Le donne ce la fanno sempre

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Un libro che guida alla riscoperta del variegato mondo femminile per donare a tutte le donne la coscienza delle proprie qualità.

Katia Vignoli Nata nel 1961, vive e lavora a Lodi. Psicoterapeuta e giornalista, è anche docente alla Scuola di specializzazione in psicoterapia e alla Scuola di Naturopatia dell'Istituto Riza. È conduttrice d’esperienza di corsi di formazione per le aziende e workshop dedicati alla salute psico-fisica. Il suo ultimo libro è “L’estate incerta”, edizioni Cicorivolta.

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KATIA VIGNOLI

Le donne hanno pazienza, intuito, capacità strategiche, conoscenza del corpo e senso della natura. Soprattutto nei momenti più difficili sanno dimostrare le proprie capacità.

KATIA VIGNOLI

Le donne ce la fanno sempre

Il Femminile ha risorse straordinarie, che permettono di superare anche i momenti più difficili. Ecco come scoprirle

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Le donne hanno grandi doti, di cui sono ricche per natura, o che hanno dovuto sviluppare per affrontare i tanti compiti da sempre a loro affidati.

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Le donne ce la fanno sempre Testi: Katia Vignoli Illustrazione di copertina: Alberto Ruggieri Grafica di copertina: Roberta Marcante © 2021 Edizioni Riza S.p.A. - Seconda edizione via Luigi Anelli, 1 - 20122 Milano www.riza.it Tutti i diritti riservati. Questo libro è protetto da copyright ©. Nessuna parte di esso può essere riprodotta, contenuta in un sistema di recupero o trasmessa in ogni forma e con ogni mezzo elettronico, meccanico, di fotocopia, incisione o altrimenti senza il permesso scritto dell’editore.

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INdice

Introduzione Le donne sanno come fare per “nutrire la vita”

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La pazienza Speranza e attesa, non sopportazione infinita

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L’intuito Il “sesto senso” delle donne

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La strategia del femminile La capacità di “tessere la tela”

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A proposito di maternità Elogio delle madri imperfette

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Il rapporto col corpo In sintonia con il proprio essere fisico

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Le donne e la natura Ritrova il tuo talento istintivo

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A Jessy piccola donna

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INTRODUZIONE

Le donne sanno come fare per “nutrire la vita”

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na delle espressioni cinesi più familiari è “yang sheng”, che significa “nutrire la vita”, ovvero aver cura di mantenere e dispiegare il potenziale di vita di cui siamo investiti. Credo che sia proprio questo che una donna autentica fa: nutrire la vita, custodirla ed espanderla. Forse mai come in questo momento di emergenza, in cui le risorse scarseggiano in ogni dove, urge rimettere in atto questa competenza, utilizzando le funzioni che fin dai primordi sono riconosciute alla donna: la pazienza, l’intuito, la capacità strategica, la maternità, la corrispondenza con la natura, la conoscenza del corpo, modi di essere che dispiegano le forze per fare al meglio quel che è da fare, curandosi di mantenere vivo il terreno, invece che spremerlo fino a esaurimento. 9

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Nutrire la vita e nutrire la propria natura è la stessa cosa e le donne, olistiche per conformazione, lo sanno bene: la sostanza con cui alimentiamo le nostre radici riverbera nella ricchezza dei nostri frutti; preservare la nostra essenza e portarla a piena realizzazione fa fiorire insieme a noi la vita tutta. Lo stiamo facendo? Me lo chiedo da donna ascoltando le donne, lavorando con loro: sapere cosa è da fare non significa farlo. La difficoltà di conciliare tutto ci fa arrivare stremate a fine giornata; il mito della bellezza per sempre sta derubando le nostre facce di espressività e carattere; la grazia, la misura, la gentilezza sembrano diventate virtù di altri tempi e poco funzionali rispetto all’aggressività alla quale ci sentiamo obbligate per difendere il nostro territorio; e anche se al Principe Azzurro non crediamo più, la paura di restare sole ci fa cadere troppo spesso nelle grinfie del Principe Nero. Molte di noi si chiedono se non sia una pretesa eccessiva ambire a una vita completa, in cui affetti, lavoro, inclinazioni personali, possano convivere in uno spazio armonico; e nell’incertezza accettano di pagare pedaggi che non sono richiesti, per gratificarsi poi con tutto quello che alla fine non serve. Alla luce di ciò credo sia tempo di riappropriarci dello sguardo attento e intento della Dea, il principio attivo che feconda la vita e trasforma le cose. Sentimenti, desideri, proiezioni mentali, retaggi, pregiudizi, senso di inadeguatezza, fretta, paure non devono distoglierci dall’occupare il posto che ci spetta e ci aspetta. 10

