamo toni di voce pacati, ascoltiamo i suoni che ci cullano e le vibrazioni che ci rilassano; impariamo anche a soffermarci ad ascoltare le voci della natura (il vento sul mare, l’acqua gorgogliante di un torrente, il fischio delle marmotte in alta montagna), un brano di musica classica a volume moderato, il canto di un bambino… Sono tutti suoni rigeneranti che agiscono sulla nostra psiche come veri e propri depurativi e rivitalizzanti.

◗ Cerchiamo i suoni

che aprono “le porte” interiori

In ognuno di noi esiste un principio creatore che continuamente ci rigenera e che manifesta l’energia naturale che circola nell’intero universo. Anche per questo le parole, con i loro significati e i loro suoni, sono importanti: perché possono aiutarci ad accedere al nostro principio vitale e creativo, e ci guidano verso quell’energia che è in grado di generare benessere. Ma se si tratta di parole “sbagliate”, questa

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LEZIONE 1

Il potere creativo della parola

Occorre scegliere le frasi giuste e scoprire il valore del silenzio PROVIAMO A CAMBIARE IL NOSTRO STILE DI LINGUAGGIO E LE MODALITÀ DELLA COMUNICAZIONE, SEGUENDO ALCUNE SEMPLICI INDICAZIONI

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iduciamo il numero delle parole. Impariamo a pronunciare i suoni giusti e il giusto numero di parole, solo quelle che ci servono per esprimerci in modo adatto a noi, alle nostre reali esigenze. Domandiamoci, per esempio, se stiamo usando le parole appropriate per manifestare le nostre emozioni, se parliamo per abitudine, se ripetiamo sempre le stesse parole come intercalare nel discorso… Consideriamo queste variabili e verifichiamo come potremmo comunicare in maniera diversa e più naturale.

◗ Usiamo i “nostri” suoni Smettiamo di adattarci a modelli standard di perfezione e di successo, e smettiamo di pronunciare parole inutili, sterili o dannose giusto per riempire lo spazio tra noi e il nostro interlocutore: ritroviamo in noi stessi i “nostri” suoni e facciamoli affiorare all’esterno nel modo più spontaneo possibile. Ogni nostra parola, infatti, è come un vettore

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energetico, una freccia diretta al bersaglio: più la appesantiamo con premesse, precisazioni, sinonimi, e più la rallentiamo, distogliendola dalla sua naturale traiettoria.

◗ Liberiamoci dalle parole inutili Proviamo soprattutto a stare di più in silenzio, cerchiamo attivamente queste pause di “depurazione” dall’eccesso di parole. È soltanto nel silenzio, infatti, che possiamo incontrare i “nostri” suoni e le “nostre” parole: quelli che davvero ci appartengono e che possono guarirci da tutti i mali. Il suono, infatti, nasce dallo spazio interiore: a sgombrare tale spazio è il silenzio, che ha la funzione di smaterializzare il pensiero e di creare il vuoto, luogo di incubazione della parola viva e grembo di accoglimento dell’ascolto. Con il silenzio annulliamo tutte le parole sbagliate e inutili che si affollano dentro di noi. E se per una manciata di minuti siamo capaci di restare a mente vuota, senza farci prendere dalla fretta o dalla preoccupazione di fare o

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dire per forza qualcosa, ci renderemo conto che con naturalezza si affacceranno alla mente le parole giuste, quelle più indicate per quella certa situazione… Secondo gli studi neurologici, infatti, quando siamo in silenzio nel nostro cervello avviene una sorta di riorganizzazione e si può parlare di un affioramento di funzioni cerebrali diverse, molto antiche, messe sullo sfondo dal fluire continuo ed eccessivo delle parole.

In effetti, se è vero che conosciamo poco e male le parole, sappiamo ancora meno del loro contraltare: il silenzio. Lo definiamo semplicemente come una “assenza di parole”, pensiamo che non comunichi nulla. Eppure sembrerebbe il contrario: senza silenzio non c’è comunicazione, ed è nel silenzio che le parole “buone” e vere, quelle che ci appartengono nel profondo, possono emergere e farsi ascoltare.

L’effetto terapeutico del “senza suono” Come osserva la filosofa indiana Vimala Thakar, «Chi non fa conoscenza con la realtà del silenzio, del senza suono, chi non si immerge nel silenzio, non capirà mai come il suono, la parola, nasca da lì». La cultura contemporanea, invece, ci riempie di parole e ci costringe a vivere in uno spazio intasato di suoni, di pensieri, di proiezioni mentali. Proprio per questo, quando una forma apparentemente “patologica” di silenzio si impadronisce di noi (può essere il silenzio strisciante della depressione, quello teso dell’ansia, il vuoto di parole e di respiro generato dal panico), avvertiamo l’esigenza di ricorrere ai farmaci fin dai primi segni di disagio, per sconfiggerlo e annientarlo. Non vogliamo capire che, se stiamo male, è perché qualcosa dentro di noi si è attivato per chiederci di cambiare rotta, di allontanarci dal percorso esistenziale che abbiamo intrapreso e che evidentemente non ci appartiene. Se dunque arrivano ansia, depressione o altri disagi, lasciamoli venire, contempliamoli in silenzio e proprio lì, nel profondo silenzio, andiamo a ricercare il suono giusto per superarli.

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