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A farci da controcanto in questo viaggio insieme sono le voci sparse delle donne che hanno fotografato anche per noi istantanee del mondo variegato del femminile; scrittrici e poetesse che l’hanno accolto, indagato, svelato e protetto. A ciascuna di loro la psicologia è debitrice di colore e di profondità. Facciamo nostra la stessa urgenza con cui ce l’hanno raccontato, come testimoni di una storia che intimamente ci riguarda e che ci invita a viverla tutta, in ogni sua sfumatura, senza tagli e sacrifici inutili. Non è più tempo di rimandare!

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La pazienza “Ogni vita converge a qualche centro, dichiarato o taciuto; esiste in ogni natura umana una meta... Ma più sicura quanto più distante per chi persevera; e come alto alla lenta pazienza dei santi è il cielo!” (E. Dickinson)

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Speranza e attesa, non sopportazione infinita

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azienza. Basta pronunciare questa parola e dal petto di una donna vien su un sospiro, il sospiro che decide di sopportare e aspettare ancora, di tacere anche se le parole grattano in gola, di sperare in un cambiamento cui nemmeno più si crede. Gli uomini perlopiù sbuffano; imparano a sospirare da vecchi, forse per svaporare un’intimità con se stessi cui non sono abituati e a cui l’età li obbliga. Per una donna invece la connessione con questo spazio interno è continua e fa da cassa di risonanza ad ogni evento. Anche quando preferisci ignorarla, anche quando hai troppo da fare, l’anima dice la sua. E non alludo a opinioni, per l’anima sono solo mosche che ronzano, ma alla risposta immediata a quel che la tocca e che a tempo reale riverbera nel corpo: un tremito della mano, un tuffo al cuore, un brivido nella schiena, un sorriso, un sospiro. Abbiamo un orecchio speciale per il sospiro: così leggero da non esser quasi percepito; ampio nell’inspirazione e rapido a consumarsi poi; frettoloso nel prendere l’aria che serve e lento 14

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nel rilasciarla. Si dovesse tradurre il femminile in suoni, il sospiro senz’altro ci sarebbe. Ci possono separare etnia, età, ceto sociale, professione; non conta dove ti trovi, con chi e a fare cosa: basta che un sospiro arrivi al tuo orecchio e tac, come per lo sbadiglio, il contagio è sicuro. Il “Bisogna avere pazienza!” dell’altra, risuona nel tuo “Già, pazienza…”. Ma quale pazienza? Credo che pochi concetti, al pari della pazienza, siano stati snaturati nel tempo dal loro significato originario. Nel linguaggio comune oggi è diventata sinonimo di remissività, rassegnazione, procrastinazione, sciocca speranza, sacrificio, obbedienza inutile. è questa la grama pazienza che sfiata nel sospiro. Non sorprende quindi che il momento del risveglio coincida per molte di noi nell’esclamazione: “Basta, la pazienza è finita!”: un motto che intona il canto della ribellione e colora le guance e lo sguardo, mentre ti disfi della vita vecchia con la stessa euforia con cui la bisnonna a suo tempo si è liberata del busto. Quando quella pazienza finisce è un gran bel giorno, anzi il gran giorno, e sai trovare parole speciali per raccontarlo, senza trascurare nessun dettaglio: dove ti trovavi, il vestito che avevi indosso, il colore del cielo fuori dalla finestra, il pensiero o l’immagine che hanno preceduto il momento in cui quello che dettava legge dentro di te fino a un attimo prima d’improvviso non ha contato più. Puoi scordarti forse del compleanno o dell’anniversario, ma sta’ certa che quella data ti resta impressa per sempre, a marcare il confine tra il prima e il dopo, dove il dopo è l’inizio della vita vera. Eppure la cattiva pazienza prolifera ancora come gramigna. Per alcune donne è l’attestato da esibire per riscuotere il premio di consolazione; per altre la scusa per non guardare l’infe15

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licità in faccia; per altre ancora il pedaggio da pagare alla paura di restare sole o l’atto di fedeltà a regole che solo per pigrizia o bigottismo continuano a rispettare. Quando riconosco nella pazienza una delle più potenti risorse del femminile, alludo però a ben altro.

La donna martire L’incarnazione della sopportazione infinita è la martire. Non c’è donna più sorda ai cambiamenti. Qualsiasi evento increspi la superficie compatta della sua esistenza, resta lì, immobile, la maschera della resistenza calata sul viso a indurire le mascelle e ghiacciare lo sguardo. Primo atto: posso sopportare di tutto, quindi posso tutto. Atto secondo: tanto, non cambia mai niente! Pietrificata nel suo ruolo, dal mattino alla sera impugna il sacrificio come un’arma per permettere al marito prepotente, ai figli capricciosi e ad altri tiranni di irrobustirsi nelle loro pretese, così da garantirsi nuovo combustibile per lamentarsi, sopportare e resistere ancora. Mi sembra di sentirti. “Sì, ma tu non conosci mio marito, i miei figli, mia madre…”. Vero, ma neanche tu. Come ci rimarresti a scoprire che tuo figlio, che a casa non si preparava nemmeno un caffè, da quando vive con lei cucina e lava i piatti? E tuo marito, che quando va bene ti risponde a ruggiti, mentre per gli amici è l’allegrone della compagnia? Ma tu incalzi: “Sì, ma io li conosco davvero…”, e cominci con l’elenco dei vizi dei tuoi aguzzini, che riservano a te la spazzatura uscendo di casa ripuliti. Con che orgogliosa tenerezza sottolinei le loro debolezze e le loro prepotenze, portati come cammei sul tuo abito senza macchia! Lui che se non ti 16

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trova a casa dà di matto, tua madre che ti delega ogni incombenza perché di tua sorella non si fida… “Già…”, e arriva il sospiro, rotondo, da godersi fino in fondo. “Ci vuole pazienza, tanta pazienza…”. Equivocare la pazienza con la sopportazione infinita è la premessa di disastri sicuri per chi la agisce e per chi la subisce. Mutila la vita di chi sopportando troppo si esilia dall’amore, dalla bellezza e dalla speranza; ma castra anche chi, sedotto dalla resa incondizionata, si rammollisce in un’astiosa debolezza. La trappola è che i danni hanno un effetto rilasciato nel tempo e non riesci a capacitarti dell’ostilità che, dopo un’iniziale compiacenza, d’un tratto ti mostrano le persone che continui a servire e di cui tolleri scatti d’ira, dispetti o indifferenza, inghiottiti dalla tua sopportazione come zucchero nel tè. Ti detestano perché il tuo atteggiamento crea dipendenza: come farebbero senza di te come bersaglio fisso, tu che dirai sempre ancora sì? Ti danno addosso perché sei la testimone della loro incapacità di tagliare il cordone ombelicale che dopo tradimenti o altre fughe li riporta a te, al limbo in cui li cullerai ancora. Sì, lo so, dice il tuo annuire sospiroso, io non mi risparmio, io amo troppo… Sono convinta che se il best-seller “Donne che amano troppo”, avesse avuto per titolo “Donne che amano male”, non avrebbe venduto milioni di copie! Eppure sospetti anche tu che offrire a richiesta la tetta per sempre sia una perversione, ma è un pensiero che ti sfiora appena, una farfalla sull’armatura. Finché un giorno lui se ne va, stavolta per non tornare. Invece di festeggiare ti disperi. Non lo meritavi, non dopo tutto quello che hai fatto per lui. Sei troppo cieca per vedere nell’abbandono la concessione, anche se tardiva, della grazia. 17

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